SECONDA GUERRA MONDIALE IL SECONDO CONFLITTO INTERNAZIONALE. 1939-1945 © GSCATULLO La Seconda Guerra Mondiale Il Mondo Prima del Conflitto Le trattative di pace di Versailles si rivelarono inadeguate alla situazione politica internazionale e non sufficienti a scongiurare la guerra, tanto che nel 1923 quando la Francia occupò la Ruhr si creò una pericolosa tensione con la Germania che fu risolta solo con gli Accordi di Locarno che rivedevano la questione delle frontiere tedesche e delle riparazioni di guerra. Nel 1928 venne inoltre stipulato il patto Briand-Kellog che intendeva aprire una nuova era di pace, obbiettivo che fu messo in discussione nel 1929 con il diffondersi del nazionalismo a seguito della crisi economica. In Asia Giappone Il Giappone, che aveva partecipato alla prima guerra mondiale al fianco dell’intesa, ottenne con i trattati di pace lo Shantung, zona cinese in precedenza sotto il dominio tedesco, e il controllo di alcune isole nell’Oceano Pacifico (Marianne, Caroline e Marshall). La guerra favorì anche la crescita dell’economia nipponica, stimolando la produzione dell’industria pesante e navale, che venne però meno nel dopoguerra. La crisi del ’29, con la successiva contrazione del mercato internazionale accentuò le difficoltà economiche del Giappone che, povero di risorse, reggeva la sua economia sulle esportazioni. Per far fronte alla crisi economica si ritenne necessaria la conquista di nuovi territori: i grandi gruppi industriali si allearono con le gerarchie militari e impressero alla politica giapponese un orientamento espansionistico. Questo indirizzo si concretizzò nel 1931 con l’occupazione militare della Manciuria, regione cinese ricca di materie prime, e poi nel 1937 con l’occupazione delle principali città della Cina settentrionali, tra cui Pechino e Shanghai. Nella politica il Giappone fu caratterizzato da un rafforzamento dei gruppi di ispirazione fascista: sotto la tutela dell’imperatore Hitohito (regnante dal 1926) si affermò un governo autoritario che portò ad una progressiva esautorazione del Parlamento. Cina Alla fine dell’Ottocento il millenario Impero cinese era una realtà solo formale, non più in grado di controllare il territorio o di difenderlo dalle mire espansionistiche delle grandi potenze. Nel 1911 l’impero crollò e l’anno successivo fu proclamata la repubblica, su appoggio del Guomindang, Partito nazionale del popolo, fondato e guidato da Sun Zhongshan. Il partito però non aveva un reale potere sulla Cina, in quanto le vaste regioni del Nord erano controllate da comandanti militari (i signori della guerra). Queste divisioni interne alla Cina la rendevano molto debole sul piano internazionale: ciò fu evidente nel 1917 quando, pur avendo partecipato alla Grande Guerra al fianco dell’Intesa, persero la regione dello Shantung assegnato dai trattati di Pace al Giappone. La prevaricazione fece riguadagnare consensi al movimento nazionalista del Guomindang che poté contare sull’appoggio del Partito comunista cinese fondato nel 1921 da Mao Zedong. I due partiti sfociarono in un movimento rivoluzionario che costituì a Canton, nel Sud del paese, un governo alternativo a quello di Pechino, ritenuto troppo accondiscendente alle pretese occidentali e giapponesi, con l’obbiettivo ambizioso di riunificare la Cina. Nel 1925 alla morte di Sun Zhongshan gli successe alla guida del Guomindang il comandante dell’esercito Jiang Jieshi. Nel 1926 iniziò la campagna militare contro il governo di Pechino, sul quale i rivoluzionari ebbero la meglio. Quando Jiang raggiunse Shanghai però ordinò alle sue truppe di attaccare i comunisti in città e in tutte le zone del paese occupate dal Guomindang, causando grandi perdite al partito di Mao che era impreparato. Mao Zedong riorganizzò il partito che nel 1931 proclamò una repubblica sovietica nelle zone montuose della Cina sudorientale espropriando i proprietari terrieri. Mao guidò i suoi 100.000 uomini – di cui ne resteranno solo 7.000 - in una lunga marcia di circa 12.000 chilometri sino allo Yan’an dove installò una nuova repubblica sovietica. La guerra civile con il Guomindang fu interrotta in funzione antinipponica nel 1936 quando tutte le forze politiche cinesi si coalizzarono a questo scopo. Nel 1941 la guerra contro il Giappone confluì nella Seconda Guerra Mondiale. In Europa Il riarmo della Germania Dopo la crisi del 1929 molti paesi furono spinti verso una politica più autoritaria mettendo in crisi i trattati di pace di Versailles del 1919. La Germania nazista sotto la guida di Hitler perseguì dal 1933 l’obbiettivo