L`emocromatosi ereditaria Oggi

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Oggi
Vol. 95, N. 10, Ottobre 2004
L’emocromatosi ereditaria
Massimo Franchini 1, Dino Veneri 2
Riassunto. L’emocromatosi ereditaria è una patologia del metabolismo del ferro caratterizzata da un progressivo accumulo di ferro nei tessuti che, se non trattato in tempo,
provoca danni irreversibili ai vari organi. I recenti progressi della medicina molecolare
hanno mutato radicalmente le conoscenze fisiopatologiche e l’approccio diagnostico di
questa malattia. Tuttavia, la saturazione della transferrina e la ferritina sierica rimangono i test di screening più efficaci per l’identificazione dei soggetti affetti da emocromatosi ereditaria. Il salasso terapeutico rappresenta il cardine della terapia: se la salassoterapia viene iniziata prima dell’insorgenza di danni d’organo irreversibili, la spettanza
di vita di questi pazienti è paragonabile a quella della popolazione sana.
Parole chiave. Emocromatosi, gene HFE, genetica, sovraccarico marziale.
Summary. Hereditary hemocromatosis.
Hereditary hemochromatosis is a disorder of iron metabolism characterized by a progressive tissue iron overload which leads to an irreversible organ damage if it is not treated timely. The recent developments in the field of molecular medicine have radically
changed the physiopathology and the diagnosis of this disease. However, transferrin saturation and serum ferritin are still the most reliable tests for the detection of subjects
with hereditary hemochromatosis. Therapeutic phlebotomy is the mainstay of the treatment of hereditary hemochromatosis. If phlebotomy is started before the onset of irreversible organ damages, the life expectancy of these patients is similar to that of normal
population.
Key words. Genetics, HFE gene, hemochromatosis, iron overload.
Introduzione
Genetica
L’emocromatosi ereditaria (EE) è la malattia
autosomica più comune nella popolazione caucasica, dal momento che colpisce circa 1 individuo ogni 200 1. In questa patologia vi è un’alterazione del metabolismo del ferro caratterizzata da un aumentato assorbimento intestinale e
da un progressivo accumulo nell’organismo di
ferro con conseguenti danni irreversibili ai vari
organi 2-4. Sebbene l’emocromatosi sia nota da
oltre un secolo, tuttavia la genetica di questa
malattia è stata chiarita, anche se ancora non
completamente, solo in questi ultimi anni5,6. In
questa breve rassegna analizzeremo le principali caratteristiche dell’emocromatosi ereditaria, con particolare riferimento allo studio
genetico, alla diagnosi, alla clinica ed alla terapia.
Il primo caso di emocromatosi è stato riportato
nel 1865 da Trosseau, il quale descrisse una sindrome caratterizzata da cirrosi epatica, diabete
mellito e pigmentazione bronzina della cute. Tuttavia, il riconoscimento di una malattia a sé stante
caratterizzata da un progressivo incremento nei
tessuti del ferro risale al 1889 ad opera di von Recklinghausen che per primo coniò il termine emocromatosi 3. Dopo l’identificazione dell’ereditarietà
dell’emocromatosi da parte di Sheldon nel 1935, un
sostanziale progresso nella comprensione della trasmissione genetica e della base molecolare di questa malattia venne fatto nel 1976 da Simon e colleghi 7, i quali descrissero l’EE come una malattia autosomica recessiva strettamente associata con il
complesso HLA (Human Leukocyte Antigen)-A3,
situato sul braccio corto del cromosoma 6.
1 Servizio di Immunoematologia e Trasfusione, Azienda Ospedaliera, Verona, 2 Dipartimento di Medicina Clinica
e Sperimentale, Sezione di Ematologia, Università, Verona.
Pervenuto il 3 marzo 2004.
