Enzimi nella diagnostica clinica
Diagnostica biochimico-clinica
Lezione 10
Enzimi
Il termine enzima (dal greco en, “in” e zyme, “lievito”) fu coniato nel 1878 nel tentativo di
sottolineare che nel lievito vi erano sostanze chimiche (fermenti) in grado di catalizzare le
reazioni di fermentazione da cui si otteneva etanolo a partire dal glucosio (fermentazione
alcolica).
Solo nel 1926 fu isolata e cristallizata l’ureasi di fagiolo che catalizza l’idrolisi dell’urea in
NH3 e CO2 dimostrando che gli enzimi erano proteine.
Le velocità delle reazioni catalizzate dagli enzimi sono elevate
Gli enzimi sono catalizzatori biologici che regolano e velocizzano le reazioni metaboliche
mantenendo così l’omeostasi cellulare.
Le velocità delle reazioni biochimiche catalizzate da enzimi sono normalmente da 106 a 1012
volte superiori rispetto a quelle delle corrispondenti trasformazioni chimiche non
sottoposte a catalisi e almeno diversi ordini di grandezza superiori a quelle delle
corrispondenti reazioni catalizzate per via chimica.
Diagrammi dello stato di transizione in presenza di enzimi
Gli enzimi agiscono generando un nuovo percorso per la reazione contraddistinta da uno
stato di transizione la cui AG‡ è inferiore a quella della reazione catalizzata.
Cinetica enzimatica
Lo studio delle velocità delle reazioni catalizzate da enzimi è detta cinetica enzimatica. Le
reazioni chimiche possono essere unimolecolari, bimolecolari e pseudomolecolari. L’ordine
di reazione indica il numero di molecole che partecipano ad una reazione elementare. A T
costante, la velocità di una reazione è proporzionale alla frequenza con cui le molecole dei
reagenti entrano in contatto.
Reazione unimolecolare di primo ordine
A→
→P
V=-d[A]/dt= d[P]/dt
La velocità della reazione è direttamente
correlata alla concentrazione di A da una costante
di proporzionalità detta costante di velocità che si
misura in s-1
V=k[A]
Cinetica enzimatica
Reazione bimolecolare di secondo ordine
2A→
→P
oppure
A+B→
→P
La velocità della reazione è correlata alla concentrazione dei reagenti da una costante di
velocità che si misura in M-1s-1
V=k[A]2 oppure
V=k[A][B]
Se B è presente in largo eccesso rispetto ad A oppure A è presente a basse concentrazioni la
velocità della reazione non dipenderà dalla [B] (reazione di pseudo primo ordine).
Reazioni di ordine zero
La velocità della reazione non dipende dalla concentrazione dei reagenti.
Cinetica enzimatica
Sulla base di questa reazione Michaelis e Menten proposero nel 1913 un modello per
spiegare le caratteristiche cinetiche degli enzimi.
E+S
Sperimentalmente si osserva che il
grafico che descrive la variazione della
velocità di reazione in funzione della
[S] ha un andamento iperbolico che
può essere descritto dall’equazione di
Michaelis-Menten:
V0=
Vmax[S]
KM+[S]
k1
k-1
k2
ES → P
Cinetica di ordine 0
V non dipende dalla [S]
Cinetica di 1°
°Ordine
V dipende dalla [S]
Gli enzimi sono classificati in base al tipo di reazione che catalizzano
Sito attivo
L’attività degli enzimi dipende dal cosiddetto sito attivo, ovvero dalla regione dell’ enzima a
cui si lega il substrato (e i cofattori se esistono). Il sito attivo è costituito da una tasca
tridimensionale che determina la specificità del legame con il substrato.
Nel sito attivo possiamo poi distinguere il sito catalitico, costituito dai residui
amminoacidici che partecipano direttamente alla formazione e alla rottura dei legami
interessati nella catalisi e il sito di legame, ovvero la regione dove si lega il substrato.
