LA GUERRA DI TARANTO …ovvero come Roma finì di diventare signora d’Italia ORIGINE DELLA GUERRA TRA ROMA E TARANTO La questione di Thurium Thurium (o Thurii) è fondata dai superstiti di Sibari circa cinquant’anni dopo la distruzione da parte di Crotone E’ l'unica colonia greca nella zona rimasta in mano ad un governo aristocratico E’ assediata da un esercito lucano capitanato da STATILIO. A quel punto, Turio chiede aiuto a Roma, che sostiene tutte le aristocrazie dell'Italia centrale e meridionale L’azione romana Il console CAIUS FABRICIUS LUSCINUS, con un esercito parte alla volta di Thurii i Lucani sono sconfitti e lo stesso STATILIO cade prigioniero E’ il 282 a.C. (l'anno di Roma 472): A Turio è lasciato un presidio. Sono i primi soldati romani sull’Adriatico e subito dopo sullo Ionio Taranto, città ricca ed importante, egemone dell’Italia meridionale, osserva non indifferente e piuttosto preoccupata, l’avanzata romana verso il sud. Il capo Lacinio o Colonna 1 Il capo Lacinio o Colonna 2 Il casus belli (1) Sin dal 301 a.C. (453 a. di R.) Roma si era impegnata con Taranto a non oltrepassare con le sue navi il promontorio Lacinio (odierno Capo Colonna in Calabria – KR) In quello stesso 282, o per le condizioni precarie in cui si trovava il presidio di Thurii, o per necessità di mandare navi in Adriatico (nel 283 aveva fondato a sud del territorio dei Senoni, la colonia Sena Gallica - od. Senigallia) Roma manda una flotta nello Ionio Le navi, o per imprudenza (o volutamente per scatenare proteste e quindi avere un pretesto) non solo superano il promontorio, ma entrano nel porto di Taranto, violando apertamente il foedus Il casus belli (2) A Taranto è festa, e la popolazione assiste ai giochi nell'anfiteatro che sorge vicino e quindi guarda il mare Un tale FILOCARI, viste all'orizzonte le navi romane dirette al porto, comincia ad urlare per istigare il popolo a punire i violatori del trattato. Il popolo tarantino da qualche tempo odia Roma per le mire espansionistiche e per gli aiuti sempre prestati ai governi aristocratici del Sud; dunque si dirige al porto e assale le navi già attraccate o vicine; uccide l'ammiraglio, cattura la sua nave, ne affonda un'altra, le altre a stento riescono a fuggire lasciando a terra molti uomini fatti subito prigionieri. I Tarantini marciano contro la vicina Turio, sopraffanno il piccolo presidio romano, poi saccheggiano la città. L’invio di Postumio Roma è ancora alle prese con i Galli e gli Etruschi e non vuole far scoppiare una guerra tale da coinvolgere colonie greche o richiamare in Italia eserciti greci o cartaginesi Manda un'ambasceria, guidata da POSTUMIO, a chiedere indietro i prigionieri e la nave catturata, lo sgombero di Thurium e la consegna dei colpevoli Esito disastroso dell’ambasceria Gli ambasciatori sono sbeffeggiati per il loro pessimo greco, e siccome Postumio ha pronunciato delle minacce, sono costretti a lasciare subito la città fra insulti e sputi e anche peggio. Le fonti antiche greche e romane parlano infatti di un tal FILONIDE che, debitamente sbronzo, solleva la tunica e, alzata la gamba a mo’di cane, orina direttamente sopra lo stupefatto Postumio (Scurra quidam Philonides sacra legatorum vestimenta canis impudentis instar urina respersit). Secondo altre fonti si sarebbe trattato di manate di sterco bovino La reazione di Roma Il Senato, davanti al nuovo sgarbo, si trattiene, ma incarica il console EMILIO BARBULA, già nel Sannio, di andare a Taranto con le legioni a proporre le stesse condizioni di Postumio e dichiarare guerra, se rifiutate E'l'anno 281 a.C. (il 473 di Roma). Taranto rifiuta e scoppia la guerra Pirro, re dell’Epiro La spedizione di Pirro L’Epiro, la Tessaglia, la Macedonia LA DINASTIA EACIDE Secondo la leggenda PIRRO O NEOTTOLEMO, figlio di Achille, conquista Troia, uccide Priamo e si prende Andromaca come preda di guerra. Alla fine della guerra si stabilisce in Epiro, i cui sovrani cominciano a vantarsi di essere suoi discendenti attraverso Molosso, figlio suo e di Andromaca. Da ciò l'Epiro si chiamò anche terra dei Molossi. Il padre del nostro Pirro, un certo Eacida, si inventa lui pure una discendenza reale antichissima dalla stirpe di Achille, per fini politici. PIRRO PIRRO, re