il valore assoluto - Matematica e Informatica

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PALERMO
SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER L’INSEGNAMENTO
SECONDARIO
IL VALORE ASSOLUTO
Specializzando: Ing. Roberta Ducato
Professoressa: Teresa Marino
CAPITOLO I
La nozione di valore assoluto
Il concetto di valore assoluto o modulo di un numero è uno fra i più interessanti nella
didattica della matematica. Il famoso “numero senza segno” di cui si parla la prima volta quando si
studiano i numeri relativi alla scuola media entra in sordina nel bagaglio culturale dei nostri allievi
quasi come se fosse una sciocchezza, eppure molti di loro entrano in crisi, non solo quando si parla
di tale concetto (di cui danno quasi sempre spiegazioni erronee), ma anche quando ne incontrano il
simbolo nei contesti più disparati. In effetti la nozione di valore assoluto è molto meno banale e
molto più interessante di quanto non appaia ad uno sguardo disattento perché ha applicazioni molto
interessanti in tutta la matematica. Tale concetto viene utilizzato a scuola nello studio dei numeri
relativi e dei radicali, in quello delle equazioni e disequazioni (con il valore assoluto) e dei numeri
complessi, nello studio dei limiti e delle funzioni. In effetti come si evincerà dallo studio seguente
tale concetto ha avuto una storia molto travagliata prima che se ne riconoscesse l’importanza per cui
non c’è da stupirsi se ancora adesso molti libri scolastici, e con essi i nostri ragazzi, hanno difficoltà
a trattare tale argomento.
Studio matematico del valore assoluto
Di tale concetto possono darsi diverse definizioni, ciascuna delle quali ne evidenzia alcune delle
proprietà più salienti:
1) Si dice valore assoluto, o modulo, di un numero reale il numero stesso senza il segno;
2) Si dice valore assoluto del numero reale a, e si indica con
a , il numero stesso se a è
positivo o nullo, il suo opposto se a è negativo;
3) Si dice valore assoluto, o modulo, di un numero reale la distanza di tale numero dal punto
che rappresenta lo zero sulla retta reale;
4) Si dice valore assoluto del numero reale a il massimo fra a e –a.
La definizione 1) è poco rigorosa (per non dire errata) e non consente di applicare il concetto di
valore assoluto con successo alle espressioni letterali.
La definizione 2) è quella classica, data nei libri di testo, che secondo me è molto interessante
perché da essa risulta chiaro che il valore assoluto è sempre un numero positivo o al più nullo.
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Tuttavia tale definizione presenta lo svantaggio di richiedere qualche sforzo prima di essere
assimilata e compresa perfettamente. La 3) definizione permette di collegare il concetto di valore
assoluto agli altri argomenti di matematica in cui è maggiormente utilizzato (limiti e numeri
complessi) mentre la 4) definizione permette di determinarne in maniera elementare le proprietà.
La 3) definizione ha il grande vantaggio di sottolineare il significato geometrico del valore
assoluto e di metterne in evidenza l’importanza in topologia, con riferimento in particolare alle
relazioni con il concetto di modulo di un numero complesso (inteso come “distanza” del punto che
rappresenta il numero complesso nel piano di Argand-Gauss dall’origine) e di intorno circolare (che
compare nella definizione di limite).
In particolare dati due numeri reali x e y la loro distanza sulla retta reale è data dal valore
assoluto della loro differenza:
d(x, y) =x - y
In questi termini l’insieme dei punti x che distano dal punto x o per meno di ε si può indicare con
la scrittura:
x - x o <ε
che definisce algebricamente i punti x che appartengono all’intorno circolare di raggio ε del punto
x o . Visti i collegamenti che la 3) definizione di valore assoluto consente, ritengo sarebbe opportuno
che essa venga sempre comunque data ai ragazzi.
Le proprietà più salienti del valore assoluto sono le seguenti:
a) x + y ≤ x + y
b) x − y ≤ x − y
c) x ⋅ y = x ⋅ y
La definizione 4) fra le diverse definizioni date è quella che si presta meglio delle altre alla
dimostrazione di queste proprietà come anche di altre delle proprietà più importanti del valore
assoluto. Per esempio osserviamo che la a) può essere dimostrata facilmente dalla 4) definizione.
Infatti
da
tale
definizione
discende
contemporaneamente dalle relazioni − x ≤ x
che
x≤ x
e
y≤ y ,
cioè
x+ y≤ x + y,
e
e − y ≤ y , si avrà che − (x + y ) ≤ x + y . Poiché il
valore assoluto di un numero ( 4) definizione ) è il massimo fra il numero stesso e il suo opposto si
avrà che essendo sia
(x + y)
che − (x + y ) minori o uguali di x + y anche il loro massimo lo sarà
e quindi x + y ≤ x + y c.v.d.. Si osservi che la a) mostra che il valore assoluto non è un operatore
lineare perché il valore assoluto di una somma non è uguale alla somma dei valori assoluti. Però la
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c) evidenzia che il valore assoluto di un prodotto è il prodotto dei valori assoluti.
Grazie alla definizione 4) anche altre proprietà del valore assoluto risultano di immediata
interpretazione, fra cui le disuguaglianze: − a ≤ a ≤ a
e − a ≤ −a ≤ a
.
Studio storico del valore assoluto
Chi sia stato per primo a utilizzare il concetto di valore assoluto non si sa con certezza.
Infatti, come mostra la storia che segue, più o meno inconsapevolmente furono in molti ad
utilizzarlo prima che tale concetto avesse una sistemazione rigorosa grazie allo sviluppo della teoria
dei numeri e del calcolo. La storia del valore assoluto si mescola curiosamente alla storia dei numeri
e dell’analisi. Tale concetto nasce con i numeri negativi e, perlomeno all’inizio, la sua storia si
intreccia con quella di tali numeri. Poiché passarono millenni prima che i numeri negativi fossero
accettati da tutti, il concetto di valore assoluto non era necessario.
I più antichi documenti pervenutici sui numeri negativi sono delle tavolette di argilla che
risalgono al 2000 a.C. (vedi Fig.1, Castelnuovo, 1973): sono scritte in caratteri cuneiformi e sono
opera dei Babilonesi. In esse si trovano elencati tanti problemi di matematica, e la maggior parte è
senza soluzione; ma in molti intervengono numeri negativi. Chi sia stato il matematico Babilonese
autore di tali tavolette non si sa. In opere molto più recenti, del III secolo a.C., sempre scritte dai
Babilonesi e riguardanti questioni di astronomia, intervengono i numeri negativi con tutte le loro
regole. E anche di queste opere non si conosce l’autore.
Traccia dei numeri negativi si trova anche negli scritti degli Hindu dell’India. Gli Hindu
introdussero i numeri negativi (Kline, 1972) per rappresentare i debiti; in queste situazioni i numeri
positivi rappresentavano i crediti. Il primo uso noto si trova in Brahmagupta, matematico hindu, e
risale al 628 d.C. circa; nello stesso contesto vengono anche enunciate le regole per le quattro
operazioni con i numeri negativi. Bhaskara, altro matematico hindu, osserva che la radice quadrata
di un numero positivo è duplice, positiva e negativa. Egli solleva la questione della radice quadrata
di un numero negativo, ma dice che non c’è radice quadrata perché un numero negativo non è un
quadrato. Tuttavia anche gli Hindu non accettarono senza riserve i numeri negativi. Perfino
Bhaskara dopo aver dato 50 e –5 come soluzioni di un problema dice che il secondo valore non
doveva essere considerato perché la gente non approvava le soluzioni negative, anche se a poco a
poco li accettarono come numeri.
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Successivamente gli Arabi, sebbene i numeri negativi e le regole per operare con essi
fossero loro familiari attraverso i testi hindu, li respinsero.
Attraverso i testi arabi i numeri negativi divennero noti in tutta Europa; tuttavia la maggior
parte dei matematici del XVI e del XVII secolo non li accettava come numeri o, se lo faceva, non li
accettava come radici delle equazioni. Nel XV secolo Nicolas Chuquet (1445?-1500?) e, nel XVI,
Stifel (1553) parlano entrambi dei numeri negativi come di “numeri surdi”. Cardano dava i numeri
negativi come radici delle equazioni, ma li considerava soluzioni impossibili, meri simboli; egli li
chiamava fittizi, mentre chiamava reali le radici positive. Vieta scartava interamente i numeri
negativi. Pascal considerava la sottrazione di 4 da 0 come una totale assurdità. Un interessante
argomento contro i numeri negativi venne dato da Antoine Arnaud (1612-94), un teologo e
matematico stretto amico di Pascal. Arnauld metteva in dubbio che –1:1=1: –1 perché, diceva, –1 è
minore di +1 e dunque come poteva un minore stare a un maggiore come un maggiore sta a un
minore ?
Benchè l’algebra fosse una disciplina antica, alla fine del XVI secolo essa non solo non era
ben distinta dall’aritmetica ma anche non aveva basi logiche solide. La storia dell’Algebra
(Spagnolo, 1998) si può dividere in tre periodi:
1)
algebra retorica , anteriore a Diofanto di Alessandria (250 d.C.) nella quale si
usa esclusivamente il linguaggio naturale, senza ricorrere ad alcun segno;
2)
algebra sincopata, da Diofanto fino alla fine del XVI secolo, in cui si
introducono alcune abbreviazioni per le incognite e le relazioni di uso più
frequente, ma i calcoli sono eseguiti in linguaggio naturale;
3)
algebra simbolica, introdotta da Viète (1540-1603), nella quale si usano le lettere
per tutte le quantità e i segni per rappresentare le operazioni, si utilizza il
linguaggio simbolico non solo per risolvere equazioni ma anche per provare
regole generali.
Soffermiamoci in particolare su quest’ultimo periodo. Fin dai tempi degli Egiziani e dei
Babilonesi i matematici avevano risolto le equazioni di primo, secondo, terzo e quarto grado solo
con coefficienti numerici. Inoltre poiché i numeri negativi non possedevano ancora la dignità di
numeri, le equazioni come x 2 − 7 x + 8 = 0 vennero a lungo trattate nella forma x 2 + 8 = 7 x per
evitare l’introduzione dei numeri negativi. Quindi esistevano diverse modalità per risolvere le
equazioni, un modo diverso per ciascuna tipologia di equazione. Viète alla fine del XVI secolo
introdusse l’uso dei coefficienti letterali. Anche se già altri avevano usato le lettere, sporadicamente
e per ragioni occasionali, egli fu il primo a servirsene sistematicamente e con uno scopo preciso. La
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novità principale dell’uso delle lettere non consisteva solo nel rappresentare un’incognita o le
potenze di un’incognita, ma anche nell’impiegarle per esprimere i coefficienti in forma generica.
