Ipercalcemia maligna nel cane. Diagnosi

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Ipercalcemia maligna nel cane.
Diagnosi, trattamento e neoplasie ad essa collegate
Laura Marconato, Giorgio Romanelli, Paolo Buracco
Per sindrome paraneoplastica s’intende un gruppo di disordini associati alla presenza di una
neoplasia, ma non correlati a dimensioni o localizzazione della lesione, metastasi o attività
fisiologica del tessuto maturo di origine. Le sindromi paraneoplastiche producono dei segni
che riflettono l’effetto remoto del tumore e non quello diretto dovuto alla crescita o
invasione neoplastica.
La sindrome paraneoplastica può precedere, seguire o coincidere con la scoperta del tumore
connesso, inoltre può fungere da marker di risposta del tumore alla terapia o di recidiva
dopo la remissione.
L’ipercalcemia è un’anomalia biochimica, caratterizzata da un aumento persistente della
calcemia (> 12 mg/dl nel cane e 11 mg/dl nel gatto) ed i tumori (linfoma, timoma,
adenocarcinoma delle ghiandole apocrine dei sacchi anali, mieloma multiplo, carcinomi
metastatici all’osso, neoplasie ossee primitive) ne rappresentano la causa più comune nel
cane e nel gatto.
I normali meccanismi omeostatici lavorano per mantenere i livelli di calcio sierico in un
range stretto, dal momento che l’omeostasi del calcio interviene in numerosi funzioni vitali
intra- ed extracellulari, tra cui formazione ossea e riassorbimento, trasmissione
neuromuscolare, contrazione muscolare, conduzione nervosa, reazioni enzimatiche,
trasporto trans-membranario e stabilità di membrana, coagulazione del sangue, secrezione
ormonale, controllo dei depositi epatici di glicogeno, crescita cellulare e divisione.
La normale omeostasi del calcio è mantenuta grazie all’azione integrata di PTH, calcitonina
e metaboliti di vitamina D (soprattutto calcitriolo). Mentre PTH e metaboliti di vitamina D
intervengono per aumentare la calcemia, la calcitonina interviene in caso di ipercalcemia
per ridurre i livelli di calcio sierico. PTH è prodotto dalle paratiroidi e regola la calcemia
minuto per minuto, al contrario il calcitriolo (metabolita più attivo della vitamina D) è
importante per la regolazione quotidiana della calcemia. La calcitonina è invece prodotta
dalle cellule parafollicolari © della tiroide. Gli organi bersaglio di PTH, calcitriolo e
calcitonina sono: piccolo intestino, reni ed ossa.
I principali meccanismi fisiopatologici all’origine dell’ipercalcemia maligna sono:
1. ipercalcemia umorale: produzione da parte delle cellule neoplastiche di fattori ad
attività ipercalcemizzante, tra cui PTHrP, IL-1, IL-6, TNF-α, TGF-α, TGF-β,
PGE2, fattore attivante gli osteoclasti e calcitriolo.
2. ipercalcemia osteolitica: secondaria a metastasi ossee di tumori solidi o a neoplasie
emopoietiche con interessamento midollare
I sintomi correlati all’ipercalcemia si ripercuotono sul sistema neuromuscolare,
gastroenterico, renale e cardiovascolare. Nel gatto ipercalcemico sono particolarmente
evidenti letargia e anoressia.
E’ molto importante differenziare l’ipercalcemia maligna dall’ipercalcemia non indotta dai
tumori. Le principali diagnosi differenziali devono essere poste con: iperparatiroidismo
primario, insufficienza renale acuta o cronica, ipervitaminosi D, ipoadrenocorticismo,
crescita negli animali giovani, osteomielite.
Per diagnosticare la causa all’origine dell’ipercalcemia sono indicati: anamnesi dettagliata,
esame clinico, esame emocromocitometrico, ematochimica (in particolare calcemia totale e
calcio ionico, azotemia a creatininemia, concentrazione di fosforo), esame delle urine,
radiografia di torace e addome, citologia di linfonodi palpabili. Se tutti questi esami non
consentono di identificare la causa, si ricorre a: ecografia addominale con citologia
ecoguidata di fegato, milza e linfonodi megalici, citologia midollo osseo, dosaggio di PTH,
calcio ionizzato, e PTHrP. In alcuni casi selezionati si procede con test di stimolazione con
ACTH oppure a trial terapeutici con glicocorticoide o chemioterapici (L-asparaginasi).
La terapia dell’ipercalcemia maligna può essere sintomatica (per stabilizzare il paziente) o
d’elezione (per rimuovere la neoplasia responsabile). La terapia sintomatica deve essere
garantita al paziente in attesa della diagnosi eziologica e dell’istituzione di una terapia
d’elezione.
La terapia sintomatica prevede: fluidoterapia con soluzione fisiologica, furosemide, e
glicocorticoidi (soltanto se la causa è stata identificata). Particolarmente utili sono alcuni
farmaci che consentono di ripristinare abbastanza velocemente la calcemia, soprattutto se
refrattaria ai trattamenti precedenti: calcitonina, difosfonati, plicamicina e agenti
alcalinizzanti (bicarbonato di sodio).
Diagnosi e trattamento del carcinoma dei sacchi anali
L’adenocarcinoma dei seni paranali (o sacchi anali o seni anali) deriva dalle ghiandole apocrine del
è la neoplasia più frequente a carico di queste strutture, sembra prevalere nelle femmine sterilizzate
di età media di 10,8 anni (range 5-17) anche se lavori più recenti indicano una uguale possibilità in
maschi e femmine. Non sembra esserci un’evidente predisposizione razziale. Rarissimo nel gatto.