dell'Epiro, figlio di Eacida e di Ftia (318 a.C. - Argo 272) appartiene dunque alla dinastia eacide e si vanta di discendere da Alessandro Magno ed Achille. Il nome del condottiero verosimilmente denota un aspetto fulvo (Pirro) Pirro e la madre: come Alessandro? Le fonti tacciono sulla figura della madre di Pirro, per cui su Ftia le uniche notizie che si hanno dovrebbero derivare o dalle "Memorie" scritte dallo stesso Pirro, o soprattutto da Plutarco, unica fonte pervenutaci sulla vita di Pirro. Per focalizzare bene il personaggio bisognerebbe però tener presente l'influenza di Ftia, cui sappiamo che egli era legatissimo. Prime conquiste e gioventù Eredita il regno giovanissimo dal padre EACIDA (307306 a.C.) Perde però il regno nel 302 e segue la sorte del cognato DEMETRIO POLIORCETE fino alla disastrosa battaglia di Ipso del 301, dove pure combatte egregiamente Divenuto ostaggio dell'Egitto, inviato ad Alessandria nel 298, con l'aiuto di TOLOMEO I, di cui ha sposato in prime nozza la figliastra ANTIGONE, rientra in patria, condividendo dapprima il regno con Neottolemo, poi eliminandolo, regnando da solo (295) Successivamente entrò in competizione con i diadochi con lo scopo di costituirsi un grande regno completamente suo Verso il 285 a.C., ha grande successo, mantenendo l'Epiro completamente libero dalla Macedonia Si impadronisce anche di metà della stessa, di una gran parte della Tessaglia, di parecchie regioni confinanti e dell'isola di Corcira, portata in dote dalla nuova moglie LANASSA, figlia di AGATOCLE. Morto questo, Pirro guarda anche alla Sicilia, su cui vanta dei diritti in nome del figlio Pirro è un generale brillante, ma ha scarse qualità politiche Tutta la sua carriera è divisa tra la tentazione di avere un Impero ad Oriente e quella di una conquista verso Occidente I suoi piani di di grandezza sono stroncati però da LISIMACO, che nel 284 a. C. lo priva di tutte le conquiste Pirro allora si volge verso l'Occidente, con lo scopo di riunire sotto di sè le colonie greche dell'Italia meridionale e della Sicilia, tentando di sottrarle al dominio dei Romani e dei Cartaginesi A questo punto viene chiamato in aiuto dai Tarantini PREPARATIVI DEL RE PIRRO, come del resto Roma, non aspetta altro Accetta con entusiasmo la richiesta dei Tarantini che è l'occasione di tradurre in realtà il suo sogno. Proprio nell'anno 281 a.C. (473 di Roma), quando le richieste di BARBULO sono rifiutate) invia subito in Italia come luogotenente, MILONE con 3.000 Epiroti come presidio per la cittadella di Taranto. PIRRO ARRIVA IN ITALIA L'anno dopo, PIRRO raggiunge le coste della penisola. Ha con sé un esercito di 20.000 fanti, 2.000 arcieri, 500 frombolieri, 3000 cavalieri e 20 elefanti, ma durante il viaggio alcune navi con a bordo numerosi soldati fanno naufragio. Crede di trovare in Italia un grosso esercito promesso dalle città greche ed invece non solo non lo trova, ma gli stessi Tarantini si stupiscono quando Pirro dice loro che l'esercito condotto dall'Epiro non è sufficiente ed occorre arruolare altri mercenari. Problemi con Taranto Questa idea non piace affatto a Taranto, costretta a spendere altro denaro e a mandare sotto le armi i propri cittadini; Pirro allora ricorre alla forza Obbliga i Tarantini validi ad arruolarsi, sistema i soldati nelle case, proibisce le assemblee pubbliche, fa chiudere il teatro, i bagni, il ginnasio, mette guardie alle porte della città Vere intenzioni di Pirro Taranto è trattata non come un’alleata, ma come una città conquistata. Il re mostra chiaramente di esser venuto non come capo di un esercito mercenario a servizio di uno stato, ma come un re che vuole impadronirsi dell'Italia e della Sicilia Noi sappiamo bene che questa non è un'impressione ma ciò a cui Pirro mira apertamente BATTAGLIA DI ERACLEA (280 a.C.) L'arrivo di PIRRO in Italia, i suoi piani ambiziosi, la sua fama di guerriero e capitano, gli elefanti che ha con sé, mai visti nella Penisola fino allora, preoccupano molto Roma, consapevole della gravità della guerra. Temendo che la presenza di Pirro provochi ribellioni nelle città sottomesse o tradimenti in quelle alleate, Roma invia forti guarnigioni nelle città di lealtà dubbia e obbliga altre a consegnare ostaggi Fra