presentazione clinica di linfoma. descrizione di un caso di linfoma di

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Sezione ECM
Sindrome mediastinica:
presentazione clinica di linfoma.
Descrizione di un caso di linfoma di Hodgkin
e di un caso di linfoma non Hodgkin
con analoga presentazione
Giuseppe Murdaca, Maurizio Setti, Giuseppe Cittadini*, Gabriella Gentile**,
Andrea Menin***, Roberto Fiocca***, Marco Gobbi§, Francesco Puppo, Francesco Indiveri
(Ann Ital Med Int 2003; 18: 170-181)
rizzata (TC) del torace e dell’addome confermò il versamento pleurico e la presenza di linfoadenomegalie nel mediastino antero-superiore, escludendo linfoadenomegalie
addominali e/o l’interessamento viscerale epato-splenico.
Si decise di sottoporre la paziente alle seguenti indagini
diagnostiche: a) biopsia osteo-midollare che evidenziò
un quadro complessivo di ipocellularità, con infiltrato
linfo-plasmacellulare reattivo; b) esame citofluorimetrico
su sangue midollare: presenza di linfociti T (CD3+, CD5+,
con rapporto CD4/CD8 0.6) e linfociti B CD19+, CD20+,
con normale rapporto di distribuzione fra le varie popolazioni (dato sovrapponibile a quello istologico); c) biopsia linfonodale laterocervicale sinistra che permise di porre la diagnosi istologica di “linfoma di Hodgkin (LH) a cellularità mista”. Lo stadio clinico di Ann Arbor era IIB, in
quanto la localizzazione della malattia era da un lato del
diaframma e in due sedi distinte (mediastinica e laterocervicale) e la paziente risultava sintomatica (febbricola,
sudorazione notturna, prurito diffuso). La paziente venne
sottoposta a trattamento polichemioterapico secondo lo
schema “ABVD”, comprendente la doxorubicina, la bleomicina, la vinblastina e la dacarbazina (Tab. I). La sintomatologia riferita, l’edema del volto, il turgore delle vene giugulari e le linfoadenomegalie laterocervicali si attenuarono già dopo il primo ciclo di polichemioterapia e
la paziente presentò la completa remissione clinica dopo
il terzo ciclo. Dopo 6 cicli di trattamento previsti ogni 28
PRESENTAZIONE CLINICA
Giuseppe Murdaca
Descriviamo i casi clinici di 2 pazienti giunti alla nostra
osservazione per una sintomatologia analoga, ma che
l’iter diagnostico ha permesso di identificare come due distinte entità patologiche.
Caso 1
Il primo caso riguarda una paziente di 43 anni ricoverata nel giugno 2001 per la comparsa durante il mese
precedente di tosse secca, dispnea a riposo, ortopnea, febbricola (37.5°C), sudorazione notturna e prurito diffuso.
L’esame obiettivo dimostrava la presenza di edema sottocutaneo del volto con turgore delle vene giugulari, pallore cutaneo e mucosale, linfoadenomegalie laterocervicali, ipofonesi plessica e assenza del fremito vocale tattile e del murmure vescicolare in regione interscapolo-vertebrale e sottoscapolare sinistra. La radiografia del torace dimostrò la presenza di versamento pleurico basale
sinistro e lo slargamento del mediastino superiore soprattutto a destra. L’esame citologico del liquido pleurico dimostrò la presenza di linfociti, granulociti eosinofili, istiociti e cellule mesoteliali iperplastiche, ma non cellule con caratteri di malignità. La tomografia computeClinica di Medicina Interna ad Orientamento Immunologico
(Direttore: Prof. Francesco Indiveri), Dipartimento di Medicina
Interna e Specialità Mediche, Università degli Studi di Genova
*Dipartimento di Diagnostica per Immagini (Direttore: Prof.
Giorgio Cittadini), **U.O. di Anatomia Patologica (Direttore: Dr.
Marco Canepa), Ospedale San Martino di Genova
***Sezione di Anatomia Patologica (Direttore: Prof. Roberto
Fiocca), Dipartimento di Discipline Scientifiche e Metodologie
Integrate, §Clinica Ematologica (Direttore: Prof. Marco Gobbi),
Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche,
Università degli Studi di Genova
TABELLA I. Schema polichemioterapico ABVD, da ripetere ogni 4
settimane.
Doxorubicina
Bleomicina
Vinblastina
Dacarbazina
© 2003 CEPI Srl
170
25 mg/m2 e.v. giorni 1, 15
10 U/m2 e.v. giorni 1, 15
6 mg/m2 e.v. giorni 1, 15
375 mg/m2 e.v. giorni 1, 15
Giuseppe Murdaca et al.
giorni, venne eseguita TC del torace e dell’addome per la
stadiazione della malattia linfomatosa, la quale evidenziò
la marcata riduzione della massa linfonodale mediastinica. Il dato strumentale tomografico venne considerato
come esito fibrotico della malattia e pertanto, anche in considerazione della completa remissione clinica, la paziente non venne sottoposta ad ulteriore chemioterapia. Nei mesi successivi la paziente ha goduto di buona salute e la TC
del torace e dell’addome eseguita dopo 6 mesi ha confermato la remissione della malattia. La paziente è tuttora in remissione clinica.
“MACOP-B”, comprendente ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina, prednisone, bleomicina e methotrexate
(Tab. II). Al termine della terapia prevista la paziente
presentava la completa remissione dei sintomi e dei segni
obiettivi della malattia. Venne pertanto eseguita TC del torace e dell’addome per la stadiazione della malattia linfomatosa, la quale evidenziò anche in questo caso la marcata riduzione della massa linfonodale mediastinica (diametro di 5.5 3 cm) e la non individuabilità del tronco
venoso anonimo sinistro per l’ostruzione dovuta alla presenza del trombo probabilmente organizzato. Il quadro clinico e strumentale erano complessivamente suggestivi di
remissione parziale e di buona qualità della malattia (ai limiti della remissione completa); la paziente pertanto ha
proseguito la terapia con il prednisone per via orale con
dosaggio di 25 mg/die. Nel mese di ottobre 2002 si decise di ridurre di 5 mg ogni 15 giorni il dosaggio giornaliero
di prednisone fino alla sospensione che avvenne nel gennaio 2003. Nel frattempo venne programmata una tomografia con emissione di positroni del torace per valutare
se la massa residua mediastinica fosse da ascrivere a malattia residua o invece ad esito fibrotico; l’esame eseguito nel novembre 2002 non è stato in grado di dirimere il
quesito diagnostico dal momento che ha confermato la presenza della massa mediastinica di diametro sovrapponibile a quello calcolato con la TC, la cui interpretazione risultava dubbia: esito fibrotico o malattia residua. Persistendo questo dubbio si decise per un trattamento di
consolidamento con l’anticorpo monoclonale specifico
anti-CD20 (Mabthera) con il dosaggio di 375 mg/m2 (600
mg per ogni infusione): di un ciclo di infusione ogni settimana per 4 settimane e successivamente con cadenza bimestrale. La paziente ha continuato a godere di buona salute e nel febbraio 2003 il controllo TC del torace e
dell’addome ha dimostrato un’ulteriore riduzione dimensionale della massa mediastinica (diametro 4 2.5 cm).
