SPETTROMETRIA DI MASSA La spettrometria di massa è una tecnica che permette di misurare la massa di una molecola (e in alcuni casi di suoi frammenti). In uno spettrometro di massa, la molecola deve essere prima volatilizzata e ionizzata, in modo da formare ioni con carica positiva o negativa che si possano muovere liberamente nel vuoto (la parte dello spettrometro che fa questo è detta sorgente); lo spettrometro è in grado di misurare è il rapporto massa/carica (indicato con m/z o m/e) dello ione formato, e da questo la massa (la parte dello spettrometro che fa questo è detta analizzatore). Le diverse particolari tecniche in cui è suddivisa la spettrometria di massa differiscono principalmente per due fattori: 1. il modo in cui la molecola è ionizzata: • Sorgente EI (impatto elettronico) • Sorgente CI (ionizzazione chimica) • Sorgente FAB (fast atom bombarment) • Sorgente electrospray • Sorgente MALDI (Matrix Assisted Laser Desorption and Ionization). 2. il modo in cui è misurato il rapporto massa/carica: • Analizzatore magnetico • Analizzatore a quadrupolo • Analizzatore TOF (time of flight) Lo spettrometro ad impatto elettronico. Esaminiamo lo spettrometro in uso da più tempo, quello con sorgente ad impatto elettronico (EI) ed analizzatore magnetico. Tutto l’apparecchio è sotto alto vuoto, con una pressione intorno ai 10-5-10-6 Tor. Il campione viene introdotto nella sorgente, dove passa allo stato di vapore (se necessario è possibile riscaldare il contenitore del campione per aumentarne la volatilità). Le molecole dal campione vaporizzato sono colpite da elettroni ad elevata energia (tipicamente 70 eV) emessi da un filamento incandescente. Questi elettroni possono addizionarsi alle molecole (dando ioni negativi) ma anche strappare un elettrone alla molecola formando uno ione positivo. In entrambi i casi la grandissima parte degli ioni ha carica unitaria; si tratta quindi di ioni-radicali, poiché gli elettroni sono in numero dispari e non possono essere più tutti appaiati. Normalmente si analizzano gli ioni positivi. Gli ioni sono accelerati da un intenso potenziale elettrostatico verso l’analizzatore. Questo è un tubo curvo, attraversato da un campo magnetico perpendicolare al piano di curvatura. Un campo magnetico è in grado di far deviare particelle cariche in movimento, per cui gli ioni provenienti dalla sorgente possono seguire la curvatura del tubo. Tuttavia l’entità della deviazione non è uguale per tutti gli ioni, ma dipende dall’intensità del campo magnetico, dall’energia fornita dal potenziale elettrostatico e dal rapporto m/z dello ione. In particolare per ogni valore di potenziale elettrostatico e campo magnetico, solo ioni con un ben preciso rapporto m/z riusciranno ad attraversare la fenditura posta alla fine dell’analizzatore, ed arrivare quindi al collettore di ioni, che genera un segnale elettrico dipendente dall’intensità della corrente ionica (numero di ioni per unità di tempo) che lo colpisce. Se si varia con continuità il campo magnetico (o il potenziale elettrostatico) ioni con rapporti m/z via via crescenti colpiranno il collettore. Quello che si ottiene è un grafico dell’intensità della corrente ionica che raggiunge il collettore in funzione del rapporto m/z degli ioni, detto spettro di massa. Poiché la sorgente EI produce ioni con carica unitaria, il rapporto m/z degli ioni indica direttamente la loro massa.1 Ecco un esempio di spettro di massa: Come si vede, nello spettro sono presenti vari picchi, il che significa che la sorgente produce ioni differenti: lo ione radicale prodotto dalla sorgente EI è una specie ad alta energia e molto instabile, per cui può facilmente rompersi in frammenti più piccoli, dei quali almento uno rimane carico e può quindi essere accelerato dal potenziale elettrico ed arrivare all’analizzatore. Questi ioni sono detti ioni frammento, mentre lo ione radicale direttamente prodotto dalla ionizzazione è detto ione molecolare, ed indicato con il simbolo M+ o M. La frammentazione è molto abbondante se la sorgente è ad impatto elettronico, e per alcune classi di composti è completa: nessuna molecola arriva intatta all’analizzatore e lo ione molecolare risulta assente dallo spettro. Si può anche osservare che, anche se molecole composte dagli stessi atomi hanno tutte esattamente la stessa massa, i vari picchi hanno una certa larghezza, dovuta a motivi strumentali: la feritoia all’uscita dell’analizzatore ha una ampiezza piccola ma finita; inoltre non è possibile accelerare tutti gli ioni esattamente con la stessa energia. Il rapporto tra la massa misurata M e la più piccola differenza di massa ∆M che dà luogo a due picchi ben separati2 è detto risoluzione dello spettrometro: R= 1 M ∆M Come si vede la spettrometria di massa è una tecnica fondamentalmente diversa dalle spettroscopie viste finora: uno spettro UV o IR è il grafico dell’intensità di una radiazione elettromagnetica assorbita in funzione della sua frequenza. Qui non c’è radiazione elettromagnetica, e l’intensità è quella di una corrente ionica in funzione della massa degli ioni. 2 Rer convenzione i picchi sono ben separati quando l’intensità della valle tra i due picchi è minore del 10% dell’altezza dei picchi. La risoluzione può arrivare a 40.000 e oltre negli strumenti ad alta risoluzione (vedi sotto). In generale la forma del picco, derivando da problemi strumentali, non ha alcuna importanza, per cui lo spettro è spesso rappresentato da un diagramma a linee verticali: ogni linea rappresenta un picco, è posizionata sul centro del picco, ed ha altezza proporzionale all’intensità del picco; i picchi molto deboli spesso non sono tracciati: Gli strumenti attuali, interfacciati con computer, generano direttamente diagrammi di questo tipo, anche se a richiesta è possibile osservare anche il grafico effettivamente misurato. Informazioni ottenibili dalla spettrometria di massa. L’informazione fondamentale ottenibile da uno spettro di massa è il peso molecolare della sostanza sotto indagine, che è ovviamente la massa dello ione molecolare (M). Lo ione molecolare è in generale riconoscibile perché è lo ione a più alto rapporto m/z; tuttavia, specialmente se si usa una sorgente ad impatto elettronico, lo ione molecolare può essere assente, o anche estremamente debole, in modo da confondersi con picchi prodotti da impurezze presenti nel campione. Un modo per aumentare la intensità dello ione