Il pensiero filosofico di Nicola Abbagnano 1. Prima de La struttura dell'esistenza 2. Il ruolo de La struttura dell'esistenza 3. Filosofia scienza e tecnica in Abbagnano 4. La possibilità e l'esistenzialismo positivo 1. Prima de La struttura dell'esistenza Uno dei periodi finora meno investigati del pensiero filosofico di Nicola Abbagnano, è indubbiamente quello che riguarda l'arco di tempo che va dalla pubblicazione de Le sorgenti irrazionali del pensiero(1), fino all'opera che precede l'inizio della fase esistenzialista vera e propria, e cioè fino a Il principio della metafisica(2). E' anche vero che un approfondimento di tale periodo, che all'incirca si potrebbe definire "irrazionalista" o "preesistenzialista" (con tutte le riserve di metodo e di sostanza che implicano tutti i "pre" e i "post" in campo filosofico, ma non solo filosofico), non determinerebbe una "necessaria" continuità o quanto meno uno sviluppo coerentemente programmato delle idee e delle riflessioni maturate negli anni venti e fino alla metà degli anni trenta. E' tuttavia è da sottolineare il fatto non trascurabile che sia ne Le sorgenti irrazionali del pensiero sia due anni dopo ne Il problema dell'arte(3), sia poi negli studi sopra Il nuovo idealismo inglese e americano(4), e sia infine ne La fisica nuova(5) e ne Il principio della metafisica(6), si trovano elementi, spunti, motivazioni che successivamente, nella fase matura dell'esistenzialismo -e soprattutto negli anni quaranta- verranno recuperati da Abbagnano in una prospettiva per larghi tratti differente ma nel contempo scaturiente da un terreno di coltura anti-idealistico, irrazionalistico ma non vitalistico, indeterministico, e che certamente verranno da lui calati in una rielaborazione culturale e filosofica di tutt'altro respiro rispetto ai temi della sua prima formazione giovanile. Cresciuto alla scuola dell'Aliotta, che professò un radicale pluralismo e sperimentalismo e che elaborò una "teoria della verità" in contrapposizione con l'apriorisrno dialettico dell'idealismo attualistico o neoidealismo o gentilianesimo che dir si voglia, il giovane Abbagnano pone all'attenzione del campo filosofico problemi centrali come quello appunto della "verità". E attraverso l'analisi e la critica delle soluzioni storiche ad esso riservate (la verità come 'corrispondenza', come 'norma', come 'coerenza', come 'espressione individuale', come 'atto puro', come 'utile', come 'accordo di azioni', come 'vita' e come 'azione', come 'essere oggettivo' e infine come 'essenza logica del reale'), egli giunge alla conclusione dell'assoluta eterogeneità dei due mondi della verità e della vita. L'essersi ostinati, scrive Abbagnano ne Le sorgenti, a disconoscere l'eterogeneità radicale dei due mondi della vita e della verità, della realtà e del pensiero, ed a chiedere al pensiero che è simbolo la realtà che è vita immediata, è la causa unica dei mostruosi enigmi che ad ogni passo son sorti nella storia del pensiero(7). Ed ancora, prosegue Abbagnano nella rielaborazione della sua tesi di laurea, il pensiero non è tutto lo spirito, ma il momento simbolico di esso. Il nucleo centrale dello spirito non è il pensiero, ma l'esperienza immediata della vita, la volontà, l'azione libera e creatrice(8). Ci sono già in queste due citazioni dalla prima opera giovanile di Abbagnano, sufficienti elementi per mettere in dubbio taluni interpreti dell'iniziale riflessione filosofica di Abbagnano interpretazione poi estesa non senza artifizi dialettici anche alla fase esistenzialista -, secondo i quali l'esistenzialismo positivo di Abbagnano altro non sarebbe che una versione ed uno sviluppo aggiornato dei temi dell'idealismo attualistico di marca gentiliana. Che la vita scaturisca da matrici essenzialmente alogiche e dunque fondamentalmente irrazionali - ma non vitalistiche men che meno biologistiche -, tutto ciò crediamo non abbia molti punti di saldatura con la struttura e con l'impianto del neo-idealismo nostrano, ultima propaggine dell'idealismo romantico di modulazione fichtiana. Ma siamo anche lontani dall'atto pensante del soggetto universale, creatore di se medesimo, assolutamente privo di delimitazioni e di condizionamenti che ne costringono l'attività e che, in quanto tale, elimina ogni e qualsiasi residuo oggettivistico e realistico. In altri termini, per l'idealismo attuale tutta la realtà non ha pertanto esistenza autonoma al di fuori del pensiero che la pone. Secondo Abbagnano invece, così leggiamo in altra pagina de Le sorgenti, i filosofi hanno troppo a lungo trascurato le ragioni della vita. Rinchiusisi nella rocca magica del pensiero, invano han tentato di uscirne; onde han fatto del pensiero il principio e la consumazione finale d'ogni cosa, pur rimanendo sempre inappagati di esso; e si sono eternamente baloccati con insolubili e tormentosi indovinelli… D'altra parte, alla "rocca di diamante del pensiero"(9), è assurdo - prosegue Abbagnano - assegnare... la dignità suprema, lo scettro su tutto il regno dell'essere(10). L'attenzione di Abbagnano e la sua sensibilità per il nostro primo dopoguerra, i sommovimenti sociali e politici degli anni venti iniziali, l'avvento della dittatura, il rimescolamento delle carte filosofiche già in atto, i tentativi d'uscita (da destra o da sinistra non importa gran che appurare in questa sede e in questo momento) dalle secche del rigido immanentismo attualistico, tutto ciò non sfugge al giovane Abbagnano, appena laureato sotto la guida del suo maestro Aliotta presso l'ateneo napoletano. E infatti è sempre Abbagnano che lo fa notare ne Le sorgenti - noi viviamo oggi in tempo di crisi: crisi che è negli animi perché è nelle cose ed è nelle cose perché è negli animi, crisi che investe e scuote dalle fondamenta tutte le forme della civiltà attuale. Non vi è niente, aggiunge il ventiduenne Abbagnano, che resista immutato, nessuna verità più salda che non barcolli per i colpi tremendi che la guerra immane e il dopoguerra senza pace hanno inferto all'edificio sociale(11). Ma quel che è più significativo nel contesto della crisi della compattezza e dell'egemonia neoidealistica, sia crociana che gentiliana, è che "mai come ora è apparsa così chiara l'inanità del puro intelletto, mosca cocchiera del carro della storia, che vorrebbe determinare a priori il corso degli eventi, mai come ora si è sentito così vivo il bisogno dell'azione pronta ed efficace: poiché solo mediante questa potranno raggiungersi le sintesi nuove, in cui si esprimeranno le rinnovate energie della storia(12). E "così nei gorghi dell'immane oceano della vita si risolve tutta la realtà, e la verità appare nient'altro che il simbolo mutevole e vario, che da esso emerge e in esso ritorna, senza fine. Simbolo che per quanto creato dalla realtà, non è la realtà, e non si può ad essa ridurre: tra i due termini vi è differenza assoluta, iato, abisso incolmabile"(13). Ed ancora, per l'Abbagnano de Le sorgenti, "il pensiero non fa che seguire docilmente l'arbitrio della vita" e "balza dal suo seno mediante un atto di scelta di una originalità irreducibile, e nella sua struttura e nel suo ritmo ne segue da presso le vicende"(14). Vivendo, continua Abbagnano, noi quindi creiamo ad ogni istante la nostra verità: giacché questa non è una nuova realtà che si aggiunga alla prima originaria realtà, ma è soltanto il simbolo di essa. Ed inoltre, meglio specifica Abbagnano, "il pensiero segue ed esprime la necessità immanente della vita: la verità si raggiunge per il fatto stesso che si vive, ed in quanto si vive. E' ad una forza superiore ed oscura che la ragione soggiace; è la nostra volontà implacabile che domina e trionfa nella verità. Qui è l'intima tragedia dello spirito, sospeso tra l'abisso dell'esperienza irrazionale e il regno delle sue mutevoli prospettive ideali; e che pur mentre afferma vittoriosa la sua propria verità, non può scorgere in essa che un punto luminoso, un fuggitivo bagliore, in una miriade di bagliori e di punti variopinti e cangianti, in un caos immenso di colori e di luci"(15). Se abbiamo qui insistito sopra alcuni punti e passaggi centrali della prima opera di Abbagnano, non è, ripetiamo, per mostrare più o meno gratuite e dunque spurie continuità a posteriori in un pensiero e in una riflessione filosofica che, proprio a motivo della sua prima prova ufficiale e accademica, non poteva avere né tanto meno pretendere al rango dei prodromi di un sistema. In secondo luogo, poi, la