guida alla cucina etnica - Non siamo new global, ma glocal e local

GUIDA ALLA
CUCINA ETNICA
Detesto l’uomo che manda giù il suo cibo
non sapendo che cosa mangia.
Dubito del suo gusto
in cose più importanti.
(Charles Lamb)
Il piacere della tavola è di tutte le età,
di tutte le condizioni sociali, di tutti i paesi e di tutti i giorni,
può associarsi a tutti gli altri piaceri,
e resta ultimo a consolarci della loro perdita.
(Brillat-Savarin)
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INDICE
La cucina etnica......................................................
pag.
4
Cibo e cultura.........................................................
pag.
4
Cibo e religione.......................................................
pag.
6
Cucina messicana e cucina tex-mex.........................
pag.
7
Cucina giapponese.................................................
pag.
10
Cucina cinese.........................................................
pag.
12
Cucina africana......................................................
pag.
16
Cucina ebraica.......................................................
pag.
17
Cucina araba..........................................................
pag.
19
Cucina indiana........................................................
pag.
20
Cucina fusion..........................................................
pag.
21
Ricette dal mondo..................................................
pag.
23
Dossier realizzato dai Giovani delle ACLI
a cura di PAOLA CRISTINA CURCIO – Servizio Civile Volontario
Disponibile sul sito www.giovanidelleacli.org
Credits: Luca Zuin, Cristian Carrara, Gianluca Budano, Ada Lunghini, Raffaela Paolotti, Moira Zuliani
Giovani delle ACLI – Sede Nazionale
Via Marcora 18/20 – 00153 Roma tel 06.5840210 fax 06.5840658 [email protected]
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LA CUCINA ETNICA
Cucina cinese, giapponese, messicana, indiana…..si può
davvero scegliere: il cibo etnico è di gran moda. Ma farà
anche bene? ed è in realtà così diverso?
Per noi italiani la cucina etnica non rappresenta sempre la
primissima scelta in campo culinario, anche se negli ultimi
anni la cucina straniera sta prendendo sempre più corpo
anche nelle abitudini alimentari del nostro paese. Sarà forse
la voglia di scoprire qualcosa di diverso dal solito, la voglia
di assaporare i gusti ai profumi di un determinato popolo
che ci spingono ad avvicinarsi a questo genere di alimenti.
Non è sempre facile determinare quali di questi possono
essere indicati per la nostra alimentazione e quali invece
possono avere degli effetti negativi sulla nostra dieta.
La cucina cinese, ad esempio, da tutti è considerata molto
ricca di cibi fritti, ma ci sono alcuni piatti che invece hanno il pregio di essere molto
leggeri.
In linea generale, il consiglio dei nutrizionisti è quello di avvicinarsi senza timore alla
cucina etnica, cercando di evitare le pietanze più elaborate, ma senza trascurare nessun
gusto o piatto tradizionale.Una breve guida alla cucina di altri popoli, altri religioni, altri usi
nella duplice consapevolezza della già grande varietà culinaria della penisola e che
l’integrazione culturale e la conoscenza del “diverso” passa anche per la tavola, perché
mangiare è prima di tutto un piacere.
CIBO E CULTURA
Parlare di cibo significa fare riferimento a una cultura, a delle abitudini, a uno stile di vita.
Ogni paese ha il suo modo di alimentarsi, di usare certi prodotti piuttosto che altri. Anzi,
attraverso il cibo noi possiamo scoprire la storia di un paese, le tradizioni e l’identità cui la
persona si rimanda, cui torna sempre. Ovviamente, usare il prodotto, acquistarlo,
preparare un certo tipo di cibo è anche comunicare che si appartiene a un certo paese,
comunicare benessere, comunicare identità. Attraverso una rilettura delle abitudini
alimentari, dei prodotti prevalentemente utilizzati, di quelli che sono tabù alimentari, noi
possiamo ricostruire la storia di un paese o di una cultura. Infatti, non serve percorrere
migliaia di chilometri per avere un incontro con popoli e culture diverse, questo può
avvenire anche a tavola. Il cibo è fondamentale per ognuno di noi, sia dal punto di vista
fisiologico: è indispensabile come respirare, sia da quello sociale e culturale. Molti aspetti
della nostra vita sono accompagnati dal cibo anche se spesso lo trascuriamo. Non c’è
momento importante della vita in cui non sia di rito consumare cibo (o bevanda) insieme:
dal battesimo al funerale passando per la laurea o l’aver trovato lavoro, un atto notarile
importante, ritrovare un amico o persino una delusione può essere consolata da una cena
fra amici. Proprio per questo il cibo è una costante fondamentale di ogni rito e liturgia
celebrata. Quello che caratterizza una terra ad un popolo è anche la sua tradizione
culinaria e le abitudini alimentari.Ciò che per qualcuno è normale mangiare per altri è da
aborrire: c’è chi non mangia il coniglio e chi però mangia il coccodrillo.
Il cibo è condivisione e simbolo: in molti popoli ancor oggi uomini e donne non possono
mangiare insieme perché sarebbe come compiere un atto sessuale.
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Chi, come noi occidentali, mangia insieme usa invece il cibo per conquistare
simpaticamente o per manifestare complicità. La complicità oltre che sessuale è anche
sociale: la scelta del luogo, ad esempio, per una cena può avere un diverso valore sociale;
così come certi alimenti simboleggiano la semplicità oppure la raffinatezza. Insomma ogni
volta che affrontiamo un alimento ricordiamo che non è solo frutto dell’agricoltura o
dell’industria ma anche di elaborazione culturale di secoli di storia. Le abitudini alimentari
spesso sono condizionate e ritmate dalla religione di un popolo. Ogni religione abbina alle
proprie feste piatti e cibi rituali. Spesso una punizione religiosa è stata tradotta in divieto
alimentare, un momento di purificazione con l’eliminazione di determinati alimenti (es:
Quaresima o Ramadan). Ed ogni popolo ha anche le proprie credenze e superstizioni
legate a certi alimenti, che si crede in certi momenti portino bene o male per il futuro.
CIBO E RELIGIONE
Ai mussulmani è sempre vietato mangiare carne di maiale, e bere bevande alcooliche: al
punto che, in certe nazioni islamiche, è obbligatorio per legge, anche per chi non è
mussulmano.
Anche agli Ebrei è vietato mangiare carne di maiale.
C’è una spiegazione medica di queste convinzioni, la carne di maiale è una dieta dannosa
ed è la carne che fra tutte è la più grande potenziale portatrice di germi e malattia. Il
maiale, infatti, è un animale saprofago e onnivoro, mangia tutto, pertanto la sua carne
contiene molte tossine, vermi e malattie latenti. Sebbene alcuni di questi infestamenti
siano albergati negli altri animali, veterinari moderni dicono che i maiali siano predisposti
lontano più a queste malattie che gli altri animali.
Questo potrebbe essere perchè ai maiali piace spazzare e mangiare qualsiasi genere di
cibo e potrebbe includere insetti morti, vermi, immondizia, e gli altri maiali.
Dal punto di vista spirituale invece, l’Islam, come altre il Cristianesimo, pone l’obbligo ai
fedeli di avere un certo grado di controllo sugli impulsi ai propri desideri e di avere sempre
pensieri puri. La vita di un uomo è un composto di corpo-anima. Qualsiasi cosa che sia
dannoso per il corpo fa male l’anima. La proibizione è basata sullo scopo delle purificazioni
della natura di uno, perché il cibo viene assorbito e metabolizzato da tutto il sistema del
corpo compreso il cervello.
Tutte le religioni in modo diverso hanno collegamenti con il cibo, che talvolta ripropongono
antiche tradizioni di origine pagana. Ad esempio i Cattolici non devono mangiare carne il
Venerdì nei giorni della Quaresima, cioè nei quaranta giorni che precedono la Pasqua; in
questi giorni viene privilegiato il pesce. Il giorno di Pasqua mangiano l’agnello “arrosto”
per “tradizione religiosa”, in quanto, oggi, la Chiesa non consiglia di farlo a nessuno. Il
primo dell’anno si mangiano le lenticchie, perchè “portano fortuna”; e questo è un rito di
propiziazione, che probabilmente ha radici religiose pre-cristiane.
Molti sono i cibi che si mangiano in occasione delle grandi feste religiose, secondo
tradizioni che variano da zona a zona. In occasione delle festività cristiane, ci sono cibi che
hanno una particolare fattura e oggi viene superato il concetto di nutrimento, per il
piacere del palato e della vista, cioè per celebrare meglio la festa.
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CUCINA MESSICANA E CUCINA TEX MEX
La cucina messicana è solitamente confusa con la
limitata varietà di piatti che si possono gustare negli
ormai numerosi ristoranti messicani fioriti un po'
ovunque in Italia negli ultimi tempi. Ben lontano
dall'essere una nuova maniera di intendere il fast-food, la
cucina messicana gode di una
notevole tradizione
culinaria che ha saputo unire i forti sapori della cucina di
sussistenza indigena con il gusto della cucina tradizionale
europea, già risultato dell'incontro di vari sapori
provenienti da diverse regioni del mondo quando
raggiunse l'America.
La difficile reperibilità degli ingredienti originali o
l'impossibilità di importarli freschi rendono piuttosto
difficile la riproduzione di piatti tipici ed orientano i
ristoranti messicani verso una cucina Tex-Mex che
indubbiamente non rispecchia l'autenticità del sapore dei
piatti più tipici del Messico.
L'espressione Tex-Mex non si riferisce a una moda culinaria o a un ristorante messicano.
La cucina Tex-Mex appartiene a una zona geografica definita, che comprende Texas e
Messico, due paesi diversi, ma uniti da una tradizione alimentare comune.
Sebbene la cucina Tex-Mex si basi soprattutto sulla tradizione culinaria messicana e, di
conseguenza, anche spagnola, ha subito decise influenze statunitensi.Ne consegue un
menu’ molto antico, ma al contempo moderno.Non dimentichiamo poi che è perfetta per i
vegetariani, vista l'ampia scelta di piatti a base di fagioli.
La cucina Tex - Mex è famosa per i suoi gusti molto forti. Alcuni piatti come il "chili" e i
"tacos" sono famosissimi, altri sono una vera sorpresa: delicati piatti di pesce, zuppe,
salse e dolci, tutti aromatizzati con l'uso di molte spezie, fresche o secche, oltre che con
peperoncino e tabasco, che tutti si aspettano di incontrare quando si parla di piatti
piccanti. In molti piatti si trovano cannella, chiodi di garofano, cumino e coriandolo. Sono
sapori che nella nostra cucina troviamo di rado e mai tutti insieme. Si usano anche
ingredienti un po' particolari, come la farina di mais, le tortillas, il peperoncino di jalapeno
(tremendo!!), e la pepita (semi di zucca senza buccia, di colore verde).