queste ultime c’è PRENESTE, che è costretta a dare a Roma i suoi magistrati. Preparativi a Roma I preparativi di guerra sono notevoli. E’ imposta una tassa straordinaria di guerra e si arruolano tutti i cittadini idonei alle armi, proletari compresi. Sono formati QUATTRO eserciti dei quali uno deve restare a Roma -si dice- come riserva, ma in effetti, a guardia della capitale e in pieno assetto di guerra, pronto ad intervenire contro eventuali rivolte Il secondo, comandato da T. CORUNCANIO, va in Etruria per tenere a bada quelle popolazioni Il terzo, al comando del proconsole EMILIO BARBULA, si reca nel Sannio, di cui i Romani, nonostante la pace, si fidano poco Il quarto, capitanato dal console P. VALERIO LEVINO, ha il compito più difficile: quello di marciare contro Pirro. Battaglia di Eraclea Per un’eccellente descrizione della battaglia, dettagliata sino al masochismo si veda http://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Eraclea ….Prima della battaglia Pirro è accampato sulle rive del fiume Liri; non ha fretta perché aspetta rinforzi. La posizione scelta è ottima: tra Pandosia ed Eraclea e il fiume, protetto quindi da un improvviso attacco; inoltre se i Romani tentassero di passare il fiume, potrebbe arrecare loro gravissimi danni. Contromisure romane Il console LEVINO, si rende subito conto di quanto sia difficile per le sue legioni passare il fiume sotto la pressione del nemico. Fa passare per prima la cavalleria, abbastanza lontano dal campo avversario, ed ordina di assalire ai fianchi l'esercito di Pirro per tenerlo impegnato quel tanto che basta a dare tempo alle fanterie di guadare il fiume. Gli ordini sono eseguiti con precisione e l'esercito riesce ad effettuare facilmente il passaggio, mentre la cavalleria romana assale e impegna il nemico. La fase centrale della battaglia 1 Benchè mercenario e multietnico, l'esercito di Pirro è estremamente saldo: sono veterani ottimamente addestrati ed espertissimi. E’ una giornata durissima, e la vittoria è sempre incerta. Lentamente il combattimento comincia a volgere a favore dei Romani, anche per lo sgomento degli avversari quando, dopo che la cavalleria di Levino ha avuto il sopravvento su quella tessalica, muore un capitano dell'esercito greco, MEGACLE. La fase centrale della battaglia 2 MEGACLE indossava un'armatura simile a quella di Pirro e si sparge la voce che il re è morto La notizia, diffusa in entrambi gli eserciti, rafforza ai Romani ma sgomenta le falangi greche, che iniziano a vacillare; a quel punto Pirro intuisce la gravissima crisi morale dell'esercito, e per smentire la falsa notizia, a capo scoperto per farsi riconoscere, è costretto a percorrere tutto il campo di battaglia, incitando le truppe Lucae boves… Arrivano gli elefanti… A questo punto Pirro per incoraggiare i suoi e per ottenere l'effetto opposto coi nemici, improvvisamente dà il segnale di far entrare in battaglia gli elefanti. La comparsa degli elefanti, atterrisce i legionari romani che mai prima di allora avevano visto dal vivo animali tanto grandi e paurosi. Provano inutilmente a bersagliarli con frecce …e succede un disastro! La cavalleria romana si scompiglia, e i cavalli imbizzarriti, fuggendo all'indietro, provocano la confusione e il terrore tra i fanti, trascinando così anche loro in una fuga isterica e disordinata La cavalleria tessalica incalza i Romani ed inizia a massacrarli. Pochi minuti ed è il disastro Ecco il bilancio della battaglia: dei Romani, morti settemila, prigionieri duemila, feriti quindicimila; dei Greci, morti quattromila e un gran numero di feriti. Conclusioni su Eraclea Le gravi perdite dei Romani a Eraclea non sono soltanto dovute alla novità degli elefanti; quel giorno ha avuto luogo un'altra cosa nuova (fondamentale nella storia dell'arte militare), cioè il primo scontro diretto tra falange macedone e legione romana. La tecnica -attribuita a Filippo II di Macedonia- era di disporre in schiere serrate un contingente di fanteria, il che permetteva la formazione di un muro compatto, offensivo e difensivo, di cui elemento fondamentale era lo scudo. Era stato uno dei principali strumenti della strategia macedone, con Filippo II e il figlio Alessandro Magno. E ADESSO? La vittoria a Eraclea