© Springer-Verlag 2002 Pathologica (2002) 94:217-224 COMUNICAZIONI XIII RIUNIONE SCIENTIFICA ANNUALE DEL GRUPPO DI STUDIO ITALIANO DI PATOLOGIA CARDIOVASCOLARE Simposio congiunto con la S.I.C. “La fibrillazione atriale: le conoscenze dei substrati anatomo-patologici come guida alle decisioni cliniche” Simposio “Ipertensione arteriosa polmonare” 1 STENOSI POLMONARE SOPRAVALVOLARE ISOLATA: E SE FOSSE UNA SINDROME DI WILLIAMS? C.R.T. di Gioia1, C. Ciallella2, G. d’Amati1, E. Parroni2, A.M. Nardone3, G. Novelli4, P. Gallo1 1 Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia e 2 Istituto di Medicina Legale, Università “ La Sapienza”, Roma 3 Servizio di Genetica Medica, Dipartimento di Medicina di Laboratorio, Ospedale dell’Università “Tor Vergata”, Roma 4 Dipartimento di Biopatologia e Diagnostica per Immagini, Università “Tor Vergata”, Roma La sindrome di Williams (WS) è un raro disordine con espressione fenotipica variabile associata alla delezione emizigote del cromosoma 7q11.23. È generalmente considerata sporadica (incidenza 1/20.000 nati vivi), sebbene siano stati riportati rari casi familiari (autosomica dominante). L’interessamento multisistemico nella WS include dismorfismo craniofacciale, ritardo mentale, bassa statura, anomalie cardiovascolari, disordini gastrointestinali, renali e oculari, e talvolta ipercalcemia infantile. La più comune anomalia cardiaca associata alla WS è la stenosi sopravalvolare aortica (SVAS). Una concomitante stenosi sopravalvolare polmonare (SVPS) è rara. Poiché la SVAS può presentarsi anche come reperto isolato, per confermare la diagnosi è essenziale evidenziare la microdelezione con tecniche di ibridizzazione in situ (FISH). Riportiamo il caso di una neonata di 2 mesi con quadro clinico ed ecocardiografico alla nascita di SVPS isolata e ipertrofia ventricolare destra, in assenza di dismorfismo facciale, in cui all’autopsia è stata diagnosticata una WS, confermata successivamente dall’analisi genetica. La neonata, nata con parto spontaneo dopo una normale gravidanza, presentava alla nascita un soffio sistolico e, all’esame ecocardiografico, una valvola polmonare displastica con stenosi sopravalvolare moderata e ipertrofia ventricolare destra, reperti confermati agli esami di controllo 18 giorni dopo. Prima del successivo controllo cardiologico a 3 mesi, la neonata moriva improvvisamente a casa, all’età di 2 mesi, durante una crisi di pianto associata a cianosi. All’autopsia la bambina pesava 4900 g e mostrava facies normale in assenza di anomalie extracardiache. Il cuore mostrava ipertrofia biventricolare concentrica, displasia polivalvolare con valvole semilunari ispessite e mixoidi, valvola tricuspide di aspetto “floppy” e valvola mitrale ad arcata. Il reperto valvolare non era però tale da giustificare la marcata ipertrofia biventricolare in assenza di stenosi sopravalvolari arteriose evidenti. Le pareti di entrambe le grandi arterie erano ispessite con consistenza simile a cuoio lavato senza evidenza, peraltro, di stenosi. Non si osservavano stenosi polmonari periferiche. Le arterie coronarie erano normali per origine e decorso. L’esame microscopico mostrava grave ipertrofia miocellulare con sporadiche vacuolizzazioni subendocardiche in assenza di necrosi ischemica recente o pregressa. A livello della porzione tubulare dell’aorta ascendente, erano evidenti estrema disorganizzazione e frammentazione delle lamelle elastiche, con disposizione a mosaico di queste ultime, aumento del collagene e iperplasia intimale. Nel tratto aortico sinusale, non si osservavano alterazioni intimali. Le stesse alterazioni erano evidenti a livello dell’arteria polmonare, ma solo a livello del terzo interno della tonaca media. La lieve iperplasia intimale a livello dell’arteria polmonare non giustificava l’ostruzione clinicamente evidente. La restante aorta (arco e porzione discendente) non presentavano alterazioni. Le arterie coronarie mostravano placche fibrose non stenosanti. Il pattern a mosaico della tonaca media delle grandi arterie è stato ritenuto sufficiente a causare la stenosi funzionale e la conseguente marcata ipertrofia eccentrica di entrambi i ventricoli. In base ai reperti istologici di entrambe le grandi arterie, è stata ipotizzata una diagnosi di WS. La FISH effettuata sui tessuti dei vari organi esaminati ha confermato la diagnosi, evidenziando la microdelezione a livello del cromosoma 7q11.23. Pertanto suggeriamo di considerare l’eventualità di una WS anche in caso di una SVPS isolata, in assenza di un’ostruzione dell’efflusso ventricolare sinistro, valutando la possibilità in tale malattia di alterazioni del solo sistema cardiovascolare, talvolta con interessamento esclusivamente delle sezioni cardiache destre, pur sempre in presenza della mutazione specifica, anche in virtù del rischio di morte improvvisa di questi pazienti. 2 STUDIO ANATOMICO E MORFOMETRICO DELLE VARIE FORME DI IPOPLASIA DEL CUORE SINISTRO: CRITERI DI DIAGNOSI E PROSPETTIVE DI TRATTAMENTO B. Fabbrizio1, O. Leone1, R. Formigari2, S.A. Pileri1, F.M. Picchio2 Istituto di Anatomia ed Istologia Patologica e 2 Servizio di Cardiologia Pediatrica, Università degli Studi di Bologna 1 Obiettivi: Scopo dello studio è stato quello di individuare, in cuori affetti da ipoplasia del cuore sinistro, dei parametri morfologici e morfometrici, che potessero essere utilizzati dal cardiochirurgo nella valutazione pre-operatoria, data l’altissima mortalità perinatale da cui tale cardiopatia è gravata, per cui la chirurgia rappresenta l’unica terapia efficace. Metodi: La casistica è costituita da 26 cuori affetti da ipoplasia del cuore sinistro, 18 dei quali provenienti da neonati deceduti e caratterizzati da: Gruppo I (n=14), ipoplasia del ventricolo sinistro e alterazioni dell’intero complesso di efflusso aortico; Gruppo II (n=4), associazione della patologia del tratto aortico con un quadro di difetto settale atrio-ventricolare completo con predominanza destra. Un terzo gruppo (Gruppo III) era costituito da 8 autopsie fetali. I preparati anatomici sono stati studiati in base all’analisi segmentaria anatomica e con l’effettuazione di misurazioni di parametri lineari (spessori miocardici, dimensioni dell’afflusso ed efflusso ventricolari, circonferenza dell’anulus atrio-ventricolare, diametro delle grandi arterie) e volumetrici delle cavità ventricolari. Risultati: I risultati significativi, ottenuti nel Gruppo I sono rappresentati: (1) dalla concordanza delle anomalie riscontrate nella nostra casistica con quanto descritto in letteratura, ad eccezione della costante presenza di ipoplasia dell’atrio sinistro; (2) dalla correlazione positiva fra il grado di ipoplasia del ventricolo sinistro, il grado di ipertrofia miocardica e la severità delle alterazioni del tratto aortico; (3) dalla costante presenza di ipoplasia e/o atresia della valvola mitrale; (4) dalla presenza, in elevata percentuale (80%), di valvola aortica bicuspide. Nel Gruppo II, abbiamo invece riscontrato una minore gravità del quadro anatomo-patologico, con un grado di ipoplasia e di ipertrofia parietale del ventricolo sinistro di minore entità e assenza di atresia aortica. Il quadro anatomico dei cuori fetali era complessivamente sovrapponibile a quello dei casi neonatali, pur in presenza di una maggiore gravità delle malformazioni valvolari aortiche e di un minore grado di ipoplasia ventricolare sinistra. Per quanto riguarda le misurazioni morfometriche, segnaliamo solo i risultati più significativi ottenuti nel Gruppo I: le dimensioni lineari del ventricolo sinistro sono risultate notevolmente inferiori rispetto a quelle del destro, nel 71.4% dei casi in corrisponden- 218 za della camera di afflusso e nell’85.4% in quella di efflusso, dati confermati dalle misurazioni volumetriche ventricolari nel 78.6% dei casi; il diametro dell’aorta ascendente era minore di quello della polmonare, nell’86% dei casi, e la circonferenza della valvola mitrale lo era, rispetto alla tricuspide, in tutti i casi. Conclusioni: Il lavoro morfometrico ha permesso di ottenere un riscontro analitico di quanto osservato nella pratica clinica, confermando che il cuore sinistro ipoplasico secondario ad atresia aortica e/o mitralica costituisce un’entità biologica differente da quella del canale atrio-ventricolare con predominanza destra. Dai dati anatomici emerge la conferma che, mentre nella classica sindrome del cuore sinistro ipoplasico, non è ipotizzabile una correzione chirurgica biventricolare, nel canale A-V con predominanza destra, la minore compromissione dell’efflusso sinistro e la minore ipoplasia del ventricolo sinistro, la rendono effettuabile. Lo studio dimostra anche che l’estrema ipoplasia della valvola aortica o dell’aorta ascendente, elemento fondamentale nella scelta dell’intervento di Norwood, è costante solo nei casi con atresia mitralica. 