Il popolo del mais
Un tempo, gli indios del centro America ritenevano che la tortilla di mais non era solo un
cibo per soddisfare la fame, ma anche un modo di comunicare con le forze divine. La
mitologia Maya racconta infatti che gli dei avevano creato l'uomo a partire da una
pannocchia di mais.
Questa credenza era così radicata che i contadini vendevano raramente il proprio raccolto
di mais. Lo consideravano una parte di loro stessi e della loro vita. L'importanza del mais
ha fatto sì che fin dai tempi più remoti gli indios hanno sempre faticato e lottato contro le
avversità del terreno e del clima per coltivare questa pianta.
Le pannocchie che si trovano attualmente in Messico sono il risultato di secoli di lavoro:
dopo essere partiti da pannocchie piccolissime, con grani duri e uno stelo sottile e fragile,
sono arrivati a produrre delle pannocchie come quelle che si trovano oggi al mercato o al
supermercato. Gli indios, non solo hanno migliorato il loro mais, ma sono anche riusciti a
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coltivarlo in regioni diverse e difficili del centro e del sud America, come ad esempio in
Perù a un altezza di 3.900 metri.
Ai tempi degli Inca sia la semina che la raccolta erano momenti di grande festa. Si
offrivano agli dei le pannocchie più belle avvolte in tessuti preziosi. Queste tradizioni sono
parte della storia e della cultura del Messico di oggi e il mais è naturalmente l'alimento
principale della cucina messicana e l'elemento base della tortilla. La tortilla corrisponde al
nostro pane e a seconda di come è arrotolata, si hanno diversi piatti. Il taco per esempio
è una tortilla piegata a forma di mezzaluna e farcita con carne o pesce, l'enchilada invece
è una tortilla arrotolata come un cannolo e viene servita con un ripieno di cipolla e
formaggio e ricoperta di salsa al pomodoro.
Il Messico e la sua cucina
Quando i conquistadores spagnoli arrivarono in Messico, trovarono una civiltà molto
avanzata e dai costumi culinari molto strani per loro. I banchetti serviti alla corte di
Moctezuma erano infatti degni di figurare nei più sontuosi festini offerti dalle corti del
vecchio continente.
La dieta del periodo precolombiano era basata sull' uso del mais che veniva considerato
come una pianta sacra. Tortillas, tamales e tanti altri piatti venivano confezionati con la
sua farina.
Questa dieta a base di mais veniva integrata con carne soprattutto cacciagione e verdure
come pomodori, patate dolci e fagioli. Di questi ultimi ne venivano coltivate diverse qualità
e si può senz'altro dire che ai poveri non mancava mai una manciata di fagioli con cui
guarnire le tortillas. Il peperoncino era la spezia che dava e cambiava il sapore ad una
stessa qualità di cibo. Tuttora vien chiamato “il vino dei poveri” in quanto permette di
scappare dalla monotonia di un regime alimentare fondato sull'uso del mais e dei fagioli.
Gli spagnoli portarono con loro nuovi cibi quali il riso, le cipolle, l'aglio e animali domestici
soprattutto maiali e polli ed in un secondo tempo mucche. Da qui un nuovo modo di
cucinare, il friggere, e di usare nuovi ingredienti quali il latte e il burro. Ragion per cui le
due cucine si mescolarono: i pomodori ed i LA TEQUILA
peperoncini del nuovo continente venivano E’ un vero e proprio rito: non si può non bere
uniti al riso del vecchio e gli indigeni la tequila messicana senza osservare i canoni
impararono a friggere la loro carne invece di della tradizione. Ecco qui di seguito le regole
guida:
mangiarla bollita o infilzata in un pezzo di
1. leccarsi il dorso della mano e spargervi del
legno. La cucina messicana dunque ha il
sale;
merito fra tutte le cucine "creole" di avere
2. leccare il sale;
conservato ciò che di meglio c'era nella sua 3. tagliare una fettina di limetta, il piccolo
limone verde, e succhiarlo;
cucina adottando gli elementi più interessanti
4. bere un sorso di tequila molto abbondante,
della cucina spagnola.
quanto un bicchierino;
5. leccare di nuovo il sale sulla mano.
Curiosità
Dopo queste operazioni lo stomaco diventa
I messicani sono ospitali, estroversi e calorosi. rovente. E così si deve per forza mangiare
Come spagnoli, salutano baciando di solito qualcosa se si vuole continuare. Lo stesso rito
vale anche per il mezcal.
sulla guancia destra e danno subito del tu. Il
piatto nazionale messicano è il mole poblano. La parola mole dall'atzeco molli significa
salsa aromatica al peperoncino ed è l'anima di questo piatto i cui altri ingredienti sono il
tacchino ed il cioccolato.
L'origine di questo piatto ha una storia assai curiosa. Siamo nel XVI secolo. Le monache
del convento di santa Rosa a Puebla furono prese dal panico quando vennero a sapere che
il vescovo della diocesi, senza preavviso, stava per rendere loro una visita. Non avendo
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nulla da offrire che fosse all' altezza di cotanto ospite radunarono tutte le provviste del
convento. Mescolarono quindi diversi tipi di peperoncini a mandorle, a pomodori, a cipolle,
a aglio, a pane, a tortillas, a banane, a grani di sesamo, a zucchero, a uvetta secca, a
strutto, a foglie di avocado ed a tantissime erbe aromatiche e spezie. Pestarono il tutto e
lo fecero cuocere per diverse ore aggiungendo per ultimo un po' di cioccolato per togliere
un po' di asprezza al mole. E mentre la salsa sobolliva, sacrificarono e arrostirono l'unico
tacchino del convento. Quando il vescovo arrivò, gli fu servito il tacchino ricoperto da
questa salsa miracolosa che fu apprezzata moltissimo. Essendo la sua preparazione lunga
e laboriosa, è riservata solo per le grandi occasioni. Comunque nei negozi specializzati si
trovano moles già pronti per l' uso.
La bibita nazionale messicana è il “pulque”, una bibita molto nutriente e dal prezzo
abbordabile, si estrae dalla foglia dell'agave ed ha un tasso alcolico di poco superiore a
quello della birra. Si dice che sia anche un potente afrodisiaco ed aumenti l'appetito. Ha
un aspetto lattiginoso ed è poco apprezzato dagli stranieri che descrivono il suo sapore
come a quello del latte mescolato a quello della polvere di cannone e a del formaggio
fermentato. La tavola di solito viene apparecchiata come da noi.
La vera cucina messicana si basa sugli alimenti che
ancora oggi sono coltivati quasi esclusivamente dagli
indigeni, il mais, i fagioli e i peperoni. Il mais era
coltivato in Messico già 3000 anni fa dagli Olmechi
appartenenti alla prima civiltà precolombiana fiorita
nella zona del Tabasco e di Veracruz. Del mais si
utilizzano le foglie, i funghi parassiti, le pannocchie
ancora tenere, da arrostire o lessare e quelle mature
i cui chicchi essiccati vengono ammorbiditi lasciandoli
a bagno in acqua e calce pura. Macinati poi in una
sorta di macinino chiamato metate , che la massaia
messicana alterna al molcajete, una sorta di mortaio
di pietra, e impastati con acqua formeranno la
massa, punto di partenza per la tortillas,
tradizionalmente tostate su pietra vulcanica rovente:
il comal. Assaggiare un piatto di cucina messicana
senza accompagnarlo con “tortillas” è assolutamente
improponibile: in tavola hanno la funzione di pane,
piatto e posata. Il cibo quotidiano degli indigeni e dei contadini era costituito
semplicemente da fagioli (chiari al nord, neri al sud) bolliti o stufati e conditi con erbe
aromatiche e peperoncini piccanti, dei quali si conoscono un centinaio di varietà diverse
per colore formato e potere esplosivo, e che caratterizzano la gastronomia messicana. La
cucina messicana è semplice, anche se colorata e saporita, ricca di sani principi nutritivi,
rustica ed economica. Una cucina che rispecchia il suo popolo: una folla che si agita
festosa in seno all’esplosione di una lussureggiante vegetazione, alla ricerca di ogni
occasione per festeggiare: una popolazione che dall’unione delle peculiarità indiane con le
tendenze spagnole, ha tratto una vitalità che è tutta brio e verve. Una vivacità che diventa
palpabile nelle migliaia di pulqerias (locali che ricordano alla lontana i saloon dei
“western”) nei quali si canta, si ride e si beve (pulque, tequila o mezcal), o nei mercati,
ove a stento è possibile percorrere gli stessi passaggi pedonali, lasciati liberi tra bancarelle
di tortillas, tacos, ananas e peperoni in un caleidoscopio affascinante di colori e odori
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CUCINA GIAPPONESE
Quando si parla di cucina giapponese la prima cosa che una
persona immagina quasi sicuramente è il "sushi". Un'arte nel
presentarlo, un fascino orientale e infine un piatto veramente
nutrizionale.
La raffinatezza nella presentazione delle vivande equivale
all'importanza che ha il gusto. Tre sono le cose fondamentali,
il sapore, la bellezza, il vasellame. I sapori sono molto leggeri
e armonizzati secondo le ferree regole utilizzando umili
prodotti. In occidente non siamo soddisfatti se ci vengono servite due fettine di pesce con
un fiore di rapa e una ciotola con del riso. Al contrario in Giappone con questi pochi
ingredienti si fa apparire molto ciò che in realtà è poco. Diventa elegante ciò che è povero,
squisito ciò che di per sè ha solo un gusto leggero. Un ruolo molto importante nella cucina
e nell'arte è il rapporto che queste due parti devono avere con la natura. Il popolo
giapponese ama la natura e cerca quanto è possibile d'entrarci in sintonia. E' così che nella
cucina ci si trova di fronte a quello che i giapponesi chiamano Shun No Aji, ossia "il sapore
delle stagioni".
La vita d'oggi è frenetica anche in Giappone, ma la sensibilità per il mutare delle stagioni
riesce a sopravvivere nell'animo delle sue genti. I menù dei ristoranti, delle piccole tavole
calde e delle famiglie, presentano sempre ricette che rievocano ai commensali la stagione
in corso.
- Primavera: E' presentata da fresche erbe di montagna e dal germoglio di bambù, una
delicatezza che va gustata freschissima.
