Differenziazione del prodotto - dipartimento di economia e diritto

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Capitolo 11
Differenziazione del prodotto: aspetti generali
11.1. Pervasività ed importanza del fenomeno della differenziazione del prodotto
11.2. Differenziazione del prodotto e concetto di industria
11.3. Modalità di differenziazione del prodotto
11.4. Modelli per lo studio della differenziazione orizzontale del prodotto
Iniziamo in questo capitolo lo studio della differenziazione del prodotto, studio al quale sono
dedicati anche i due capitoli successivi di queste dispense. Si tratta di un tema che ha un ruolo
importante non solo nel campo della teoria microeconomica, ma anche in quello dell’economia
dell’organizzazione industriale per le implicazioni che ne derivano per la formazione dei prezzi e le
strategie delle imprese.
Intendiamo in questo capitolo introduttivo dare anzi tutto conto dell’affermazione riguardante
l’importanza della differenziazione del prodotto per gli studi di economia industriale, soffermandoci
nel paragrafo 4.1 ad illustrare la pervasività di tale fenomeno in tutti i principali settori della vita
economica: nella manifattura, nel commercio, nella finanza.
Intendiamo quindi porre le basi per lo studio della formazione dei prezzi (paragrafo 4.2). Parliamo
di differenziazione del prodotto quando ai consumatori è offerta la possibilità di consumare una o
più varietà di un medesimo bene. E’ qui di fondamentale rilievo il problema della definizione
dell’insieme di prodotti che possono ritenersi differenziati, ma non differenti; problema che, come
vedremo, non ammette una soluzione netta. Dalla definizione di prodotti differenziati deriva
l’esigenza di ripensare il concetto di industria, così fondamentale per lo studio dei modelli di
equilibrio parziale. Continueremo a parlare di industria con riferimento all’insieme delle imprese
che producono le diverse varietà di un dato prodotto.
Intendiamo infine considerare il ruolo svolto dalle preferenze dei consumatori nell’organizzare
l’analisi della differenziazione del prodotto. Una prima distinzione importante (paragrafo 4.3) è fra
differenziazione orizzontale e verticale: parliamo di differenziazione verticale quando i consumatori
concordano nell’individuare una scala di qualità tra le diverse varietà di prodotto disponibili ed
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esprimono quindi una preferenza, a parità di prezzo, per la qualità migliore; si ha differenziazione
orizzontale in caso contrario, il che significa che i diversi consumatori effettuano, a parità di prezzo,
scelte diverse gli uni dagli altri. Una seconda distinzione importante riguarda la natura delle
preferenze in presenza di differenziazione del prodotto (paragrafo 4.4). La teoria ha formulato due
schemi teorici che si fondano, il primo, sull’ipotesi di preferenze per il consumo congiunto di una
pluralità di varietà e, il secondo, sull’ipotesi di consumo di un’unica varietà tra quelle disponibili,
quella che più si avvicina alle specifiche preferenze del consumatore. Parleremo nel primo caso di
modelli con preferenze per la diversità e nel secondo caso di modelli con preferenza per una
varietà ideale. L’implicazione di questi diversi approcci è che nel primo caso i consumatori sono
indotti a consumatore tutte le varietà disponibili, mentre nel secondo caso la scelta cade su una sola
varietà. Non è difficile individuare situazioni del mondo reale che si avvicinano più all’uno o
all’altro di questi due approcci, che la teoria considera, per motivi di semplicità di analisi,
alternativi.
11.1. Pervasività ed importanza del fenomeno della differenziazione del prodotto
Lo studio della formazione del prezzo nei diversi regimi di mercato è stato condotto fino a questo
punto del corso sotto l’ipotesi di prodotto omogeneo. Si tratta di un’ipotesi cardine della
concorrenza perfetta. Un’impresa che volesse praticare un prezzo maggiore di quello dei
concorrenti, non avrebbe compratori. E, d’altra parte, nessuna impresa avrebbe convenienza a
praticare un prezzo inferiore a quello del mercato poiché, essendo per ipotesi molto piccola, non
potrebbe attrarre nuovi compratori in modo significativo; l’abbassamento del prezzo rischierebbe di
tradursi in una perdita di profitto.