3 DIFETTO INTERATRIALE (DIA) TIPO OSTIUM SECUNDUM E IPERTENSIONE POLMONARE NELL’ANZIANO Abstract delle comunicazioni del decesso era stato riscontrato un fugace episodio febbrile (37.5 °C). Dall’intervista della madre, risulta che il giorno del decesso il piccolo si era svegliato alle ore 6.30 del mattino e, dopo avere assunto il latte e praticata terapia con Depakin (1cpr da 200 mg), si era addormentato accanto alla madre dopo circa 1 ora. Al suo risveglio (ore 10.00), la madre si accorse che il piccolo era cianotico e freddo. Chiamata d’urgenza un ambulanza fu trasportato in Ospedale, dove venne costatato il decesso. Il principale reperto morfologico all’autopsia era rappresentato dall’origine anomala della coronaria destra dal seno di Valsalva sinistro, associata ad un decorso intramurale della discendente posteriore. Non si osservavano altre anomalie congenite intracardiache. Il primo tratto dell’arteria coronaria destra anomala presentava un lume a fessura e un decorso tra le radici aortica e polmonare. Il circolo coronarico era dominante destro. Istologicamente, erano visibili isolati foci di degenerazione miofibrillare a bande contratturali, non correlati esclusivamente al territorio supplito dalla coronaria destra anomala. Il reperto cardiaco si associava a discreto edema polmonare acuto con screzio emorragico, severo edema cerebrale, iperplasia della polpa bianca splenica e tumefazione dei linfonodi laterocervicali, peritracheali e peribronchiali da iperplasia linforeticolare reattiva. In conclusione, riteniamo che il caso in esame non sia suggestivo di SUDEP, per la presenza di un reperto autoptico significativo e potenzialmente foriero di morte improvvisa, quale l’origine anomala della coronaria destra. È possibile però ipotizzare che un episodio convulsivo, sopraggiunto in culla, ma non testimoniato, abbia potuto slatentizzare tale substrato morfologico cardiaco attraverso una tachiaritmia ictale e/o il blocco della respirazione (edema polmonare neurogeno). C. Anichini, G. Nesi, S. Tozzini, F. Gori Dipartimento di Patologia Umana e Oncologia, Università degli Studi di Firenze, Italia L’età media alla morte dei pazienti con DIA tipo ostium secundum non corretto non supera i 50 anni e la principale causa di morte è rappresentata dallo scompenso cardiaco congestizio. La fibrillazione atriale è la regola nella storia naturale del DIA, mentre l’ipertensione polmonare solo in alcuni casi complica il decorso della malformazione cardiaca. Il DIA tipo ostium secundum è stato segnalato anche in soggetti molto anziani: in 13 pazienti di età compresa tra 70 e 79 anni e in altri 13 pazienti ultraottantenni. È possibile tuttavia che il numero di tali soggetti sia sottostimato. Il quadro clinico e morfologico del DIA nell’anziano non differisce da quello di individui giovani, se non per il fatto che alla malformazione cardiaca si associano segni e sintomi di cardiopatia ischemica, d’ipertensione sistemica o di altre patologie extracardiache che, mascherando i reperti classici del DIA, ne rendono più difficile la diagnosi. L’ipertensione del piccolo circolo è di rara osservazione e svariati sono i fattori che possono contribuire al rimodellamento dell’albero arterioso polmonare: (1) alterazioni vascolari legate all’invecchiamento fisiologico; (2) l’aggravarsi dello shunt sinistrodestro per il progressivo ingrandimento del DIA, che si accompagna alla progressiva dilatazione dell’atrio destro; (3) eventi embolici polmonari; (4) trombosi autoctone, verosimilmente correlate sia al rallentamento del circolo, in una fase tardiva di scompenso ventricolare destro, sia al danno endoteliale cronico, conseguente all’iperafflusso polmonare di lunga durata; (5) focolai disseminati di fibrosi polmonare, esiti di processi broncopneumonitici, frequenti negli anziani portatori di DIA; (6) talora alterazioni vascolari da stasi, conseguenti all’insufficienza ventricolare sinistra per cardiopatia ischemica o ipertensiva. 4 ORIGINE ANOMALA DELLA CORONARIA DESTRA DAL SENO DI VALSALVA SINISTRO IN UN BAMBINO CON EPILESSIA FAMILIARE DECEDUTO IMPROVVISAMENTE E. Maresi1, E. Orlando1, R. Tavormina2, N. Morici3, G. Fazio3, V. Cospite3, R. Midulla1, R. Passantino1 1 Istituti di Anatomia Patologica, 2 Pediatria e 3 Cardiologia, Università di Palermo La morte improvvisa epilettica (SUDEP) è una delle possibili cause di morte nei soggetti con epilessia, riscontrandosi in circa il 7-17% di essi. Tale evento risulta correlato all’epilessia, in quanto non sono riscontrabili evidenti cause mediche di morte, traumi o annegamento, positività dei test tossicologici e significative patologie d’organo all’autopsia. La SUDEP in età pediatrica è rara. In questo studio, riportiamo il caso di un lattante con epilessia familiare e anomalia isolata delle arterie coronariche, discutendo i meccanismi fisiopatologici dell’improvviso decesso. Si tratta di un lattante di mesi 13, nato a termine di gravidanza, da parto eutocico, con un peso alla nascita di 3250 g. La madre, di anni 17, aveva un precedente anamnestico di aborto spontaneo alla 6° settimana di gestazione. Il padre di anni 21 e la zia paterna erano entrambi affetti da epilessia. Dall’età di mesi 7, il piccolo cominciò a presentare episodi convulsivi complicati da dispnea e cianosi con ricorrenza mensile. Ricoverato in ambiente ospedaliero, è stata posta la diagnosi di epilessia e iniziato un trattamento farmacologico (Luminalette e Depakin). Il giorno prima 5 AGENESIA DEL DOTTO VENOSO. CASO CLINICO A. Marzullo1, P. Volpe2, G. Caruso1 di Anatomia Patologica e Genetica, Università degli Studi di Bari 2 Unità di Ostetricia e Ginecologia, Ospedale Di Venere, Carbonara (BA) 1 Dipartimento L’agenesia del dotto venoso (DV) è una rara malformazione del distretto ombelico-cavale, di difficile individuazione clinica (ecografica) e anatomo-patologica. Riportiamo il caso di una agenesia del DV con diagnosi ecografica di igroma cistico e di massa epatica da presunta anomalia del sistema ombelico-porta cava. Alla nascita, avvenuta per parto cesareo alla 36a settimana di gestazione per sopravvenute complicanze di tipo gestosico, il neonato pesava 2500 g e presentava stigmate malformative, idrope, petecchie, grave insufficienza respiratoria e bradicardia. Dopo intubazione, il piccolo veniva trasferito nell’Unità di Terapia Intensiva Neonatale, dove è deceduto in poche ore. All’esame esterno si apprezzavano facies lunare, orecchie accartocciate e ad impianto basso, collo corto e tozzo e addome globoso. L’esame interno non rilevava alterazioni a carico del cuore, ad eccezione di una marcata dilatazione delle sezioni destre e la pervietà del forame ovale e del dotto arterioso. Il fegato era di volume notevolmente aumentato (peso 150 g) e di forma grossolanamente irregolare, per la presenza di profonde incisure e di colore rosso-bluastro con aree di infarcimento emorragico. La dissezione anatomica del distretto ombelico-cavale, effettuata allo stereomicroscopio, rivelava la presenza di una vena ombelicale ectasica che, dopo un decorso al di sotto della superficie inferiore del fegato, si apriva con ampia anastomosi nella vena cava inferiore. In sede ilare, era presente un breve tratto portale che si inosculava direttamente nella porzione prossimale della vena ombelicale. Si constatava anche l’agenesia della colecisti. Istologicamente, il fegato mostrava estesi fenomeni necrotico-emorragici, focolai di deposizione calciosica e una marcata ectasia sinusoidale a sede centro-medio lobulare. Questa anomalia fa parte dello spettro delle patologie venose ombelico-cavali, peraltro eterogenee sia dal punto di vista morfologico che clinico-prognostico. La loro precoce identificazione ecografica prenatale è importante sia ai fini di stabilire la compatibilità con la vita intrauterina, per l’eventuale comparsa di scompenso cardiaco destro da iperafflusso, sia ai fini delle prospettive di vita postnatali. Infatti, alcune di queste patologie regrediscono completamente dopo la nascita, altre invece possono richiedere una terapia chirurgica mirata. 6 PATOLOGIA ONCOLOGICA IN CHIRURGIA CARDIOVASCOLARE: LA NOSTRA ESPERIENZA S. Di Mercurio, F. Italia, G. Bartoloni U.O. Anatomia Patologica dell’Università degli Studi di Catania Le moderne tecniche di diagnosi e di cura delle patologie oncologiche cardiovascolari richiedono la continua assistenza dell’anatomo-patologo, per la tipizzazione Abstract delle comunicazioni di un numero sempre maggiore di entità morfologiche, che vanno correttamente interpretate. L’utilizzazione di tecniche di diagnostica morfologica adeguate è necessaria per la corretta interpretazione degli immunofenotipi cellulari, soprattutto nei casi in cui il materiale bioptico è di limitate dimensioni (biopsie endomiocardiche). Nel periodo gennaio 1981-maggio 2002, sono stati raccolti presso l’Unità Operativa di Anatomia Patologica del Presidio Ospedaliero Ascoli Tommaselli di Catania 73 reperti bioptici e 4 autoptici, relativi ad altrettanti pazienti (47 maschi e 30 femmine, di età compresa tra i 3 mesi e gli 80 anni, età media 51 anni). Tutti i campioni sono stati processati e colorati con le tecniche istologiche e istochimiche di routine; dal 1993 in poi, sono state allestite le colorazioni immunoistochimiche per i pannelli anticorpali necessari alla tipizzazione immunofenotipica delle varie neoplasie. Le diagnosi istopatologiche definitive possono essere così riassunte: a) tumori cardiaci primitivi benigni (60 casi, 82.19%): mixoma (53 casi, 72.60%), fibroelastoma papillare (2 casi, 2.73%), MICE (2 casi, 2.73%), rabdomioma (1 caso, 1.36%), emangioma (1 caso), ipertrofia lipomatosa del setto interatriale (1 caso); b) tumori cardiaci primitivi maligni (4 casi, 