sistematicità - se non abbiamo mal interpretato Abbagnano - è ovviamente fuori del suo orizzonte teoretico e proprio la sua "apertura" alle sollecitazioni di altri e diversi impianti e indirizzi filosofici ha costituito, nel prosieguo della sua maturazione filosofica, la connotazione laica del suo pensiero e non un tono eclettico spurio e deteriore, come invece a taluno è parso di leggervi. Che l'opera giovanile di Abbagnano sia stata al centro dell'attenzione e dell'interesse filosofici della metà degli anni venti nel nostro paese, lo dimostrano chiaramente le numerose recensioni che Le sorgenti ebbe all'atto della pubblicazione. Tra i giudizi critici segnaliamo quello di Ugo Spirito, a quel tempo uno dei più agguerriti sostenitori dell'attualismo gentiliano. Le sorgenti è definita da Spirito "una delle espressioni più significative della critica alla posizione intellettualistica e una delle difese più rigorose e meno ingenue della teoria dell'irrazionale"(16). L'opera giovanile di Abbagnano, incalza Spirito, è però anche "una delle più evidenti conferme del circolo vizioso, in cui sono costretti i logici sostenitori della logicità della vita"(17). Inoltre, il filosofo aretino che a quel tempo svolgeva tesi rigorosamente neoidealistiche, accusa Abbagnano di essersi lasciato trasportare "dalla sua foga giovanile" e di essere stato così "indotto alla negazione di tutto e all'affermazione dell'irrazionalità della vita"(18). E, continua l'allievo prediletto di Gentile, rivolto ad Abbagnano: "Perché affaticarsi tanto a liberare la vita dalle pastoie dell'interettualismo per poi buttarla nella trascendenza dell'irrazionalità, e, anziché rivendicare la sua libertà creatrice, distruggere questa libertà nell'incoscienza?"(19). Non si affanni troppo l'Abbagnano, rincara e ammonisce Spirito, a inneggiare alla vittoria dell'irrazionale. Pensi che il pensiero, in fin dei conti, per lui segue come ombra l'azione logica creatrice della vita, e che la vita sua non è ancor finita e creerà ancora e l'ombra del pensiero continuerà a seguirla e, se oggi la segue come pensiero dell'irrazionale, domani la seguirà come pensiero, poniamo, di un sistema dogmatico. E allora? Rifletta bene l'Abbagnano e non si abbandoni troppo facilmente nelle braccia di una vita creatrice, che, nella sua irrazionalità, gli potrà giuocare un brutto tiro. Il tiro, nientemeno, di fargli credere che essa è razionale. Il che sarebbe proprio il colmo dell' irrazionalità(20). Che questo tiro mancino sia stato da parte di Abbagnano maturo evitato, non è qui il caso di fermarsi ad esaminare. Altro, mi pare, è il senso e la portata dell'irrazionale della vita nel giovane Abbagnano, altro com'è evidente il significato e la conclusione della gabbia dialettica, intellettualistica e aprioristica del neoidealismo attualistico gentiliano, e spiritiano prima maniera. Restano fuori da queste note introduttive, per quanto concerne l'età filosofica del giovane Abbagnano, i suoi studi sul problema dell'arte, l'analisi profonda della filosofia della scienza, della logica e della metafisica del Meyerson, il saggio monografico su Ockham e sulla concezione del tempo in Aristotele. Vogliamo però - nel breve scandaglio degli scritti che precedono La struttura dell'esistenza e la più matura fase esistenzialista -, soffermare la nostra attenzione sopra almeno tre opere del primo Abbagnano, e cioè su Il nuovo idealismo inglese e americano, La fisica nuova e Il principio della metafisica. Nella prima di esse Abbagnano rintraccia, sulla scorta della filosofia neoidealistica anglo-americana, la centralità del problema delle "relazioni" e soprattutto del nesso tra "l'uno, i molti e la realtà", in vista di un ampliamento dell'italico neoidealismo e di una rimessa in discussione ulteriore dei suoi cardini dialettici fondamentali. Il problema de "l'uno, i molti e la realtà" secondo Abbagnano non è altro che "il retaggio che attraverso l'idealismo romantico tedesco perviene, all'idealismo anglo-americano, dalla dottrina di Kant"(21). La conclusione del saggio di Abbagnano è che, data l'irrealtà del tempo e l'eternità dell'assoluto secondo la dottrina dell'idealismo anglo-americano, l'unico valore di tale corrente filosofica "sta tutto nella profondità e nel vigore con cui ha affrontato il vecchio ed eterno enigma dell'uno e dei molti, e con cui ha saputo risalire dagli angosciosi indovinelli cui esso dà origine, verso una realtà che è sintesi immediata, vivente armonia"(22). Ne La fisica nuova, che risale al 1934, Abbagnano fissa "i tratti salienti della nuova fisica unicamente in vista di poter enucleare il loro significato gnoseologico" e dunque al solo scopo di "dare un saggio di una gnoseologia che rendesse possibile la validità della nuova fisica"(23). Per far ciò, Abbagnano "ha dato la massima importanza alla tendenza che potremo dire di sinistra, della teoria quantica: tendenza che conta i nomi di Bohr, Heisenberg, Dirac, Fermi e che è designata come Kopenhagener Geist der Quantentheorie"(24). Ed è lo stesso Abbagnano a guidarci nella relazione di quest'opera con Le sorgenti del 1923, quand'egli scrive che "alcune di quelle tesi sono state abbandonate nel presente lavoro. Ora, il principio fondamentale che inspirava quel libro, e dominava le critiche in esso contenute all'intuizionismo al pragmatismo e a tutte le forme dell'anti-intellettualismo e dell'anti-razionalismo correnti, era la natura specifica ed originale del pensiero, l'irreducibilità di esso a qualunque realtà o esperienza vissuta"(25). Attraverso l'analisi critica dell'idealismo e del realismo, Abbagnano indaga il significato della nuova fisica, della teoria dei quanta e della teoria della relatività, per giungere a porre in evidenza che "la dissoluzione del determinismo causale ha reso inutile il postulato dell'uniformità fenomenica, e, correlativamente anche le forme o categorie della gnoseologia kantiana. L'ordine naturale non è altro, precisa Abbagnano, per la nuova scienza teoretica della natura, che la struttura sistematica di ogni conoscenza fisica, struttura dovuta, in ultima analisi, all'unità del principio trascendentale"(26). Ciò implica, continua Abbagnano, l'impossibilità di un ordine fisso e definitivo che richieda un sostrato (nell'oggetto) o un quadro di categorie immutabili (nel soggetto) e cioè richieda l'irrigidimento ontologico dell'oggetto o del soggetto; e implica invece, l'attuabilità di un numero illimitato di ordini, di organizzazioni sistematiche, diverse tra loro, per la diversa ma sempre correlativa costituzione di oggetto e soggetto. A tal fine, chiarisce Abbagnano un po' più avanti, "si richiede un principio, e precisamente un principio di unità: un'unità mobile viva, perfettamente fluida, inesauribile: l'unità del pensiero"(27). Alcuni di questi motivi, e cioè l'unità del pensiero come principio trascendentale, l'indeterminismo sia nella fisica che nella scienza, il superamento delle opposte posizioni dell'idealismo e del realismo gnoseologici, saranno ripresi e superati, riformulati ed approfonditi in tutt'altro contesto filosofico nelle opere successive tanto in quelle esistenzialiste quanto in quelle, se così possiamo esprimerci, post-esistenzialistiche, metodologiche ed empiristiche. Nella Fisica nuova, di cui abbiamo appena discorso per brevi cenni, dall'esame della fisica relativistica e della meccanica quantica Abbagnano risale a considerazioni gnoseologiche che meglio e più ampiamente verranno giustificate ne Il principio della metafisica, un'opera, questa, che precede di tre anni la più matura Struttura dell'esistenza del 1939. Approfondimento che avverrà soprattutto nella seconda sezione della Fisica nuova, espressamente dedicata da Abbagnano all'esame della conoscenza. Sulla scorta del fatto che "il principio metafisico è implicito in ogni sapere", Abbagnano afferma che "Nessun sapere difatti potrebbe costituirsi nella sua particolare struttura senza l'autodeterminazione del principio metafisico che in quel sapere atteggia e configura un modo particolare del suo essere. In ogni particolare sapere il principio metafisico adempie mercè una propria determinazione esistenziale un aspetto della sua validità: determina una struttura che vale come una modalità del suo essere e la pone in atto". "Ogni sapere, scienza o conoscenza, conclude al proposito Abbagnano, presuppone il principio metafisico, senza del quale l'atto della sua costituzione non