L’ipotesi di omogeneità del prodotto è anche alla base dei modelli tradizionali di
oligopolio/duopolio. Come abbiamo visto, nel modello di Cournot le imprese scelgono
simultaneamente la propria strategia ottimale di quantità in presenza di una comune domanda di
mercato, che presuppone appunto l’assunzione di omogeneità del prodotto. Analogamente, nel
modello di Bertrand la strategia di undercutting, fino al limite di un prezzo pari al costo marginale,
ha senso proprio in forza dell’ipotesi che il prodotto sia rigorosamente omogeneo.
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Naturalmente il problema dell’omogeneità del prodotto non si pone in regime di monopolio,
essendo per ipotesi uno solo il produttore ed uno solo il bene prodotto.1
In realtà, come la quotidiana esperienza conferma, i prodotti sono frequentemente molto simili,
altamente sostituibili, ma non omogenei. La differenziazione può trovare origine in elementi
oggettivi o risultare semplicemente dalla percezione dei consumatori, dal loro apprezzamento delle
caratteristiche del prodotto, dalla localizzazione dei punti di vendita, dai servizi collegati offerti,
dalla reputazione dei venditori, e così via.
Praticamente tutti i prodotti di largo consumo appartenenti ad un medesimo comparto presentano
caratteristiche che li distinguono gli uni dagli altri. Nei settori tipicamente oligopolistici delle
produzioni dei beni di consumo durevole (autovetture, moto e bici, elettrodomestici, elettronica di
consumo, personal computer, telefonia) l’ampiezza della gamma di prodotti offerti si caratterizza
per il nome del produttore. Ad ognuno di questi i consumatori associano – per esperienza diretta, o
per semplice sentito dire, o per l’influenza dei messaggi pubblicitari – un diverso tipo di
performance, di servizi post-vendita, di modalità di finanziamento, di disponibilità più o meno
immediata del bene. Si pensi, per fare un esempio, all’industria dell’auto e, all’interno di questa, ad
un particolare segmento: le auto di piccola cilindrata. Il consumatore, anche con l’aiuto della stampa
specializzata, valuta elementi quali: l’accelerazione, il comfort interno, la visibilità, la capienza del
portabagagli, la manovrabilità, l’ingombro del parcheggio, il prezzo, le modalità di pagamento, la
nazionalità del produttore, e così via. Ad un’offerta sostanzialmente simile quanto al tipo di bene
(un auto di piccola cilindrata), ma fortemente differenziata nei tanti aspetti particolari i consumatori
associano – talora con una valutazione dettagliata delle diverse caratteristiche, più spesso attraverso
un giudizio sintetico – una graduatoria, in base alla quale viene presa la decisione finale di
rivolgersi a questa o quella casa.
Considerazioni analoghe potrebbero essere fatte, ad esempio, per il settore dell’abbigliamento, in
cui la differenziazione del prodotto praticamente non conosce limiti. Si pensi alla quantità di colori
e alla diversità delle fogge con cui gli stessi capi di abbigliamento vengono proposti ai consumatori,
dalla stessa casa e da case diverse, al fine di meglio soddisfarne le preferenze.
L’estensione della teoria del monopolio al caso, indubbiamente più realistico, di monopolista multi prodotto può porsi
in termini di massimizzazione del profitto congiuntamente realizzato dalla produzione di tutti i beni, tenuto conto, da un
lato, dei rapporti di complementarietà e sostituibilità nella domanda e, dall’altro, delle eventuali economie di gamma
realizzabili attraverso la produzione congiunta.