5.47%): mixosarcoma (1 caso), rabdomiosarcoma polimorfo (1 caso), schawannoma maligno (1 caso), angiosarcoma (1 caso); c) tumori cardiaci metastatici (6 casi, 8.21%): schawannoma maligno in neurofibromatosi di Von Recklingausen (2 casi), sarcoma di Kaposi (1 caso), linfoma non Hodgkin (1 caso), adenocarcinoma di origine intestinale (1 caso), carcinoma a cellule renali (1 caso); d) tumori pericardici (1 caso, 1.36%): timoma; e) tumori dei grossi vasi (4 casi, 5.47%): emangioma della vena cava inferiore (1 caso), tumore glomico carotideo (3 casi); f) estensione intracardiaca nell’ambito di leiomiomatosi intravenosa (2 casi, 2.73%). Nella nostra esperienza, concordemente con le casistiche di altri gruppi, i tumori cardiaci primitivi sono prevalentemente di natura benigna e costituiti in massima parte da mixomi. La benignità delle lesioni, riferita all’istotipo, può coesistere con un decorso clinico infausto o a rischio (embolizzazione di mixoma, impegno del tumore in un ostio atrio-ventricolare con sincope, rapporti con il nodo atrio-ventricolare e morte improvvisa). Impegnativi algoritmi diagnostici sono stati necessari per dirimere su “pitfalls” morfologici, come il corretto inquadramento dei MICE nell’ambito delle lesioni benigne, piuttosto che fra le lesioni metastatiche. La biopsia endomiocardica ha consentito sia la tipizzazione di tumori primitivi benigni, con conseguente indicazione alla resezione chirurgica, sia la diagnosi di localizzazioni cardiache secondarie, rendendo possibile la diagnosi senza la necessità di un intervento chirurgico. 7 MIOCARDITI ALL’AUTOPSIA: ANALISI EPIDEMIOLOGICA AUTOPTICA CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLE FORME A CLINICA NEGATIVA R. Bussani, D. Camilot, F. Silvestri Istituto di Anatomia Patologica, c/o Ospedale Maggiore, I-34125 Trieste La reale frequenza della miocardite nella popolazione generale non è determinabile con facilità, poiché questa malattia è spesso clinicamente ambigua o completamente silente ed è noto che nei pazienti affetti da miocardite può verificarsi una morte improvvisa o può insorgere uno scompenso congestizio con rapido deterioramento cardiaco. Poiché la maggior parte delle miocarditi presenta sintomatologia lieve o subclinica, i pazienti tendono a non ricorrere al medico. Pertanto non è possibile ottenere dati affidabili sull’epidemiologia della mio-pericardite, basandosi su criteri esclusivamente clinici. L’esame istopatologico del miocardio è indispensabile per una diagnosi certa di miocardite, sia in vita che nel post-mortem. I rari studi autoptici, effettuati al fine di stabilire la frequenza della miocardite, mancano spesso di un esame standardizzato del miocardio. Abbiamo effettuato uno studio retrospettivo, basato su materiale autoptico, al fine di studiare la frequenza della miocardite in soggetti deceduti negli stessi ospedali e sottoposti ad autopsia in un unico Settorato. La revisione istopatologica di 13 mesi consecutivi di autopsie presso il nostro Istituto ha permesso la raccolta di alcuni interessanti dati preliminari: su 2560 riscontri diagnostici eseguiti in questo range di tempo, si sono identificate 143 miocarditi (5.6%), 32 maschi (età media: 71±29.6 anni) e 72 femmine (età media: 73.7±26.8 anni). Dalla casistica sono stati esclusi i casi nei quali, pur essendoci il sospetto istologico di miocardite, i frammenti istologici presentavano solo segni “minori” di flogosi, non soddisfacendo i criteri di Dallas e non dimostrando immunoreattività ai marcatori utili per l’evidenziazione di “attivazione” miocardica, ossia HLA-DR, CD25, CD54, nonché evidenza di immunoresponsività a CD45RO, CD45RA, CD4, CD8, CD2. In un solo caso era stato posto in vita il sospetto clinico; in nessun caso era stata eseguita una biopsia endomiocardica. In 39 casi (1.5%) la miocardite è stata identificata come causa di morte, 219 mentre in 104 casi (4.1%) era concomitante a patologie maggiori, cause principali del decesso. I riscontri hanno presentato un indubitabile trend stagionale, con picchi nel periodo autunnale avanzato ed invernale. Si sono inoltre raccolti i dati clinico-strumentali dei casi in esame in modo da poter tracciare una mappa sintomatologico-diagnostica, utile sia nella diagnostica in vita di questa patologia che nella determinazione di alcuni possibili criteri predittivo-evolutivi. Si ritiene che l’ulteriore ampliamento valutativo della casistica autoptica possa dimostrarsi utile nella comprensione di almeno alcuni dei principali profili di una malattia che può risultare altamente invalidante e a volte anche causa di morte improvvisa. 8 MIOCARDITE FULMINANTE (AD ESORDIO SINTOMATOLOGICO SIMULANTE UN’ISCHEMIA INTESTINALE ACUTA) COME CAUSA DI MORTE IMPROVVISA IN UN BAMBINO DI QUATTRO ANNI D. Camilot, R. Bussani, F. Silvestri Istituto di Anatomia Patologica, c/o Ospedale Maggiore, I-34125 Trieste La storia naturale della miocardite acuta “attiva” è per lo più sconosciuta e ancora oggi mancano dati sistematici riguardo i criteri predittivi della sua evoluzione. La relativa esiguità degli studi sinora pubblicati riflette le innegabili difficoltà di diagnosi, inquadramento nosologico ed evoluzione a breve e lungo termine di questa patologia. Mentre le miocarditi ad esordio simil-infartuale o di tipo aritmico-ipocicinetico presentano, in genere, un favorevole decorso verso la guarigione con o senza esiti, anche se in alcuni casi è possibile osservare il progressivo instaurarsi di un quadro di disfunzione ventricolare sinistra, le forme fulminanti, più tipiche dell’età pediatrica, sono gravate da un’elevatissima mortalità a breve termine, in genere motivata da un quadro di insufficienza multiorgano. Il caso di miocardite fulminante pediatrica che descriviamo, a nostra conoscenza, è il primo riportato in letteratura ad esordio simil-infartuale intestinale. Un bambino di quattro anni senza familiarità per cardiopatie e senza rischi noti di patologie cardiovascolari ha sviluppato, nell’arco di poche ore, intense algie migranti addominali, dispnea e uno stato soporoso. Al ricovero, la valutazione obiettiva del bambino ha messo in luce un quadro a tipo di ileo paralitico e l’esame ecografico addominale ha evidenziato una modica ascite. Il fegato era 3 dita al di sotto dell’arcata costale. La radiografia del torace ha messo in evidenza un modico versamento pleurico bilaterale. Gli esami ematochimici hanno rilevato un significativo incremento della VES, una discreta leucocitosi, un sovraslivellamento delle CPK e della troponina e una cospicua acidosi. L’elettrocardiogramma ha dimostrato un ritmo sinusale con alterazioni aspecifiche del tratto ST e inversione di tipo ischemico dell’onda T alle derivazioni inerenti la parete anteriore. Il quadro di acidosi metabolica è peggiorato rapidamente e in meno di 20 ore il bambino è deceduto, con un quadro di shock complesso multi-organo irreversibile. L’ipotesi diagnostica clinica è stata quella di una malattia di Kawasaki con infarto miocardico ed infarto intestinale. Il riscontro diagnostico ha messo in evidenza un cuore con modica ectasia della camera ventricolare sinistra e con miocardio vistosamente e diffusamente marezzato. La mucosa del distretto enterocolico appariva marezzata, discromica, ipodisperfusa. L’esame istologico miocardico ha dimostrato un quadro di miocardite biventricolare multifocale linfoplasmacellulare, a modesta impronta eosinofila, con riscontro di numerosissimi linfociti “natural killer” e diffusa immunoreattività miocardica HLA-DR endoteliale vasale e miocellulare. È stato escluso qualsiasi tipo di processo vasculitico. La particolarità del caso descritto sta nel fatto che la bassa portata cardiaca meta-miocarditica si è espressa prevalentemente con segni e sintomi di ipoperfusione del distretto intestinale, piuttosto che con quelli inerenti uno scompenso cardiaco acuto. 9 CORRELAZIONI MORFOSTRUTTURALI, CLINICHE E BIOCHIMICHE NELLA DEGENERAZIONE DELLA MEDIA DELL’AORTA ASCENDENTE INTRAPERICARDICA S. Esposito1, L. Agozzino1, F. Ferraraccio1, M. Accardo1, R. Colella1, A. Trocciola2, A. Parente2, M. De Feo3, A. Renzulli3, A. Della Corte3, L. Cuccurullo1, M. Cotrufo3 1 Dip. di Medicina Clinica, Pubblica e Preventiva, Sez. di Anatomia Patologica, 2 Dip. di Scienze della Vita, Facoltà di Scienze MM. FF. NN., 3 Dip. di Scienze Cardiotoraciche e Respiratorie, II Università degli Studi di Napoli Obiettivi: I nostri più recenti studi hanno dimostrato che le alterazioni degenerative della media dell’aorta colpiscono l’intera circonferenza, anche se il pat- 220 tern di distribuzione non è omogeneo; infatti, le alterazioni sono più severe a livello della convessità della radice aortica intrapericardica, ovvero nella regione maggiormente sottoposta a stress emodinamici. Pertanto, poiché in letteratura è ancora dibattuta la patogenesi delle alterazioni morfologiche riscontrate nelle pareti di aorte ascendenti dilatate, si è voluto verificare sia dal punto di vista morfologico che da quello ultrastrutturale se vi sono differenze circa il pattern di distribuzione e il grado delle lesioni, anche in rapporto alla valvulopatia aortica associata, visto che nella maggior parte dei casi i pazienti sottoposti ad aortoplastica riduttiva vengono sottoposti anche a sostituzione valvolare. Inoltre, sono