Così egli poteva trattare tutte le equazioni di secondo grado unitariamente scrivendo (nella nostra
notazione) ax2 +bx+c=0, dove a, b e c, i coefficienti letterali, potevano rappresentare qualsiasi
numero, mentre x rappresenta una o più grandezze incognite i cui valori devono essere trovati. In
questo modo Viète tracciò la linea di demarcazione fra aritmetica e algebra. L’algebra si trasformò
nello studio dei tipi generali di forme ed equazioni, poiché ciò che viene stabilito per un caso
generale vale per un’infinità di casi particolari. In questo modo rese possibile la generalità della
dimostrazione in algebra. Tuttavia egli non accettava i numeri negativi e rifiutò sempre di
rappresentarli con coefficienti letterali. Le regole per le operazioni con i numeri negativi esistevano
da tempi immemorabili e davano risultati corretti però Viète non accettava i numeri negativi perché
mancavano dei significati intuitivi e fisici propri dei numeri positivi.
Uno dei primi algebristi ad accettare i numeri negativi fu Thomas Harriot (1560-1621), il
quale poneva occasionalmente un numero negativo da solo in un membro di un’equazione. Non
accettava però le radici negative e arrivò persino a dimostrare nell’opera pubblicata postuma Artis
analyticae praxis (1631) che queste radici sono impossibili.
Il problema “se io mi trovassi con 15 scudi e fossi in debito di 20, una volta che avessi dato i
15 resterei debitore solo di 5 cioè di meno 5” viene portato come esempio da un grande matematico
italiano della fine del 1500, Rafael Bombelli, per mostrare che i numeri negativi si potevano
presentare anche nella vita di ogni giorno. Nella Fig.2 vedete la fotografia del frontespizio
dell’Algebra di Bombelli nell’edizione del 1579 e potete leggere la pagina “Del sommare più, e
meno”, in cui si porta l’esempio degli scudi: il più e il meno sono indicati dal Bombelli con p. e m..
Egli formulò per i numeri negativi alcune definizioni estremamente chiare anche se non fu in grado
di giustificare le regole delle operazioni, dal momento che il fondamento logico che sarebbe stato
necessario mancava persino per i numeri positivi.
Stevin usava nelle equazioni coefficienti positivi e negativi e accettava anche le radici
negative. Albert Girard (1595-1632) pone i numeri negativi sullo stesso piano di quelli positivi e dà
entrambe le radici di un’equazione quadratica, anche quando sono entrambe negative. Sia Girard
che Harriot usavano il segno meno per denotare l’operazione di sottrazione e i numeri negativi,
anche se sarebbe stato meglio usare due simboli distinti, perché il numero negativo è un concetto
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indipendente mentre la sottrazione è un’operazione.
Nel complesso, non molti matematici del XVI e del XVII secolo si trovavano a loro agio o
accettavano i numeri negativi in quanto tali, anche senza parlare di riconoscerli come vere radici
delle equazioni. C’erano al riguardo curiose credenze. Wallis, per quanto fosse avanzato per i suoi
tempi e accettasse i numeri negativi, pensava che essi fossero contemporaneamente maggiori di
infinito e minori di zero. Nella sua Aritmetica infinitorum (1655) sosteneva che, siccome il rapporto
a/0, con a positivo è infinito, allora quando il denominatore viene cambiato in numero negativo
come in a/b con b negativo, il rapporto deve essere maggiore di infinito.
Fig.1 (tratta da Castelnuovo, 1973)
Alcuni dei pensatori più progressisti, Bombelli e Stevin, proposero una rappresentazione che
fu certamente d’aiuto per fare accettare, infine, l’intero sistema dei numeri reali (Kline, 1980).
Bombelli suppose che esistesse una corrispondenza biunivoca tra numeri reali e lunghezze su una
retta (scelta una data unità) e definì per le lunghezze le quattro operazioni fondamentali. Quindi,
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poiché per Bombelli le lunghezze e le corrispondenti operazioni geometriche definivano i numeri
Fig.2 (tratta da Castelnuovo, 1973)
Fig.3 (tratta da Castelnuovo, 1973)
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reali e le loro operazioni, il sistema dei numeri reali fu razionalizzato su base geometrica. Anche
Stevin considerò i numeri reali come lunghezze e credette che questa interpretazione avrebbe potuto
risolvere anche le difficoltà che presentavano i numeri irrazionali.
Come è ovvio, la storia del valore assoluto o modulo di un numero, si intreccia a quella dei
numeri complessi. E’ evidente però che se i numeri negativi furono accettati con difficoltà, a
maggior ragione lo furono i numeri complessi che si ottenevano estraendo le radici pari dei numeri
negativi. Tuttavia dobbiamo ringraziare l’iniziale sviluppo illogico di una disciplina logica (oltre a
coloro che la formalizzarono), se oggi la matematica si trova in uno stato avanzato.
Senza avere superato le difficoltà dei numeri negativi, i matematici si trovarono di fronte a
nuovi
problemi
imbattendosi
negli
enti
oggi
chiamati
numeri
complessi
che
nacquero
dall’estensione dell’operazione di radice quadrata a numeri qualsiasi (anche negativi). Cardano nel
trentasettesimo capitolo dell’Ars Magna (1545) pose e risolse il problema di dividere 10 in due
numeri il cui prodotto fosse 40. Cardano ottenne che le due quantità erano 5 + − 15 e 5 − − 15 .
Dopo questo si trovò sempre più coinvolto nel problema dei numeri complessi a causa del metodo
algebrico per la risoluzione delle equazioni cubiche che presentò nel suo libro. Anche se intendeva
ricercare e ottenere solo radici reali, la sua formula consente anche di calcolare le radici complesse,
quando esse sono presenti. Anzi anche quando tutte le radici sono reali la formula dà come risultati
dei numeri complessi dai quali dovrebbero essere derivabili le radici reali. Dunque Cardano doveva
attribuire una grande importanza ai numeri complessi ma, dal momento che non sapeva come
trovare la radice cubica dei numeri complessi e da essa derivare le radici reali, lasciò questo
problema senza risposta e trovò le radici reali in un altro modo.
Anche Bombelli considerava i numeri complessi come soluzioni di equazioni cubiche e
formulò in una forma molto simile a quella moderna le quattro operazioni con i numeri complessi;
tuttavia egli le giudicava inutili e “capziose”. Albert Girard, invece, riconosceva i numeri complessi
come soluzioni, perlomeno formali, delle equazioni.
Anche Newton negava che le radici complesse avessero un significato, molto probabilmente
perché a quel tempo esse mancavano di ogni significato fisico. Anche Leibniz, malgrado operasse
coi numeri complessi in termini formali, non ne comprendeva la natura e per giustificare l’uso che
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lui e Johann Bernoulli facevano dei numeri complessi nel Calcolo, diceva che essi non provocavano
alcun danno.
Nel Cinquecento e nel Seicento le procedure operazionali con i numeri reali e complessi
migliorarono e si ampliarono, nonostante mancasse un chiaro livello di comprensione. Wallis
nell’Algebra
(1685)
mostrò
come
rappresentare
geometricamente
le
radici
complesse di
un’equazione quadratica a coefficienti reali. Egli affermò, in effetti, che i numeri complessi non
sono più assurdi dei numeri negativi e che dal momento che questi possono venire rappresentati
sopra una retta orientata, dovrebbe essere possibile rappresentare i numeri complessi in un piano.
Benché fosse corretto, il lavoro di Wallis venne ignorato dai matematici, che erano refrattari all’idea
dei numeri complessi.
Certo è che i numeri negativi e i numeri complessi non furono veramente ben capiti fino ai
tempi moderni. Euler, il più eminente matematico del Settecento, scrisse uno dei più importanti testi
di algebra di tutti i tempi. Nella Vollstandige Anleitung zur Algebra (Introduzione completa
all’algebra, 1770) egli disse che l’operazione di sottrarre –b era equivalente a quella di sommare b
poiché “cancellare un debito è proprio come fare un dono”. Egli sosteneva anche che
(− 1) ⋅ (− 1) = +1 perché il prodotto deve essere uguale a +1 o a –1 e, dal momento che 1 ⋅ (− 1) = −1 ,
allora (− 1) ⋅ (− 1) = +1 . I migliori testi del Settecento continuarono a fare confusione fra il segno
meno impiegato per denotare la sottrazione e lo stesso segno usato per denotare un numero
negativo, per esempio –2.
Successivamente a Wallis, altri matematici proposero la rappresentazione dei numeri
complessi sul piano. Argand (1768-1822), contabile e matematico autodidatta, sembra essere stato il
primo (Earliest Known Uses of Some of the Words of Mathematics, 2000) nel 1814 ad utilizzare il
termine modulo per indicare la lunghezza del vettore a+ib.
La storia del valore assoluto si intreccia come è ovvio anche con la storia dell’Analisi, in
particolar modo con quella dei limiti (ricordiamo che serve a formalizzare il concetto di limite).
Sugli inesistenti fondamenti logici dell’aritmetica e dell’algebra e su quelli alquanto instabili
della geometria euclidea i matematici del settecento costruirono l’Analisi, il cui nucleo principale
era il Calcolo Differenziale. I maggiori contributi alla creazione del calcolo vennero da Newton e da
Leibniz. Newton si occupò molto poco del concetto di integrale, mentre fece largo uso di quello di
derivata. Visto che i risultati del suo lavoro matematico si rivelavano veri da un punto di vista
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fisico, Newton spese ben poco tempo a occuparsi dei fondamenti logici del Calcolo. Nella sua opera
maggiore, Philosophiae naturalis Principia matematica (1687) si servì di metodi geometrici e diede
teoremi sui limiti in forma geometrica perché secondo lui questo avrebbe reso le dimostrazioni
sicure come quelle degli antichi. Leibniz invece si occupò pure degli integrali e utilizzò l’algebra
per introdurre i concetti dell’analisi. Tuttavia né Newton né Leibniz riuscirono a dare fondamenta
solide al calcolo infinitesimale perché si scontrarono con i concetti di infinitesimo e di infinito che
per avere una sistemazione rigorosa necessitavano di una formalizzazione rigorosa del concetto di
limite. Fu proprio Leibniz che per primo (Earliest Known Uses of Some of the Words on
Mathematics, 2000) usò la parola latina moles per indicare il concetto di valore assoluto di un
numero reale.
Risultava evidente che nella prima metà dell’Ottocento sia l’algebra che l’analisi, malgrado
“funzionassero”, mancavano di una fondazione logica. Il primo a cercare di dare all’algebra basi più
solide fu George Peacock (1791-1858), professore di Matematica all’Università di Cambridge. Egli
distinse l’algebra aritmetica dall’algebra simbolica. Nella prima, i simboli rappresentavano i numeri
interi positivi e le operazioni ammesse conducevano esclusivamente a risultati interi positivi; questa
caratteristica conferiva all’algebra un solido fondamento. L’algebra simbolica invece assumeva le
regole dell’algebra aritmetica ma ne eliminava la restrizione ai numeri interi positivi. Per Peacock,
tutti i risultati dedotti nell’algebra aritmetica, le cui espressioni sono generali nella forma ma
particolari per valore, sono corretti anche nell’algebra simbolica dove acquistano generalità di
forma e di valore. Il ragionamento di Peacock, noto come principio della permanenza delle forme
equivalenti, venne esposto nel 1833 nel Report on the Recent Progress and Present State of Certain
Branches of Analysis presentato alla British Association for the Advancement of Science. Peacock
affermò dogmaticamente che:
“Tutte le forme algebriche che sono equivalenti quando i simboli hanno forma generale ma
valore particolare (interi positivi), saranno equivalenti anche quando i simboli sono generali sia
per forma che per valore”
Peacock si servì di questo principio per giustificare in particolare le operazioni con i numeri
complessi. Egli cercò di proteggere il significato del principio con la frase “quando i simboli hanno
forma generale” per impedire di affermare proprietà valide solo per 0 e 1, dal momento che questi
numeri godono di proprietà particolari.