-Estate: In questa stagione si usa vasellame di vetro, che con la sua trasparenza dà una
piacevole sensazione di freschezza; tofuu e pasta fredda sono alcuni dei cibi più tipici.
Cubetti di tofuu con soumen, ovvero sottili vermicelli bianchi, sono serviti su un piatto,
posato sul ghiaccio e accompagnati da una salsina scura con la quale vengono insaporiti.
La verdura di stagione è la melanzana.
- Autunno: La temperatura è mite. Viene gustato il riso del nuovo raccolto, accompagnato
dai funghi, le castagne, le patate dolci, oppure semplicemente in bianco, cotto nella
maniera tradizionale.
- Inverno: Gran festa di Capodanno. In splendide scatole di legno laccato, quadrate e a
più strati, è servito l'Osechi, il cibo di fine anno: sardine, frittate, fagioli neri cotti a lungo
in un sugo dolce, nodi d'alga, piccole orate, pezzetti di pollo, radice di loto all'aceto, uova
di pesce e altre delicatezze. Le verdure di stagione sono gli spinaci e altre dalle foglie
verdi.
Gran pregio della cucina nipponica è la sua leggerezza e digeribilità, i grassi sono quasi
assenti, i vegetali vengono cotti pochissimo per mantenere intatte le qualità nutritive, oltre
che la forma, il colore e il sapore. I giapponese utilizzano in cucina tutto ciò che in natura
è commestibile. Le isole dell' arcipelago sono aspre e montuose, per più di 2/3 della loro
superficie, e hanno sempre offerto scarso terreno alla coltivazione e quasi niente alla
pastorizia, fatta eccezione per alcune zone dell' Hokkaido. Questa condizione assieme ad
una tradizione millenaria di sobrietà ha abituato gli abitanti a cibarsi di tutto: foglie, radici,
erbe di montagna dagli squisiti aromi e inaspettati sapori, verdure, riso, ma soprattutto
frutti del mare.
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Comportamento a tavola
Come sappiamo, i giapponesi di solito a tavola usano le bacchette (hashi). Ai bambini
viene insegnato a tenere le bacchette con la mano destra e a sollevare con la sinistra le
scodelle di riso o della zuppa all'atto di mangiare. Bevono la zuppa direttamente dalla
scodella, gli altri piatti e scodelle, invece rimangono a tavola. Prima che il pasto abbia
inizio, ciascuno dice: "Itadakimasu". Alla fine del pasto invece si suole dire: "Gochisoosamadeshita", parole che esprimono apprezzamento e ringraziamento per il pasto. A fine
pasto ricordate che il galateo nipponico impone di appoggiare le bacchette sull'apposito
sostegno, non lasciatele, quindi, sulla tavola come le nostre posate
Alcuni comportamenti, che da noi sono comunemente accettati, sono considerati
estremamente scortesi in Giappone:
mangiare o bere, ad esempio da una lattina, mentre si è per strada;
versarsi da bere a tavola; sono i vostri commensali che riempiranno il vostro bicchiere, e
voi lo riempirete a loro qualora sia vuoto;
lasciare il bicchiere completamente vuoto;
divorare il cibo avidamente;
usare la bacchetta per puntare qualcuno.
Tuttavia è utile ricordare che non è affatto maleducato aspirare rumorosamente quando si
mangiano noodles (tagliolini), e non stupitevi se ascolterete i vostri commensali deglutire
rumorosamente. E' inoltre usuale non pagare al tavolo, ma alla cassa. Non si usa lasciare
la mancia.
Cibi e Bevande
Nella cucina tradizionale giapponese, gli ingredienti freschi vengono
preparati con grande cura. Un pasto tipico potrebbe consistere in
riso, vegetali, una zuppa di pasta e fagioli di soia (miso), sottaceti e
pesce o carne. La salsa di soia (shooyu) è un condimento comune.
Le alghe essiccate (nori) vengono spesso accompagnate al riso. Le
alghe verdi, sottili e croccanti sono squisite e sono un alimento
molto sano essendo ricco di iodio. Un pietanza rinomata è il pesce
crudo tagliato a fettine sottili (sashimi) servito con rafano verde.
Talvolta le fettine di pesce crudo sono adagiate su montagnole ben
modellate di riso condito con un leggero aceto (sushi). Il pesce
viene cucinato in tanti modi diversi. La frittura in olio abbondante di
pesce e vegetali (tempura) è un piatto che fu introdotto nell'arcipelago nel XVI sec. dai
mercanti portoghesi. da allora è diventato un piatto tradizionale giapponese. I giapponesi
erano vegetariani fino a circa cento anni fa. Ora invece ci sono squisite ricette che hanno
come ingredienti pollo, maiale o manzo. Una delle più prelibate è lo spiedino di pollo
(yakitori), oppure il manzo con vegetali e caglio di fagioli (tofu) cotto in una pentola
speciale direttamente sul tavolo (sukiyaki). Ogni commensale si serve direttamente dalla
pentola. Anche i vermicelli di farina di grano saraceno (soba, udon) sono una pietanza
popolare in Giappone. A volte sostituiscono il riso. Solitamente vengono serviti in una
scodella di zuppa bollente ricoperta di vegetali, carne o pesce. I vermicelli freddi (soba)
conditi con salsa di soia costituiscono un rinfrescante pranzo estivo.
Il riso rimane comunque uno degli elementi base dell'alimentazione giapponese, esso
viene utilizzato in numerosi prodotti alimentari: cracker (o-sembei), vino di riso (o-sake)
ed un vino dolce da cucina (o-mirin). La crusca eliminata durante la raffinazione del riso
viene utilizzata come mezzo per il nukazuke (sottaceti indispensabili per la dieta
tradizionale). Come avrete notato molte parole che si riferiscono al riso, come o-kome
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(chicco di riso), o-sake, o-sembei sono tutte precedute dal suffisso onorifico "o". Quest'uso
riflette il particolare prestigio di cui la pianta di riso ed il suo chicco hanno goduto fin dai
tempi antichi. La maggior parte degli isolani preferisce la varietà di riso giapponese senza
glutine che, una volta cotto, riesce ad attaccarsi di più rispetto a quello a chicco lungo.
Sono diversi i dolci tradizionali ricavati dal riso: gli o-mochi a forma di diamante rosa,
bianco e grigio-verde e l'arare granulare che vengono preparati come offerte per la "festa
delle bambole" che si svolge il 3 marzo. Con il riso a vapore e lo sciroppo di malto
vengono fatti gli o-koshi, barrette marroni di caramelle (a sinistra nella foto). Gli usuama
sono invece dei dolcetti a forma di uovo bianchi e rosa, realizzati cocendo a vapore un
miscuglio di farina e riso di zucchero. Il tè verde (o-cha) resta la bibita preferita dai
giapponesi. E' servito dopo il pasto ed ogni volta che ci si riunisce. Si serve bollente e
senza alcuna aggiunta.
CUCINA CINESE
La cucina cinese
moderna,
spesso
considerata in Occidente poco più che
un’alternativa al fast food o alla pizzeria, è
testimone al contrario di una civiltà culinaria
antichissima ed estremamente variegata:
priva di inibizioni di ordine religioso, come il
divieto del consumo di carne suina o bovina
come avviene per l’induismo e l’islam, l’arte
culinaria cinese ha sempre avuto come
obiettivo la valorizzazione di pressochè
qualsiasi alimento. In quest’ottica, il
consumo, peraltro non così abituale come
talvolta si vuol far credere, di alimenti insoliti
come la medusa, la carne di cane e serpente, il cervello di scimmia e via dicendo
dovrebbero essere letti come un esercizio del gusto e non come una barbara abitudine. Si
riconoscono in Cina cinque scuole di cucina, ognuna legata ad una regione. La più nota in
occidente è la cucina dell’estremo Sud o cucina cantonese , che monopolizza i menu di
tutti i ristoranti nostrani con il pollo al limone o il riso fritto ed è caratterizzata da gusti più
dolci. La cucina del nord (o meglio della regione dello Hebei, dove è situata la capitale
Pechino) è famosa per i ravioli (jiaozi) e l’anatra laccata (in cinese kaoya, letteralmente
anitra al forno), piatto raffinatissimo e di confezione particolarmente complessa.
Meno famose da noi sono la cucina del Sichuan, sicuramente la più piccante: è possibile
farsene un’idea, per quanto pallida rispetto all’originale, assaggiando il mapo doufu
(comunemente tradotto come doufu piccante): il doufu viene fatto saltare con carne
oppure verdura, ma soprattutto con un intingolo di spezie e aglio; la sillaba ma, in cinese,
indica un gusto così piccante da anestetizzare le papille gustative.
La cucina del Fujian è rinomata per le zuppe e le ostriche; infine la cucina del Jiangsu e
dello Zhejiang è nota per i pesci d’acqua dolce e di mare, i granchi e, curiosamente, le
lingue d’anatra affumicate. Aldilà di queste differenze, le caratteristiche di base in termini
di tecniche di cottura e attrezzature sono comuni. Interessante è scoprire quali siano gli
alimenti irrinunciabili e quali invece non trovino spazio nell’universo gastronomico cinese.
Il latte e i suoi derivati costituiscono un’acquisizione recentissima e sono comunque
totalmente assenti nella tradizione, soprattutto per il ruolo assolutamente marginale
BREVE GUIDA ALLA CUCINA ETNICA
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dell’allevamento di bovini e ovini; tra le carni viene preferita su tutte quella suina, seguita
da quella di pollo e solo in ultima sede da quella bovina (la carne ovina è ancora oggi
soprattutto appannaggio delle minoranze etniche); i cinesi non impiegano burro né olio
d’oliva, ma grassi derivati dal maiale e oli di semi (arachidi, soia e colza); scarso impiego
hanno verdure da noi immancabili come il pomodoro, la carota e la zucchina, mentre sono
diffusissime le verdure a foglia verde (cavoli di numerose qualità, erbe, spinaci, crescione
e bietole); la pasta e il pane, che nel nord sono più diffusi del riso, sono preparati con
grano tenero; inoltre non esiste cinese che non ami cipolle, cipollotti, porri e soprattutto
aglio. Il ruolo della soia e dei derivati, soprattutto l’ormai famoso doufu, è fondamentale.
Di un alimento, i cinesi esaminano il wei, cioè il suo gusto peculiare e distinto; la
consistenza, che ha un ruolo fondamentale e spesso decide del successo di un piatto o
anche del singolo alimento (é il caso della medusa e dei nidi di rondine); il colore e
l’aspetto (se); il profumo (xiang) e la fragranza (xian); quest’ultimo termine é difficilmente
traducibile in italiano e indica soprattutto l’aroma di un alimento fresco e al giusto grado di
maturazione (o macellazione…).