1
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La differenziazione del prodotto tocca anche la grande distribuzione alimentare. E’ pur vero che la
medesima gamma di prodotti si ritrova in quasi tutti i supermercati, ancorché appartenenti a catene
diverse. Cionondimeno qualità dei prodotti e del servizio, orari di apertura, piccole diversità di
prezzo, vendite promozionali e soprattutto localizzazione all’interno della struttura urbana
costituiscono altrettanti motivi di differenziazione.
Riflessioni non dissimili dalle precedenti potremmo fare con riferimento ai servizi finanziari,
bancari e assicurativi.
Dalla pervasività del fenomeno della differenziazione del prodotto discendono due problemi per la
teoria della formazione dei prezzi. Il primo riguarda la necessità di individuare, almeno in via
teorica, i confini del concetto di differenziazione del prodotto; ci chiediamo, in particolare, se in
presenza di differenziazione del prodotto ha ancora senso il concetto di industria come punto di
riferimento per la teoria della formazione dei prezzi? In concreto, ha senso parlare del mercato delle
auto di piccola cilindrata? Di più, ha senso parlare del mercato dell’auto? Il secondo problema
riguarda le modalità di formalizzazione delle preferenze dei consumatori in presenza di
differenziazione del prodotto. Dalle diverse soluzioni date a questo problema derivano modelli
teorici diversi di spiegazione della formazione dei prezzi e delle proprietà allocative del mercato.
Affrontiamo questi problemi nei due paragrafi successivi.
11.2. Differenziazione del prodotto e concetto di industria
Mentre una Toyota Aygo ed una Citroen C1 sono prodotti differenziati, un televisore a schermo
piatto Phillips ed un personal computer Hewlett Packard sono prodotti differenti, ma non
differenziati. Nel caso ora fatto, il buon senso porta senza incertezza alla conclusione. Ma non
mancano di certo esempi in cui la distinzione è assai meno netta e discutibile: una vettura di piccola
cilindrata (Toyota Aygo) ed una di grande cilindrata (Mercedes 500SE) debbono essere considerati
prodotti differenti o differenziati? La questione non ammette una risposta precisa; vediamo di
capire perché.
Partiamo dalla constatazione che anche fra prodotti diversi sussiste un certo grado di sostituibilità,
se non altro perché unico è il vincolo di bilancio imposto al complesso delle scelte del consumatore
(Robinson, 1933, p.4). E’ questa una delle considerazioni che sta a fondamento dell’analisi della
formazione dei prezzi attraverso un modello di equilibrio di economico generale. L’approccio di
equilibrio generale, per quanto elegante, rigoroso e soddisfacente sotto il profilo analitico, è tuttavia
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avaro di implicazioni concrete. Per questo motivo lo studio dell’economia dell’organizzazione
industriale si affida all’uso dell’approccio di equilibrio parziale, di cui abbiamo esaminato limiti e
condizioni di applicabilità.2 Ora si presenta un problema nuovo per l’uso di tale approccio: il venir
meno dell’omogeneità del prodotto mette in discussione il concetto di industria, su cui si fonda il
modello dell’equilibrio parziale.
L’esistenza di un certo grado di sostituibilità fra tutti i beni porta a considerare l’insieme dei beni
presenti nel sistema economico come
“parte di una catena di sostituti la cui continuità è frequentemente interrotta dall’esistenza di
una sorta di discontinuità fra un prodotto e quello successivo nella catena. Prodotti separati
da tale discontinuità rispetto ai sostituti da entrambi i lati della catena, possono essere
classificati insieme come un unico bene, nonostante differenze di minor rilievo all’interno del
gruppo” (Triffin, 1940, pp. 82-83).
