cronogrammi sezione prima politica, storia e società 8 Direttori Paolo Armellini “Sapienza” Università di Roma Angelo Arciero Università degli Studi “Guglielmo Marconi” Comitato scientifico Nicola Antonetti Università di Parma Maria Sofia Corciulo “Sapienza” Università di Roma Francesco Maiolo Università di Utrecht Andrej Marga Università Napoli-Cluji, Romania Gaspare Mura Urbaniana, Roma Philippe Nemo European School of Management, Parigi Rocco Pezzimenti Lumsa, Roma cronogrammi sezione prima politica, storia e società Ispirandosi all’arte di istituire, all’interno di una frase latina, una corrispondenza tra lettere e numeri in grado di rimandare a uno specifico evento temporale (e, per estensione, alla costruzione di una correlata dimensione spaziale) la collana “Cronogrammi” intende offrire, a studiosi, personalità della politica e lettori interessati ai problemi della vita comunitaria, una serie di monografie, saggi e nuovi strumenti critici aperti a una pluralità di linee interpretative e dedicati a temi, questioni, figure e correnti del pensiero politico. La consapevolezza del complesso e, talvolta, controverso rapporto fra verità e storia costituisce, in tale prospettiva, il presupposto di un approccio critico concepito come una riflessione sul pensiero occidentale incessantemente attraversato da problemi e situazioni che coinvolgono al massimo grado la dimensione della politica sia nella sua fattualità empirica, sia nella sua normatività razionale. Le diverse sfere della convivenza umana hanno da sempre imposto alla politica di affrontare e risolvere (attraverso la decisione o la teorizzazione intellettuale) il nesso spesso ambiguo fra la ragione, il bene comune, l’universalità dei diritti e l’insieme degli interessi individuali e collettivi. Questo insieme di relazioni ha sollecitato pensatori, personalità politiche e osservatori sociali a disegnare una pluralità di modi diversi di regolare l’attività politica, presente sia nella società civile, sia nella sfera istituzionale, in modo da scorgere un terreno di differenziazione e di convergenza fra la forza legittima della decisione e la ragione dell’esattezza legale, tenendo conto della distinzione e a un tempo dell’indissociabilità dell’astrattezza normativa con la molteplicità degli interessi in gioco nella ricerca del consenso. Le distinte sfere della noumenicità della giustizia e della fenomenicità dell’utilità, sempre finalizzate alla felicità della persona e della comunità, hanno presentato nella storia dell’uomo diversi gradi di approssimazione e vicinanza che corrispondono anche alla formulazione dell’estesa quantità di teorie politiche, antiche e moderne. Per questo motivo “Cronogrammi” si propone di offrire un quadro critico, sia dal punto di vista filologico che ermeneutico, della geostoria del pensiero politico affrontando i suoi diversi volti ideali, storici e istituzionali. La sezione “Politica, storia e società” comprende studi e monografie dedicati all’analisi del percorso dialettico e diacronico di pensatori, correnti e personalità politiche affermatesi in Occidente, sulla base di una duplice prospettiva, dell’analisi dottrinale e della concreta realtà storicopolitica, che tenga sempre conto del nesso fra teoria e prassi. La sezione “Testi e antologia di classici” è dedicata alla pubblicazione di opere (in particolare inedite o rare), traduzioni e antologie dei grandi pensatori della storia e delle principali ideologie, corredate da aggiornate introduzioni e commenti critici di studiosi e specialisti che ne mettano in rilievo prospettive stimolanti e originali. La sezione “Protagonisti e correnti del Risorgimento” intende valorizzare, nell’attuale contesto internazionale di studi politici e sociali e a fronte della mutevolezza delle circostanze storiche, l’idea di una ricorrente centralità di valori, in linea con la presenza nella storia di una philosophia perennis, che i diversi politici, pensatori e storici (dal Rinascimento al Risorgimento, dal Barocco all’Illuminismo), hanno espresso nei loro studi