ha dato ragione a Pirro, ma a che prezzo! Il re però è quasi convinto che il suo sogno inizi ad avverarsi. I Romani hanno lasciato la Lucania e si sono portati in Campania ed Apulia Pirro, che conosce poco e male la situazione in Italia, sperando di far ribellare i Latini, manda ambasciatori nelle loro città e chiede di unirsi a lui Insuccessi e speranze Con sorpresa, riceve rifiuti dalla maggior parte di esse e solo allora si accorge di avere a che fare con una nazione potentissima e totalmente diversa dalle realtà ellenistiche Ha tuttavia un'altra speranza : l'Etruria è in guerra con Roma e l'annuncio di Eraclea darà agli Etruschi -crede- forza e coraggio, determinando quindi l'intensificazione della guerra alle frontiere settentrionali dello stato romano. L’avanzata di Pirro verso Roma Pirro avanza verso Roma Pirro marcia verso Roma conquistando facilmente Fregellae, Anagni e Preneste, ma, arrivato lì, anche se è vicinissimo a Roma, una notizia lo arresta: l'Etruria ha concluso la pace con Roma e l'esercito di T. CORUNCANIO marcia in direzione sud. Inoltre viene a sapere che Roma prepara altri eserciti che presto entreranno in azione. Pirro si ferma e torna a Taranto Pirro, che è un emotivo, cade repentinamente dalla speranza e dalla fiducia nello sconforto Benchè vittorioso, il re si rende conto di essere in un paese nemico, di fronte ad un popolo coraggioso, militarmente forte, pronto a combattersi fino alla fine. Dunque non ritiene opportuno di rimanere lontano dalla sua base e si ritira a Taranto, per passare l'inverno fra 280-279 a.C. (474-475 di Roma) Pirro e Caio Fabrizio Pirro e Caio Fabrizio 1 Durante questa sosta, arriva a Taranto un'ambasceria, del Senato per chiedere il riscatto dei prigionieri. A capo c’è il proconsole CAIO FABRIZIO LUSCINO e Pirro, sapendo quanto conta quest'uomo a Roma, pensa di spingerlo a convincere il Senato alla pace. Lo riceve e lo ospita lussuosamente e lo invita ad un grande banchetto; poi, rimasto solo con lui, gli offre doni ricchissimi e gli promette molto denaro ed onori se spingerà i Senatori alla pace. Fabrizio rifiuta Pirro e Caio Fabrizio 2 Non riuscendo a corrompere Fabrizio con l'oro, prova a spaventarlo Il giorno dopo l'ambasciatore romano è nella tenda del re e parla con lui quando, improvvisamente, un gigantesco elefante appare sulla soglia, ed emettendo un terribile barrito, alza minaccioso la proboscide sul capo di Caio Fabrizio. Anche Fabrizio non ha mai visto gli elefanti, ma rimane tranquillo e, rivolto a Pirro, gli dice: "Tu oggi mi vedi come io ero ieri; e come ieri non mi ha vinto la potenza del tuo oro così oggi non mi terrorizza la minacciosa presenza del tuo bestione" La questione dei prigionieri Pirro, anche di fronte al fallimento delle sue intenzioni, concede che i prigionieri della battaglia di Eraclea tornino a Roma purchè ritornino da lui se entro un termine stabilito il Senato non avrà accettato la pace Pirro spera così di conquistare l'opinione pubblica romana ma il Senato decide di continuare la guerra e, scaduto il termine fissato dal re, pur essendo una decisione terribile, tiene fede al patto e gli restituisce i prigionieri Cinea a Roma Pirro non si scoraggia e invia a Roma il suo segretario tessalo CINEA, uomo astutissimo ed eloquente Cinea, arrivato a Roma, prima di presentarsi in Senato, visita le case dei cittadini più importanti e riempie di regali le signore; andato poi in Senato, pronuncia un discorso abilissimo, in cui, dopo aver lodato la bravura militare e le doti civili dei Romani, rinnova le proposte di Pirro Le proposte di Pirro Il re chiede non solo la libertà per le colonie greche dell'Italia meridionale, ma anche l’impensabile restituzione a Sanniti, Lucani, Bruzii, Dauni ed Apuli dei territori a loro strappati, comprese Venusia e Luceria. Accettando queste condizioni impossibili, Roma rinuncerebbe all’unificazione dell’Italia, rendendo inutili tanti anni di guerre e cancellato tutta la sua vocazione e la sua storia. I senatori però rimangono dubbiosi. L’abile discorso di Cinea e, più ancora, i suoi doni stanno producendo forse un certo effetto. APPIO CLAUDIO Appio Claudio Cieco Spazza via le indecisioni il discorso di APPIO CLAUDIO, il cieco, uomo carico di