Le tecniche di cottura cinesi sono numerosissime: una caratteristica particolare é data dal
fatto che talvolta una sola parola può indicare più processi di cottura secondo un ordine
preciso. Ad esempio, se in una ricetta di legge che un cibo deve essere bao , significa che
il cibo, ridotto a piccoli pezzi, deve subire una sbollentatura, quindi una frittura in molto
olio e deve essere finito al salto in un recipiente che contiene una salsa o un altro
condimento.
In ogni caso, è raro che un cibo subisca una sola cottura: i tempi sono molto brevi ma non
è insolito che un alimento prima bollito venga poi stufato o fritto o saltato. Semplificando,
possiamo considerare la cottura al vapore/ bollitura e la frittura (con le varianti grande
fritture e cottura al salto) le tecniche fondamentali. Una menzione a parte merita la tecnica
shuan, affine a quella cui è sottoposta la carne cucinata nella pentola della fondue
bourguignonne, con la differenza che si impiega brodo bollente e non olio. I cuochi cinesi
vengono molto apprezzati, quando sono davvero padroni anche di una sola tecnica di
cottura. Oggigiorno, a pasto i cinesi consumano birra, bibite gassate e in occasioni speciali
superalcolici, soprattutto brandy locali e cognac d’importazione (!); il thé verde é in ogni
caso diffusissimo e ben si adatta a qualsiasi piatto. Il discorso é diverso per il vino d’uva: il
vino di produzione cinese ha uno standard qualitativo desolante e, in ogni caso, é
veramente difficile accostare con successo vino e piatti cinesi. E’ bene comunque evitare i
rossi.
Il tè (chà) è una bevanda molto antica in Cina e attualmente è la più popolare delle
bevande. Principali qualità sono quelle di tè verde e tè nero. Poi ci sono quelle
aromatizzate da boccioli di fiori secchi misti a foglioline, come il notissimo tè al gelsomino.
I cinesi bevono tè tutto il giorno, ma raramente durante i pasti. Il momento migliore è a
fine pasto.
Esistono anche bevande fermentate prodotte a partire da cereali che si servono calde e
hanno una gradazione alcolica intorno ai 18° la più famosa é il vino giallo Shaoxing,
reperibile con facilità anche in Italia. Le tecniche di taglio e il “regime del fuoco” (huohou),
espressione che indica la padronanza delle tecniche di cottura, hanno in Cina legami
fortissimi con la tradizione filosofica taoista: chi si appresta a tagliare deve avere l’animo
tranquillo e sgombro da pensieri come il monaco che medita, per essere certo di ottenere
un risultato ottimale. Allo stesso modo, il talento nell’amministrazione e nella cura del
fuoco avvicina il cuoco alla figura del saggio che sul fornello alchemico distilla l’elisir di
lunga vita.
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I cinesi utilizzano due tipi di coltello, differenti solo per dimensione, mentre la struttura è
la stessa e ricorda molto i coltelli spaccaossa in uso nelle nostre cucine (di recente questi
coltelli sono diventati molto comuni anche in Italia, in quanto alcuni coltelli impiegati nella
cucina giapponese per preparare il sushi sono pressochè identici).
Il taglio è un momento fondamentale della preparazione dei piatti cinesi: assai di rado,
infatti, un pezzo di carne o della verdura arrivano interi in tavola. Fa eccezione l’anatra alla
pechinese, che viene cotta intera e tagliata in tavola alla presenza dei commensali.
L’impiego delle bacchette (kuaizi) è strettamente legato all’abitudine di servire piatti già
ridotti a bocconi.
Di regola gli ingredienti vengono sottoposti prima della cottura ad un taglio accurato,
classificato in quattro possibili forme:
-bocconcini o dadini (ding)
-julienne (si)
-fettine sottili e larghe (pian)
-pezzi più grossi e irregolari (kuai)
Ai quattro tagli corrispondono tecniche precise di impiego del coltello: i manuali cinesi
sono prodighi di suggerimenti e illustrazioni per facilitare l’apprendimento dell’arte del
taglio.
Una curiosità: i taglieri cinesi non sono sottili e rettangolari come i nostri, ma sono spessi
almeno una spanna e circolari, in quanto ricavati da una sezione di tronco.
Il fuoco che servirà per cuocere gli alimenti può essere, per i cinesi, civile (wen), o
marziale (wu). In altri termini, dolce o vivace. Esistono anche espressioni che
caratterizzano in negativo le due possibilità: se il fuoco deve essere moderato ma per
errore è troppo alto, si dice che è “pazzo furioso” (meng). Se al contrario è troppo basso,
si dice che è debole e svilito (ruo). Per calcolare i tempi di cottura, un tempo si ricorreva
come unità di misura ai bastoncini d’incenso.
Quanto ai recipienti di cottura, i cinesi utilizzano pressochè esclusivamente una sola
pentola: il famoso wok (wok è la pronuncia cantonese della parola guo, che nella lingua
cinese ufficiale significa semplicemente “pentola”). Il wok colmo d’olio serve per friggere;
riempito d’acqua per bollire e lessare; con due dita d’acqua e il cestello di bambù, per
cuocere al vapore; con poco olio, per rosolare e per le preparazioni al salto.
Tradizionalmente è di ferro e, come le padelle nere utilzzate da noi fino a pochi anni fa per
le fritture, non viene lavato con sapone, ma solo risciacquato con acqua calda e strofinato.
Recentemente rivalutato, il wok offre in effetti alcuni vantaggi incontestabili: la forma della
pentola permette di cuocere con poco grasso ed è l’ideale per le cotture veloci; inoltre la
porosità del ferro permette una minima dissoluzione del minerale nei cibi che vi vengono
cotti, fornendo una sorta di integratore alimentare. Bisogna tuttavia aggiungere che sono
ormai invalsi nell’uso i wok rivestiti di materiali antiaderente e quelli in alluminio. In
entrambi i casi, si tratta di recipienti di qualità inferiore al wok tradizionale, che è possibile
acquistare pressochè in qualsiasi emporio di prodotti orientali. Un banchetto cinese si
compone di antipasti freddi o caldi, anche estremamente semplici: arachidi tostate o
lessate; verdure a julienne; uova sode...; successivamente di piatti di carne (soprattutto;
come già detto, pollo e maiale), pesce, doufu, più di rado uova, cucinati possibilmente con
tecniche differenti e complementari. Il riso, semplicemente bollito, accompagna l’intero
pasto. Al termine, una zuppa da gusto più delicato o più piccante: i ristoranti cinesi
tendono a servirla, secondo le abitudini occidentali, all’inizio del pasto, ma andrebbe
invece servita alla fine, per propiziare una facile digestione. Le zuppe sono di solito
preparate con brodo limpido e aggiunta di altri ingredienti (verdure, carni e pesci, doufu,
pasta).
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La cucina cinese, come le altre civiltà culinarie dell’estremo oriente, non conosce una vera
e propria arte pasticcera. Le preparazioni che concludono un pasto (dianxin) sono di solito
semplici e poco impegnative, a base di frutta, fresca ed essiccata, e zucchero. Fa
eccezione il dangao (lett; “torta all’uovo), molto simile al Pan di Spagna, ma che di rado
trova un impiego nei dolci di fine pasto ed è piuttosto consumato come spuntino.
Metodi di cottura
Uno dei sistemi di cottura più utilizzato è la frittura veloce a fuoco alto, mescolando
continuamente gli ingredienti. Per questo metodo di cottura l'oggetto più appropriato è lo
“wok”.
L'olio deve essere molto caldo e gli ingredienti tagliati piccoli e di uguali dimensioni, in
modo che la cottura sia veloce. Altro metodo molto diffuso è la cottura a vapore. Si tratta
di un sistema pratico e anche interessante dal punto di vista nutrizionale e salutare.
Vengono utilizzati i cestelli di bambù, singolarmente o sovrapposti.
La cucina cinese utilizza anche altri metodi di cottura, in umido, a stufato, bolliti, arrostiti,
fritti, che differiscono poco dagli stessi sistemi impiegati in Occidente.
Il riso bollito ha una cottura che assomiglia molto alla cottura a vapore; infatti viene posto
il riso in una capace pentola con la quantità doppia di acqua, dopodichè viene lasciato
cuocere coperto e senza girarlo per circa dieci minuti. Spento il fuoco, si lascia riposare,
sempre coperto, per altri dieci minuti, in modo che l'acqua venga assorbita
completamente.
Essenziale e' la preparazione dei cibi: i vari ingredienti saranno tagliati in pezzi piccoli e
uguali, sia per la buona riuscita della cottura, sia perchè ci sia sempre una certa armonia
nella forma e nell'apparenza. A seconda della ricetta si richiederà che l'ingrediente venga
tagliato a cubetti, a julienne, a strisce ecc.
Le verdure devono essere tagliate in senso diagonale, mentre la carne seguendo la
granatura naturale. La carne, se tagliata a strisce, affinchè risulti più tenera, viene tagliata
avendo cura di rompere le fibre della venatura, per cui tagliandola quasi
perpendicolarmente alla venatura.
La composizione del menù è importante: di solito un piatto sugoso e saporito si
accompagna con qualche cibo "assorbente", come il riso bollito o i tagliolini di riso saltati.
La minestra viene servita a fine pasto, per favorire la digestione.
Un menù ben equilibrato dovrebbe includere tre tipi di carne: pesce, pollame e manzo, o
maiale. E' bene comunque alternare armoniosamente carni, pesci, verdure e farinacei, e
anche le tecniche di cottura per non incorrere nella ripetitività.
Condimenti e spezie
? Salsa di soia
? Polvere delle cinque spezie: e' una miscela di anice stellato, semi di finocchio, chiodi
di garofano, cannella e pepe.
? Zenzero: usato sia essiccato, sia fresco.
? Salsa alle ostriche: venduta già pronta.
? Olio di sesamo: assai utilizzato
? Semi di sesamo: spesso vengono tostati prima di essere usati
? Funghi cinesi: funghi essiccati neri, di sapore forte, che vanno tenuti a bagno in
acqua tiepida prima di essere utilizzati.
? Coriandolo: si utilizza fresco, o se ne usano i semi interi o in polvere
? Tofu o dofu: formaggio di soia venduto in pacchetti; tagliato a strisce e fatto
essiccare. Basta metterlo a bagno per poterlo usare. Cibo ideale per i vegetariani.