di instaurare un nuovo ordine europeo e conquistarsi uno spazio vitale, ciò avrebbe portato inevitabilmente alla guerra. In quest’ottica era necessario per la Germania un riarmo, ovviamente vietato dai trattati di pace, così nel 1933 Hitler uscì dalla Società delle Nazioni e indirizzò l’intera economia tedesca sul settore bellico. Nel 1935 reintrodusse la circoscrizione obbligatoria e firmò con la Gran Bretagna un trattato che consentiva alla Germania di costruire una flotta navale a condizione di non superare il 35% di quella inglese. Nel 1936 infine riportò le truppe in Renania ignorando l’obbligo di smilitarizzazione imposto dal trattato di Versailles. La conferenza di Stresa Hitler ottenne la revisione del Trattato di Versailles circa l’amministrazione della Saar: la ricca regione carbonifera affidata per quindici anni alla Francia avrebbe deciso autonomamente di quale nazione far parte: nel 1935 in un plebiscito il 90% degli abitanti della zona decise di far parte della nazione tedesca. La Germania tentò – e fallì – l’annessione dell’Austria che culminò con l’assassinio del cancelliere austriaco Engelbert Dollfus nel 1934. In quell’occasione la reazione delle altre potenze fu molto decisa, Mussolini schierò le truppe italiane sul confine austriaco e la Francia convocò, nell’aprile 1935, una conferenza a Stresa sul Lago Maggiore, che si risolse però solo in una condanna formale e niente di più, pesando la prudenza della Gran Bretagna. Mussolini Dapprima dunque Mussolini si presentò come garante dell’ordine europeo, così era intervenuto nella questione austriaca, ma acquistato prestigio internazionale ritenne di poter conquistare indisturbato l’Etiopia nel 1935. All’aggressione seguì una condanna della Società delle Nazioni cui però non seguì nulla di concreto. La politica di Mussolini portò l’Italia ad avvicinarsi alla Germania con cui nel 1936 fu firmato un accordo che ne accomunava la politica estera: l’Asse Roma-Berlino. Nel 1937 l’alleanza fu allargata dalla Germania in funzione antisovietica anche al Giappone nell’Asse Roma-Berlino-Tokyo. I fronti popolari La politica estera della Germania e del Giappone allarmò l’Unione Sovietica che nel 1934 interruppe la sua politica isolazionista ed entrò nella Società delle Nazioni stringendo un’alleanza con la Francia. Nel 1935 al VII Congresso del Comintern fu elaborata una nuova linea politica: combattere i fascismi in un unico fronte alleandosi con i partiti democratici nei diversi paesi. Si costituirono così i fronti popolari, con l’obbiettivo di saldare in un’unica coalizione tutte le forze antifasciste: nel 1936 in Francia e Spagna vinsero governi di coalizione. L’Inghilterra L’Inghilterra, che con la sua politica interna aveva superato la crisi del 29 mantenendo inalterato il regime democratico, preferì in politica estera l’appeasement, letteralmente pacificazione, che in nome del mantenimento della pace non esitava a concessioni internazionali. Ciò fu dettato probabilmente dal timore antisovietico che portò a sottovalutare il pericolo dell’accondiscendenza con l’espansionismo nazista. La Guerra Civile in Spagna Arretratezza, dittatura e repubblica Agli inizi del Novecento le condizioni economiche in Spagna erano estremamente arretrate e fondate in gran parte sul latifondo. Nella popolazione si era diffuso un desiderio di cambiamento: i contadini vicini ai movimenti socialisti, i borghesi auspicando una modernizzazione. Nel 1923 re Alfonso XIII di Borbone di fronte alla crisi sociale esautorò il parlamento per favorire la dittatura militare di Miguel Primo de Rivera, ispirata al fascismo italiano ed in carica sino al 1930. Nell’aprile 1931 si tennero le elezioni in cui vinsero i repubblicani: il re abdicò ed andò in esilio per lasciar posto alla neonata repubblica. Nelle nuove elezioni di giugno 1931 prevalse la sinistra che costituì un governo di coalizione tra repubblicani e socialisti, e avviò un programma di riforme per modernizzare il paese. La destra vinse però alle elezioni del 1933, favorita anche dagli anarchici che promuovevano l’astensionismo, e ne conseguì un biennio di governo reazionario e autoritario (biennio nigro) che smantellò le riforme precedenti. Nel 1934 scoppiarono numerose insurrezioni organizzate da anarchici e socialisti, duramente represse dall’esercito. La dittatura che si profilava in Spagna, di matrice fascista, vide però l’opposizione di una coalizione, il Fronte popolare, di liberali, democratici, socialisti, anarchici e autonomisti. Il Fronte vinse le elezioni del 1936. Gli scontri La vittoria della