molecolare è quello di diminuire l’energia degli elettroni che causano la ionizzazione da 70 eV ad un valore minore (40 o 20 eV), in modo da diminuire anche la frammentazione; in alternativa, si può utilizzare una sorgente diversa dall’EI. È importante notare che il peso molecolare misurato dallo spettrometro di massa è diverso dal peso molecolare che normalmente usiamo nei calcoli stechiometrici. In effetti il primo è un peso molecolare mediato tra tutti gli isotopi, mentre la spettrometria di massa misura la massa di molecole singole, per cui la massa misurata dipende dagli effettivi isotopi presenti nella particolare molecola che sta attraversando l’analizzatore. Per esempio, un campione di HCl ha un peso molecolare di circa 36.45, ma in realtà è composto per il 75% di molecole di H35Cl, che pesano circa 36, e per il 25% da molecole di H37Cl, che pesano circa 38. Ed infatti lo spettro di massa dell’HCl non contiene un picco a m/z 36.45, ma due picchi a m/z 36 e 38 nel rapporto di circa 3:1. I picchi addizionali dovuti alla esistenza di isotopi che accompagnano lo ione molecolare (e gli ioni frammento) sono detti picchi isotopici. Poiché per tutti i più comuni elementi presenti nei composti organici l’isotopo più abbondante è quello a massa più bassa, i picchi isotopici si trovano 1 o 2 (o anche più) unità di massa al di sopra dello ione molecolare più abbondante M, e vengono indicati con il simbolo o M+2. In generale il picco M+1 dipende dalla presenza di carbonio (che contiene circa l’1.1% di 13C) e di azoto (che contiene circa lo 0.36% di 15N). Nè l’idrogeno né l’ossigeno danno un contributo apprezzabile allo ione M+1. È sufficiente che uno solo dei carboni della molecola abbia un nucleo 13C perché l’intera molecola abbia massa M+1: la probabilità di trovare un 13C nella molecola aumenta con il numero di carboni in essa contenuti, e lo stesso fa l’intensità del picco isotopico M+1. Lo stesso discorso è valido per l’azoto. L’intensità del picco isotopico M+1 (come percentuale rispetto all’intensita di M) è quindi: 1.1%•(numero di C)+ 0.36%•(numero di N) Per quanto riguarda il picco M+2, esso è generalmente molto più debole, ed è dovuto all’ossigeno (circa 0.2% di 18O) e a molecole che contengono due 13C. È tuttavia piuttosto intenso in molecole che contengono zolfo, che oltre al più abbondante isotopo 32S contiene anche circa il 4% di 34S. Un picco isotopico M+2 di circa il 4% indica la presenza di un S, uno di circa l’8% la presenza di due S, e così via. Elementi che danno picchi M+2 ancora più intensi sono il cloro (35Cl:37Cl circa 3:1) e il bromo (79Br:81Br circa 1:1). Una molecola che contiene un atomo di bromo è facilmente riconoscibile perché dà uno spettro di massa con due picchi per lo ione molecolare, quasi della stessa intensità, differenti di 2 unità di massa; una molecola con un atomo di cloro si riconosce perché dà uno ione molecolare con due picchi sempre differenti di due unità, ma in rapporto circa 3:1. Una molecola cou due atomi di bromo dà tre picchi, M, M+2 e M+4 nel rapporto 1:2:1. In generale, uno ione molecolare con una serie di picchi distanti 2 unità di massa è indicativo della presenza di vari atomi di cloro e/o bromo. Come si vede, i picchi isotopici possono essere utili per stimare il numero di atomi di C presenti in una molecola, e per evidenziare la presenza di zolfo, bromo e cloro. Essi cioè ci aiutano a passare dal peso molecolare alla formula molecolare, che è il punto di partenza fondamentale per la determinazione di una struttura organica. Un altro aiuto in questo senso è la cosiddetta regola dell’azoto: se la massa di una molecola è pari, essa non contiene atomi di azoto, o ne contiene un numero pari; una massa dispari indica invece la presenza di un numero dispari di atomi di azoto. La regola nasce dal fatto che l’azoto è l’unico elemento comune che ha valenza dispari, ma massa pari.3 3 Se il numero di atomi di azoto è già noto da altri esperimenti (per esempio se si sa che non c’è azoto) la regola dell’azoto è anche utile per distinguere lo ione molecolare (che deve rispettare la regola dell’azoto) da ioni frammento (che spesso non la rispettano). Spettri di massa ad alta risoluzione. La formula molecolare può essere ricavata in maniera spesso sicura da una misura ad alta risoluzione della massa molecolare. In effetti, anche se vicino ad un numero intero, il peso molecolare dei vari atomi non è esattamente un numero intero (eccetto per il 12C, che pesa esattamente 12 perché l’unità di massa atomica è basata su 12C=12) . Questo significa che molecole come N2, CO, e C2H4, che hanno tutte una massa intesa di 28, non hanno esattamente la stessa massa: la massa di CO è 27.9949 (12.0000 per il 12C e 15.9949 per l’16O), quella di N2 è 28.0062 (2 volte 14.0031), e quella di C2H4 è 28.0312 (2 volte 12.0000 per il 12C piu quattro volte 1.0078). È quindi possibile distinguere tra le tre molecole sulla base del loro peso molecolare, ma poiché la differenza è piccola è necessaria una misura della massa ad alta risoluzione. Un semplice spettrometro ad analizzatore magnetico non ha generalmente risoluzione sufficiente per misure ad alta risoluzione. Per queste misure si utilizzano preferibilmente i cosiddetti spettrometri a doppio fuoco. In questi strumenti, prima dell’analizzatore magnetico è presente un altro analizzatore, che è sottoposto ad un campo elettrico. Anche il campo elettrico è capace di far deviare gli ioni lungo il tubo, ma questa volta la deviazione è uguale per tutti gli ioni con la stessa energia, indipendentemente dalla loro massa. Quindi questo analizzatore seleziona la energia piuttosto che la massa, e serve semplicemente ad evitare che all’analizzatore magnetico arrivino ioni con leggere differenze di energie (questa è una delle possibili cause di allargamento dei picchi). Una volta che all’analizzatore magnetico arrivano ioni con esattamente la stessa energia, questo genererà picchi molto più stretti, e quindi con risoluzione maggiore: I pesi atomici di tutti gli isotopi più abbondanti degli elementi più comuni in chimica organica sono tutti noti almeno fino alla quarta cifra decimale, per cui è possibile calcolare la massa esatta di una qualsiasi molecola e confrontarla con quella trovata sperimentalmente. Generalmente l’errore tollerato è di 1 o 2 millesimi di unità di massa. Per molecole complesse, lo spettro di massa ad alta risoluzione