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Recenti Progressi in Medicina, 95, 10, 2004
Nel 1996, Feder e colleghi 8 localizzarono in
questo cromosoma il gene responsabile della maggior parte dei casi di emocromatosi ereditaria,
chiamato successivamente HFE. Gli stessi autori
descrissero 2 mutazioni di questo gene (la mutazione C282Y e la mutazione H63D) che rendevano conto dell’88 percento dei 178 casi di emocromatosi ereditaria inclusi nel loro studio 8. Da allora sono state descritte altre mutazioni nell’ambito
del gene HFE, alcune più frequenti, quali la mutazione S65C, ed altre più rare, quali le mutazioni V53M, V59M, H63H, Q127H, Q283P, P168X,
E168Q, E168X e W169X 9. L’analisi di tutte le mutazioni del gene HFE (emocromatosi HFE-associata o emocromatosi di tipo 1) conferma la diagnosi nell’85% circa dei casi in Italia. L’emocromatosi di tipo 2, o emocromatosi giovanile, è una
malattia autosomica recessiva di cui sono state
identificate 2 forme (2A e 2B). L’emocromatosi giovanile 2A è causata da una mutazione in un gene
non ancora identificato localizzato sul cromosoma
1q 10,11. L’emocromatosi giovanile 2B è causata da
mutazioni (attualmente ne sono state identificate
2, la 93delG e la 166C-T) del gene HAMP codificante per l’epcidina, un peptide chiave nella regolazione dell’assorbimento di ferro nei mammiferi 12,13. L’emocromatosi di tipo 3 è a trasmissione
autosomica recessiva ed è determinata da mutazioni (sono note al momento 4 mutazioni: E60X,
M172K, Y250X, AVAQ594-597del) del gene del recettore 2 della transferrina (TFR2) 14,15. L’emocromatosi di tipo 4 è una forma di emocromatosi autosomica dominante associata con mutazioni
(N144H, A77D, Y64N) nel gene della ferroportina
1 (chiamato anche IREG1, o MTP1 o SLC11A3)
che codifica una proteina implicata nel trasporto
intestinale del ferro16. Recentemente, è stata sco-
perta una nuova mutazione nel gene della ferroportina (V162del) che provoca, negli individui eterozigoti, una alterazione prevalentemente a carico del metabolismo del ferro del sistema reticoloendoteliale con una ridotta capacità di rilascio
del ferro da parte delle cellule fagocitiche. Pertanto, in questa variante, il ferro si accumula
principalmente a livello delle cellule del sistema
reticoloendoteliale epatico (cellule di Kupffer), differenziandosi così dall’emocromatosi classica dove
invece il ferro si accumula a livello delle cellule
parenchimali epatiche 12. Esiste poi un’altra forma di emocromatosi ereditaria presente fin dalla
nascita (emocromatosi neonatale) a trasmissione
autosomica recessiva il cui gene responsabile non
è ancora stato identificato. Infine, un cenno a parte merita la sindrome iperferritinemia-cataratta,
caratterizzata da elevati livelli di ferritina sierica
in assenza di sovraccarico marziale. Tale patologia a trasmissione autosomica dominante è causata da mutazioni (puntiformi o delezioni) nell’
“iron responsive element (IRE)” del gene dell’Lferritina 17,18. La tabella 1 mostra la classificazione genetica dell’emocromatosi ereditaria.
Quadro clinico
L’emocromatosi ereditaria classica, o emocromatosi di tipo 1, è caratterizzata da un lento,
progressivo accumulo di ferro nei vari organi. La
presentazione clinica di questa malattia è cambiata radicalmente nel corso di questi ultimi anni. Infatti, se alcuni anni fa non era raro diagnosticare casi di emocromatosi ereditaria in fase
avanzata caratterizzati da cirrosi epatica, diabete, ipogonadismo e pigmentazione cutanea, al
giorno d’oggi, grazie alla maggior conoscenza di
Tabella 1. Classificazione dell’emocromatosi ereditaria.
Malattia
Trasmissione Gene coinvolto
Locus
Mutazioni
Autosomica
recessiva
HFE
6p21
C282Y, H63D, S65C, V53M, V59M,
H63H, Q127H, Q283P, P168X,
E168Q, E168X e W169X
Autosomica
recessiva
Autosomica
recessiva
non noto
1q21
non note
HAMP
19q13
93delG, 166C-T
Emocromatosi di tipo 3
Autosomica
recessiva
TFR2
7q22
E60X, M172K, Y250X,
AVAQ594-597del
Emocromatosi di tipo 4
Autosomica
dominante
SLC11A3
2q32
N144H, A77D, Y64N, V162del
Emocromatosi neonatale
Autosomica
recessiva
non noto
non noto
L-ferritina
19q13
Emocromatosi ereditaria di tipo 1
Emocromatosi giovanile
tipo 2A
tipo 2B
Sindrome iperferritinemia-cataratta Autosomica
dominante
non noto
C14G, C18T, T22G, G32A, G32C,
G32T, C33A, C33T, C36A, C39T,
A40G, A40G-G41C, G51C, DelC10A38, DelU22-C27, DelA38-C39,
DelU42-G57
M. Franchini, D. Veneri: L’emocromatosi ereditaria
questa patologia ed alla maggior frequenza con
cui si eseguono esami di laboratorio di controllo,
è più frequente diagnosticarla in una fase clinica più precoce.
