NIKLAS LUHMANN Sulla complessità Vorrei precisare questo tema nella dimensione di un interesse della complessità molto concettuale e teoretico. La prima difficoltà è che la complessità non è un concetto moderno. Già nel Medio Evo il mondo si diceva complesso e con ciò si considerava semplicemente che è composto. Quindi complessità come differenza da semplicità. La complessità era compresa come multitudo et distinctio, quindi come una molteplicità di oggetti, cose e distinzione tra singoli oggetti. E la connessione di questa molteplicità e la distinzione era inteso come perfezione del mondo. Il mondo è bello, perché è complesso. Certo molto rimaneva un segreto, non accessibile agli uomini, laddove non arriva la ragione; la ragione è data solo per la regolazione delle occasioni umane e la natura è molto meno trasparente per gli uomini. E in questa connessione la complessità era un concetto contemplativo, una lode del mondo, una lode di Dio. Oggi è tutta un’altra cosa, e di certo tutt’altre le pretese dell’agire e del conoscere. La complessità è oggi un concetto problematico. Il ricorso alla complessità si chiarisce mediante il fallimento delle nostre capacità. La complessità giustifica se qualcosa non riesce. E nel concetto si ritrovano allora immagini come la intrasparenza, la non chiarezza oppure anche tempi di misurazione troppo lunghi. La complessità è, lo si può dire, solo in inglese, transcomputational, supera ogni possibilità di calcolo. La complessità è quindi un concetto contrapposto alla capacità tecnica. Se si confronta la concezione medievale e la concezione moderna, che cosa ci chiarisce questo cambiamento? Perché abbiamo un rapporto pienamente diverso con la complessità? Se si pone così questa domanda, allora non Traduzione a cura di Luisa Avitabile. è sufficiente cercare un concetto giusto di complessità, formare un concetto e quindi confrontare come il Medio Evo era complesso e come è complessa la nostra società, bensì il concetto di complessità, come sempre è definito, viene utilizzato allo stesso tempo nella società per descrivere la società. Si tratta allora di un concetto di autodescrizione del sistema sociale. E tali concetti hanno una qualità particolare. Perché si arriva a un cambiamento dei concetti contemplativi in concetti problematici? Desidero avviarmi da questa questione e dare come spiegazione sul cambiamento della forma della differenziazione sociale. In primo luogo, alcune osservazioni sulla connessione tra differenziazione e complessità. E in quanto sociologi, sapete che il concetto della differenziazione ha una tradizione all’interno della teoria sociologica, in Spencer oppure anche nei sociologi classici. Con l’aiuto di questo concetto della società differenziata la sociologia si è posta al di là della diatriba ideologica del diciannovesimo secolo, quindi, grosso modo, al di là della differenza tra socialismo e capitalismo, ma anche al di là del progresso. Si poteva parlare della società moderna come di una società differenziata, senza dire con ciò che questa differenziazione era buona. E in realtà questa sociologia nel periodo iniziale del secolo ha causato molto scetticismo riguardo alla società moderna. Per esempio, Durkheim ha notato che in una società differenziata la solidarietà diventa un problema e ha preteso che si costruissero nuovamente risorse morali. Oppure Max Weber ha visto che nella società moderna la razionalità è una cosa a doppio taglio, uno formale, regolato strettamente, calcolabile, ma dall’altra parte anche burocratico, inumano e con tutte le conseguenze svantaggiose. Con questo semplice concetto della differenziazione si sono prodotte buone teorie che, ancora oggi, provocano ammirazione. Ma non si è sviluppata ulteriormente il concetto della differenziazione e, innanzitutto, non è stata distinta la complessità e la differenziazione. È a questo punto che con l’aiuto della teoria sistemica si può cercare un nuovo punto di 2 partenza. La teoria sistemica più attuale procede da una differenza tra sistema e ambiente, ciò è forse la rottura decisiva. Non si tratta più semplicemente di oggetti complessi, che si definiscono sistemi, bensì si tratta di una questione che chiarisce come può essere avviata e riprodotta una distinzione tra sistema e ambiente. Allora con l’aiuto di questo apparato si può comprendere la differenziazione come ripetizione della differenza di sistema e ambiente all’interno dei sistemi. L’operazione si riproduce e giunge al suo proprio risultato. Qui i sistemi vengono differenziati e all’interno dei sistemi vi è quindi un nuovo processo di differenziazione, in cui si produce di nuovo una differenza tra sistema e ambiente, e questo può essere ripetuto ancora una volta all’interno dei sistemi parziali. Si tratta di una procedura che merita un’analisi esatta. Si nota così, come se i sistemi potessero moltiplicarsi in se stessi, quindi si riproducono nella loro unità, che in primo luogo era differenziata, in se stessa come differenza di sistema e ambiente… A seconda del sistema parziale ne deriva che tutto il resto, l’ambiente, detto in modo esatto, ambiente interno del sistema società. Quindi visto dalla