può non dare una formula molecolare univoca, ma comunque restringe la scelta a non più di 2 o 3 possibili formule molecolari. Massa esatta di alcuni isotopi La frammentazione. La frammentazione è un fenomeno difficile da studiare. Essa infatti è velocissima (avviene in tempi compresi tra i 10-10 e 10-3 secondi) e tutto quello che possiamo conoscere dei frammenti è la loro massa, quindi al più la loro formula, ma non possiamo avere facilmente altre informazioni sulla loro struttura: essa è spesso semplicemente ipotizzata sulla base della chimica dei composti analizzati e sulla assunzione che si tratta di reazioni unimolecolari, dato che a pressioni così basse è molto improbabile che due molecole si incontrino. In generale lo ione radicale è una specie ad energia molto alta. L’elettrone mancante è delocalizzato su tutta la molecola, ma in molecole con legami π e/o eterotaomi è utile (allo scopo di prevedere e comprendere le frammentazioni) considerare che l’elettrone andato via provenisse dal legame π stesso o da una coppia di elettroni di non legame dell’eteroatomo. Quindi lo ione radicale di un alchene potrebbe essere rappresentato: H2 C H C CH3 C H H3C e quello di un alcol: H2 C H2 C H3C OH C H2 Per un alcano, in cui l’elettrone mancante non è localizzabile in nessun posto in particolare, possiamo scrivere: H2 C H3C H2 C C H2 CH3 Poiché si tratta di radicali, lo spostamento di elettroni che provoca una frammentazione è descritto da frecce a singola punta, per esempio: H2 C H3C H2 C H2 C C H2 OH o più semplicemente: H3C H2 C C H2 OH Da una simile frammentazione si ottiene un catione più un radicale: H2 C H3C H2C CH2 OH Nello spettro di massa sarà naturalmente visibile il picco ad m/z 31, dovuto al catione, mentre il radicale, neutro, non sarà visibile. In generale, è possibile la frammentazione di ogni legame della molecola per dare uno ione e un radicale. Tuttavia alcune frammentazioni sono più facili e danno quindi luogo a picchi più intensi. Ci sono una serie di regole generali che permettono di prevedere la facilità di una frammentazione: • In una catena alchilica, la frammentazione in α ad una ramificazione è favorita, perché il carbocatione che si forma è più sostituito. Per lo stesso motivo la carica positiva tende a rimanere sul carbonio che porta la ramificazione. Inoltre, a parità di altre condizioni, tende a staccarsi come radicale il gruppo alchilico più grande. favorita • Il distacco di una catena laterale da un anello è favorita. Questo sia perché un sostituente su un anello forma una ramificazione, sia perché le altre due possibili rotture a livello della ramificazione non portano a frammenti. favorita • La frammentazione in β ad un eteroatomo, ad un doppio legame o ad un anello aromatico è favorita, con ritenzione della carica positiva sul frammento che contiene questi elementi strutturali. In tutti questi casi si ottiene un carbocatione stabilizzato per risonanza. favorita HO HO favorita Per quanto riguarda gli anelli aromatici, lo ione benzilico che si forma inizialmente probabilmente traspone nel più stabile tropilio: CH2 Tutte queste frammentazioni generano un catione e un radicale. Poiché viene rotto un singolo legame semplice, gli ioni ottenuti da queste frammentazioni sono sempre a massa dispari (se si parte da molecole con ione molecolare a massa pari, cioè senza azoto o con numero pari di atomi di azoto). Sono anche possibili frammentazioni in cui si rompono due legami. La frammentazione più tipica di questo tipo è la retro-Diels-Alder, spesso osservata per alcheni ciclici: + In questo caso viene persa una molecola (non un radicale) neutra, e quindi a massa pari, e il risultante ione frammento è ancora uno ione-radicale, ed ha anch’esso massa pari. Possono essere eliminate anche altre molecole piccole e stabili, come il chetene H2C=C=O e l’ossido di carbonio CO: OCH3 O -CO Un altro possibile modo di frammentazione è il riarrangiamento. In un riarrangiamento non solo si spezzano dei legami, ma se ne formano dei nuovi. Anche in questo caso si formano in generale nuovi ioni-radicali a massa pari e molecole neutre. Il più tipico riarrangiamanto è quello di McLafferty, tipico dei composti carbonilici (ma anche alcheni e composti aromatici) con un idrogeno in γ al carbonile (o al doppio legame, o al fenile): H O X H R O R R R X L’idrogeno deve essere in γ al carbonile perché in questo modo è possibile formare uno stato di transizione ciclico a sei termini, e quindi piuttosto stabile. Questo rende veloce questo tipo di frammentazione, che dà luogo ad intensi picchi frammento (a massa pari) in tutti i composti per i quali è possibile. Altri tipi di riarrangiamento sono l’eliminazione di acqua da alcoli, di H2S da tioli, di HCN da nitrili, eccetera. Frammentazione di alcune classi di composti Alcani: ione molecolare piccolo ma visibile; frammentazioni di tutti i legami C-C per dare picchi separati di 14 (cioè della massa di un CH2) a m/z 43, 57, 71, 85, 99, ecc. Questi piccchi di formula generale CnH2n+1 sono accompagnati da picchi a CnH2n CnH2n-1. Lo ione M-15 generalmente non è visibile negli alcani lineari, ma in quelli con una ramificazione metilica sì. Negli alcani ramificati, inoltre, le intensità di questi picchi presentano una discontinuità, perché ci sono due picchi più intensi dovuti alla rottura di un legame del carbonio terziario, mentre uno dei picchi CnH2n+1 non può essere ottenuto (se non con riarrangiamento) ed è quindi debole. Alcheni. Lo ione molecolare è generalmente ben visibile. Anche se un doppio legame dà intensa rottura allilica, in alcheni lineari si può avere una facile migrazione del doppio legame, per cui la posizione del doppio legame non può essere facilmente localizzata dallo spettro di massa. In alcheni ciclici, invece, le migrazioni sono più difficili e le rotture alliliche (che dipendono dalla particolare struttura dell’alchene) dominano lo spettro. Idrocarburi aromatici. Negli idrocarburi aromatici lo ione molecolare è generalmente intenso (la struttura aromatica stabilizza lo ione radicale). Lo ione tropilio a m/z 91 indica un alchilbenzene (rottura benzilica). CH2 Se il sostituente alchilico è ramificato in α, invece di m/z 91 si possono avere picchi omologhi a m/z 105, 119, ecc, ma comunque può ancora essere visibile un picco a m/z 91 dovuto a riarrangiamento. Se la catena alchilica è almeno C3, si ha un picco a m/z 92 dovuto a un