insistendo sulla specificità di una storia italiana mai disgiunta dal contesto europeo. La sezione “Rosminiana” intende pubblicare studi e ricerche sul pensiero teologico e politico di Antonio Rosmini Serbati e sulla relativa storiografia, che a partire dall’Ottocento e passando per tutto il Novecento, ha fatto risaltare l’originalità di questo pensatore, la cui fedeltà al cattolicesimo ha contribuito a rinnovare il nesso fra tradizione e innovazione alla luce dell’eterno problema del rapporto fra fede e ragione e in vista della difesa della persona contro ogni forma di dispotismo. Antonio Macchia Due idee di nazione Imperialismo fascista e nazionalismo democratico di “Giustizia e Libertà” durante il conflitto italo-etiopico Copyright © MMXII ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133/A–B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–5435–2 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: ottobre 2012 INDICE Premessa ............................................................................................ 9 CAPITOLO I I PRODROMI DELLA CRISI ETIOPICA (MARZO 1932 - DICEMBRE 1934) I.1. I primi segnali: Mussolini si interessa all’Etiopia .......................25 I.2. Due realtà a confronto: le lotte per la direzione dell’impresa in Italia; le divergenze nella valutazione della crisi economica in seno all’antifascismo .............................29 I.3. Struttura ed evoluzione di GL in Italia alla vigilia della crisi etiopica: la vicenda di Ponte Tresa ............38 I.4 Il principio e l’evoluzione della crisi italo-etiopica e la percezione di GL ...................................................................49 I.5. Le direttive del 30 dicembre 1934 di Mussolini a Badoglio e i motivi dell’impresa .................................................................57 CAPITOLO II LA RAPIDA CORSA VERSO LA GUERRA (GENNAIO-OTTOBRE 1935) II.1 La preparazione diplomatica: gli accordi Mussolini-Laval ..........63 7 8 Indice II.2. L’opinione di GL sulle operazioni militari e sulla colonizzazione italiana dell’Etiopia ..................................67 II.3. La svolta di febbraio: l’invio delle prime divisioni italiane in Eritrea .............................71 II.4 Perché siamo contro la guerra d’Africa .......................................78 II.5. La scelta dell’attacco violento contro il fascismo ......................86 II.6. L’inizio del conflitto e le reazioni all’interno di GL e dell’antifascismo ............................................90 Conclusioni ........................................................................................99 Documenti.........................................................................................105 Bibliografia ......................................................................................107 PREMESSA Al principio degli anni trenta, padrone ormai dell’apparato politico della nazione, Mussolini rivolse la sua attenzione all’incremento del prestigio italiano all’estero e all’affermarsi delle aspirazioni dell’Italia fascista a un posto fra le grandi potenze europee1. Tale sintesi sul ventennio fascista non è mia, ma dello storico americano George W. Baer che, come altri, distingue tra un primo periodo nel quale il regime concentrò i suoi sforzi a radicarsi definitivamente all’interno del paese e ad occupare le leve di comando e di controllo delle istituzioni statali ed una seconda fase, collocabile, grossomodo, intorno al 1930 nella quale l’interesse fu orientato maggiormente a svolgere la sua azione nel quadro della politica estera2. L’aspirazione ad un posto tra le grandi nazioni, che cela una sorta di complesso di inferiorità nei riguardi degli Stati protagonisti della scena internazionale, è il passaggio più significativo messo in risalto da Baer; nella politica estera fascista si mescolarono, infatti, sia la volontà di valorizzare il ruolo dell’Italia agli occhi della diplomazia internazionale (in particolare nel periodo in cui la politica estera italiana fu sostanzialmente affidata a Dino Grandi), ma