Nella seconda edizione del Treatise on Algebra (1842-1845), Peacock derivò il principio
partendo da alcuni assiomi. Egli affermò esplicitamente che l’algebra è una scienza deduttiva, come
la geometria. La concezione dell’algebra affermata da Peacock fu accettata per quasi tutto
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l’Ottocento. Tuttavia il principio di permanenza della forma era essenzialmente arbitrario e non
spiegava perché i vari tipi di numeri possiedono le medesime proprietà dei numeri interi; in realtà
esso si limitava a sanzionare risultati che erano corretti empiricamente ma non provati logicamente.
Questo principio fu di ostacolo al progresso dell’algebra moderna in quanto pose di fatto la
restrizione che le leggi dell’algebra dovessero essere le stesse per tutti i tipi di numeri. Il principio
fu invalidato dalla creazione dei quaternioni, numeri che non godono della proprietà commutativa
della moltiplicazione. Quello che Peacock e i suoi seguaci non riuscirono a comprendere era che
non esiste una sola algebra, ma molte e che prima di estendere la validità di certe proprietà occorre
dimostrarlo.
Ancora nel 1831 Augustus De Morgan (1806-1871), professore di matematica all’University
College di Londra, famoso logico matematico e autore di importanti contributi nel campo
dell’algebra, diceva nel suo On the Study and Difficulties of Mathematics che sia l’espressione
immaginaria
− a che l’espressione negativa -b quando compaiono indicano qualche incoerenza o
qualche assurdità e sono altrettanto inconcepibili.
Malgrado già nel Settecento ci fossero stati tentativi di rigorizzare l’Analisi, fu solo nella
prima metà dell’Ottocento che questo obiettivo venne raggiunto grazie al lavoro di due grandi
matematici: Augustin-Louis Cauchy (1789-1857) e Karl Weierstrass (1815-1897).
Augustin-Louis Cauchy decise di costruire la logica del Calcolo sull’Aritmetica e di fondare
tale disciplina sul concetto di limite. Nel 1820 durante le lezioni di Analisi all’Ecole Polytechnique
dove era professore di analisi, espose le fondamenta del Calcolo. Nel 1821 pubblicava il Cours
d’analyse in cui raccoglieva le lezioni di Analisi da lui svolte al primo anno all’Ecole
Polytechnique. Il Cours d’analyse (Bottazzini, 1981), com’è naturale per una trattazione generale e
didatticamente efficace, si apre con una serie di preliminari, dove Cauchy passa in rassegna le
diverse specie di numeri (naturali, relativi, ecc.) e introduce il concetto di valore assoluto, che egli
chiama “valore numerico”:
“Per evitare ogni tipo di confusione nel linguaggio della scrittura algebrica, andremo a
fissare in questi preliminari il valore di diversi termini per evitare notazioni che noi impronteremo
sia all’algebra ordinaria sia alla trigonometria. Le spiegazioni che daremo a questo soggetto sono
necessarie, perché noi avremo la certezza di essere perfettamente capiti da coloro i quali
leggeranno questa opera. Andremo allora ad indicare quelle idee che sembrerebbe conveniente
collegare al numero, queste due parole numero e quantità. Noi assumeremo sempre la
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denominazione di numeri così come si assume in aritmetica, facendo nascere i numeri dalla
misurazione assoluta delle grandezze; e noi applicheremo unicamente la denominazione di
quantità alle quantità reali positive o negative, cioè a dire ai numeri preceduti dai segni + o -. Di
più, noi guarderemo alle quantità come destinate ad esprimere degli accrescimenti o diminuzioni;
di modo che una grandezza data sarà semplicemente rappresentata da un numero, se ci
contentiamo di compararla ad un’altra grandezza della stessa specie presa come unità, e da questo
numero preceduto dal segno + o – se la si considera come se debba servire alla diminuzione o alla
crescita di una grandezza fisica della stessa specie. Così posto, il segno + o – messo davanti ad un
numero ne modificherà il significato, pressappoco come un aggettivo modifica quello di un
sostantivo. Chiameremo valore numerico di una quantità il numero che ne costituisce la base,
quantità uguali quelle che hanno lo stesso valore numerico, e quantità opposte due quantità uguali
quanto al loro valore numerico, ma di segno contrario. Partendo da questi principi è facile rendere
conto delle diverse operazioni che si possono fare subire alle quantità. Per esempio, date due
quantità si potrà sempre trovarne una terza che, presa per accrescere un numero fisso, se essa è
positiva e per diminuirlo nel caso contrario, conduce allo stesso risultato delle due quantità date,
impiegate l’una dopo l’altra in modo simile. Questa terza quantità, che ha essa sola prodotto lo
stesso effetto delle altre due, è ciò che noi chiamiamo la loro somma. Così le due quantità –10 e +7
hanno per somma –3, atteso che una diminuzione di 10 unità aggiunta ad un aumento di 7 unità
equivale ad una diminuzione di 3 unità. Aggiungere due quantità, significa calcolare la loro
somma. La differenza fra una prima quantità e una seconda è una terza quantità che aggiunta alla
seconda riproduce la prima. Infine, si dice che una quantità è più grande o più piccola di un’altra
a seconda che la differenza fra la prima e la seconda è positiva o negativa. Dopo questa
definizione, le quantità positive sono sempre maggiori delle quantità negative e queste sono tanto
più piccole quanto più grandi sono i loro valori numerici.
In algebra, si rappresentano con le lettere non solo i numeri, ma anche le quantità. Come si
è convenuto di designare i numeri assoluti nella classe delle quantità positive si può designare la
quantità positiva, che ha per valore numerico il numero A, sia per +A sia per A soltanto, tanto che
la quantità negativa opposta si trova rappresentata da –A. Nel caso in cui la lettera a rappresenta
una quantità si è convenuto di guardare come sinonimi le due espressioni a e +a e di rappresentare
con –a la quantità opposta a +a. Queste regole valgono per stabilire quella che si chiama regola
dei segni”.
Questo brano mette in bene in evidenza la dualità numero segno. Tuttavia nel seguito del
Cours d’analyse Cauchy non elenca né le proprietà del valore assoluto, né tale concetto. Non viene
introdotto alcun simbolo per indicare il valore assoluto, segno che l’applicazione valore assoluto
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non è ancora stata costruita.
Tuttavia nel Cours d’analyse Cauchy indica col termine modulo la radice quadrata di a2 +b2
(Earliest Known Uses of Some of the Words of Mathematics, 2000) e segnala il rapporto fra
modulo di un complesso e valore numerico.
Cauchy introduce nel Cours d’analyse pure il calcolo con quantità letterali e infine il
concetto di limite (Bottazzini, 1981) che egli così definisce:
“Allorché i valori successivamente assunti da una stessa variabile si avvicinano
indefinitamente a un valore fissato, sì da differirne alla fine tanto poco quanto poco si vorrà,
quest’ultima quantità è chiamata il limite di tutte le altre”. E’ interessante notare l’esempio che
subito dopo Cauchy presenta per illustrare il concetto:”Così per esempio, un numero irrazionale è
il limite delle diverse frazioni che ne forniscono i valori sempre più approssimati”.
Come richiesto dal Counseil de Perfectionnement Cauchy (Bottazzini, 1990) si era accinto a
pubblicare anche le sue lezioni del secondo anno, e i primi fogli a stampa dovettero circolare tra
colleghi e studenti nel 1824, prima di un brusca e definitiva interruzione della pubblicazione. La
lettura delle lezioni di Cauchy infatti non aveva favorevolmente colpito i membri del Conseil: gli
argomenti erano trattati in maniera troppo astratta e difficile, “potevano essere adatti alla Facoltà di
Scienze ma non all’Ecole Polytechnique” si legge nel verbale di una riunione.
Ripetute volte poi gli studenti si erano lamentati con la Direzione dell’Ecole per la grande
difficoltà a seguire le lezioni di Cauchy. Di fronte alle rinnovate richieste del Conseil di modificare
contenuti e metodi d’insegnamento, dopo avere tentato di difendere la propria autonomia di docente
nella scelta dei metodi, Cauchy si vedeva costretto ad annunciare nel novembre del 1825 che “per
uniformarsi ai voleri del Conseil non si riproporrà più di dare, come fatto finora, delle
dimostrazioni perfettamente rigorose” nelle sue lezioni. Da qui anche la caduta d’interesse di
Cauchy per continuare la pubblicazione di un testo che non avrebbe più potuto rispecchiare le sue
convinzioni più profonde: ciò che oggi viene considerato un primo passo decisivo verso il moderno
rigore in matematica, veniva rimproverato a Cauchy dai contemporanei come un “lusso d’analisi” o
addirittura una “mancanza di chiarezza” sconsigliabile, se non controproducente, per gli studenti
dell’Ecole Polytechnique.
Malgrado i suoi studenti non gradissero tale approccio, il metodo proposto da Cauchy
divenne ben presto il cuore del moderno rigore del Calcolo.
Il concetto di valore assoluto trova la sua più interessante applicazione in analisi, nella
definizione di limite, dove è utilizzato per indicare l’intorno del punto in cui si calcola il limite della
funzione. Cantor (1845-1918), che aveva seguito i corsi di Weierstrass a Berlino, nel 1872 pubblica
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(Bottazzini, 1981, 1990) l’articolo “Uber die Ausdehnung eines Satzes aus der Teorie der
trigonometrischen Reihen” in cui a pag.98 definisce il concetto di punto-limite di un insieme di
punti (ciò che oggi usualmente si chiama punto di accumulazione) e contemporaneamente dà la
definizione di intorno di un punto:
“Per “punto limite di un insieme P di punti” intendo un punto della retta tale che in ogni
suo intorno si trovino infiniti punti P, col che può capitare che egli stesso non appartenga
all’insieme. Per “intorno di un punto” si deve intendere ogni intervallo che contiene il punto al suo
interno”.
L’opera di Cauchy ispirò molti lavori sulla formalizzazione dell’analisi, ma il merito
maggiore per lo sviluppo di queste ricerche va a un altro grandissimo matematico, Karl Weierstrass.