I sintomi d’esordio sono spesso subdoli ed includono stanchezza cronica, artromialgie, riduzione della libido, letargia, o il riscontro di epatomegalia. Tutte le complicanze cliniche, ad eccezione dell’artropatia, sono correlate con il
grado di sovraccarico marziale.
Gli uomini sono più frequentemente colpiti rispetto alle donne, dal momento che queste ultime a causa dei cicli mestruali e delle gravidanza
hanno un maggior consumo di ferro nel corso della loro vita e tendono a sviluppare i sintomi in
età più avanzata.
Il danno tessutale da sovraccarico di ferro
trova la sua espressione più importante in organi quali il fegato, il cuore, il pancreas e la cute.
Il fegato è solitamente il primo organo colpito e
l’epatomegalia è presente in più del 95% dei pazienti sintomatici; tuttavia, essa può essere presente anche in assenza di sintomatologia o con
normali test di funzionalità epatica. La fibrosi
epatica legata all’accumulo di ferro evolve in cirrosi che a sua volta rappresenta un fattore di rischio per l’insorgenza di carcinoma epatocellulare. La deposizione di ferro a livello miocardico
comporta una dilatazione ventricolare ed una ridotta frazione di eiezione che si estrinsecano clinicamente in scompenso cardiaco e turbe del ritmo. L’accumulo di ferro a livello delle insule
pancreatiche porta al diabete insulino dipendente. L’ipogonadismo, legato alla ridotta produzione di gonadotropine associata a ridotta
funzione ipotalamo-ipofisaria dovuta al deposito
di ferro, è comune in entrambi i sessi e può precedere le altre manifestazioni cliniche della malattia. L’artropatia si sviluppa nel 25-50% dei
pazienti e non è in relazione con l’entità del sovraccarico marziale, dal momento che può rappresentare il sintomo di esordio e non migliora
dopo terapia ferro-depletiva. L’artropatia dell’emocromatosi ereditaria ha le caratteristiche dell’osteoartrite ed è caratterizzata da condrocalcinosi (deposizione di cristalli di pirofosfato di calcio) e depositi emosiderinici sinoviali. Le prime
articolazioni colpite sono solitamente le piccole
articolazioni delle mani, soprattutto la seconda
e la terza metacarpofalangea. Una poliartrite
progressiva può colpire anche le ginocchia, i polsi e l’anca.
Per quanto riguarda le mutazioni del gene
HFE, l’omozigosi C282Y è caratterizzata da un
marcato sovraccarico marziale e pertanto si associa alle forme clinicamente più severe della
malattia. La doppia eterozigosi C282Y/H63D può
esprimere un fenotipo emocromatosico, di solito
moderato, mentre i soggetti con omozigosi H63D
o eterozigosi C282Y o H63D generalmente sono
normali 19. L’entità dell’accumulo di ferro dipende, comunque, anche da fattori acquisiti quali la
presenza concomitante di epatite cronica virale o
l’alcool.
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Per quanto riguarda le altre mutazioni meno
frequenti del gene HFE, alcuni studiosi hanno
mostrato che la mutazione S65C è implicata in
forme lievi di emocromatosi 20, mentre la mutazione E168X determina un fenotipo emocromatosico solo in presenza della mutazione C282Y
(doppia eterozigosi C282Y/E168X) 21,22.
L’emocromatosi giovanile o emocromatosi di
tipo 2 colpisce in eguale misura maschi e femmine ed è caratterizzata da un quadro clinico sovrapponibile all’emocromatosi classica, con la
differenza che l’insorgenza delle complicanze
(ipogonadismo, cardiopatia) si verifica nelle prime tre decadi di vita. Il quadro clinico e l’età di
insorgenza dei sintomi (4a – 5a decade di vita)
dell’emocromatosi di tipo 3 sono sovrapponibili
all’emocromatosi classica.
L’emocromatosi di tipo 4 ha un quadro clinico
caratteristico: infatti alcune forme sono caratterizzate da un accumulo di ferro esclusivamente a
livello reticoloendoteliale e pertanto sono prive
di manifestazioni cliniche, mentre altre forme
hanno un sovraccarico marziale anche a livello
parenchimale, sovraccarico che si estrinseca in
un quadro clinico simile a quello dell’emocromatosi classica 12,23-25.
L’emocromatosi neonatale è una patologia
estremamente grave ed inevitabilmente fatale
caratterizzata da un marcato accumulo, nel periodo perinatale, di ferro nell’organismo con insufficienza epatica2.
Infine, la sindrome iperferritinemia-cataratta, essendo caratterizzata da un aumento dell’L-ferritina, non si accompagna ad un sovraccarico marziale parenchimale. Pertanto, il quadro
clinico di questa patologia comprende unicamente l’insorgenza precoce di cataratta bilaterale 18.