anche il dare sfogo a quella parte della na1 G.W. Baer, The Coming of the Italian-Ethiopian War, Harward University press, Cambridge (Mass.), 1967, trad. It.: La Guerra italo-etiopica e la crisi dell’equilibrio europeo, Laterza, Bari, 1970, pag. 33 2 Una periodizzazione dell’imperialismo coloniale fascista è ben descritta da Luigi Goglia in L. Goglia e F. Grassi, Il colonialismo italiano da Adua all’impero, Laterza, Bari, 1981, pp. 204-210. In generale: R. De Felice, Mussolini il duce I. Glia anni del consenso, Einaudi, Torino, 1974, pag. 323 e pp. 365-367 9 10 Premessa zione e dell’ideologia fascista che aspirava ad assurgere al ruolo di grande potenza internazionale non disdegnando alcun mezzo per raggiungere tale scopo. Nonostante le critiche mosse alla cosiddetta “italietta liberale”, il fascismo, anche se originale nei contenuti, né ereditò o volle ereditarne, in mancanza di suoi temi propri, le principali trame della politica estera, oltre al personale diplomatico, sommandoli a quelli del movimento nazionalista che, nel 1921 era confluito nel Partito Nazionale Fascista (P.N.F.). All’indomani del grande sconvolgimento economico del 1929, alle soglie dell’affermazione del revisionismo nazista in Germania, la posizione internazionale dell’Italia era saldamente ancorata a quella di Francia e Gran Bretagna nella logica dello schema vincitori (Italia, Francia e Gran Bretagna, appunto) e sconfitti (Germania, Austria e in parte Unione Sovietica3). Non si trattava però di una alleanza solo passiva, nella quale l’Italia svolgeva il ruolo di partner minore dell’alleanza, ma soprattutto dopo che il Giappone, nel 1931, mise nuovamente in moto le sue dinamiche di controllo sulla Cina, agli alleati venne chiesto con sempre maggiore insistenza, di sanare quella sorta di grande situazione di disagio psicologico nazionale riassunta nel termine, coniato da D’Annunzio, di “Vittoria mutilata”. Come noto tutti quei gruppi, in realtà minoritari nel paese, che nel maggio del 1915 lo avevano sospinto nel primo conflitto mondiale, dopo la firma dei trattati di pace di Versailles e soprattutto di Saint Germaine-en-Laye (19 settembre 1919), ritennero che i compensi ottenuti alla fine del conflitto non fossero adeguati sia rispetto al sacrificio ed al ruolo a cui il paese era assurto nel dopoguerra, sia, in punto di diritto, rispetto a quanto pattuito il 24 aprile 1915 con il trattato di alleanza segreto di Londra. Motivo del contendere era l’assegnazione dei porti della Dalmazia, storicamente veneziani, ma ora etnicamente a maggioranza croata e soprattutto, la definizione del confine orientale, tracciato a 3 L’Italia fascista sarà però il primo paese ad allacciare le relazioni diplomatiche con la Russia sovietica Premessa 11 Londra seguendo una logica di difendibilità della frontiera italiana rispetto ad un eventuale revanscismo dell’Austria – Ungheria, ma che ora, dopo la dissoluzione della duplice monarchia, sostituita dalla più debole Yugoslavia, poteva essere ragionevolmente corretto, rispettando maggiormente le linee etniche, come caldeggiava il presidente americano Wilson, attraverso un arretramento delle pretese di Roma4. La vicenda della frontiera orientale si risolse in maniera sostanzialmente favorevole all’Italia già prima della salita al potere del fascismo, nel novembre del 1920, includendo non solo i confini concordati prima del conflitto, ma anche il porto di Fiume, importantissimo sbocco marittimo per tutta l’Europa danubiana5. A ben vedere, ciò che restava irrisolto e finiva per costituire la vera essenza di quel complesso di inferiorità della politica estera italiana, era rappresentato dalla mancata assegnazione dei territori coloniali ceduti dall’Impero tedesco e da quello ottomano6, ma più in generale dalla conseguenza comportata dalle ridotte dimensioni dell’impero coloniale italiano, cioè quello di 4 Si veda tra gli altri I. Garzia, Un’equazione a molte incognite: l’Italia e la Jugoslavia nel sistema politico internazionale, in a cura di F. Botta e I. Garzia, Europa Adriatica, Laterza, Bari, 