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Recensione del volume:
BRIC: Brasile, Russia, India, Cina
alla guida dell’economia globale◊
A. GOLDSTEIN
a cura di
Fabrizio Coricelli*
Paris School of Economics e CEPR
Già nel titolo, il libro di Andrea Goldstein sostiene che i BRIC, ovvero Brasile,
Russia, Cina e India, sono destinati a prendere la “guida dell’economia mondiale”.
Questo semplice ma straordinariamente importante fatto non è al centro dell’attenzione dei paesi cosiddetti avanzati. Gli effetti della crisi globale, i rischi di un
crollo della zona euro distolgono l’attenzione da tendenze di lungo periodo, che
sono però decisive anche per il futuro delle economie dei paesi avanzati, Italia inclusa. È difficile pensare, infatti, ad uno scenario di crescita dei paesi avanzati trascinato dalle tradizionali “locomotive”, ovvero gli Stati Uniti e l’Europa stessa.
Le nostre opportunità di crescita si basano sulla capacità che avranno le economie
dei paesi emergenti, i BRIC in primis, di trainare l’economia mondiale. Tale capacità dipenderà anche dalla lungimiranza dei paesi avanzati nel dare spazio e
voce ai paesi emergenti e accettare il loro ruolo centrale nell’economia mondiale.
Prima della crisi globale del 2008 i BRIC, e più in generale le economie dei
paesi emergenti (Em) venivano visti con sospetto nei paesi avanzati, come una
minaccia per la crescita economica e per la sostenibilità di un modello di sviluppo
basato su un elevato tenore di vita e su un generoso sistema di protezione sociale
fornito dallo Stato. L’immagine riportata dalla stampa del presidente dell’Efsf
Klaus Regling in viaggio a Pechino per cercare il sostegno della Cina per risolvere
la crisi del debito sovrano nella zona Euro è emblematica del cambiamento apportato dalla crisi. Le speranze per l’uscita dalla crisi sono riposte nella capacità
◊
Ed. Il Mulino, Milano, 2011.
* <[email protected]>.
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dei BRIC e dei paesi emergenti di fare da locomotiva dell’economia mondiale e
da finanziatori dei governi indebitati dei paesi avanzati. In tale contesto, un libro
che ci aiuti a capire i BRIC, la natura dei loro sistemi economico-sociali e le loro
prospettive di sviluppo è indubbiamente di grande importanza. È inoltre decisivo
per un paese come l’Italia, paese a vocazione industriale e particolarmente esposto
alla concorrenza da parte dei BRIC. Data l’importanza del tema, è fondamentale
evitare il rischio di creare falsi miti e catturare soltanto gli aspetti superficiali del
fenomeno dei BRIC. Andrea Goldstein fornisce un contributo utilissimo per evitare di cadere nei luoghi comuni. La profonda conoscenza diretta che l’autore ha
dei BRIC emerge in maniera chiara in un libro che è al tempo stesso di gradevolissima lettura, privo di inutili tecnicismi, ma non superficiale. Il libro, dopo aver
analizzato la struttura economica e la performance dei BRIC, si concentra su alcuni temi fondamentali per comprendere le caratteristiche e le prospettive per i
BRIC. Tali temi riguardano le dinamiche sociali, le istituzioni e le politiche adottate dai BRIC. Il libro analizza poi le tendenze principali dell’integrazione dei
BRIC nell’economia mondiale, si sofferma su alcuni aspetti poco noti, quali l’innovazione, la dinamica delle grandi imprese dei BRIC, per poi affrontare il tema
dell’impatto dei BRIC sull’economia italiana. Il libro si chiude con una discussione sul ruolo dei BRIC nella governance economica internazionale.
Un capitolo è dedicato al rapporto fra Italia e i BRIC. Questi paesi sono diventati un’area fondamentale per gli scambi commerciali dell’Italia, particolarmente in crescita quelli con la Cina e la Russia. Tale accresciuto interscambio
rivela, però, alcuni punti di debolezza. Il primo è che l’Italia ha un deficit strutturale nel saldo commerciale con i BRIC che cresce nel tempo. In secondo luogo,
l’Italia non ha ancora saputo sfruttare i mercati dei BRIC. La quota italiana sulle
importazioni dei BRIC è inferiore alla quota dell’Italia sulle importazioni mondiali. Questo è un preoccupante segnale dell’incapacità italiana nel penetrare i
mercati più dinamici dell’economia mondiale. Assieme alla vulnerabilità di molti
settori italiani alla concorrenza che viene dai BRIC sui mercati mondiali, la bassa
penetrazione dell’export italiano nei BRIC rappresenta un dato estremamente negativo che, se non invertito, rischia di tagliare fuori l’Italia da un enorme potenziale di crescita futura. Per quanto riguarda gli investimenti di imprese
multinazionali dei BRIC in Italia il quadro è ancora poco chiaro. C’è indubbiamente un accresciuto interesse da parte delle multinazionali dei BRIC per l’Italia,
ma è plausibile che le note debolezze istituzionali del nostro Paese impediscano
un ingresso più significativo di investimenti scoraggiati dalla difficoltà del doing
business nel nostro Paese.