riarrangiamento tipo McLafferty. CH2 H H H Nei commposti aromatici, è poi visibile un cluster di picchi a m/z 77 (C6H5+), 78 (C6H6+), e 79 (C6H7+). Alcoli alifatici. Negli alcoli lo ione molecolare è sempre molto debole, e per alcoli terziari è assente. Per alcoli primari, è caratteristico lo ione a m/z 31 dovuto a rottura del legame α,β all’OH. In alcoli secondari e terziari è visibile l’omologo superiore di questo ione (m/z 45, 59, 73, ecc. per i secondari e m/z 59, 73, 81, ecc. per i terziari). H2 C H2 C H3C H2C OH C H2 CH3 H2 C m/z 31 OH m/z 45 CH3 CH H3C OH HC OH C H2 È anche spesso visibile uno ione M-1, e anche possono esserci ioni M-2 e M-3. Un importante picco degli alcoli e M-18, dovuto alla perdita di acqua. Questa avviene in maniera diversa che nelle molecole neutre, perché l’idrogeno che si aggiunge all’ossidrile proviene dal carbonio γ o δ, con uno stato di transizione ciclico. H H2C OH H2C CH2 CH2 H2C C H2 H2O + CH2 C H2 Insieme all’acqua possono essere eliminati i due successivi carboni della catena come alchene (quindi etilene per alcoli non ramificati); lo ione ottenuto può poi perdere in sequenza altre molecole di alchene. H3C H3C H CH OH H2C CH2 C H2 CH CH2 CH2 + + CH2 H2O Alcoli benzilici. Questi alcoli danno un tipico picco a m/z 107 dovuto allo ione idrossitropilio, che poi perde CO e dà un picco a m/z 79. CHOH OH OH H H Fenoli. Un fenolo può perdere CO e poi H per date picchi a M-28 e M-29. Chetoni. I chetoni possono dare frammentazione del legame C-CO (ancora una rottura del legame α,β rispetto ad un ossigeno). La carica positiva rimane prevalentemente sulla parte ossigenata, ma poiché un CO pesa 28 come come due CH2 questi picchi sono indistinguibili (a bassa risoluzione) da quelli degli alcani (m/z 59, 73, 81, ecc.). 57 O 71 Sono anche possibili frammentazioni delle catene carboniose, come negli alcani, per dare cluster di picchi distanti 14 unità di massa simili a quelli degli alcani. Un'altra possibile frammentazione è quella di McLafferty (solo se esiste almeno un H in γ al CO) che dà un picco a m/z 58 (metilchetoni), 72 (etilchetoni), 86, 100, ecc. H3C H3C H CH H2C O CH C CH2 CH3 C H2 OH + C H2C m/z 58 CH3 Aldeidi. La rottura del legame vicino al CO dà origine per le aldeidi ad un picco ad M-1 (piuttosto caratteristico) se si distacca l’idrogeno, e un picco a m/z 29 (CHO+) se si distacca la catena alchilica. 29 O H M-1 Tuttavia per aldeidi a lunga catena il picco a m/z 29 può anche essere dovuto allo ione C2H5+. Il picco M-1 è particolarmente intenso nelle aldeidi aromatiche. Altri picchi caratteristici sono M-18 (perdita i acqua), M-28 (perdita di etilene), M-43 e M-44. Nelle aldeidi con catena lunga almeno 4 atomi di carbonio, è possibile il riarrangiamento di McLafferty (m/z 44, se non c’è ramificazione in α) H3C H3C H CH H2C C H2 O CH C CH2 H OH + C H2C m/z 44 H Acidi carbossilici. Il picco più caratteristico per acidi non ramificati in α è quello a m/z 60, originato dal riarrangiamento di McLafferty, che è spesso il picco base. H3C H3C H CH H2C C H2 O CH C CH2 OH OH + C H2C m/z 60 OH Sono inoltre possibili rotture delle catene alchiliche, e la carica positiva può andare da entrambi i lati. Il lato che contiene il carbossile contiene due ossigeni, per cui i picchi sono del tipo CnH2n-1O2+, cioè a m/z 45, 59, 73, ecc., due unità di massa in più dei picchi alchilici più vicini. In pratica, osserviamo sempre dei cluster distanti 14 unità di massa, ma i cluster sono più ampi, poiché ci sono anche i picchi CnH2n-1O2+. Esteri. Per gli esteri bisogna distinguere se è dominante la parte acilica (per esempio esteri metilici) o la parte alcolica (acetati). Nel primo caso lo ione molecolare è sempre visibile, ed è ancora una volta predominante il riarrangiamento di McLafferty. Per esteri metilici, esso genera un picco a m/z 74 che è spesso il picco base. Come per gli acidi carbossilici, anche in questo caso frammentazioni della catena alchilica possono portare a normali ioni alchilici CnH2n-1+ e a ioni CnH2n-1O2+. Per esteri con parte alcolica predominante, come gli acetati, lo ione molecolare è molto debole o assente; la frammentazione è paragonabile a quella dei relativi alcoli. Si ha infatti una perdita di acido acetico (M-60) con meccanismo simile a quello della perdita di acqua da parte degli alcoli. Ammine. Innanzitutto si deve notare che lo ione molecolare è a massa dispari (regola dell’azoto). Lo ione molecolare è comunque sempre debole, e a volte assente. La frammentazione ricorda quella degli alcoli. Nelle ammine primarie non ramificate in α è presente un picco a m/z 30 (CH2=NH2+) dovuto a rottura del legame α,β all’NH2. H2 C H2 C H3C C H2 NH2 H2C NH2 m/z 30 In ammine secondarie o ramificate un analoga frammentazione origina un picco omologo di questo picco (m/z 44, 58, 72, ecc). La frammentazione dei legami C-C della catena produce oltre ai soliti frammenti alchilici, frammenti con la carica dal lato del gruppo amminico del tipo CnH2n+2N+ (m/z 44, 58, 72, ecc), che estendono verso masse alte i cluster alchilici distanti 14 unità di massa. Moderne tecniche MS – Altre sorgenti ed analizzatori Problemi con l’EI. La sorgente ad impatto elettronico (EI) è in uso da molto tempo, ed è piuttosto semplice da costruire e da usare. Essa però dà alcuni problemi, che hanno portato alla creazione di sorgenti alternative: • Lo ione molecolare, che è la fondamentale informazione che si cerca con la spettrometria di massa, può essere non visibile o comunque difficilmente individuabile. • Il composto da analizzare deve essere sufficientemente volatile per essere vaporizzato, e sufficientemente termostabile se per volatilizzarlo occorre riscaldare. Molti semplici composti organici rispondono a queste caratteristiche: in generale si tratta di composti poco polari e con peso molecolare non troppo elevato. Tuttavia la sorgente EI non è adatta a composti molto polari e poco volatili come mono e polisaccaridi, peptidi, acidi nucleici. Per il secondo problema una soluzione può essere la derivatizzazione. Per esempio uno zucchero può essere trasformato in un composto sufficientemente volatile mediante acetilazione (Ac2O in piridina), metilazione (CH3I e NaH in DMF) o sililazione (Me3SiCl in varie condizioni) o un acido carbossilico può essere metilato con diazometano. Per essere utili, queste reazioni devono avvenire con rese molto elevate; per esempio in uno zucchero sono presenti 