Questo passo sottolinea molto bene le difficoltà di fornire un preciso criterio per stabilire il confine
fra prodotti differenziati e prodotti differenti. Da un punto di vista teorico, il criterio che emerge è
quello del grado di sostituibilità nel consumo, ossia di sensibilità della domanda a variazioni dei
prezzi dei prodotti del medesimo comparto e di discontinuità nella catena di sostituibilità con i
prodotti dei comparti antecedente e successivo della catena. L’elasticità di sostituzione nel
consumo3 è l’immediato riferimento quantitativo implicito nelle considerazioni svolte da Triffin.
Ma da tali considerazioni non è possibile ricavare alcuna indicazione numerica circa il possibile
valore critico di tale elasticità. In concreto, le esigenze dell’analisi indicheranno di volta in volta la
scelta da effettuare per circoscrivere quel complesso di prodotti che possono convenientemente
essere definiti con Triffin un “unico bene”.
L’individuazione di quel complesso di beni differenziati che possono essere considerati come un
unico bene e quindi prodotti da un unico comparto produttivo ci porta a riflettere sull’utilizzabilità
del concetto di industria nel contesto in esame. Nella sua accezione rigorosa, di origine
Marshalliana, l’industria è definita come l’insieme delle imprese che producono un medesimo bene,
nel senso che il consumatore è assolutamente indifferente rispetto al produttore dal quale acquista il
2
Cfr. il Capitolo 3 di queste dispense Equilibrio parziale perfettamente competitivo.
3
Siano
e
due prodotti differenziati e
e
i loro prezzi. L’elasticità di sostituzione nel consumo è
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.
5
bene. Il grado di sostituibilità fra i beni di una data industria è dunque infinitamente grande.4
Questa, come abbiamo ricordato all’inizio del capitolo, è l’ipotesi che sottende i modelli della
concorrenza perfetta e i modelli classici di oligopolio di Cournot e di Bertrand.
E’ chiaro che in presenza di differenziazione del prodotto il concetto di industria perde quel netto
contorno che gli è proprio. Proprio per questo motivo la letteratura ha lungamente discusso in
merito all’appropriatezza dell’uso del termine di industria anche con riferimento all’insieme dei
prodotti differenziati di un dato comparto produttivo senza pervenire ad una conclusione.5
Continueremo perciò nel seguito di queste dispense, anche in linea con l’uso comune, ad usare il
termine di industria per il complesso delle imprese che producono prodotti differenziati tra i quali
sussiste un elevato grado di sostituibilità.
In linea con l’approccio di Triffin, che suggerisce di considerare come un unico bene quel
complesso di prodotti che è caratterizzato da un’elevata elasticità di sostituzione e a indicare come
industria l’insieme delle imprese che producono quei beni, possiamo definire come varietà di un
unico bene l’insieme dei prodotti differenziati di una data industria.
11.3. Modalità di differenziazione del prodotto
Le modalità di differenziazione del prodotto possono essere diverse. Il diverso apprezzamento da
parte dei consumatori delle caratteristiche dei prodotti di una determinato raggruppamento porta a
considerare la distinzione tra differenziazione verticale e differenziazione orizzontale.
Supponiamo che i prodotti siano differenziati rispetto ad un’unica caratteristica. Si ha
differenziazione verticale quando tutti i consumatori concordano nell’attribuire all’intensità della
presenza di tale caratteristica il significato di differenza di qualità e si comportano di conseguenza,
con l’implicazione che, a parità di prezzo, tutti preferiscono il bene di maggiore qualità. In parole
diverse, si ha differenziazione verticale quando i consumatori concordano nello stabilire una
graduatoria di qualità fra i vari prodotti di una data industria. Esempi di differenziazione del
prodotto che rientrano nella categoria in esame sono: le prestazioni in termini di risparmio
energetico degli elettrodomestici (tutti preferiscono, ceteris paribus, quelli a più basso consumo), il
4
Questo implica una elasticità di sostituzione infinitamente grande.
5
Chamberlin, di cui esamineremo più avanti il modello di concorrenza monopolistica, ha preferito il termine di
“gruppo” a quello di industria.