anni, autorevole e rispettato, una sorta di leggenda vivente Era stato sempre in prima file nelle guerre contro Etruschi, Sanniti, Sabini A lui Roma deve il suo primo acquedotto, la via Appia, teatri, basiliche, palazzi; pur essendo un patrizio nobilissimo, è stato lui a concedere l'accesso al Senato ai cittadini di umile origine e ai figli dei liberti Appio è stato una volta censore e due volte console, risultando gradito anche alla parte più povera della plebe L’intervento di Appio Appio Claudio rimprovera con durezza ai Senatori la loro viltà, ricorda il valore delle legioni e le passate imprese di Roma Il suo discorso è così infuocato che il Senato, uscito dall'indecisione, risponde che non intende discutere nessuna pace se prima Pirro con il suo esercito, non si sarà allontanato dall'Italia BATTAGLIA DI AUSCULUM (279 a.C.) Le forze in campo per Pirro A questo punto Roma e Pirro intensificano i loro sforzi per chiudere la guerra con una grande affermazione decisiva Pirro ha triplicato il suo esercito. Delle truppe condotte dall'Epiro non gli rimanevano che circa 15.000 soldati, ma oltre 50.000 uomini ha potuto reclutare fra colonie greche, Lucani, Bruzii e Sanniti ed ai 3.000 cavalieri di Tessaglia ha aggiunti 5.000 cavalieri I suoi fanti sono ora quasi 70.000 e 8.000 i cavalieri. Diciannove gli elefanti Le forze in campo per Roma ROMA ha risposto generosamente all'appello del Senato, offrendo 20.000 uomini; mentre gli alleati, Umbri, Arpani, Marrucini, Peligni, Frentani, Latini, Volsci, Sabini, Campani, ne forniscono oltre 50.000. Questo grande numero di soldati e il rifiuto opposto a Pirro di ribellarsi dimostrano che Roma in poco tempo ha saputo comunque imporsi ai suoi alleati. La cavalleria romana risulta pari di uomini e forze rispetto a quella nemica Preparazione alla battaglia L’esercito romano è più omogeneo, meglio addestrato ed ha soprattutto il vantaggio della snellezza della formazione, visto che le legioni sono divise in manipoli Invece la disposizione in lunga e rigida falange toglie all'esercito di Pirro elasticità di movimenti e non ne fa uno strumento ottimo per l'offesa, anche se efficacissimo alla difesa Pirro, conoscendo i problemi delle sue truppe, stabilisce di alternare i soldati italici con le sue falangi e di mettere pressochè al centro i suoi Ancora gli elefanti E’ comunque sugli elefanti che il re fa maggior affidamento, sperando in un ripetersi dell’effetto sorpresa. I Romani hanno provato a prendere contromisure per neutralizzare gli elefanti, costruendo appositamente delle specie di carri armati dotati di sbarre mobili che sostenevano all'estremità dei bracieri; hanno infatti imparato che i pachidermi sono impauriti dal fuoco Ausculum, gli schieramenti Lo scontro: prima fase Lo scontro avviene in Apulia presso Ausculum (od. Ascoli Satriano). Comandano le truppe romane i consoli PUBLIO SULPICIO e PUBLIO DECIO MURE Il campo di battaglia è boscoso ed accidentato, il che impedisce alle cavallerie di combattere bene; il grosso del combattimento è delle fanterie Inizialmente lo schieramento epirota si flette al centro sotto l’attacco dei legionari, lasciando avanzare i Romani Lo scontro: prima fase Lo scontro: seconda fase La legione III e IV riescono a spingersi molto in avanti e addirittura a saccheggiare il campo epirota La reazione di Pirro, coi rinforzi e soprattutto cogli elefanti, è molto forte e tende a chiudere i Romani in una sacca Il console Mure, vedendo i suoi comunque in difficoltà cogli elefanti ed incerto l’uso dei carri, imitando il padre e il nonno, si offre in sacrificio per richiedere la vittoria dei Romani (devotio), ma il tentativo è vano e non ottiene lo stesso successo. Lo scontro: seconda fase Lo scontro: terza fase La cavalleria romana è respinta La III legione patisce molte perdite ed è bloccata in posizione di difesa Non è tuttavia una sconfitta come ad Eraclea. I Romani si ritirano a poca distanza dal campo, oltre il fiume Aufidus (od. Ofanto), pronti al combattimento. Il re rischia la vita, ferito ad un braccio da un giavellotto Lo scontro: terza fase Conseguenze di Ausculum Le perdite romane sono anche stavolta più gravi di quelle del nemico. 