Con i suoi lavori (Kline, 1980) fu completata l’opera di rigorizzazione dei concetti fondamentali
dell’Analisi. Parallelamente all’affermarsi (Bottazzini, 1981) della tendenza all’aritmetizzazione
dell’analisi, saranno le vedute aritmetiche di Weierstrass a divenire dominanti, e saranno le sue
lezioni berlinesi, in cui egli svolgeva la propria teoria delle funzioni analitiche a diventare il punto
di riferimento dei matematici europei, e meta frequente per i giovani promettenti delle università
tedesche e straniere. Proprio agli appunti presi alle lezioni di Weierstrass da questi giovani
matematici si dovette in buona misura la diffusione delle vedute weierstrassiane in Europa. In
questo tipo di lavori si inserisce il “Saggio di una introduzione alla teorica delle funzioni analitiche
secondo i principi del prof. Weierstrass” di Pincherle (1880), redatto in seguito a un viaggio di studi
a Berlino, che gli consentì di seguire i corsi di Weierstrass nell’anno 1877-78, e che può essere
utilmente letto per avere un’idea dell’introduzione di Weierstrass alla teoria delle funzioni. Il
Saggio in questione si divide in quattro parti: nella prima sono esposti i principi fondamentali
dell’aritmetica (base della teoria delle funzioni), vi si trova una teoria dei numeri (interi, razionali,
negativi), vi si trova una teoria dei numeri (interi, razionali, negativi), compresa la teoria
weierstarssiana dei numeri reali (cioè numeri costituiti da un’infinità di elementi secondo la sua
terminologia), e la teoria dei numeri formati con due unità principali, cioè i numeri complessi.
Fu proprio Weierstrass ad usare per la prima volta (Earliest Uses of Function Symbols,
2000) il simbolo | | per indicare il valore assoluto in un saggio del 1841 dal titolo “Zur Teorie der
Potenzreihen” dove tale simbolo appare a pag.67. Egli usò inoltre tale simbolo nel 1859 nei “Neuer
Beweis des Fundamentalsatzes der Algebra” in cui tale simbolo appare a pag.252. Quest’ultimo
saggio fu sottoposto alla Accademia delle Scienze di Berlino il 12 Dicembre 1859.
Il primo saggio tuttavia non fu pubblicato e forse solo nel 1894, anno in cui il primo volume
del “Mathematische Werke” di Weierstrass vide la luce, tale simbolo divenne noto ufficialmente ad
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un vasto pubblico.
Tuttavia in quella stampa la notazione di valore assoluto non appare con una
definizione o con un ulteriore commento.
Fin dal 1861 Weierstrass (Bottazzini, 1990) affermava a lezione che una funzione f(x) era
continua in x “se è possibile determinare un valore δ tale che per ogni valore di h minore in valore
assoluto di δ, f(x+h)-f(x) sia minore di una quantità ε arbitrariamente piccola”.
La memoria “Zur Teorie der eindeutigen analytischen Functionen” che apparve nei
“Abhandlungen der Koeniglich Akademie der Wissenschaften“ (pag. 11-60, Berlino 1876, e fu
ristampata nel secondo volume del “Mathematische Werke” (1895) di Weierstrass) ha una nota a
piè pagina a pag.78 in cui Weierstrass sottolinea:
“Indico il valore assoluto di un numero complesso x con | x |”
In questa memoria Weierstrass applicò il simbolismo del valore assoluto ai numeri
complessi.
Infine nel 1898 in uno dei corsi di matematica all’Ecole Polytechnique, con Joudan,
l’applicazione x → |x| è definitivamente costruita e utilizzata con tutte le sue proprietà. Qualche
anno più tardi, Humbert cercherà di introdurre la notazione mod(x) per indicare il valore assoluto di
x, al fine di sottolinearne la relazione con il modulo di un complesso. Come ben sappiamo è
successo alla fine il contrario e il modulo di z è stato indicato con z.
Il riconoscimento definitivo dell’importanza del valore assoluto di un numero inteso come
“distanza” del numero dallo zero, avvenne all’inizio di questo secolo grazie alla nascita di una
nuova branca della matematica, la topologia. Uno dei primi (Bottazzini 1990) a occuparsi di
topologia fu Maurice Frèchet (1878-1973). Nella prima parte della sua tesi di dottorato “Sur
quelques points du calcul fonctionnel” apparsa nei “Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo”
nel 1906, Frechèt precisa i concetti fondamentali di quella che oggi è chiamata topologia in un
insieme astratto. Ispirandosi direttamente alla teoria degli insiemi di punti, egli nel primo capitolo
considerava classi di oggetti astratti dette L-classi, per le quali era definito in maniera assiomatica il
concetto di elemento limite di una successione di elementi. Di particolare interesse erano certe Lclassi, che Frèchet chiamava V-classi (da voisinage, intorno). Per ogni coppia A, B di elementi di
una V-classe era definita una funzione a valori reali, indicata con (A, B), tale che:
1) (A, B) = (B, A) ≥0
2) (A, B) = 0 se e solo se A = B
3) esiste una funzione f(ε)≥0 con lim f(x) = 0 e tale che (A, C) ≤ f(ε) se (A, B) ≤ ε e (B,C) ≤ ε.
ε →0
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Nel secondo capitolo della tesi, Frèchet rimpiazzava quest’ultima condizione con l’usuale
disuguaglianza triangolare (A, C) ≤ (A, B) + (B, C) per una terna qualunque di elementi. Una classe
dotata di una struttura siffatta era da Frèchet denominata E-classe (da ècart, scarto, differenza), e
più tardi sarà da Hausdorff chiamata spazio metrico.
Nella seconda parte della tesi Frèchet applicava le nozioni introdotte in maniera astratta ad
esempi concreti, come lo spazio euclideo n-dimensionale o E-classi come quella delle funzioni reali
e continue su un intervallo chiuso della retta, con ècart definito da (f, g) = max |f(t)-g(t)| per t
appartenente all’intervallo.
Successivamente a Frechèt altri studiosi fra cui Riesz, Brouwer, Hahn, Hausdorff si occuparono
di topologia. In particolare è il volume Grundzuge der Mengenlehre (Fondamenti della Teoria degli
insiemi, 1914) di Felix Hausdorff (1868-1942), che segnò la nascita della moderna topologia
generale come disciplina autonoma. Dopo aver dedicato circa metà del volume alla esposizione
della teoria cantoriana degli insiemi Hausdorff passava a trattare gli insiemi di punti e le loro
proprietà, un campo dove “la teoria degli insiemi ha colto i suoi più bei trionfi, che vengono
ammessi persino da coloro che si mantengono scettici verso la teoria degli insiemi astratti”.
Nello studiare le proprietà degli insiemi di punti, osservava Hausdorff, si potevano seguire vie
differenti. Una prima consisteva nell’introdurre una relazione binaria sull’insieme, la distanza,
definita per ogni coppia di elementi. D’altra parte, “sulla base del concetto di distanza si può per
esempio definire il concetto di successione convergente di punti e di limite di essa, e questo
concetto può a sua volta essere scelto come fondamento della teoria degli insiemi di punti,
escludendo quello di distanza” , così come aveva fatto Frechet per le sue L-classi. In terzo luogo,
sulla base della distanza si “può associare ad ogni punto certi sottoinsiemi dello spazio, che
chiameremo intorni del punto, e di nuovo si può prendere questo sistema degli intorni a
fondamento dell’intera teoria, eliminando il concetto di distanza”.
Ne seguiva la definizione di spazio metrico, intendendo con ciò “un insieme E in cui ad ogni
coppia di elementi (punti) x, y è associato un numero reale non negativo, la loro distanza xy” per la
quale siano validi i seguenti assiomi:
“ a) (assioma di simmetria) E’ sempre xy = yx
b) (assioma di coincidenza) E’ xy = 0 se e solo se x = y
c) (assioma triangolare) E’ sempre xy + yz ≥ xz ”
Hausdorff mostrava quindi senza difficoltà che l’ordinario spazio euclideo era uno spazio metrico,
così come lo spazio n-dimendionale euclideo. Egli passava poi a definire il concetto di intorno di un
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punto (“l’insieme dei punti y la cui distanza da x è minore di un determinato numero positivo”).
Con l’introduzione di questi concetti è quindi finalmente e definitivamente riconosciuta
l’importanza del valore assoluto che diventa quello che conosciamo oggi, non più solo semplice
parola usata per enunciare le regole delle operazioni fra numeri relativi, ma concetto di grande
utilità in analisi utilizzato per esprimere la “distanza” fra numeri sulla retta reale o sul piano
complesso, operatore che serve ad indicare in forma algebrica compatta gli intorni circolari nella
“difficilissima” definizione algebrica di limite.
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CAPITOLO II
Tipologia delle difficoltà del valore assoluto
A questo punto possiamo renderci conto di come sia stato difficile per i matematici
diventare consapevoli dell’importanza di definire rigorosamente l’operatore valore assoluto, visto
che esso è così intimamente legato alla storie travagliate degli enti più dibattuti della storia della
matematica: i numeri negativi innanzitutto, i numeri complessi e i limiti in secondo luogo.
Personalmente ritengo che il vero motivo per cui i ragazzi incontrano difficoltà quando si
imbattono nel concetto di valore assoluto per la prima volta è che questo viene sottovalutato e il
contesto in cui viene inserito è errato. Infatti, alla scuola media che è il luogo dove il valore assoluto
viene definito la prima volta, tale concetto è sempre applicato a numeri e non ad espressioni
letterali, che è invece l’applicazione più frequente che se ne fa al superiore.
Nella maggioranza dei casi al biennio questo concetto non viene approfondito ulteriormente
per cui il ragazzo rimane convinto che il valore assoluto sia il “numero senza segno”. Al secondo
anno il valore assoluto ricompare drammaticamente legato ad un argomento che i ragazzi stentano a
capire: quello di radicale aritmetico. Anche in questo caso alle difficoltà di un argomento già
difficile vanno al aggiungersi le difficoltà dei professori che spesso non distinguono fra radicale
aritmetico e radicale algebrico per cui i ragazzi alla fine ritengono che la radice quadrata di 4 sia
comunque o +2 o –2. Il massimo si raggiunge quando si deve calcolare la radice quadrata di una
espressione letterale. Senza avere effettivamente compreso cosa è una radice aritmetica, cosa è il
valore assoluto e senza avere mai fatto esercizi su di esso applicandolo alle espressioni letterali, non
è difficile comprendere il panico che coglie i nostri alunni quando si trovano di fronte ad un radicale
aritmetico dove compare una espressione letterale: sommando le difficoltà di due concetti così
astrusi ai loro occhi, i ragazzi si convincono sempre più di come siano difficili da comprendere sia i
radicali che il concetto di valore assoluto.
Al triennio i ragazzi rincontrano il valore assoluto o modulo quando si parla di numeri
complessi ma non tale concetto viene collegato al concetto di valore assoluto o modulo di un
numero reale. Devo dire che i ragazzi si accorgono che c’è questa uguaglianza di vocaboli ma poi
visto che il valore assoluto è un argomento “antipatico” rimuovono solitamente questo pensiero
dalle loro menti. Con queste premesse è ovvio come negli anni successivi si incontrino difficoltà
enormi quando si deve spiegare il concetto di limite nella cui definizione algebrica ricompare il
simbolo di valore assoluto. A questo punto i ragazzi sono ormai ben convinti che la matematica sia
una scienza creata per poche menti elette, che i radicali e i limiti siano due argomenti difficilissimi e
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incomprensibili e ovviamente la colpa è anche del valore assoluto.