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CUCINA AFRICANA
Il cibo in Africa è l'elemento base di un rituale di comunione, un'occasione per esprimere
valori e simboli della tradizione. Mangiare e bere insieme vuol dire celebrare la vita.
Celebrare la vita è incorporare frammenti del suo mistero. Accostarsi alla cucina africana
diventa pertanto un gesto altamente culturale, una modalità immediata e simpatica per
conoscere e allargare la comunione. Fortunatamente negli ultimi tempi anche in Italia si
sono moltiplicate le opportunità per incontrare l'Africa dei sapori e degli odori. Il cibo
africano varia da regione a regione e molta differenza si incontra tra i paesi della fascia
sahariana e quelli della foresta tropicale dell'Africa centrale. Le isole poi costituiscono una
forma di cucina a sé.
Nel continente, in modo molto generale si può dire che il piatto forte è costituito da una
portata a base di carne, quasi sempre accompagnata da un sugo ricco di varie spezie,
anche molto piccanti. Al posto del pane occidentale si mangia il riso, la ingera (una sottile
sfoglia molle e tenera fatta con un cereale chiamato tef), il fufu (una specie di polenta a
base di farina di manioca, di mais, di miglio, eccetera). Il piatto africano forse più
conosciuto in Italia,date le circostanze storiche, è lo zighinì, piatto nazionale per l'Etiopia,
la Somalia e l'Eritrea.
È costituito da carne di montone cotta in umido,
accompagnata da berberè, un sugo ricco di paprika
piccante, e verdure varie. Il tutto servito su uno strato
di ingera. Anche il pollo è molto diffuso, dal pollo sakasaka al pollo al burro d'arachide, condito con il dongodongo, una spezia che aiuta il sugo a compattarsi e a
dargli il suo sapore particolare. La cucina africana è
anche a base di pesce, soprattutto nelle isole e nei
paesi che si affacciano sul mare particolarmente
pescoso, ma anche dove i laghi e i fiumi abbondano di
pesce. La “tilapia nilotica”, chiamata poisson capitain, è
molto apprezzata e diffusa in Africa. Particolarmente
delicato è il suo profumo e il suo sapore quando è affumicata. In genere il pesce viene
cotto alla brace, con spezie aromatiche e piccanti. Molto buone sono le crocchette di pesce
e di verdure, cotte in tutte le maniere. Fortunati quelli che possono trovare il pesce sakasaka (il pesce affumicato è accompagnato da foglie di manioca cucinate come spinaci, il
tutto cotto con olio di palma). Da non perdere, le famose banane fritte, le patate dolci
anch'esse fritte e la manioca bollita e fritta.
I dolci
La maggior parte dei dolci sono a base di frutta: banane, goyaba, cocco...
Sono molto buoni anche i dolci fritti con farina di grano, oppure con le banane.
Nelle isole, le torte di banane, di cocco e di ananas sono quasi sempre presenti nelle feste
tradizionali, particolarmente in occasione dei matrimoni.
Bevande
Anche tra le bevande le più diffuse sono quelle di frutta: il latte di cocco, il succo di
tamarindo, il succo di maracujà... Tra quelle alcoliche troviamo il vino di palma, la birra di
miglio, i forti distillati della canna da zucchero, il delicato idromele (miele diluito e
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fermentato), i dolci liquori a base d'arancia, il punch di cocco, eccetera. Ultimamente si
stanno affermando per la loro qualità i vini del Sudafrica, ma troviamo tanti altri vini
provenienti dallo Zimbabwe, dalla zona del Kilimangiaro e dal Kivu congolese. Un discorso
a parte lo merita la birra, sia per l'ottima qualità che per l'abbondanza delle varietà. Oltre
alla birra di miglio, esistono anche birre locali a base di mais.
CUCINA EBRAICA
Distanti dal rimanere una appendice della fede
ebraica, le proibizioni alimentari sono raccolte nei
primi cinque libri della Bibbia, detti Torah , ovvero
legge in lingua ebraica, gli stessi dove è sostenuta
l’esistenza di un solo ed un unico Dio. Prima
dell’avvento del cristianesimo e la comparsa
dell’islamismo è l’assoluta fede e fedeltà ad un
unico Dio, insieme ad un rigido complesso di
proibizioni alimentari, a separare nettamente dalle
altre religioni la religiosità ebraica.
La tradizione rabbinica ha proposto diverse
motivazioni per queste restrizioni di ordine alimentare, includendo quelle morali, mistiche,
filosofiche e metafisiche. Una popolare interpretazione tradizionale vuole che,
sottomettendo la propria natura sensuale alla volontà divina, l'essere umano si elevi dallo
stato animale, pervenendo alla umanità autentica, emancipandosi dalla violenza che
sempre torna a sedurlo con le proprie scorciatoie, ottenendo santificazione e libertà.
Tramite tale lenta e proficua educazione, sottomettendo l’irruenza dei sensi, l’uomo
giungerà a rinunciare alla carne in tutti i significati deprimenti che la parola ricorda.
La lealtà degli Ebrei verso le leggi raccolte nella Bibbia, la fedeltà indiscussa ad un unico
Dio, hanno consentito la continuità storica della comunità ebraica, il perdurare di tradizioni
antichissime, preservandole al di là dei ripetuti e terrificanti attacchi subite nel corso dei
secoli.
Attraverso la storia, l'osservanza ha creato una atmosfera spirituale intorno al cibo e gli ha
dato una speciale importanza. Le leggi dietetiche del kashrut (letteralmente “idoneità”)
sono state tra i più significanti fattori che hanno influenzato lo stile della cucina ebraica. Le
leggi del kashrut riguardano ciò che è permesso consumare - in ebraico kasher - e ciò che
è proibito - in ebraico terefah - stabilendo precisi precetti sulle modalità con cui devono
essere resi ideoni all'assunzione gli alimenti, su quanto può essere toccato, trattato,
ingerito senza cadere nella colpa, su quanto è permesso intrattenere rapporti rimanendo
graditi a Dio.
Gli alimenti proibiti
Gli animali di cui è proibito alimentarsi sono quelli che non presentano
contemporaneamente la duplice caratteristica di avere lo zoccolo spaccato e di essere dei
ruminanti.
Animali con zoccolo spaccato ma che non ruminano: maiale, cinghiale, ippopotamo.
Animali senza zoccolo spaccato ma che ruminano: cammello, dromedario.
Animali che non hanno lo zoccolo spaccato: asino, cavallo, mulo, zebra, onagro.
Animali carnivori: cane, sciacallo, orso, lince,lupo, volpe, iena, leone, leopardo, gatto.
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Altri animali di cui è proibito nutrirsi: irace, topo, lepre, coniglio, elefante, pipistrello,
cavallo, tutti i felini e tutti i canidi.
Tra i volatili è proibito in generale il consumo dei rapaci e degli uccelli notturni: cigno,
alcione, ibis, civetta, pellicano, folaga, falco, gheppio, nibbio, aquila, poiana, gufo, cicogna,
tarabuso, gru, airone, gabbiano, corvo, upupa, rondone, struzzo, pipistrello.
Tutti gli animali che strisciano sono interdetti: vipere, serpenti, donnole, coccodrillo, cobra,
topo, talpa, testuggine, lucertola, toporagno, ramarro, camaleonte.
Tra i pesci è proibita la carne di: lampreda, pescecane, anguilla, pesce gatto, storione,
rana.
Crostacei: scampi, aragoste, granchi, mazzancolle, gamberi, gamberetti.
Mammiferi marini: delfini, foche, leoni marini, trichechi, capodogli, balene.
Gli animali invertebrati sono tutti proibiti fatta eccezione di quelli indicati tra gli animali
invertebrati leciti. In particolare menzioniamo: lumache, calamari, ostriche, seppie,
molluschi, meduse. Ricordiamo che vietato è anche il consumo contemporaneo di carne e
formaggio.
Gli ebrei si diversificano tra loro soprattutto a seconda o meno del rispetto di questi
precetti alimentari. Alcuni non le rispettano per niente, altri si astengono solo dal cibo
espressamente censurato, non curandosi di avere in cucina due servizi distinti di piatti (per
la carne e i prodotti caseari) e i due rispettivi lavandini. Solo gli ebrei ortodossi si sentono
vincolati anche a riguardo di queste restrizioni.
Gli alimenti permessi
Tutta la frutta e i vegetali sono permessi in accordo con quanto dice la Bibbia "Io vi ho
dato tutte le piante che portano seme in ogni parte della terra, e ogni albero che porta
frutto con il seme del frutto".
Gli animali che hanno contemporaneamente la caratteristica di avere lo zoccolo spaccato e
di essere dei ruminanti.
Bovidi : bue, bufalo, bisonte, capra, stambecco, pecora, muflone, antilope, gazzella.
Cervidi: cervo, daino, renna, alce, lama, capriolo.
Giraffidi: giraffa.
Pur mancando un dettagliato elenco nella Bibbia tra i volatili gli ebrei possono consumare
le carni di: tacchino, fagiano, pavone, gallina, pollo, alzavola, anatra, oca, colomba,
tortora, piviere, beccaccia, pernice, starna, quaglia, piccione, passero, allodola, merlo,
ortolano, usignolo, pettirosso, strillozzo, beccafico, tordo, codirosso, otarda, fringuello,
verdone, pispola, rondine. Ricordiamo che il salame d’oca è una delle carni più apprezzate
e consumate.
Dal mare solo animali che hanno pinna e le squame contemporaneamente: tonno,
merluzzo, pesce spada (non in tutte le comunità ebraiche), nasello, trota, salmone, aringa,
carpa.
Gli invertebrati di cui è permesso nutrirsi sono quelli che oltre alle 4 zampe anteriori
possiedono altre 2 zampe posteriori più lunghe tramite cui possono fare salti: cavallette,
locuste, grilli, acridi.
Le uova di tutti gli animali leciti sono permesse dovendo però attenersi alla forma tipica
dell’uovo di gallina, ovvero più tonde in un polo e più acute nell’altro. Il miele è permesso
in quanto considerato prodotto vegetale che le api trasformano solamente. Tutti gli
alimenti permessi devono essere lavati con particolare cura al fine di eliminare gli insetti
che vi dimorano.
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Carne e Sangue
Il sangue è proibito, accordandosi alla ingiunzione biblica "Tu non mangerai sangue con
dentro il sangue della vita" e "Tu non mangerai del sangue poiché l'anima risiede nel
sangue".