politica, l’economia, la scienza, l’educazione, in parte anche il diritto, sono ambiente della politica. Ma all’inverso, dal punto di vista della scienza, è la politica ambiente della scienza; ci sono quindi molte versioni diverse della società. E si può dire a prima vista che viene perciò prodotto un genere totalmente nuovo di complessità, che non si lascia più imbrigliare così facilmente in una formula univoca. Si potrebbe forse parlare di unitas multiplex, per impiegare di nuovo una vecchia espressione. È interessante che il procedere della formazione sistemica si descrive in modo molto semplice. È semplicemente la ripetizione della differenziazione di sistema e ambiente all’interno dei sistemi e di nuovo all’interno dei sistemi etc., dunque un’operazione viene applicata al proprio risultato. Ciò si lascia delineare in modo semplice, ma il risultato è così complesso che sfugge a ogni semplice descrizione. Cerco quindi di procedere da questo modello generale della 3 differenziazione sistemica, per chiarire in primo luogo, in modo molto generale, che nel corso dell’evoluzione la società diventa più complessa esattamente in questo senso. Questo punto di partenza teoretico offre dunque ulteriori possibilità di precisazioni, che ci conducono dunque alla chiarezza cercata, cioè alla chiarezza, per cui noi abbiamo nella società moderna un altro concetto di complessità dal Medio Evo. In primo luogo, si ricorda ancora una volta: la differenziazione sistemica non è nient’altro che l’applicazione ricorsiva di un’operazione al risultato di questa operazione. Ci sono interessanti ricerche nell’ambito della teoria generale dei sistemi cibernetici, che mostrano come da tali applicazioni ricorsive di operazioni ai risultati delle stesse possono prodursi forme stabili che si indicano con una definizione di Heinz von Foerster come stati propri. Il sistema seleziona e ricodifica stati, che si mantengono alle condizioni di questi. Se si impiega allora questa idea della selezione evolutiva degli stati propri o di forme della stabilità al nostro problema, allora, si vede che si sono realmente poste storicamente solo poche forme della differenziazione tra società, ossia, da una parte una segmentazione di unità uguali, famiglie/unità abitative in società semplici; dall’altro centro/periferia: differenziazioni di città-campagna, popoli ricchi e nomadi e zone marginali fino a una forma sconosciuta del mondo; e, in definitiva, stratificazione, vale a dire differenziazione di dimensioni, stratificazione di dimensioni. Queste sono le grandi forme nelle quali si poteva sviluppare la società fino alla soglia del moderno. Un cambiamento di tali forme di stabilità si chiama oggi catastrofe nel senso preciso della teoria della catastrofe, che descrive la costruzione del principio della stabilità. E perciò tutte le società sono catastrofi che sono fuoriuscite da precedenti società segmentarie, semplici, tribali. E allo stesso modo si può descrivere la società moderna, se mi si permette questa espressione drastica, come catastrofe della società nobiliare. La catastrofe non è un disastro, bensì un 4 cambiamento relativamente veloce di un principio di stabilità in un altro. E queste riconversioni portano tipicamente a un cambiamento completo o, per lo meno, a una nuova sovrastruttura di rappresentazioni mondane, semantiche, religioni, norme, tecniche sociali. Nel corso di questo mutamento non può essere osservato lo stesso passaggio. Non abbiamo nessuna descrizione della formazione della società aristocratica e non abbiamo fino ad oggi alcuna descrizione plausibile della produzione delle società moderne. Ma invece di questo viene sperimentato con rappresentazioni di transizione, penso per esempio che l’assimilazione dell’umanesimo europeo nella filosofia tedesca dell’‘800 era una sorta di tentativo di modernizzare le vecchie rappresentazioni della società aristocratica del buon vivere e di elevarle a idee generali. Ma accanto a ciò arrivava in modo troppo ridotto l’interpretazione della società moderna. Interpreto dunque la società moderna come risultato di una tale catastrofe, come un cambiamento in una nuova forma di primaria ripartizione, di primaria differenziazione del sistema sociale, fino ad ora sconosciuta nella storia e di certo in direzione di funzioni. Attualmente sono consueti sistemi primari parziali per politica, per scienza, per educazione, per religione, per medicina, per diritto etc. La lista non ha bisogno di essere completa e la produzione è spostata anche temporalmente. Politica e religione si differenziano prima, l’economia più tardi, la scienza ancora più tardi, l’educazione ancora più tardi. L’interessante è che c’è un ordine di sistemi orizzontali, collaterale che rende possibile una più alta complessità o è compatibile con la società e con una più alta complessità del sistema sociale nel complesso. Se si cerca di rendere le rappresentazioni come questo era raggiungibile, su che cosa si basa questa complessità più elevata, è utile lavorare con la rappresentazione delle rinunce finalizzate, vale a dire la società moderna rinuncia al paradigma di ordine della vecchia società, e può ciò in ragione della differenziazione funzionale. 