2005, pp. 3-14 5 Sulla questione diplomatica del confine tra Italia e Yugoslavia lo studio a cui si fa tradizionalmente riferimento è quello di I. Lederer, La Yugoslavia e l’Italia dalla conferenza della pace al trattato di Rapallo 1919-1920, Il saggiatore, Milano, 1966 6 Tra l’aprile ed il maggio del 1919, mentre la delegazione italiana era stata ritirata dalla conferenza di pace proprio in segno di protesta per la mancata applicazione delle clausole del trattato di Londra, Francia e Gran Bretagna decisero sostanzialmente di applicare l’accordo Sykes-Picot del 1916, relativo alla suddivisione della parte araba dell’Impero ottomano e di spartirsi anche l’impero coloniale tedesco. Usarono però l’accortezza di non trasferire direttamente nelle proprie mani tali territori, ma di assegnarli prima alla Società delle Nazioni la quale avrebbe successivamente dato mandato a tali potenze di amministrarli sino al raggiungimento (in tempi lunghi) di una capacità di autogoverno da parte delle popolazioni coloniali. Sul sistema dei mandati: D. Hall, Mandates, Dependencies and Trusteeships, Carnegie Endownment for Peace, Washigton, 1948 12 Premessa essere confinati al rango di potenza locale e non di elevarsi a quello di potenza globale. Il primissimo esordio di Mussolini sulla scena internazionale sembrò dimostrare che il nuovo Capo del Governo italiano non aveva molti scrupoli rispetto all’uso della forza per far valere le sue ragioni e raggiungere i suoi obiettivi7. Dall’incidente di Corfù del 1923, trascorsero però, più di sette anni prima che il duce decidesse di riaffacciarsi decisamente sul palcoscenico internazionale. Ma il Mussolini diplomatico degli anni trenta è diverso da quello quasi dannunziano degli esordi. La situazione di sconvolgimento economico e soprattutto politico della Germania, nella quale sta iniziando la rapida ascesa del partito nazionalsocialista suggerisce prudenza. La politica a cui resta fedele è quella tradizionale, consolidata al termine del conflitto, per cui Francia, Gran Bretagna ed Italia sono garanti dello statu quo in Europa, interessate ad arginare ogni tentativo di risorgimento della potenza tedesca. In questo quadro, lo strumento delle conferenze ristrette tra le grandi potenze appare il più vantaggioso, sia per l’implicito riconoscimento del ruolo italiano, sia per la possibilità di evitare, in questo modo, di passare attraverso la Società delle Nazioni, istituzione che Mussolini rifiuta, in quanto il peso dei piccoli Stati in tale consesso è, a suo dire, troppo sproporzionato8. Il duce affida, invece, il suo disegno internazionale, tra il 1929 ed il 1932, alle conferenze sul disarmo terrestre, ma soprattutto al “Patto a Quattro”, una sorta di direttorio delle grandi potenze, inclusa la Germania, ancora non hitleriana, che avrebbe dovuto scandire, nelle aspettative italiane, il percorso delle vicende europee nel decennio successivo. L’esito fallimentare di tali progetti trascinò via con se anche i disegni e le speranze di perseguire il ruolo di grande potenza attraverso una via pacifica. In ritardo, per forza di cose, di al7 Si fa qui riferimento all’occupazione italiana, del 1923, dell’isola di Corfù. Si veda J. Barros, The Corfù Incident: Mussolini and the League of Nations, Princeton University Press, Princeton, 1965 8 G.W. Baer, op. cit., pag. 33 Premessa 13 meno vent’anni rispetto ad una politica coloniale che iniziava a sperimentare nuovi metodi di legame e di controllo da parte della madrepatria sui territori coloniali (basti pensare alla creazione del Commonwealth nel 1931), lo sguardo si posò inevitabilmente sui temi della politica extraeuropea, poiché, come accennato, l’Italia non pensava minimamente a discostarsi, in Europa, dalla politica di accordo e di concertazione con le altre potenze. Il terreno coloniale offriva, invece, vari vantaggi: in primo luogo perché proprio qui, a giudizio dei nazionalisti italiani, era evidente la disparità dei trattati di pace postbellici a favore di Francia e Gran Bretagna. Alle spartizioni a cui hanno