Enzimi nella diagnostica clinica Diagnostica biochimico-clinica Lezione 10 Enzimi Il termine enzima (dal greco en, “in” e zyme, “lievito”) fu coniato nel 1878 nel tentativo di sottolineare che nel lievito vi erano sostanze chimiche (fermenti) in grado di catalizzare le reazioni di fermentazione da cui si otteneva etanolo a partire dal glucosio (fermentazione alcolica). Solo nel 1926 fu isolata e cristallizata l’ureasi di fagiolo che catalizza l’idrolisi dell’urea in NH3 e CO2 dimostrando che gli enzimi erano proteine. Le velocità delle reazioni catalizzate dagli enzimi sono elevate Gli enzimi sono catalizzatori biologici che regolano e velocizzano le reazioni metaboliche mantenendo così l’omeostasi cellulare. Le velocità delle reazioni biochimiche catalizzate da enzimi sono normalmente da 106 a 1012 volte superiori rispetto a quelle delle corrispondenti trasformazioni chimiche non sottoposte a catalisi e almeno diversi ordini di grandezza superiori a quelle delle corrispondenti reazioni catalizzate per via chimica. Diagrammi dello stato di transizione in presenza di enzimi Gli enzimi agiscono generando un nuovo percorso per la reazione contraddistinta da uno stato di transizione la cui AG‡ è inferiore a quella della reazione catalizzata. Cinetica enzimatica Lo studio delle velocità delle reazioni catalizzate da enzimi è detta cinetica enzimatica. Le reazioni chimiche possono essere unimolecolari, bimolecolari e pseudomolecolari. L’ordine di reazione indica il numero di molecole che partecipano ad una reazione elementare. A T costante, la velocità di una reazione è proporzionale alla frequenza con cui le molecole dei reagenti entrano in contatto. Reazione unimolecolare di primo ordine A→ →P V=-d[A]/dt= d[P]/dt La velocità della reazione è direttamente correlata alla concentrazione di A da una costante di proporzionalità detta costante di velocità che si misura in s-1 V=k[A] Cinetica enzimatica Reazione bimolecolare di secondo ordine 2A→ →P oppure A+B→ →P La velocità della reazione è correlata alla concentrazione dei reagenti da una costante di velocità che si misura in M-1s-1 V=k[A]2 oppure V=k[A][B] Se B è presente in largo eccesso rispetto ad A oppure A è presente a basse concentrazioni la velocità della reazione non dipenderà dalla [B] (reazione di pseudo primo ordine). Reazioni di ordine zero La velocità della reazione non dipende dalla concentrazione dei reagenti. Cinetica enzimatica Sulla base di questa reazione Michaelis e Menten proposero nel 1913 un modello per spiegare le caratteristiche cinetiche degli enzimi. E+S Sperimentalmente si osserva che il grafico che descrive la variazione della velocità di reazione in funzione della [S] ha un andamento iperbolico che può essere descritto dall’equazione di Michaelis-Menten: V0= Vmax[S] KM+[S] k1 k-1 k2 ES → P Cinetica di ordine 0 V non dipende dalla [S] Cinetica di 1° °Ordine V dipende dalla [S] Gli enzimi sono classificati in base al tipo di reazione che catalizzano Sito attivo L’attività degli enzimi dipende dal cosiddetto sito attivo, ovvero dalla regione dell’ enzima a cui si lega il substrato (e i cofattori se esistono). Il sito attivo è costituito da una tasca tridimensionale che determina la specificità del legame con il substrato. Nel sito attivo possiamo poi distinguere il sito catalitico, costituito dai residui amminoacidici che partecipano direttamente alla formazione e alla rottura dei legami interessati nella catalisi e il sito di legame, ovvero la regione dove si lega il substrato. Cofattori Alcuni enzimi sono costituiti