Possiamo riassumere quanto detto nei seguenti termini:
1) il concetto di valore assoluto è stato di difficile acquisizione nella matematica moderna e
gli stessi professori hanno difficoltà a darne definizioni coerenti ed a utilizzarlo
correttamente;
2) il libri di testo spesso lo sottovalutano, ne danno definizioni poco chiare o addirittura
errate, e ne propongono scarse applicazioni;
3) i
ragazzi
lo
incontrano
alla
scuola
media
applicato
ai
numeri
relativi
dove
apparentemente non dà problemi e quindi non ne capiscono l’applicazione alle
espressioni letterali;
4) anche quando imparano a risolvere le equazioni e disequazioni con i valori assoluti i
ragazzi lo fanno in maniera meccanica, visto che spesso ne danno definizioni scorrette;
5) tale concetto è legato agli argomenti più “difficili” per i ragazzi, radicali e limiti, e
contribuisce a renderli ancora più incomprensibili.
Se adesso isoliamo il concetto di valore assoluto dal contesto in cui si studia e si utilizza, e
cerchiamo di capire quale può essere la tipologia di errori legata soltanto ad esso, troviamo che le
principali difficoltà che il ragazzo incontra sono di due tipi:
1) i ragazzi si confondono spessissimo quando devono studiare il “caso”
2) l’operatore valore assoluto è un operatore non lineare e questa caratteristica è per loro di
difficile comprensione.
Studio del caso. Quando il ragazzo studia una espressione dove il valore assoluto è applicato ad
una funzione f(x) frequentemente egli:
a) studia il segno di x al posto di quello della f(x)
b) studia il segno di f(x)
c) crede che la funzione f(x) sia una scrittura abbreviata per indicare sia la –f(x)
che la f(x)
La non linearità del valore assoluto. Difficilmente i ragazzi resistono alla tentazione di
considerare il valore assoluto come un’operatore lineare, cioè per loro molto spesso il valore
assoluto di una somma è uguale alla somma dei valori assoluti. Del resto questo tipo di errore i
ragazzi lo ripetono anche con altri operatori non lineari, quali la radice quadrata, il seno, il coseno,
la tangente, etc.
20
Ostacoli e difficoltà del valore assoluto
Abbiamo visto qual è la tipologia delle difficoltà del valore assoluto. Adesso cerchiamo di
rispondere perché questo accade. Il fatto che gli errori dei nostri alunni si ripetano nel tempo ogni
volta che incontrano valore assoluto e nonostante tutti i nostri sforzi per impedirlo, ci deve far
pensare che probabilmente il valore assoluto è un ostacolo epistemologico. Per ostacolo
epistemologico intendiamo una conoscenza che ha le seguenti caratteristiche:
1) ha un ruolo nel sapere (è un fondamento)
2) produce risposte adatte in un certo contesto e si accumula attorno a delle concezioni
3) non produce risposte adatte fuori dal contesto quando di cambia il punto di vista (resiste
al transfert)
4) nel contesto più generale produce contraddizioni rispetto alle conoscenze accettate
dall’allievo (resiste al transfert)
5) è una conoscenza ostacolo che permane anche dopo la presa di coscienza del suo ruolo
nei fondamenti del nuovo linguaggio allargato, che mantiene le sue concezioni relative ai
fondamenti del linguaggio precedente e costituisce un ostacolo all’acquisizione del
nuovo
A mio parere il valore assoluto risponde a tutte queste caratteristiche. Ma perché il valore
assoluto è un ostacolo epistemologico? Questo dipende sicuramente dai concetti a cui è collegato e
a causa dei quali è stato introdotto nella matematica, cioè i numeri negativi. Affinché i ragazzi si
costruiscano una corretta definizione del valore assoluto occorre che rivivano sulla loro pelle e
stimolati dall’insegnante, le vicissitudini che questa nozione ha subito nella storia. Queste
vicissitudini che sono a loro volta ostacoli sono il concetto del “numero misura” e l’ampliamento
dell’insieme dei numeri da N a Z.
Il numero misura. I ragazzi vivono sin dalla scuola elementare i numeri reali positivi come il
risultato di una misura. Così i numeri razionali si possono esprimere come rapporto di due misure.
Anche i numeri irrazionali sono introdotti allo stesso modo. Per esempio 2 è la misura della
diagonale del quadrato che ha lato unitario. In questo contesto i numeri reali negativi sono concepiti
come costituiti da una misura più un segno. Così il valore assoluto diventa una delle due parti di cui
è costituito un numero relativo, cioè la misura ovvero il “numero senza segno”. Del resto è proprio
questo il percorso storico che ha portato Cauchy a parlarne in questi termini. Questo modo di
concepire il valore assoluto consente la facile applicazione di tale operatore ai numeri ma non alle
21
espressioni letterali. Inoltre fa perdere di vista il fatto che il valore assoluto è sempre e comunque un
numero positivo.
L’ampliamento da N in Z. Il valore assoluto può essere utilizzato, da quanto abbiamo detto prima,
per ampliare N in Z. Incontrare tale operatore durante lo studio dei numeri relativi è molto
rassicurante per i ragazzi, perché crea dei collegamenti con i numeri “misura” studiati in
precedenza. Tuttavia questo utilizzo, oltre a snaturare il significato dell’operatore valore assoluto, fa
di fatto perdere il significato proprio dei numeri relativi, che vengono così trattati con regole
mnemoniche, senza che più collocarli sulla retta orientata.
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CAPITOLO III
L’insegnamento del valore assoluto nei libri di testo
Le utilizzazione più interessanti del concetto di valore assoluto si hanno nella scuola
superiore:
1)
negli Istituti Tecnici a terzo anno quando si parla di modulo di un numero
complesso e a quarto anno se ne fanno cenni quando si introducono i limiti e nello
studio delle funzioni;
2)
nei Licei Scientifici a quinto anno per formalizzare il concetto di limite e nello
studio delle funzioni in vista del proseguimento degli studi all’Università.
Tuttavia anche i ragazzi con le basi migliori e più diligenti sono presi dal panico quando
incontrano il simbolo di valore assoluto (persino quando viene applicato ai numeri relativi).
Per accertare i motivi delle difficoltà incontrate dai ragazzi quando si trovano davanti ad una
espressione che contiene il valore assoluto, si è ritenuto necessario procedere ad un esame dei libri
di testo dove tale concetto viene definito che sono libri del biennio della scuola secondaria. Da
quello che ho potuto notare sembra che i primi ad avere difficoltà quando si parla di tale concetto
siano proprio gli autori di tali libri. Personalmente ritengo che il “role-taking”, ovvero il mettersi nei
panni degli altri, debba essere un dovere sia per l’insegnante che per l’autore di un qualunque libro
di testo scolastico. Tuttavia nella lettura di molti libri sembra che nella definizione del valore
assoluto l’autore si sia immedesimato così tanto nel ruolo dell’alunno che risulta molto difficile
capire se pensi seriamente le definizioni che scrive o lo faccia soltanto per adeguarsi alle
conoscenze dei ragazzi.
Il concetto di valore assoluto fa la sua apparizione per la prima volta nei libri di testo durante
lo studio dei numeri relativi alla scuola media, ricompare nei libri di testo del superiore del primo
anno, e poi viene utilizzato sempre più massicciamente da tali libri negli anni successivi.
Sono riportate nel seguito alcune delle definizioni date di tale concetto. I vari libri sono
raggruppati proprio in base alla definizione che danno del valore assoluto. Si noti che le definizioni
presenti nei vari libri (che comunque sono riportate in questo lavoro) non sono proprio identiche a
quelle date ma comunque vi si possono all’incirca identificare.
5) Si dice valore assoluto, o modulo, di un numero il numero stesso senza il segno (Bovio ed
altri, 1991; Benedetti ed altri, 1989; Venè ed altri 1995, 1995bis; Palatini ed altri 1992;
23
Alvino 1999, 1999bis; Santoboni 1961, 1961bis; Poggi Bianchini ed altri 1995, 1997;
Maraschini ed altri 1998, 1998bis).
6) Si dice valore assoluto del numero relativo a e si indica con a la distanza del punto che
rappresenta il numero a dall’origine (Castelnuovo, 1973).
7) Si dice valore assoluto del numero a, e si indica con a , il numero stesso se a è positivo o
nullo, il suo opposto se a è negativo (Poggi Bianchini 1997; Maraschini ed altri 1998;
Zwirner ed altri, 1997, 1997bis).
Esaminiamo a una a una tali definizioni, quali sono i vantaggi e gli svantaggi ad esse connessi,
come esse sono date nei libri (e in che contesto) e dove il valore assoluto viene utilizzato.
La 1) definizione
“Si dice valore assoluto, o modulo, di un numero il numero stesso senza il segno”
(Bovio ed altri, 1991; Benedetti ed altri, 1989; Venè ed altri 1995, 1995bis; Palatini ed altri
1992; Alvino 1999, 1999bis; Santoboni 1961, 1961bis; Poggi Bianchini ed altri 1995, 1997;
Maraschini ed altri 1998, 1998bis)
La 1) definizione è quella che si ritrova più frequentemente nei libri di testo sia di scuola media
che del superiore.
Il Bovio (Bovio ed altri, 1991) è un libro del 3° anno di scuola media. Dopo avere definito i
numeri relativi (Q), a pag. 7 si trova la lapidaria definizione: ”Si dice valore assoluto, o modulo, di
un numero relativo il numero stesso senza segno”. Subito dopo (sempre a pag.7), il libro utilizza
tale concetto per definire l’uguaglianza di due numeri relativi: ”Due numeri relativi si dicono
uguali se sono concordi ed hanno ugual valore assoluto”. A pag.8 dice che “Dati due numeri
relativi qualunque e disuguali, il maggiore di essi è quello che sulla retta orientata r ha per
immagine un punto situato più a destra dell’immagine dell’altro”, però poi si sente in dovere a
pag.9 di affermare che “Di due numeri positivi è maggiore quello che ha maggior valore assoluto;
di due numeri negativi, il maggiore è quello che ha minore valore assoluto”. Personalmente ritengo
che tale precisazione non solo sia necessaria ma anche dannosa perché il ragazzo separa il numero
dalla sua visualizzazione sulla retta, fatto che invece è cruciale per il proseguimento dei suoi studi
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matematici. Il libro riprende il concetto di valore assoluto a pag.19-20 dove se ne serve per definire
la somma algebrica di due numeri relativi con le seguenti regole:
1) “La somma di due numeri relativi concordi è il numero che è concorde con i dati e che ha
per valore assoluto la somma dei loro valori assoluti”
2) “La somma di due numeri relativi discordi è il numero relativo che ha il segno di quello dei
due addendi che ha maggiore valore assoluto, e che ha per valore assoluto la differenza dei
loro valori assoluti”
A pag.29 il medesimo libro recita:
“Il prodotto di due numeri relativi, entrambi diversi da zero, è il numero relativo che ha per
modulo il prodotto dei loro moduli e che ha per segno il segno positivo se i due fattori sono
concordi ed il segno negativo se sono discordi”
e a pag. 37:
“Il quoziente di due numeri relativi è il numero relativo che ha per valore assoluto il quoziente dei
valori assoluti dei numeri dati, e per segno il segno + se il dividendo ed il divisore sono concordi, il
segno – se sono discordi”
A pag. 46 il libro dice che:
“La radice quadrata di un numero positivo ha due valori che hanno valore assoluto e segni
opposti”
Questa è l’ultima volta in cui tale concetto appare nel libro. Quindi, come si evince dall’analisi del
testo, il valore assoluto è sempre applicato ai numeri relativi.