sinistra provocò nel paese un’ondata di attacchi inserzionisti popolari contro i proprietari terrieri, quasi si volesse tentare una rivoluzione sociale. La destra reazionaria reagì organizzando un colpo di Stato: nel luglio 1936 le truppe di stanza nel Marocco spagnolo, guidate da Francisco Franco, aiutate dall’aviazione italiana e tedesca, sbarcarono nel sud della Spagna dando inizio ad una guerra civile. La questione divenne ben presto internazionale: le organizzazioni filofasciste scesero in campo con la Falange nazionalista, l’Inghilterra temendo la vittoria della sinistra estremista non intervenne, e la seguì la Francia che si limitò ad aiuti umanitari. A sostegno dei repubblicani giunsero aiuti militari dall’URSS e da reparti di volontari antifascisti provenienti da tutti i paesi, le brigate internazionali. La presenza di italiani fascisti e partigiani in aiuto ciascuno in una fazione spagnola ha fatto parlare di una Guerra Civile tra italiani combattuta all’estero. Più unito degli avversari e dotato di mezzi migliori, l’esercito di Franco ottenne la vittoria: tra gennaio e marzo del 1939 occupò Barcellona e Madrid, la democrazia era così finita anche in Spagna e la dittatura franchista vi sarebbe rimasta sino al 1975, alla morte del generale. La Guerra Eventi immediatamente precedenti La Grande Germania Il tentativo di annessione (Anschluss) dell’Austria che era fallito nel 1934, riuscì nel marzo 1938: formalmente l’intervento militare tedesco fu giustificato dal cancelliere austriaco Seyss-Inquart come necessario a tutelare l’ordine pubblico. Le democrazie europee non opposero alcuna resistenza. Hitler rivendicò allora la regione della Cecoslovacchia abitata dai Sudeti, popolazione di nazionalità tedesca. Tra il 29 e il 30 settembre 1938 Mussolini, Hitler, il premier britannico Chamberlain e il Primo ministro francese Daladier si incontrarono nella Conferenza di Monaco per risolvere la questione dei Sudeti. Mussolini, che aveva il compito di mediare, fece firmare un documento che riconosceva come legittima l’annessione a patto che si fosse garantita l’indipendenza al resto della Cecoslovacchia e la regione dei Sudeti entrò a far parte del Reich. Chamberlain e Daladier firmarono quell’accordo convinti che così si sarebbe garantita la pace, e vennero per questo festeggiati in patria. Hitler però nel marzo 1939 disattese all’accordo ed invase il resto della Cecoslovacchia annettendo la Boemia e la Moravia, senza pretesti di appartenenza nazionale si trattava di un’aggressione imperialistica. Altri accordi internazionali della Germania Hitler indirizzò le sue mire espansionistiche alla Polonia, cui chiese la città di Danzica e la striscia di terra che la univa alla polonia (il corridoio polacco). La Polonia respinse la richiesta ottenendo l’appoggio della Gran Bretagna e della Francia che sarebbero intervenute in caso di invasione. Nel 1939 anche l’Italia fascista si allineò alla politica aggressiva della Germania: in aprile occupò l’Albania, e contemporaneamente Mussolini rivendicò Tunisi, Gibuti, Nizza, la Savoia e la Corsica. Il rapporto italo-tedesco fu rafforzato da un’alleanza militare: il 22 maggio 1939 venne firmato il Patto d’acciaio che impegnava le potenze in caso di guerra (sia offensiva che difensiva) l’una al fianco dell’altra. Hitler in prospettiva di una guerra volle garantirsi la neutralità dell’URSS, che avrebbe potuto costituire un pericolo nel caso di invasione della Polonia. Il 23 agosto 1939 i ministri degli esteri dei due paesi, Ribbentrop e Molotov, firmarono un patto di non aggressione della durata di dieci anni, cui si univa un protocollo segreto (reso pubblico solo nel 1949 dagli USA e confermato dalla Russia solo nel 1990) in cui si precisavano le modalità di spartizione della Polonia e le sfere di influenza di Germania e URSS nella regione baltica. Tutto era pronto per la Seconda Guerra Mondiale. La guerra lampo L’Aggressione della Polonia L’1 settembre 1939 la Germania attaccò la Polonia e la costrinse alla resa nel giro di tre settimane (18 settembre). Il 3 settembre, in risposta all’aggressione, la Gran Bretagna e la Francia dichiararono guerra alla Germania, mentre il 17 settembre l’URSS, rivendicando le prerogative garantitele dal patto RibentroppMolotov, occupò la parte orientale della Polonia. Nei mesi successivi seguì una sorta di stallo: l’esercito anglo-francese e quello tedesco si fronteggiarono dietro le rispettive linee di difesa, la Sigfrido tedesca e la Maginot francese, praticamente senza combattere in quella che venne chiamata la “strana