solo da amminoacidi, altri contengono, oltre alla porzione proteica (apoenzima), anche porzioni non proteiche (Cofattori), in mancanza dei quali la reazione catalitica non avviene. Essi possono essere: COENZIMI: elementi che partecipano alla reazione catalitica, ma senza essere parte integrante dell’enzima (NADH/NAD+, NADPH/NAPD+, ATP/ADP) GRUPPI PROSTETICI: elementi integrati stabilmente nell’enzima e la cui rimozione ne determinerebbe l’inattivazione (FAD/FMN, eme) COFATTORI METALLICI: molti enzimi necessitano della presenza di ioni metallici per esplicare la propria attività ( Na+, K+, Ca2+, Mg2+, Zn2+) Enzimi nella diagnostica clinica Il tasso ematico normale degli enzimi rappresenta il bilancio tra la loro immissione in circolo da parte delle cellule nel corso dell’usuale metabolismo, il loro catabolismo e la loro escrezione da parte degli organi emuntori. Pertanto in condizioni fisiologiche sono presenti in circolo in bassa quantità Per tale ragione, come metodo di misura si utilizza la reazione catalizzata dall’enzima stesso. Si misura la velocità della reazione cioè la quantità di substrato trasformata dall’enzima nell’unità di tempo Enzimi nella diagnostica clinica Indicatori di funzionalità o di lesione di cellule o tessuti Marcatori di specifici deficit enzimatici nelle malattie genetico-metaboliche La maggior parte delle richieste di dosaggi enzimatici ha la prima motivazione. I dosaggi enzimatici comunemente usati a scopo diagnostico sono numericamente limitati: solo una decina sono di impiego routinario e questi oggi costituiscono circa il 30% del carico di lavoro di un comune laboratorio di chimica clinica. Enzimi nella diagnostica clinica Le variazioni dell’attività enzimatica nel siero di enzimi di origine cellulare sono alla base della diagnostica enzimatica. Gli enzimi possono trovarsi nel siero: per esserne la sede naturale (e.g. enzimi della coagulazione, ossia la protrombina, il fattore IX, il fattore VII) per esserne riversati da liquidi organici (enzimi pancreatici) in presenza di un processo patologico, la quantità immessa in circolo sarà sempre maggiore (es: amilasi e lipasi in patologie pancreatiche) In condizioni patologiche (danno d’organo), si ha una fuoriuscita e un versamento negli spazi interstiziali e, quindi, nel torrente circolatorio. Nel siero, tali enzimi mostreranno una variazione di attività enzimatica rispetto a quella misurata nella sede fisiologica. Livelli di concentrazione degli enzimi plasmatici Il livello enzimatico nel plasma è in rapporto con la velocità di immissione in circolo e dipende da: ⇒ rapidità del danneggiamento cellulare ⇒ estensione della lesione ⇒ velocità di catabolismo dell’enzima Il danneggiamento rapido di poche cellule (es. epatite virale) può far elevare di molto il tasso di certi enzimi. Il danneggiamento esteso e progressivo ma lento delle stesse cellule (es. cirrosi epatica) può dar luogo ad un insignificante aumento degli stessi enzimi. Bisogna rapportare il tasso di ciascun enzima al profilo enzimatico e al quadro clinico Livelli di concentrazione degli enzimi plasmatici La diminuzione dell’attività enzimatica nel plasma è molto rara (diminuita sintesi, deficit congenito) L’aumento si verifica in seguito a liberazione abnorme da parte di un tessuto patologico (es. fosfatasi acida nel carcinoma della prostata) o di un tessuto leso (transaminasi nell’infarto del miocardio) o per ostacolato deflusso (fosfatasi alcalina nelle ostruzioni delle vie biliari) La liberazione degli enzimi da parte di un tessuto leso