sarebbe possibile. E' questo il motivo ultimo, nel quale la validità di un sapere qualunque può essere in ultima analisi garantita solo da una ricerca che ponga in luce il fondamento metafisico di esso. Ed è altresì chiaro, da ciò, che il problema della validità intrinseca di un sapere e quello della sua validità assoluta, rispetto a tutto il sistema del conoscere, sono insieme connessi, anzi costituiscono un problema unico: che è quello del fondamento metafisico che è implicito nella stessa costituzione di ogni conoscere e garentisce ogni aspetto della sua validità"(28). Principio metafisico che in seguito verrà da Abbagnano ripreso e ristrutturato, (cfr. al riguardo Esperienza e metafisica del 1953 che poi entrerà a far parte della raccolta di saggi intitolata Possibilità e libertà(29), in un ordine diverso di considerazioni esistenziali e di gnoseologia metodologica ed empiristica), nell'ambito di una prospettiva filosoficamente più avanzata e che però in una certa misura è legata alle considerazioni testé brevemente riportate. Chiudiamo questo primo paragrafo dell'introduzione agli scritti esistenzialisti della filosofia positiva di Abbagnano, con la citazione di un passaggio tratto dalla relazione della Commissione giudicatrice del concorso a professore straordinario alla cattedra di storia della filosofia teoretica nella Facoltà di magistero dell'Università di Torino. Un concorso, questo appena ricordato, nel quale vennero dichiarati vincitori, in ordine di merito, Nicola Abbagnano, Luigi Stefanini e Gallo Galli. Secondo la commissione, presieduta da Balbino Giuliano e composta da Emilio Bodrero, Pantaleo Carabellese, Gaetano Capone-Braga e Giovanni Emanuele Barié -che in quell'occasione fungeva da relatore-, l'Abbagnano, così leggiamo nel Decreto Ministeriale del 30 novembre 1936 pubblicato nel Bollettino Ufficiale del Ministero dell'Educazione Nazionale del 24 giugno I937, mostra di poter trattare con acume argomenti d'indole disparata (dalle Sorgenti irrazionali del pensiero al Problema dell'arte e alla Fisica nuova) e di diverse epoche storiche: a cominciare dal Nuovo idealismo inglese e americano ai saggi sul Meyerson(30), al volume su Ockham(31) e al saggio della Nozione del tempo secondo Aristotele(32). La sua pubblicazione su la Metafisica è lavoro che rivela serie possibilità anche sotto il riguardo del rigore speculativo sul quale era stata fatta qualche riserva. Queste doti e la limpidità di pensiero. 2. Il ruolo de La struttura dell'esistenza "Nel 1939 apparve La struttura dell'esistenza(33) di Nicola Abbagnano. Tra le opere di rottura fu certamente la più sconvolgente. Non assomigliava a nessuna delle opere filosofiche che si erano andate scrivendo in quegli anni, anche nella forma, che era scabra, lineare, senza i soliti impeti oratori e le solite virtuosità dialettiche. Pur le opere impegnate nella polemica idealistica serbavano la consueta aria di famiglia: la filosofia italiana non aveva l'abitudine alla sobrietà. Il libro di Abbagnano era tanto poco vestito da lasciar apparire chiaramente lo scheletro ed era uno scheletro ben fatto, completo, armonico dove ogni cosa era al suo posto. Con questo non voglio dire che fosse un libro facile: anzi, per la sua novità era un libro quasi segreto di cui bisognava trovare la chiave ed era una chiave che non si trovava nei soliti cassetti. Non era un libro facile, ma proprio perché era scritto con rigore, guidato e sorretto da una rara disciplina mentale, si lasciava capire. Ciononostante fu una sorpresa, forse la più grossa sorpresa di quegli anni. Ricordo benissimo che a me e a tanti altri apparve allora come un meteorite piovuto dal cielo. Per quanto si fosse cominciato a parlare da qualche anno di esistenzialismo, nessuno era preparato a trovarsi di fronte ad un filosofo esistenzialista italiano, tanto meno ad una versione italiana, già compiuta e perfetta, dell'esistenzialismo. Confesso che, a pensarci ora dopo tanti anni, il senso della sorpresa non è del tutto venuto meno". Così scriveva vent'anni fa Norberto Bobbio(34). E d'altra parte La struttura dell'esistenza cadeva in un'epoca, filosoficamente parlando, nella quale era già abbondantemente in atto la crisi irreversibile dell'egemonia gentiliana e del suo neoidealismo attualistico. Infatti, come ricorda lo stesso Bobbio, col Concordato del 1929 l'idealismo attuale di Giovanni Gentile, filosofia radicalmente immanentistica, laica, che vantava progenitori come Giordano Bruno e maestri come Bertrando Spaventa, aveva cessato di essere la filosofia ufficiale del regime... La discussione, prosegue il filosofo torinese, cominciò all'interno dello stesso idealismo. La scuola di Gentile si spaccò in una destra che andò sempre più riprendendo e riscoprendo temi e motivi dello spiritualismo cristiano, e in una sinistra che si dissolve nel problematicismo(35). Questo giudizio di Bobbio sul rilievo centrale de La struttura dell'esistenza nella filosofia italiana della fine degli anni trenta, è sostanzialmente condiviso anche da Carlo Sini che la ritiene "l'opera più rappresentativa di quegli anni di battaglia culturale che dovevano portare al rapido frantumarsi della tradizione neo-idealistica italiana"(36). La Struttura dell'esistenza di Abbagnano è, secondo un altro critico, un "vero capolavoro, nella sua concisa e solida tecnicità, rimasto noto tuttavia ai soli addetti ai lavori"(37). A parere di Enzo Paci, è "un libro chiaro e suadente, profondamente rispondente alle nostre esigenze più intime". "Ormai, continua Paci, anche l'esistenzialismo italiano ha la sua opera ed il nome di Abbagnano sarà d'ora in avanti pronunciato insieme a quelli di Heidegger e di Jaspers. Opera profonda e sentita, viva d'una autentica passione per l'essenziale rischio inerente alla vita dell'uomo, totalmente nostra, italiana, anche se così risonante dei temi dell'esistenzialismo tedesco che fa suoi ed armonizza in una nuova sintesi"(38). Lo stesso Mazzantini, che presentò La struttura dell'esistenza in modo assai critico, sulle pagine dell' "Archivio di filosofia" nel primo fascicolo del 1941 - che poi riprodusse quel saggio sull'opera di Abbagnano in Filosofia perenne e personalità filosofiche del 1942 -, la definì tuttavia "una delle più importanti pubblicazioni che siano recentemente uscite in Italia nel campo degli studi di 'filosofia dell'esistenza'"(39). Ed infine anche Galvano della Volpe - che per sentieri diversi e differenziati aveva avuto il suo momento esistenzialistico -, parla di un libro, cioè La struttura dell'esistenza di Abbagnano, "pensato e scritto fervidamente", "un contributo a quella 'filosofia dell'esistenza' che ha il grande merito di essere una filosofia antidogmatica e virile, per eccellenza; aliena, per definizione, da quello hegeliano assolutizzamento e divinizzamento dell'uomo, che si risolve infine in una vanificazione della schietta natura umana e del suo destino"(40). E tuttavia, aggiungiamo noi, se La struttura dell'esistenza ebbe notevole fortuna nel nostro paese - almeno a livello accademico e specialistico -, non altrettanto si può dire per la sua diffusione all'estero - infatti tra le opere fondamentali dell'esistenzialismo positivo di Abbagnano, fu proprio La struttura dell'esistenza a non essere tradotta in lingua straniera, mentre una sorte migliore da questo punto di vista toccò sia all'Introduzione all'esistenzialismo(41) sia a Filosofia religione scienza(42) e sia infine a Esistenzialismo positivo(43), che vennero al contrario tradotte in più lingue. Per tornare al clima filosofico e culturale nel quale s'inserì La struttura dell'esistenza, è da segnalare da un lato la pubblicazione di Il mito del realismo di Armando Carlini nel 1936, di Idealismo e cristianesimo di Augusto Guzzo nello stesso anno, de La vita come ricerca di Ugo Spirito nel 1937, de La conclusione della filosofia del conoscere e de La scuola dell'uomo, entrambe di Guido Calogero e rispettivamente apparse nel 1938 e nel 1940, oltre che delle Ricerche filosofiche di Ludovico Geymonat nel 1939. L'idealismo filosofico gentiliano entrò in profonda crisi, e sarà lo stesso Spirito a confessare, in una serie d'appunti pubblicati postumi(44), che nel 1929, nell'occasione storica dei Patti Lateranensi, s'incrinò la laicità della concezione statuale e che l'aver accettato la concezione del rapporto Stato-Chiesa come una relazione che giunse fino a una certa subordinazione dello Stato alla volontà