Gli animali devono essere mattati nella maniera rituale chiamata “shehitah”, recidendo loro
la gola, lasciando uscire più sangue possibile. Animali di grandi dimensioni devono essere
uccisi da un abile macellaio, lo “shohet”, armato di un coltello a forma di rasoio, con un
solo colpo, praticando una incisione che deve recidere contemporaneamente la trachea e
la vena giugulare al fine di arrecare meno dolore possibile . Un cercatore preposto (bodek)
o un ispettore (mashgiah) o lo shohet stesso deve esaminare la carcassa in cerca di tracce
di una qualsiasi malattia, la quale renderebbe la carne cibo non kasher, imperfetto e
quindi proibito. Il nervo sciatico, o la porzione di carne dove il nervo non fosse stato tolto,
è proibito. Questa prescrizione ha il compito di commemorare la lotta di Giacobbe con un
misterioso straniero che lo raggiunse nella notte, quando il femore di Giacobbe fu ferito ed
egli rimase zoppicante. Il grasso al disotto dell'addome non può essere mangiato, perché
nei tempi antichi questo veniva sacrificato sull'altare.
Dovendo la carne essere kasher, tutte le tracce di sangue devono essere rimosse
mettendo a bagno in acqua fredda per mezz’ora, poi spruzzando la carne su tutte le parti
con sale grosso lasciando sgocciolare la carne per una intera ora, prima di lavarla in acqua
tre volte ancora. Un metodo alternativo per spurgare del sangue la carne, e che viene
abitualmente usato per il fegato, consiste nel cuocerla preliminarmente sulla graticola. In
questo caso la carne non ha bisogno di essere resa kasher attraverso la salatura.
CUCINA ARABA
La religione mussulmana, caratterizza fortemente la dieta, che è imposta dal Corano basti
pensare al divieto di mangiare carne di maiale e carne non "halal" ( proveniente da animali
non sgozzati). Durante il Ramadan, mese in cui si pratica il digiuno dall'alba fino al
tramonto, alcuni piatti cucinati in questo periodo sono:
- il "khushaf" (egitto): una macedonia di frutta secca
- l'"harira" (marocco, algeria): zuppa con carne e legumi secchi; piatto leggero, ma
completo
A tavola
Raramente da solo, l’arabo mangia attorno ad un basso tavolo rotondo assieme a tutta la
famiglia; il cibo viene offerto sempre in quantità generose, accompagnato da the e caffè.
Non si usano posate e si attinge da un unico grande piatto, i bocconi si prendono
servendosi del pane, è quindi di fondamentale importanza lavarsi le mani prima di
mangiare.
L'acqua è servita in una brocca con un asciugamano e una saponetta, senza alzarsi da
tavola.
All'inizio e al termine del pasto si ringrazia Dio, "bismi Allah", per il cibo che viene così
sacralizzato.
Paesi e tradizioni
La cucina araba è molto ricca e varia, ogni paese esprime nella cucina le sue tradizioni ed
il suo passato. Le origini beduine, come pastori e nomadi, indicano la provenienza del
montone arrostito per l'Arabia Saudita.
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I "falafel" polpettoni di fave o di ceci, molto popolari in Egitto, sembrano essere ricetta ben
più antica, si dice fossero già conosciute ai tempi dei Faraoni.
Le "Kafta" sono polpette di carne, aromatizzate con le spezie che gli Arabi introdussero nei
loro commerci nel Mediterraneo; zafferano, cumino, cardamomo, cannella ricordano
l'intensa attività commerciale di un tempo. I dolci sono raffinatissimi e a base di mandorle
e miele.
Vengono talvolta aromatizzati con essenze deliziose come la rosa e i fiori d'arancio (
quest’ultimi tuttora utilizzati, in alcuni paesi arabi, per aromatizzare l'acqua che servirà alla
preparazione di altri piatti).
La cucina araba più vicina a noi è senza dubbio quella marocchina.
Alcune ricette e alcuni metodi di cucinare hanno origini risalenti a 2000 avanti Cristo. I
piatti più conosciuti sono:
- il couscous, di origine berbera, è una semola spesso ancora fatta a mano la cui
preparazione richiede abilità e pazienza.
- il "tagine", piatto a base di carne o pesce con verdure che prende il nome dalla
particolare pentola in terracotta in cui viene cucinato.
CUCINA INDIANA
La cucina del subcontinente indiano è estremamente variegata così come le tradizioni
religiose e culturali. La definiscono innanzi tutto le prescrizioni religiose: ad esempio il
divieto di consumare carne di maiale per i musulmani e carne bovina per gli induisti,
l'obbligo della "macellazione hallal" ottenuta con il dissanguamento dell'animale per i
musulmani e la scelta vegetariana per molti induisti o buddhisti. A ciò si aggiunge il divieto
di bevande alcoliche per i musulmani o, al contrario, in alcune zone dell'India, la tradizione
della birra.
Tali differenze non riflettono soltanto la divisione tra i diversi
paesi, ma molto spesso le differenze all'interno dello stesso
paese, per cui in quasi ogni ristorante è molto facile trovare un
menu interamente vegetariano e un menu a base di carne i cui
piatti sono costituiti da agnello, montone e pollo, carni su cui
non pesa alcuna interdizione religiosa.In alcuni è possibile
trovare un menù a base di pesce (piatto tipico delle regioni
orientali) e solo in qualche ristorante pakistano anche il
vitellone, così come solo in qualche ristorante indiano
preparazioni a base di maiale.
A tali differenziazioni si aggiungono quindi le tradizioni locali:
per l'India si parla di una cucina del nord, caratterizzata dall'uso
del pane e da un minor consumo di spezie e peperoncino
piccante, e una cucina del sud, caratterizzata dall'uso del riso,
comune del resto anche in altre regioni del paese, ma molto speziata e piccante. Si
aggiungono a questo quadro due ulteriori fenomeni, dovuti a quella che potremmo definire
una tacita negoziazione culturale:
- Il primo è l'offerta di uno o più menu in cui sono presenti piatti che appartengono a
tradizioni diversificate: ad esempio in quasi tutti i ristoranti potete trovare riso e pane
indiano, mentre è difficile che in India troviate nello stesso luogo l'uno e l'altro. In quasi
tutti i ristoranti esiste una cucina prevalente a cui si sono affiancate tradizioni e piatti di
altre regioni, altri paesi, altri territori sia pure all'interno della stessa area culturale.
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-Il secondo è che all'interno degli stessi piatti sono state apportate modifiche necessarie
per andare incontro ai gusti occidentali: i piatti speziati e piccanti preparati in Italia sono
assai meno speziati e piccanti di quanto lo siano nei paesi di origine e non è difficile che vi
venga richiesto di segnalare al personale, che lo annoterà, la vostra disponibilità a
"gustare pietanze veramente molto speziate".
Il subcontinente indiano è noto per le sue preparazioni tandoori (carni o pesce cotti in uno
speciale forno di terracotta, di forma cubica all'esterno e concava all'interno, alimentato a
carbonella, che consente una cottura rapida ad altissima temperatura con totale esclusione
dei grassi e che rende croccante l'esterno e lascia morbido l'interno) e per i suoi curry.
Il curry, che in Occidente è identificato con un'unica polvere gialla profumata e piccante, è
in realtà non solo un intero gruppo di spezie il cui aroma varia a seconda dei componenti
e, ovviamente, del piatto a cui è destinato, ma un modo tipico e caratteristico di preparare
i piatti.
In un ristorante del subcontinente indiano non vi viene offerto carne, pesce o verdura "al
curry", ma "un curry di carne, pesce o verdura", accompagnato da riso, in bianco o nelle
varie versioni pilaf, o pane indiano (nan o chapati, lievitato o non lievitato), nelle sue
diverse varietà e aromatizzato dalla giusta varietà di spezie che occorrono per quel piatto.
Questa diversa attenzione sta a indicare la diversa cultura del cibo e dei suoi rituali che
abbiamo in Oriente e in Occidente; è forse troppo dire che da noi si pone più attenzione al
cosa si mangia che al come si mangia e nell'area indiana, al contrario, l'attenzione
maggiore vada al come si mangia ed è quasi secondario cosa si mangi (nei limiti delle
prescrizioni religiose già dette), ma tale affermazione non è lontana dal vero; soprattutto
se a questo primo elemento aggiungiamo la raffinata cultura delle bevande: tè
aromatizzato con diverse spezie o al latte, lassi, bevanda a base di yogurt, salato, dolce o
aromatizzato alla frutta o, infine, i veri e propri succhi di frutta, che consentono di
affiancare a ogni piatto la bevanda giusta.
CUCINA FUSION
A conclusione di questa breve guida alla cucina etnica, è giusto chiedersi se le diverse
tradizioni culinarie avranno la possibilità di fondersi, in un futuro non molto remoto, in un
unico piatto, un’unica portata che raccolga i “sapori del mondo”. In realtà qualcosa del
genere sta succedendo, nella misura di un tentativo di commistione di gusti e alimenti di
differenti provenienze, con risultati difficilmente definibili. Per un excursus sulle tendenze
“fusion”, riportiamo le impressioni di Carlo Petrini, presidente si Slowfood, il Movimento
Internazionale a sostegno della cultura del cibo e del vino, apparse su La Stampa del 15
giugno 2002.
“Le mie recenti frequentazioni in alcuni luoghi dell’alta ristorazione mi hanno fatto toccare
con mano quanto la cucina che viene definita fusion stia diventando il nuovo verbo di molti
chef. Si tratta di un genere relativamente nuovo, indiscutibilmente di moda, perfino in
Francia. La fusione di tradizioni alimentari che sono lontane tra di loro, l’accostamento di
ingredienti eterogenei, l’incrocio di ricette e di esperienze culinarie sembra essere l’ultima
frontiera della cucina creativa e c’è chi va in brodo di giuggiole quando si siede in un
ristorante di questo tipo.
Io invece ho forti dubbi sulla validità di queste esperienze gastronomiche, perché un conto
è la fusion che si sedimenta lentamente nelle abitudini di nazioni soggette a considerevoli
flussi migratori (come Stati Uniti, Australia, Gran Bretagna), le quali non possono vantare
una forte tradizione gastronomica o la hanno persa; un conto invece è entrare in un
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ristorante stellato francese e provare di tutto, tranne che la solida, monotona, ma buona,
cucina francese. La fusione fra le abitudini alimentari dei popoli sta dando carattere alla
cucina statunitense (patria natia della fusion), che in questo modo sta assumendo una
propria identità specifica, ma se applicata per puro esercizio di stile in luoghi dove la
classicità - sia popolare, sia d’Haute Cuisine - ha ancora un forte significato, diventa fine a
se stessa e, cosa ben peggiore, immangiabile.