Il secondo libro preso in esame è stato il Benedetti (Benedetti ed altri, 1989), un libro per il
triennio della scuola media. La definizione di valore assoluto che appare in tale libro è
assolutamente deviante. A pag.183, dopo avere introdotto i numeri interi relativi, essa recita:
“Si chiama valore assoluto o modulo di un numero intero relativo il numero naturale che si ottiene
togliendo il segno”
A mio parere una definizione simile è molto più pericolosa di quella che parla del valore assoluto
come il numero senza segno. Innanzitutto perché limita il raggio d’azione del valore assoluto agli
interi relativi. In secondo luogo perché, dietro a una parvenza di rigore, cela errori concettuali molto
gravi. Gli utilizzi successivi che nel libro si fanno del valore assoluto sono analoghi a quelli
esaminati nel Bovio. Tuttavia il libro non riparla più del valore assoluto riferendolo ai numeri
frazionari relativi, che comunque introduce dopo. Per parlare della somma algebrica dei numeri
frazionari relativi si limita a dire che si seguono le stesse regole che seguono gli interi relativi
(pag.246).
25
Il Venè (Venè ed altri, 1995, 1995bis) è un libro per il biennio delle scuole superiori.
Ritengo che uno studente che aprisse questo libro la prima volta per studiare gli interi relativi
potrebbe decidere di non aprirlo più in altre occasioni. Infatti a pag.6 (Venè ed altri, 1995) esordisce
con una notazione per lo meno discutibile. Parlando dei numeri interi dice che:
“Si scrivono usando una notazione non standard (per esempio 3-) o una notazione standard
(per esempio –3):
3- = -3
3+ = +3 ”
A pag.7 viene definito il valore assoluto “senza parole” cioè:
“Il valore assoluto o modulo di un numero relativo è definito come segue:
a+ = a
a- = -a = a
0  = 0
Per esempio:
+5 = 5
-5 = 5 ”
Le operazioni fra gli interi sono definite allo stesso modo usando la stessa simbologia senza dare
descrizioni utilizzando il valore assoluto ma solo come simbolo non con le parole.
Nel secondo volume (Venè ed altri, 1995bis) a pag.97, il valore assoluto ricompare quando si parla
dei radicali aritmetici:
“
(− 2 )2
(− 2 )2
= −2 è assurdo, poiché un radicale aritmetico deve essere maggiore o uguale a zero.
è un numero positivo e non può essere uguale a uno negativo!
Per avere una uguaglianza corretta devi scrivere:
(− 2 )2
= −2
Questa osservazione è particolarmente importante quando si lavora con delle variabili:
y2 = y
infatti a y può essere assegnato un qualunque numero reale, positivo, negativo o nullo.”
Successivamente ricompare quando si parla delle proprietà che caratterizzano la parabola per
indicare delle distanze in cui compaiono le lettere. Questa è l’ultima volta in cui questo concetto
viene trattato nel libro.
Il Palatini e Faggioli (Palatini ed altri, 1992) è un libro destinato al biennio dei licei. Tale
libro dà delle definizioni di valore assoluto e di numero relativo “falsamente rigorose”. Infatti a pag.
37 afferma che:
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“Si dice valore assoluto o modulo o valore aritmetico di un numero relativo il numero stesso
privato del segno: per esempio il valore assoluto di +3 è 3; il valore assoluto di −
5
5
è ; ecc. …
8
8
Dunque ogni numero relativo possiede un segno e un valore assoluto… Due numeri aventi lo stesso
valore assoluto e segni contrari si dicono opposti o anche simmetrici, o contrari …”
Sempre nella stessa pagina il libro fa una ulteriore precisazione in cui dà la 2) definizione:
“Come si è fatto per i numeri dell’aritmetica, anche i numeri relativi si rappresentano molto spesso
con lettere dell’alfabeto. Si noti bene però che quando si dice, per esempio, “numero a” non si deve
intendere che a è un numero positivo perché non è preceduto da alcun segno: si può decidere se a è
positivo o negativo solo dopo che, per qualche ragione, venga attribuito ad a un valore numerico e
un segno.
Il valore assoluto di a si indicherà come convenuto, con a e si leggerà “valore assoluto di a”.
L’opposto del numero a è –a. Quindi avremo che se a è positivo, è a = a; se a è negativo è
a = −a ”.
Successivamente il libro dà le regole per sommare algebricamente, dividere e moltiplicare i numeri
relativi utilizzando tale concetto. Tale libro usa il valore assoluto pure per scegliere quale fra due
numeri relativi sia il minore trascurando completamente la rappresentazione dei numeri sulla retta
reale.
L’Alvino (Alvino, 1999, 1999bis) è un libro per il biennio della scuola superiore. Si serve di
esempi numerici per definire la somma, la sottrazione, il prodotto e la divisione dei numeri relativi.
Nel primo volume (Alvino, 1999) non si parla proprio del valore assoluto eccetto che a pag.429 in
cui in una piccola nota laterale a fianco di un esercizio è riportato:
“Sai già : Si ricorda che il modulo o valore assoluto di un numero relativo è il numero preso senza
segno: -5 = 5”
Nel secondo volume (Alvino, 1999bis) il valore assoluto viene utilizzato senza troppe spiegazioni
quando si parla di trasportare fuori radice aritmetica espressioni in cui compaiono lettere. Poi non
riappare più.
Il Santoboni (Santoboni, 1961, 1961 bis) è un libro destinato ai ginnasi, ai licei scientifici e
gli istituti tecnici. Anche qua il valore assoluto è definito a pag.6:
“I numeri senza segno, che sono quelli usati sin ora in Aritmetica, si dicono numeri assoluti; il
numero assoluto che si ottiene da un numero relativo sopprimendone il segno, si chiama valore
assoluto del numero stesso.
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Così, per esempio, i valori assoluti dei numeri +4, -5, +
3 8
3 8
, − sono ordinatamente 4, 5, , ”
4 5
4 5
Dopo questo infelice esordio tuttavia il libro “si riprende” affermando che:
“Evidentemente i numeri positivi . . . coincidono con i numeri senza segno . . . dai quali eravamo
partiti; per questa ragione si usa comunemente identificare ogni numero positivo con il suo valore
assoluto. Così un numero positivo, ad esempio +8, si scriverà indifferentemente +8 oppure 8”
Nonostante dia questa definizione del valore assoluto personalmente ritengo che tale libro sia
comunque apprezzabile perché dal punto di vista tipografico non dà a tale affermazione l’enfasi che
dà alle altre definizioni più rigorose presenti nel libro, si fa capire e inoltre afferma chiaramente che
il valore assoluto è un numero positivo (e questo non lo fa nessuno degli altri libri in maniera così
esplicita).
Tuttavia nel secondo volume (Santoboni, 1961bis) il concetto di valore assoluto non viene più
ripreso, neppure nella trattazione dei radicali aritmetici che comunque è molto discutibile e confusa.
Il Poggi Bianchini (Poggi Bianchini 1995, 1997) è un libro per il biennio delle scuole
superiori. A pag. 79 nel primo volume, dopo avere introdotto i numeri interi relativi e i frazionari
relativi compare la definizione di “valore assoluto, che è il numero preso senza segno”. Anche in
questo libro ci si serve del concetto di valore assoluto per definire la somma, la differenza, il
prodotto e il rapporto dei numeri relativi analogamente a quanto fatto dal Bovio. Nel secondo
volume (Poggi Bianchini, 1997) a pag.36 ricompare il valore assoluto però è riportata velocemente
la definizione 3), perché se ne rende necessario l’utilizzo parlando di come portare fuori dal segno
di radice le espressioni che contengono lettere quando abbiamo a che fare con radicali aritmetici. A
parte questo fugace utilizzo il valore assoluto non viene più usato nel libro.
Il Maraschini (Maraschini ed altri, 1998, 1998bis) è un libro destinato al biennio del liceo
scientifico sperimentale. Nel primo volume (Maraschini ed altri, 1998) a pag.7 viene definito il
valore assoluto dopo avere introdotto i numeri relativi:
“Si dice valore assoluto di un numero relativo a il numero considerato senza il suo segno”
Tuttavia sempre a pag.7 in neretto in colonna accanto a tale definizione viene data la 3) definizione.
Sempre nella stessa colonna si evidenzia implicitamente in azzurro il significato geometrico del
valore assoluto ( 2) definizione ):
“Due numeri opposti, come per esempio –2 e +2, entrambi con valore assoluto 2, sono disposti
sulla retta in modo simmetrico rispetto alla posizione occupata dallo zero e rappresentano,
entrambi, segmenti di uguale lunghezza (2 unità)”
28
A pag.8 dello stesso libro è presente un paragrafo che precisa diffusamente il fatto che “le lettere
non rappresentano necessariamente numeri positivi”. Le operazioni fra numeri relativi vengono
ritenute in tale libro bagaglio culturale degli alunni per cui non sono definite. A pag. 281 dopo avere
parlato delle disequazioni di primo grado viene data la 3) definizione e in seguito sono proposti
esercizi sulle equazioni e disequazioni con il valore assoluto.
Il concetto di valore assoluto viene riutilizzato nel secondo volume (Maraschini ed altri, 1998bis)
quando parla di estrarre la radice quadrata di espressioni letterali che compaiono sotto segno di
“radicale quadratico”.
La definizione 1) presenta l’indubbio vantaggio di essere subito recepita dallo studente,
tanto è vero che è la più utilizzata nei libri. Infatti dopo avere definito i numeri “con segno”, il
valore assoluto inteso come “numero senza segno” è vissuto dagli studenti come una
semplificazione per cui è un concetto subito compreso. Purtroppo tale definizione non è né la più
rigorosa (quando non viene specificato altrimenti: che tipo di numero è un numero senza segno?),
né la più interessante ai fini del proseguimento degli studi. Non è la più rigorosa perché se
l’insegnante non lo specifica bene quando dà all’alunno tale definizione, questi resta convinto che il
“numero senza segno” sia un nuovo genere di numero, né positivo, né negativo. Non è la
definizione più interessante perché rende il concetto di valore assoluto completamente inservibile
per il proseguimento degli studi. A tale proposito ricordo uno studente al 5° anno I.T.I., che quando
in una spiegazione di analisi ho parlato della definizione 3) per presentare il concetto di valore
assoluto, egli, non comprendendola subito, mi ha subito espresso il suo disappunto perché un
concetto così semplice (secondo lui!) io lo avevo reso così complicato. Forse semplificare troppo
certi concetti è dannoso per la mente dello studente, sia perché non viene abituato alla logica
matematica, sia perché vengono banalizzati concetti che non lo sono affatto, snaturando il
significato di ciò che si insegna.
