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I Bardi
Le vicende dei Bardi sono esemplari per la rapida parabola di ascesa e caduta delle famiglie che
dominarono la vita politica ed economica di Firenze fra il XIII e il XIV secolo.
Seguiamo il racconto fatto dal cronista Giovanni Villani (Nuova Cronica, libri XII e XIII, U.
Guanda, Parma 1991, vol. III), che aveva lavorato presso la compagnia dei Bardi, e le
considerazioni sviluppate dallo storico Carlo M. Cipolla (Uomini duri, in Tre storie extra vaganti, Il
Mulino, Bologna 1994).
Ascesa…
Originari del contado fiorentino, i Bardi si inurbarono nel XII secolo e furono poi una delle famiglie
dell’oligarchia giunta al potere in seguito alla definitiva sconfitta dei ghibellini nel 1266. Essi
restavano però una famiglia di origine aristocratico-militare e la legislazione “antimagnatizia” del
1293 li escluse dalle cariche di governo, pur non impedendo che proseguisse la loro ascesa
economica.
I Bardi costituivano un vero e proprio clan, formato da decine di famiglie e centinaia di
componenti, che abitavano perlopiù nella strada di Firenze, situata vicino al Ponte Vecchio sulla
riva sinistra dell’Arno, che da loro prendeva il suo nome. La loro compagnia commerciale e
bancaria era verso il 1330 la più grande e potente d’Europa. Aveva venticinque filiali sparse in
Italia e nei luoghi strategici del commercio mediterraneo ed europeo e si occupava fra l’altro
dell’esportazione delle lane inglesi, considerate quelle di più alta qualità, nei maggiori centri di
produzione tessile. Aveva, inoltre, ottenuto l’appalto delle decime papali e attraverso i prestiti alla
monarchia inglese era giunta a controllare l’economia e la finanza del paese fino al punto di
ottenere il monopolio del commercio delle sue lane e di farsi dare in pegno la corona reale.
La sua prosperità prese però a derivare anche da speculazioni arrischiate. Abituati a farsi ragione
con la forza e accusati dai popolani di essere violenti e arroganti, i Bardi cominciarono a rendersi
conto sul finire degli anni trenta che il loro sistema di affari stava diventando sempre più fragile.
Cercarono allora di conquistare il potere, direttamente o per mezzo di uomini di fiducia, con il
chiaro intento di servirsi dello stato per risolvere i loro complicati problemi finanziari.
… e caduta
Nel novembre 1340 tentarono con altre famiglie un colpo di stato orientato (come dice Villani) a
«rifare in Firenze nuovo stato, e chi disse disfare il popolo», cioè abbattere il regime “popolare” ed
eliminare le leggi che impedivano ai “magnati” l’accesso alle cariche di governo. Ma la congiura
fallì e condusse all’esilio di sedici membri della famiglia.
Nel 1342 furono fra i responsabili di un altro tentativo di sovvertimento costituzionale. Favorirono
infatti le ambizioni di Gualtieri di Brienne, un piccolo nobile di origine francese ma vissuto a lungo
in Grecia, essendo stato uno degli avventurieri che si contendevano brandelli dell’impero bizantino
e fregiandosi ancora del titolo di duca d’Atene. Appoggiando la sua demagogia populista
(straordinarie promesse al popolo, esibizione di lusso e potenza), nel settembre 1342 fecero elevare
il duca a signore di Firenze a vita. Ottennero così il rientro dei parenti banditi nel 1340 e puntarono
all’abolizione degli ordinamenti antimagnatizi.
La signoria del duca d’Atene si risolse in una tirannide impopolare e durò appena undici mesi; gli
stessi Bardi parteciparono nel luglio 1343 al suo rovesciamento. Subito misero in piedi un’altra
cospirazione per impadronirsi del governo, ma questa volta incontrarono l’opposizione del “popolo
minuto”. In settembre i popolani si sollevarono contro i Bardi e dettero alle fiamme le loro case.
Alla sconfitta politica seguì inevitabilmente la bancarotta economica, che determinò l’avvio del
declino della famiglia.
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