avviene per alterazione della permeabilità della membrana cellulare senza morte della cellula quando si tratta di enzimi liberi nel citoplasma. Se gli enzimi in esame sono normalmente localizzati in organuli il loro dosaggio è indice di danno più profondo a carico delle strutture vitali della cellula. Livelli di concentrazione degli enzimi plasmatici Meccanismi responsabili delle variazioni delle attività degli enzimi sierici in condizioni patologiche Attività enzimatica L’attività enzimatica, proporzionale alla concentrazione dell’enzima, si esprime in UNITA’ e rivela: Un aumento della concentrazione dei prodotti Una diminuzione della concentrazione del substrato Una variazione della concentrazione del coenzima Una Unità Internazionale (UI) equivale alla quantità di enzima che catalizza la conversione di 1 µmole di substrato per minuto in condizioni definite di temperatura, pH, e concentrazione del substrato Per misurare l’attività catalitica l’enzima deve costituire il fattore limitante della reazione pertanto il substrato deve essere presente in eccesso ATTIVITA’ ENZIMATICA U/L = ∆A 1000 V εtdv d → spessore cuvetta v → volume campione (mL) t → tempo di reazione (min) 1000 → conversione a L ∆A → variazione di Abs V → volume di reazione (mL) Attività enzimatica Fattori che possono influenzare la velocità di reazione enzimatica Concentrazione di substrato Quantità di enzima che catalizza la reazione Stato di attivazione dell’enzima e la Quantità di cofattori Presenza di inibitori Temperatura di incubazione (30-37 ± 0,1°C) pH del mezzo di reazione Nel SI l’unità di attività enzimatica è il kcat, che corrisponde all’attività di un enzima che, in condizioni standard, catalizza la trasformazione di una mole di substrato al secondo La concentrazione di un enzima in soluzione deve essere espressa in unità per millilitro (UI/ml) Misura dell’attività enzimatica Metodi di misura in continuo: monitoraggio continuo del procedere della reazione per un periodo di tempo predefinito Metodi a tempo fisso (end point o fixed time): determinazione iniziale e finale, dopo che la reazione è stata bloccata I metodi più diffusi in chimica clinica sono quelli di determinazione del prodotto di trasformazione del substrato, ad opera dell’enzima, mediante procedimenti colorimetrici o spettrofotometrici Si segue nel tempo la variazione di un parametro fisico o chimico-fisico caratteristico del prodotto o del substrato della reazione (e.g. assorbanza, torbidità, diffrazione, fluorescenza, pH, potenziale elettrico, tensione parziale dei gas) Misura in continuo Misura in continuo mediante test ottico semplice Deidrogenasi A + NADH + H+ → B + NAD+ Esempio LDH Piruvato + NADH + H+ → Lattato + NAD+ Misura in continuo mediante test ottico con indicatore Se nessuno dei reagenti/prodotti dà un assorbimento ottico, si accoppia alla reazione “primaria” una seconda reazione “indicatrice”, che utilizza uno dei prodotti della reazione precedente Enzima A+B → C+D Deidrogenasi C (o D)+NADH+H+ → E+NAD+ Esempio 1. chetoglutarato + alanina → glutammato + piruvato (ALT) oppure chetoglutarato + aspartato → glutammato + ossalacetato (AST) LDH (o MDH) 2. Piruvato (o Ossalacetato) + NADH+H+ → Lattato (o Ac. Malico)+ NAD+ Spettro di assorbimento del NAD ridotto e ossidato Isoenzimi Proteine, codificate da geni differenti, capaci di catalizzare una specifica reazione, ma che presentano diversa struttura e quindi diverse proprietà chimico-fisiche (e.g. carica, solubilità) e talora anche diverse proprietà funzionali e affinità per il