5 ossidrili, e anche una resa del 90% per una singola derivatizzazione dà soltanto il 50% di prodotto completamente derivatizzato, mentre il resto sono sottoprodotti che complicano lo spettro di massa. Questo non è possibile per tutti i tipi di composto, e comunque per molecole piuttosto grandi la derivatizzazione può aumentare ulteriormente la massa molecolare, andando al di fuori dei limiti dello strumento o formando una molecola comunque poco volatile. Per quanto riguarda il primo problema, una soluzione può essere diminuire il potenziale degli elettroni della sorgente: in questo modo la frammentazione diminuisce, e l’intensità dello ione moleclare aumenta. Ecco per esempio lo spettro dell’acetato di etile a tre diverse energie degli elettroni: Anche in questo caso, non è comunque possibile ottenere lo ione molecolare per ogni tipo di composto. Ecco quindi la necessità di sorgenti alternative. Ionizzazione chimica. Nella ionizzazione chimica la ionizzazione è condotta in un eccesso di 100-1000 volte di un gas come metano o isobutene. Gli elettroni colpiranno con probabilità molto maggiore il metano che il composto da analizzare, dando ioni radicali CH4·+. Il metano si trova anche a una pressione molto più alta della normale pressione in una sorgente EI, per cui due molecole di metano possono incontrarsi; si può avere un trasferimento di un radicale idrogeno per dare lo ione CH5+. Poiché il metano ha una bassa affinità per il protone (PA) se lo ione CH5+ incontra una molecola di analita può donargli il protone in eccesso, dando così uno ione [M+H]+, che è poi accelerato come al solito e inviato all’analizzatore. La sorgente CI genera quindi lo ione per addizione di un protone e non per sottrazione di un elettrone: quindi non si avrà uno ione molecolare M+, ma uno ione detto ione pseudomolecolare. Lo ione [M+H]+ non è un radicale, ed è notevolmente più stabile di uno ione-radicale. Non subisce quindi molte frammentazioni, e ha quindi una grande probabilità di arrivare all’analizzatore come tale. È anche possibile utilizzare, al posto del metano, isobutene ed ammoniaca; gli ioni formati, rispettivamente il carbocatione t-butilico e lo ione ammonio, hanno una minore tendenza a cedere il protone e possono quindi dare luogo a ionizzazioni selettive di solo alcune classi di composti. La sorgente CI è quindi utile per molecole, come alcoli e ammine, che danno deboli ioni molecolari; non è invece utile se il problema è la volatilità troppo bassa o la massa troppo elevata. Sorgente FAB. La sorgente FAB (dall’inglese Fast Atom Bombarment) funziona in maniera completamente diversa da quella EI. Il campione è sciolto (non sospeso, deve quindi essere solubile) in un solvente poco volatile detto matrice, tipicamente glicerina. Un goccia di questa soluzione è introdotta nella sorgente, e qui è investita da un flusso di atomi pesanti (atomi di xeno nelle prime versioni di questa sorgente) prodoti da una apposita “pistola atomica”: Gli atomi di xeno, colpendo ad alta velocità la matrice, fanno allontanare dalla sua superficie alcune molecole: molecole di matrice stesse, ma anche molecole di soluto. Poiché il soluto è in un solvente protico come la glicerina, si possono avere equilibri acido-base, e insieme alle molecole neutre di soluto sono quindi presenti molecole protonate o deprotonate: anche questi ioni possono essere allontanati dalla supeficie quando la matrice è colpita dagli atomi pesanti, e sono proprio questi ioni che vengono accelerati dal potenziale elettrico (analogo a quello nella sorgente EI) presente nella sorgente ed inviati quindi all’analizzatore.4 La “pistola atomica” usata nelle prime sorgenti FAB è formata da una sorgente EI in cui viene introdotto dello Xe gassoso, e che quindi genera un flusso di ioni Xe+. Questi ioni vengono fatti entare in una “camera di collisione” in cui è presente ancora Xe gassoso: gli ioni Xe+, urtando gli atomi di Xe, cedono ad essi la loro energia cinetica; un flusso di atomi di Xe esce così dalla camera di collisione nella stessa direzione in cui viaggiavano gli ioni Xe+, e raggiunge la matrice; un potenziale positivo all’uscita della camera di collisione provvede a respingere eventuali ioni che non si siano scontrati con lo Xe gassoso. Attualmente si è visto che ioni pesanti e con bassa affinità elettronica come il Cs+ sono altrettanto efficaci degli atomi di xeno; in più, con gli ioni Cs+ non è necessario né la camera di collisione, e nemmeno la sorgente di elettroni (gli ioni sono ottenuti facendo sublimare un sale di cesio). Nello spettro FAB, come in quello CI, non si vedono ioni molecolari, ma ioni pseudomolecolari [M+H]+ formati per protonazione della molecola sotto indagine; inoltre si formano, e vengono comunemente esaminati anche gli ioni negativi, che saranno del tipo [M+H]–. Se però una molecola è carica di per sé (per esempio un sale di ammonio quaternario, positivo, o un solfato organico, negativo) non è necessaria la protonazione o deprotonazione per ottenere degli ioni, ed avremo quindi veri ioni molecolari, rispettivamente ioni M+ e M–. In ogno caso, a seconda del tipo di ione esaminato, si parla di FAB+ (FAB positivo) e FAB– (FAB negativo). 4 In realtà il meccanismo della ionizzazione non è del tutto chiaro; sembra che oltre agli ioni già presenti in soluzione, altri ioni si formino in seguito all’azione degli atomi di xeno. La scelta del tipo di FAB da effettuare dipende naturalmente dal tipo di molecola; mentre per molecole già cariche la scelta è ovvia, per molecole neutre (come i glicosidi) non si può facilmente prevedere quale ioni sia meglio esaminare; l’esperienze e lo studio della letteratura chimica forniscono generalmente una risposta. Lo spettro FAB forma ioni stabili, e quindi non mostra principalmente lo ione molecolare, anche se possono essere visibili alcune frammentazioni; in generale le frammentazioni avvengono durante e non dopo il processo di volatilizzazione, cioè sono gli stessi atomi pesanti che possono causare qualche frammentazione. Ecco un esempio di FAB+ su una molecola, un peptide, che non darebbe sicuramente alcuno spettro EI per la sua scarsa volatilità: Oltre allo ione pseuomolecolare [M+H]+, nel FAB+ sono spesso visibili ioni del tipo [M+Na]+ e [M+K]+, dovute all’addizione alla molecola di uno ione Na+ o K+ invece che di un protone (piccole quantità di sali di sodio e di potassio sono presenti in quasi