stati eseguiti studi biochimici per evidenziare eventuali proteine coinvolte nel processo, che spiegherebbero il motivo per cui la dilatazione della radice aortica, a parità di condizioni (età, sesso, aortic ratio, pressione arteriosa, malattie dismetaboliche associate), si presenta clinicamente con modalità diverse. Metodi: Sono stati studiati frammenti di parete aortica provenienti da 33 pazienti con dilatazione della radice, sottoposti ad aortoplastica; in 26 casi è stata asportata anche la valvola. I frammenti, prelevati distalmente alla giunzione seno-tubulare dell’aorta, a livello della convessità e della concavità della radice, sono stati in parte fissati con formalina per le indagini morfologiche e morfometriche e in parte con para-formaldeide per quelle ultrastrutturali. La valutazione dei gradi della degenerazione della media è stata fatta secondo i criteri di Schlatmann e Becker. L’elaborazione dei dati è stata eseguita mediante un sistema computerizzato di analisi di immagine assistita (Vidas Kontron Elektronik Zeiss). L’analisi statistica è stata effettuata mediante t-test comparato. Risultati: L’esame morfologico ha evidenziato che la degenerazione della media è maggiore nella convessità della radice aortica in 25 pazienti: il grado medio della degenerazione era di 2.45±0.57 in corrispondenza della convessità, rispetto al valore di 1.5±0.63 a livello della concavità (p<0.001). L’esame morfologico dei lembi valvolari mostrava alterazioni strutturali della valvola aortica in 17 casi: valvulopatia reumatica cronica in 12 casi (3 su valvola bicuspide), malattia valvolare distrofica calcifica in 2 casi (1 su valvola bicuspide), bicuspide normale in 2 casi e floppy aortic valve in 1 caso. L’esame morfometrico ha evidenziato differenze statisticamente significative tra le due aree, nel numero delle fibrocellule muscolari lisce normali (p=0.009), nella lunghezza (p=0.007) e nel numero (p=0.012) delle fibre elastiche, confermando i risultati ottenuti nello studio morfologico. La microscopia elettronica a scansione ha evidenziato che la parete normale non presenta lesioni di continuità e le fibre elastiche sono strettamente addensate tra loro, mentre nella dilatazione della radice aortica sono presenti formazioni cistiche, talora separate da alcune fibre elastiche e contenenti fibrina ed emazie, che sono di dimensioni maggiori a livello della convessità. Le fibre elastiche appaiono frammentate e disorganizzate tridimensionalmente. L’esame biochimico ha permesso di identificare una parte delle proteine solubili della parete e di isolare il collagene tipo I e tipo III per la componente insolubile. Conclusioni: La degenerazione della media è maggiore nella convessità, ovvero nella regione maggiormente sottoposta a stress emodinamici, sia all’indagine morfometrica che in quella ultrastrutturale. Non vi è ancora una correlazione statisticamente significativa con la valvulopatia associata per l’esiguità della popolazione. Sono in corso studi biochimici per verificare se le proteine strutturali presentino alterazioni. 10 PROTEINA C REATTIVA (PCR), ANGIOGENESI E FLOGOSI NELLA MALATTIA CORONARICA: STUDIO IN VIVO MEDIANTE ATERECTOMIA CORONARICA DIREZIONALE (DCA) A. Pucci1, E. Birscic2, M. Crudelini1, E. Tessitore1, M. Forni1, A. Alberti2 1 Anatomia Patologica, Ospedale Infantile Regina Margherita, Azienda Ospedaliera OIRM-S.Anna, Torino 2 Servizio di Emodinamica, Clinica Villa Pia, Torino Studi epidemiologici recenti hanno mostrato una correlazione tra l’innalzamento della PCR in pazienti con coronarosclerosi e l’instabilità della malattia aterosclerotica coronarica. Oggi l’ecografia intracoronarica (IVUS) consente di evidenziare alcuni aspetti morfologici della placca come lo spessore, la presenza di trombo e/o ulcerazione e, parzialmente, la sua composizione, con una risoluzione superiore rispetto all’angiografia, mentre l’istologia permette di identificare le specifiche componenti della placca. Dopo uno studio preliminare su 30 DCA, in cui abbiamo verificato le possibilità diagnostiche offerte dall’IVUS e dall’istologia, abbiamo intrapreso lo studio, in cieco, dei reperti istopatologici in DCA, eseguite in pazienti con sindrome coronarica stabile o instabile, in cui al momento della DCA, era stata eseguita l’IVUS ed era stato effettuato un prelievo per determinare la PCR. Scopo dello studio era verificare se e quali parametri istologici correlassero con la instabilità clinica del paziente e/o con l’innalzamento della PCR. Sono stati finora valutati 50 pazienti, di cui 43 di sesso maschile, con età Abstract delle comunicazioni media pari a 62±9 anni, in cui l’aterectomia è stata eseguita sulla coronaria interventricolare anteriore (n=38), sul tronco comune (n=5), sul ramo circonflesso (n=4) o sulla coronaria destra (n=3), 31 di questi con sintomatologia coronarica stabile, i rimanenti 19 cosiddetti “instabili”. Con colorazioni istochimiche (EE, Tricromica di Masson, EGV) e immunoistochimiche (mediante anticorpi specifici diretti contro FVIII-RAg, CD68, UCHL1, L26, actina del muscolo liscio) sono stati valutati i seguenti aspetti istologici: (a) composizione della placca (ateroma, tessuto ipercellulare e fibrocellulare, trombosi, calcificazioni); (b) integrità del cap fibroso; (c) infiltrato infiammatorio; (d) angiogenesi. La percentuale delle aree occupate dai vari componenti della placca è stata misurata mediante sistema computerizzato di analisi di immagine (Image pro Measure). In base alla tipologia della placca, sono stati distinti tre gruppi: (1) Gruppo A (n=12), in cui era apprezzabile ateroma in una percentuale >5%, e in cui la flogosi e l’angiogenesi erano entrambe moderate o severe; (2) Gruppo B (n=35, di cui 12 già nel gruppo A), con ateroma e/o trombo (in qualsiasi percentuale), flogosi e angiogenesi di grado lieve; (3) Gruppo C (n=13, di cui 1 già nel gruppo A e 4 nel gruppo B), con tessuto fibrocellulare e/o ipercellulare ≥50%. Dall’analisi statistica è risultata un’associazione statisticamente significativa tra gruppo A e instabilità clinica (12/13 pazienti del gruppo A erano “instabili”, p=0.02) o cap fibroso non integro (p=0.03), e ancora tra PCR e instabilità della placca (p=0.04). In conclusione, anche se lo studio è ancora in corso e si concluderà quando il numero di pazienti sarà pari a 100, possiamo però osservare che la presenza contemporanea di ateroma con angiogenesi e flogosi marcate può correlare con l’instabilità della placca, che la placca con componente ateromasica e con significativa angiogenesi e flogosi è quella che più frequentemente si associa a rottura del cap fibroso e infine che la PCR, in un gruppo selezionato di pazienti, può offrire un dato utile per la caratterizzazione clinica della malattia coronarica. 11 LA PRESENZA DI PLATELET-ACTIVATING FACTOR (PAF) NELLE PLACCHE ATEROSCLEROTICHE CAROTIDEE CORRELA CON LA NEOANGIOGENESI E L’INFIAMMAZIONE INTRAPLACCA A. Pucci1, E. Lupia2, P. Peasso2, M. Merlo4, L. Silvestro5, S. Rizea-Savu5, C. Zanini1, P. Baron2, M. Forni1, G. Emanuelli2, G. Camussi3, G. Montrucchio2 1 Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale Infantile Regina Margherita, Torino 2 Dipartimento di Medicina Interna e 3 Dipartimento di Fisiopatologia Clinica, Università degli Studi di Torino 4 Divisione di Chirurgia Vascolare, Ospedale Maggiore S. Giovanni Battista, Sede Molinette, Torino 5 3S-Pharmacological Consultation & Research, Harpstedt, Germany L’instabilità della placca è ritenuta essere causata da fattori diversi tra cui la flogosi, in particolare macrofagica, e la neoangiogenesi intraplacca. Si ritiene che l’angiogenesi possa avere un ruolo importante nel determinare l’emorragia, la rottura e la trombosi intraplacca. Recentemente è stata osservata una significativa presenza di neoangiogenesi nelle placche aterosclerotiche carotidee di pazienti con fenomeni tromboembolici cerebrali. Il platelet-aggregating factor (PAF), un mediatore fosfolipidico della flogosi, è in grado di indurre il reclutamento di cellule endoteliali, innescato dal TNF-alfa e dal VEGF, e di contribuire quindi alla neoangiogenesi. Per verificare la presenza di PAF nelle placche carotidee ed eventuali correlazioni con la neoangiogenesi intraplacca e/o con la flogosi, in questo studio abbiamo valutato, mediante metodiche di estrazione lipidica e di cromatografia come TLC (thin layer chromatography) e HPLC (high performance liquid chromatography), la presenza di PAF e le eventuali correlazioni con l’angiogenesi e la flogosi intraplacca in lesioni carotidee ed inoltre il potenziale angiogenico degli estratti lipidici (contenenti quindi l’eventuale PAF), mediante loro iniezione in un modello murino con Matrigel. Campioni di endoarterectomia sono stati ottenuti dalle placche carotidee di 18 pazienti con precedente evidenza di lesioni cerebrovascolari, mentre sono stati utilizzati come controllo 6 prelievi di arteria carotidea e 12 di aorta provenienti da donatori, in giovane età, di trapianto renale. In ogni caso, segmenti adiacenti dello stesso campione sono stati rispettivamente utilizzati per l’esame istopatologico e per l’estrazione del PAF. L’esame istopatologico consisteva nell’esame morfologico e morfometrico (mediante sistema di analisi d’immagine computerizzato, Image Pro