substrato, adeguandosi alle esigenze metaboliche dei singoli tessuti. Creatina chinasi Nel SIERO, dove agiscono enzimi provenienti da localizzazioni tissutali e cellulari differenti, alcune attività enzimatiche sono svolte da più isoenzimi. In chimica clinica è fondamentale attribuire un determinato sospetto diagnostico ad un determinato isoenzima specifico per un determinato tessuto Isoenzimi di interesse clinico Lattico deidrogenasi (infarto del miocardio, epatite virale) Isocitrico deidrogenasi (epatiti virali) Glucosio-6-fosfato deidrogenasi (anemia) Glutammico deidrogenasi (affezioni epatiche) Aspartico transaminasi (infarto del miocardio) Creatina chinasi (indice di infarto e distrofia muscolare) Colinesterasi (indice di funzionalità epatica) Fosfatasi alcalina (affezioni epatiche e dell’app. scheletrico) Lattico deidrogenasi (LDH) La lattico deidrogenasi catalizza l’interconversione tra lattato e piruvato Lattico deidrogenasi (LDH) La lattato deidrogenasi è un tetramero cioè un oligomero formato da quattro protomeri che può costruirsi con due tipi di subunità: H (Heart) ed M (Muscle) per dare origine a cinque forme tetrameriche. H H H H H H H4 (LDH1) H3M (LDH2) H2M2 (LDH3) HM3 (LDH4) M4 (LDH5) H H H M M M M H M M M M M M Lattico deidrogenasi (LDH) Gli isoenzimi della lattato deidrogenasi hanno origini tissutali differenti. Nel tessuto muscolare predomina l’isoenzima M4 che, avendo maggiore affinità per il piruvato, catalizza di preferenza la reazione nella direzione piruvato→ → lattato. Nel cuore predomina l’isoenzima H4, con affinità maggiore per il lattato e catalizza la reazione nella direzione lattato→ → piruvato. Valori di riferimento: LDH totale sierica 313-618 UI/L Si possono avere artefatti dovuti ad emolisi in quanto negli eritrociti la sua concentrazione di LDH è 200 volte quella sierica. Metodi di studio degli isoenzimi Metodi generali Metodi specifici Metodi elettroforetici Inibizione chimica Metodi cromatografici Inibizione fisica Metodi IEF Inibizione immunologica Metodi immunochimici Lattico deidrogenasi (LDH) LDH1 e LDH2: valori elevati associati all’infarto del miocardio (in condizioni di normalità LDH2 > LDH1; nell’infarto LDH1 > LDH2) LDH5: rilasciata in circolo in numerose epatopatie (epatiti, cirrosi, congestione epatica) LDH2, LDH3, LDH4: livelli elevati in caso di formazioni neoplastiche voluminose e metastatiche (dovute all’aumento di metabolismo delle cellule tumorali ed al loro rapido turnover) Per distinguere gli isoenzimi della LDH la tecnica più utilizzata è l’elettroforesi: Profili enzimatici Nel siero sono presenti più di 50 enzimi ma solo alcuni rivestono interesse clinico Accertamento di lesioni Accertamento di funzionalità degli organi Diagnostica patologie metaboliche Alcuni enzimi derivano da tessuti diversi ma vi sono contenuti in concentrazione diversa. Ad esempio, AST e ALT sono entrambi localizzati principalmente nel fegato e nel muscolo cardiaco ma la concentrazione di AST è maggiore nel muscolo cardiaco che nel fegato per cui, nella valutazione di quadri patologici relativi a tali enzimi si hanno differenti profili clinici: Infarto del miocardio: l’AST aumenta di più rispetto ad ALT Epatite virale: AST e ALT aumentano in egual misura Enzimi di interesse clinico LATTICO DEIDROGENASI (LDH) LOCALIZZAZIONE: miocardio, globuli rossi, reni, milza, pancreas, tiroide, linfonodi, fegato, muscoli scheletrici. UTILITA’ DIAGNOSTICA: aumenta per danneggiamento o necrosi di tali tessuti o organi. CREATINA FOSFOCHINASI (CK o CPK) LOCALIZZAZIONE: Muscoli