Veniva confermata la non individuabilità del tronco venoso anonimo sinistro per l’ostruzione dovuta alla presenza
del trombo organizzato. La paziente prosegue l’immunoterapia con l’anticorpo monoclonale specifico anti-CD20
sempre con cadenza bimestrale.
Caso 2
Il secondo caso riguarda una paziente di 38 anni giunta alla nostra osservazione nell’ottobre 2001 per la comparsa durante gli ultimi 20 giorni di tosse secca, prurito generalizzato notturno, reticolo venoso superficiale toracico, edema a mantellina, e dispnea con ortopnea. L’esame
obiettivo dimostrava edema del volto e del collo, turgore
delle vene giugulari, pallore cutaneo e mucosale, tachicardia (polso 130 b/min), riduzione del murmure vescicolare in regione interscapolo-vertebrale e sottoscapolare sinistra. Non erano presenti linfoadenomegalie superficiali. La radiografia del torace evidenziò la presenza di
una massiva opacità a margini policiclici debordante dal
margine mediastinico destro. La TC del torace e dell’addome confermò la voluminosa massa mediastinica anteriore (diametro di 11 6 cm) infiltrante il pericardio
(con la presenza di consensuale versamento) e avvolgente l’aorta ascendente. Tale massa dislocava e comprimeva la vena cava superiore e il tronco venoso anonimo sinistro che erano peraltro ostruiti da un voluminoso trombo, con conseguente ectasia della vena azygos. La biopsia
osteomidollare dimostrò anche in questo caso un quadro
di ipocellularità con infiltrato linfo-plasmacellulare reattivo. L’esame citofluorimetrico eseguito sempre sul sangue midollare confermò l’ipocellularità midollare escludendo un infiltrato linfocitario e plasmacellulare monoclonale; venne evidenziata la presenza di linfociti T
(CD3+, CD5+, con rapporto CD4/CD8 di 0.9) e linfociti B (CD19+, CD20+) con normali rapporti percentuali e
alcune plasmacellule (CD38+ con elevata densità di
espressione). Si decise pertanto di sottoporre la paziente
alla biopsia percutanea TC-guidata della massa mediastinica: l’esame istologico dimostrò la presenza di un tessuto costituito da linfociti di grosse dimensioni suggestivo di “linfoma non Hodgkin (LNH) a grandi cellule B”.
Lo stadio clinico di Ann Arbor era IB, in quanto la malattia era localizzata solamente al mediastino e la paziente lamentava prurito generalizzato. Si decise di sottoporre la paziente a polichemioterapia secondo lo schema
TABELLA II. Schema polichemioterapico MACOP-B.
Ciclofosfamide
Doxorubicina
Vincristina
Prednisone
Bleomicina
Methotrexate
171
350 mg/m2 e.v. settimane 1, 3, 5, 7, 9, 11
50 mg/m2 e.v. settimane 1, 3, 5, 7, 9, 11
1.4 mg/m2 e.v. (max 2 mg) settimane 2, 4, 6, 8, 10, 12
75 mg per os per 12 settimane poi scalare
in 15 giorni
10 U/m2 e.v. settimane 4, 8, 12
400 mg/m2 e.v. settimane 2, 6, 10
con rescue acido folico
Ann Ital Med Int Vol 18, N 3 Luglio-Settembre 2003
tura esofagea può anche insorgere spontaneamente, o in
seguito ad esame endoscopico o al posizionamento del sondino di Blakemore.
Le mediastiniti croniche sono rappresentate in primo luogo dalle linfoadeniti granulomatose (tubercolari, da
Histoplasma capsulatum, micetomi, sarcoidosi, pneumoconiosi) che possono avere un’evoluzione fibrosante. In
molti casi iniziali i pazienti con mediastiniti granulomatose sono asintomatici, mentre nelle forme ad evoluzione
fibrotica presentano i segni clinici (edema a mantellina, tosse secca, dispnea e ortopnea, disfonia, disfagia, eruttazioni)
dovuti alla compressione o all’inglobamento nel tessuto
fibrotico di strutture anatomiche mediastiniche, quali la vena cava superiore, le vie aeree principali, i nervi frenici e
laringei inferiori ricorrenti con conseguente paralisi,
l’ostruzione delle arterie e delle vene polmonari.
Il pneumomediastino è caratterizzato dalla presenza di
gas nell’interstizio mediastinico. Le cause principali sono: a) la rottura di bolle enfisematose o di strutture alveolari
con passaggio di aria nel mediastino; b) la perforazione o
la rottura dell’esofago, della trachea e/o dei bronchi principali; c) il passaggio di aria dal collo o dall’addome nel
mediastino in seguito a traumi. Il paziente riferisce tipicamente la comparsa di dolore retrosternale, talvolta con
irradiazione al collo e/o agli arti superiori. L’esame obiettivo dimostra la presenza di enfisema sottocutaneo al di
sopra dello sterno, e il segno di Hamman, che consiste in
un rumore caratteristico della rottura di piccole bolle sincrono con l’attività cardiaca soprattutto in posizione di decubito sinistro. La diagnosi viene confermata con l’esame
radiografico del torace.
La “sindrome mediastinica” può evolvere con un corredo sintomatologico estremamente variabile: tosse secca, dolore toracico, dispnea parossistica, semi- o ortopnea, edema a mantellina, turgore delle vene giugulari, disfagia, tachicardia (nei casi estremi polso paradosso). Una
neoplasia mediastinica può anche infiltrare e perforare la
trachea, l’esofago, o i grandi vasi con conseguenze mortali.