Measure) delle componenti delle placche ed in particolare delle aree nella neointima immunoreattive per gli anticorpi specifici diretti contro FVIII-related antigen, CD68 e TNF-alfa, con metodica avidina biotina-complex. I campioni di endoarterectomia presentavano tutti lesioni aterosclerotiche avanzate di tipo variabile tra IV e VI, secondo la classificazione di Stary et al. La quantità di PAF estratto dalle placche carotidee risultava significativamente più elevata (266.65±40.07 pg/mg, peso secco) di quella estratta dai segmenti di controllo (2.92±0.90 pg/mg, peso secco) e nelle placche venivano rilevate diverse specie Abstract delle comunicazioni molecolari di PAF come l’alkyl-PAF C16 e l’alkyl-PAF C18, che hanno azione angiogenica in vivo. I livelli di PAF correlavano significativamente con l’angiogenesi, con le aree CD68- e TNF-alfa-immunoreattive. Inoltre, gli estratti lipidici delle placche aterosclerotiche, ma non quelli dei casi-controllo, inducevano angiogenesi nel modello murino, che poteva essere inibita mediante somministrazione di WEB 2170, un antagonista del recettore del PAF. In conclusione, i risultati del presente studio dimostrano la presenza di PAF nelle placche carotidee avanzate e una correlazione tra PAF, angiogenesi, infiltrato infiammatorio macrofagico ed espressione del TNF-alfa (il PAF agisce anche come mediatore del TNF-alfa); è stato inoltre evidenziato il potere angiogenico del PAF in un modello murino. Questi dati nel loro insieme suggeriscono come un’aumentata concentrazione di PAF possa contribuire all’angiogenesi intraplacca. 12 ROTTURA DI CUORE IN ASSENZA DI ALTERAZIONI ELETTROCARDIOGRAFICHE M. Ferro1, L. Macrì2, M. Volante2, G. Alunni1, M. Casaccia1 U.O.A. di Cardiologia, Ospedale Maggiore S. Giovanni Battista (sede Molinette), Torino 2 Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana, Sezione di Patologia, Università di Torino 1 Maschio di 64 anni, giunto alla nostra osservazione per dolore epigastrico, insorto a riposo, con irradiazione al braccio sinistro dopo tre ore dall’esordio. All’anamnesi, risultava un intervento di gastrectomia per ulcera peptica negli anni ’60. Gli unici fattori di rischio cardiovascolare erano rappresentati dal sesso maschile e dal fumo. L’esame radiografico del torace e l’ECG sono risultati negativi. Gli unici reperti discostanti dalla norma erano rappresentati dalla presenza di leucocitosi (12.500/dl) e dall’innalzamento dei valori enzimatici cardiaci (CK 1.312 ng/ml, CK-MB 109.3 ng/ml, troponina T 0.73 ng/ml, AST 113 IU/l) ad otto ore dall’insorgenza del dolore. Non sono state evidenziate alterazioni elettrolitiche significative; normali l’esame obiettivo e stetoacustico; PAOS di 140/65 mmHg. Il paziente è stato trattato con metoprololo e nitroglicerina endovena e aspirina per os. In considerazione della ridotta intensità del dolore, non è stata somministrata morfina e, in assenza di onda di lesione, non è stato attuato trattamento trombolitico. Tre ore più tardi, mentre il paziente si trovava seduto sul letto, asintomatico, compariva al monitor un’asistolia di 3 secondi, seguita da bradicardia con dissociazione elettromeccanica, shock refrattario alle manovre rianimatorie e decesso. All’esame autoptico, sono stati riscontrati 200 ml circa di versamento ematico, parzialmente coagulato, nel sacco pericardico. Nel cuore, del peso di 450 g, si repertava la presenza di due rotture parietali: la prima, della lunghezza di 3 cm, localizzata lungo il margine cardiaco sinistro; la seconda, di 1.5 cm, in corrispondenza della parete posteriore. Nel ramo circonflesso della coronaria sinistra, ad 1 cm dall’origine, era presente occlusione da parte di un trombo, della lunghezza di 1.5 cm circa, adeso ad una placca aterosclerotica calcifica. Gli altri vasi risultavano indenni da lesioni. L’esame istologico mostrava, nel miocardio circostante la rottura parietale, la presenza di necrosi emorragica, con abbondanti leucociti polimorfonucleati. In conclusione, il caso in questione rappresenta un esempio di rottura di cuore paucisintomatica o silente (concealed myocardial rupture), caratterizzato unicamente da sintomatologia atipica, senza riscontro elettrocardiografico di lesione miocardica. 13 CORONARITE LINFOCITARIA “TRIGGER” DI ROTTURA PLURIVASALE SIMULTANEA DI PLACCA ATEROSCLEROTICA E. Maresi1, G. Fazio2, N. Morici2, R. Midulla1, R. Passantino1, E. Orlando1, V. Cospite2, P. Procaccianti3 1 Istituti di Anatomia Patologica, 2 Cardiologia e 3 Medicina Legale, Università di Palermo Background: La rottura di placca è a tutt’oggi oggetto di numerose ricerche e verosimilmente riconosce una etiologia multifattoriale, comprendente disturbi funzionali e alterazioni strutturali. Studi autoptici hanno identificato diversi fattori di rischio: placche morbide con nucleo necrotico, ateroma con sottile cappuccio fibrotico, aggregati di istiociti schiumosi all’interno del cappuccio fibroso, aterofagocitosi (xantogranulomatosi), leucociti intimali, infiltrato linfocitario avventiziale. In questo studio riportiamo un caso autoptico di morte improvvisa cardiaca da trombosi coronarica acuta plurivasale e simultanea, secondaria a rottura di placca e ne discutiamo il meccanismo patogenetico. 221 Descrizione del caso: Si tratta di un soggetto di sesso maschile di anni 44, in apparente benessere sino ad un’ora prima del decesso, epoca in cui accusò dispnea ingravescente. Consultato un sanitario, fu disposto il ricovero d’urgenza: il decesso si verificò durante il trasporto in ambulanza. All’autopsia i principali reperti erano a carico del cuore e del polmone. Il cuore pesava 486 g; il diametro trasverso era di 11.5 cm e quello longitudinale di 10.5 cm. Le coronarie erano normali per origine e decorso, con una dominanza del circolo destro; dal punto di vista strutturale, mostravano placche aterosclerotiche concentriche stenosanti criticamente il lume a livello dei segmenti prossimali delle arterie interventricolare anteriore (IVA), coronaria destra (RCA) e circonflessa di sinistra (LCX), complicate da trombosi acuta occlusiva solo a livello di IVA e RCA. Le sezioni anatomo-tomografiche asse-corto della massa ventricolare evidenziavano una ipertrofia eccentrica del ventricolo sinistro (SIV=20 mm; VS=17 mm; VD=5 mm) associata a miocardiosclerosi del SIV posteriore e della parete posteriore del VS. Istologicamente, era presente una lesione ischemica acuta (miocitolisi coagulativa a bande di contrazione) a carico delle pareti libere anteriore e posteriore del VS associata a fibrosi sostitutiva del SIV posteriore e della parete posteriore del VS. Era inoltre visibile un isolato focolaio di miocardite attiva linfocitaria nel VS. Le coronarie (RCA, IVA, LCX) microscopicamente evidenziavano placche fibroateromasiche complicate, a livello della RCA e dell’IVA, da rottura e trombosi acuta, nel cui contesto si riscontrava materiale lipidico. In tutte e tre le coronarie, il cappuccio fibrotico della placca era discretamente infiltrato da macrofagi schiumosi ed era altresì presente un cospicuo infiltrato linfocitario medio-avventiziale (coronarite) associato a fenomeni di perineurite e di necrosi leiomiocitaria. I polmoni macro- e microscopicamente erano sede di cospicuo edema acuto di tipo emorragico. Conclusioni: Ipotizziamo che la simultanea e plurivasale rottura di placca, con trombosi acuta occlusiva, sia da attribuire alla coronarite linfocitaria, “trigger” di ipertono vasale (spasmo). 14 ESPRESSIONE DELLE ISOFORME DEI RECETTORI DELL’ORMONE TIROIDEO NELL’IPERTROFIA CARDIACA D. Pistilli, L. Proietti-Pannunzi, C.R.T. di Gioia, P. Gallo, F.S. Celi, L. Fratta, G. Lembo, G. d’Amati Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia, Università di Roma “La Sapienza” e I.R.C.C.S. Neuromed, Pozzilli (IS) Introduzione: L’azione dell’ormone tiroideo (TH) è mediata da un sistema di regolazione a stadi multipli che termina nel legame del complesso ormone-recettore (TH-TR) a sequenze specifiche di DNA, dette “thyroid hormone responsive element” (TRE). Tale interazione porta all’induzione o all’inibizione della trascrizione di geni specifici, che codificano per proteine contrattili del reticolo endoplasmatico e dei canali ionici. Alterazioni del sistema cardiovascolare, causate da variazioni dell’omeostasi del TH, sono state ampiamente riportate in letteratura; tuttavia, il potenziale ruolo dell’ormone tiroideo nell’ipertofia e nello scompenso cardiaco, in soggetti eutiroidei, non è noto. I risultati dei nostri precedenti studi indicano che in cuori umani scompensati vi è un aumento dell’espressione dei recettori del TH. Obiettivi: Per meglio caratterizzare il comportamento dei recettori del TH nella progressione verso lo scompenso cardiaco, soprattutto valutando lo stadio dell’ipertrofia adattativa, abbiamo utilizzato un modello sperimentale animale. Metodi: Per valutare l’espressione delle isoforme a-1, α-2 e β-1 del recettore del TH, sono stati utilizzati cuori di topi Wistar-Kyoto, sottoposti a “banding” aortico, monitorati ecocardiograficamente e sacrificati dopo sette giorni dall’intervento, nello stadio dell’ipertrofia; cuori di topi dello stesso ceppo “sham-operated” sono stati utilizzati come controllo. Tutti gli animali in studio avevano livelli di TH e TSH nella norma. Mediante tecniche di RT-PCR competitiva, sono state retrotrascritte aliquote di 100 ng di RNA totale, in presenza di quantità di internal standard comprese tra 1011-105 molecole, specifici per le isoforme α-1, α-2, e β-1 del recettore del TH. La quantificazione dell’RNA è stata effettuata mediante confronto, su gel di agarosio, tra l’intensità della banda del segnale specifico e quella del relativo internal standard, ed è stata espressa come numero di molecole/100 ng di RNA totale. Con metodiche di western blotting abbiamo quantificato le isoforme del recettore nei due gruppi. Risultati: In entrambi i gruppi, normale ed ipertrofico, l’isoforma recettoriale murina α-2 risulta maggiormente espressa rispetto ad α-1; β-1 è l’isoforma meno espressa. Non si osservano differenze statisticamente significative a livello dell`mRNA delle tre isoforme, tra il gruppo dei normali rispetto agli ipertrofici (α-1: 9.7×109 vs. 1.8×109 ); (α-2: 1.3×1010 vs. 2.2×1010); (β-1: 1.3×107 vs. 3.6×106). Non abbiamo riscontrato alcuna variazione per gli stessi recettori neppure a livello proteico. Conclusioni: In conclusione, nel modello animale murino di “banding” aortico, l’espressione delle isoforme α-1, α-2 e β-1 del recettore del TH non varia nello stadio dell’ipertrofia compensatoria sia a livello trascrizionale che proteico. 