5 Desidero citare tre punti di vista. Il primo è una rinuncia a una regolazione di unità sociale dei rapporti tra sistemi parziali, cioè, detto in termini concreti, rinuncia alla stratificazione e a un ordine gerarchico che si afferma, nel quale ogni sistema parziale riceve un posto determinato. Naturalmente queste descrizioni sono descrizioni idealizzate, come si vede ad un’analisi del sistema delle caste indiane o anche nei ceti europei. La realtà era sempre molto più complicata. Sebbene però è importante che ci sia una descrizione della società, che prevedesse che un ordine gerarchico unitario dall’alto e dal basso. Invece di ciò noi non abbiamo oggi alcuna determinazione dei sistemi funzionali riguardo a determinate relazioni sociali per altri sistemi, bensì soltanto una regolazione sistema/ambiente in ogni singolo caso. La politica regola il proprio accadere politico con un’osservazione del proprio ambiente, per esempio, dello sviluppo economico, della cultura governativa, dei problemi del sistema educativo etc. L’economia reagisce ai cambiamenti della politica, ma anche ai cambiamenti della scienza, della tecnologia, ai cambiamenti del diritto etc. Ogni sistema regola se stesso in relazione a una relazione sistema/ambiente e non si può più descrivere l’intera società come una catena di relazioni di sistemi-a-sistemi, bensì sempre solo come un agglomerato di prospettive Sistema e ambiente, in cui ogni sistema è lo stesso sistema e allo stesso tempo ambiente degli altri sistemi. Questo era il primo punto: rinuncia a una regolazione unitaria sociale delle relazioni intrasistemiche. Il secondo punto, che segue, è che in questa società non ci sono vertici né centro, cioè non ci sono più posizioni che sono un genere naturale, privo di concorrenza, posizione di osservazione della società dall’interno. Non ci sono posti privilegiati, dai quali può essere descritta la società, senza concorrenza con altre descrizioni, che scorrono parallele e contraddittorie. Rinuncia a un vertice: è chiaro, se noi non abbiamo alcuna stratificazione, non abbiamo alcun centro. Rinuncia ad un centro: è ugualmente chiaro, se non abbiamo 6 alcun centro, non abbiamo più neanche alcuna periferia e non possiamo delimitare neanche città, nessuna vita cittadina come focolare e fulcro della civilizzazione e tutto il resto come contadini e esseri rusticali che non vivono realmente come uomini, impegnati in lavori pesanti… Il terzo punto: rinuncia alla ridondanza, cioè a un impiego molteplice della funzione, a direzioni multifunzionali, così come nelle grandi economie domestiche economiche, politiche, educative, anche giuridiche-regolative dove potevano essere risolti compiti in un quadro istituzionale, oppure attraverso una morale corrente che, allo stesso tempo, prendeva su di sé funzioni religiose, giuridiche e altre. Tali garanzie plurime di funzioni erano assolte in unità singole, locali, regionali, complesse e al loro posto subentra un ordine, nel quale ogni sistema funzionale svolge la sua propria funzione e però monopolizza anche questa funzione, vale a dire la sanità si può ricevere ancora solo dai medici e negli ospedali, non più nelle propria famiglia e non più in chiesa. La politica può essere fatta soltanto ancora dallo Stato, dalla politica ordinata in forma statale e non più dalle grandi famiglie della regione e neanche più dalla chiesa, la religione è diventata un’occasione specificamente chiesastica e l’educazione si fa nelle scuole etc., cioè i compiti funzionali sono concentrati nei sistemi, prodotti esattamente per questo. Ogni sistema può dunque esplicare la propria funzione di certo in modo abbastanza autonomo, però allo stesso tempo è avviato a far sì che tutte le altre funzioni vengano esplicate altrove. Perciò i sistemi sono indipendenti uno dall’altro, per quel che attiene alla propria funzione, ma allo stesso tempo anche dipendenti per quel che attiene allo svolgimento delle altre funzioni. La politica, e anche l’educazione, l’università e tutto ciò che riguarda questo fa sì che l’economia possa produrre denaro sufficiente per compiti non economici. L’economia è tenuta a che il sistema diritto funzioni a che i processi non durino troppo a lungo a che sia eseguita una sentenza, se c’è etc., così che i disturbi a livello di rendimento di un sistema funzionale, che forse in questo 7 sistema non sono così drammatici, possono propagarsi nella società come un’onda, che si formino strutture dissipative in senso negativo e possano proporre problemi risolvibili difficilmente in altri sistemi. Vi è quindi un alto rischio della diffusione di disturbi in una capacità di recupero contemporaneamente più alta, di più elevata capacità di autoguarigione, autoriparazione del sistema. Noi vediamo già che questo ordine è molto più complesso di altri ordini tradizionali che non conoscevano queste tre rinunce, che avevano una regolazione sistemico-sociale unitaria, centri o vertici e istituzioni ridondanti. La conseguenza di questo nuovo ordine è un’autonomia autopoietica molto alta, che oggi si nomina spesso, autopoieticamente, autoprodotta dei sistemi parziali più importanti. 8