I casi descritti si sono presentati con tosse secca, dispnea
a riposo, ortopnea, edema sottocutaneo del volto con turgore delle vene giugulari, in uno dei due casi reticolo venoso superficiale toracico e tachicardia, sintomi e segni
compatibili con possibile “sindrome mediastinica”.
PROBLEMA CLINICO
Francesco Indiveri
I due casi descritti hanno in comune il tipo di presentazione iniziale della sintomatologia ascrivibile alla “sindrome mediastinica”. L’origine delle diverse manifestazioni patologiche mediastiniche ha le radici nella complessa
anatomia topografica del mediastino, il quale è delimitato lateralmente dalle due pleure ed è suddivisibile in tre
compartimenti: il mediastino anteriore, quello intermedio
e quello posteriore.
Il mediastino anteriore si estende fra lo sterno anteriormente e il pericardio e i vasi brachiocefalici posteriormente. Esso contiene il timo, i linfonodi mediastinici
anteriori, le arterie e le vene mammarie.
Il mediastino intermedio è compreso fra il mediastino
anteriore e quello posteriore e contiene il cuore, l’aorta
ascendente e l’arco aortico, le vene cave, le arterie e le vene brachiocefaliche, i nervi frenici, la trachea, i bronchi
principali e i linfonodi contigui, le arterie e le vene polmonari.
Il mediastino posteriore è delimitato anteriormente dal
pericardio e dalla trachea e posteriormente dalla colonna
vertebrale. Vi sono alloggiati l’aorta discendente, l’esofago, il dotto toracico, le vene azygos ed emiazygos, e i
linfonodi mediastinici posteriori.
Le manifestazioni patologiche che possono determinare l’insorgenza acuta o cronica di una “sindrome mediastinica” sono: a) masse mediastiniche; b) mediastiniti
acute; c) mediastiniti croniche; d) il pneumomediastino.
Le masse mediastiniche possono avere origine da ciascuna delle strutture anatomiche incluse nei tre compartimenti mediastinici, sebbene l’incidenza di determinate
lesioni espansive vari a seconda della sede e del viscere
interessato. Le più comuni lesioni espansive del mediastino
anteriore sono il timoma, i linfomi, i teratomi e quelle di
origine tiroidea1. Nel mediastino intermedio possono svilupparsi masse di origine vascolare, linfoadenomegalie per
infiltrati metastatici o granulomatosi, cisti pleuro-pericardiche e bronchiogeniche2. Nel mediastino posteriore si
sviluppano con maggior frequenza tumori neurogenici, meningoceli, mielomeningoceli, cisti gastroenteriche e diverticoli esofagei2. In un soggetto portatore di massa mediastinica, i segni obiettivi sono infrequenti, a meno che
la neoformazione abbia cospicue dimensioni o coinvolga
strutture vitali.
Molti casi di mediastiniti acute sono causate dalla perforazione esofagea o possono complicare la sternotomia
mediana in corso di interventi di cardiochirurgia. Il paziente
con rottura esofagea presenta un quadro clinico di emergenza dominato dal dolore toracico e dalla dispnea. La rot-
EPIDEMIOLOGIA E CLINICA DEI LINFOMI
Francesco Indiveri, Francesco Puppo, Giuseppe Murdaca
Negli Stati Uniti è stato stimato che l’incidenza del LH
risulta di circa 7400 casi/anno. L’età media al momento
della diagnosi è 26-31 anni, con una distribuzione bimo-
172
Giuseppe Murdaca et al.
dale: un picco fra i 20-29 anni e il secondo fra 40-59 anni. È stato postulato che il secondo picco di insorgenza sarebbe da ascrivere a forme misclassificate. La distribuzione
bimodale sarebbe la conseguenza di due distinte ipotesi
etiologiche: a) un’infezione virale sarebbe la causa dell’insorgenza del LH nell’età giovanile; recentemente è stata
dimostrata l’associazione fra l’infezione da virus di
Epstein-Barr e il LH; b) fattori oncogeni ambientali favorirebbero lo sviluppo nell’età più avanzata3-7. Tecniche
di genetica molecolare hanno permesso di dimostrare la
presenza di DNA virale in oltre il 20% di cellule di LH.
Dati epidemiologici e molecolari supportano l’ipotesi di
una possibile correlazione fra il LH e certe forme di LNH.
Non è stata ancora del tutto stimata l’incidenza di tale associazione, ma è stata dimostrata la presenza di cellule di
Reed-Sternberg nel contesto di forme di LNH. Sono riportate in letteratura anche distribuzioni geografiche e
familiari di LH8-11. L’esordio del LH avviene nella maggior parte dei casi con la comparsa di linfoadenomegalie
laterocervicali spesso in assenza di sintomi sistemici12. Una
raccolta anamnestica adeguata permette di evidenziare la
fluttuazione periodica delle dimensioni dei linfonodi interessati con fasi di remissione spontanea, alternati a periodi di ripresa della malattia con la comparsa di altri sintomi e segni. La febbre, in assenza di altri sintomi, è un
segno frequente, la quale può presentarsi ciclicamente e
talvolta si correla all’ingrossamento linfonodale 13.
Altrettanto frequente è la comparsa di sudorazione notturna, di prurito generalizzato anch’esso soprattutto notturno senza la presenza obiettivabile di rash, e di calo ponderale (superiore al 10% del peso corporeo negli ultimi 6
mesi)13. Il LH può spesso originare a livello mediastinico e in molti casi la dimostrazione di uno slargamento del
mediastino avviene occasionalmente con l’esecuzione di
una radiografia del torace spesso in pazienti che riferiscono
sintomi aspecifici quali per esempio astenia e tachicardia.
