CAPITOLO 10 Platone Platone nacque ad Atene nel 427 a.C. nel pieno periodo della crisi politica greca, il suo vero nome fu Aristocle (Platone deriva dal suo fisico possente) è la figura più rappresentativa della cultura filosofica occidentale. Discendeva da una famiglia aristocratica, fu discepolo di Cratilo, che a sua volta era discepolo di Eraclito. A 20 anni incontra Socrate e rimane tra i suoi discepoli fino alla morte del maestro che segna la vita del filosofo. Secondo lui era stato ucciso l’uomo più giusto di tutti, perciò perde la volontà di diventare politica perché questa ingiustizia gli fa capire che c’è una profonda crisi dell’uomo. La morte di Socrate rappresenta la crisi poiché Socrate era l’unico in grado di far superare all’uomo questa crisi. Secondo Platone c’è bisogno di una riforma globale dell’esistenza umana, ma questa potrebbe essere ottenuta soltanto se al potere salisse un filosofo o se il capo dello Stato diventasse filosofo. Dopo la morte di Socrate Platone fece molti viaggi: a Megare, in Egitto e infine a Siracusa dove conobbe Dione zio di Dionigi il giovane, figlio di Dionigi il Vecchio, tiranno della città. Per volere di quest’ultimo Platone venne venduto come schiavo, ma fu riscattato da Anniceride. Il denaro del riscatto, non fu accettato e fu usato per costruire una scuola, l’Accademia che sorgeva nel ginnasio fondato da Accademo, che fu organizzata sul modello delle comunità pitagoriche e dove si studiavano tutte le scienze, dalla matematica alla filosofia o alla musica. Alla morte di Dionigi il Vecchio Platone fu richiamato in Sicilia per dare consigli al Giovane, ma egli lo cacciò. Alcuni anni dopo fu richiamato da Dionigi, ma neanche stavolta i due andarono d’accordo perciò Platone torno ad Atene e morì nel 347. Di Platone ci rimangono tutte le sue opere che possiamo suddividere in tre periodi della sua vita: Primo periodo: scritti giovanili o socratici: Apologia di Socrate, Critone, Protagora, Repubblica I Secondo periodo: Scritti della maturità: Menone, Fedone, Convito, fedro, Repubblica II-X Terzo periodo: Scritti della vecchiaia: Teeteto, Timeo, Leggi Per gli storici molte delle sue opere non sono da attribuire a lui. Nell’apologia di Socrate lui difende la figura del suo maestro. La sua produzione vanta di 13 lettere, l’Apologia e 34 Dialoghi. Lui usa il dialogo per lasciare aperte tutte le interpretazioni, una sorta di tributo a Socrate. Platone tenne anche dei corsi che pero non mise per iscritto. La fedeltà verso Socrate è il carattere dominante della produzione di Platone, egli attribuisce a Socrate anche alcune dottrine mai dette dal maestro ma che Platone interpreta in questo modo. Questa è la ricerca dell’interpretazione della personalità filosofica di Socrate. Lui vive la vita come una ricerca inesauribile e mai conclusa , uno sforzo infinito. Platone si serve del mito nelle sue opere per due motivi: Lo usa come strumento per comunicare in maniera più accessibile e intuitiva le proprie dottrine all’interlocutore Lo usa come mezzo per parlare di realtà che vanno al di là dei limiti della ragione. Il mito colma le lacune della ricerca filosofica, rendendo più difficile il distacco tra mito e filosofia ma conferendo al platonismo un aspetto inconfondibilmente suggestivo. I primi due periodi dell’attività filosofica di Platone sono dedicati all’insegnamento di Socrate e alla polemica contro i sofisti. L’Apologia e il Critone chiariscono l’atteggiamento di Socrate durante le vicende legate alla sua morte. L’Apologia è un esaltazione del compito di Socrate, la vita dedicata alla ricerca filosofica alla quale anche Platone dedicherà l’intera esistenza. L’intero significato si può racchiudere nella frase “Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta dall’uomo”. Il Critone narra della scelta fatta da Socrate in prigione, quella di restare fedele alle sue idee e alla giustizia piuttosto di scappare dalla prigione, evitare la morte ma comportarsi in modo sbagliato. Questi due dialoghi fanno capire che Socrate è l’uomo più giusto e più saggio di tutti. Un altro gruppo di dialoghi spiegano i capisaldi del dialogo socratico: la virtù è unica, è insegnabile, e consiste nella felicità dell’uomo. Nel Protagora, Socrate dice che la virtù di cui parla il sofista non è scienza, ma una serie di abilità acquisite accidentalmente e quindi le virtù non si possono affermare. Protagora dice che le virtù sono tante e la scienza è una di esse, ma per Socrate non è cosi. Il Protagora nega ogni valore educativo all’insegnamento linguistico, mettendo in risalto la figura del maestro Socrate. L’Eutidemo è una rappresentazione vivace degli eristi, coloro che combattono a parole. Il dialogo parte da una critica all’eristica dove Socrate spiega che solo la sapienza può essere insegnata e essa si può apprendere solo filosofeggiando; da qui il discorso cambia e diventa una lode alla filosofia. Questa parte è importante perché Platone spiega il compito della filosofia: produrre conoscenze e insegnarle ad utilizzare a vantaggio della felicità dell’uomo. Nel Gorgia Platone attacca la retorica: La retorica voleva essere l’arte della persuasione ma Platone dice che ogni arte è persuasiva solo intorno a ciò che le è proprio e la retorica non si occupa di niente. Si può persuadere solo l’ignorante e la retorica diventa una pratica adulatoria. Platone osserva che il piacere è la soddisfazione di un bisogno, il bisogno è dolore per cui il dolore e il piacere sono collegati ma il male e il bene non sono collegati e non possono essere identificati con piacere e dolore. Il bene può conseguirsi solo con la virtù che è l’ordine e la regolarità della virtù umana. L’anima buona è saggia, temperata, ordinata e giusta. © Federico Ferranti Corporation www.terzof.altervista.org