della Chiesa, finì per compromettere in maniera clamorosa il significato dello Stato etico. La ricerca filosofica fra gli anni venti e trenta, ha osservato Eugenio Garin, è tutta traversata da questa tensione tra dispersione ed esigenza di nuovi punti di riferimento, al di fuori di tutte le consuete, e consunte, sistemazioni. Gli 'ismi' tradizionali cadono uno dopo l'altro: dopo il positivismo l'idealismo, dopo il materialismo lo spiritualismo. Nello stesso tempo svelano i loro limiti le discipline che avevano avanzato la propria candidatura per raccogliere l'eredità della funzione unificante della filosofia: logica, storia, epistemologia. La fortuna eccezionale dell'esistenzialismo -un termine che abbracciò esperienze diversissime- fu dovuta al suo essere un orientamento generale della cultura prima ancora che un complesso di tesi specifiche: specchio fedele di una situazione caratterizzata da inquietudini piuttosto che da certezze, da negazioni piuttosto che da costruzioni(45). Da noi era già comparsa, al momento della pubblicazione de La struttura dell'esistenza di Abbagnano, una ripresa di temi esistenzialistici e in particolare di assunti provenienti dallo studio dell'opera di Kierkegaard. Di Heidegger fino ad allora s'era avuta una prima traduzione di Che cos'è la metafisica? a cura di A. Carlini nel 1936, mentre una seconda edizione italiana si avrà soltanto nel 1942 ad opera di E. Paci. All'autore di Essere e tempo gli italiani, prima della pubblicazione de La struttura dell'esistenza, avevano dedicato alcuni studi critici particolari: si possono citare quelli di Ernesto Grassi, Guido De Ruggiero, Annibale Pastore, Carlo Mazzantini, Luigi Scaravelli, dello stesso Armando Carlini e di Luigi Pareyson, Mariano Campo, Luigi Stefanini, senza però che nessuno di essi tentasse allora una ricognizione globale dell'esistenzialismo heideggeriano. L'interesse per la filosofia dell'esistenza di Jaspers nel nostro paese si avrà a partire dai primi anni quaranta, e tra coloro che la diffusero è da citare Antonio Banfi, Luigi Pareyson ed Enzo Paci. Del Kierkegaard erano invece già note in lingua italiana sia Il diario del seduttore che L'Ora. Atto di accusa al cristianesimo del regno di Danimarca, mentre soltanto nel 1942 si avrà la prima edizione italiana de Il concetto dell'angoscia e tre anni più tardi la versione de La ripetizione. Il primo saggio su Kierkegaard nel nostro paese fu quello di Franco Lombardi nel 1936, valida testimonianza della ripresa kierkegaardiana anche in Italia, ma che al tempo stesso ne metteva in luce un certo tipo di approccio e di lettura che mal sopportavano il tentativo da più parti già intrapreso, nei confronti del filosofo danese "discepolo del possibile", di 'italicizzare' e di 'spiritualizzare' gli elementi essenziali della rinascita europea della filosofia e della teologia di Kierkegaard. Recensendo il saggio di Lombardi su Kierkegaard, Paci definiva "impresa difficile quella di presentare in una veduta d'insieme questo pensatore per cui l'Europa culturale ha un interesse senza precedenti. Anche perché Kierkegaard non è privo di pericolo", e poi soprattutto perché "è un po' il compagno della crisi del pensiero europeo"(46). E se qualcuno -per tornare al dibattito in Italia sull'esistenzialismo-, come è avvenuto nell'inchiesta del 1943 sulle pagine di "Primato", ha potuto insinuare che tutt'a un tratto ci s'era scoperti esistenzialisti, l'unica cosa che si può dire con certezza, scrive ancora Bobbio(47), è che l'esistenzialismo fu per Abbagnano giunto agli anni della maturità e della compiuta maturazione, attraverso un tirocinio esemplare per ricchezza di esperienze e vastità di documentazione, un incontro congeniale, che servì a sciogliere i nodi che il dibattito filosofico post-idealistico aveva aggrovigliato, a fargli trovare una strada, in un momento in cui alla filosofia si chiedeva, oltre che una teoria dei primi princìpi, un messaggio umano. La presenza di Heidegger e di Jaspers, e sullo sfondo quella di Kant e di Kierkegaard, si coglie in molte pagine e nella temperie culturale e filosofica delle tematiche de La struttura dell'esistenza(48). Tematiche affrontate in altro contesto spirituale da Heidegger in Sein und Zeit del 1927, e afferenti a problemi quali il destino, la morte, il nulla, l'autenticità dell'esistenza di contro alla dispersiva e disperante banalità della quotidianità ripetitiva, la storicità e la libertà: tematiche che però in Abbagnano trovano una direzione positiva, lontana sia dall'equivalenza heideggeriana delle scelte sia dalla paralizzante angoscia kierkegaardiana e sia infine dal naufragio e dallo scacco jaspersiani. Quelli individuati dall'Abbagnano ne La struttura dell'esistenza, ma anche nell'Introduzione all'esistenzialismo, erano motivi problematiche che per la prima volta venivano posti al centro della discussione filosofica, fuori del quadro di riferimento precostituito dall'apriorismo ingabbiante della dialettica, tutta concettuale e mistificante, delle venature attualistiche. E d'altro canto non è agevole, per chi voglia intraprendere un'esplorazione tutta italiana dei percorsi e dei sentieri, interrotti per usare una tipica ed abusata espressione heideggeriana, della filosofia italiana degli anni ventitrenta, non è agevole dunque trovare un'opera come La struttura dell'esistenza nella quale si affrontino con piglio asciutto il tono problematico della filosofia e dell'esistenza stessa, l'assunzione del concetto di "struttura" esistenziale come alternativa veramente autentica rispetto alle metafisiche idealistiche e/o realistiche, la finitudine dell'esistente e dell'uomo in quanto tale, il mondo come incondizionalità, indeterminatezza e rapporto dell'uomo con le cose e con gli altri uomini, la coesistenza come trascendenza e intercomprensione tra gli uomini, il tempo come storicità e unità dell' ente nella sua propria finitudi- ne esistenziale, la norma come dover essere della libertà (anch'essa finita e limitata), la morte come fedeltà alla considerazione autentica dell'esistenza, e non, heideggerianamente, come essenza ultima dell'essere-per-lamorte. Motivi e prospezioni filosofiche che riflettevano in qualche misura l'angoscia e le incertezze della crisi dell'Europa e della sua civiltà (vedi il Patto di Monaco e la guerra di Spagna), e che interpretate pessimisticamente o volte nella loro carica dissolutrice hanno portato per esempio l'esistenzialismo tedesco a posizioni programmatiche di sfiducia, di rassegnazione, di equivalenza delle scelte e dunque in altre parole a non scegliere e a confermare situazioni di stallo e sostanzialmente conservatrici e reazionarie. Motivi e tematiche, esigenze e sollecitazioni, che invece ne La struttura dell'esistenza prima e poi nell' Introduzione all'esistenzialismo trovarono uno sbocco positivo, costruttivo e che diedero al turbamento di quel 'tempo di crisi' un indirizzo serio, vigoroso, aperto alla scelta e all'impegno degli enti (uomini), alla comprensione e alla collaborazione, alla fiducia misurata, all'ottimismo non fideistico, alla responsabilità di ciascuno e di tutti. E come fa osservare ancora una volta Bobbio, dietro questo messaggio si poteva intravedere una insofferenza per l'ottimismo obbligato dell'attualismo e per il pessimismo catastrofico di coloro che, muovendosi al di fuori della filosofia della cattedra, andavano denunciando i primi sintomi di un'immane crisi della civiltà. Anche Abbagnano apriva la crisi. Ma al contrario dei profeti della crisi proponeva una soluzione. L'opera del 1939, continua ad annotare al riguardo Bobbio, non era affatto un'opera soltanto polemica; era un'opera costruttiva. Se c'era una polemica, questa era all'interno dello stesso esistenzialismo, di cui si accettavano la concezione della filosofia come analisi esistenziale, alcune categorie fondamentali, come quelle della possibilità, della scelta, della finitezza, alcuni valori ultimi, come quello dell'autenticità contrapposta alla dispersione, della fedeltà, dell'esistenza come responsabilità e rischio, ma si rifiutavano le soluzioni in nome di una maggiore coerenza con gli stessi principi accolti e di una più severa attuazione dei valori assunti(49). 