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Rassegna bibliografica
Per quanto riguarda gli aspetti più generali del ruolo dei BRIC nell’economia
mondiale, quali sono gli spunti principali del libro, le sue punch lines? In primo
luogo, c’è la nozione di complessità del fenomeno dell’ascesa dei BRIC nell’arena
dell’economia globale. Goldstein afferma nelle conclusioni “Due dati sembrano
sintetizzare questa complessità – 30%, il contributo dei BRIC alla crescita dell’economia mondiale nel biennio 2009-2010; 52%, la quota sul totale mondiale
dei poveri che vivono in questi paesi – e da cui è possibile tratteggiare uno scenario: giganti sicuramente, ma dai piedi ancora di argilla, o quantomeno non ancora
abbastanza solidi per garantire maggiore stabilità all’economia globale”. Estrapolando le tendenze correnti, un recente studio della Hsbc (“The World in 2050”)
mostra che nel 2050 il prodotto interno lordo della Cina, misurato in dollari a
prezzi costanti, avrà superato quello degli Stati Uniti e che quello dell’India si
collocherà al terzo posto nel ranking mondiale. Guardando però al livello del reddito pro capite, sempre in dollari a prezzi costanti, il Pil della Cina sarà ancora
soltanto un terzo di quello degli USA e quello dell’India un decimo. In termini
di parità di poteri d’acquisto, tenendo cioé in considerazione il diverso livello dei
prezzi, la distanza sarà inferiore ma sempre enorme, con la Cina che si attesterà
ad un livello di reddito pro capite pari alla metà di quello statunitense.
Il secondo contributo del libro è quello di legare l’ascesa dei BRIC al processo
di “globalizzazione”. Pur con grandi differenze fra i vari BRIC, tutti sono saltati
sul treno della globalizzazione, con Cina e India sfruttando la crescita del commercio dei manufatti (Cina) e dei servizi (India) e Brasile e Russia l’accresciuta
domanda di materie prime. Un aspetto interessante sottolineato da Goldstein è
che la globalizzazione ha portato ad un forte aumento non soltanto degli scambi
commerciali fra BRIC e resto del mondo ma anche fra gli stessi BRIC, o più in
generale fra i paesi emergenti. Oltre agli scambi commerciali, anche per i flussi
di capitale e migratori movimenti cosiddetti South-South, ovvero fra i paesi emergenti, sono sempre più significativi.
Il terzo spunto riguarda gli effetti “cognitivi”, in particolare sul ruolo dello
Stato nell’economia. Si potrebbe aggiungere forse anche una rivoluzione culturale
sul rapporto fra democrazia e crescita economica. È ancora presto per comprendere l’impatto che la crescita dei BRIC avrà sulla visione del ruolo dello Stato
nell’economia e della democrazia, ma è indubbio che semplicistiche visioni più o
meno liberiste stanno perdendo la loro forza o perlomeno è ormai assodato che
molte posizioni prima considerate intellettualmente accettabili sono ora emerse
come semplici slogan. A tale proposito, un campo di indagine di grande importanza è dato dall’analisi delle differenze fra i sistemi politici e fra le politiche eco407
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nomiche seguite dai diversi BRIC. Il contrasto, ad esempio, fra Cina ed India è
estremamente interessante. Goldstein sottolinea queste differenze e più in generale
le complesse dinamiche che stanno attraversando i BRIC, in relazione allo sviluppo delle spinte per una vera democrazia e per un sistema economico più equo.
Il quarto e ultimo spunto è dato dal ruolo dei BRIC nella governance dell’economia mondiale, sostenendo che il processo di spostamento del baricentro nella
governance dell’economia mondiale dal Nord al Sud è ineluttabile, anche se le caratteristiche precise di tale spostamento sono ancora poco chiare, come mostrato
dagli alti e bassi nel ruolo del G20.
Vi sono due aspetti che a mio avviso restano aperti. Il primo riguarda la teoria
della crescita e la convergenza dei paesi più poveri a quelli più ricchi. Il secondo,
di interesse più immediato, è legato al problema delle global imbalances, ossia il
grande surplus commerciale della Cina a fronte del deficit degli Stati Uniti, e delle
cosiddette currency wars. Riguardo alla crescita e convergenza, se si analizzano i
percorsi di crescita di lungo periodo dei vari paesi si nota che il processo di convergenza verso il reddito pro capite dei paesi leader coincide con una rottura fondamentale nel percorso di crescita. Secondo Parente e Prescott tale salto coincide
con la riduzione delle barriere alla crescita rappresentate dagli interessi particolaristici di lobby economiche legate a settori inefficienti e poco dinamici. Se utilizziamo gli Stati Uniti come paese leader a partire dal secolo ventesimo, possiamo
notare nella figura qui sotto che per Cina e India un processo di convergenza si
mette in moto negli anni Ottanta e subisce una chiara accelerazione negli anni
Novanta con il fenomeno della globalizzazione. Per Russia e Brasile, nonostante
i recenti segnali di ripresa, un percorso di convergenza non è stato ancora avviato,
soprattutto a causa delle crisi che questi paesi hanno avuto negli anni Novanta e
all’inizio degli anni Duemila, come ben analizzato da Goldstein. La distanza dal
leader resta così grande che vi è uno spazio enorme per una convergenza basata
sull’accumulazione di capitale, coerentemente con il modello di Solow.