scheletrici, miocardio, cervello. UTILITA’ DIAGNOSTICA: diagnosi di infarto del miocardio. FOSFATASI ACIDA (ACP) LOCALIZZAZIONE: Prostata, piastrine, G.R., fegato, milza, reni, ossa. UTILITA’ DIAGNOSTICA: aumenta in caso di carcinoma prostatico. Enzimi di interesse clinico FOSFATASI ALCALINA (ALP) LOCALIZZAZIONE: Fegato, ossa; è presente anche in intestino, placenta, reni a più bassa concentrazione. UTILITA’ DIAGNOSTICA: La via di eliminazione dell’ALP è attraverso la bile. Di conseguenza, l’ostruzione delle vie biliari porta ad un reflusso dell’enzima nell’interstizio e al suo assorbimento in circolo. Aumenta nelle seguenti condizioni: 1) Bambini (per l’accrescimento osseo) 2) Gravidanza (immissione in circolo dell’isoenzima placentare) 3) Epatopatie 4) Malattie ossee AMILASI LOCALIZZAZIONE: Presente in pancreas (30%), saliva (60%), fegato (10%), ghiandole sudoripare, trombe di falloppio, muscoli, tessuto adiposo, polmoni. UTILITA’ DIAGNOSTICA: aumenta per danneggiamento o necrosi di tali tessuti o organi. Enzimi di interesse clinico ASPARTATO e ALANINA AMMINOTRANSFERASI (AST e ALT) LOCALIZZAZIONE: Sono presenti all’interno delle cellule AST: legato ai mitocondri ALT: citoplasma degli epatociti e mitocondri La differenza di concentrazione di AST e ALT tra l’esterno e l’interno della cellula è enorme (ALT = 1:10.000, AST = 1:11.000) In condizioni normali le membrane cellulari sono impermeabili ad esse → nel siero normalmente i valori di concentrazione sono estremamente bassi UTILITA’ DIAGNOSTICA: la determinazione dell’ALT risulta utile solo nella diagnosi di epatopatie mentre quella dell’AST è utilizzata principalmente per la diagnosi di infarto del miocardio Note anche come : GOT, GLUTAMMATO-OSSALACETATO-TRANSAMINASI (AST) e GPT, GLUTAMMATO-PIRUVATO-TRANSAMINASI (ALT) Enzimi di interesse clinico γ-GT γ-glutamil-transpeptidasi (o GTT) LOCALIZZAZIONE: Glicoproteina di membrana responsabile della sintesi intracellulare di glutatione UTILITA’ DIAGNOSTICA: • Livelli sierici aumentati in alcolisti->l’alcool induce la sua produzione nel fegato • dosaggi utili nelle epatopatie (colestasi) ⇒ maggiore sensibilità rispetto ad ALP ⇒ minore specificità rispetto ad ALP Colinesterasi (o Pseudocolinesterasi) LOCALIZZAZIONE: Enzima prodotto dal fegato in maniera specifica. UTILITA’ DIAGNOSTICA: Diminuisce quando è danneggiata la capacità di sintesi epatica delle proteine. Numero di dibucaina La dibucaina è uno degli anestetici locali più efficaci e ad azione prolungata che ha un effetto inibente sulla reazione enzimatica catalizzata dalla colinesterasi. Persone con livelli normali di colinesterasi ma in cui la proteina è presente con varianti genetiche non inibite dalla dibucaina potrebbero avere depressione respiratoria nel corso di operazioni chirurgiche. Per questo è importante eseguire un test che valuta l'attività dell'enzima colinesterasi in presenza di dibucaina che ne inibisce l'attività. Numero di dibucaina: Il numero di dibucaina è la percentuale di attività colinesterasi sierica inibita dalla dibucaina in condizioni standard: un numero di dibucaina elevato indica un’inibizione tipica dell’enzima normale mentre un numero basso è presente nei soggetti omozigoti per colinesterasi mutata. SIGNIFICATO CLINICO DELL’ATTIVITA’ DEGLI ENZIMI NEI MATERIALI BIOLOGICI Gli enzimi di interesse clinico possono essere: ORGANO ASPECIFICI: AST ALT LDH ORGANO SPECIFICI: 1.ENZIMI EPATICI 1.1. ENZIMI DI SECREZIONE CHE ↓ Epatopatie CHE ↑ Sindrome nefrosica 1.2. ENZIMI DI CITOLISI AST e ALT LDH 1.3. ENZIMI DI