proceduto i due Stati l’Italia aveva potuto avere accesso solo negli anni successivi (1925), attraverso la cessione, da parte britannica di una lingua di territorio tra il Kenya e la Somalia italiana, l’Oltregiuba, al quale si era aggiunta l’oasi di Giarabub, ed altri limitati aggiustamenti di confine tra Libia ed Egitto. Gli anni venti videro anche una ristrutturazione ed una riaffermazione dei possessi coloniali italiani, già peraltro prospettata dal liberale Giovanni Amendola nel 1922, anche se non sostenuta dal fondamento ideale dell’imperialismo, bensì da quello dell’auspicio di una collaborazione tra italiani e arabi in Cirenaica e Tripolitania sotto il segno dell’appartenenza, da parte di questi ultimi, ad un nuovo consesso internazionale diverso e più forte rispetto a quello ottomano9. Il fascismo, in maniera più sbrigativa, avviò una vera e propria campagna di riconquista, condotta in Libia, con metodi spietati dai generali Pietro Badoglio e Rodolfo Graziani, contro i ribelli senussiti guidati dal leggendario Omar El Muktar. La Somalia e l’Eritrea furono invece affidate a fascisti e nazionalisti di provata fede come Cesare De Vecchi e Corrado Zoli, che provvidero a riorganizzare e a radicare la presenza italiana in tali colonie10. 9 Si veda R. De Felice, Amendola Ministro delle Colonie, in a cura di R. Moscati, Giovanni Amendola nel cinquantenario della morte 1926-1976, Fondazione Einaudi, Roma, 1976, pp. 161-175 10 Il magro quadro dei possessi coloniali era completato dalle posizioni strategiche rappresentate dalle 13 isole dell’Egeo, che costituivano il Dode- 14 Premessa Le grandi aspirazioni coloniali italiane erano però altre ed erano rimaste latenti, addirittura dagli anni ottanta e novanta dell’Ottocento. Gli oggetti del desiderio dell’imperialismo italiano rimanevano la Tunisia, abitata da più di un secolo da una consistente minoranza italiana, ma soprattutto l’Etiopia, legata strettamente a quella che i nazionalisti ed una parte dell’opinione pubblica definiva come la “vergogna di Adua, cioè la sconfitta militare patita nel 1896 dal corpo di spedizione italiano ad opera del Negus Menelik II. Vi erano poi nuove richieste coloniali, che nel quadro di una rinnovata minaccia tedesca verso la Francia, scaturivano dal calcolo di poter barattare la fedeltà italiana al fronte antihitleriano con la concessione di spazi coloniali, in particolare emergeva l’idea della cessione di un corridoio che doveva passare attraverso Ciad e Camerun per congiungere la Libia all’Atlantico11. In tutto questo Mussolini, forse fedele all’antica posizione politica che lo aveva visto violento oppositore, sulle colonne dell’Avanti, alla conquista della Libia, era sembrato spesso poco interessato alla politica coloniale e ben concentrato su quella europea. I suoi progetti si erano limitati al massimo al Mediterraneo. E questo disinteresse coloniale è testimoniato dal fatto che, in tutta la sua vita di statista, si recò solo in tre occasioni in Libia e mai nell’Africa Orientale Italiana (A.O.I.) nonostante questa, dopo il 1936, costituisse la grande impresa bellica e di conquista del regime. Dato questo sostanziale disinteresse risulta difficile per gli storici stabilire il momento in cui il duce iniziò a concepire l’idea del progetto di sottomissione dell’Etiopia e tanto meno, le ragioni immediate che lo spinsero a tale passo. Tuttavia leggendo il volume pubblicato da Emilio De Bono all’indomani della canneso, dall’Isola di Saseno in Albania e dalla concessione di Tien-tsin in Cina (a cui l’Italia rinunciò definitivamente solo nel 1947) 11 Si veda A. Del Boca, Gli italiani in Africa orientale 2. La conquista dell’impero, Laterza, Bari, 1979, pp. 171-172 e anche R. De Felice, Mussolini il duce, cit., pag. 363 nota 2. Premessa 15 conquista etiopica è possibile attribuire a questo personaggio buona parte della paternità dell’impresa12. Scrive De Bono: «Nel 1932 S.E. il Capo del Governo volle che io andassi in Eritrea per vedere e poi riferire. Partii nel marzo di quell’anno e mi fermai in Colonia