222 Pertanto possiamo ipotizzare che, a differenza di quanto accade nello scompenso cardiaco, i meccanismi che caratterizzano la fase dell’ipertrofia cardiaca non coinvolgono l’azione locale del TH. 15 IL LIVELLO DI ESPRESSIONE DI c-myc CONTROLLA IL PROCESSO DI REMODELLING NEGATIVO NELLE CAROTIDI DI RATTO SOTTOPOSTE AD INSULTO CHIRURGICO S. Esposito1, A. Forte2, M. De Feo3, G. Di Micco, F. Esposito2, A. Renzulli3, L. Berrino2, M. Cipollaro2, L. Agozzino1, M. Cotrufo3, F. Rossi2, A. Cascino2 1 Dipartimento di Medicina Pubblica, Sez. di Anatomia Patologica, 2 Dipartimento di Medicina Sperimentale e 3 Dipartimento di Scienze Cardiotoraciche, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Seconda Università degli Studi di Napoli Obiettivi: La stenosi arteriosa è un processo patofisiologico che si verifica nel 30-50% dei pazienti sottoposti ad interventi di angioplastica, endoarterectomia o by-pass. La sua frequenza ha stimolato numerosi studi, allo scopo di meglio definirne i meccanismi molecolari e di identificare terapie efficaci. I modelli animali più frequentemente utilizzati prevedono l’induzione della stenosi tramite angioplastica. Lo studio da noi condotto è basato sull’induzione della stenosi arteriosa in carotide di ratto, tramite un modello di insulto chirurgico, che imita il danno subìto da arterie sottoposte a by-pass artero-arteriosi. Tale modello è stato utilizzato per verificare l’efficacia di oligonucleotidi (ODN) antisenso (AS) fosforotioati diretti contro il proto-oncogene c-myc, nella riduzione della stenosi arteriosa, e per analizzare il loro effetto sull’espressione di altri geni coinvolti nel differenziamento, nella proliferazione cellulare e nell’apoptosi. Metodi: Il trauma alla carotide di ratto è stato eseguito con uno schiacciamento del vaso per 10 s con un clamp e con un taglio omosede di circa 0.5 mm attraverso l’intero spessore della parete arteriosa. L’emostasi è stata quindi ottenuta con l’applicazione di un singolo punto, con filo di polipropilene 8.0. L’efficacia degli ODN antisenso (AS) rispetto agli ODN senso (S), utilizzati come controllo, è stata preliminarmente verificata in vitro su SMC. È stato determinato sia il numero di cellule tramite saggi di proliferazione che il livello di mRNA codificante per c-Myc, tramite esperimenti di RT-PCR semi-quantitativa. L’efficacia in vivo degli ODN AS è stata verificata 4 ore dopo l’insulto chirurgico e l’applicazione locale degli ODN, misurando il livello di mRNA codificante per c-Myc. Questa analisi è stata effettuata anche per analizzare l’effetto di tali ODN AS sull’espressione di altri geni. L’effetto degli ODN AS sui fenomeni di stenosi, indotti da insulto chirurgico, è stato analizzato tramite analisi morfologica e morfometrica, eseguite 30 giorni dopo l’intervento. Risultati: La somministrazione alle SMC di ODN AS diretti contro c-myc ha indotto una riduzione del 35% del livello di mRNA bersaglio, rispetto agli esperimenti di controllo, e una riduzione dell’80% del numero di SMC, 24 ore dopo il trattamento. L’applicazione degli ODN AS su carotidi di ratto sottoposte ad insulto chirurgico ha indotto una riduzione del 60% dell’mRNA bersaglio, 4 ore dopo l’intervento. L’analisi morfometrica delle carotidi, eseguita 30 giorni dopo l’insulto chirurgico, ha rivelato che il trattamento con ODN AS ha contribuito a mantenere il lume vasale più ampio del 35% rispetto alle carotidi di controllo. Non è invece stato rilevato alcun effetto significativo degli ODN AS sull’area della media. Il rapporto media/lume ha mostrato una riduzione del 63%, nelle carotidi trattate con ODN AS rispetto alle carotidi di controllo. La riduzione del livello di mRNA codificante per c-Myc indotta dagli ODN AS ha determinato una variazione significativa dei livelli di espressione dei geni rb/p105 ed rb2/p130, mentre non ha avuto effetto sull’espressione dei geni bcl-2, bax e bcl-x correlati a fenomeni apoptici. Conclusioni: I risultati ottenuti dimostrano che la riduzione del livello di mRNA codificante per c-Myc, tramite l’applicazione locale di ODN AS fosforotioati, è efficace nel limitare i fenomeni di remodelling negativo, indotti dal nostro modello di insulto chirurgico. 16 SINDROMI CORONARICHE E PATOLOGIA FORENSE: RUOLO DEL PATOLOGO CARDIOVASCOLARE A. Abudureheman, C. Basso, G. Thiene Istituto di Anatomia Patologica, Università degli Studi di Padova Viene riportata l’esperienza di 8 casi consecutivi di morti improvvise coronariche, avvenute fuori o dentro l’ambiente ospedaliero e oggetto di impli- Abstract delle comunicazioni cazioni medico-legali per presunta responsabilità professionale (errata diagnosi in vivo per mancato utilizzo di strumenti diagnostici elementari, quali ECG ed enzimi, in 6 casi; imprudente condotta diagnostica, in 1 caso; ritardato trattamento terapeutico, in 1 caso). Il patologo cardiovascolare è stato coinvolto come consulente tecnico o perito, per dare il suo contributo nello stabilire: a) l’inquadramento nosografico dell’evento (morte improvvisa coronarica da angina instabile, infarto miocardico acuto o miocardiosclerosi postinfartuale); b) il meccanismo di morte (morte improvvisa aritmica da fibrillazione ventricolare o meccanica da shock cardiogeno o rottura di cuore); c) il substrato istologico dell’evento acuto coronarico; d) la datazione dell’infarto miocardico, sulla base dei rilievi istologici del miocardio, in relazione alla comparsa del dolore anginoso e di altri segni clinici; e) il nesso causale fra presunta mancata diagnosi/errato comportamento e decesso; f) la coerenza di comportamento con le linee guida internazionali e l’attendibilità delle stesse sulla base dei reperti patologici. Si sottolinea la necessità che, viste le implicazioni di responsabilità professionale, il patologo operi in stretta collaborazione con il medico-legale e, se privo di competenze cliniche, anche con il cardiologo. 17 EMBOLIZZAZIONE DURANTE ANGIOPLASTICA CAROTIDEA PERCUTANEA CON STENT: ANALISI ISTOPATOLOGICA A. Angelini1, B. Reimers2, M. Della Barbera1, S. Saccà2, G. Pasquetto2, C. Cernetti2, M. Valente1, P. Pascotto2, G. Thiene1 1 Istituto di Anatomia Patologica, Università di Padova 2 Dipartimento di Cardiologia, Ospedale di Mirano, Mirano Obiettivi: L’angioplastica carotidea percutanea con stent si sta affermando come valida alternativa all’endoarterectomia carotidea, riconosciuta come gold standard per il trattamento delle stenosi carotidee. Tuttavia, essa si accompagna ad un aumento dell’incidenza di microembolizzazioni con un più alto numero di complicanze neurologiche. I filtri di protezione sono stati introdotti per ridurre l’incidenza di embolizzazioni intracraniche e rendere le procedure di rivascolarizzazione più sicure. Scopo del nostro studio è stato quello di analizzare dal punto di vista istopatologico le particelle raccolte, attraverso l’utilizzo di filtri protettivi durante angioplastica carotidea percutanea con stent. Metodi: Tra il settembre 2000 ed il febbraio 2001, 38 lesioni consecutive dell’arteria carotide interna, in 36 pazienti, sono state sottoposte a stenting con utilizzo di un filtro protettivo distale (Angioguard, J&J Cordis, Warren, NJ). Il filtro è composto da una struttura in nitinolo a forma di oliva, coperta ad una estremità da una membrana di poliuretano con pori di circa 100 µm di diametro. La lesione trattata presentava una stenosi significativa, maggiore del 70%, con un diametro medio di 82.1±11.1%. I pazienti avevano un’età media di 70.7±7.7 anni, erano maschi, nel 75% dei casi, e, nella metà dei casi, avevano presentato in precedenza sintomi neurologici. Un’analisi istomorfometrica è stata condotta su tutti i filtri, mediante utilizzo di un analizzatore di immagine (Image-Pro Plus software), per una quantificazione di detriti raccolti sulla membrana. Il materiale è stato poi rimosso dal filtro, per una caratterizzazione istologica ed ultrastrutturale. Risultati: In tutte le lesioni, eccetto una, (97%) è stato possibile