Eziologia e comportamento biologico
Al contrario delle neoplasie benigne di derivazione circumanale, per l’adenocarcinoma del seno
paranale non è dimostrata alcuna ormonodipendenza.
L’adenocarcinoma dei seni paranali è un tumore particolarmente aggressivo, difficile però da
evidenziare clinicamente nelle fasi iniziali a causa della sua localizzazione occulta.
Se di ridotte dimensioni (2-5 mm) la lesione può, infatti, passare inosservata ed essere
incidentalmente rilevata all'esplorazione digito-rettale. Secondo uno studio il tumore sarebbe
clinicamente evidente solo nel 69% dei casi. La lesione può essere bilaterale e l’ulcerazione è rara.
L’animale è in genere condotto a visita solo quando la neoplasia ha raggiunto dimensioni
ragguardevoli, con conseguenti disturbi funzionali della defecazione (nel 34% dei casi), e/o quando
compaiono i segni clinici associati all’ipercalcemia paraneoplastica che si determina fino all’8090% dei casi. La disseminazione metastatica ai linfonodi iliaci (o sottolombari) è frequente e può
essere già presente al momento della prima presentazione (fino al 72% dei soggetti); è comunque
più frequente nelle femmine rispetto ai maschi (metastasi in genere più tardive). La linfoadenopatia
sottolombare può esacerbare il tenesmo defecatorio per compressione dorsale di colon-retto; le
stazioni linfatiche successive sono i linfonodi lombo-aortici. Sono inoltre possibili metastasi
epatiche e, seppur raramente, spleniche, polmonari od ossee (vertebre lombari)
Approccio diagnostico e stadiazione
EMATOLOGIA
Gli esami ematologici sono solitamente nella norma tranne il valore del calcio ematico che può
essere elevato in una percentuale che varia dal 50 al 90%
ESPLORAZIONE RETTALE: per valutare l’estensione del processo neoplastico e l’eventuale aumento
di volume dei linfonodi sottolombari. I linfonodi iliaci, localizzati alla quadriforcazione dell’aorta
addominale, sono apprezzabili al loro polo caudale come masse ovoidali al di sotto della colonna.
ESAME ECOGRAFICO: per la linfoadenopatia sottolombare (soprattutto in soggetti di grossa taglia nei
quali il dito esplorante non raggiunge l’area del linfonodo), linfonodi lomboaortici, fegato e altri
organi addominali. Nel corso dell’ecografia, su tali strutture, è possibile effettuare anche biopsie ad
ago sottile ecoguidate
ESAME TC per misurare in modo accurato la linfoadenopatia e le eventuali metastasi polmonari .
BIOPSIA: nei soggetti con adenocarcinoma del seno paranale, l’esame citologico è in genere
diagnostico e la biopsia incisionale trova poche indicazioni.
Sindromi paraneoplastiche
Per le neoplasie di questa regione la più significativa è l’ipercalcemia, frequente in caso di
adenocarcinoma del seno paranale e che è dovuta alla produzione da parte del tumore di una sostanza
paratormone-simile; non necessariamente la sua presenza implica ipercalcemia ma sicuramente essa
gioca un importante ruolo nella patogenesi di questa alterazione metabolica.
Si ricordi che l’ipercalcemia, a seguito dell’asportazione chirurgica del tumore e delle sue eventuali
metastasi, si risolve per poi ricomparire con lo sviluppo della recidiva o di altre metastasi (marker
tumorale).
Terapia
Si basa su escissione chirurgica (sempre bilaterale), linfoadenectomia (quando indicato) e
chemioterapia adiuvante.
L’escissione chirurgica è in genere marginale considerato che, nella maggior parte dei casi, la
disseminazione linfatica è già avvenuta rendendo inutile la rimozione “en bloc”.
I linfonodi iliaci e/o lomboaortici, anche se molto ingranditi, sono esplorati e, se possibile, escissi per
via celiotomica. I linfonodi asportati, al pari della lesione primaria, sono sottoposti a esame
istologico.
L'uso della chemioterapia a base di doxorubicina, mitoxantrone, ciclofosfamide, cisplatino o
carboplatino può risultare utile; anche nel gatto l’uso del carboplatino o della doxorubicina può
prolungare la sopravvivenza. Recentemente è stato proposto l’uso adiuvante, nel cane, del solo
melphalan: la sopravvivenza mediana nei cani con lesioni anche metastatiche è risultato di 20 mesi,
in quelli con tumore solo a livello dei seni di 29,3 mesi, senza differenze significative fra i due
gruppi (7 cani in ciascuno). L'irradiazione della parte, oltre che della regione retroperitoneale, è
un’ulteriore opzione. In uno studio, a seguito di escissione chirurgica e irradiazione adiuvante, si è
registrata una sopravvivenza media di 12,7 mesi (mediana 8,3; range 1,5-39 mesi); la maggior parte
dei cani colpiti è stata poi sottoposta ad eutanasia per recidiva e/o metastasi.
Fattori prognostici
I fattori prognostici negativi sono il coinvolgimento metastatico dei linfonodi regionali e
l’ipercalcemia; in uno studio recente, comunque, l’ipercalcemia non avrebbe influito in modo
significativo sulla sopravvivenza. La sopravvivenza mediana varia da 6 a 16 mesi a seconda che la
disseminazione metastatica sia presente o meno al momento della diagnosi. Recidiva locale, dopo
escissione, si rileva in almeno metà dei casi.
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Modificato da “Oncologia del cane e del gatto” ed. Elsevier Masson con il permesso dell’editore
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