COLOSTASI GGT LAP (Leucin-amino-peptidasi) 2.ENZIMI DEL MIOCARDIO AST LDH1 CK-MB 3.ENZIMI DEL MUSCOLO ALDOLASI CK 4.ENZIMI DELL’OSSO FOSFATASI ALCALINA ALP 5.ENZIMI DELLA PROSTATA FOSFATASI ACIDA Enzimi di comune interesse clinico Infarto del miocardio L’infarto del miocardio è oggi una delle più frequenti cause di morte nelle nazioni industrializzate. E’ provocato dalla brusca riduzione dell’apporto di sangue attraverso le arterie coronarie, sangue dal quale il muscolo cardiaco deve trarre il nutrimento e soprattutto l’ossigeno di cui ha bisogno in modo più elevato di qualsiasi altro tessuto. La riduzione dell’afflusso di sangue arterioso causa una profonda sofferenza delle cellule miocardiche (ischemia). Fattori di Rischio Fattori di rischio non modificabili Età > 65 anni Sesso maschile < 65 Storia familiare: base genetica Fattori di rischio indipendenti modificabili Ipercolesterolemia (> 240 mg/dl): placche aterosclerotiche Ipertensione: accelera l’evoluzione della placca fibrosa Diabete mellito: aumenta il rischio aterogeno Fumo: la nicotina provoca vasocostrizione e lieve ipertensione Altri fattori di rischio Obesità: ipertensione, ipercolesterolemia, resistenza all’insulina Mancata attività fisica: accelera la progressione aterosclerotica Iperomocisteinemia: aterogena + aumenta aggregazione piastrinica Iperfribinogenemia: eccessiva coagulabilità Ridotta attività fibrinolitica: incapacità di risolvere il trombo Diagnosi di Infarto Acuto del Miocardio (IMA) Esame Obiettivo: nella fase acuta può essere negativo Esami di Laboratorio: markers di precoce comparsa e di cardiospecificità Radiografia toracica Diagnostica per immagini ECG: rappresenta l’esame strumentale più utile Complesso QRS: sistole ventricolare Marcatori di infarto del miocardio La fibrocellula miocardica è particolarmente ricca di alcuni enzimi. La necrosi di estese zone di miocardio determina l’innalzamento dei livelli sierici di tali enzimi in misura significativa. Gli enzimi di utilità diagnostica per la diagnosi di infarto del miocardio si distinguono in INDICATORI PRECOCI (Creatina chinasi, Mioglobina e Troponine) e INDICATORI TARDIVI (Lattico deidrogenasi, Miosina e Aspartato amminotransferasi) Indicatori precoci: creatina chinasi (CK o CPK) Enzima che catalizza la fosforilazione reversibile della creatina a fosfocreatina, consumando ATP e liberando energia chimica. La reversibilità della reazione permette di liberare energia sotto forma di ATP sfruttando la defosforilazione della fosfocreatina. E’ un dimero citosolico costituito da 2 monomeri (M, muscle e B, brain) i cui geni sono collocati su 2 cromosomi differenti), diversamente combinati a formare 3 isoenzimi: CK1 (BB: cervello, mai nel sangue) CK2 (MB: 20% cuore, siero in caso di infarto) CK3 (MM: 90% muscolo scheletrico, 80% cuore e siero) Indicatori precoci: creatina chinasi (CK o CPK) L’isoenzima MB (CK2) è presente nel miocardio. L’interesse clinico della determinazione dell’isoenzima MB nel siero deriva dal fatto che esso aumenta quasi esclusivamente nell’infarto del miocardio (CK MB > 6% CK totale) e può essere considerato un enzima “infarto del miocardio specifico”. Nei casi di infarto del miocardio l’aumento dell’isoenzima MB è precoce; comincia ad aumentare nelle prime 4-6 ore, raggiunge il massimo rapidamente (12-18 ore) e, più rapidamente della CPK totale, torna nei limiti normali. Il ritorno a valori normali avviene generalmente entro 48 ore e precede quindi di 24 ore quello della CPK totale. Indicatori precoci: Mioglibina Proteina trasportatrice