3. Filosofia scienza e tecnica in Abbagnano Il filo conduttore delle esigenze esistenzialiste di Abbagnano appena citate (esigenze e motivi della versione positiva della filosofia dell'esistenza, poi ripresi ed ampliati sia in Filosofia religione scienza che in rapida sintesi nei due saggi dell'Esistenzialismo positivo), il filo conduttore, dicevamo, dell'intero corpus dell'esistenzialismo di Abbagnano è la presenza costante dell'uomo inteso non metafisicamente e nemmeno quale dato preesistente alle sue determinazioni e alle sue scelte. Abbagnano scandaglia nelle sue opere qui raccolte, da La struttura dell'esistenza all'Esistenzialismo positivo, con animo sereno ma preciso e determinato nella sua critica e nei suoi obiettivi, le varie possibilità che all'uomo si offrono non già sulla scorta di idee o di categorie interpretative all'insegna della necessità, ma sulla base di una visione prospettica che guarda, come egli stesso ci dice, "verso l'avvenire anziché verso il passato"(50). Anche di recente Abbagnano ha distinto tre tipi di esistenzialismo: "ontologico", comprendente Heidegger, jaspers e Sartre(51) e secondo il quale "le possibilità esistenziali sono soltanto impossibilità di essere l'essere e, tuttavia, manifestano in qualche misura l'essere stesso"; "fideistico", includente Marcel, Lavelle, Le Senne, Berdiaev e poi Bultmann, quest'ultimo fautore di un'alternativa diversa rispetto ai primi, secondo i quali "le possibilità esistenziali sono garantite dall'essere stesso, identificato con Dio", mentre per Bultmann le possibilità esistenziali "includono una possibilità privilegiata che è un diretto dono di Dio, quella della fede". L'ultima posizione dell'esistenzialismo è, secondo Abbagnano, quella "umanistica", alla quale fanno capo sia l'esistenzialismo italiano che Merleau-Ponty e, parzialmente Camus. Questa versione dell'esistenzialismo, positivo e costruttivo, laico e mondano al tempo stesso, "mantiene alle possibilità esistenziali il loro carattere problematico, rifiuta di considerarle garantite dall'Essere o riducibili tutte a impossibilità, e perciò si dedica a cercare criteri che consentano la scelta tra esse e progetti che non siano preliminarmente condannati all'insuccesso"(52). Fatte proprie alcune critiche rivolte sia a La struttura dell'esistenza che all'Introduzione all'esistenzialismo, e tenuto conto del rilievo assunto, nel secondo dopoguerra, dai problemi del valore, della norma, della scienza e della tecnica, oltre che da quelli della fede e della religione nella loro relazione specifica con la filosofia e con la tradizione, scientifica e non scientifica, Abbagnano darà corso in Filosofia religione scienza del 1947 al problema del valore e all'esame puntuale della "normatività dell'esistenza". E ciò, come scrive nella prefazione all'opera, onde "sfatare il pregiudizio che proprio l'esistenzialismo, questo coraggioso e consapevole ritorno dell'uomo a se stesso, conduca l'esistenza umana in un vicolo cieco e la porti di fronte al caos e al nulla". Certo, di fronte agli esiti negativi della speculazione heideggeriana, di fronte alle jaspersiane "situazioni-limite" (Grenz-situationen), di fronte al "nulla" sartriano e alle sue esasperazioni teatrali, Abbagnano non solo conduce la filosofia dell'esistenza verso sbocchi positivi e costruttivi, ma assume un atteggiamento diverso, per es. nei problemi scientifici, dalla tradizione esistenzialista a cominciare da Kierkegaard e per finire con Heidegger Jaspers. E se, come scrive Geymonat in un capitolo della Storia del pensiero filosofico e scientifico, l'indirizzo esistenzialistico ha contribuito forse più di ogni altro, nel secolo presente, ad alimentare una chiusura completa degli ambienti di formazione umanistica nei confronti della cultura scientifica", ciò è da attribuire non tanto al privilegiamento del sentimento eticoreligioso, quale causa del rifiuto della scienza da parte degli esistenzialisti, quanto invece al fatto che tale rifiuto e pregiudizio nei confronti della scienza è semplicemente "il frutto di una posizione filosofica di fondo che fa loro considerare come assolutamente ingannatrice la fiducia - di provenienza illuministica - nella razionalità scientifica (tanto pura quanto applicata) e ne deduce la necessità di indirizzare il nostro interesse verso altre prospettive"(53). Basterebbe al riguardo osservare, tanto per fare qualche esempio, sia il rapporto che Jaspers istituì fra la filosofia e la scienza, e sia anche l'atteggiamento di Heidegger contro la tecnica, nonostante recenti rivalutazioni operate da Cacciari in un saggio dedicato alla "questione della tecnica" nel filosofo di Messkierch(54). A parere di Geymonat "anche la polemica esistenzialistica contro la scienza si radica - in ultima istanza - nell'antistoricismo degli esistenzialisti più coerenti. A che altro si riducono, infatti, le accuse... contro l'intelletto (e quindi contro la scienza e la tecnica) se non alla denuncia della sua incapacità di condurci a verità assolute, incontestabili, e perciò metastoriche? Che altro è il "fallimento" del sapere scientifico, di cui parlano gli esistenzialisti, se non la constatazione che questo sapere non risponde ai caratteri di "folgorazione" della verità all'animo individuale, ma è un sapere gradualmente conseguito dall'umanità a prezzo di un interminabile lavoro collettivo, e perciò ben calato nella storia, sempre aperto a correzioni, ad ampliamenti, a profonde rivoluzioni?(55) Più avanti nella Storia del Geymonat, nelle notizie relative alla filosofia italiana contemporanea, si dice che "Abbagnano ammette la decisiva importanza della scienza, ma la sua preoccupazione di fondo è quella di riconoscerla come un momento o un livello dell'esperienza, la cui struttura categoriale deve essere fondata secondo un indirizzo trascendentale. Questo principio unitario e unificante è dato dalla nozione della 'possibilità'"(56). Ma se ciò è valido, a nostro avviso, fino a La struttura dell'esistenza e all'Introduzione all'esistenzialismo, tale interpretazione risulta un po' restrittiva rispetto ai capitoli che Abbagnano dedicò alla scienza in Filosofia religione scienza del 1947, laddove, intendendo la scienza stessa come totalità della conoscenza valida e la filosofia come interpretazione esistenziale, scriveva che "su nessun punto... scienza e filosofia possono scontrarsi come rivali", e che "la filosofia non può ignorare la scienza che realizza l'autentico atteggiamento dell'uomo di fronte al mondo", mentre, di conseguenza, "la scienza non può ignorare la filosofia dalla quale solo può attingere la consapevolezza della sua umanità e la chiarezza intorno ai suoi orientamenti fondamentali"(57). Nel bilancio dell'atteggiamento e della considerazione positiva della scienza da parte di Abbagnano, è da mettere nel conto anche il penultimo capitolo di Filosofia religione scienza, oltre che la riproduzione di un articolo originariamente pubblicato su "Primato" nel 1943 e che poi, intitolato "Il paradosso della tecnica", chiude lo stesso volume del 1947. Un'analisi della tecnica, che, a differenza dei profeti della decadenza e della morte alla Spengler e in sostanziale disaccordo con il significato della "sorge" (cura) heideggeriana, invita decisamente a non "attardarsi in sterili diagnosi sui mali della tecnica, e in ancora più sterili sogni di ritorni impossibili"(58). Così operando, e realizzando "fino in fondo l'atteggiamento fondamentale che è alla base della tecnica", Abbagnano è certo che "la tecnica stessa sarà ricondotta alla sua natura, si realizzerà in conformità della sua logica interna e ritroverà nel suo seno, come esigenze autoctone, i valori fondamentali dell'uomo"(59). Al contrario, osserva Abbagnano a conclusione di Filosofia religione scienza, "finché l'uomo si ostinerà a cercare se stesso in un'astratta interiorità, a volgere le spalle al mondo, ad ignorare il carattere essenziale e costitutivo del proprio rapporto col mondo, la tecnica gli apparirà come un limite e una nemica, e il contrasto tra l'uomo e la tecnica diverrà sempre più grave perché sarà il contrasto e il disaccordo dell'uomo con se stesso"(60). Né poi, a chiarimento della posizione di Abbagnano riguardo alla scienza, possiamo dimenticare lo studio redatto nel 1950, La metodologia delle scienze nella filosofia contemporanea, in occasione di un ciclo di lezioni tenute presso il Centro di Studi Metodologici di Torino, e pubblicato come apertura dei Saggi di critica delle scienze(61). A conforto infine dell'interesse di Abbagnano per i problemi della scienza, fuori di tentazioni esistenzialistiche culminanti in progetti di sottomissione della scienza stessa alla filosofia, è utile far cenno ai tre volumi della Storia del pensiero scientifico(62) nei primi anni cinquanta, oltre ai vari interventi sugli stessi temi svolti dal filosofo salernitano nel corso degli anni quaranta e della prima metà degli anni cinquanta. 