tutti i campioni). Lo ione [M+Na]+ si colloca 22 unità di massa atomica al di sopra dello ione [M+H]+, e quello [M+K]+ 16 unità di massa al di sopra di quello [M+Na]+. Queste differenze, che sono costanti, permettono di riconoscere questi picchi. Alcune molecole preferiscono addizionare Na+ piuttosto che il protone, e quindi a volte può essere utile aggiungere un sale sodico alla matrice per migliorare la qualità dello spettro. Per quanto riguarda il FAB–, è a volte visibile uno ione [M+Cl]– 36 unità di massa al di sopra dello ione [M–H]–. Un problema della sorgente FAB è il suo elevato rumore di fondo. Questo è dovuto alla presenza della matrice (che d’ora in poi chiameremo S), che per quanto poco volatile dà comunque luogo ad un intenso picco [S+H]+; inoltre due, tre, quattro, cinque, ecc. molecole di solvente si possono unire per dare picchi del tipo [2S+H]+, [3S+H]+, [4S+H]+, [5S+H]+, ecc, che sebbene di intensità decrescente sono intensi almeno fino al tetramero; per la glicerina, questo corrisponde a picchi a m/z 93, 185, 277, 369, 461, ecc. Questi picchi rendono difficile l’interpretazione dello spettro soprattutto a masse basse (diciamo minori di 400), per cui il FAB è poco adatto a molecole molto piccole. Un altro problema è che non sempre le molecole di soluto si portano sulla superficie della matrice, o si ionizzano efficacemente. Questo problema può essere risolto utilizzando una matrice diversa, ed infati le matrici comunemente usate nel FAB sono almento una decina. Tra le più comuni oltre alla glicerina ricordiamo il tioglicerolo (CH2SHCHOHCH2OH), più acido della glicerina e quindi adatto ad esperimenti FAB+, e l’etanolammina [N(CH2CH2OH)3], basica e quindi adatta al FAB–. La spettroscopia FAB e quindi essenzialmente adatta a molecole polari, che siano solubili nella matrice e possano ionizzarsi facilmente. Un altro requisito è che debbano avere una massa medio alta: il limite inferiore è 400, poiché al di sotto di questo valore il rumore di fondo è troppo elevato. Il limite superiore dipende essenzialmente dalla capacità dell’analizzatore, ma anche con analizzatori adatti si nota comunque una perdita di sensibilità nella ionizzazione di molecole con massa elevata. Le molecole adatte ad essere analizzate con il FAB includono glicosidi, peptidi, oligonucleotidi, alcaloidi. Electrospray. Nella sorgente electrospray (ES) il campione è introdotto come soluzione in un solvente volatile, come acqua, metanolo, acetonitrile, cloroformio o loro miscele, contenente un po’ di acido organico come acido acetico. Questa soluzione è spinta ad alta pressione attraverso un ago capillare, che è caricato ad un potenziale positivo di qualche migliaio di volt, e uscendo dall’ago si suddivide in tante piccole (1-2 µm) goccioline, generando uno spray (questo succede a pressione atmosferica). Dato l’elevato potenziale dell’ago, ogni gocciolina ha un eccesso di carica positiva. A causa delle loro ridotte dimensioni, il solvente evapora rapidamente da ogni gocciolina. La densità di carica della gocciolina quindi aumenta, finché diventa così alta che ioni positivi del soluto possono essere espulsi dalla gocciolina.5 Questi ioni sono poi spinti da un campo elettrico attraverso una serie di fenditure fino ad entrare nella zona a bassa pressione dello spettrometro di massa, dove sono accelerate ed inviate all’analizzatore. È anche possibile ottenere ioni negativi (deprotonati) se l’ago è caricato ad un potenziale negativo dello stesso ordine di grandezza. 5 La formazione degli ioni avviene quindi in soluzione, per protonazione. Tuttavia in una gocciolina con un forte eccesso di carica positiva la quantità di moleole ionizzate sarà molto più grande che in una soluzione neutra. Una caratteristica fondamentale dell’electrospray è che, per molecole di massa piuttosto elevata, gli ioni che vengono espulsi dalle goccioline hanno carica multipla, si tratta cioè di molecole poliprotonate. Per molti composti il numero delle cariche è più o meno proporzionale alla grandezza delle molecole, per cui il rapporto m/z di molecole che escono dall’electrospray è spesso nel range 500-2000. Inoltre, il numero di cariche assunte dalla molecola dipende sia dalla basicità dei vari gruppi ionizzabili che dal pH del solvente (un basso pH aumenta il numero di cariche). La formazione di ioni con cariche multiple è molto importante, perché riduce il rapporto massa/carica degli ioni, permettendo l’analisi di molecole molto pesanti come intere proteine. Quando si hanno ioni con cariche multiple, non tutti gli ioni hanno lo stesso numero di cariche, ma si osserva piuttosto una serie di picchi dovuti a ioni con numero di cariche via via crescente, di forma approssimativamente gaussiana: La distanza tra i rapporti m/z dei vari ioni [che sono del tipo (M+i)/i, dove i è il numero delle cariche] diminuisce all’aumentare del numero delle cariche6, e questo permette di stabilire il numero delle cariche di ogni ione, e quindi la reale massa della molecola. 6 Infatti l’aumento di 1 della carica è percentualmente sempre meno importante all’aumentare della carica: in percentuale, per esempio, la differenza tra 36 e 37 è ben maggiore di quella tra 60 e 61. Esistono anche degli appositi algoritmi, detti di convoluzione, che da tutti i picchi dovuti a ioni con carica differente permettono di ricavare uno spettro in cui è presente un singolo picco, al reale valore di massa. Poiché tutti gli ioni entrano nel calcolo, la precisione con cui può essere determinata la massa è spesso maggiore di quella con cui può essere determinato il rapporto m/z di una singolo picco, cioè si riesce ad andare al di sopra della risoluzione dell’apparecchio. Dunque l’electrospray è adatto all’analisi di molecole anche molto grandi, come intere proteine (fino a masse di 100.000-200.000), purché esse abbiano disponibili molti siti ionizzabili (basici per l’ES a ioni positivi), o già ionizzati (come i gruppi fosfati dei polinucleotidi, adatti quindi ad un ES a ioni negativi). Diversamente che per il FAB, la sensibilità dell’electrospray non diminuisce sostanzialmente all’aumentare della massa della sostanza analizzata; inoltre i solventi volatili usati nell’ES non danno picchi come quelli dati dalla matrice nel FAB, per cui il rumore di fondo è molto basso. L’electrospray genera esclusivamente ioni molecolari, e non si osserva alcuna frammentazione. Uno svantaggio dell’ES