Cofattori
Alcuni enzimi sono costituiti solo da amminoacidi, altri contengono, oltre alla porzione
proteica (apoenzima), anche porzioni non proteiche (Cofattori), in mancanza dei quali la
reazione catalitica non avviene. Essi possono essere:
COENZIMI: elementi che partecipano alla reazione catalitica, ma senza essere parte
integrante dell’enzima (NADH/NAD+, NADPH/NAPD+, ATP/ADP)
GRUPPI PROSTETICI: elementi integrati stabilmente nell’enzima e la cui rimozione ne
determinerebbe l’inattivazione (FAD/FMN, eme)
COFATTORI METALLICI: molti enzimi necessitano della presenza di ioni metallici per
esplicare la propria attività ( Na+, K+, Ca2+, Mg2+, Zn2+)
Enzimi nella diagnostica clinica
Il tasso ematico normale degli enzimi rappresenta il bilancio tra la loro immissione in
circolo da parte delle cellule nel corso dell’usuale metabolismo, il loro catabolismo e la loro
escrezione da parte degli organi emuntori.
Pertanto in condizioni fisiologiche sono presenti in circolo in bassa quantità
Per tale ragione, come metodo di misura si utilizza la reazione catalizzata dall’enzima
stesso. Si misura la velocità della reazione cioè la quantità di substrato trasformata
dall’enzima nell’unità di tempo
Enzimi nella diagnostica clinica
Indicatori di funzionalità o di lesione di cellule o tessuti
Marcatori di specifici deficit enzimatici nelle malattie genetico-metaboliche
La maggior parte delle richieste di dosaggi enzimatici ha la prima motivazione. I dosaggi
enzimatici comunemente usati a scopo diagnostico sono numericamente limitati: solo una
decina sono di impiego routinario e questi oggi costituiscono circa il 30% del carico di lavoro
di un comune laboratorio di chimica clinica.
Enzimi nella diagnostica clinica
Le variazioni dell’attività enzimatica nel siero di enzimi di origine cellulare sono alla base
della diagnostica enzimatica. Gli enzimi possono trovarsi nel siero:
per esserne la sede naturale (e.g. enzimi della coagulazione, ossia la protrombina, il
fattore IX, il fattore VII)
per esserne riversati da liquidi organici (enzimi pancreatici)
in presenza di un processo patologico, la quantità immessa in circolo sarà sempre
maggiore (es: amilasi e lipasi in patologie pancreatiche)
In condizioni patologiche (danno d’organo), si ha una fuoriuscita e un versamento negli
spazi interstiziali e, quindi, nel torrente circolatorio. Nel siero, tali enzimi mostreranno una
variazione di attività enzimatica rispetto a quella misurata nella sede fisiologica.
Livelli di concentrazione degli enzimi plasmatici
Il livello enzimatico nel plasma è in rapporto con la velocità di immissione in
circolo e dipende da:
⇒ rapidità del danneggiamento cellulare
⇒ estensione della lesione
⇒ velocità di catabolismo dell’enzima
Il danneggiamento rapido di poche cellule (es. epatite virale) può far elevare di
molto il tasso di certi enzimi.
Il danneggiamento esteso e progressivo ma lento delle stesse cellule (es. cirrosi
epatica) può dar luogo ad un insignificante aumento degli stessi enzimi.
Bisogna rapportare il tasso di ciascun enzima al profilo enzimatico
e al quadro clinico
Livelli di concentrazione degli enzimi plasmatici
La diminuzione dell’attività enzimatica nel plasma è molto rara (diminuita
sintesi, deficit congenito)
L’aumento si verifica in seguito a liberazione abnorme da parte di un tessuto
patologico (es. fosfatasi acida nel carcinoma della prostata) o di un tessuto
leso (transaminasi nell’infarto del miocardio) o per ostacolato deflusso
(fosfatasi alcalina nelle ostruzioni delle vie biliari)
La liberazione degli enzimi da parte di un tessuto leso avviene per alterazione
della permeabilità della membrana cellulare senza morte della cellula quando
si tratta di enzimi liberi nel citoplasma.
Se gli enzimi in esame sono normalmente localizzati in organuli il loro dosaggio
è indice di danno più profondo a carico delle strutture vitali della cellula.
