Autocensura NINO SAMBATARO Una delle ossessioni della contemporaneità, in particolare a partire dal ’68, è l’idea della censura. Parrebbe quasi, a sentire molti, politologi, professori, studenti e gente comune, che il problema più grave del nostro tempo sia proprio la censura. Contro di essa si possono sentire le parole più infiammate; e, in nome di una presunta libertà di espressione, si è arrivati a giustificare tutto. Ognuno ha il diritto di dire ciò che vuole. Anche se non ha nulla da dire. Anzi, si è dispostissimi a lasciare che chiunque dica la sua, purché non abbia nulla da dire. O quanto meno nulla di significativo. La famosa frase di Voltaire: “sono disposto a morire purché tu possa dire ciò che pensi. Anche se non sono d’accordo”, viene citata il più delle volte a sproposito, in modo alquanto tronfio. E non la si coglie nel suo senso più proprio. Voltaire non si riferiva all’opinione in sé: il rispetto semmai deve essere per la persona che esprime l’opinione. Il che non significa dare ragione anche a chi ha torto, o pensare che tutti abbiano ragione (che è come dire che nessuno ce l’ha). Allora forse il vero problema è un altro. E non si tratta di un problema del nostro tempo. Non è un fatto di moda culturale. Il vero problema è sì quello della censura, ma di quella che si applica sistematicamente su se stessi: l’auto-censura. La psicoanalisi, nel corso del Novecento ha detto parole fondamentali su questo punto. Ha tentato di indagare su quella parte misteriosa della persona umana che è stata definita inconscio. Ci sono cose che per il nostro bene, o per il nostro quieto vivere, non devono emergere, non devono essere dette, non possono neanche essere pensate. Al massimo le si può sognare. Del resto, il lavoro di tanta psicoanalisi consiste proprio nel far riemergere quelle cose che abbiamo autocensurato. Ed un problema non da poco consiste poi proprio nell’affrontare “razionalmente” quelle stesse cose. Ma questa, come si capisce, non è soltanto una cosa da psicoanalisi. È un dato antropologico, qualche cosa che caratterizza l’essere umano, al di là del tempo e delle culture di appartenenza. Tutti, spesso semplicemente per comodità, per abitudine, tendiamo a censurare una parte della realtà. Una parte di noi stessi, se occorre. E questo senza che nessuno venga ad imporcelo. Siamo noi i censori di noi stessi. L’intelligenza non è soltanto un fatto innato. È qualcosa che si può imparare. È anche questa, in un certo senso, un’abitudine. Ma un’abitudine che costa fatica. Molta più fatica di quella che occorra per non pensare. Affrontare la realtà nella sua complessità è veramente duro. È più comoda un’ideologia (magari alla moda), che ci spieghi tutta la realtà (o che si accontenti di dire che la realtà non può essere spiegata), senza costringerci ad uno sforzo troppo grande. Quando impediamo a qualcuno di parlare (come è accaduto con il Papa alla Sapienza), in realtà non stiamo facendo un atto di censura. Ma di auto-censura. Abbiamo paura che qualcuno ci scompagini il nostro sistema di valori, lineare, comodo, già bell’e fatto. Ed ecco allora intervenire il nostro censore interiore. È la stessa cosa che accade continuamente con le arti visive: quando gli Impressionisti esposero per la prima volta provocarono scandalo e sconcerto. E non si trattava certo di un fatto puramente estetico: avevano stravolto il modo comune di vedere, di concepire la realtà. Il dialogo, il confronto è un rischio. Un rischio, quando il dialogo è autentico, che può sconvolgerci. Che potrebbe addirittura cambiarci. E il cambiamento costa tanta fatica! Ciò che ci manca, il più delle volte, è quello che Socrate definiva il “mio demone interiore”. Quella specie di coscienza critica, acuta, anche impietosa, che tutto vorrebbe analizzare, scomporre, discutere. E che tanti guai procurò a Socrate stesso. Infatti, ciò che più infastidiva del filosofo, che ha introdotto il 33 concetto di interiorità nella nostra filosofia, era proprio la mancanza di auto-censura. Socrate non è passato alla storia per la sua dottrina, per il suo sistema filosofico, cosa che invece accadrà per il suo grande discepolo Platone. Ciò che colpisce di Socrate è appunto l’atteggiamento, la posizione verso la realtà: quella di un’apertura incondizionata, senza pregiudizi, senza ideologismi. Un atteggiamento faticoso, per via del quale Socrate si trovò in contrasto con le idee e gli uomini del suo tempo. Per noi oggi non è molto diverso. La pressione delle idee correnti, le opinioni comuni, ammantate spesso di pretese culturali, ci pesano addosso come macigni, rafforzate dalla potenza mediatica. Non autocensurarsi è difficile. È molto più facile seguire il flusso. La stessa cultura ufficiale, quella delle scuole e dei giornali, quella di massa dunque, è cronicamente in ritardo. Non è raro trovare il laureato in filosofia esprimere, anche se in un modo leggermente più raffinato, le stesse idee correnti dei reality-show, della tv spazzatura. L’espressione comune “questa è la mia opinione, tu sei libero di esprimere la tua” è diventata il contrario di ciò che voleva essere: non la possibilità al dialogo ed al confronto, ma l’atteggiamento più comodo e la chiusura più netta. Questo relativismo di bassa lega infatti è ciò che ci consente di non prendere sul serio il nostro interlocutore. E, in fondo, di non prendere seriamente neanche noi stessi. Il senso di questa frase corrente è, sostanzialmente, “tu pensa e di’ pure quello che vuoi, tanto non ti ascolto”. Nel senso che se l’altro esprime un’idea davvero originale e “non allineata”, facciamo immediatamente intervenire il censore interiore per evitare una crisi del nostro “regime” esistenziale. Essere socratici costa tanta fatica. Restare aperti alla possibilità, alla realtà, alla complessità del reale è una lotta continua. La censura oggi, almeno in Occidente, non ha più motivo di sussistere. La falsa tolleranza ed il relativismo spicciolo, da soli, sono sufficienti a calmare gli animi, a tacitare le coscienze. A tutti è concesso dire ciò che vogliono, tanto è la loro opinione, non ci riguarda. I professori nelle scuole, soprattutto quelli di filosofia, più che le nozioni e i sistemi dottrinali dei filosofi del passato, dovrebbero cercare di insegnare 34 questo atteggiamento, questo spirito critico, questo “demone socratico”. Dovrebbero insegnare a prenderci sul serio e a prendere sul serio gli altri. Dovrebbero aiutarci a non auto-censurarci. “Impression, soleil levant”, C. Monet, 1872, Musée Marmottan Monet di Parigi.