Il coinvolgimento mediastinco si accompagna spesso a
linfoadenomegalie sopraclaveari14. Si tratta spesso di giovani donne e in molti casi dovuti a forme di LH con sclerosi nodulare. L’interessamento dei linfonodi ascellari e
inguinali come sedi iniziali della malattia è meno comune di quello laterocervicale; non frequente la linfoadenomegalia generalizzata. Raro il coinvolgimento dell’anello orofaringeo di Waldeyer, ma quando avviene interessa con una frequenza sovrapponibile sia le tonsille sia le
adenoidi. I linfonodi interessati sono, nella maggior parte dei casi, di consistenza parenchimatosa, e le modificazioni della cute sovrastante sono rare. Qualora i linfonodi risultino di consistenza molle e la cute sovrastante sia
modificata (eritematosa, disepitelizzata, ulcerata), la malattia presenta una rapida evoluzione. La consistenza
linfonodale è quasi lignea nelle forme con deplezione
linfocitaria e sclerosi nodulare15. Il coinvolgimento splenico è presente in pochi casi, rara la localizzazione di
LH solo a livello della milza. L’interessamento epatico risulta ancora meno frequente15. In alcuni casi la presentazione include una sintomatologia aspecifica addominale,
la sindrome occlusiva-compressiva della vena cava superiore e, raramente, la compressione del midollo spinale16. Una caratteristica peculiare tuttora non spiegata è la
comparsa di dolore nella sede di localizzazione della malattia dopo l’assunzione di bevande alcoliche. La sintomatologia algica risulta transitoria, ma in alcuni casi severa. La comparsa di dolore dopo l’assunzione di bevande alcoliche è stata riportata, seppur raramente, anche in
altre condizioni patologiche quali il granuloma eosinofilo con localizzazione ossea, l’osteomielite, fratture, carcinomi, e in rare patologie infiltrative retroperitoneali inglobanti o comprimenti strutture nervose (nervi, gangli)13. L’infiltrazione polmonare si accompagna alla comparsa di tosse secca e parossistica, quella epatica di ittero e quella intestinale di dolore addominale. Non usuale
il coinvolgimento tiroideo. Rarissima l’infiltrazione pleurica, il coinvolgimento osseo, cutaneo, renale, gastrico e
cerebrale16.
La frequenza di insorgenza delle diverse forme di LNH
è correlata all’età del paziente, ha una variabile distribuzione geografica, ed è più comune nei maschi rispetto alle femmine con rapporto stimato variabile fra 1.5 e
3.5:117,18. Sebbene i linfomi rappresentino circa il 10% di
tutte le patologie neoplastiche dell’età infantile nei paesi
sviluppati e la terza causa di morbidità dopo le leucemie
acute e i tumori cerebrali, essi sono più frequenti negli adulti con un progressivo incremento dell’incidenza a partire
dall’età giovanile fino agli 80 anni. Negli Stati Uniti sono stati diagnosticati oltre 40 000 nuovi casi/anno nel
corso degli anni ’90, e l’incidenza è in progressivo aumento, anche in relazione all’insorgenza di LNH in pazienti
con sindrome da immunodeficienza acquisita da HIV. I
linfomi con origine nei linfonodi sono solitamente di origine B-linfocitaria e sono più frequenti negli adulti rispetto
ai bambini; nell’età infantile i LNH coinvolgono inizialmente il tubo gastroenterico (spesso rappresentati da forme a piccole cellule B) o i linfonodi mediastinici (linfoma linfoblastico T). Negli adulti l’origine extralinfonodale
è stata stimata intorno al 15-25% negli Stati Uniti, e fino
al 40-50% in Europa e nei paesi dell’Est. Le sedi più comuni di origine extralinfonodale sono il tubo gastroenterico e il rinofaringe; con minor frequenza possono interessare la cute, le ossa, la tiroide, le mammelle, i polmoni, i testicoli e l’encefalo. Negli adulti prevalgono i linfomi a basso grado e con struttura nodulare, mentre nell’età
173
Ann Ital Med Int Vol 18, N 3 Luglio-Settembre 2003
infantile quelli ad alto grado e diffusi. Fattori ambientali
sono implicati nell’etiopatogenesi dei LNH e fra questi vanno annoverati i virus (il virus di Epstein-Barr nell’etiopatogenesi del linfoma di Burkitt, lo human T cell leukemia virus-1 in quella del linfoma/leucemia a cellule T), i
farmaci (per esempio la difenilidantoina), pesticidi19-22.
è generalmente possibile. Lo studio radiologico con il
bario risulta inoltre fondamentale per la visualizzazione
del tratto gastroenterico nei pazienti che presentano masse mediastiniche posteriori a partenza esofagea o gastrica (ernie iatali, diverticoli esofagei, acalasia esofagea).
Non è invece generalmente possibile con la TC differenziare tra loro neoplasie di origine mediastinica (disgerminomi, neoplasie timiche, linfomi) ed è pertanto necessario
ricorrere ad una biopsia percutanea o chirurgica23-26.
La biopsia percutanea, eseguita generalmente sotto guida della TC e anestesia locale, è facilmente effettuabile
quando le lesioni arrivano a contatto con la parete toracica, minimizzando il rischio di pneumotorace; è più indaginosa nei restanti casi. Per migliorare la possibilità di tipizzazione dei numerosi sottotipi di linfoma è importante che la biopsia venga effettuata, quando possibile, associando al semplice prelievo con ago sottile per analisi
citologica, anche un prelievo con aghi a punta tranciante, relativamente più grossi di calibro (18G), che rendono possibile l’analisi immunoistochimica. È importante sottolineare che, in caso di sospetto linfoma, è fondamentale la ricerca di eventuali linfoadenopatie superficiali in
quanto la biopsia escissionale di uno o più linfonodi completi consente un’analisi anatomo-patologica più accurata rispetto ad un campionamento percutaneo con ago di una
piccola parte di una massa linfomatosa. La biopsia chirurgica può essere effettuata mediante diversi accessi (toracotomia, mediastinoscopia, videotoracoscopia) a seconda della sede e delle dimensioni della lesione. Lesioni
contigue alle vie aeree possono essere assoggettate a biopsia per via transbronchiale.
La risonanza magnetica è generalmente superflua in
fase diagnostica, ma può essere utile per un più accurato
bilancio spaziale preoperatorio in casi selezionati27,28.
La TC ad emissione di positroni viene generalmente impiegata nel sospetto di recidive dopo terapia chirurgica o
chemioradioterapia29.
La scintigrafia tiroidea con 131I o pertecnetato rappresenta l’indagine necessaria per l’identificazione di gozzi
tiroidei intratoracici.