Livelli di concentrazione degli enzimi plasmatici
Meccanismi responsabili delle variazioni delle attività
degli enzimi sierici in condizioni patologiche
Attività enzimatica
L’attività enzimatica, proporzionale alla concentrazione dell’enzima, si esprime in UNITA’ e
rivela:
Un aumento della concentrazione dei prodotti
Una diminuzione della concentrazione del substrato
Una variazione della concentrazione del coenzima
Una Unità Internazionale (UI) equivale alla quantità di enzima che catalizza la conversione
di 1 µmole di substrato per minuto in condizioni definite di temperatura, pH, e
concentrazione del substrato
Per misurare l’attività catalitica l’enzima deve costituire il fattore limitante della reazione
pertanto il substrato deve essere presente in eccesso
ATTIVITA’ ENZIMATICA U/L = ∆A 1000 V
εtdv
d → spessore cuvetta
v → volume campione (mL)
t → tempo di reazione (min)
1000 → conversione a L
∆A → variazione di Abs
V → volume di reazione (mL)
Attività enzimatica
Fattori che possono influenzare la velocità di reazione enzimatica
Concentrazione di substrato
Quantità di enzima che catalizza la reazione
Stato di attivazione dell’enzima e la
Quantità di cofattori
Presenza di inibitori
Temperatura di incubazione (30-37 ± 0,1°C)
pH del mezzo di reazione
Nel SI l’unità di attività enzimatica è il kcat, che corrisponde all’attività di un
enzima che, in condizioni standard, catalizza la trasformazione di una mole di
substrato al secondo
La concentrazione di un enzima in soluzione deve essere espressa in unità per
millilitro (UI/ml)
Misura dell’attività enzimatica
Metodi di misura in continuo: monitoraggio continuo del procedere della
reazione per un periodo di tempo predefinito
Metodi a tempo fisso (end point o fixed time): determinazione iniziale e
finale, dopo che la reazione è stata bloccata
I metodi più diffusi in chimica clinica sono quelli di determinazione del
prodotto di trasformazione del substrato, ad opera dell’enzima, mediante
procedimenti colorimetrici o spettrofotometrici
Si segue nel tempo la variazione di un parametro fisico o chimico-fisico
caratteristico del prodotto o del substrato della reazione (e.g. assorbanza,
torbidità, diffrazione, fluorescenza, pH, potenziale elettrico, tensione parziale
dei gas)
Misura in continuo
Misura in continuo mediante test ottico semplice
Deidrogenasi
A + NADH + H+ → B + NAD+
Esempio
LDH
Piruvato + NADH + H+ → Lattato + NAD+
Misura in continuo mediante test ottico con indicatore
Se nessuno dei reagenti/prodotti dà un assorbimento ottico, si accoppia alla reazione
“primaria” una seconda reazione “indicatrice”, che utilizza uno dei prodotti della reazione
precedente
Enzima
A+B → C+D
Deidrogenasi
C (o D)+NADH+H+ → E+NAD+
Esempio
1. chetoglutarato + alanina → glutammato + piruvato (ALT) oppure
chetoglutarato + aspartato → glutammato + ossalacetato (AST)
LDH (o MDH)
2. Piruvato (o Ossalacetato) + NADH+H+ → Lattato (o Ac. Malico)+ NAD+
Spettro di assorbimento del NAD ridotto e ossidato
Isoenzimi
Proteine, codificate da geni differenti, capaci di catalizzare una specifica reazione, ma
che presentano diversa struttura e quindi diverse proprietà chimico-fisiche (e.g. carica,
solubilità) e talora anche diverse proprietà funzionali e affinità per il substrato,
adeguandosi alle esigenze metaboliche dei singoli tessuti.
Creatina chinasi
Nel SIERO, dove agiscono enzimi provenienti da localizzazioni tissutali e cellulari
differenti, alcune attività enzimatiche sono svolte da più isoenzimi.