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comfort di guida dell’auto (tutti preferiscono, di nuovo ceteris paribus, una guida più confortevole
ad una meno confortevole), il maglione di cashmere rispetto a quello di lana vergine (con il solito
caveat). Si badi che ciò non significa che tutti i consumatori indirizzeranno la loro domanda al bene
di maggiore qualità. E’ presumibile infatti che beni di qualità diversa abbiano prezzi diversi, più alti
quelli di qualità maggiore e più bassi quelli di qualità inferiore. Nell’effettuare la propria scelta ogni
consumatore terrà conto del trade-off tra prezzo e beneficio a lui derivante dalla qualità, nella forma
che verrà esaminata successivamente.
Si ha differenziazione orizzontale quando l’elemento distintivo dei beni non è suscettibile di una
graduatoria condivisa – per intendersi, da un meno ad un più – da parte dei consumatori. Ciò
significa che, a parità di prezzo, alcuni consumatori scelgono una data varietà, mentre altri ne
preferiscono un’altra. Esempi di caratteristiche che rientrano nella categoria in esame sono: il colore
di un capo di abbigliamento, il grado di dolcezza di una bibita, il sapore di un gelato.
Mentre nel caso considerato, in cui i prodotti si distinguono per un’unica caratteristica, è immediata
la collocazione nell’una o nell’altra categoria di prodotti differenziati, la situazione diviene più
complessa quando i prodotti si differenziano per una pluralità di caratteristiche. E’ meno probabile
infatti che in questo, che possiamo ritenere il caso più generale, i vari prodotti possano essere
incasellati in un’unica categoria. E’ plausibile, invece, che rispetto ad alcune caratteristiche si
presentino aspetti di differenziazione verticale e rispetto ad altre di differenziazione orizzontale. Di
più, è plausibile ritenere, con particolare riferimento agli aspetti di differenziazione verticale, che i
prodotti possano collocarsi in posizioni diverse della graduatoria di qualità rispetto alle diverse
caratteristiche. Si pensi di nuovo al comparto delle autovetture classificabili, come abbiamo visto a
titolo esemplificativo, in base ad una pluralità di caratteristiche. Prodotti e modelli delle diverse
case automobilistiche hanno chiaramente posizioni diverse nelle diverse scale di qualità associate
alle diverse caratteristiche. Casi più complessi di differenziazione del prodotto come quello indicato
richiedono nuovi strumenti di analisi. Con riferimento a tali situazioni Lancaster (1966) ha proposto
un modello per lo studio delle scelte dei consumatori basato su un apprezzamento delle diverse
caratteristiche piuttosto che sulle quantità dei diversi prodotti; ne faremo un accenno più avanti.
11.4. Modelli per lo studio della differenziazione orizzontale del prodotto
I modelli di differenziazione del prodotto si fondano su un insieme di ipotesi riguardanti, da un lato,
la tecnologia e le strategie di impresa e, dall’altro, le preferenze dei consumatori.
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Seguendo l’impostazione largamente prevalente in letteratura, adottiamo due ipotesi di fondo per lo
studio del comportamento delle imprese: la prima è che ogni impresa produca un’unica varietà di
prodotto ed abbia quindi un monopolio, grande o piccolo che sia, sul proprio prodotto; la seconda
che le imprese perseguano l’obiettivo della massimizzazione del profitto in un contesto di
interazione strategica con i produttori appartenenti alla medesima industria.
L’ipotesi di impresa monoprodotto è indubbiamente poco realistica, ma particolarmente adatta a far
emergere alcuni aspetti importanti della differenziazione orizzontale. Nel caso di differenziazione
verticale questa ipotesi è meno importante. Usualmente la valutazione della qualità è strettamente
collegata dai consumatori al nome del produttore e ai suoi marchi. Si può allora supporre che
l’insieme delle varietà offerte da un dato produttore sia di qualità maggiore o minore, a seconda del
caso, rispetto a quello di altri produttori. In questo caso si può considerare l’insieme delle varietà
prodotte come un bene composito di data qualità.