di O2 dalle membrane cellulari ai mitocondri. Essa rappresenta il primo marker di danno miocellulare liberato nel torrente circolatorio. Nel corso di IMA aumenta dopo la 1a ora dall’insorgere dell’evento con un picco tra 16/18 ore ed un ripristino dei valori normali dopo 24/36 ore. Purtroppo la mioglobina scheletrica prodotta in caso di intensa attività fisica non è distinguibile da quella cardiaca. La diagnosi differenziale viene eseguita mediante il dosaggio dell’anidrasi carbonica III che è presente soltanto nel muscolo scheletrico. Indicatori precoci: Troponina La contrazione muscolare del muscolo è generata dall’interazione di miosina e actina che rappresentano oltre l’80% della massa proteica del muscolo. L’interazione tra le due è consentita dal complesso delle TROPONINE (T, C, I) che partecipa, insieme ad actina e tropomiosina alla formazione del filamento sottile del muscolo striato. Le troponine presiedono ai processi di contrattilità muscolare, regolando l’interazione calcio-mediata dell’actina con la miosina. Indicatori precoci: Troponina Le forme cardiache delle troponine T ed I sono distinguibili da quelle presenti nella muscolatura cardiaca grazie all’utilizzo di specifici anticorpi monoclonali. I livelli circolanti nel siero sono normalmente molto bassi, ma possono aumentare rapidamente dopo necrosi miocardica. Nel corso di IMA la troponina I aumenta entro le 3/6 ore con un picco tra le 15/25 ore ed un ripristino dei valori normali dopo circa 7 giorni, associando quindi l’elevata specificità a un’ampia finestra diagnostica. Troponina I: specificità più elevata, dosaggio in 10’ Troponina T: specificità meno elevata, dosaggio in 2 h Indicatori precoci: Troponina Le isoforme cardiache delle troponine T e I sono quindi indicatori molto specifici e molto sensibili di danno miocardico. Con le troponine è inoltre possibile rivelare infarti di dimensioni molto più piccole rispetto a quelle osservabili con gli altri marcatori cardiaci. Indicatori tardivi: lattico deidrogenasi Enzima che catalizza la conversione del lattato in piruvato, è presente in 5 forme isoenzimatiche in funzione delle combinazioni delle subunità H ed M. LDH1 : presente prevalentemente nel miocardio LDH4 LDH5: presente prevalentemente nel fegato e nel muscolo scheletrico Nel corso di IMA l’incremento della concentrazione sierica di LDH1 precede quella di LDH totale, aumenta dopo la 8/24 ore dall’esordio dell’evento con un picco dopo 3/6 giorni ed un ripristino dei valori normali entro 8/14 giorni, quindi un indicatore di infarto pregresso. Indicatori tardivi: miosina Rappresenta una delle maggiori componenti strutturali del tessuto muscolare, composta da: MHC : catene pesanti isoforme α e β nel miocardio (solo β m. scheletrico) non presentano pool citoplasmatico, aumentano in circolo soltanto dopo 48 h dall’insulto miocardico, raggiungono il picco dopo 5/6 giorni e tornano a valori normali dopo più di 10 giorni MCL1 e MCL2: catene leggere legate alla regione N terminale delle MHC. Presentano un piccolo pool citoplasmatico, sono riversati nel sangue entro 6 ore dall’insulto e persistono per circa 14 giorni Indicatori tardivi: aspartato amminotransferasi Enzima prevalente nelle cellule miocardiche, i livelli sierici aumentano dopo 8/12 h dall’inizio della sintomatologia dolorosa, raggiungono il picco dopo 24/48 ore e rientrano nella norma dopo 3/4 giorni. Non fornisce informazioni diagnostiche aggiuntive a quelle già ottenute con la determinazione delle CPK e LDH. Markers Biochimici di Danno al Miocardio