6.000 legionari rimangono sul campo, mentre Pirro perde soltanto 3.500 uomini. Pirro non è contento; secondo la tradizione, dopo la battaglia esclama: "Ancora una vittoria come questa e tornerò in Epiro senza soldati" Alcuni storici affermano che queste parole furono pronunciate invece dopo la battaglia di Eraclea Secondo altri storici la battaglia presso Ausculum si combatté con esito incerto e forse hanno ragione perché se Pirro veramente avesse sconfitto i Romani, avrebbe continuato la guerra, provando subito a conquistare l'Apulia e il Sannio La “leggenda” dei prigionieri La tradizione attribuisce la successiva decisione di rilasciare i prigionieri alla virtus di FABRIZIO ed all’elegante riconoscenza di Pirro. Si racconta infatti, che un giorno a Fabrizio si presentò il medico di Pirro e gli propose in cambio di denaro di avvelenare il suo re Fabrizio, sdegnato, rifiutò il tradimento e informò Pirro, consigliandolo a scegliere meglio per l'avvenire i propri amici e collaboratori. Il re, commosso, restituì -senza riscatto- tutti i prigionieri romani Considerazioni… L’episodio precedente è molto probabilmente leggendario e comunque sarebbe ingenuo pensare che un atto di generosità, anche se importante, possa aver prevalso da solo sui piani ambiziosi concepiti da tanto tempo da Pirro. Pirro aveva in realtà smesso di credere nella vittoria e nel successo Probabilmente era anche venuto a sapere che Cartagine era disposta ad aiutare i Romani e questo lo preoccupava moltissimo. Pirro in Sicilia (278 a.C.) ROMA in effetti ha chiesto aiuto contro Pirro ai Cartaginesi, che non ignorano i piani di Pirro contro i loro interessi Infatti il re ha intenzione di passare in Sicilia, dove Cartagine controlla Agrigento e la parte occidentale dell’Isola) La potenza africana invia velocemente una potente flotta e molti soldati. Le navi puniche arrivano al largo del porto di Ostia Gli aiuti cartaginesi arrivano però quando Pirro ha già stipulato di nascosto un trattato con Roma: se ne andrà purchè Taranto non sia attaccata Per questo motivo, alle truppe di Cartagine non è permesso lo sbarco Motivazioni di Pirro Pirro si allontana dall'Italia per due motivi: l'impossibilità di vincere la guerra contro Roma e l'occasione che gli si offre di impadronirsi della Sicilia. L'Isola è in gran parte in mano dei Cartaginesi, che, assediando Siracusa, stanno per diventare padroni assoluti. La nobiltà siracusana chiede dunque aiuto a Pirro, che accetta L’arrivo di Pirro in Sicilia Pirro lascia in Italia due presidii, uno a Taranto, comandato da MILONE, l'altro a Locri sotto il comando del figlio ALESSANDRO, e s'imbarca per la Sicilia. All’arrivo riceve accoglienze grandiose a TAUROMENIO e a KATANE I due capi della nobiltà di Siracusa, SOSTRATO e SENONE, gli offrono la loro obbedienza e sostegno. Primi effetti dell’arrivo di Pirro Pirro è accolto come un liberatore, e per questo riesce ad arruolare molti uomini, trovandosi nella possibilità di combattere i Cartaginesi La stessa Agrigento insorge e caccia i Punici Le imprese di Pirro all'inizio sono positive; sconfitti in diversi luoghi, i Cartaginesi sono costretti a lasciare nelle mani del re molte città e, tolto l'assedio a Siracusa, si riducono all'estrema punta occidentale dell'isola Progetto di portare la guerra in Africa Inorgoglito ed incoraggiato dalle vittorie, Pirro insegue i Cartaginesi ed assedia la loro fortezza di LILIBEO (Marsala) Questa però resiste e, dopo due mesi di assedio inutile, Pirro, impaziente, pensa di spostare la guerra in Africa, proprio come aveva fatto un tempo il suocero Agatocle L’impresa è impossibile su larga scala. La flotta cartaginese è la signora incontrastata del Mediterraneo e a Pirro mancano non tanto le navi quanto i rematori; i Siciliani non lo aiutano Ennesimo fallimento Mostrando le sue deficienze politiche, Pirro si “suicida” logisticamente; i suoi mercenari, rifiutando ogni rapporto o collaborazione cogli abitanti dell'isola, compiono ogni genere di violenza e si rendono odiosi a tutti Rapidamente la posizione dell’Epirota diventa tanto insostenibile da essere costretto a lasciare la Sicilia SVILUPPI IN ITALIA Mentre Pirro cerca inutilmente di attaccare i Cartaginesi in Africa (278-276 a.C - anni di Roma 476-478), Roma attacca di nuovo i popoli del