Il cuoco, inducendo in questa prassi fortemente innovativa, si trasforma in artista, stilista
direi, ma i suoi accostamenti spesso perdono di vista l’obiettivo principale del suo
mestiere: rendere il pasto un’esperienza piacevole, gratificante, digeribile. Ci sono piatti
che sono vere e proprie tempeste sensoriali, magari buoni da pensare, ma assolutamente
cattivi da mangiare.
Ho letto delle preparazioni di un cuoco olandese e i nomi delle ricette mi terranno lontano
dal suo ristorante: Lombata di manzo con insalata di papaia verde e salsa di grani di pepe,
Anatra arrosto al miele con raita al coriandolo, oppure Filetto di cervo con spezie del
Sichuan e broccoli cinesi. Ho mangiato in un ristorante francese in grande ascesa fra le
preferenze dei gourmet: di tante buone materie prime che componevano i piatti in carta
mi sono rimasti in bocca per un giorno, e nella memoria, il sapore e il profumo invadenti
del coriandolo.
Non sono convinto che tutto ciò sia così sensato. Nella maggior parte dei casi, dove non ci
sono ragioni storiche e sociali a dar vita alla fusion, si tratta piuttosto di un evidente
segnale di una mancanza di direzioni precise da seguire, anche e soprattutto nell’attuale
Francia multietnica. Dopo la rigorosa cucina rigidamente codificata dei grandi maestri, la
nouvelle cuisine e il credo mediterraneo di Ducasse non sanno evidentemente più che
pesci pigliare, da che parte andare.
Temo che l’Italia si allinei troppo in fretta e che anche le osterie, baluardo della
caleidoscopica cucina di territorio nazionale, possano cedere alla moda: io non ce lo voglio
il coriandolo con l’agnello d’Alpago o con il cappone di Morozzo. Non sarebbe fusion, ma
confusion.”
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RICETTE DAL MONDO
Cucina messicana e Tex mex
IL GUACAMOLE
TORTILLAS
Il Guacamole è una salsa messicana molto
particolare che si prepara con un frutto chiamato
avocado. Gli avocado in Messico vengono talvolta
chiamati "pere dei coccodrilli", perché la loro buccia
è verde, dura e fibrosa! All'interno però c'è una polpa
anch'essa verde, ma soffice e con un gusto delicato.
Al centro dell'avocado c'è un nocciolo grande e duro
che però non si mangia!
La salsa Guacamole si può gustare con qualunque
cibo tranne i dolci ed è particolarmente deliziosa e
rinfrescante durante l'estate.
Ingredienti per 4 persone
250 gr. di farina di mais a grana grossa
250 gr. di farina di mais a grana fine
1 cucchiaio e ½ d'olio
1 cucchiaio e ½ di burro
sale
Preparazione:
Ingredienti per 4 persone:
2 avocado maturi
1 pomodoro
1 cipolla piccola
succo di ½ limone
olio
sale
pepe
Impasta i due tipi di farina di mais con acqua
calda in una ciotola fino a raggiungere una
pastella abbastanza densa.
Aggiungi l'olio e il sale.
Lascia riposare la pastella per 45 minuti.
Forma delle palline delle dimensioni simili ad un
uovo e stendile con un matterello; lo spessore
dev'essere simile a quello della carta, molto
sottile.
Imburra il fondo di una padella e riscaldala bene a
fuoco medio-alto.
Friggi la tortilla che si curverà sui bordi appena
sarà pronta.
Girala e cuoci l'altro lato.
Posa la tortilla cotta su un piatto coperto con
carta da cucina per assorbire l'olio della frittura.
Preparazione:
Taglia gli avocado a metà e togli il nocciolo.
Stacca la polpa dalla buccia con un cucchiaio.
Metti la polpa degli avocado in una ciotola e
schiacciala bene con una forchetta. Aggiungi il
limone.
Sbuccia il pomodoro e la cipolla, frullali e uniscili alla
polpa di avocado.
Mescola il composto fino a ottenere un impasto
cremoso.
Condisci con olio, sale e pepe e servi il prima
possibile.
Ora ti svelo un piccolo segreto: per evitare che il
Guacamole diventi nero, lascia il nocciolo dentro alla
crema fino al momento di servire
TACOS
Ingredienti per 4 persone
250 gr. di carne macinata
1 grossa cipolla bianca
2 spicchi d'aglio
4 pomodori maturi
1 cucchiaio d'olio
tortillas calde appena cotte
Cucina cinese:
RISO ALLA CANTONESE
Preparazione:
Sbuccia e taglia la cipolla in pezzettini piccolissimi.
Sbuccia e trita gli spicchi d'aglio.
Soffriggi la carne macinata insieme alla cipolla e
all'aglio.
Taglia a dadini i pomodori e uniscili alla carne.
Sala il composto.
Cuoci a fuoco medio mescolando di tanto in tanto
fino a cottura ultimata.
Piega le tortillas a forma di mezzaluna e farciscile
con il composto.
BREVE GUIDA ALLA CUCINA ETNICA
La Cina è da molti conosciuta come una nazione che
produce oggetti grandi o piccolo spesso anche
falsari, ma questo riguarda poche e disoneste
aziende.Questa gran nazione però nasconde aspetti
civili e culturali fantastici, che non sono stati
sconvolti con il passare dei secoli e dall’influenza
d’altri popoli. Una cosa che in particolare nella
cultura cino-giapponese non è cambiata è la cucina
che molte persone occidentali considerano con
sospetto.Per far cambiare opinione a queste
proponiamo una ricetta classica cinese ovvero il riso
alla cantonese.
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Fasi della preparazione:
- si riscalda dell’olio in padella
- si aggiunge un uovo e si riscalda
- si fa bollire a parte il riso
- e lo si unisce all’uovo lavorato
-a questo punto si mette del sale nel miscuglio e
si versano i piselli già cotti,le carote crude tagliate
a pezzetti e il prosciutto cotto a dadini.
-si mescola il tutto e lo si fa cucinare per altri 5
minuti circa.
Alla fine si aggiunge la salsa di soia dopo un
minuto il riso alla cantonese è pronto!
Avvertenze:
è
importante
mescolare
continuamente per evitare che gli ingredienti si
attacchino alla padella o brucino.
Si può aggiungere ogni tanto dell’ olio o del vino
bianco.
soia e un cucchiaino di peperoncino in polvere o con
salsa agrodolce.
RAVIOLI RIPIENI AL VAPORE
Una tazza di farina
acqua bollente q.b.
un cucchiaino di olio di sesamo
Per il ripieno:
una tazza di carne di maiale macinata
un porro
una tazza da te' di castagne d'acqua
una tazza di germogli di bambu'
due fette di zenzero fresco
un cucchiaio da tavola di salsa di soia
un cucchiaio di maizena
sale e pepe
Tagliare il tonno a strisce lunghe circa 5 cm e larghe
circa 1,5 cm.
Lavare e sbucciare il cetriolo. Dividerlo a metà e
procedere come già fatto per il tonno.
Spianare le foglie di alga e dimezzarle per la
larghezza con un paio di forbici da cucina.
Su una stuoina di bambù disporre la mezza foglia di
alga su cui cospargere uno
strato di sushi gohan spesso 1/2cm, lasciando libero
un bordo di 1cm.
Stendere il wasabi in uno strato sottile e mettere in
mezzo una striscia di tonno oppure 3 di cetrioli.
Avvolgere l'alga aiutandosi con la stuoia, premendola
leggermente in modo da ottenere una forma
squadrata.
Tagliare i rotoli così ottenuti in larghe fette di uguali
dimensioni.
Ornare
il
piatto
con
qualche
fettina
di
zenzero.Portare in tavola anche una ciotola di salsa
di soia per intingere i sushi.
Cucina giapponese:
MAKIZUSHI
Ingredienti
Per quattro persone
120g di filetto fresco di tonno
1 cetriolo piccolo
4 foglie di alga nori
640g di riso per il sushi (sushi gohan)
20g di wasabi o di peperoncino (1 cucchiaio raso)
100g di zenzero (conservato in agrodolce e affettato)
salsa di soia
Passare la farina al setaccio, aggiungere l'olio di
sesamo e versare poco per volta l'acqua bollente,
lavorando fino ad avere un impasto solido e
morbido. Coprirlo con un panno umido e lasciare
riposare. Tritare finemente il porro, le castagne
d'acqua e il bambu'. Scaldare un cucchiaio d'olio
nello wok e friggervi brevemente il maiale
macinato. Aggiungere le verdure e saltarle per un
minuto e mezzo. Aggiungere la soia, la maizena
sciolta in poca acqua, aggiustare di sale e di pepe.
Prendere l'impasto, lavorarlo ancora per qualche
minuto. Formare una salsiccia e dividerla in
tocchetti. Formare con ognuno un dischetto e
assottigliarlo con il mattarello fino ad ottenere una
sfoglia sottile, che poi verra' ritagliata con
l'apposito dischetto. Porre al centro di ogni
dischetto un cucchiaio scarso di ripieno, richiudere
a semicerchio e formare delle piegoline nello
stesso verso, facendo pressione affinche' il raviolo
sia perfettamente sigillato. Pennellare con l'olio il
fondo dei cestini di bambu' e disporre i ravioli in
modo
che
non
attacchino.
Pennellarle
leggermente anche la superficie dei ravioli.
Mettere i cestini su un recipiente con acqua in
ebollizione e cuocere a fuoco vivace per
venticinque minuti. Servirli con salsa composta
con tre cucchiai di aceto bianco, due di salsa di
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SUSHI GOHAN
Ingredienti
Per quattro persone
250 g di riso semifino
0,25 dl di aceto di riso o aceto di vino
1 cucchiaino di sale
3 cucchiaini di zucchero
salsa di soia
Lavare accuratamente il riso, finché l'acqua non
risulterà limpida. Dopo averlo fatto sgocciolare,
portarlo a ebollizione con 4-5 dl d'acqua e farlo
cuocere per 20 minuti a fuoco basso.
A parte fate bollire per pochi minuti a fiamma vivace
l'aceto, il sale, lo zucchero e la salsa di soia.
Abbassare il fuoco e mescolare a lungo, finché lo
zucchero non si sarà sciolto. Lasciar raffreddare il
condimento.
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Mettere il riso ancora caldo in una ciotola.
Versatevi sopra il condimento, mescolando
delicatamente con un cucchiaio di legno facendo
attenzione a non schiacciare i chicchi. Lasciar
raffreddare il riso in attesa di adoperarlo per
preparare i sushi.
un cucchiaino di menta fresca tritata
un litro di brodo di verdura.