guerra”. Nell’Europa Orientale l’Armata Rossa invase la Lettonia, l’Estonia e la Lituania, regioni di confine che Stalin dichiarò indispensabili per la sicurezza dell’URSS, assieme anche alla Finlandia. La guerra lampo Nella fase di stallo che era seguita all’occupazione della Polonia, i Tedeschi riorganizzarono le proprie forze per riprende le operazioni in Primavera: il 9 aprile 1940 la Germania attaccò la Danimarca e la Norvegia, la prima venne occupata senza difficoltà, mentre la seconda si arrese due mesi dopo: Hitler coinvolse così la Scandinavia nel conflitto e accerchiò la Gran Bretagna, e si impadronì delle risorse presenti nella regione. I Tedeschi sembrarono così realizzare quella strategia di guerra lampo (blitzkrieg) che era l’unica possibilità di vittoria, non potendo sostenere una guerra di logoramento. La Francia Mentre l’esercito tedesco ancora completava l’invasione della Norvegia, il 10 maggio 1940 Hitler fece attaccare a sorpresa la Francia passando per il Belgio e l’Olanda, e puntando subito su Parigi. I 350.000 uomini dell’esercito anglo-francese si trovarono così accerchiati e furono costretti alla fuga a Dunkerque dove si imbarcarono per l’Inghilterra (27 maggio – 4 giugno). L’esercito tedesco occupò il Nord della Francia e occupò Parigi il 14 giugno. Il governo francese poteva scegliere se resistere ad oltranza, linea appoggiata dal Presidente del Consiglio Paul Reynaud, o scendere a patti con la Germania. Prevalse la seconda ipotesi, indicata dalle forze della destra guidate dall’anziano maresciallo Henri-Philippe Pétain: Reynaud rassegnò le dimissioni e il militare iniziò le trattative con gli occupanti, stilando un armistizio concluso il 22 giugno 1940, che affermava: La divisione della Francia in due parti, la centro-settentrionale occupata dai tedeschi; La centro-meridionale con un governo collaborazionista con sede a Vichy guidato da Pétain. Il generale Charles De Gaulle, rifugiatosi a Londra, invitava i francesi “liberi” alla resistenza. La Battaglia d’Inghilterra Dopo la sconfitta francese solo la Gran Bretagna poteva continuare la guerra. Nel maggio 1940 salì al potere un governo di coalizione, che vedeva uniti conservatori e laburisti, guidato dal primo ministro Winston Churchill, che aveva sdegnosamente rifiutato un accordo di pace proposto da Hitler in cambio del riconoscimento delle conquiste, ma che anzi aveva giurato di combattere il nemico sino alla vittoria. Tra agosto e settembre 1940 i Tedeschi tentarono lo sbarco in Inghilterra, con l’operazione Leone Marino, che richiedeva però l’abbattimento dell’aviazione inglese. Per due mesi l’aviazione britannica (Royal Air Force) e quella tedesca (Luftwaffe) si scontrarono nella battaglia d’Inghilterra, le inglesi Conventry e Birmingham subirono pesanti bombardamenti, ma la RAF inflisse altrettante perdite alla Germania che il 17 settembre dovette rinunciare al proposito di invasione. Cadeva così l’illusione di una guerra lampo per la Seconda Guerra Mondiale e se ne prospettava una di logoramento. La Germania aveva però compiuto conquiste importanti, l’Italia si era schierata al suo fianco e si erano rafforzati i rapporti con il Giappone con cui il 27 settembre 1940 si giunse alla firma del Patto Tripartito (Germania, Italia, Giappone). La guerra mondiale Conquiste della Germania e invasione dell’URSS Nella primavera del 1941 la Germania fu costretta ad intervenire a sostegno dell’Italia che stava rischiando una disfatta militare: nel Nord Africa le truppe naziste, guidate dal generale Erwin Rommel giunsero a pochi chilometri dal canale di Suez, nei Balcani la Germania conquistò la Iugoslavia, la Grecia e l’isola di Creta, mentre impose alleanze forzate a Romani e Bulgaria. Nell’ottica di conquistare lo “spazio vitale” per la Germania occupando le regioni dell’Europa dell’Est era evidente che il patto di non aggressione con l’URSS aveva carattere temporaneo. Del resto Hitler aveva intenzione di conquistare la Russia in quanto: - La riteneva abitata da una razza inferiore, gli Slavi; La riteneva la patria del Comunismo; Voleva impadronirsi delle risorse di cui era ricca. Il 22 giugno 1941 i nazisti diedero attuazione al Piano Barbarossa che prevedeva una rapida avanzata contro la resistenza nemica, impiegando ingenti forze: circa 3 milioni di uomini, 10.000 carrarmati e 3.000 aerei! La conquista andò avanti sino ad autunno, prendendo la Bielorussia, i Paesi Baltici, gran parte dell’Ucraina e la Crimea settentrionale, per poi arrestarsi con il sopraggiungere dell’Inverno e mutare in una guerra di