4. La possibilità e l'esistenzialismo positivo Come abbiamo già accennato, uno dei concetti fondamentali della positività dell'esistenzialismo di Abbagnano, è certamente quello di "possibilità", concetto che da parte di coloro i quali vogliono accostarsi ai temi essenziali dell'esistenzialismo positivo, non bisogna minimamente trascurare. Anzi, possiamo senz'altro dire che la stessa nozione di "struttura", specifica Abbagnano nella voce corrispondente del Dizionario di filosofia(63), non può essere intesa diltheyanamennte solo come un piano caratterizzato da un ordine finalistico. Dal punto di vista di Abbagnano "si può includere il concetto di scopo nella stessa nozione di struttura e definire la struttura stessa come il piano, il cui scopo non è altro che la possibilità del piano stesso e la cui realizzazione perciò tende a garantire questa possibilità"(64). D'altra parte è lo stesso Abbagnano a rinviare per una interpretazione della nozione di "struttura" in questo senso alla sua opera del 1939, La struttura dell'esistenza. Abbiamo anche visto che, riletto Kant secondo una determinata angolazione ed assuntolo a supporto dell'indirizzo trascendentale fondante la struttura categoriale dell'esperienza e dell'esistenza, la nozione di "possibilità" è principio unitario e unificante dei vari momenti o livelli dell'esperienza e dell'esistenza stessa. In quest'ultimo paragrafo dell'introduzione alle opere e agli scritti esistenzialisti dell'Abbagnano, noi cercheremo di mettere a fuoco, nei limiti di spazio concessi ad una introduzione sobria, la nozione di "possibilità", per chiudere infine con un accenno pur se breve alla "trasfigurazione" della filosofia dell'esistenza nello stesso Abbagnano alla metà degli anni cinquanta. La "possibilità", assieme alla nozione di "struttura" che rappresenta la saldatura di una situazione passata a una situazione futura, non soltanto realizza, come osservava Armando Vedaldi, la temporalità, saldando, nel presente, il passato al futuro, ma esprime ancora quel movimento sempre chiuso e concluso, e pur sempre aperto in avanti, che è l'esistere stesso, in quanto possibilità del rapporto con l'essere, e possibilità di questa stessa possibilità. Per essere -specifica Vedaldi interpretando Abbagnano-, devo decidere di essere; e decidere in modo tale, da lasciare aperta la via ad ogni decisione ulteriore(65). Infatti, a nostro avviso la nozione di possibilità in Abbagnano, sia a livello ontico sia a livello ontologico o categoriale e sia poi a livello trascendentale, è strettamente connessa a quelle che lo stesso Abbagnano specifica nelle sue opere coi termini di progetto, di scelta, di impegno, di esistenza e al concetto di sapere inteso come "limite della progettabilità". In altri termini, tale possibilità - che non è pregiudizialmente o necessariamente garantita o votata al fallimento - rappresenta nell'Abbagnano e nella sua filosofia positiva dell'esistenza la chiave di volta, come ha più spesso ricordato Bobbio, del suo "esistenzialismo aperto". Certo, nel ventaglio delle posizioni interpretativi e critiche della nozione di possibilità in Abbagnano non sono mancati fraintendimenti o recuperi al limite dell'acribia testuale, e tuttavia soffusi di forzature che, corre l'obbligo di sottolinearlo, vanno oltre la specificità del pensiero esistenzialista dello stesso Abbagnano. Intendiamo qui alludere ai vari tentativi di recupero neotomista del concetto di "possibilità", così com'esso appare ne La struttura dell'esistenza e nell'Introduzione all'esistenzialismo(66). La nozione di "possibilità" si salda nell'Abbagnano, lungo tutto intero il corso del suo esistenzialismo positivo - volta a volta definito dai critici quale "strutturalistico", "etico", "normativo", "dinamico", "aperto" e "sostanzialistico" -, all'esigenza irrazionalistica e meglio sarebbe dire indeterministica, alla ripulsa motivata del necessitarismo d'ogni genere, tanto di quello spiritualistico e/o realistico, quanto di quello idealistico e/o marxistico. Ma la possibilità, come l'intende Abbagnano, si lega unitamente anche all'assunzione del principio della inoggettivabilità e della non-sostanzializzazione del reale, all'attribuzione ad un canone o criterio o categoria trascendentale della funzione che unifica la realtà stessa, al carattere problematizzante dell'essere possibile nei suoi rapporti con l'uomo (ente) e con il reale. Tali raccostamenti hanno una loro propria e specifica validità positiva e una propria dignità filosofica non solo all'interno di tutta la fase eminentemente esistenzialista dell'Abbagnano, ma anche nel prosieguo e nello sviluppo delle sue motivazioni più consistenti sia durante il percorso neoilluministico e metodologico (successivamente e in parallelo con una rilettura della filosofia deweyana coi saggi del 1948 e 1951 sulla "Rivista di filosofia"), sia poi nella fase costituita da una forma di empirismo metodologico (per la quale si rinvia alle pagine che Antonio Santucci gli ha dedicato nel 1959 nella fitta scrittura di Esistenzialismo e filosofia italiana(67). Neo-illuminismo, metodologia ed empirismo che sostanziano con l'apporto della sociologia non la morte, ma la trasfigurazione, come dice lo stesso Abbagnano, della sua filosofia esistenziale dalla metà degli anni cinquanta in avanti. Dell'itinerario speculativo di Abbagnano la nozione di possibilità richiama tutta l'intelaiatura, e gli consente di non porre a termine finale del movimento della struttura dell'esistenza una entità trascendente, una certezza che appaghi interamente la sete di ricerca dell'essere da parte dell'esistente (uomo). "Ora -osserva Abbagnano alla metà del sedicesimo paragrafo de La struttura dell'esistenza-, se il problema è il modo d'essere proprio della filosofia come tale, ogni esistenza è filosofia, giacché la struttura stessa dell'esistenza implica quella possibi1ità d'indeterminazione, che è il fondamento del problema. La filosofia, avendo per suo compito specifico la realizzazione integrale dell'essere nella sua struttura, attua la forma di una struttura che include la propria possibilità. Dal suo canto l'essere, ponendosi nella filosofia come indeterminazione, muove a definirsi in una struttura che include come suo tratto essenziale la possibilità dell'indeterminazione e si costituisce ad esistenza. Ma da ciò -prosegue Abbagnano nell'esame dell'esistenza come struttura e la possibilità trascendentale- si vede che l'esistenza è 1'essere de1l'essere; attua la forma di una struttura, nella quale la possibilità stessa dell'indeterminazione e del movimento dell'essere verso la struttura assumono a loro volta forma strutturale. L'esistenza infine e l'esistenza sola è struttura: include assolutamente le illimitate possibilità dell'essere nella sua assoluta libertà"(68). Da ciò consegue, una volta posta la problematicità e l'indeterminazione dell'essere, che "se un problema è in generale una indeterminazione dell'essere, il problema, come forma strutturale dell'esistenza, è la possibilità indeterminata dell'indeterminazione; è l'assoluta libertà dell'essere come condizione di qualsiasi possibilità di determinazione. La possibilità di una determinazione - chiarisce Abbagnano al proposito - è connessa a qualsiasi problema, in quanto è una situazione di indeterminazione. Ma la possibilità di porsi come possibilità di determinazione è l'esistenza. La possibilità assolutamente libera dell'indeterrninazione nella quale l'esistenza consiste, è la possibilità trascendentale(69). Di contro alle risultanze dell'esistenzialismo negativo, tedesco o francese che sia poco importa in questo momento, di stampo heideggeriano o jaspersiano oppure sartriano, l'esistenzialismo positivo di Abbagnano "mette in luce -secondo Uberto Scarpelli che recensisce il saggio di Vito A. Bellezza su L'esistenzialismo positivo di Giovanni Gentile- e come possibilità concepisce la struttura stessa dell'esistenza: l'esistente, cercando l'essere può mettersi in rapporto con l'essere, può realizzarsi e realizzare, può assumersi un compito e rimanervi fedele e perseguirne e conseguirne l'adempimento. Nulla, per l'uomo, -aggiunge Scarpelli-, è garantito dall'esterno, nulla