LA VITTORIA DI PIRRO
Non sempre gli esempi storici risultano pertinenti al significato che ad essi s’intende dare quando si
assimilano ad eventi odierni. Come nel caso della recente fiducia incassata dal governo Berlusconi alla
Camera dei deputati. Una vittoria sul filo di tre voti in più è stata definita: ”Una vittoria di Pirro”. Una
rievocazione impropria se si lascia intendere che quella vittoria precipitò in una repentina sconfitta il re
dell’Epiro. Secondo quanto ci tramanda Plutarco, a chi, dopo la battaglia di Asculum (Ascoli di Puglia - 279
a.C. -) gli esternava gioia per la vittoria, sembra che Pirro abbia risposto: "Un’altra vittoria così e tornerò in
Epiro da solo... ". Altri (Paolo Orosio -IV.1, 15-) afferma che la frase sarebbe stata pronunciata, invece,
qualche anno prima, a conclusione della battaglia di Eraclea (280 a.C.) e che suonava così: "Un'altra
vittoria come questa e me ne torno in Epiro senza più nemmeno un soldato". In ogni caso, pur nella
discordanza delle date e dell’esatta espressione, sembra che Pirro non fosse tanto soddisfatto dei risultati
delle vittorie conseguite in quei due anni di campagna in Italia. Egli sapeva, infatti, di aver perso i suoi
migliori comandanti, non poteva reperire sul posto nuovi soldati, i popoli italici che avevano collaborato con
lui cominciavano a fare qualche resistenza nel fornirgli nuovi aiuti. “La tattica greca, la novità degli strumenti
di guerra che i Greci impiegavano (la famosa falange macedone, gli elefanti, l’organizzazione geometrica
dell’accampamento, n. d. r.), l’impetuosità dei loro movimenti, il genio del capitano che li guidava, potevano
assicurare loro altre vittorie come quelle di Eraclea e di Ascoli, ma ogni nuova vittoria avrebbe logorato
l’esercito vittorioso, (Theodor Mommsen, Storia di Roma antica, Volume l, Tomo I, Sansoni Ed.). Tutti questi
fatti avrebbero dovuto indurre il re Pirro ad abbandonare la campagna d’Italia e tornarsene in Macedonia. E,
invece, il disegno di Pirro di prendersi l’Italia, almeno quella meridionale, con segrete mire espansionistiche
su Cartagine, riprese vigore quando i popoli greci stanziati in Italia, e i siciliani, si unirono sotto le insegne di
Pirro. E indussero Romani e Cartaginesi a trasformare i loro trattati commerciali in una lega offensiva e
difensiva contro il re epirota (279 a.C) (Mommsen cit.).
Fu quest’alleanza, per quanto siglata tra popoli che avevano molti motivi di conflitto tra loro, che bloccò il
tentativo di Pirro di trovare un qualche accordo di riappacificazione con essi nella spartizione della
supremazia su alcune città dell’Italia meridionale. Fu quest’alleanza a indurre il re macedone a non
accogliere la prima richiesta di Lucani e Sanniti di continuare a difenderli contro Roma. Pirro, invece, se ne
andò a difendere Siracusa dove sbarcò ad onta dei Cartaginesi che si erano impegnati a difenderla. E qui
mancò anche una perfetta intesa tra i due alleati (Romani e Cartaginesi). Sembra che i Romani cercarono
di trovare, nonostante il trattato di alleanza di cui si è detto, un accordo separato con il re Pirro. In ogni
caso, lasciata libera la parte sud della penisola italica, i Romani avrebbero potuto agire a campo libero per
riconquistare i territori lasciati sguarniti da Pirro. Non fu così. A Pirro restava ancora la città di Taranto. E di
qui riusciva a rinforzare le sue milizie e a promuovere, a piacimento, la guerra contro i Romani.
Insomma,nonostante Eraclea ed Ascoli,dove aveva pagato a caro prezzo le vittorie, quasi mezze
sconfitte,nel 276 a. C. Pirro si approssimò al suo disegno di una conquista definitiva dell’Italia del sud.
Questi, dopo aver umiliato Cartagine, riunita la Sicilia sotto il suo dominio, e assicurata saldamente nelle
sue mani Taranto, con una grande flotta, circondò quasi tutta la penisola meridionale. Difese così tutte le
sue conquiste. Ampliandole.
Non furono, pertanto, le disperate vittorie (considerate quasi inizio di sconfitte) a far crollare il dominio di
Pirro. Piuttosto, furono il suo modo di gestire il potere, i suoi abusi clientelari: non rispettava le costituzioni
dei comuni conquistati, assegnava posti di comando solo ai suoi accoliti, emanava decreti secondo
gl’interessi a lui più convenienti, nominava giudici che erano suoi cortigiani. Fu tutto questo a far esplodere
la rabbia di popoli che pure lo avevano invocato a difesa dei loro territori e, giunto, lo avevano osannato.
La fortuna fu favorevole all’“Aquila”, come anche veniva chiamato Pirro per l’immediatezza delle risoluzioni
che adottava e i sorprendenti attacchi che portava agli eserciti nemici; ma il popolo, a fronte delle pratiche
di governo adottate, cominciò a ribellarsi. Al suo passaggio i popoli non lo salutavano più come salvatore.