posizionare con successo il filtro protettivo e in tutte le lesioni si è proceduto con successo allo stenting. Non si sono registrate complicanze neurologiche durante il ricovero né durante un follow-up di almeno 30 giorni. L’analisi istomorfometrica ha rivelato la presenza di particelle nell’83.7% dei filtri. La superficie media della membrana coperta dal materiale è stata di 53.2±19.8%. Il numero medio di particelle nei filtri variava da 24 a 46 (media, 33.7±5.6), con un diametro massimo compreso tra 1.08 e 5043.5 µm (media, 289.5±512 µm) e un diametro minimo compreso tra 0.7 e 1175.3 µm (media, 119.7±186.7 µm). Le particelle raccolte consistevano prevalentemente di materiale trombotico, cellule schiumose e aghi di colesterolo, tipici delle placche ateromasiche. Conclusioni: Attraverso l’utilizzo di filtri protettivi durante l’angioplastica percutanea carotidea con stent, è stato possibile raccogliere particelle in grado di provocare occlusione distale dei vasi intracranici, in un alta percentuale di procedure. L’analisi qualitativa ha dimostrato che il materiale embolizzato proveniva dalle placche ateromasiche sottoposte a stenting. Abstract delle comunicazioni 18 ANNULOPLASTICA “SOVERING” NELLA PECORA ADULTA M. Della Barbera1, M. Valente1, V. Arata2, E. Pasquino2, F. Laborde3, G. Thiene1 1 Istituto di Anatomia Patologica, Università di Padova 2 Sorin Biomedica Cardio, Saluggia, Vercelli 3 Inst. Mut. Mountsouris, Chirurgie Cardiaque, Adultes et Pediatrie, Paris, France Obiettivi: La preservazione della valvola nativa è uno dei più importanti obiettivi della moderna chirurgia, per quanto riguarda l’insufficienza della valvola mitrale e tricuspide. L’impianto di un anello protesico riduce l’orifizio valvolare e contribuisce ad impedire il rigurgito della valvola. A questo scopo, è stato progettato un nuovo anello per annuloplastica (tipo “Sovering”, Sorin Biomedica Cardio); esso è costituito da un “core” di silicone radiopaco, impregnato di solfato di bario e ricoperto da un tessuto di maglie di poliestere (PET) ricoperte da carbofilm. Sono disponibili sia modelli di tipo “open” che di tipo “closed”. Obiettivo del nostro studio è stato quello di verificare le caratteristiche di biocompatibilità e di funzionalità dell’anello protesico, in un modello sperimentale animale. Metodi: Dieci anelli “Sovering” sono stati impiantati in pecore adulte: 7 in sede mitralica (4 “open”, 3 “closed”) e 3 in sede tricuspidale (tutti “open”). Il diametro degli anelli in sede mitralica era di 23-25 mm, mentre quello degli anelli in sede tricuspidale era di 28-30 mm; la durata dell’impianto variava da 63 a 110 giorni (84±14 in media) e da 58 a 63 giorni (61±2.6 in media) rispettivamente. Un anello “Sovering” di tipo “open” è stato utilizzato come controllo. Lo studio è stato condotto mediante indagini (a) macroscopiche, (b) istologiche, utilizzando colorazioni quali ematossilina-eosina e tricromica di Heidenhein, (c) immunoistochimiche, tramite utilizzo di anticorpi anti CD31, CD34 e anti fattore di Von Willebrand e (d) ultrastrutturali, sia con microscopia elettronica a scansione che a trasmissione. Risultati: Gli anelli protesici apparivano impiantati nella giunzione valvolare atrioventricolare, incapsulati da un sottile panno fibroso, senza alcuna evidenza di formazione trombotica, film di fibrina o crescita esuberante di panno fibroso. Non è stata osservata nessuna esuberante reazione infiammatoria, ad eccezione di rari linfociti T e di elementi gigantocellulari multinucleati da corpo estraneo. A livello ultrastrutturale, le fibre di PET si sono dimostrate profondamente compenetrate dal tessuto fibroso dell’ospite. Conclusioni: L’annuloplastica “Sovering”, nelle valvole atrioventricolari nel modello sperimentale di pecora adulta ha mostrato: (a) modesta reazione flogistica e limitati fenomeni infiammatori, tipo corpo estraneo; (b) scarsa reazione fibrosa attorno al PET ricoperto da carbofilm; (c) assenza di trombosi. La perfetta biocompatibilità è verosimilmente attribuibile all’impiego di carbofilm anche in questo “device” per annuloplastica. 19 DESMIN-FREE NEL MIOCARDIO CON SCOMPENSO CARDIACO TERMINALE E DISFUNZIONE CONTRATTILE DEI MIOCITI S. Di Somma1, M.P. Di Benedetto2, L. Agozzino4, G. Salvatore2, F. Ferranti2, G. Cuda3, S. Esposito4, F. Ferraraccio4, M.I. Scarano4, G. Caputo2 1 Dip. di Cardiologia, II Università “La Sapienza”, Ospedale Sant’Andrea di Roma 2 Dip. di Medicina Clinica e Sperimentale,Università Federico II di Napoli 3 Dip. di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Reggio Calabria, Catanzaro 4 Dip. di Medicina Clinica, Pubblica e Preventiva, Sez. di Anatomia Patologica, II Università degli Studi di Napoli Introduzione: Recentemente, abbiamo dimostrato un’irregolare distribuzione del contenuto di desmina, nei miociti di pazienti affetti da cardiomiopatia dilatativa idiopatica, come marker di disfunzione contrattile dei miociti. Non vi sono in letteratura, invece, dati sul contenuto di desmina, nello scompenso cardiaco di origine ischemica. Scopo del nostro studio è stato quello di valutare il contenuto di desmina nel miocardio di pazienti con scompenso cardiaco terminale di origine ischemica e il suo ruolo nella funzione contrattile dei miociti. Pazienti e metodi: Sono stati studiati 12 cuori espiantati da pazienti con scompenso cardiaco terminale di origine ischemica e miocardio ottenuto da biopsie endomiocardiche da 12 controlli (6 donne con carcinoma della mammella, prima di essere sottoposte a chemioterapia con antracicline, e 6 maschi donatori di cuore). Sono stati analizzati morfologicamente e immunoistochimicamente (con desmina e vimentina) frammenti di miocardio prelevati a livello del ventricolo sinistro (zona lontana dall’area infartuata), del setto e del ventricolo destro. 223 Inoltre, ulteriori informazioni sul contenuto di desmina sono state ottenute con la real-time PCR. La frazione di eiezione del ventricolo sinistro è stata rilevata mediante un’ecocardiografia ed una ventricolografia con radionucleotidi. La funzione delle proteine contrattili dei miociti è stata valutata con un saggio in vitro di motilità dell’actina-miosina. Risultati: I pazienti con cardiopatia ischemica presentano, rispetto ai controlli, un diametro maggiore dei miociti (p<0.01); l’incremento della dimensione dei miociti era da associare con la ridotta motilità dell’actina-miosina al saggio in vitro (r=-0.643; p<0.01). Una valutazione quantitativa, all’esame immunoistochimico, mostrava una significativa diminuzione del numero di miociti desmina-positivi (p<0.01), nei cuori con cardiopatia ischemica terminale, con nessuna differenza tra le zone rispetto ai controlli. In questi pazienti, è stata riscontrata una correlazione direttamente proporzionale, tra cellule desmina-positive e mobilità in vitro del complesso actina-miosina (r=0.764; p<0.01), ed inversamente proporzionale, tra contenuto negativo di desmina e frazione di eiezione (r=-0.834; p<0.02). Inoltre, la valutazione con real-time PCR ha evidenziato una riduzione significativa del contenuto di desmina in questi pazienti, rispetto ai controlli. Una correlazione inversamente proporzionale (r=-0.688 ) è stata riscontrata tra miociti negativi alla desmina nel ventricolo destro e pressione nei capillari. Conclusioni: Il miocardio dei pazienti con scompenso cardiaco terminale di origine ischemica mostra una riduzione del numero di miociti positivi immunoistochimicamente alla desmina, in tutto il cuore, rispetto ai controlli normali. Questo deficit di contenuto di filamenti intermedi del citoscheletro è associato ad una ridotta contrattilità del miocardio e ad un incremento della pressione intracardiaca. 20 STUDIO ISTOPATOLOGICO QUALITATIVO E QUANTITATIVO DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA POLMONARE IN UNA CASISTICA AUTOPTICA C. Campidelli1, O. Leone1, N. Galiè2, A. Manes2, G. Boggian2, F. Pelino2, A. Branzi2, S.A. Pileri1 1 Istituto di Anatomia Patologica ed 2 Istituto di Malattie dell’Apparato Cardiovascolare, Università di Bologna Introduzione: L’ipertensione polmonare è una condizione che caratterizza situazioni cliniche molto differenti dal punto di vista fisiopatologico, istologico, terapeutico e prognostico. La metodologia proposta al patologo nella nuova classificazione diagnostica, adottata dall’OMS nel Simposio di Evian del 1998, è quella di utilizzare un protocollo di tipo “descrittivo”, che consenta una standardizzazione della diagnostica istopatologica e la correlazione tra i reperti morfologici e quelli clinici ed emodinamici. Scopo dello studio è stato quello di rivalutare, alla luce del nuovo protocollo patologico “descrittivo”, le alterazioni istologiche presenti nella casistica autoptica di pazienti affetti da ipertensione arteriosa polmonare “primitiva” del nostro Centro. Metodi: La casistica è costituita da 11 pazienti deceduti con diagnosi clinica di ipertensione arteriosa polmonare, 7 di sesso femminile e 4 maschile, con età media di 28 anni. In 8 casi, l’ipertensione polmonare era risultata primitiva, in 1 caso era associata ad infezione da HIV e in un altro caso a chemioterapia intensiva (MOPP/ABVD); l’ultimo caso riguardava un paziente affetto da infezione da Schistosoma Haematobium. Dai polmoni, fissati in formalina senza