La 2) definizione
“Si dice valore assoluto del numero relativo a e si indica con a la distanza del punto che
rappresenta il numero a dall’origine”
(Maraschini ed altri, 1998; Castelnuovo, 1973).
Abbiamo già visto che nel Maraschini (Maraschini ed altri, 1998), sia pure in secondo piano
rispetto alle 1) e 3) definizioni si fa cenno a pag.7 al significato geometrico del valore assoluto.
29
L’altro libro che invece associa in maniera più pregnante tale concetto con quello di distanza è il
Castelnuovo (Castelnuovo, 1973). E’ un libro di algebra per la scuola media, molto bello e
interessante. Esso dà una grande importanza al linguaggio delle immagini: cerca sempre di
esprimere i concetti dell’algebra utilizzando la geometria. Immagino che la Castelnuovo abbia
svolto una accurata indagine epistemologica e storica sugli argomenti che espone nel suo libro,
infatti a pag. 149 per parlare della somma e differenza dei numeri relativi
utilizza i concetti di
“entrate” e “uscite” analogamente a quanto fatto storicamente da Bombelli e come lui per rendere
più “digeribile” l’ampliamento dei numeri naturali agli interi relativi antepone a qualunque discorso
algebrico la visualizzazione dei numeri interi relativi sulla retta reale. Non introduce il concetto di
valore assoluto per definire le operazioni fra numeri relativi.
Questo le risparmia inutili e astruse definizioni da imparare a memoria. Della somma algebrica
dà pure una visualizzazione interessante a pag.153:
“E’ per esempio una somma algebrica l’espressione:
+ 5 − 3 − 7 + 2 − 11 + 1
+5 si leggerà: “partire da 0 e spostarsi di 5 verso destra”;
-3 si leggerà:”spostarsi, a partire da +5, di 3 verso sinistra”; si arriva così a +2” e così via.
Molto bello è pure il modo in cui cerca di visualizzare la regola dei segni sul piano cartesiano.
Tuttavia in tale descrizione si fa scappare la parola “valore assoluto” senza averla definita prima:
“Volendo rappresentare geometricamente il prodotto di due numeri relativi dovremo pensare a
un rettangolo le cuin dimensioni siano appunto espresse da questi numeri. Saremo quindi portati a
disegnare un piano cartesiano; lavoreremo sui quattro quadranti in cui gli assi coordinati dividono
il piano. Prendiamo adesso un rettangolo di cartone, per esempio di dimensioni 2 e 3. Supponiamo
che le facce di questo cartone siano di colore diverso: l’una rossa e l’altra nera; il cartone si può
presentare dunque o dalla parte rossa o dalla parte nera. Ora noi conveniamo di chiamare positiva
l’area della faccia rossa e negativa l’area della faccia nera che è l’opposta.
Se le dimensioni del rettangolo sono 2 e 3, la sua area sarà, in valore assoluto, uguale a 6; da
un punto di vista “relativo” noi diremo che l’area è +6 se si presenta dalla faccia rossa, mentre è –
6 se si presenta dalla faccia nera.”
Segue infine una visualizzazione grafica in cui caratterizza i vari quadranti del piano
cartesiano con i colori rosso e nero delle facce del rettangolo ribaltandolo quest’ultimo ogni volta
che cambia il segno di uno dei fattori.
30
Il valore assoluto viene definito implicitamente a pag.169 quando la Castelnuovo afferma
che il valore y del quadrato di un numero intero relativo x “non dipende dal segno di x ma solo dal
valore assoluto di x che si indica con  x .”
A pag. 170 il discorso continua prendendo una “brutta piega”:
“ Nel nostro caso numerico possiamo dire che y=+25 corrisponde a due valori relativi opposti: +5
e –5; oppure possiamo dire che y=+25 corrisponde al valore assoluto di x:  5 .
Spesso, a proposito di distanze, ci si riferisce, anche se non lo si dice esplicitamente, al valore
assoluto anziché al valore relativo: per esempio la distanza dei punti P, Q sulla retta è sempre
 4 ”.
Penso che l’idea della Castelnuovo di collegare il valore assoluto con il concetto di distanza
sia molto interessante infatti facilita i collegamenti con il significato del valore assoluto in campo
complesso e nello studio dei limiti. Tuttavia ritengo che i termini in cui la Castelnuovo formula il
suo discorso così persuasivo siano totalmente sbagliati. Se da studente mi trovassi a leggerlo
penserei che allora al valore assoluto di un numero, per esempio  5  corrispondono due numeri
uguali e opposti +5 e –5 e come è ovvio non è così. La Castelnuovo usa il concetto di radice
algebrica per parlare del valore assoluto, invece il fatto che
25 = 5 viene proprio dal fatto che si
fa uso del concetto di radice aritmetica.
La 3) definizione
“Si dice valore assoluto del numero a, e si indica con a , il numero stesso se a è positivo o
nullo, il suo opposto se a è negativo”
(Poggi Bianchini 1997; Maraschini ed altri 1998; Zwirner ed altri, 1997, 1997bis)
Il secondo volume del Poggi Bianchini (Poggi Bianchini, 1997) riporta la 3) definizione a pag.
36 senza troppe spiegazioni e precisazioni, dicendo:
a per a > 0
“( ricordiamo che a = 
)“.
− a per a < 0
e ne fa alcune applicazioni.
La 3) definizione è presente nello stesso Maraschini in cui compariva la 1) definizione, ma
più avanti nel libro, senza troppi commenti, perché viene da lui utilizzata per risolvere le equazioni
e le disequazioni con i valori assoluti.
31
Lo Zwirner (Zwirner ed altri, 1997, 1997bis) è un libro molto famoso scritto per la scuola
media superiore. A pag.79, quando parla dei numeri razionali relativi viene definito il valore
aritmetico di un numero razionale relativo:
“Il valore aritmetico di un numero relativo è il numero privato del segno”
Per definire la somma algebrica a pag.81 lo Zwirner utilizza il concetto di valore aritmetico:
“La somma di due numeri relativi di egual segno è il numero relativo che ha per valore
aritmetico la somma dei valori aritmetici dei due numeri, e, per segno, il loro stesso segno.
La somma di due numeri relativi di segno contrario, e non opposti, è il numero relativo che ha per
valore aritmetico la differenza dei valori aritmetici dei due numeri, e per segno, il segno di quello
di essi che ha valore aritmetico maggiore.
La somma di due numeri opposti è zero.”
A pag. 94 troviamo la regola che definisce il prodotto di due numeri razionali relativi:
“Si chiama prodotto di due numeri razionali relativi, diversi da zero, il numero relativo che
ha valore aritmetico il prodotto dei valori aritmetici dei due numeri dati, e per segno il + o il -, a
seconda che i due numeri siano concordi o discordi.”
Il valore assoluto si trova definito a pag.92 :
“ Si chiama valore assoluto del numero razionale a, e si indica con a , il numero stesso se
a è positivo, il suo opposto se a è negativo”
Gli esempi presenti nella stessa pagina sono chiarificatori:
“Per esempio:
− 5 = +5
+
2
2
=+
5
5
...”
Nel secondo volume (Zwirner 1997bis) dopo avere introdotto i numeri irrazionali è ripetuta
a pag.8 la definizione di valore assoluto applicata stavolta all’ambito dei numeri reali:
“ Si chiama valore assoluto del numero reale a, e si indica con a , il numero stesso se a è
positivo, il suo opposto se a è negativo”
Successivamente il valore assoluto viene ripreso più avanti nel libro a pag.104-119 con
molti esempi parlando di come comportarsi quando si devono trasportare fuori o dentro radice
espressioni letterali.
32
Forse questa definizione è di non immediata comprensione per gli alunni perché presuppone una
complicazione non una semplificazione, ma non c’è dubbio che è una fra le più interessanti. Infatti
essa presenta degli indubbi vantaggi:
1) mette in evidenza il fatto che il valore assoluto di un numero è un numero sempre positivo;
2) fa riflettere l’alunno;
3) a parte l’ostacolo iniziale costituito dalla sua comprensione, è utilissima sia nella risoluzione
delle espressioni dove compaiono i valori assoluti (se sorgono difficoltà penso che si
possano risolvere con un po’ di esercizio e qualche precisazione), sia perché è molto utile
quando in analisi si vogliono fare esempi che coinvolgono tale concetto.
Il valore assoluto nei programmi scolastici
Leggendo i libri di testo, ci si può spiegare i motivi per cui il valore assoluto sia così poco
gradito ai ragazzi. Solitamente il valore assoluto viene utilizzato la prima volta in terza media nello
studio dei numeri relativi. Questo argomento è nella maggior parte dei casi introdotto proprio per
enunciare le regole che consentono di maneggiare i numeri relativi e quindi è sempre applicato dai
ragazzi ai numeri in maniera meccanica.
Al superiore tale concetto viene ripreso al primo anno, sempre con lo stesso scopo. Al secondo
anno tale operatore viene riutilizzato applicandolo stavolta ad espressioni letterali per trasportarle
fuori dal segno di radicale aritmetico. Al triennio il valore assoluto ricompare con utilizzi diversi a
seconda del tipo di scuola. Per esempio, all’istituto tecnico industriale viene nominato a terzo anno
quando si parla del modulo dei numeri complessi. Al quarto anno dell’I.T.I. o al quinto anno del
Liceo Scientifico, in maniera molto più approfondita, si parla di nuovo di valore assoluto
applicandolo allo studio dei limiti e delle funzioni.
Visto il contesto nel quale lo incontrano la prima volta, i ragazzi lo vivono solitamente come il
numero “senza segno”, e non ne capiscono il significato quando viene applicato alle espressioni
letterali. Ritengo che per questo motivo si debba parlare di valore assoluto quando se ne possono
fare applicazioni concrete interessanti che permettano ai ragazzi di rendersi conto pienamente conto
del suo significato.
Non sono convinta del fatto che soffermarsi troppo su tale concetto sia utile nelle scuole di
tipo tecnico. In questo tipo di scuole, secondo me, basta che i ragazzi conoscano bene il significato
geometrico del valore assoluto per collegarlo a quello di modulo di un numero complesso e capire il
significato della definizione algebrica di limite. Tuttavia ritengo che questo concetto si debba
33
insegnare (bene!) nei Licei Scientifici. A mio parere, il secondo anno del Liceo Scientifico potrebbe
essere il momento giusto per raggiungere questo scopo. Infatti dopo avere studiato le equazioni e le
disequazioni di primo grado e i sistemi lineari, si potrebbe introdurre il valore assoluto applicandolo
alla risoluzione di qualche equazione di primo grado dove compaiono i valori assoluti. In tale
ambito io darei più di una definizione di tale concetto. Per prima cosa chiederei ai ragazzi se ne
hanno sentito parlare prima e poi “smonterei” la definizione che ne hanno ricevuto alla scuola
media (definizione 1)). Quale definizione presentare di tale concetto? Personalmente ritengo che la
definizione 3) sia la più interessante perché da essa emerge chiaramente che il valore assoluto è una
quantità positiva. Anzi utilizzerei tale definizione e il concetto di sistema per spiegare l’algoritmo di
risoluzione delle equazioni e disequazioni con il valore assoluto. La definizione 2) la presenterei
pure per tanti motivi.