RADIOLOGIA DEI LINFOMI DI HODGKIN
E DEI LINFOMI NON HODGKIN
Giuseppe Cittadini
L’iter diagnostico per immagini della sindrome mediastinica, comune alla gran parte delle affezioni toraciche,
è costituito dal binomio radiogramma standard del torace, correttamente eseguito in proiezione postero-anteriore e latero-laterale, e TC del torace, opportunamente estesa all’addome a scopo stadiativo in caso di riscontro di una
massa mediastinica o polmonare23-26. Il radiogramma del
torace evidenzia generalmente un aumento del diametro
dell’opacità mediastinica con cancellazione del profilo
delle strutture interessate per contiguità della massa (trachea, aorta, vene cave), eventuale dislocazione e riduzione di diametro della colonna aerea tracheo-bronchiale, e più raramente, alterazioni atelettasiche parenchimali polmonari. Tali reperti non sono sensibili né specifici:
in particolare uno slargamento mediastinico è spesso secondario ad una semplice condizione di ectasia dei vasi arteriosi e venosi, di per sé non necessariamente patologica, e viceversa una massa di piccole dimensioni, anche se
in grado di “disturbare” le strutture mediastiniche fino al
punto di provocare una sindrome clinica, può non essere
apprezzabile radiologicamente. La TC, modernamente
da effettuare con acquisizione volumetrica spirale durante infusione di mezzo di contrasto iodato e.v., è in grado
di identificare con precisione la presenza, la sede e le dimensioni di una massa mediastinica ed è in tale senso da
ritenersi una metodica completa e affidabile. La diagnosi di natura può invece essere possibile solo in rari casi per
le caratteristiche tipiche delle lesioni. Si tratta in genere
di neoformazioni benigne, raramente causa di una sindrome
mediastinica ingravescente, che possono essere tipizzate
per la loro caratteristica densità (timolipomi, cisti broncogeniche e timiche) o, ancora più raramente, di voluminosi aneurismi dell’aorta ascendente che comprimono la
vena cava superiore. Molto più frequente è il riscontro di
lesioni solide, spesso disomogenee, che coinvolgono il mediastino anteriore e avvolgono le vie aeree, i vasi mediastinici e l’esofago. In questi casi la diagnosi differenziale tra masse primitive del mediastino e neoplasie di origine broncogena centrale o periferica con infiltrazione
del mediastino diretta o da parte di metastasi linfonodali
ANATOMIA E CITOLOGIA PATOLOGICHE DEI LINFOMI
DI HODGKIN E DEI LINFOMI NON HODGKIN
Andrea Menin, Roberto Fiocca, Maurizio Setti,
Gabriella Gentile
Il LH rappresenta un’entità neoplastica riconosciuta
inizialmente da Thomas Hodgkin nel 1832, il quale descrisse una malattia primitiva caratterizzata da tumefazione
dei linfonodi che 33 anni dopo Sir Samuel Wilks designò
174
Giuseppe Murdaca et al.
ha subito varie revisioni in quanto si è passati attraverso
fasi che hanno considerato: 1) le caratteristiche cliniche;
2) gli aspetti morfologici ed istopatologici; 3) gli aspetti
immunopatologici; 4) la biologia molecolare (dal 1982 in
avanti).
Nel contesto di questa evoluzione delle conoscenze si
inquadrano le classificazioni anatomo-patologiche che
sono state utilizzate negli ultimi 50 anni.
La classificazione di “Rappaport” introdotta nel 1956,
suddivideva i LNH in base alle modalità di crescita (nodulare o diffusa), il tipo di cellula di origine (linfociti o
istiociti) e il grado di differenziazione (indifferenziati,
scarsamente differenziati e differenziati).
In seguito, Karl Lennert introdusse un diverso schema
classificativo che divenne conosciuto come classificazione di “Kiel” e che venne diffuso in Europa, mentre la
classificazione di “Lukes e Collins” proposta da Robert
Lukes e Robert Collins venne diffusa negli Stati Uniti. Tali
classificazioni a differenza della Rappaport si basavano sulla morfologia dei linfociti. Entrambe le classificazioni
suddividevano i linfomi in base alle caratteristiche citologiche dello stipite predominante: centrofollicolari a piccole e grandi cellule, “clivate” e “non clivate”. La classificazione di Kiel nella pratica sostituiva i termini “centrocitico” e “centroblastico” con “clivato” e “non clivato”.
La collaborazione fra ematologi e oncologi permise nel
1982 la pubblicazione della “Working formulation” che
rappresentava una modificazione della classificazione di
Rappaport e riprendeva gli elementi di immunologia cellulare propri della classificazione di Lukes e Collins. La
classificazione della Working formulation suddivideva
le neoplasie in tre gradi di malignità (basso, intermedio ed
elevato). L’introduzione degli anticorpi monoclonali ha
permesso di distinguere diverse forme nosologiche, ulteriormente applicate nella classificazione riadattata di Kiel
del 1992, e in seguito nella classificazione “Revised
European-American Lymphoma” (REAL), dove l’estensione dell’applicazione sia degli anticorpi monoclonali sia
delle tecniche di biologia cellulare, ha consentito di porre le basi per l’identificazione immunologica e genetica
dei linfomi30.
Nel secondo caso descritto l’unica localizzazione di
malattia è risultata il mediastino e pertanto si è proceduto ad un prelievo percutaneo sottoguida TC per la sua minore invasività rispetto alla biopsia chirurgica. Le indagini
immunoistochimiche hanno evidenziato l’espressione su
tali elementi della molecola CD20, e in alcuni di essi
espressione della molecola CD45 e del prodotto dell’oncogene bcl-2, mentre risultava negativa l’espressione del
CD3. La frazione di crescita valutata con l’anticorpo mo-
come “malattia di Hodgkin”30. Nel 1872 Langhans definì
la prima descrizione patologica, successivamente Sternberg
e Reed dimostrarono la presenza nel tessuto patologico di
cellule giganti plurinucleate che vennero successivamente identificate come “cellule di Reed-Sternberg”30.
L’anatomia patologica del LH tiene essenzialmente
conto dell’entità della cellularità linfocitaria e della presenza ed estensione della sclerosi del tessuto neoplastico;
pertanto essa include 4 istotipi: sclerosi nodulare, cellularità mista, ricco in linfociti e deplezione linfocitaria.