Sud Il console FABRIZIO, nel 278, combatte vittoriosamente contro i Lucani, i Bruzii, i Salentini e i Tarentini In quello stesso anno la città di Eraclea si consegna ai Romani Nel 277 il console PUBLIO CORNELIO RUFINO conquista Locri cacciando i soldati di Pirro. Le operazioni continuano nel 276 ed i Romani battono più volte i Sanniti, i Bruzii e i Lucani Ritorno di Pirro Proprio nel 276 a Pirro giunge dall'Italia la richiesta a tornare in Puglia. Il re lascia la Sicilia, dopo avere saccheggiato parecchie città, portandosi via un grandissimo bottino Nel passare lo stretto perde però sessanta navi affondate dai Cartaginesi Alla fine riesce ad arrivare nella Penisola, ma questa volta come un avventuriero spietato e senza scrupoli, e per giunta colla triste fama delle sconfitte navali e delle violenze commesse in Sicilia Pirro a Locri e poi a Taranto Fra Reggio e Locri, PIRRO è assalito dai MAMERTINI, bellicosa popolazione di mercenari campani Entra a Locri e saccheggia il ricco tesoro del tempio di Proserpina Il re s' imbarca per Taranto BATTAGLIA DI MALEVENTUM (275 a.C.) La ricomparsa di Pirro preoccupa comunque moltissimo Roma. I cittadini sono nuovamente chiamati alle armi e lo stato costringe coloro che rifiutano di arruolarsi, punendoli colla confisca dei beni. Sono formati due eserciti al comando dei consoli MANIO CURIO DENTATO e LUCIO CORNELIO LENTULO Il primo è destinato al Sannio, il secondo in Lucania. I prodromi dello scontro PIRRO cerca di impedire che gli eserciti dei due consoli si uniscano: vorrebbe infatti combatterli separatamente. Con una veloce marcia trasferisce il suo esercito nel Sannio e, venuto a sapere che l'esercito nemico si è accampato sulle alture di Maleventum, cerca di sorprenderlo di notte Al campo romano però il livello di guardia è alto e dunque, fallito il tentativo, Pirro si accampa nella pianura Qui lo assale con estrema violenza l’esercito di CURIO DENTATO La battaglia decisiva Da entrambe le parti si combatte fino all'estremo; questa volta però i legionari non si lasciarono impaurire dagli elefanti; anzi, li bersagliano con frecce infuocate, facendo perdere il controllo a chi li guida. L'effetto è micidiale: feriti dai dardi, gli elefanti fuggono come impazziti, e arretrando si avventano proprio contro gli stessi soldati di Pirro, causando una confusione generale e totale I Romani fanno il resto; si slanciano contro il nemico procurando enormi perdite. A Maleventum, che da allora prende il nome di Beneventum sono fatti prigionieri 1.300 Epiroti e catturati quattro elefanti Il Trionfo CURIO DENTATO tornando a Roma per il meritato trionfo, conduce uomini e animali come trofeo; a Roma mai nessuno aveva visto gli elefanti Anche i soldati epiroti destarono l'ammirazione: finalmente gli abitanti dell’Urbe vedevano da vicino gli uomini della "Falange Macedone" tanto famosa dai tempi di Alessandro L'orgoglio di vederli sfilare prigionieri, diede l'impressione a molti che Roma, stesse superando la fama del macedone, e che i Romani sarebbero diventati di lì a poco i padroni del mondo Anche il bottino conseguito fu enorme e il denaro da questo ricavato fu impiegato per la costruzione dell'acquedotto che porta le acque dell‘Aniene, da Tivoli a Roma MORTE DI PIRRO E CADUTA DI TARANTO La vittoria di CURIO DENTATO è decisiva per la guerra e per lo stesso Pirro Questo, rimasto con un esercito debolissimo e demoralizzato, cerca aiuti in Macedonia senza trovarne alcuno L'Italia ormai è per lui una causa persa Decide allora di tornare in Grecia, pur senza abbandonare del tutto la Penisola. Lascia a Taranto una piccola guarnigione al comando di MILONE e parte per la Grecia, dove combatte per tre anni contro ANTIGONO GONATA re di Macedonia Con una serie di fortunate operazioni gli toglie gran parte del regno; ma non riesce minimamente nel suo obiettivo di tutta una vita: un regno ampio e potente Antigono Gonata Pirro in Grecia. Da poco Antigono è signore della Macedonia quando Pirro torna dall'Italia La potenza di Antigono va dalla Macedonia alla Grecia e sembra a Pirro una minaccia per lo stesso Epiro Quindi, appena tornato, nel 274, lo attacca e lo sconfigge; anche nell'anno successivo Antigono non riesce ad avere la meglio su Tolomeo, il