Quanto alla seconda ipotesi, non è questa la sede per ritornare sulla questione se le imprese
massimizzino il profitto o, viceversa, si accontentino di scelte meramente soddisfacenti.
Soffermiamoci piuttosto sulle strategie. La differenziazione del prodotto offre alle imprese un
nuovo strumento di ottimizzazione: questo è costituito dal posizionamento nello spazio delle
possibili varietà di prodotto. Questo strumento si aggiunge a quello tradizionale di decisione di
quantità o di prezzo. La scelta fra modelli con strategie di quantità o di prezzo discende, come è
noto, dalla disputa fra Cournot e Bertrand, i padri fondatori della teoria dell’oligopolio. L’appello ai
comportamenti effettivi delle imprese per decidere a quale dei due modelli dare la preferenza non
offre elementi conclusivi. Mentre il comportamento competitivo delle imprese in alcuni settori
produttivi sembra meglio descritto da una strategia di quantità, in altri settori sembrano invece
prevalere comportamenti guidati da strategie di prezzo. Mentre la strategia di quantità sembra
rispondere a preoccupazioni di quota di mercato rispetto ai concorrenti, la strategia di prezzo
sembra imporsi nei momenti di difficoltà di mercato e di restringimento degli sbocchi. In linea con
queste considerazioni, Kreps e Scheinkman (1983) hanno esaminato, utilizzando un modello di
gioco sequenziale, una strategia che si articola in due momenti: il primo, in ordine di tempo, di
decisione di quantità, intesa come capacità produttiva; il secondo, e successivo momento, di
decisione di prezzo.
Si pone in ogni caso, sia che venga adottata una decisione di quantità o una di prezzo, il problema
del collegamento fra questa dimensione della strategia dell’impresa e quella riguardante la scelta del
posizionamento. E’ chiaro che la decisione di posizionamento deve logicamente precedere quella di
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quantità o di prezzo. Esamineremo quindi questi due aspetti delle decisioni delle imprese operanti in
un regime oligopolistico e di differenziazione del prodotto attraverso un modello di gioco
sequenziale.
Passiamo ad esaminare gli aspetti riguardanti la formulazione delle preferenze dei consumatori. Il
caso di differenziazione orizzontale del prodotto la letteratura offre due approcci. Il primo teorizza
consumatori con preferenza per la diversità. Si suppone cioè che, in presenza di una pluralità di
varietà, il consumatore distribuisca la sua domanda fra tutte le varietà disponibili, perché questo
comportamento è coerente, come vedremo, con la massimizzazione dell’utilità del consumo. Da
questo punto di vista possiamo dire che il consumatore ha preferenze simmetriche rispetto alle
varietà offerte sul mercato. Esempi di preferenza per la diversità potrebbero essere le scelte dei capi
di vestiario (differenziati per colore, foggia, pesantezza), dei cibi (differenziati per provenienze
regionali, per combinazioni di portate e di sapori), e così via. Ben difficilmente il consumatore ha
capi di abbigliamento di un solo colore, di una sola foggia, e di una sola pesantezza o consuma pasti
di un unico sapore. In questi casi le scelte dei consumatori sono rivolte al complesso (o a un suo
sottoinsieme) delle varietà disponibili.
Il secondo approccio si fonda sull’idea che ogni consumatore abbia una propria varietà ideale ed
acquisti, a parità di prezzo, solo questa se disponibile, o quella più vicina al proprio ideale, tra
quelle disponibili. Supponiamo, a titolo di esempio, che una bibita si differenzi per il contenuto di
zucchero e sia disponibile in due varietà: decisamente senza zucchero e molto dolce. Un
consumatore che preferisce una bibita poco zuccherata, ma non decisamente senza zucchero,
preferirà allora, a parità di prezzo, la varietà senza zucchero, al contrario del consumatore che
preferisce una bibita piuttosto dolce. L’idea centrale di questo approccio, a differenza del
precedente, è dunque che i consumatori hanno preferenze asimmetriche rispetto alle varietà
disponibili, perché diversa è la varietà ideale di ognuno, e che, di conseguenza, ogni consumatore
acquisti un’unica varietà, quella più vicina al proprio ideale.