Eppure, partendo dalle coste sicule, tentò di riconquistare Reggio, conquistò Locri, giunse a Taranto. Ma
quando cedette ai sentimenti cavallereschi di onore e di rispetto delle promesse (sentimenti cui, secondo la
teoria machiavellica, chi governa non deve mai indulgere) e rispose alla nuova invocazione di aiuto da parte
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di Lucani e Sanniti, minacciati dai Romani, si avviò alla definitiva disfatta. (H.H.Scullard,Storia del mondo
romano, Vol.I, Rizzoli; L. Levēque,Pyrros -1957-Athenaeum) Accadde che, nella primavera del 275 a.C.,
per attaccare il console Manio Curio di sorpresa, abbandonò l’impiego della famosa “falange macedone” e
infilò, invece, l’esercito in una zona boschiva. E qui, durante la notte, i soldati si dispersero. Anche perché,
sembra, sia calata, nel frattempo, una fitta nebbia. Pirro, pertanto, non riuscì nell’intento di attacco
improvviso ai Romani al momento decisivo. Per giunta, gli elefanti (i romani li chiavano “buoi lucani”) che
tante volte avevano deciso la battaglia a favore dell’epirota, si rivoltarono contro l’armata greca, spaventati
dalle frecce infiammate che venivano lanciate dai difensori del campo romano.
Con un esercito sconfitto, irritato per il negato sostegno richiesto alle città che governava in Italia, ai re di
Macedonia e dell’Asia, ormai privo di ogni prospettiva di riconquista dell’Italia, nello stesso anno 275 a.C.,
Pirro se ne tornò in Grecia. Però qui combatté ancora vittoriose battaglie. Ebbe nuovi successi. Sia pure
brevi. E, infine, morì per le vie di Argo nel Peloponneso, nel 272 a C.
Confronti e Conclusioni
L’abbiamo fatto un po’ lunga. Ma era necessario, per dire che il richiamo alla vittoria di Pirro (280 o 279 a.
C) , come esempio, non appare del tutto calzante, paragonandola alla vittoria di Berlusconi in Parlamento.
Per i motivi che seguono:
a. Diversamente da Pirro che temeva di doversene tornare nell’Epiro, sconfitto e senza neppure un
soldato, Berlusconi sembra abbastanza soddisfatto della pur risicata vittoria conquistata in
Parlamento il 14 dicembre scorso;
b. La vittoria o le vittorie di Eraclea e di Ascoli non segnarono l’immediata ritirata di Pirro dal dominio
sull’Italia, che anzi continuò e si ampliò ancora per parecchi anni. Pertanto, dire che la vittoria di
Berlusconi è una vittoria di Pirro può assumere addirittura valore augurale, nel senso di accreditargli
ulteriori più consistenti e prossime vittorie. Il che si accorda perfettamente con le iniziative che egli
si propone, di ulteriori conquiste tra gli schieramenti avversari;
c. L’ alleanza tra Romani e Cartaginesi, sempre acerrimi nemici per via del predominio che i due popoli
pretendevano sul Mediterraneo, non si prefigura, come esempio praticabile, in una convergenza di
azioni comuni dei partiti che fanno opposizione a Berlusconi. Questi partiti, invece,
si stanno
acquartierando dietro irrisorie e improbabili difese, ciascuno nel proprio campicello, all’interno dei
quali fervono vocianti duelli senza prospettive significative;
d. Diversamente da Pirro che era sicuramente un valente condottiero in battaglia ma non altrettanto
abile nella “governance” delle città conquistate, il nostro premier si muove da “studiato politico”;
e. La forte delusione che i popoli italici manifestarono contro le pratiche di governo di Pirro, al punto di
negargli sostegni militari, non è rilevabile tra la gente, in Italia che, al di là dei mugugni e di
episodiche manifestazioni di rilevanza mediatica contro la politica del governo, non gli fa mancare,
poi, il sostegno nei sondaggi popolari e, ciò che più conta, in occasione delle tornate elettorali;
f. Lo sparpagliamento nei boschi delle truppe di Pirro non trova riscontro nell’avanzata dell’ “esercito
coeso” di Berlusconi. Confondersi nelle intricate macchie di improbabili ideologie salvifiche degli
interessi della nazione e tra le nebbie di inconcludenti sproloqui sembra, al contrario, prerogativa di
“tormentate coscienze” che militano nelle “truppe” avversarie che, al buon momento, si dileguano,
passano da un campo all’altro, si mostrano dubbiose e riottose ad un percorso concorde verso un
obiettivo comune;
g. Si è ripetuta la scena dei “buoi lucani” ma, anche qui, in senso contrario. Non spaventati da frecce
infiammate, ma allettati dai “richiami patriottici” del campo berlusconiano, deputati a questo avversi
si sono rivoltati contro il proprio schieramento, determinandone la sconfitta. E, a quel che si dice, i
richiami patriottici (nuovo modello di frecce infiammate) continueranno ancora. E indurranno nuove
rivolte. Ma tra le file degli avversari di Berlusconi.
Francamente, il facile e subitaneo accostamento tra la vittoria di Pirro, in battaglia, e la vittoria di
Berlusconi, in Parlamento, non è convincente. Appare quantomeno azzardato.
18 dicembre 2010
Antonio Dentato
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