La forma con sclerosi nodulare è caratterizzata dalla presenza di fibre collagene di spessore variabile intersecantisi fra di loro e in grado di dividere l’infiltrato cellulare
linfocitario neoplastico in isole di dimensioni variabili. Le
cellule di Reed-Sternberg hanno l’aspetto lacunare e sono separate dalle altre cellule da apparenti spazi vuoti. Nella
forma con cellularità mista la fibrosi è rara e sono presenti
aree di necrosi focale. Il LH a prevalenza linfocitaria è caratterizzato dalla presenza di un infiltrato linfocitario e da
rare cellule di Reed-Sternberg, eosinofili, istiociti, ed è pertanto facilmente confondibile con un linfoma linfocitico
diffuso. Nella forma con deplezione linfocitaria i linfociti sono invece rari, gli istiociti sono le cellule predominanti,
e le cellule di Reed-Sternberg e gli eosinofili sono presenti
in quantità variabile30.
L’introduzione nella pratica diagnostica dopo il 1980 degli anticorpi monoclonali diretti verso componenti specifici espressi sulla membrana cellulare, nel citoplasma e nel
nucleo ha permesso di ampliare gli orizzonti conoscitivi.
Sotto questo profilo sono di grande importanza alcuni
marcatori di superficie delle cellule linfatiche noti come
“cluster determinants” (CD) che consentono di definire
l’appartenenza di cellule ad una determinata linea indipendentemente dalla morfologia.
Nel primo dei due casi descritti la biopsia chirurgica di
4 linfonodi laterocervicali di diametro > 1 cm ha consentito di definire la diagnosi: si trattava di un tessuto costituito da infiltrato diffuso di linfociti, istiociti, plasmacellule ed eosinofili, con sovvertimento della struttura architettonica linfonodale. L’esame citofluorimetrico ha dimostrato che i linfociti esprimevano gli antigeni di superficie CD30 e CD15, mentre risultavano negativi per
l’espressione del CD20. L’espressione del CD30 e del
CD15 e le caratteristiche del tessuto patologico hanno
permesso di porre la diagnosi di LH a cellularità mista. La
biopsia osteomidollare ha escluso l’interessamento midollare.
I LNH sono neoplasie linfocitiche che non contengono
cellule di Reed-Sternberg30. Nel corso degli ultimi due secoli la classificazione anatomo-patologica di questi tumori
175
Ann Ital Med Int Vol 18, N 3 Luglio-Settembre 2003
noclonale Mib-1 era pari a circa il 40-60%. Tale fenotipo è stato confermato con l’esame citofluorimetrico. Si trattava pertanto di un quadro istologico compatibile con la
diagnosi di LNH a grandi cellule B. Anche in questo caso la biopsia osteomidollare non ha dimostrato l’infiltrazione midollare e pertanto lo stadio di classificazione di
Ann Arbor era IB. Il linfoma mediastinico, che peraltro può
essere confuso con il linfoma linfoblastico, ha una maggiore incidenza nelle donne di età < 35 anni.
Nella tabella III sono riportati i CD più frequentemente utilizzati nella pratica clinica per l’identificazione citofluorimetrica di una sindrome linfoproliferativa.
È utile ricordare che i diversi sottotipi di LNH-B (esprimenti gli antigeni di linea specifici CD19, CD20) vengono dapprima distinti in base all’espressione del CD5, il quale oltre ad essere un marcatore di linea T viene anche
espresso sulla membrana dei linfociti B di pazienti con malattie autoimmuni (i cloni CD19+/CD5+ sono considerati in grado di produrre autoanticorpi) e sulle cellule neoplastiche di linfomi B. I LHN-B CD5+ sono costituiti da
tre forme immunofenotipiche: a) leucemia linfatica cronica che viene identificata dall’espressione del CD23 con
densità di espressione nella maggior parte dei casi intermedia; b) linfoma linfocitico con bassa densità di espressione del CD23; c) linfoma mantellare non esprimente il
CD23, ma caratterizzato dall’espressione dell’FMC-7. I
LNH-B CD5- sono, a loro volta, classificati in base alla
presenza o assenza del CD10. I linfomi CD10+ sono ad
alto grado di malignità e sono rappresentati dal linfoma
linfoblastico, di Burkitt e centrofollicolari. La diagnosi differenziale viene posta in base all’espressione di altri marcatori di superficie o intracitoplasmatici.
TERAPIA DEL LINFOMA DI HODGKIN
E DEL LINFOMA NON HODGKIN
Marco Gobbi
Il LH è stata la prima malattia neoplastica ad essere curata in modo adeguato, tanto che fin dagli anni ’70 furono raggiunte percentuali di guarigione molto elevate (5060%) grazie alla combinazione di radioterapia a campi estesi e polichemioterapia. Gli ottimi risultati terapeutici di allora erano però gravati dal rischio relativamente elevato
di neoplasie secondarie alla terapia antilinfoma, soprattutto
mielodisplasie e leucemie mieloidi. Per tale motivo molta ricerca clinica è stata indirizzata alla riduzione della tossicità. In particolare, il ciclo polichemioterapico MOPP
(mecloretamina, vincristina, procarbazina, prednisone), introdotto alla fine degli anni ’60 da DeVita et al.31, è stato via via sostituito da ABVD (doxorubicina, bleomicina,
vinblastina, dacarbazina), introdotto da Santoro et al.32
all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. Oggi questo
regime costituisce il gold standard con cui tutti i nuovi
schemi si devono confrontare all’interno di studi controllati. I principali effetti collaterali di questo trattamento sono costituiti da iperemesi e mielosoppressione ambedue ben controllate dai moderni antiemetici e dai fattori
di crescita emopoietici. La radioterapia è stata tradizionalmente considerata il trattamento di elezione del LH e
fino agli anni ’80 è stata utilizzata a campi molto estesi come irradiazione linfonodale totale a dosaggi elevati, 4045 Gy. La radioterapia è gravata dalla possibile comparsa di eventi avversi, talora severi, acuti e cronici. I primi
includono: nausea, vomito, disfagia e mielosoppressione.
Le complicanze tardive e croniche comprendono: l’ipotiroidismo (10-20% dei pazienti), documentato dall’au-
TABELLA III. “Cluster determinants” più frequentemente utilizzati nella pratica clinica per l’identificazione citofluorimetrica di una sindrome linfoproliferativa.