logoramento. Il Giappone Nel corso degli anni Trenta il Giappone aveva avviato una campagna espansionistica in Asia ai danni della Cina che gli aveva richiesto ingenti risorse. Questa campagna andava a ledere gli interessi coloniali europei e di dominio sul pacifico americani, era dunque oltre che una manifestazione di imperialismo anche di opposizione all’ingerenza occidentale in Asia (“L’Asia agli asiatici”). Nell’aprile 1941 il Giappone strinse un patto di neutralità con l’URSS e nel luglio dello stesso anno decise di attaccare l’Indocina francese, approfittando della debolezza e dell’instabilità della madre patria. Gli Stati Uniti reagirono all’aggressione alla potenza occidentale imponendo un embargo all’economia giapponese, che si reggeva sulle importazioni e le esportazioni, in quanto in un territorio privo di risorse. I Giapponesi decisero allora di entrare in guerra e il 7 dicembre 1941 senza dichiarazione formale di guerra attaccarono la base americana di Pearl Harbor nelle isole Hawaii distruggendo quasi completamente le navi statunitensi. Il giorno dopo, l’8 dicembre gli USA e la Gran Bretagna dichiaravano guerra al Giappone che venne subito sostenuto dalle potenze dell’Asse, con cui intanto aveva stretto il Patto Tripartito. La guerra si era veramente estesa a tutto il mondo. Gli Stati Uniti Negli anni Trenta gli USA avevano perseguito una politica di isolamento, intrapresa alla fine della prima guerra mondiale e accentuata dopo la crisi del 29. Il presidente Roosevelt, eletto per la terza volta nel 1940, si impegnò in senso contrario: nel marzo 1941 venne approvata dal Congresso la Legge affitti e prestiti che avrebbe fornito materiale bellico a condizione vantaggiose alle potenze antifasciste e soprattutto alla Gran Bretagna, paese con cui venne redatta la Carta Atlantica: nell’agosto 1941 fu composto da Roosevelt e Churchill un documento di solidarietà tra le due nazioni e che esprimeva in otto punti i principii che avrebbero dovuto guidare il mondo dopo l’uscita dalla guerra, ossia la collaborazione fra stati e l’autodeterminazione dei popoli. L’attacco giapponese di Pearl Harbor indusse gli USA ad abbandonare definitivamente la politica di isolazionismo e ad entrare in guerra. L’intervento aumentò la produzione bellica che passò da dieci milioni nel 1939 a diciassette nel 1943. La svolta del 1942-43 Con l’entrata in campo degli Stati Uniti e del loro potenziale la guerra subì una svolta decisiva per gli alleati anglo-americani tra il 1942 e il 1943. Gli Americani riportarono contro il Giappone, nel Pacifico, importanti vittorie nel Mar dei Coralli e a Guadalcanal, costringendo la strategia nipponica a diventare difensiva dei territori già conquistati all’inizio della guerra e non più espansiva. Le battaglie di El Alamein e di Stalingrado Nell’area dell’Atlantico gli Alleati mostrarono la propria superiorità vincendo l’accerchiamento dei sommergibili tedeschi, che impedivano agli Stati Uniti di rifornire la Gran Bretagna, nella battaglia dell’Atlantico. Concentrarono poi i propri sforzi sul Nord Africa, dove il generale tedesco Rommel aveva condotto una poderosa offensiva penetrando in profondità in Egitto. Il generale inglese Bernard Law Montgomery guidò la controffensiva alleata che culminò nella battaglia di El Alamein. Gli Italo-Tedeschi furono sconfitti e batterono in ritirata: nel maggio 1943 tutto il Nord Africa era nelle mani degli Alleati. Sul fronte orientale la Germania lanciò un’offensiva nel giugno 1942 con l’obbiettivo di conquistare le regioni del Caucaso, con al fianco dei contingenti italiani dell’ARMIR (Armata Italiana in Russia) e del CSIR (Corpo di Spedizione Italiano in Russia) inviati dal governo fascista a sostenere Hitler. Dopo iniziali successi nel luglio 1942 i Sovietici passarono al contrattacco nella terribile battaglia di Stalingrado. La città venne assediata per sette mesi, Hitler ordinò la resistenza ma fallì nel febbraio 1943 lasciando un esercito allo sbando, e le sorti della guerra ribaltate. La vittoria degli alleati L’avanzata alleata Dopo la vittoria in Africa gli Anglo-Americani avevano assunto il controllo del Mediterraneo e si rivolsero all’Italia, occupando dapprima Pantelleria (giugno 1943), poi il 10 luglio sbarcarono in Sicilia, occupando Palermo (23 luglio) e mettendo in crisi il consenso fascista, il governo cadde poco dopo (24 luglio 1943). Nel 1944 gli Alleati avanzarono liberando Roma (4 giugno) e arrestandosi sulla linea Rimini-La Spezia fino alla primavera del 1945. In Oriente intanto i Sovietici continuavano ad avanzare puntando