Diagnosi
I criteri diagnostici dell’emocromatosi ereditaria sono andati rapidamente cambiando in
questi ultimi anni 26. Infatti, quando la diagnosi
era basata unicamente su criteri clinici, prima
della scoperta del gene HFE, venivano diagnosticati solamente una minoranza di casi in fase
avanzata. Oggi, la disponibilità di una serie di
test biochimici e molecolari, da usare in combinazione, rende possibile la diagnosi di questa
malattia in una fase molto precoce, ancor prima
della comparsa della sintomatologia.
Attualmente, la diagnosi di emocromatosi
ereditaria si basa sull’esecuzione di test di primo
livello (test biochimici: saturazione della transferrina e ferritina sierica) e di secondo livello
(test genetici: analisi molecolare del gene HFE o
degli altri geni). La saturazione della transferrina rappresenta il test di laboratorio più sensibile (è infatti il primo parametro ad alterarsi) per
valutare l’accumulo di ferro nell’organismo: in
base ai dati disponibili in letteratura il cut-off
prescelto è 45%.
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Il fatto che la saturazione della transferrina
sia un test di facile esecuzione, poco costoso e
sensibile, lo rende inoltre particolarmente adatto come test di screening. La ferritina sierica misura l’entità del sovraccarico di ferro nell’organismo: sono considerati patologici valori > 200
µg/L nella donna e > 300 µg/L nell’uomo. Inoltre,
la ferritina sierica ha un valore predittivo sulla
possibile esistenza di un danno epatico: infatti il
valore di 1000 µg/L è considerato il cut-off per la
possibile presenza di danni d’organo 2. Il limite
principale di questo test è la bassa specificità:
infatti, trattandosi di una proteina della fase
acuta, elevati livelli di ferritinemia si possono riscontrare in un’ampia gamma di condizioni comprendenti stati infiammatori acuti e cronici.
La triade caratterizzata dall’incremento del
ferro e della ferritina sierici e dall’aumento della saturazione della transferrina si riferisce all’emocromatosi classica; nell’emocromatosi di tipo 4, invece, l’iperferritinemia (che riflette l’aumento dei depositi di ferro a livello del sistema
reticoloendoteliale) si accompagna ad un normale livello di sideremia e ad una normale saturazione della transferrina.
Similmente, la sindrome iperferritinemia-cataratta è caratterizzata da un incremento isolato della ferritina sierica (dovuta all’incremento
della subunità L della ferritina) con sideremia e
saturazione della transferrina normali.
Il secondo livello d’indagine diagnostica dell’e-
mocromatosi ereditaria comprende l’analisi molecolare delle mutazioni note del gene HFE e degli altri geni responsabili dell’EE (gene TFR2,
HAMP, FPN1): la necessità di estendere la ricerca al maggior numero possibile di mutazioni è a
nostro avviso giustificata dal fatto che in Italia, a
differenza delle altre popolazioni nord europee,
l’omozigosi C282Y è presente solamente nel 65%
dei casi di emocromatosi ereditaria ed inoltre,
seppur raramente, vi possono essere casi di EE
dovuti a doppia eterozigosi per varie mutazioni 21.
Nei casi in cui dalle indagini di laboratorio risultino livelli di ferritina superiori a 1000 µg/L
(ricordiamo che questo valore rappresenta la soglia per la possibile presenza di danno epatico)
o transaminasi alterate, sarà necessario ricorrere alla biopsia epatica per valutare il grado di
coinvolgimento epatico (fibrosi o cirrosi). Inoltre, nei casi non definiti dal punto di vista genetico, la biopsia epatica è un elemento diagnostico essenziale dal momento che permette di definire la reale entità del sovraccarico marziale
attraverso il dosaggio della concentrazione del
ferro intraepatico (HIC, espresso in µol/g) e la
determinazione dell’indice epatico del ferro (HII
= HIC/età) che correla la concentrazione intraepatica di ferro con l’età del paziente. Metodiche