figlio di Pirro I Greci cominciano anch’essi a ribellarsi contro Antigono; gli Etoli e gli Achei si schierano con Pirro, che entra nel Peloponneso Antigono lo segue, e nel 272 a. C. i due avversari si scontrano presso Argo, spostando poi la lotta nella città, dove per le vie si svolge un aspro combattimento Qui, dall'alto di un tetto, una vecchia scaglia e colpìsce Pirro con una tegola che gli spezza la nuca sotto l’elmo, uccidendolo sul colpo Epilogo Non ha dunque compiuto ancora i cinquant'anni quando nel 272 a.C. (482 di Roma), ad Argo, la tegola lanciatagli per vendetta da un'anonima donna lo colpisce in pieno e gli tronca la vita e le speranze. Gli succede il figlio, Alessandro II, ma questi in breve perde il controllo di tutte le regioni greche e macedoni conquistate dal padre. Si compie il destino di Taranto Morto Pirro, la situazione di MILONE a Taranto diventa insostenibile Nel golfo di Taranto appare una flotta cartaginese, chiamata dai Tarentini, per aiutarli a cacciare il presidio epirota MILONE però consegna la rocca al console romano PAPIRIO che si trovava poco lontano dalla città, e così Taranto cade in potere dei Romani, che con costringono poi i Cartaginesi ad allontanarsi e lasciano partire Milone i suoi soldati PAPIRIO fa subito smantellare le mura della città, le impone un tributo di guerra e le sottrae tutte le armi e le navi Il “sacco” di Taranto Sulle imbarcazioni viene caricato tutto ciò che di bello orna la ricca Taranto; statue, quadri, oggetti preziosi, ogni cosa; tutto arriva a Roma, suscitando in certi ambienti, ancor più meraviglia degli elefanti stessi La cosa più rimarchevole però, è l’arrivo a Roma anche dei "cervelli", i matematici, i filosofi, i letterati Fra i prigionieri che giungono a Roma c’ è ad esempio LIVIO ANDRONICO, considerato l'iniziatore della LETTERATURA LATINA, nella quale fa entrare il teatro. Con la sua traduzione dal greco dell'ODISSEA abbiamo la prima opera letteraria in latino a noi nota (anche se ne sono rimasti solo frammenti) Probabilmente per questo motivo Roma evita dal fare a Taranto vendette e di infliggere punizioni, ammettendo anzi la città fra le sue alleate LA MAGNA GRECIA SOTTO IL DOMINIO DI ROMA Subito dopo la conquista di Taranto, Roma si concentra su Reggio, dove, da qualche anno, è stata inviata come difesa una legione campana Questa però, approfittando della guerra che impegnava la dominante, si è impossessata del governo della città e non obbedisce più all’Urbe A punire i ribelli è inviato un esercito comandato dal console GENUCIO; non è però un’impresa facile o veloce I legionari, conoscendo bene che destino li aspetta, si sono ben predisposti e si difendono con tutte le loro forze per un anno intero; alla fine però, rimasti in meno di trecento, sono costretti a cedere e nel 271 a.C. (483 di Roma) Reggio è riconquistata Il destino dei ribelli di Reggio La punizione dei ribelli è esemplare. Fatti prigionieri e condotti a Roma, i trecento sono prima flagellati, poi decapitati nel Foro Dopo Reggio ad uno ad uno, tutti i popoli del Mezzogiorno, Lucani, Bruzii, Calabri, Picentini si sottomettono e l'ultima resistenza dei Sanniti viene definitivamente spezzata Lo stesso avviene in tutte le città della Magna Grecia Consolidamento L'ultima città a cadere in mano dei Romani è Brundisium (Brindisi) nel Salento, costretta alla resa e occupata nel 267 a.C. (487 di Roma) I Romani hanno già prolungato (dopo la battaglia di Maleventum) la via Appia da Capua fino alla ribattezzata Beneventum, ora la fanno proseguire fino a Brindisi, per assicurarsi una via di penetrazione verso le regioni della Magna Grecia (ma fra breve verso l’Illiria, poi nella stessa Grecia peninsulare) L'UNIFICAZIONE In questo stesso anno, si concretizza l'unificazione della penisola Il territorio sottoposto a Roma si estende per 130.000 chilometri quadrati da Rimini a Reggio Nuove colonie e strade Sannio: Beneventum (268 a.C.) ed Aesernia (263 a.C.) Piceno: Ariminum (268 a.C.) e Firmum (264 a.C.) Etruria: Alsium (247 a.C.) e Fraegenae (245 a.C.) Umbria: Aesis (247 a.C.) e Spoletum (241 a.C.) Le vie consolari esistenti sono migliorate e prolungate e ne sono costruite delle nuove: Roma e Rimini sono allacciate dalla Via Flaminia