è la sensibilità alla presenza di ioni di metalli alcalini. Infatti, ioni come Na+ possono addizionarsi alla molecola al posto dei protoni. Per esempio accanto ad uno ione con 10 cariche decaprotonato, e quindi con massa M+10 e m/z (M+10)/10, può formarsi uno ione con 9 protoni e un Na+, che pesa M+22 e ha un m/z (M+22)/10, vicino al precedente. Questi ioni aggiuntivi complicano lo spettro e riducono la sensibilità. Spettrometri MALDI-TOF. La sorgente MALDI (dall’inglese Matrix Assisted Laser Desorption Ionization) funziona in maniera piuttosto diversa da tutte le sorgenti viste finora. La ionizzazione della molecola da analizzare è indotta da un brevissimo (dell’ordine dei ns) ma intenso impulso di luce laser ultravioletta. Perché il laser sia efficace, è necessario che la radiazione ultravioletta sia assorbita: quindi, piuttosto che usare un campione puro, si usa un campione dissolto in una matrice (che nel MALDI è solida) che assorbe alla lunghezza d’onda prodotta dal laser. Le prime sorgenti MALDI utilizzavano un laser a 266 nm, e una matrice di acido nicotinico, che assorbe fortemente a questa lunghezza d’onda. Successivamente si è visto che con una matrice che assorbiva a lunghezze d’onda maggiore, poteva essere usato un laser ad azoto (337 nm), molto più economico. Due matrici del genere sono l’acido 2,5-diidrossibenzoico (acido gentisico) e l’acido 3,5-dimetossi-4-idrossicinnamico (acido sinapinico). OH COOH MeO COOH HO OH Acido gentisico OMe Acido sinapinico L’esperimento è effettuato in questo modo: una piccolissima quantità (pochi µl) di una soluzione in un solvente volatile della matrice (in forte eccesso) e del campione è messa in un piccolo pozzetto di metallo. Dopo l’evaporazione del solvente, il campione è introdotto nella sorgente (dove come al solito c’è il vuoto). Il pozzetto può essere osservato con un microscopio, per decidere il punto esatto in cui il fascio di luce laser, focalizzato in pochi µm2, deve colpire la matrice. La matrice assorbe l’energia dal laser e la cede alle molecole di analita, che vengono espulse come ioni positivi (tutte le matrici viste sono acide, e possono protonare l’analita). Anche molecole enormi (fino ad una massa di 500.000) possono essere ionizzate in questo modo. Il MALDI fornisce ioni con una singola carica, solo per molecole molto grandi possono aversi ioni con due o tre cariche. Con matrici basiche (per esempio 2-ammino-5-nitropiridina) si possono anche ottenere ioni negativi. Anche nel MALDI gli ioni prodotti sono piuttosto stabili, ed in pratica non si osservano frammentazioni. La ionizzazione mediante MALDI è fondamentalmente diversa dalle altre tecniche di ionizzazione in quanto è una tecnica impulsiva: non fornisce una flusso continuo di ioni come EI, FAB, o electrospray, ma gli ioni vengono generati tutti in una volta in un tempo di pochi ns. Per questo gli analizzatori visti finora, che richiedono un flusso continuo di ioni, non sono adatti a questa sorgente, ed al MALDI è quasi sempre associato uno specifico tipo di analizzatore, l’analizzatore a tempo di volo (chiamato TOF dall’inglese time of flight). Un analizzatore TOF è costruito in questo modo: Si tratta di un tubo rettilineo, al cui interno è come al solito fatto il vuoto. Ad un estremità si trova la sorgente, e subito dopo una zona di intenso campo elettrico che serve ad accelerare gli ioni. Nel resto del tubo non c’è campo elettrico, per cui ogni ione continua a viaggiare con la velocità acquistata nella zona di accelerazione. Al termine del tubo c’è un detector, capace di misurare con grande accuratezza il momento in cui ogni ione arriva. L’analizzatore TOF si basa su un principio molto semplice: poiché tutti gli ioni sono sottoposti allo stesso campo elettrico, gli ioni con rapporto m/z maggiore (più pesanti) raggiungono una velocità minore rispetto agli ioni con rapporto m/z minore (più leggeri).7 Pertanto, gli ioni più pesanti impiegano più tempo arrivare all’altra estremità del tubo, hanno cioè un tempo di volo maggiore. Il tempo di volo rappresenta quindi una misura diretta del rapporto m/z dello ione. Naturalmente per misurare il tempo di volo occorre conoscere con grande esattezza non solo il momento in cui lo ione giunge sul detector, ma anche il momento in cui lo ione parte dalla sorgente: ecco perché è indispensabile una sorgente impulsiva come quella MALDI. Gli spettrometri MALDI-TOF sono molto versatili, poiché utilizzando una matrice adatta è possibile ionizzare praticamente qualsiasi composto (da piccole molecole organiche a intere proteine). L’analizzatore TOF non ha praticamente nessun limite superiore per la massa analizzabile (ioni molto pesanti hanno semplicemente tempi di volo molto lunghi), ed è anche molto sensibile poiché tutti gli ioni generati dalla sorgente arrivano al detector.8 Inoltre si tratta di apparecchi facili da usare, che richiedono poche regolazioni. Tra gli svantaggi del MALDI abbiamo soprattutto una risoluzione piuttosto bassa, che non solo rende impraticabili gli esperimenti ad alta isoluzione, ma può anche produrre errori di un unità di massa già a masse di 2000-3000; la causa fondamentale della bassa risoluzione ottenibile è che in seguito all’impulso del laser gli ioni vengono espulsi dalla matrice in tutte le direzioni e già con una certa velocità, e questa differenza di velocità si conserva anche dopo l'acceleratore di ioni, per cui ioni con lo stesso rapporto m/z possono arrivare al detector in tempi leggermente diversi. 7 In altre parole, se consideriamo solo ioni ad una sola carica, possiamo dire che tutti gli ioni ottengono dal campo elettrostatico la stessa energia cinetica: gli ioni più pesanti avranno quindi velocità minore, e di conseguenza tempo di volo più lungo. 