verso la Germania e gli Stati Uniti costrinsero il Giappone a rinunciare a quasi tutti i territori conquistasti. Lo sbarco in Normandia Nel novembre-dicembre 1943 la Conferenza di Teheran, che vedeva coinvolti Stalin, Roosevelt e Churchill, decise come strategia da seguire l’apertura di un secondo fronte in Europa. Nel 1944 ciò si concretizzò nello Sbarco in Normandia (6 giugno), conosciuto come operazione Overlord, guidata dal generale americano Dwight Eisenhower e che coinvolse 3 milioni di uomini, 1200 navi, 6500 anfibi e 13.000 aerei. I Tedeschi, che si aspettavano uno sbarco a Calais, e che lì avevano concentrato le loro forze, resistettero per due mesi sino a che gli Alleati non riuscirono a sfondarne le linee e a penetrare in Grancia. Il 15 agosto (operazione Dragoon) un secondo sbarco avvenne in Provenza, grazie ai reparti guidati da De Gaulle, che entrò trionfante a Parigi con gli Alleati il 26 agosto 1944. Alla metà di settembre la Francia era completamente liberata. La resa della Germania Tra il 1944 e il 1945 la Germania fu sottoposta da parte degli Alleati a continui bombardamenti, che distrussero alcune città come Dresda e Amburgo, che però non portarono Hitler a cedere, anzi ordinò la mobilitazione totale, anche dei giovanissimi. Nella primavera 1945 la Germania si trovava tra due fuochi: ad ovest gli Anglo-Americani, che il 7 marzo varcavano il Reno, e ad Est i Sovietici, che il 13 aprile giunsero a Vienna, i due eserciti si incontrarono presso il fiume Elba il 25 aprile 1945 e negli stessi giorni l’Italia venne liberata e i Tedeschi iniziarono la ritirata. Il 30 aprile Hitler si suicidò insieme ad altri capi nazisti mentre i Russi entravano a Berlino. Il successore del Fuhrer, l’ammiraglio Karl Donitz, firmò il 7 maggio 1945 la resa incondizionata della Germania. La resa del Giappone Nella primavera del 1945 la guerra in Europa era ormai cessata, ma restava aperto il conflitto nell’Oceano Pacifico. I Giapponesi resistevano arrivando ad utilizzare persino i kamikaze, piloti suicidi che si schiantavano con l’aereo carico di esplosivi sulle navi nemiche, ma militarmente la potenza nipponica era stata annientata. Il 12 aprile 1945 il presidente americano Roosevelt morì e gli succedette Harry Truman che decise di piegare definitivamente il Giappone utilizzando un’arma progettata poco tempo prima nei laboratori statunitensi: la bomba atomica. Il 6 agosto 1945 “Little Boy”, la bomba, fu sganciata sulla città giapponese di Hiroshima causando oltre 100.000 vittime e la distruzione dell’80% degli edifici della città. L’8 agosto l’URSS dichiarò guerra al Giappone aprendo le ostilità in Manciuria e in Corea. Il 9 agosto fu sganciata una seconda bomba su Nagasaki causando 60.000 morti. Il Giappone non poté che chiedere la resa senza condizioni, firmata il 2 settembre 1945. Era la fine della Seconda Guerra Mondiale che aveva causato circa 50 milioni di morti. La Guerra in Italia L’Italia in Guerra Nel 1939 l’Italia si trovava in una posizione difficile: costretta ad entrare in guerra dal Patto d’Acciaio, non avrebbe potuto sostenerla in quanto la guerra in Etiopia e quella in Spagna ne avevano compromesso le finanze. Mussolini dichiarò dunque la non belligeranza, pur non rimanendo neutrale non avrebbe combattuto. I successi della Germania in Francia spinsero il Duce a ritenere vantaggiosa una guerra per l’Italia, illudendosi si sarebbe conclusa in fretta e il 10 giugno 1940 dichiarò guerra sia alla Francia che alla Gran Bretagna. Mussolini aveva però sottovalutato la potenza inglese contro la quale l’esercito italiano, con pochi aerei e bombardieri e armamenti arretrati, non poteva competere. Fallì così il tentativo di strappargli il dominio su Malta e quello nell’Africa settentrionale. Ulteriore fallimento fu in ottobre 1940 il tentativo di invadere la Grecia. A tutte queste azioni Hitler giunse in soccorso risollevandone momentaneamente le sorti. Lo sbarco degli Alleati e la caduta del Fascismo Dopo la vittoria in Africa gli Anglo-Americani avevano assunto il controllo del Mediterraneo e si rivolsero all’Italia, occupando dapprima Pantelleria (giugno 1943), poi il 10 luglio sbarcarono in Sicilia, occupando Palermo (23 luglio). Gli Italiani percepirono l’avvento degli Alleati come una liberazione e sorsero proteste contro il governo fascista, alimentate anche dagli insuccessi militari italiani, nel marzo 1943 si verificarono scioperi degli operai a Torino, primi durante l’epoca fascista e unici in tutta l’Europa occupata. Il Fascismo non cadde però a seguito di proteste popolari, ma