Innanzitutto perché a mio parere è sempre utile che i ragazzi si rendano conto che l’algebra
e la geometria non sono due mondi separati. Ci sono ragazzi che comprendono meglio la geometria
dell’algebra, altri che comprendono meglio l’algebra della geometria per cui se mescoliamo i due
linguaggi ci sono maggiori probabilità di venire compresi da un numero maggiore di persone e di
dare a ciascuno la possibilità di avere oltre a quello che gli è più congeniale, un punto di vista
diverso.
In secondo luogo la 2) definizione è interessante perché permette facilmente di capire che
una equazione con i valori assoluti del tipo x = 2 significa che sono richiesti tutti quei numeri x che
distano dall’origine per un segmento uguale a 2, cioè +2 e –2 e questo permette di risolvere le
equazioni più semplici con il valore assoluto senza troppi calcoli. Collegare questo procedimento
geometrico a quello che fa uso della risoluzione di un sistema di equazioni e disequazioni è, a mio
parere, molto utile.
L’introduzione dello studio del valore assoluto applicato a espressioni letterali a secondo
anno permette poi con scioltezza di comprendere la sua applicazione al mondo dei radicali
aritmetici. Il valore assoluto potrebbe essere utilizzato sempre a secondo anno nella risoluzione
delle equazioni di secondo grado pure, accostando ad essa, ma solo in seconda battuta, la
spiegazione della risoluzione di tali equazioni data con le radici algebriche.
Ritengo tuttavia che l’approccio che si può dare al mondo delle radici e della risoluzione
delle equazioni di secondo grado dipenda molto dalla classe a cui insegniamo, anche se in media
sarebbe molto positivo che i ragazzi avessero ben chiari questi concetti, per il proseguimento dei
loro studi.
A quinto anno infine, prima di studiare i limiti, arricchirei le conoscenze dei ragazzi sul
valore assoluto presentando la definizione secondo la quale il valore assoluto di a è il massimo fra
34
–a e a, che si presta molto bene alla comprensione delle proprietà del valore assoluto che servono
nella dimostrazione di certi teoremi sui limiti. In tale ambito riprenderei il significato geometrico
del valore assoluto presentando il valore assoluto della differenza di due punti come la misura della
distanza fra i due punti sulla retta reale.
35
CAPITOLO IV
Un questionario sul valore assoluto
Nome ______________ Cognome_____________ Classe_______
Rispondi alle seguenti domande (nota bene: solo la domanda 9) consente di dare più di una
risposta):
1) 5 e +5 indicano:
a) numeri reali diversi
b) lo stesso numero reale
c) tipi di numeri diversi
2) − 5 è pari a:
a) 5
b) +5
c) -5 e +5
d) 5 o +5
e) non ha senso
3)
−
a)
1
è pari a:
2
1
2
b) +
1
2
c) −
1
1
e +
2
2
d)
1
1
o+
2
2
e) non ha senso
4) L’espressione − 2 è pari a:
36
a)
2
b) + 2
c) − 2
e + 2
2 o + 2
d)
e) non ha senso
5) Il valore assoluto di un numero reale indica :
a) un numero reale positivo o al più nullo
b) un numero reale negativo o al più nullo
c) un numero reale positivo e un numero reale negativo (al più zero)
d) un numero “senza segno”
6) Un generico numero “senza segno” è:
a) un numero naturale
b) un numero reale positivo o al più nullo
c) un numero reale negativo o al più nullo
d) sia un numero reale positivo che un numero reale negativo (al più zero)
7) Dato il numero x = +5 allora –x è pari a:
a) +5
b) 5
c) –5
d) 0
8) Qual è il massimo fra i numeri (–5, +5)?
a) –5
b) +5
c) +5,1
9) Segnare con una crocetta tutte le possibili risposte corrette:
a)
− 5 è uguale al massimo fra –5 e il suo opposto
b) − 5 è uguale a –5
c)
− 5 è uguale a +5
37
d) − 5 è uguale a 5
10) Quali valori della x puoi sostituire nell’espressione | x | = 2 affinché essa sia
verificata ?
a) x = 2
b) x = +2
c) x = ±2
11) Quali valori della x puoi sostituire nell’espressione | x + 1 | = 2 affinché essa sia
verificata ?
a) x = 1 e x = -3
b) x = 1 e x = 3
c) x = 1
12) Quali numeri interi relativi puoi sostituire ad x affinché sia verificato |x+1| ≤ 2 ?
a) x = 9, x = 1, x = 2
b) x = -1, x = -56, x = -3
c) x = 0, x = 1, x = -1, x = -2, x = -3
13) La lettera a indica:
a) un numero positivo o al più nullo
b) un numero negativo o al più nullo
c) nulla possiamo dire sul segno di a
14) La scrittura a indica:
a) un numero positivo o al più nullo
b) un numero negativo o al più nullo
c) sia un numero positivo che un numero negativo
15) Fra la quantitàa - be la quantitàa-b, sussiste una relazione di:
a) uguaglianza (a - b=a-b)
b) minore o uguale (a - b≤a-b)
c) maggiore o uguale (a - b≥a-b)
38
16) Fra la quantitàa + be la quantitàa+b, sussiste una relazione di:
a) uguaglianza (a + b=a+b)
b) minore o uguale (a + b≤a+b)
c) maggiore o uguale (a + b≥a+b)
Analisi a priori
Il questionario sopra scritto è stato pensato per essere sottoposto a ragazzi del triennio
dell’Istituto Tecnico Industriale.
Visto che il valore
assoluto si definisce solitamente alla scuola media come il numero
“senza il segno”, il questionario è stato pensato per cercare di fare riflettere i ragazzi e saggiare le
loro capacità di ragionamento. Con la prima domanda si cerca di capire qual è lo stato iniziale delle
loro conoscenze, cioè se per loro il numero “senza segno” è un numero positivo. A tale scopo dopo
una serie di domande preparatorie in cui è stato applicato l’operatore assoluto a numeri di genere
diverso (interi, razionali e irrazionali, domande 2-4), il ragazzo viene interrogato sul segno del
valore assoluto di un numero (domanda 5). La domanda 6 cerca di capire cosa sia per il ragazzo un
numero senza segno. Dopo le domande precedenti in cui al ragazzo era stata data la possibilità di
applicare il concetto di valore assoluto ai numeri reali negativi, stavolta viene posto il problema di
cosa effettivamente sia un numero “senza segno”.
Le domande 6-9 sono formulate in modo tale da portare il ragazzo a riflettere sulle proprietà
del valore assoluto, in particolare sulla definizione del valore assoluto di un numero come il
massimo fra il numero stesso e il suo opposto.
Le domande 10-12 cercano di fare riflettere il ragazzo sul concetto di valore assoluto
applicato alle espressioni letterali. I ragazzi a cui il test è stato sottoposto non hanno
presumibilmente mai incontrato nella loro carriera scolastica equazioni o disequazioni con il valore
assoluto per cui nella formulazione della domanda è stato suggerita una modalità per procedere nel
reperimento della risposta.
Le domande 13-14 sono domande preparatorie per appurare che interpretazione dia il
ragazzo alle lettere e all’operatore valore assoluto applicato alle lettere. Con queste premesse, nelle
domande successive (domande 15-16) si chiede al ragazzo di riflettere sulla proprietà di non
linearità del valore assoluto.
39
Analisi dei comportamenti
Il test è stato somministrato a due quarte e una terza dell’I.T.I. Volta.
Sono di seguito riportati i risultati complessivi del test somministrato.
Il valore assoluto: numero "senza
segno" ?
27%
no
73%
sì
Fig.4
Algoritmi del valore assoluto
percentuali
100%
80%
60%
40%
20%
0%
1 a)
b)
2
algoritmi
Fig.5
40
3
c)
4
d)
Difficoltà ad applicare il valore
assoluto ad espressioni letterali
34%
no
66%
sì
Fig.6
Il valore assoluto è un operatore
lineare ?
42%
no
58%
sì
Fig.7
Nelle pagine successive sono riportati in dettaglio i risultati del test somministrato alle tre
classi.
41
Domanda
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
CLASSE III E
a)
2
10
10
9
3
6
2
10
7
3
2
7
3
13
13
Alunni
c)
1
1
1
3
2
b)
13
2
2
1
9
16
3
4
9
12
12
9
13
1
2
2
1
2
Algoritmi del valore assoluto
63%
a)
19%
b)
25%
c)
88%
d)
Il valore assoluto applicato a espressioni letterali
49%
Riesce
Non riesce
Linearità del valore assoluto
15%
No
85%
Sì
42
e)
3
3
3
11
1
14
Il valore assoluto: numero "senza segno" ?
27%
No
73%
Sì
51%
16
d)
14
Risposta esatta Risposta + frequente
b)
b)
d)
a)
d)
a)
d)
a)
a)
d)
b)
b)
c)
c)
b)
b)
a) c) d)
d) a) c)
c)
c)
a)
c)
c)
c)
c)
c)
a)
c)
c)
a)
b)
a)
Domanda
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
CLASSE IV M
a)
10
10
11
5
2
2
2
2
4
1
5
6
10
b)
9
2
2
1
11
12
7
4
4
8
2
Alunni
c)
5
2
2
1
3
1
14
2
14
12
8
7
13
9
14
d)
e)
1
6
6
2
Il valore assoluto: numero "senza segno" ?
32%
No
68%
Sì
Algoritmi del valore assoluto
14%
a)
50%
b)
100%
c)
43%
d)
Il valore assoluto applicato a espressioni letterali
43%
Riesce
57%
Non riesce
Linearità del valore assoluto
26%
No
74%
Sì
43
Risposta esatta
b)
d)
d)
d)
a)
b)
c)
b)
c) d) a)
c)
a)
c)
c)
a)
c)
b)
Risposta + frequente
b)
a)
a)
a)
d)
b)
c)
b)
c) b) d)
c)
c)
c)
c)
c)
b)
a)
Domanda
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
CLASSE IV P
a)
3
19
17
19
1
12
b)
18
Alunni
c)
21
d)
1
2
1
20
1
9
21
21
6
1
14
1
2
19
4
10
10
6
20
7
20
19
2
17
1
21
Il valore assoluto: numero "senza segno" ?
24%
No
76%
Sì
Algoritmi del valore assoluto
29%
a)
0%
b)
29%
c)
100%
d)
Il valore assoluto applicato a espressioni letterali
84%
16%
Riesce
Non riesce
Linearità del valore assoluto
73%
No
27%
Sì
44
e)
1
1
1
Risposta esatta
b)
d)
d)
d)
a)
b)
c)
b)
a) c) d)
c)
a)
c)
c)
a)
c)
b)
Risposta + frequente
b)
a)
a)
a)
d)
b)
c)
b)
d) a) c)
c)
a)
c)
c)
a)
c)
b)
Bibliografia
Alvino T. (1999):” Matematica 1 - Per il biennio della scuola superiore”, Casa Editrice La Nuova
Italia.
Alvino T. (1999bis):” Matematica 2 - Per il biennio della scuola superiore”, Casa Editrice La Nuova
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