è assicurato una volta per tutte, ma l'uomo può, nei limiti della propria situazione, impegnarsi ed operare, e con l'impegno costituire sé stesso in una esistenza umana, costituire rapporti umani con gli altri uomini. Per l'esistenzialismo positivo l'uomo, conclude al riguardo Scarpelli, l'esistente, è un essere pensante finito, che non porta con sé il destino del fallimento, bensì la possibilità e il dovere di fondare la propria individualità nel trascendersi e nel muovere verso l'essere"(70). C'è però anche in campo marxista, una voce, fra le tante, di dissenso nei riguardi della funzione della "possibilità" nel contesto dell'esistenzialismo positivo di Abbagnano: è quella di S. A. Efirov. Il quale afferma che "una siffatta possibilità effettivamente permette di collaborare con le altre persone e ci salva dalla solitudine. Questa possibilità è la norma, l'obbligo, l'essenza dell'essere. Il movimento verso quest'essenza, trascendente rispetto all'individuo e al contempo sua autentica natura interiore, costituisce la realizzazione dell'autentico io dell'uomo, il suo destino". Ma "il formalismo di queste posizioni rende l'idea fondamentale 'dell'esistenzialismo positivo' una delle formule universali più deboli e prive di contenuto che il pensiero borghese abbia mai prodotto nel corso di molti anni. Questo 'imperativo categorico' sui generis è ancora meno concreto di quello kantiano... In sostanza la 'possibilità della possibilità' di Abbagnano è molto vicina per contenuto e svolgimento al principio del 'dialogo' di Calogero"(71). Quel che però, secondo il mio punto di vista, va ancora una volta sottolineato, a chiarimento del concetto di possibile in Abbagnano indipendentemente e al di là delle annotazioni di Efirov, è che esso possibile è alieno da eventuali recuperi più o meno sotterranei, più o meno subdoli, di necessità metafisiche suffraganti "scelte garantite" oppure che esso è indubbiamente estraneo ad improbabili rinvii - tanto nell'ambito del possibile quanto in quello del problematico - a canoni di fondazione oggettivi privi di supporto sperimentale. Esigenza, questa della sperimentalità dei criteri di fondazione oggettivi, che è ben specificata in Filosofia religione scienza e in Esistenzialismo positivo, e che troverà una più adeguata motivazione epistemologica negli scritti di carattere scientifico alla fine degli anni quaranta e sino a mezzo degli anni cinquanta, e cioè sino alla così detta "trasfigurazione dell'esistenzialismo". "L'esistenza umana, -annotava Enzo Paci a proposito dell'esistenzialismo positivo dell'Abbagnano e della sua nozione di possibilità,- è caratterizzata dal rischio, dall'incertezza, dalla problematicità delle infinite vie che sembrano aperte davanti a lei, vie che non sono anticipatamente garantite come valide. La possibilità infinita è paralizzante, proprio come è paralizzante il fatalismo. Questa situazione esistenziale, caratterizzata dalla infinità delle possibili vie, è tipicamente negativa"(72). Da quel che abbiamo già detto, per Abbagnano all'uomo si aprono più possibilità all'intemo delle quali operare una scelta possibile: ma una scelta non vale l'altra, ed esse, proprio in quanto tali, non sono assimilabili o equivalenti. Solo una è la nostra scelta, solo una la nostra possibilità; e diventa nostra sia la scelta sia la possibilità che consentono ancora, e nel futuro, di operare una scelta possibile. "Esistere, riprende Paci, vuol dire trovarsi di fronte ad un campo di possibilità. Questo concetto di campo esclude sia l'assoluta necessità che l'assoluta libertà. La via che sceglierò -ed è ancora Paci che commenta il pensiero di Abbagnano-, sarà dunque autentica se risolverà il problema senza chiudere la vita, senza sopprimere la possibilità di altre scelte, di una scelta sempre e consapevolmente rinnovata. In altri termini la via autentica è quella che non è dogmatica e non solo rende possibile, ma accresce e consolida la libertà"(73). A metà del 1955 "Nuovi Argomenti", una rivista guidata da Alberto Moravia aprì le pagine ad una discussione (come nel 1943 "Primato") sull'esistenzialismo: un dibattito al quale parteciparono lo stesso Abbagnano, Remo Cantoni e poi Armando Vedaldi. In quell'intervento, che riproduciamo come ultimo nella nostra raccolta di opere e scritti esistenzialisti dell'Abbagnano, si diceva che "l'esistenzialismo dovrà tagliare i ponti con lo spiritualismo, con l'idealismo e con ogni forma di intimismo verso i quali ha assunto finora una posizione di compromesso e insistere (come ha già fatto in talune delle sue forme negative) sul carattere laico e mondano della ricerca filosofica cioè sulle condizioni naturali e storico-sociali che le suggeriscono i suoi problemi e le offrono gli strumenti per le loro soluzioni... Se finora l'esistenzialismo è stato, prevalentemente, un clamoroso grido di allarme per la civiltà contemporanea, nel periodo e nella situazione in cui il pericolo, per i valori su cui essa si regge, era reale e immanente, d'ora innanzi esso potrà contribuire a formare negli uomini il senso misurato del rischio, a renderli meno esposti alle delusioni dell'insuccesso e all'esaltazione della riuscita, e a disporli alla ricerca, in ogni campo, di mezzi efficaci per la soluzione dei loro problemi. Certamente un esistenzialismo siffatto non è adatto a fabbricare miti o a incoraggiarli. Esso non partecipa né al mito della Scienza né al mito dell'Anti-scienza, né al mito della Tecnica né al mito dell' Anti-tecnica. Cerca di comprendere la tecnica e la scienza nella loro formazione storica e nella loro realtà attuale considerandole nei loro procedimenti effettivi e dal punto di vista delle possibilità umane da cui traggono origine o che da esse traggono origine. Non si nasconde né i limiti della scienza né i pericoli della tecnica. Ma non ammette che i limiti della scienza possano essere sorpassati da un sapere fittizio o superstizioso né che i pericoli della tecnica possano essere evitati con la pura e semplice condanna della tecnica stessa in nome dei 'valori dello spirito'. I pericoli oggi derivanti dalla scienza e dalla tecnica (dalla bomba atomica alla meccanizzazione dell'uomo) non si combattono con prediche, profezie e miti, ma solo trovando e mettendo a prova altre tecniche: tecniche di convivenza umana, che gli antichi chiamavano 'saggezza' e la cui ricerca è stata sempre il compito della filosofia"(74). Ora, se l'esistenzialismo positivo è capace di questa trasfigurazione appena abbozzata, se esso, come filosofia aperta e costruttiva, è in grado di cogliere e far proprie le sollecitazioni e i suggerimenti che le provengono (siamo negli anni cinquanta) dal pragmatismo deweyano, dal neopositivismo e dall'empirismo contemporaneo, se tutto ciò è realizzabile, allora resistono sia "la libertà come indeterminazione" e sia il possibile come "scelta non garantita e neppure destinata comunque al fallimento al modo dell'esistenzialismo negativo". Come tali, la libertà e il possibile autentico consentono il dialogo, la collaborazione, il rispetto reciproco, la comprensione degli uomini fra loro e la lettura di quel "gran libro" -come diceva Abbagnano nel 1951 nell'Esistenzialismo come filosofia del possibile-, di cui non ci stancheremo mai di leggere e di rileggere le pagine, proprio perché -scriveva il filosofo dell'esistenza- "ciò che ciascuno di noi può leggere non sarà mai né una lettura definitivamente vera né una lettura assolutamente falsa; sarà soltanto una lettura da essere messa a prova da una lettura ulteriore e che da questa potrà essere o smentita o confermata o modificata"(75). Il gran libro, com'è ovvio è la realtà, il mondo o, come dicono i filosofi, l'essere, mentre "le pagine del libro che noi cerchiamo di leggere siamo noi stessi o sono le altre persone, le cose che ci circondano, i beni che vogliamo procurarci, gli ideali o i valori in cui crediamo"(76). Ciascuno di noi ha un proprio margine di scelta, di lettura, di possibilità indecise: noi siamo liberi, dice Abbagnano, "liberi tuttavia di una libertà sui generis, limitata, condizionata, impastoiata... Io non posso essere e fare ogni cosa indifferentemente; devo rendermi conto delle mie reali possibilità... Nessuna di queste alternative è sicura in anticipo; ma qualcuna mi dà più affidamento delle altre. La mia libertà consiste nello scegliere tra esse nel modo che ritengo via via migliore; nel seguire fedelmente le mie scelte e nel non