Tagliare a pezzettini gli asparagi e tritare
finemente gli spinaci. Scaldare l'olio e friggervi
l'aglio e lo zenzero tritati finemente per trenta
secondi. Aggiungere gli asparagi e friggere per un
minuto. Versare la salsa di soia e l'olio di sesamo,
aggiustare di sale e pepe e unire il brodo gia'
caldo. Riportare a bollore, aggiungere gli spinaci
tritati, mescolare e cuocere per dieci minuti.
Guarnire con la menta fresca e servire la zuppa in
ciotole individuali.
1/2 kg. di zucchine 112 kg di zucca
400 gr. di rape bianche
250 gr. di pelati o salsa di pomodoro 150 gr di cipolle
100 gr. di ceci già cotti o in scatola 1 mazzetto di
prezzemolo
1/2 cucchiaino di pepe macinato 112 cucchiaino di
paprica
1/2 cucchiaino di zafferano 112 cucchiaino di curry
1/2 cucchiaino di zenzero in polvere (facoltativo) sale
a gusto
Pulire tutte le verdure e tagliarle in pezzi grossi.
Nella parte bassa di un couscoussier (o in una
pentola capace) mettere mezzo bicchiere d'olio
d'oliva assieme alla carne alle cipolle sminuzzate, al
prezzemolo lavato e tritato e tutte le spezie, quindi
coprite a filo con circa 1 litro e mezzo di acqua e
sale.
Mescolare il tutto e cuocere a fuoco medio per 30
minuti.
Quando gli ingredienti iniziano a bollire aggiungere le
carote pelate e tagliare in grosse rondelle, le
zucchine, le rape sbucciate e tagliare in quarti, la
salsa di pomodoro.
Lasciare cuocere ancora 30 minuti.
Aggiungere i ceci scolati dei loro liquido e la zucca,
ultimare la cottura per altri 15 minuti, fino a quando
le verdure sono cotte.
In un ampio contenitore lavorare il couscous con
circa 250 cl di acqua fredda in modo da sgranarlo
bene.
Mezz'ora prima che il condimento sia cotto, ungere
l'interno della parte superiore dei couscoussier (o di
un colapasta) con un po' d'oliva, quindi far aderire le
due parti della pentola servendovi di uno strofinaccio
da cucina o di una busta di nyion in modo che il
vapore di cottura attraversi la semola.
A questo punto distribuire il couscous in tre momenti
successivi, attendendo che il vapore attraversi
costantemente la semola.
Dopo 15 minuti di cottura sciacquare velocemente la
semola sotto l'acqua fredda e scolarla.
Quindi iniziare a sgranare scrupolosamente la semola
dopo avere aggiunto il sale e 112 bicchiere di olio e
risistemarla nella pentola per ultimare la cottura (15
minuti circa) seguendo i passaggi precedenti.
Quando la semola è cotta sistemarla in un ampio
piatto fondo da portata e ricavarne uno spazio al
centro dove collocare la carne e tutt'intorno le
verdure.
Bagnare leggermente il tutto con il brodo di cottura
badando di non inzuppare la semola.
Volendo è possibile stemperare dell'harissa (pasta di
peperoncino) a piacere in una ciotola con parte dei
brodo di cottura per rendere il tutto più piccante.
Cucina africana
INVOLTINI ALL’EGIZIANA
Ingredienti per 15 pezzi
200 gr. pancetta affumicata affettata
100 gr. di manzo tritato
1/2 cipolla piccola tritata
10 gr. di mollica di pane fresco, sbriciolata
1/2 cucchiaino di cumino in polvere
sale e pepe nero
scorza grattugiata di 1 arancia
1 cucchiaio di miele fluido
succo di 1 arancia
Sistemare le fette di pancetta su di un tagliere.
Inciderle dal lato della pelle per evitare che in
cottura si arriccino. Tagliatele poi a metà.
Tagliarle in due parti.
Sminuzzare con l'aiuto di un mixer la carne, la
cipolla, la mollica, le spezie e la scorza d'arancia
fino ad ottenere un composto uniforme.
Farcire con l'impasto le fette di pancetta e
avvolgerle formando dei piccoli cilindri.
Mettere gli involtini in una teglia leggermente unta
con olio e bagnateli con il succo d'arancia.
Cuocere in forno a 200° C per 20 minuti.
Spennellare gli involtini con del miele e lasciateli
in forno altri 5 minuti.
COUSCOUS
Porzione per 6-8 persone:
1/2 kg. di semola di couscous
1 bicchiere d'olio extra vergine d'oliva 2 lt d'acqua
d'acqua circa
1/2 kg. di carne d'agnello in pezzi 112 kg di carote
di taglia grossa
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Cucina Araba
Incorporare al burghul la rimanente cipolla tritata, la
carne tritata, l'uovo sbattuto.
Salate il tutto.
Usante le mani inumidite e amalgamate il tutto.
Passate del burro in una teglia da forno piuttosto
grande.
Distribuite metà dell'impasto e schiacciatelo con le
mani in modo che lo spessore risulti uniforme.
Adagiateci sopra la carne rosolata con la cipolla e
coprire con il restante burghul, premendo bene.
Completate con fiocchetti di burro sparsi.
Tagliate con un coltello tutta la superficie a losanghe.
Infornate a 170°C. fino a quando la superficie
risulterà ben dorata.
Ottimo sia caldo, che tiepido che freddo il giorno
dopo.
FALAFEL (polpettine di ceci)
Ingredienti:
Tempo preparazione: 10 minuti + 4 ore di riposo
2 tazze di ceci
una piccola cipolla finemente tritata,
2 spicchi d'aglio schiacciati,
2 cucchiai di prezzemolo fresco tritati,
1 cucchiaio di coriandolo tritato se fresco,
2 cucchiaini di cumino macinato,
3 tazze d'acqua
1 cucchiaio extra e mezzo cucchiaino di lievito in
polvere
Sistemate i ceci a bagno per almeno 4 ore.
Scolateli.
Traferiteli nel mixer.
Frullateli per 30 secondi.
Unite i restanti ingredienti.
Frullare per altri 20 secondi fino a ottenere un
impasto omogeneo.
Fate riposare per 30 minuti.
Formate con il composto di ceci delle polpettine.
Strizzatele nella mano per eliminare il liquido in
eccesso.
In caso aggiungere un po' di farina.
Scaldate delll'olio per friggere ed adagiateci le
polpette.
Cuocetele non più di 5 falafel per volta per 3-4
minuti.
Mescolate delicatamente con il cucchiaio perché
non si attacchino.
Asciugatele bene con carta assorbente.
Servite caldi o freddi su un letto di verdure o su
pane con hummus e verdure.
Cucina indiana
KOPRA KANA (riso speziato al cocco)
Ingredienti
tazze di riso, 2
ghee, 2 cucchiai
cipolla tritata, 1 cucchiaio
1 spicchio di aglio tritato
chiodi di garofano, 5
cannella, mezza bacchetta
masala, mezzo cucchiaino
latte di cocco, 4 tazze
Far soffriggere il ghee in un tegame con la cipolla,
l'aglio, i chiodi di garofano, la cannella e il masala.
Unite il riso.
Regolate di sale.
Fate soffriggere ancora qualche minuto e versateci il
latte di cocco fino a coprire il riso per quattro dita
sopra la superficie.
Chiudete con il coperchio.
Abbassate la fiamma.
Cucinate il riso fino a totale assorbimento del liquido.
Per ottenere un riso colorato, aggiungere mezzo
cucchiaino di curcuma insieme alle altre spezie.
KIBBEH al forno
Ingredienti
300 g carne di montone tritata
1 grossa cipolla
5 cucchiai olio oliva,
burro,
1 uovo
sale,
pepe nero,
noce moscata
350 gr. burghul (deve essere già spezzato)
GOSHT
Ingredienti per 2 persone
Per la pasta aromatica
1 cubetto di zenzero fresco pelato e tritato fine
1 spicchio di aglio schiacciati
1 cucchiaino di paprica
2 piccoli chili secchi, interi
Per la miscela aromatica
4 chiodi di garofano
4 capsule di cardamomo
4 grani di pepe nero
1 pezzettino di cannella
1 cucchiaino di semi di coriandolo
Far rinvenire il burghul coprendolo di acqua
bollente (1 ora e mezza circa), non mettere sale.
Sgocciolatelo e lasciatelo piuttosto umido.
Fate rosolare 3/4 di cipolla con olio e 50 g. di
carne.
Insaporite con sale, pepe e noce moscata.
Fate raffreddare.
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1 cucchiaino di semi di cumino
1 cucchiaino di semi di papavero
1 cucchiaino di semi di finocchio
1/2 cucchiaino di curcuma
2-3 cucchiai di olio di semi di soia
0,5 Kg. di polpa di agnello disossata
1/2 cipolla tritata
sale e pepe nero
1 cucchiai di passata di pomodoro
1 foglia di alloro
1 cucchiaio di cocco disidratato bagnato con poco
latte
1 cucchiaino di garam masala
2 cucchiai di yogurt denso
130 gr. di yogurt fluido
Lasciate da parte 2 chiodi di garofano, il cardamomo
e i grani di pepe nero.
Macinate tutte le altre spezie.
Fate scaldare in un pentolino un cucchiaio di olio e
aromatizzatelo per un minuto con le spezie macinate
e quelle intere, a fuoco medio.
Scaldate 1 o 2 cucchiai di olio in una padella più
grande e rosolatevi i cubetti di agnello scolati dallo
yogurt, poi trasferiteli su un piatto.
Versate nella padella un altro cucchiaio di olio e
rosolatevi la pasta e la cipolla tritata finché sarà
morbida.
Unite le spezie rosolate, poi 300 ml di acqua.
Portate a ebollizione mescolando bene.
Rimettete la carne nella padella, salate, pepate e
aggiungete la passata di pomodoro, le foglie di alloro
, il cocco.
Coprite e lasciate sobbollire a fuoco dolce per circa 1
ora, mescolando ogni tanto. Se dovesse risultare
troppo asciutto, aggiungere un po' di yogurt.
Cospargere con il garam masala e dopo 2 minuti
versare lo yogurt denso.
Fate riprendere calore senza far bollire.
Tagliare a cubetti l'agnello.
Salate lo yogurt fluido e versatelo in una ciotola
grande.
Immergeteci i pezzetti di agnello.
Mescolate e mettete in frigo per un giorno.
Preparate la pasta mescolando gli ingredienti,
zenzero, aglio, paprica e chili, con un cucchiaio di
acqua.
Dossier a cura dei GIOVANI DELLE ACLI
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