Medea, donna e straniera L’insensibilità di Giasone e la vendetta di Medea La Lunga Notte Di Medea “Medea mi è apparsa un’antenata di tante donne che Dopo dieci anni che Medea e Giasone sono sposati, Creonte, re di Corinto, vuole dare sua figlia Glauce in sposa a Giasone, dando così a quest'ultimo la possibilità di successione al trono. Giasone accetta, abbandonando così sua moglie Medea. hanno subito una persecuzione razziale, e di tante che, respinte dalla loro patria, vagano senza passaporto da nazione a nazione, popolano i campi di concentramento e i campi profughi. Secondo me, ella uccide i figli per non esporli alla tragedia del vagabondaggio, dalla persecuzione della fame: estingue il seme di una maledizione sociale e di razza, li uccide in qualche modo per salvarli, in uno slancio di disperato amore materno.” Vista l'indifferenza e il disinteresse di Giasone nei confronti della disperazione della donna, Medea medita un’ atroce e terribile vendetta. Fingendosi rassegnata, invia in dono degli abiti alla giovane Glauce, la quale, è all’ oscuro che gli abiti siano intrisi di veleno, nel momento in cui li stava per indossare, muore fra dolori strazianti. Il padre Creonte, corso in suo aiuto, tocca anch'egli gli abiti e muore insieme a sua figlia. La vendetta di Medea non finisce qua. Per assicurarsi che Giasone non abbia alcuna discendenza, uccide i loro figli. C. Alvaro, La Lunga Notte Di Medea, rappresentazione dell’ 11-07-1949. Il viaggio di Medea Dopo che Medea uccise i suoi figli e fuggì ad Atene dal re Egeo, che le aveva promesso asilo, tra loro nacque un figlio di nome Medo. Il soggiorno ad Atene fu caratterizzato da un'atmosfera di calma e di pace fino all'arrivo di Teseo, venuto per farsi riconoscere dal padre Egeo e assicurarsi i propri diritti alla successione. Accolto da Egeo, pur sospettoso dello straniero, Medea cercò di far sì che Egeo uccidesse Teseo chiedendogli di catturare il toro di Maratona, ma Teseo riuscì nell'impresa. Medea allora, temendo di perdere il proprio ascendente su Egeo, persuase il re che Teseo era un avventuriero desideroso di impadronirsi del suo trono. Egeo lasciò che Medea preparasse una coppa di vino avvelenato, riconoscendo il figlio dalla spada che portava, strappò in tempo la coppa dalle mani della maga. Medea fu così costretta a fuggire anche da Atene. Le Argonautiche di Apollonio Rodio Pelia ha usurpato il regno di Iolco al fratellastro Esone, padre di Giasone, che reclama il trono. Giasone, su indicazione dell'usurpatore Pelia, parte per la Colchide sulla sua nave Argo, per recuperare il vello d'oro come lasciapassare per il regno. Giasone salpa da Pegase insieme ai suoi compagni di viaggio, gli Argonauti. L’eroe poté conquistare il vello d'oro grazie all'amore di Medea. Sull'Olimpo Afrodite, spronata da Era ed Atena, ordina a suo figlio Eros di colpire con una freccia Medea per farla innamorare di Giasone. Da questo intervento divino iniziano i tormenti interiori di Medea, combattuta tra l'amore che prova per Giasone e la fedeltà verso suo padre, il re Eeta della Colchide. Il sovrano ha subordinato il possesso del vello d'oro a delle prove: il giovane deve aggiogare due tori spiranti fuoco, arare un campo dove piantare in seguito dei denti di serpente da cui nasceranno spaventosi guerrieri, che dovrà poi sconfiggere. Questa impresa sarà compiuta da Giasone grazie al filtro magico procuratogli da Medea. Successivamente Medea, Giasone e gli Argonauti fuggono. Giasone sposa Medea per ricompensarla del suo aiuto. L’opera termina con un'invocazione di Giasone ad Apollo, mentre gli Argonauti rientrano a Pegase. Nella selva di Medea Quivi era fama che Medea, fuggendo dopo tanti inimici al fin Teseo, che fu, con modo a ricontarlo orrendo, quasi ucciso per lei dal padre Egeo; né più per tutto il mondo loco avendo ove tornar se non odioso e reo, in quelle allora inabitate parti venne, e portò le sue malefiche arti (103, 1-8) So ch’alcun scrive che la via non prese, quando fuggì dal suo figliastro audace, verso Boemia, ma andò nel paese che tra i Caspi e l’Oronte e Ircania giace, e che ‘l nome di Media da lei scese: il che a negar non sarò pertinace; ma dirò ben ch’anco in Boemia venne o dopo, o allora, e signoria vi tenne (104, 1-8) Ludovico Ariosto,“I cinque canti”