Cluster determinants
Peso molecolare (kDa)
Ligando
Cellule positive
CD45 (antigene comune leucocitario)
CD19
CD20
CD22 (2 isoforme: α, β)
CD79a
CD25 (subunità α recettore IL-2)
CD15 (molecola di adesione)
CD30
CD5
FMC-7
CD23 (FcεR1)
CD10 (CALLA)
CD11c
CD95 (Fas)
180, 190, 205, 220
95
33-37
α: 130; β: 140
33-40
55
Non noto
105
67
105
45
100
150
36-45
CD22 (unico conosciuto)
Sconosciuto
Sconosciuto
Proteine sialiche
Sconosciuto
IL-2
Sconosciuto
CD30L
CD72 (lectina-C)
Sconosciuto
IgE
Sconosciuto
Sconosciuto
CD95L (Fas-L)
Leucociti
Linfociti B
Linfociti B
Linfociti B
Linfociti B
Linfociti T
Granulociti, monociti
Linfociti T e B, Reed-Sternberg
Linfociti T
Linfociti B
Linfociti B, eosinofili, piastrine
Pre-linfociti B, granulociti
Granulociti, monociti, NK, linfociti T e B
Cellule apoptotiche
IgE = immunoglobulina E; IL-2 = interleuchina-2; NK = natural killer.
176
Giuseppe Murdaca et al.
mento della concentrazione sierica dell’ormone tireotropo, la polmonite interstiziale, che può evolvere in fibrosi polmonare, tanto più grave quanto maggiore è la quantità di parenchima polmonare irradiato, la mielite transitoria, e in un numero limitato di casi, pleurite e pericardite. La radioterapia a livello mediastinico aumenta di almeno 3 volte il rischio di coronaropatia e infarto del miocardio. Per tutti questi motivi nell’ultimo decennio si sono progressivamente ridotti estensione dei campi irradiati e dosaggio, riservandola ai residui post-chemio e al
consolidamento delle aree sede di malattia “bulky”.
Questo nuovo atteggiamento terapeutico è stato pienamente seguito nel trattamento della paziente descritta nel
primo caso, che non è stata sottoposta a radioterapia dopo aver positivamente risposto al protocollo ABVD.
La terapia dei LNH rappresenta un argomento notevolmente complesso in particolare per la varietà istologica, il grado di aggressività e la molteplicità di presentazioni cliniche33. I cosiddetti linfomi ad alto grado sono stati trattati negli ultimi 25 anni con tre differenti generazioni
di associazioni polichemioterapiche. Rappresentante della prima è il CHOP (ciclofosfamide, adriblastina, vincristina, prednisone), tradizionalmente somministrato ogni 34 settimane per un totale di 6 cicli; esempio della terza generazione è il MACOP-B (che prevede la somministrazione
sequenziale con cadenza settimanale di numerosi farmaci). Tuttavia la reale superiorità dell’uno o dell’altro ciclo
non è stata definita nella generalità dei linfomi, sicuramente
per alcuni sottogruppi dotati di caratteristiche biologiche
di particolare aggressività, la CHOP non risulta adeguata. Negli ultimi 2 anni l’introduzione dell’anticorpo monoclonale murino umanizzato anti-CD20 (rituximab) ha
notevolmente modificato le prospettive terapeutiche di molti linfomi di derivazione B. Il rituximab si è rivelato molto efficace nei linfomi a basso e ad alto grado sia in ricaduta che nella terapia di induzione associato a polichemioterapia. Le prime esperienze sono state condotte con
CHOP, pertanto si è assistito ad un ritorno in auge di
questa vecchia e mai abbandonata terapia. CHOP più rituximab è oggi considerato il gold standard con cui confrontare ogni nuova combinazione terapeutica. La paziente descritta come seconda ha ricevuto un trattamento
avanzato con MACOP-B seguito da rituximab e anche in
questo caso, avendo conseguito una risposta completa, non
ha ricevuto radioterapia. La radioterapia nei LNH, peraltro, riveste un ruolo di minore importanza, e, a parte gli
stadi iniziali dei linfomi indolenti, ove da sola risulta risolutiva, trova un ruolo complementare alla chemioterapia. Viene utilizzata infatti sui residui di malattia o come
consolidamento sulle localizzazioni bulky.
CONCLUSIONE
Francesco Indiveri
I casi descritti hanno in comune la sede di origine della sintomatologia lamentata dalle pazienti al momento
della diagnosi. Il LH origina spesso in sede sopradiaframmatica e in molti casi nel mediastino anteriore e senza determinare l’insorgenza di severa sintomatologia. Nel
caso da noi descritto invece il quadro clinico era dominato
da un’importante sindrome mediastinica con tosse secca,
dispnea a riposo, ortopnea, edema a mantellina e turgore
delle vene giugulari, oltre alla presenza di sintomi e segni
costituzionali (febbricola, sudorazione notturna, prurito diffuso, pallore cutaneo e mucosale). Il coinvolgimento dei
linfonodi laterocervicali è tipico del LH, come del resto
quello delle stazioni linfonodali sopraclavicolari, ascellari,
mentre risulta meno frequente l’interessamento dei linfonodi sottoclavicolari, mandibolari, dell’anello orofaringeo
del Waldeyer: quest’ultimo è sede frequente di interessamento da parte di LNH. Rara anche la localizzazione sottodiaframmatica.
Il LNH si localizza con minore frequenza rispetto al LH
nel mediastino: fra le diverse forme istologiche il LNH
linfoblastico con origine dalle cellule T si presenta al momento della diagnosi con rapido coinvolgimento del mediastino con lo sviluppo di masse anche di importanti dimensioni. È utile a questo punto della discussione indicare
quale sia la strategia diagnostica più redditizia e rapida nel
permettere il raggiungimento della diagnosi istologica e
pertanto nel favorire un approccio terapeutico mirato nel
più breve tempo possibile.