quel tanto necessario per farmi una positiva idea di tutte le necessità, che erano tante, tante. Governatori e Comandanti militari mettevano tutta la loro competenza e volontà per fare e far progredire; e si progrediva miracolosamente date le ristrettissime possibilità finanziarie. Al mio ritorno feci al Capo del Governo una succinta relazione rappresentando rudemente lo stato di fatto; ma con spirito ottimista. Tutto dipendeva da che cosa il Fascismo voleva fare in Africa Orientale e quali erano le sue ultime mire.»13. La ricostruzione fatta da De Bono è apparentemente chiara: al principio del 1932 il quadrunviro, che ricopriva la carica di Ministro delle Colonie, si sentiva un po’ nell’ombra e cercò di suscitare in Mussolini un certo interesse per replicare anche in Eritrea e Somalia, quanto era stato fatto in Libia. L’impresa etiopica, non era probabilmente ancora stata concepita, ma De Bono intravedeva, sia evidenti motivi di prestigio personale sia, probabilmente la possibilità, di richiamare l’interesse di Mussolini, facendo leva sulle ricadute propagandistiche e di prestigio internazionale che potevano derivare all’Italia da un controllo più stretto dell’area del Corno d’Africa14. Dei prodromi dell’azione coloniale fascista in Etiopia si tratterà più diffusamente nel primo capitolo del volume, ma nell’economia del discorso è importante sottolineare il nesso 12 E. De Bono, La preparazione e le prime operazioni, Istituto Nazionale Fascista di Cultura, Roma, 1937. De Bono guidò la campagna etiopica dall’ottobre al dicembre 1935, prima di cedere il comando a Pietro Badoglio 13 E. De Bono, cit., pag. 2 14 Sulla ricostruzione dei prodromi della campagna di Etiopia si veda: R. De Felice, cit., pp. 416-418; G.W. Baer, cit., pp. 44-46 e A Del Boca, cit., pp. 175-178. In generale gli autori concordano sul fatto che una prima spinta a considerare la riapertura della questione etiopica, anche se in chiave difensiva, avvenne in occasione del viaggio di Vittorio Emanuele III in Eritrea e Somalia nel novembre del 1932, ma solo nel corso del 1933 si iniziarono concretamente a formulare dei programmi militari 16 Premessa esistente, a mio avviso, tra la progressiva “delusione” mussoliniana relativa al decrescere del peso della percezione della potenza italiana e quindi del duce, sul fronte europeo, con il progressivo interesse per l’impresa africana. Quasi che, quest’ultima potesse compensare o addirittura riassestare la prima. Il tutto nel segno di uno spasmodico inseguimento dell’immagine esteriore di un sogno imperiale, collegato strettamente all’idea di nazione del fascismo e dei nazionalisti. L’Italia del 1932 era, apparentemente, agli occhi della maggior parte dei suoi cittadini, un paese dove il fascismo, nell’arco di un solo decennio, aveva eliminato ogni tipo di forza di opposizione. Eppure non era così. Un pensiero politico alternativo, in larga parte prosecutore di quelle forze che avevano formato le rappresentanze parlamentari prima del 1925 esisteva ancora, sia clandestinamente, sia alla luce del sole all’estero, soprattutto in Francia. Uno dei più attivi tra questi era “Giustizia e Libertà”, movimento che si ricollegava alle tradizioni democratiche, mazziniane e socialista riformista. E che, nonostante l’idea di incarnare un nuovo Risorgimento, che pervadeva l’organizzazione, affondava le sue radici nella tradizione politica dell’Italia unitaria, più che di quella risorgimentale ormai lontana nel tempo15. A differenza degli altri movimenti di opposizione, che attribuivano maggiore importanza alle dinamiche sociali interne italiane, i mutamenti del quadro europeo e le variazioni nell’ambito del campo di azione mussoliniana furono, quasi subito valutati e non sfuggirono all’attenzione di Rosselli e di G.L.. Due articoli, uno del 6 marzo 1933, pubblicato sui “Quaderni di Giustizia e Libertà”, firmato con lo pseudonimo di Curzio dal titolo “Il problema dei rapporti italo-francesi” e l’altro 15 La tradizione mazziniana, il cui culto era forte in casa di Carlo Rosselli, fondatore di “Giustizia e Libertà”, era tramandata quasi come un titolo di nobiltà spirituale, dati i legami storici che legavano sia la famiglia Rosselli, nella cui casa, a Pisa, Mazzini aveva trovato l’ultimo rifugio ed era morto nel 1872, sia in quella della madre, Amelia Pincherle. Si veda su questo A. Garosci, Vita di Carlo Rosselli, Vallecchi, Firenze, 1973, pp. 3-4 Premessa 17 del 9 novembre 1933, sempre sulla stessa rivista, con il titolo “La guerra che torna”, sono il punto di partenza per comprendere il formarsi del giudizio sulla politica estera italiana di quegli anni da parte di una costola del fuoriuscitismo italiano16. E’ bene chiarire, però, che nel quadro dei movimenti diplomatici e delle Relazioni internazionali, in genere, il confronto polemico a distanza, tra Rosselli e Mussolini, rivestì un’importanza largamente marginale, praticamente con nessuna incidenza sui fatti, data anche la ristretta platea di lettori a cui l’antifascista fiorentino si rivolgeva. Ciò che questo studio intende mettere in risalto sono, invece, altri aspetti connessi con la crisi italo-etiopica, ma che matureranno ed assumeranno maggiore rilevanza negli anni del conflitto mondiale e soprattutto in quelli postbellici: in primo luogo vi è il tema del compimento di una frattura definitiva, consumatasi nell’ambito del movimento interventista italiano; in secondo luogo l’emergere di una valutazione di inadeguatezza e pochezza del regime rispetto alle grandi sfide internazionali; infine quello di un mutamento della strategia di opposizione che sfocerà prima nella partecipazione alla guerra di Spagna, già nel 1936 e poi in un embrione di idea di opposizione armata, che si concretizzerà, però, solo a sei anni di distanza dalla morte di Rosselli. Come si diceva, le prime riflessioni sulle mutate condizioni della politica estera europea del 1933 sono affidate, da Rosselli, all’articolo “La guerra che torna”. La domanda che si pone il già giovane ed ardente interventista del 1915, che credeva allora nella guerra sovvertitrice, è sorprendente: E se l’edificio della pace crolla nelle sue fondamenta? Allora, silenzio. Proibito constatare che le fondamenta sono crollate, proibito dire che la guerra, cancellata dal vocabolario, messa fuori legge dal Patto Kellog, ma riapparsa in america e in Asia, ritorna ad essere una ipotesi possibile, probabile, forse fatale 16 Per i testi di tali scritti, oltre allo spoglio del mensile (poi settimanale) “Giustizia e Libertà”, si fa riferimento ai 2 volumi curati da Costanzo Casacci: C. Rosselli, Scritti dell’Esilio, Einaudi, Torino, 1988 e 1992 Premessa 18 anche in Europa. Proibito perché la pace è prima di tutto fede. E la fede non si discute17. Il colpevole di tale sovvertimento è però palese: A costo di essere fraintesi e lapidati vogliamo dire quello che tutti abbiamo nel cuore in Europa da quando Hitler comanda in Germania: l’illusione della pace è finita. La meccanica pacifista ginevrina è schiantata. La pace torna ad essere quello che fu sempre nella storia: uno stato negativo e precario, una parentesi tra due guerre, una guerra, come Clausewitz diceva, che continua sotto forme mutate.18. Rosselli si sofferma, poi, sui possibili schieramenti ed intravede, il ricomporsi delle alleanze della prima guerra mondiale, nonostante i radicali cambiamenti avvenuti in Italia e Russia. Mussolini è descritto in maniera non lontana da quella che si rivelerà realmente al momento della decisione suprema: Ama il piccolo giuco e la vincita certa. Al momento dello scoppio lo vedremo tremare e accodarsi come sempre, all’Inghilterra.». Come vedremo sarà invece proprio il conflitto etiopico (che però nel novembre del 1933 è assolutamente non prevedibile) a favorire l’avvicinamento dell’Italia alla Germania e la certezza della vittoria tedesca, dopo la disfatta francese, a determinare una scelta, diversa nell’alleato, ma simile nelle motivazioni. Un Rosselli pacifista, ma rassegnato alla guerra quindi? Niente affatto: il Rosselli del 1933 è ancora interventista. Convinto che la soluzione al problema