In chimica clinica è fondamentale attribuire un determinato sospetto diagnostico ad un
determinato isoenzima specifico per un determinato tessuto
Isoenzimi di interesse clinico
Lattico deidrogenasi (infarto del miocardio, epatite virale)
Isocitrico deidrogenasi (epatiti virali)
Glucosio-6-fosfato deidrogenasi (anemia)
Glutammico deidrogenasi (affezioni epatiche)
Aspartico transaminasi (infarto del miocardio)
Creatina chinasi (indice di infarto e distrofia muscolare)
Colinesterasi (indice di funzionalità epatica)
Fosfatasi alcalina (affezioni epatiche e dell’app. scheletrico)
Lattico deidrogenasi (LDH)
La lattico deidrogenasi catalizza l’interconversione tra lattato e piruvato
Lattico deidrogenasi (LDH)
La lattato deidrogenasi è un tetramero cioè un oligomero formato da quattro
protomeri che può costruirsi con due tipi di subunità: H (Heart) ed M (Muscle) per dare
origine a cinque forme tetrameriche.
H
H
H
H
H
H
H4 (LDH1)
H3M (LDH2)
H2M2 (LDH3)
HM3 (LDH4)
M4 (LDH5)
H
H
H
M
M
M
M
H
M
M
M
M
M
M
Lattico deidrogenasi (LDH)
Gli isoenzimi della lattato deidrogenasi hanno origini tissutali differenti. Nel tessuto
muscolare predomina l’isoenzima M4 che, avendo maggiore affinità per il piruvato,
catalizza di preferenza la reazione nella direzione piruvato→
→ lattato. Nel cuore
predomina l’isoenzima H4, con affinità maggiore per il lattato e catalizza la reazione
nella direzione lattato→
→ piruvato.
Valori di riferimento: LDH totale sierica 313-618 UI/L
Si possono avere artefatti dovuti ad emolisi in quanto negli eritrociti la sua
concentrazione di LDH è 200 volte quella sierica.
Metodi di studio degli isoenzimi
Metodi generali
Metodi specifici
Metodi elettroforetici
Inibizione chimica
Metodi cromatografici
Inibizione fisica
Metodi IEF
Inibizione immunologica
Metodi immunochimici
Lattico deidrogenasi (LDH)
LDH1 e LDH2: valori elevati associati all’infarto del miocardio (in condizioni di
normalità LDH2 > LDH1; nell’infarto LDH1 > LDH2)
LDH5: rilasciata in circolo in numerose epatopatie (epatiti, cirrosi, congestione
epatica)
LDH2, LDH3, LDH4: livelli elevati in caso di formazioni neoplastiche voluminose e
metastatiche (dovute all’aumento di metabolismo delle cellule tumorali ed al loro
rapido turnover)
Per distinguere gli isoenzimi della LDH la tecnica più utilizzata è l’elettroforesi:
Profili enzimatici
Nel siero sono presenti più di 50 enzimi ma solo alcuni rivestono interesse clinico
Accertamento di lesioni
Accertamento di funzionalità degli organi
Diagnostica patologie metaboliche
Alcuni enzimi derivano da tessuti diversi ma vi sono contenuti in concentrazione
diversa. Ad esempio, AST e ALT sono entrambi localizzati principalmente nel fegato e
nel muscolo cardiaco ma la concentrazione di AST è maggiore nel muscolo cardiaco che
nel fegato per cui, nella valutazione di quadri patologici relativi a tali enzimi si hanno
differenti profili clinici:
Infarto del miocardio: l’AST aumenta di più rispetto ad ALT
Epatite virale: AST e ALT aumentano in egual misura
Enzimi di interesse clinico
LATTICO DEIDROGENASI (LDH)
LOCALIZZAZIONE: miocardio, globuli rossi, reni, milza, pancreas, tiroide, linfonodi,
fegato, muscoli scheletrici.
UTILITA’ DIAGNOSTICA: aumenta per danneggiamento o necrosi di tali tessuti o organi.
CREATINA FOSFOCHINASI (CK o CPK)
LOCALIZZAZIONE: Muscoli scheletrici, miocardio, cervello.
UTILITA’ DIAGNOSTICA: diagnosi di infarto del miocardio.
FOSFATASI ACIDA (ACP)
LOCALIZZAZIONE: Prostata, piastrine, G.R., fegato, milza, reni, ossa.
UTILITA’ DIAGNOSTICA: aumenta in caso di carcinoma prostatico.