Mussolini fu esautorato nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943 da re Vittorio Emanuele III, dopo che era stato messo in minoranza dal Gran Consiglio del Fascismo. L’incarico di formare un nuovo governo venne affidato al maresciallo Pietro Badoglio e Mussolini condotto prigioniero sul Gran Sasso. Badoglio firmò un armistizio con gli alleati il 3 settembre 1943 a Cassibile, in Sicilia, reso pubblico l’8 settembre successivo. Dopo la firma dell’armistizio il re e Badoglio si rifugiarono a Brindisi sotto la protezione degli Alleati lasciando l’esercito senza alcuna indicazione. Il 9 settembre gli Anglo-Americani sbarcarono a Salerno e avanzarono verso Nord, ma furono bloccati dai Tedeschi che si erano stanziati lungo la linea Gustav, che aveva il suo centro di resistenza a Cassino. Il 12 settembre 1943 i Tedeschi liberarono Mussolini e lo portarono a Salò, sul Lago di Garda, dove fondò la Repubblica Sociale Italiana (RSI). La situazione dopo l’armistizio Quando l’8 settembre 1943 fu data notizia dell’armistizio nessuno aveva dato ordini ai soldati italiani su come comportarsi nei confronti degli ex alleati tedeschi: molti fuggirono, altri si nascosero, altri ancora furono catturati dai Tedeschi e inviati nei campi di prigionia in Germania. A Cefalonia, isola greca nello Ionio, si trovavano circa 12.000 uomini, il loro generale Antonio Gandin diede loro la possibilità di scegliere se arrendersi, resistere o allearsi con i Tedeschi. Scelta la resistenza combatterono per dieci giorni – ne morirono 1.300 - fin quando non furono sconfitti. I tedeschi si vendicarono brutalmente massacrandone 5.000 e inviando i restanti ai campi di prigionia, la nave che li trasportava fu però affondata da una mina. Il Paese nel settembre 1943 risultava diviso in due: - Il Centro-Nord occupato dai Tedeschi e governato dalla Repubblica di Salò, stato fantoccio retto da Mussolini. Il Sud e parte del Centro facevano parte del Regno d’Italia appoggiato dagli Alleati. La resistenza organizzata Fra il settembre e il novembre 1943 quanti si erano organizzati per resistere ai tedeschi e ai fascisti in bande partigiane entrarono in azione al Centro e al Nord. Agivano organizzando azioni di disturbo e attentati, cui i Tedeschi reagivano spesso con rappresaglie. Le bande erano composte in maniera eterogenea: ne facevano parte soprattutto operai e contadini, ma anche studenti, giovani reticenti alla chiamata alle armi della repubblica di Salò, rappresentanti del ceto medio, nonché ufficiali e soldati del vecchio esercito italiano. Erano organizzate in base all’orientamento politico: le B. Garibaldi, costituite da comunisti, le B. Matteotti, da socialisti, le B. del Popolo da democristiane e le formazioni di Giustizia e Libertà che facevano riferimento al Partito d’Azione. Dopo l’armistizio del settembre 1943 gli antifascisti si erano costituiti a Roma in un Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) con l’obbiettivo di coordinare l’azione partigiana. Al Nord vi erano dei CLN locali, più importante quello di Milano, che rimase clandestino per ovvi motivi: il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia (CLNAI). I partiti che aderirono, comunista, socialista, liberale, d’azione, democristiano e democrazia del lavoro, erano accomunati dall’ideale antifascista ma erano eterogenei su altri aspetti. La divisione dei componenti del CLN riguardava anche la questione istituzionale di quale assetto dare all’Italia una volta liberata, divisi tra chi avrebbe voluto mantenere la monarchia e chi la riteneva ormai macchiata di gravi colpe. Nel marzo 1944 Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista, dichiarò in un celebre discorso tenuto a Salerno, capitale provvisoria del regno, che la questione istituzionale sarebbe stata risolta tramite referendum e che era necessario al momento la coesione di tutte le forze sull’obbiettivo antifascista. L’episodio, noto come svolta di Salerno, fu un compromesso tra le varie tendenze che tenne unito il CLN. Il re Vittorio Emanuele III decise dal canto suo di affidare provvisoriamente i suoi poteri al figlio Umberto che assunse il ruolo di Luogotenente Generale del Regno, una sorta di reggenza. Il governo Bonomi Nel giugno 1944 con la liberazione di Roma da parte degli Alleati Badoglio si dimise e venne affidato ad Ivanoe Bonomi, fondatore del Partito d’Azione, l’incarico di formare un nuovo governo con i rappresentanti del CLN, con l’obbiettivo di defascistizzare le istituzioni, aiutare i resistenti del Nord ed acquisire autonomia dagli Alleati. Questi