non invasive per la determinazione dell’entità
del sovraccarico marziale includono la SQUID
(superconducting quantum interference device),
una metodica che ha le proprietà paramagneti-
2. Criteri clinici diagnostici e terapeutici delle varie forme di emocromatosi ereditaria.
Malattia
Emocromatosi ereditaria
di tipo 1
Diagnosi*
Aumento ferro
e ferritina sierici
Aumento saturazione
transferrina (>45%)
Emocromatosi giovanile
Aumento ferro
e ferritina sierici
Aumento saturazione
transferrina (>45%)
Emocromatosi di tipo 3
Aumento ferro
e ferritina sierici
Aumento saturazione
transferrina (>45%)
Emocromatosi di tipo 4
Aumento della ferritina
sierica
Normale saturazione
transferrina e sideremia
Emocromatosi neonatale
Aumento di ferro
e ferritina sierici
Aumento saturazione
transferrina (>45%)
Sindrome iperferritinemia-cataratta Aumento di ferritina
sierica (subunità L)
Normale saturazione
transferrina e sideremia
Clinica
Terapia
Esordio 4a-5a decade
di vita
Progressivo accumulo
di ferro nei vari organi
Esordio 2a decade
di vita con ipogonadismo
ed insufficienza cardiaca
Salassi, terapia
ferrochelante
Esordio 4a-5a decade
di vita
Progressivo accumulo
di ferro nei vari organi
La clinica dipende dalla
presenza o meno
di sovraccarico marziale
parenchimale
Massivo accumulo
di ferro a livello
epatico nel periodo
perinatale
Insorgenza precoce
di cataratta
bilaterale. Nessun sovraccarico
parenchimale di ferro
Salassi, terapia
ferrochelante e
trapianto cardiaco
Salassi, terapia
ferrochelante
Salassi, eritropoietina
Trapianto di fegato
Nessuna terapia
ferrodepletiva
* La diagnosi inoltre si avvale dello studio del metabolismo del ferro nei familiari e dell’analisi genetica nelle forme in cui il gene responsabile è stato individuato
M. Franchini, D. Veneri: L’emocromatosi ereditaria
che dell’emosiderina e della ferritina, e la risonanza magnetica con apparecchiature di ultima
generazione.
Terapia
Il cardine della terapia dell’emocromatosi è
rappresentato dal salasso terapeutico, che consiste inizialmente nella rimozione di 350-450 ml di
sangue (contenenti mediamente 200-250 mg di
ferro) 1-2 volte la settimana secondo la tolleranza ematologica e soggettiva del paziente.
L’obiettivo è quello di ottenere uno stato di
ferrodeplezione, cioè raggiungere livelli di ferritina sierica inferiori a 50 µg/L ed una saturazione della transferrina al di sotto del 50%. Una volta terminata la fase iniziale di attacco, il paziente inizia una fase di mantenimento
(generalmente un salasso ogni 2-3 mesi) con l’obiettivo di mantenere la saturazione della transferrina e la ferritinemia al di sotto dei valori
prefissati.
È importante sottolineare che i pazienti che
iniziano la salassoterapia prima dell’instaurazione di danni d’organo irreversibili hanno una
spettanza di vita paragonabile alla popolazione
normale.
Nei pazienti con emocromatosi di tipo 4, è necessario proseguire con la salassoterapia per lungo tempo prima di poter normalizzare i depositi
di ferro, a causa della difficoltà di mobilizzazione del ferro dal sistema reticoloendoteliale 27.
Inoltre, in tali pazienti, dal momento che vi può
essere una ridotta tolleranza ematologica alla
salassoterapia, può essere indicata una concomitante terapia con eritropoietina con lo scopo di
stimolare l’eritropoiesi midollare. Una rapida
anemizzazione durante i salassi si riscontra pure nei pazienti con sindrome iperferitinemia-cataratta; comunque, in questi pazienti, essendo
aumentata la subunità L della ferritina sierica,
non vi è alcun sovraccarico parenchimale marziale e pertanto non è indicata alcuna terapia
ferrodepletiva 17.
Nei casi in cui non è possibile effettuare i salassi per la concomitante presenza di anemia o di
patologie quali cardiopatia e cirrosi di grado
avanzato, può trovare indicazione l’utilizzo di
farmaci chelanti del ferro. Il farmaco per il quale vi è la maggior esperienza clinica è la desferioxamina. Tuttavia, questo farmaco, a causa
dello scarso assorbimento gastrointestinale e
della breve emivita, deve essere somministrato
per via sottocutanea (20-40 mg/kg/die) in infusione continua (8-10 ore) utilizzando una pompa
infusionale 28. Una alternativa a questa modalità
di somministrazione, è l’iniezione sottocute 2 volte al giorno di boli di 1000 mg di desferioxamina 29.
La tabella 2 mostra i principali criteri clinici,
diagnostici e terapeutici delle varie forme di
emocromatosi ereditaria.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Massimo Franchini
Ospedale Policlinico
Servizio di Immunoematologia e Trasfusione
Piazzale Ludovico Scuro
37134 Verona
Tel: 0039-045-8074321 FAX: 0039-045-8074626
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