8 In un analizzatore magnetico invece solo gli ioni con un ben preciso rapporto m/z riescono ad arrivare al detector, gli altri sono eliminati. Ecco un esempio di spettro MALDI di una miscela di proteine, in cui sono evidenti sia gli alti rapporti m/z raggiungibili dall’analizzatore TOF, che la relativa larghezza dei picchi dovuta alla bassa risoluzione. In realtà il problema della scarsa risoluzione è stato quasi completamente negli apparecchi più recenti, con accorgimenti tecnologici come il reflectron, che permette un netto miglioramento della risoluzione (siamo comunque ancora lontani dalla risoluzione di un analizzatore magnetico). Il refrectron è un riflettore elettrostatico di ioni basato su un intenso campo elettrico respinge gli ioni positivi, deviandone di quasi 180° la direzione ma lasciandone invariata la velocità. Il meccanismo con il quale il reflectron migliora la risoluzione può essere così spiegato: se consideriamo due ioni con la stessa massa, ma con velocità (ed energie cinetiche) leggermente diverse, lo ione con una energia cinetica maggiore percorre nel reflectron una traiettoria più lunga prima che la sua direzione possa essere invertita: trascorrerà quindi nel reflectron un tempo leggermente maggiore, e questo compensa il minore tempo di volo dovuto alla sua maggiore velocità. Lo schema completo si uno strumento MALDI-TOF con reflectron è qui riportato: Schema di un spettrometro di massa MALDI-TOF. (1) Supporto del campione. (2) Acceleratore di ioni. (3) Reflectron. Analizzatore a quadrupolo. L'analizzatore a quadrupolo consiste in un tubo rettilineo in cui è fatto il vuoto ed in cui sono presenti quattro barre parallele, disposte simmetricamente intorno all'asse del tubo, di sezione circolare oppure iperbolica, come qui rappresentato da un punto di vista laterale ed in sezione: Le barre diametralmente opposte sono in contatto elettrico tra di loro, mentre tra barre adiacenti è applicata un voltaggio formato da due componenti: una differenza di potenziale continua (che possiamo chiamare U) e una oscillante ad alta frequenza (in pratica quindi una radiofrequenza, indicata con V cos(ωt): Se uno ione (proveniente da una sorgente di qualche tipo) entra nell'analizzatore parallelamente all'asse z, è spinto dai campi elettrici continuo e oscillante a seguire una traiettoria a spirale fino a che non esce dall'altro lato (dove normalmente si trova il detector). + + z - Tuttavia questo non succede per tutti gli ioni: per ogni combinazione dell'intensità del voltaggio continuo U e di quella del voltaggio oscillante V, la traiettoria è stabile solo per ioni seconda i cui rapporti m/z sono compresi in un certo intervallo (per fare un esempio, da 180 a 200); gli altri ioni (sia quelli con m/z maggiore che quelli con m/z minore) finiscono invece per urtare contro le pareti dell'analizzatore. Regolando opportunamente U e V (di questo si occupa il computer che controlla l'apparato) è possibile rendere molto piccolo il range di m/z degli ioni che riescono ad attraversare il quadrupolo (per esempio da 188.9 a 189.1), per cui esso si comporterà in maniera simile ad un analizzatore magnetico, lasciando passare solo ioni con un ben preciso rapporto m/z. Regolando U e V è naturalmente anche possibile regolare il rapporto m/z degli ioni che riescono ad attraversare l'analizzatore, ed effettuare una scansione dei valori di m/z in modo da ottenere lo spettro di massa.9 L'analizzatore a quadrupolo è oggi usato molto spesso al posto dell'analizzatore magnetico, specie negli spettrometri di massa economici, e come quest'ultimo può essere accoppiato a sorgenti EI, CI, FAB ed ES. Rispetto all'analizzatore magnetico è meno costoso, meno ingombrante, consuma meno elettricità ed è più facile da usare (necessita di minore regolazioni). Tuttavia l'analizzatore a quadrupolo ha due fondamentali svantaggi rispetto a quello magnetico: ha un limite superiore per il rapporto m/z piuttosto basso (spesso solo 1000), e non riesce a raggiungere una risoluzione sufficiente ad effettuare spettri ad alta risoluzione. Tandem mass spectrometry (MS/MS). Trappola ionica (ion trap). La trappola ionica può essere considerata come un analizzatore a quadrupolo con barre iperboliche che sia stato piegato su se stesso in modo da formare un'anello (o una ciambella). L'elettrodo centrale (il "buco della ciambella") è eliminato, ed il voltaggio continuo ed alternato sono applicati tra l'eletttrodo esterno (che assume la forma di un anello) e gli elettrodi inferiore e superiore, che diventano due superfici convesse. Due piccoli buchi sugli elettrodi inferiore e superiore permettono la introduzione e (come vedremo) l'uscita degli ioni, prodotti da una delle sorgenti già esaminate. 9 Un quadrupolo può anche essere regolato in maniera molto diversa, per esempio eliminando del tutto il voltaggio continuo U tutti gli ioni attraverseranno il quadrupolo. Utilizzando come nel quadrupolo dei voltaggi costanti U ed oscillanti V cos(ωt), è possibile intrappolare per un tempo lungo a piacere gli ioni che provengono dalla sorgente. Una piccola quantità di elio all'interno della trappola aiuta questo processo, diminuendo l'energia cinetica degli ioni e facendoli rimanere verso il centro della trappola e lontani dalle pareti. Oltre che per "conservare" gli ioni, la ion-trap può essere utilizzata come analizzatore: è infatti possibile, aumentando progressivamente la radiofrequenza V, rendere instabili le traiettorie di ioni a rapporti m/z via via crescenti, che quindi escono dalla trappola e vanno a colpire il detector. Tuttavia il più importante vantaggio della trappola ionica è che essa, senza bisogno di camere di collisione e altri analizzatori, permette di effettuare esperimenti MS/MS. L'esperimento MS/MS è effettuato in questo modo: tra tutti gli ioni provenienti dalla sorgente, vengono conservati nella trappola solo quelli con un certo m/z, mentre quelli con m/z maggiore o minore vengono espulsi dalla trappola; a questo punto è possibile10 aumentare di molto l'energia cinetica dello ione selezionato, pur lasciandolo ancora nella trappola, in modo da causare la sua rottura per collisione con l'elio contenuto nella trappola; infine, si utilizza la trappola come analizzatore (così come visto sopra) per misurare il rapporto m/z degli ioni frammento ottenuti. È anche possibile effettuare esperimenti ancora più complessi, per esempio effettuare una ulteriore frammentazione dei frammenti (MS/MS/MS o MS3). Come analizzatore la ion-trap offre prestazioni almeno pari a quelle di un quadrupolo, ed in più è possibile con tecniche particolari aumentare sia la risoluzione che il più alto rapporto m/z misurabile (fino a 70.000). Inoltre rappresenta il più semplice ed economico apparecchio per effettuare esperimenti MS/MS. 10 Questo viene fatto utilizzando un ulteriore voltaggio oscillante, di intensità e frequenza minore di V; questo non è applicato, come gli altri voltaggi, tra gli elettrodi superiore ed inferiore insieme e l'elettrodo ad anello, ma tra l'elettrodo superiore e quello inferiore.