I modelli di differenziazione verticale appartengono chiaramente a questo secondo approccio: la
qualità più elevata è per tutti i consumatori la qualità ideale.
Mentre il secondo approccio si fonda decisamente sull’ipotesi di eterogeneità dei consumatori
quanto a preferenze per questa a quella varietà, il primo è stato sviluppato sotto l’ipotesi di
consumatore rappresentativo, che esprime una domanda per tutte le varietà disponibili in funzione
dei prezzi relativi e del reddito. Contributi più recenti, sui quali non potremo soffermarci data la
complessità delle tecniche utilizzate, hanno fornito una base analitica anche per la derivazione di
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funzioni di domanda per la diversità dall’ipotesi di consumatori eterogenei, ognuno dei quali
acquista una sola varietà. Da questo punto di vista, possiamo considerare lo studio della
differenziazione del prodotto strettamente collegato alla eterogeneità dei consumatori.
La letteratura distingue fra i due approcci sopra delineati rispettivamente come non address
approach e address approach. Il termine address approach trova origine nel modello di
differenziazione spaziale del prodotto di Hotelling (1929), che esamineremo in un capitolo
successivo. In tale modello si suppone che vi siano due negozi, diversamente localizzati in un
particolare tessuto urbano, che offrono la medesima merce a prezzi possibilmente diversi. Il
problema dei consumatori consiste nel determinare a quale negozio rivolgersi tenuto conto del
prezzo e del costo dello spostamento; in altri termini, il problema dei consumatori è di decidere
verso quale negozio indirizzarsi. La traduzione letterale dei termini in lingua inglese appare non
solo poco felice, ma soprattutto poco significativa. In queste dispense useremo i termini di
approccio con preferenze per la diversità e approccio con varietà ideale.
Per facilitare lo studio dei diversi modelli di differenziazione del prodotto e il loro collocamento nei
diversi approcci di analisi può essere utile presentare un quadro sinottico delle diverse teorie. La
Fig. 4.1, che riprende le rappresentazioni grafiche di Eaton-Lipsey (1989) e Shy (1995), offre tale
quadro.
Appartengono all’approccio con preferenze per la diversità:
- le riformulazioni dei modelli classici di duopolio/oligopolio di Cournot e di Bertrand con prodotti
differenziati;
- la teoria della concorrenza monopolistica di Chamberlin.
Nel primo caso le varietà offerte ai consumatori sono date, nel secondo sono determinate
endogenamente sotto l’ipotesi di libertà di entrata.
Appartengono all’approccio con varietà ideale:
-
i modelli di città lineare di derivazione dall’articolo innovativo di Hotelling, nelle due
versioni di differenziazione orizzontale e verticale;
-
il modello di città circolare di Salop (1979), incentrato sullo studio delle proprietà di
benessere dell’equilibrio di lungo periodo in un modello di differenziazione orizzontale con
libertà di entrata.
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Una posizione a sé ha il filone di studio iniziato da Lancaster (1966) con l’ipotesi di preferenze
definite nello spazio delle caratteristiche dei prodotti anziché nello spazio delle merci.
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Modelli di differenziazione del prodotto
Modelli con preferenza per la diversità
Varietà esogenamente date
Modelli con
varietà ideale
Varietà endogenamente determinate
Modelli di
città lineare
Cournot
Modelli di
città circolare
Bertrand
Concorrenza
monopolistica
Differenziazione
verticale
Differenziazione
orizzontale
Figura 9.1
Approcci allo studio di industrie con prodotti differenziati
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