In uno scenario ottimistico, la velocità di convergenza può essere estremamente
elevata per i BRIC, dal momento che la tecnologia è oggi trasferibile in maniera
molto più rapida che nei secoli passati. Due quesiti possono però essere sollevati.
Il primo riguarda la coerenza fra le istituzioni, la struttura politica e sociale dei
BRIC e uno scenario da paesi ricchi, con elevati redditi pro capite. In altre parole,
può il modello cinese sopravvivere in un contesto di elevato benessere e ricchezza?
È probabile che il sistema debba modificarsi radicalmente, il che implica trasformazioni nette del sistema politico e della struttura sociale. In questo caso potrebbe
esserci un punto di arresto della convergenza superabile soltanto con una grande
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Rassegna bibliografica
GRAF. 1
REDDITO PRO CAPITE IN RAPPORTO AGLI USA
Fonte: MADDISON A. (2011).
trasformazione. Un elemento fondamentale è dato dalle disuguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza. Un aumento delle disuguaglianze ottenuto in un paese con elevata crescita garantisce una riduzione assoluta della
povertà e quindi può essere sostenibile socialmente e politicamente. Superata la
soglia di reddito coerente con una quota di povertà assoluta molto bassa, le disuguaglianze condurranno probabilmente a forti contrasti politici. Il secondo elemento riguarda la differenza fra i vari BRIC. Il processo di convergenza sembra
interessare più i paesi con forte espansione del settore manifatturiero e dei servizi
(Cina e India). Meno chiara la performance di lungo periodo di paesi che basano
la propria forza nella disponibilità di risorse naturali e con una concentrazione
delle esportazioni nelle materie prime.
Per quanto riguarda la questione delle guerre valutarie e, in particolare, dell’esigenza di un apprezzamento sostanziale del tasso di cambio reale per la Cina,
è necessario pensare ad una soluzione che risolva il dilemma correttamente evidenziato da Goldstein. Tale dilemma è che la Cina ha un avanzo commerciale
enorme rispetto agli Stati Uniti e altri paesi avanzati, ma ha un deficit con paesi
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emergenti, soprattutto asiatici. Un apprezzamento forte dello yuan comporterebbe
non solo una riduzione dello squilibrio con gli Stati Uniti, che peraltro avverrebbe
soprattutto attraverso un aumento delle importazioni cinesi, ma anche una forte
perdita di competitività rispetto ad altri paesi emergenti e quindi un declino delle
esportazioni. Ciò avrebbe probabilmente effetti negativi sulla crescita di lungo
periodo della Cina, come sottolineato ad esempio da vari lavori di Ricardo Hausmann e Dani Rodrik, che attribuiscono il boom cinese alla capacità di esportare.
L’uscita da questo dilemma richiederebbe un accordo internazionale sui cambi
che garantirebbe l’apprezzamento dello yuan rispetto al dollaro e al tempo stesso
una stabilità rispetto alle valute dei paesi emergenti, i quali potrebbero ancorarsi
allo yuan (questa proposta è stata recentemente avanzata da Guillermo Calvo).
Questo accordo appare oggi improbabile poiché i paesi avanzati e il Fondo Monetario sembrano non capire il fondamento reale delle obiezioni cinesi all’ apprezzamento reale dello yuan rispetto a tutti i paesi concorrenti.
Come ogni buon libro, anche quello di Andrea Goldstein ha il grande pregio
di stimolare il lettore a pensare a quesiti fondamentali, anche se ancora aperti e
irrisolti.
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Rassegna bibliografica
BIBLIOGRAFIA
CALVO G., Collateral Meltdown, Credit Sudden Stop, High Volatility. Some Reflections on
Liquidity Mischief, Columbia University, mimeo, 2011.
HAUSMANN R. - HWANG J. - RODRIK D., «What You Export Matters», Journal of Economic Growth, Springer, vol. 12(1), March 2007, pages 1-25.
HSBC, The World in 2050, 2011.
MADDISON A., Historical Statistics of the World Economy: 1-2008 AD, 2011.
RODRIK D., «What’s So Special about China’s Exports?», China & World Economy, Institute of World Economics and Politics, Chinese Academy of Social Sciences, vol.
14(5), 2006, pages 1-19.
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