Enzimi di interesse clinico
FOSFATASI ALCALINA (ALP)
LOCALIZZAZIONE: Fegato, ossa; è presente anche in intestino, placenta, reni a più bassa
concentrazione.
UTILITA’ DIAGNOSTICA: La via di eliminazione dell’ALP è attraverso la bile. Di
conseguenza, l’ostruzione delle vie biliari porta ad un reflusso dell’enzima
nell’interstizio e al suo assorbimento in circolo. Aumenta nelle seguenti condizioni:
1) Bambini (per l’accrescimento osseo)
2) Gravidanza (immissione in circolo dell’isoenzima placentare)
3) Epatopatie
4) Malattie ossee
AMILASI
LOCALIZZAZIONE: Presente in pancreas (30%), saliva (60%), fegato (10%), ghiandole
sudoripare, trombe di falloppio, muscoli, tessuto adiposo, polmoni.
UTILITA’ DIAGNOSTICA: aumenta per danneggiamento o necrosi di tali tessuti o organi.
Enzimi di interesse clinico
ASPARTATO e ALANINA AMMINOTRANSFERASI (AST e ALT)
LOCALIZZAZIONE: Sono presenti all’interno delle cellule
AST: legato ai mitocondri
ALT: citoplasma degli epatociti e mitocondri
La differenza di concentrazione di AST e ALT tra l’esterno e l’interno della cellula è
enorme (ALT = 1:10.000, AST = 1:11.000)
In condizioni normali le membrane cellulari sono impermeabili ad esse → nel siero
normalmente i valori di concentrazione sono estremamente bassi
UTILITA’ DIAGNOSTICA: la determinazione dell’ALT risulta utile solo nella diagnosi
di epatopatie mentre quella dell’AST è utilizzata principalmente per la diagnosi di
infarto del miocardio
Note anche come : GOT, GLUTAMMATO-OSSALACETATO-TRANSAMINASI (AST) e
GPT, GLUTAMMATO-PIRUVATO-TRANSAMINASI (ALT)
Enzimi di interesse clinico
γ-GT γ-glutamil-transpeptidasi (o GTT)
LOCALIZZAZIONE: Glicoproteina di membrana responsabile della sintesi intracellulare di
glutatione
UTILITA’ DIAGNOSTICA:
• Livelli sierici aumentati in alcolisti->l’alcool induce la sua produzione nel fegato
• dosaggi utili nelle epatopatie (colestasi)
⇒ maggiore sensibilità rispetto ad ALP
⇒ minore specificità rispetto ad ALP
Colinesterasi (o Pseudocolinesterasi)
LOCALIZZAZIONE: Enzima prodotto dal fegato in maniera specifica.
UTILITA’ DIAGNOSTICA: Diminuisce quando è danneggiata la capacità di sintesi epatica
delle proteine.
Numero di dibucaina
La dibucaina è uno degli anestetici locali più efficaci e ad azione prolungata che ha un
effetto inibente sulla reazione enzimatica catalizzata dalla colinesterasi.
Persone con livelli normali di colinesterasi ma in cui la
proteina è presente con varianti genetiche non inibite
dalla dibucaina potrebbero avere depressione
respiratoria nel corso di operazioni chirurgiche. Per
questo è importante eseguire un test che valuta
l'attività dell'enzima colinesterasi in presenza di
dibucaina che ne inibisce l'attività.
Numero di dibucaina: Il numero di dibucaina è la percentuale di attività colinesterasi
sierica inibita dalla dibucaina in condizioni standard: un numero di dibucaina elevato
indica un’inibizione tipica dell’enzima normale mentre un numero basso è presente nei
soggetti omozigoti per colinesterasi mutata.