abbandonarle se non quando l'inganno è palese... La lettura e la rilettura del libro dovrà continuare"(77). E tutti noi oggi sappiamo, col dolore delle nostre carni, con la pena delle nostre miserie umane, con la disperazione dei deboli e degli oppressi, con lo stravolgimento delle più comuni ed ordinarie regole della convivenza formale e civile, se veramente non ci sia più bisogno -a distanza di oltre un trentacinquennio dalle parole di Abbagnano- di un ritorno al "gran libro" dell'essere, della realtà e del mondo cui apparteniamo e di cui siamo parte integrante a tutti gli effetti. E se non sia soprattutto il caso d'impegnarci, tutti, al recupero delle essenziali regole formali della convivenza e della responsabilità individuale in un momento di confusione come quello attuale, recupero che consentirebbe di riannodare i fili della fiducia in se stessi e negli altri, senza dover fare ricorso ai santoni, alle previsioni astrologiche, alla divinazione e alla prestidigitazione della realtà con cui quotidianamente dobbiamo fare i conti, non solo oggi beninteso ma anche domani, e poi domani ancora. Bruno Maiorca __________________________________________ In: N. Abbagnano, Scritti esistenzialisti (1939-1955), a cura di Bruno Maiorca, "Classici della filosofia", UTET, Torino, 1988, pp. 9-39 ______________________________________________ Note 1) Genova-Napoli, 1923 2) Napoli, 1936 3) Napoli-Genova-Città di Castello, 1925 4) Genova-Napoli, 1927 5) Napoli, 1934 6) Napoli, 1936 7) Le sorgenti irrazionali del pensiero, cit., p. 167 8) Cfr. ibid. , p. 168 9) Ibid. , p. 35 10) Cfr. ibid. , p. 156 11) Cfr. ibid. , p. 159 12) Ibid. , p. 159 13) Ibid. , p. 167 14) Ibid. , p. 168 15) Ibid. , pp. 168-169 16) "Giornale critico della filosofia italiana", fasc. IV (1923); poi in U. Spirito, L'idealismo italiano e i suoi critici, Firenze, 1930, p. 123 17) Ibid. , p. 123 18) Ibid. , p. 128 19) Ibid., p. 129 20) Ibid. , p. 129 21) Il nuovo idealismo inglese e americano, cit., p. 253 22) Ibid., p. 259 23) La fisica nuova, cit., p. VII 24) Ibid. , p. VIII 25) Ibid. , pp. VII-VIII 26) Le sorgenti irrazionali del pensiero, cit., p. 124 27) Ibid. , pp. 124-125 28) La fisica nuova, cit., pp. 62-63 29) Torino, 1956 30) La filosofia di E. Meyerson e la logica dell'identità, Napoli, 1929 31) Guglielmo d'Ockham, Lanciano, 1931 32) La nozione del tempo secondo Aristotele, Lanciano, 1933 33) Torino, 1939. Vedi nel presente volume pp. 57-227 34) N. Bobbio, Discorso su Nicola Abbagnano, tenuto a Salerno il 4 dicembre 1965 e posto come introduzione a N. Abbagnano, Scritti scelti, Torino, 1967, pp. 14-15 35) Ibid. , pp. 12-13 36) C. Sini, La fenomenologia in Italia. I. Lo sviluppo storico, in "Revue Internationale de Philosophie", XIX, fasc. 1-2, 71-72, 1965, p. 126 37) V. Mathieu, Storia della filosofia, Firenze, vol. IV, p. 77 38) Cfr. la recensione su "Studi filosofici", n. 4 (1940), pp. 431-434, riprodotta in E. Paci, Pensiero, esistenza e valore, Messina-Milano, 1940, cap. XVI, pp. 188 sgg. 39) Mazzantini Filosofia perenne e personalità filosofiche, Padova, 1942, p. 309 40) G. Della Volpe, Una filosofia virile, in "Primato", I, n. 6, 15 maggio 1940, p.22; ora in "Primato" 1940-1943, a cura di L. Mangoni, Bari, 1977, pp. 213-214 41) Milano, 1942. Vedi nel presente volume pp. 229-369 42) Torino, 1947. Vedi nel presente volume pp. 371-500 43) Torino, 1948. Vedi nel presente volume pp. 501-533 44) Spirito, Roma nel XX secolo - Filosofia incompiuta sulla terza via, Roma, 1979, pp. 41-42 45) E. Garin, "Filosofia", in Enciclopedia del Novecento, Roma , 1977, vol.II, pp. 993-994 46) E. Paci, "La Nuova Italia", n. 4, 1938, pp. 229-231 47) N. Bobbio, Discorso su Nicola Abbagnano, cit, p. 17 48) Nella prefazione al volume di P. Chiodi, L'esistenzialismo di Heidegger, datata novembre 1947, Abbagnano scriverà che "si è formata una immagine puramente convenzionale del filosofo, definito come il filosofo dell'angoscia o della morte o del nulla o dell'irrazionale: immagine che appaga l'esigenza dei facili critici perché si presta ad essere un comodo bersaglio (Taylor, Torino, 1947, p. 3). "Heidegger ha visto benissimo, prosegue Abbagnano, che una metafisica che voglia raccogliere e far proprio l'insegnamento di Kant deve includere nell'essere che essa considera il problema dell'essere; ma non ha visto che con questa inclusione la metafisica non è più un'ontologia e non mette più capo alla determinazione di strutture universali e necessarie" (p. 4). D'altra parte, aggiunge l'autore de La struttura dell'esistenza, la mancata realizzazione di questo punto di vista conduce Heidegger a riconoscere il centro della sua speculazione, non nella p o s s i b i 1 i t à cui conduce la considerazione del problema dell'essere, ma nel nulla a cui conducono le determinazioni dell'essere irrigidite e private del loro carattere problematico... Heidegger ha compiuto, secondo Abbagnano, il tentativo di considerare il problema dell'essere nel quadro dell'ontologia tradizionale per la quale l'essere è necessità. Di conseguenza, la posizione e la vita di questo problema si sono nelle sue mani capovolte in una necessità che lo nega (p. 5). Ma nonostante tale rilievo negativo, presente nello studio di P. Chiodi, il significato e l'opera di Heidegger s'impongono per Abbagnano dal momento che essi hanno indicato una strada che la metafisica contemporanea dovrà liberamente proseguire, perché è la strada aperta dalla filosofia trascendentale di Kant" (pp. 5-6) 49) N. Bobbio, Discorso su Nicola Abbagnano, cit., p. 18 50) N. A., Per o contro l'uomo, Milano, 1968, p. 10 51) Per la lettura di Sartre da parte di Abbagnano, vedi: La storia e la libertà nel pensiero di Sartre, "La Stampa", 26 aprile 1964; L'evoluzione di Sartre, "Terzo Programma", 1966, n.1, pp. 295-298; Anche Flaubert aveva una mamma, "Il Giornale nuovo", 7 maggio 1977; Sartre, ultimo dei romantici, "Nuova Antologia", a. 115°, vol. 543°, fasc. 2134, aprile-giugno 980, pp. 116-121; Dio, l'uomo e il nulla, "Il Giornale nuovo", 17 aprile 1980; Sartre arriva in tv che cosa dice oggi il suo inferno, "Tuttolibri", a. IX, 8 gennaio 1983, e L'uomo è il dio mancato del proprio destino (Sartre) , in N. A., La saggezza della filosofia, Milano, 1987, pp. 91-99. 52) Voce "Esistenzialismo", in Enciclopedia del Novecento, II, cit., pp. 753-755 53) L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, Milano, 1972, VI, pp.208-210 54) M. Cacciari, Salvezza che cade. Saggio sulle questioni della Tecnica in M. Heidegger, in "Il Centauro", n. 6,settembre-dicembre 1982, pp. 70-101. Vedi anche G. Traversa, La "Questione della tecnica" e il "dialogo" Marx-Heidegger, in "Il Cannocchiale", n. 1-2, 1983, pp. 147-166. 55) L. Geymonat, op. cit. , p. 212 56) Ibid. , p. 981. 57) Filosofia religione scienza, cit., p. 123 58) Ibid. , p. 156 59) Ibid. , p. 156 60) Ibid. , p. 156 61) Torino, 1950, pp. 3-20 62) Voll. I-III, Torino, 1951-1953 63) "Struttura" in Dizionario di filosofia, Torino, 1961, pp. 826-827 64) Ibid., p. 827 65) A. Vedaldi, Essere gli altri. Discorso sull'esistenzialismo, Torino, 1948, p. 139 66) Cfr. al riguardo sia gli studi di G. Giannini, La nozione di possibilità nell'esistenzialismo di N. Abbagnano, in AA. VV., Studi filosofici intorno all' "Esistenza", al Mondo, alla Trascendenza, Roma, 1954, pp. 131-137; L'esistenzialismo positivo di Nicola Abbagnano, Brescia, 1956; sia la monografia di A. M. Simona, La notion de liberté dans l'existentialisme positif de Nicola Abbagnano, Fribourg, 1962, tanto per citare quelli più significativi. 67) A. Santucci, Esistenzialismo e filosofia italiana, Bologna, 1959, pp. 77-108, 291-322 68) Pag. 92 del presente volume 69) Ibid. , p. 92 70) Cfr. "Rivista di filosofia", n. 1, gennaio 1955 71) S.A. Efirov, Il fallimento dell' "esistenzialismo positivo", in La filosofia borghese italiana del XX secolo, trad. it., Firenze, 1970, p. 200 72) E. Paci, Abbagnano, in Ancora sull'esistenzialismo, Torino, 1956, p.157 73) Ibid. , pp.159-160 74) Morte e trasfigurazione dell'esistenzialismo, pp. 595-596 del presente volume 75) Esistenzialismo come filosofia del possibile, p. 567 del presente volume 76) Ibid. , pp. 567-568 77) Ibid. , pp. 568-569 _______________________________________________________ Nota redazionale: Per ragioni di carattere tecnico, le note che nell'originale appaiono a piè di ogni pagina e con numerazione singola, qui appaiono a fondo testo e con numerazione progressiva.