Nei 2 casi clinici in oggetto la diagnosi di “sindrome mediastinica” è stata confermata con l’esecuzione della radiografia del torace (che in entrambi i casi ha dimostrato
un importante slargamento del mediastino), e, successivamente della TC spirale che ha identificato una voluminosa massa mediastinica che interessava il mediastino
anteriore superiore coinvolgendo la loggia timica, i grossi vasi mediastinici, con marcata compressione della vena cava superiore e di entrambe le vene anonime, la trachea e, caudalmente, il pericardio. Non erano rilevabili
linfoadenomegalie addominali. La diagnosi istologica,
come già descritto, è stata posta, nel primo caso, con
l’esecuzione della biopsia linfonodale laterocervicale sinistra, mentre nel secondo caso descritto con la biopsia percutanea sottoguida TC della massa mediastinica.
I casi clinici descritti presentano caratteristiche sia cliniche sia strumentali in comune. La TC spirale ha confermato il sospetto di una “sindrome mediastinica” conseguente alla presenza di una voluminosa massa infiltrante il mediastino anteriore superiore, coinvolgendo la
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Ann Ital Med Int Vol 18, N 3 Luglio-Settembre 2003
loggia timica, i grossi vasi mediastinici, con marcata compressione della vena cava superiore e di entrambe le vene anonime, la trachea e, caudalmente, il pericardio. Non
erano rilevabili linfoadenomegalie addominali. Poiché le
più comuni lesioni espansive del mediastino anteriore
sono il timoma, i linfomi, i teratomi e quelle di origine tiroidea l’iter diagnostico era mirato ad eseguire l’esame istologico della massa mediastinica o di eventuali lesioni
linfonodali superficiali. Nel primo caso la presenza di
linfoadenomegalie laterocervicali ha consentito di eseguire una biopsia e di definire la diagnosi di LH a cellularità mista. Nell’altro caso l’unica localizzazione di malattia è risultata il mediastino e pertanto si è dovuto procedere ad un prelievo percutaneo sottoguida TC per la sua
minore invasività rispetto alla biopsia chirurgica. Tale
procedura, un tempo ritenuta un’eccezione da riservare a
pazienti selezionati, è attualmente sempre più diffusa per
l’affinarsi delle tecniche di prelievo e di analisi citologica e microistologica che, nelle casistiche più recenti, consentono la diagnosi differenziale. Nel caso in questione tale procedura ha permesso l’esecuzione successiva dell’esame istologico del tessuto prelevato che ha dimostrato la
presenza di LNH a grandi cellule B.
È infine necessario ricordare come, di fronte ad una sindrome mediastinica, sia sempre necessario escludere altre cause di interessamento patologico linfonodale. Fra le
diverse cause vanno annoverate quelle infettive (virali, batteriche, micotiche, Chlamydie, parassiti, ricketsie), quelle immunologiche (artrite reumatoide, morbo di Still,
connettivite mista, lupus eritematoso sistemico, dermatomiosite, sindrome di Sjögren, reazione da farmaci, malattia del trapianto contro l’ospite), metastasi carcinomatose o sarcomatose, malattie da accumulo di lipidi (malattie
di Gaucher, Niemann-Pick, Fabry, Tangier), endocrinopatie (ipertiroidismo), e disordini infiammatori granulomatosici (sarcoidosi, malattia di Castleman, ipertrigliceridemia severa).
In conclusione, la sindrome mediastinica è un quadro clinico estremamente complesso e severo con etiologia multipla, e pertanto l’iter diagnostico deve essere rapido in maniera tale da permettere di porre la diagnosi in maniera tempestiva pur nel rispetto delle esigenze dell’economia sanitaria e di instaurare altrettanto tempestivamente la terapia
mirata e più aggressiva possibile.
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Per la corrispondenza:
Prof. Francesco Indiveri, Clinica di Medicina Interna ad Orientamento Immunologico, Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche,
Università degli Studi, Viale Benedetto XV 6, 16132 Genova. E-mail: [email protected]
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Ann Ital Med Int Vol 18, N 3 Luglio-Settembre 2003
QUESTIONARIO PRE E POST-LETTURA DEL CASO
01. Quali sono i sintomi fra quelli sotto indicati più predittivi dello sviluppo di una possibile sindrome mediastinica?
Tosse secca, dispnea a riposo, ortopnea
Febbricola
Sudorazione notturna, prurito diffuso
Tamponamento cardiaco, disfagia
02. Quali sono i segni più predittivi dello sviluppo di una possibile sindrome mediastinica?
Edema sottocutaneo del volto, turgore delle vene giugulari, reticolo venoso superficiale toracico
Pallore cutaneo e mucosale
Linfoadenomegalie laterocervicali
03. Quanti sono i compartimenti in cui viene suddiviso il mediastino?
Tre
Due
Uno
Quattro
04. Quali sono i limiti anatomici del mediastino anteriore?
Sterno anteriormente, pericardio e vasi brachiocefalici posteriormente
Sterno anteriormente
Pericardio anteriormente
Parete toracica anteriormente
05. Quali sono i limiti anatomici del mediastino intermedio?
Fra mediastino anteriore e quello posteriore
Fra cuore e esofago
Fra cuore e trachea
06. Quali sono i limiti anatomici del mediastino posteriore?
Pericardio e trachea anteriormente, colonna vertebrale posteriormente
Pericardio anteriormente, colonna vertebrale posteriormente
Trachea anteriormente, colonna vertebrale posteriormente
07. In quale range di età è più frequente l’insorgenza del linfoma di Hodgkin?
Fra 20-29 e 40-59 anni
Fra 20-50 anni
Fra 30-50 anni
segue
180
Giuseppe Murdaca et al.
SEGUE QUESTIONARIO PRE E POST-LETTURA DEL CASO
08. Qual è l’incidenza dei linfomi fra tutte le neoplasie?
Circa il 10%
Circa il 30%
Oltre il 90%
09. Quale fra queste metodiche strumentali risulta maggiormente affidabile nello studio del mediastino?
Tomografia computerizzata spirale
Radiografia del torace in 2 proiezioni
Risonanza magnetica nucleare
Tomografia con emissione di positroni
10. Chi identificò la malattia di “Hodgkin”?
Sir Samuel Wilks
Langhans
Hodgkin
11. Quale esame permette di studiare adeguatamente con l’uso di anticorpi monoclonali il “pattern fenotipico” di membrana e intracitoplasmatico delle cellule maligne?
Striscio di sangue periferico
Citofluorimetria
Citogenetica
12. Quale fra quelle elencate rappresenta una immunoterapia per i tumori linfatici?
Anti-CD20
Anti-IL-1
Anti-TNF-α
181
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