obbiettivi furono però disattesi. La Repubblica di Salò intanto si rivelò essere uno stato fantoccio, non poteva contare né sul consenso né sull’appoggio degli industriali ma era totalmente dipendente dai nazisti. La Liberazione Nella primavera del 1945 gli Alleati ripresero l’offensiva e aumentarono in qualità e quantità i rifornimenti ai partigiani. Ci si preparava all’attacco finale e la liberazione delle grandi città. A metà aprile gli Anglo-Americani sfondarono la linea gotica e il 21 aprile entrarono a Bologna già insorta. Genova e Milano insorsero e si liberarono il 25 aprile, nei giorni successivi fu liberata Torino. Mussolini tentò la fuga travestito da soldato tedesco ma fu sorpreso ed ucciso da una formazione partigiana nei pressi del Lago di Como con la sua compagna Claretta Petacci. I loro cadaveri impiccati per i piedi furono esposti a piazzale Loreto a Milano. In alcune zone si combatteva sino al 7 maggio. Il 2 giugno 1946 gli Italiani scelsero tramite referendum l’assetto istituzionale: la Repubblica, che ebbe la sua Costituzione in vigore dal 1/1/1948. La Democrazia Cristiana vinse le elezioni ed Einaudi fu il primo presidente della Repubblica, De Gasperi del Consiglio dei Ministri. Il governo di centro fu preferito dalla popolazione come mediazione tra destra e sinistra nello scenario che si andava delineando sul piano internazionale: la Guerra Fredda. La Pace La Carta Atlantica Già durante la guerra gli Alleati iniziarono a prospettare le soluzioni post-belliche con le quali avrebbero regolato la pace al termine del conflitto. Nell’agosto 1941 con questo scopo di massima fu stipulata da Roosevelt e da Churchill, la Carta Atlantica. Essa sanciva la fine dell’isolazionismo degli USA ed un accordo di solidarietà tra loro e la Gran Bretagna. Inoltre venivano enunciati in otto punti i principi di ordine generale che avrebbero idealmente guidato la pace: l’autodeterminazione dei popoli, la facilitazione dei rapporti commerciali e un disarmo generalizzato. Il 26 gennaio 1942 ventisei paesi si richiamarono ai principi della Carta Atlantica proclamandosi Nazioni Unite. Le conferenze di pace La Conferenza di Teheran Verso la fine del 1943 quando apparve chiara la svolta favorevole della guerra nei confronti degli alleati, gli Stati Uniti, l’Inghilterra e l’URSS intensificarono i rapporti politici. I leader di questi tre paesi, Roosevelt, Churchill e Stalin, si incontrarono nel novembre-dicembre 1943 a Teheran dove decisero l’apertura di un nuovo fronte in Francia (dove sarebbe avvenuto lo sbarco in Normandia), gli USA auspicarono la nascita di un’organizzazione internazionale davanti la quale discutere le controversie, e l’URSS prospettava di stipulare un’alleanza con gli stati che la separavano dall’Europa. Venne poi stabilito che la Germania sarebbe stata divisa dopo la guerra in aree di influenza controllate dagli Alleati. L’estensione di queste aree fu concordata da un successivo incontro tra Churchill e Stalin a Mosca (ottobre 1944) poi ratificato dalla Conferenza di Yalta. La Conferenza di Yalta Churchill, Roosevelt e Stalin si incontrarono nuovamente a Yalta, in Crimea, nel febbraio 1945. Qui l’URSS si impegnò ad entrare in guerra contro il Giappone (il che avvenne l’8 agosto 1945), la Germania venne divisa in quattro zone di occupazione controllate da USA, URSS, Gran Bretagna e Francia, fu avviata la denazificazione del paese e l’esercito tedesco fu sciolto. Fu sancita anche l’autodeterminazione dei popoli liberati, anche se accordi segreti già li attribuivano all’una o all’altra nazione. L’Europa non fu divisa, contrariamente a quanto si crede, in aree di influenza, determinate dall’avanzare dei carrarmati sovietici in Europa orientale che nessuno avrebbe fermato rischiando una nuova guerra. La Conferenza di Postdam Il 12 aprile 1945 il presidente americano Roosevelt morì, gli succedette il suo vicepresidente, Harry Truman, che si dimostrò ben più rigido nei confronti dell’Unione Sovietica. Ebbe modo di dimostrarlo nella conferenza di Postdam, cittadina vicino Berlino, che si tenne nel luglio-agosto 1945. Venne deciso di non procedere subito allo smembramento della Germania, la Polonia poté vedere riconosciuti i suoi territori ex-tedeschi e l’URSS parte della Prussia orientale e della Polonia orientale. Finito lo scontro con il nemico nazista gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica videro incrinarsi i reciprochi rapporti molto rapidamente: sarebbe di lì a poco iniziata la guerra fredda. Realizzato da Paolo Franchi il 15/06/16. 5°BC A.S. 2015/2016 AMDG.