SIGNIFICATO CLINICO DELL’ATTIVITA’ DEGLI ENZIMI
NEI MATERIALI BIOLOGICI
Gli enzimi di interesse clinico possono essere:
ORGANO ASPECIFICI:
AST
ALT
LDH
ORGANO SPECIFICI:
1.ENZIMI EPATICI
1.1. ENZIMI DI SECREZIONE
CHE ↓ Epatopatie
CHE ↑ Sindrome nefrosica
1.2. ENZIMI DI CITOLISI
AST e ALT
LDH
1.3. ENZIMI DI COLOSTASI
GGT
LAP (Leucin-amino-peptidasi)
2.ENZIMI DEL MIOCARDIO
AST
LDH1
CK-MB
3.ENZIMI DEL MUSCOLO
ALDOLASI
CK
4.ENZIMI DELL’OSSO
FOSFATASI ALCALINA
ALP
5.ENZIMI DELLA PROSTATA
FOSFATASI ACIDA
Enzimi di comune interesse clinico
Infarto del miocardio
L’infarto del miocardio è oggi una delle più frequenti cause di morte nelle nazioni
industrializzate. E’ provocato dalla brusca riduzione dell’apporto di sangue attraverso le
arterie coronarie, sangue dal quale il muscolo cardiaco deve trarre il nutrimento e
soprattutto l’ossigeno di cui ha bisogno in modo più elevato di qualsiasi altro tessuto.
La riduzione dell’afflusso di sangue arterioso causa una profonda sofferenza delle
cellule miocardiche (ischemia).
Fattori di Rischio
Fattori di rischio non modificabili
Età > 65 anni
Sesso maschile < 65
Storia familiare: base genetica
Fattori di rischio indipendenti modificabili
Ipercolesterolemia (> 240 mg/dl): placche aterosclerotiche
Ipertensione: accelera l’evoluzione della placca fibrosa
Diabete mellito: aumenta il rischio aterogeno
Fumo: la nicotina provoca vasocostrizione e lieve ipertensione
Altri fattori di rischio
Obesità: ipertensione, ipercolesterolemia, resistenza all’insulina
Mancata attività fisica: accelera la progressione aterosclerotica
Iperomocisteinemia: aterogena + aumenta aggregazione piastrinica
Iperfribinogenemia: eccessiva coagulabilità
Ridotta attività fibrinolitica: incapacità di risolvere il trombo
Diagnosi di Infarto Acuto del Miocardio (IMA)
Esame Obiettivo: nella fase acuta può essere negativo
Esami di Laboratorio: markers di precoce comparsa e di cardiospecificità
Radiografia toracica
Diagnostica per immagini
ECG: rappresenta l’esame strumentale più utile
Complesso QRS: sistole ventricolare
Marcatori di infarto del miocardio
La fibrocellula miocardica è particolarmente ricca di alcuni enzimi. La necrosi di estese
zone di miocardio determina l’innalzamento dei livelli sierici di tali enzimi in misura
significativa.
Gli enzimi di utilità diagnostica per la diagnosi di infarto del miocardio si distinguono in
INDICATORI PRECOCI (Creatina chinasi, Mioglobina e Troponine) e INDICATORI TARDIVI
(Lattico deidrogenasi, Miosina e Aspartato amminotransferasi)
Indicatori precoci: creatina chinasi (CK o CPK)
Enzima che catalizza la fosforilazione reversibile della creatina a fosfocreatina, consumando
ATP e liberando energia chimica. La reversibilità della reazione permette di liberare energia
sotto forma di ATP sfruttando la defosforilazione della fosfocreatina.
E’ un dimero citosolico costituito da 2 monomeri (M, muscle e B, brain) i cui geni sono
collocati su 2 cromosomi differenti), diversamente combinati a formare 3 isoenzimi:
CK1 (BB: cervello, mai nel sangue)
CK2 (MB: 20% cuore, siero in caso di infarto)
CK3 (MM: 90% muscolo scheletrico, 80% cuore e siero)
Indicatori precoci: creatina chinasi (CK o CPK)
L’isoenzima MB (CK2) è presente nel miocardio.
L’interesse
clinico
della
determinazione
dell’isoenzima MB nel siero deriva dal fatto che
esso aumenta quasi esclusivamente nell’infarto
del miocardio (CK MB > 6% CK totale) e può
essere considerato un enzima “infarto del
miocardio specifico”.
Nei casi di infarto del miocardio l’aumento
dell’isoenzima MB è precoce; comincia ad
aumentare nelle prime 4-6 ore, raggiunge il
massimo rapidamente (12-18 ore) e, più
rapidamente della CPK totale, torna nei limiti
normali. Il ritorno a valori normali avviene
generalmente entro 48 ore e precede quindi di 24
ore quello della CPK totale.