hitleriano sia la guerra preventiva, che invoca a gran voce: Una Francia democratica e socialista che in un momento importante della lotta civile in Germania interviene ed innalza 17 18 C. Rosselli, cit., pag. 250 Cit., pag. 251 Premessa 19 in faccia a Hitler un governo tedesco libero e rivoluzionario che a sua volta con un’armata di operai tedeschi si ricongiunge ai fratelli ribelli in patria. E’ un discorso irrealistico nel 1933: Sogni, si dirà. Sogni, ammettiamo anche noi19, ma che si rivelerà tutt’altro che folle alla luce degli avvenimenti successivi. A questo punto, però, lo spirito di Rosselli si vela di un pessimismo ammonitore: La guerra viena, la guerra verrà. Un solo modo esiste per scongiurarla: prevenirla. Prevenirla con un’azione risoluta, con un’intervento rivoluzionario che nei paesi dove il fascismo domina rovesci le parti nella guerra civile. In luogo di organizzare la guerra, o di subirla passivamente, aiutare la rivoluzione. Questa è, nell’ora attuale, l’unica forma di pacifismo virile che si conviene a dei rivoluzionari; l’unico metodo di salvare la pace. Trionferà? Non crediamo. I rivoluzionari che hanno il coraggio di guardare in faccia la realtà sono rari in Europa. Le diplomazie democratiche continueranno la loro vana schermaglia coi Mussolini e cogli Hitler. I partiti socialisti continueranno a invocare il disarmo, la pace, l’intesa dei popoli. Intanto le fabbriche d’armi lavoreranno e gli Stati Maggiori perfezioneranno i piani di mobilitazione. Nell’ora che nessuno può anticipare, la nuova catastrofe piomberà sull’Europa 20. Ammiriamo questo Rosselli quasi preveggente, lucido nell’analisi della situazione politica internazionale del suo tempo e ancora di più, se consideriamo che, “La guerra che torna”, non è il primo articolo di politica internazionale scritto dall’antifascista toscano, ma esso completa un quadro iniziato con l’analisi de “Il problema dei rapporti italo-francesi”, pubblicato il 6 marzo dello stesso anno e trasfuso, in buona parte, anche nel testo di una conferenza tenuta presso il prestigioso 19 20 Cit., pag. 254 Cit., pp. 257-258 Premessa 20 Royal Institute of International Affairs di Londra il 16 dello stesso mese21. Già in queste occasioni Rosselli prendeva le distanze dal nazionalismo e dalla politica estera mussoliniana e dai pericoli per la stabilità europea, derivanti dal dissidio con la Francia. In primo luogo sottolineava il carattere imperialistico del nazionalismo fascista: Il problema che sorge a questo punto è di sapere se la politica estera di Mussolini sia una politica di genere imperialistico, tutta tesa verso una espansione territoriale e coloniale. Su questa rivista possiamo dispensarci dalla dimostrazione. Basterà ricordare le innumerevoli dichiarazioni di Mussolini sull’impero, sulla fatalità dell’espansione, sulla supremazia della razza, sulla necessità della guerra come igiene dei popoli; sull’esclusiva lasciata ai nazionalisti in materia di politica estera, l’educazione della gioventù, l’opera violenta di snazionalizzazione delle minoranze, la politica delle colonie, la colonizzazione dell’Albania, ecc22. Quindi, ancora con un acume non comune affermava che: Il fallimento stesso della politica ricostruttiva all’interno, la miseria, la disoccupazione, la crisi, spingono il fascismo e più ancora il suo capo a ricercare grandi e tangibili successi in politica estera. Mussolini è ossessionato dall’idea di associare il suo nome alla vittoria militare e alla conquista di un impero. E quando l’ora gli parrà matura, tenterà l’avventura23. A ben vedere è quasi l’abbozzo di quell’analisi che, a quaranta anni di distanza, porterà Renzo De Felice ad individuare 21 Si veda C. Rosselli, La politica estera fascista, in il Mulino, XXXIII (1984), pp. 241-261 preceduto dal commento di C. Casucci, ivi, pp. 231-240 e inoltre C. Casucci, Tante volte sconfitto mai vinto proprio come Mazzini, Il Tempo, 14 marzo 1992 22 C. Rosselli, il problema dei rapporti italo-francesi, in C. Rosselli, Scritti dell’esilio, cit., pag. 179 23 Cit., pag. 180