preventiva insufflazione, sono stati effettuati 2 prelievi da ciascun lobo, uno dalle aree centrali e l’altro da quelle periferiche. Lo studio istologico qualitativo, condotto su sezioni colorate con ematossilina-eosina, tricromica di Azan-Mallory e Weigert-Van Gieson, ha comportato la valutazione, nelle arterie e nelle vene elastiche, pre-acinari, intracinari e post-acinari, della presenza di: ipertrofia della tonaca media, lesioni proliferative/fibrosi intimali, lesioni trombotiche fresche/in organizzazione/ricanalizzate e vasculiti. Lo studio istologico quantitativo è stato effettuato valutando, in 20 campi a 100x, il numero di vasi lesi e il tipo di lesioni sul numero totale dei vasi presenti. Risultati: L’esame patologico ha evidenziato la presenza di arteriopatia polmonare in 7 casi (5 arteriopatie plessiformi e 2 arteriopatie con lesioni trombotiche) e di malattia veno-occlusiva negli altri 4. Le alterazioni vascolari arteriose associate alle lesioni plessiformi erano rappresentate da: ipertrofia della tonaca media (100%), iperplasia intimale eccentrica (100%), iperplasia intimale concentrica, laminare (60%) e non laminare (100%); lesioni trombotiche erano presenti nel 100% dei casi. Nei 2 pazienti affetti da arteriopatia con lesioni trombotiche, le alterazioni vascolari arteriose associate erano costituite da: ipertrofia della tonaca media (100%), iperplasia intimale eccentrica (100%), iperplasia intimale concentrica, laminare (50% e non laminare 100%). Nei pazienti con diagnosi istologica di malattia veno-occlusiva, oltre alle severe lesioni proliferative stenosanti o occludenti il lume delle piccole vene parzialmente muscolarizzate e 224 muscolari e ai marker morfologici parenchimali, erano presenti anche diffuse lesioni dell’albero arterioso, costituite da: ipertrofia della tonaca media (100%), iperplasia intimale eccentrica (100%), iperplasia intimale concentrica, laminare (50%) e non laminare (100%), lesioni trombotiche arteriose (75%). Un dato significativo emerso dalla correlazione anatomo-clinica riguarda i pazienti affetti da malattia veno-occlusiva, che sono andati tutti incontro ad una evoluzione prognostica sfavorevole in tempi rapidi. Conclusioni: La revisione istologica dei casi, tutti caratterizzati da malattia polmonare in stadio avanzato, ha permesso di evidenziare due elementi significativi: (1) la presenza di alterazioni vascolari molto estese e di grado severo; (2) la sovrapponibilità del tipo delle lesioni arteriose associate, e della loro entità, nelle arteriopatie plessiformi e nelle arteriopatie con trombosi. Inoltre, la presenza di diffuse alterazioni arteriose nei casi di malattia veno-occlusiva, analoghe per tipo ed entità a quelle riscontrate nelle arteriopatie polmonari, lascia supporre che si tratti di una malattia dell’intero albero vascolare polmonare, per quanto verosimilmente da considerare un’entità distinta. A questo riguardo, è interessante il riscontro di una differente evoluzione clinica della malattia. 21 MECCANISMI PATOGENETICI DELL’IPERTENSIONE POLMONARE PERSISTENTE DEL NEONATO NEL RITARDO DI CRESCITA INTRAUTERINO E. Maresi1, E. Orlando1, R. Midulla1, R. Passantino1, M. Salvato1, L. Meschis1, S. Pipitone3, G. Corsello2 Istituti di 1 Anatomia Patologica e di 2 Clinica Pediatrica, Università di Palermo 3 Ospedale Casa del Sole, Palermo L’ipertensione polmonare persistente del neonato (PPHN) costituisce una delle emergenze extra-uterine del ritardo di crescita intrauterino (IUGR) e può decorrere isolatamente o in associazione ad altre complicanze. La PPHN dei soggetti con IUGR sembra oggigiorno dipendere da una riduzione del letto vascolare polmonare conseguente alla policitemia. L’esiguo numero di casistiche autoptiche relative a pazienti con IUGR e PPHN non consente però di escludere con certezza il ruolo di altri substrati morfofunzionali, quali l’ipermuscolarizzazione arteriolare e la vasocostrizione polmonare, presenti invece nella PPHN dei soggetti senza IUGR. A tale scopo, in una serie consecutiva di 48 neonati con IUGR “asimmetrico” e PPHN, abbiamo ricercato i possibili meccanismi patogenetici delle elevate resistenze vascolari polmonari (PVR). Da gennaio 1988 a dicembre 2000, presso l’Istituto di Anatomia Patologica dell’Università di Palermo, sono state effettuate 118 autopsie consecutive di soggetti con PPHN sopravvissuti da _ ora a 11 giorni (4.5±3.1, media e DS). L’età gestazionale variava da 29 a 41 settimane (35.8±4.1, media e DS) e il peso alla nascita era compreso tra 872 e 4.150 g. (1.962±711, media e DS). In 70 casi, si trattava di soggetti adeguati all’età gestazionale (AGA), 57 dei quali a “termine” e 13 “pre-termine”, mentre 48 casi erano relativi a soggetti “pre-termine” piccoli per l’età gestazionale (SGA) con IUGR asimmetrico. In 36 casi l’IUGR era dovuto ad insufficienza utero-placentare cronica da cause materne e placentari (dismaturità dei villi coriali, 12 casi; diabete materno, 9 casi; gestosi, 5 casi; distacco placentare parziale, 5 casi; corionamnionite, 3 casi; tabagismo, 2 casi). Le patologie associate all’IUGR erano: sindrome da distress respiratorio, 24 casi; cardiopatie congenite, 6 casi; sequenza oligoidramnios, 5 casi; sindrome da aspirazione di meconio, 5 casi; polmonite, 4 casi; asfissia perinatale, 2 casi; poliglobulia (da trasfusione feto-materna e da insufficienza placentare cronica), 2 casi. La diagnosi in vita di PPHN era stata effettuata mediante esame ecocardiografico e/o la valutazione Abstract delle comunicazioni della tensione di ossigeno nel sangue pre- e post-duttale. I meccanismi patogenetici della PPHN nei soggetti con IUGR erano: riduzione del letto vascolare polmonare, 7 casi (sequenza oligoidramnios, 5 casi; policitemia da trasfusione feto/materna e da insufficienza placentare cronica, 2 casi ); vasocostrizione acuta, 7 casi (polmonite, 4 casi; asfissia perinatale, 2 casi; sindrome da distress respiratorio, 1 caso); ipermuscolarizzazione vascolare, 34 (sindrome da distress respiratorio, 23 casi; cardiopatie congenite, 6 casi; sindrome da aspirazione di meconio 5 casi). La PPHN associata all’IUGR da insufficienza utero-placentare cronica era dovuta a: eccessiva muscolarizzazione vascolare (77%), vasocostrizione acuta (19.6%), riduzione del letto vascolare polmonare (2.7%). L’assenza di un unico meccanismo patogenetico nella PPHN associata all’IUGR da insufficienza utero-placentare cronica, induce ad ipotizzare una variabilità individuale del feto all’ipossia intrauterina cronica. 22 IPERTENSIONE POLMONARE LETALE IN SOGGETTO GIOVANE CON VALVOLA AORTICA BICUSPIDE CONGENITA FIBRO-CALCIFICA E DIFETTO INTERATRIALE E. Maresi1, R. Passantino1, R. Midulla1, E. Orlando1, G. Fazio2, N. Morici2, V. Cospite2, R. Tavormina3, P. Procaccianti4 Istituti di 1 Anatomia Patologica, 2 Cardiologia, 3 Pediatria e 4 Medicina Legale, Università di Palermo Riportiamo un caso di morte improvvisa cardiaca osservata in un giovane operaio di anni 29, deceduto, nell’arco di pochi minuti, durante la pausa pranzo. Nulla di rilevante all’anamnesi patologica (colloquio con i parenti); da segnalare familiarità per morte improvvisa (padre deceduto all’età di 40 anni). All’autopsia i principali reperti erano a carico del cuore e del polmone. Il cuore pesava 374 g e mostrava un diametro trasverso di 10.5 cm e un diametro longitudinale di 8.5 cm. Le coronarie erano normali per origine, decorso e struttura intrinseca. Le sezioni anatomo-tomografiche asse-corto della massa ventricolare evidenziavano una ipertrofia concentrica discreta del ventricolo sinistro (18 mm), associata ad una severa dilatazione del ventricolo destro (4 mm). Il situs atriale era solitus e le connessioni atrio-ventricolari e ventricolo-arteriose erano concordanti; l-loop dei ventricoli; normali le valvole atrioventricolari e la semilunare polmonare. La valvola aortica era costituita da 2 cuspidi, lievemente asimmetriche: una anteriore (più grande) e l’altra posteriore (più piccola). La cuspide anteriore presentava un rafe mediano, che decorreva dal margine valvolare aderente a quello libero, e quest’ultimo mostrava un severo ispessimento fibrocalcifico lineare che coinvolgeva anche il rafe. Un ispessimento fibro-calcifico di lieve entità si osservava a carico del margine libero della cuspide posteriore e dei lembi valvolari. Gli osti coronarici originavano entrambi separatamente dalla cuspide anteriore. Il setto interatriale presentava una agenesia del pavimento della fossa ovale, con un ampio difetto del diametro massimo di 1.5 cm. Non sono state riscontrate alterazioni dell’aorta toracica. I polmoni erano sede di stasi acuta. Lo studio morfologico del letto arterioso polmonare mostrava una severa ectasia delle arteriole lobulari pre- ed intra-acinari. Le arteriole preacinari evidenziavano alterazioni strutturali della parete, rappresentate dalla trasformazione della media di tipo muscolare in media di tipo parzialmente elastico e da foci di necrosi cistica. Le arteriole intraacinari apparivano sede di ispessimento parietale fibromuscolare. In conclusione, il caso da noi descritto risulta singolare sia per la rarità dell’associazione “valvola aortica bicuspide congenita/difetto interatriale tipo fossa ovale” sia per la particolare ripercussione morfo-funzionale sul circolo polmonare.