Indicatori precoci: Mioglibina
Proteina trasportatrice di O2 dalle membrane cellulari ai mitocondri. Essa rappresenta
il primo marker di danno miocellulare liberato nel torrente circolatorio. Nel corso di
IMA aumenta dopo la 1a ora dall’insorgere dell’evento con un picco tra 16/18 ore ed
un ripristino dei valori normali dopo 24/36 ore.
Purtroppo la mioglobina scheletrica prodotta in caso di intensa attività fisica non è
distinguibile da quella cardiaca. La diagnosi differenziale viene eseguita mediante il
dosaggio dell’anidrasi carbonica III che è presente soltanto nel muscolo scheletrico.
Indicatori precoci: Troponina
La contrazione muscolare del muscolo è
generata dall’interazione di miosina e actina che
rappresentano oltre l’80% della massa proteica
del muscolo.
L’interazione tra le due è consentita dal
complesso delle TROPONINE (T, C, I) che
partecipa, insieme ad actina e tropomiosina alla
formazione del filamento sottile del muscolo
striato.
Le
troponine
presiedono
ai
processi
di
contrattilità muscolare, regolando l’interazione
calcio-mediata dell’actina con la miosina.
Indicatori precoci: Troponina
Le forme cardiache delle troponine T ed I sono distinguibili da quelle presenti nella
muscolatura cardiaca grazie all’utilizzo di specifici anticorpi monoclonali. I livelli
circolanti nel siero sono normalmente molto bassi, ma possono aumentare
rapidamente dopo necrosi miocardica.
Nel corso di IMA la troponina I aumenta entro le 3/6 ore con un picco tra le 15/25
ore ed un ripristino dei valori normali dopo circa 7 giorni, associando quindi
l’elevata specificità a un’ampia finestra diagnostica.
Troponina I: specificità più elevata, dosaggio in 10’
Troponina T: specificità meno elevata, dosaggio in 2 h
Indicatori precoci: Troponina
Le isoforme cardiache delle troponine T e I sono quindi indicatori molto specifici e
molto sensibili di danno miocardico. Con le troponine è inoltre possibile rivelare infarti
di dimensioni molto più piccole rispetto a quelle osservabili con gli altri marcatori
cardiaci.
Indicatori tardivi: lattico deidrogenasi
Enzima che catalizza la conversione del lattato in piruvato, è presente in 5 forme
isoenzimatiche in funzione delle combinazioni delle subunità H ed M.
LDH1 : presente prevalentemente nel miocardio
LDH4 LDH5: presente prevalentemente nel fegato e nel muscolo scheletrico
Nel corso di IMA l’incremento della concentrazione sierica di LDH1
precede quella di LDH totale, aumenta dopo la 8/24 ore
dall’esordio dell’evento con un picco dopo 3/6 giorni ed un
ripristino dei valori normali entro 8/14 giorni, quindi un indicatore
di infarto pregresso.
Indicatori tardivi: miosina
Rappresenta una delle maggiori componenti strutturali del tessuto muscolare, composta
da:
MHC : catene pesanti isoforme α e β nel miocardio (solo β m. scheletrico)
non presentano pool citoplasmatico, aumentano in circolo soltanto dopo 48 h
dall’insulto miocardico, raggiungono il picco dopo 5/6 giorni e tornano a valori
normali dopo più di 10 giorni
MCL1 e MCL2: catene leggere legate alla regione N terminale delle MHC.
Presentano un piccolo pool citoplasmatico, sono riversati nel sangue entro 6 ore
dall’insulto e persistono per circa 14 giorni
Indicatori tardivi: aspartato amminotransferasi
Enzima prevalente nelle cellule miocardiche, i livelli sierici aumentano dopo 8/12 h
dall’inizio della sintomatologia dolorosa, raggiungono il picco dopo 24/48 ore e rientrano
nella norma dopo 3/4 giorni. Non fornisce informazioni diagnostiche aggiuntive a quelle
già ottenute con la determinazione delle CPK e LDH.
Markers Biochimici di Danno al Miocardio