cronogrammi - Aracne editrice

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cronogrammi
sezione prima
politica, storia e società
8
Direttori
Paolo Armellini
“Sapienza” Università di Roma
Angelo Arciero
Università degli Studi “Guglielmo Marconi”
Comitato scientifico
Nicola Antonetti
Università di Parma
Maria Sofia Corciulo
“Sapienza” Università di Roma
Francesco Maiolo
Università di Utrecht
Andrej Marga
Università Napoli-Cluji, Romania
Gaspare Mura
Urbaniana, Roma
Philippe Nemo
European School of Management, Parigi
Rocco Pezzimenti
Lumsa, Roma
cronogrammi
sezione prima
politica, storia e società
Ispirandosi all’arte di istituire, all’interno di una frase latina, una corrispondenza tra lettere e numeri in grado di rimandare a uno specifico
evento temporale (e, per estensione, alla costruzione di una correlata dimensione spaziale) la collana “Cronogrammi” intende offrire, a studiosi,
personalità della politica e lettori interessati ai problemi della vita comunitaria, una serie di monografie, saggi e nuovi strumenti critici aperti a
una pluralità di linee interpretative e dedicati a temi, questioni, figure e
correnti del pensiero politico.
La consapevolezza del complesso e, talvolta, controverso rapporto fra verità e storia costituisce, in tale prospettiva, il presupposto di un approccio
critico concepito come una riflessione sul pensiero occidentale incessantemente attraversato da problemi e situazioni che coinvolgono al massimo
grado la dimensione della politica sia nella sua fattualità empirica, sia nella
sua normatività razionale. Le diverse sfere della convivenza umana hanno
da sempre imposto alla politica di affrontare e risolvere (attraverso la decisione o la teorizzazione intellettuale) il nesso spesso ambiguo fra la ragione, il bene comune, l’universalità dei diritti e l’insieme degli interessi individuali e collettivi. Questo insieme di relazioni ha sollecitato pensatori,
personalità politiche e osservatori sociali a disegnare una pluralità di modi
diversi di regolare l’attività politica, presente sia nella società civile, sia nella sfera istituzionale, in modo da scorgere un terreno di differenziazione e
di convergenza fra la forza legittima della decisione e la ragione dell’esattezza legale, tenendo conto della distinzione e a un tempo dell’indissociabilità dell’astrattezza normativa con la molteplicità degli interessi in gioco
nella ricerca del consenso. Le distinte sfere della noumenicità della giustizia e della fenomenicità dell’utilità, sempre finalizzate alla felicità della
persona e della comunità, hanno presentato nella storia dell’uomo diversi
gradi di approssimazione e vicinanza che corrispondono anche alla formulazione dell’estesa quantità di teorie politiche, antiche e moderne. Per
questo motivo “Cronogrammi” si propone di offrire un quadro critico, sia
dal punto di vista filologico che ermeneutico, della geostoria del pensiero
politico affrontando i suoi diversi volti ideali, storici e istituzionali.
La sezione “Politica, storia e società” comprende studi e monografie
dedicati all’analisi del percorso dialettico e diacronico di pensatori, correnti e personalità politiche affermatesi in Occidente, sulla base di una
duplice prospettiva, dell’analisi dottrinale e della concreta realtà storicopolitica, che tenga sempre conto del nesso fra teoria e prassi.
La sezione “Testi e antologia di classici” è dedicata alla pubblicazione
di opere (in particolare inedite o rare), traduzioni e antologie dei grandi
pensatori della storia e delle principali ideologie, corredate da aggiornate
introduzioni e commenti critici di studiosi e specialisti che ne mettano in
rilievo prospettive stimolanti e originali.
La sezione “Protagonisti e correnti del Risorgimento” intende valorizzare, nell’attuale contesto internazionale di studi politici e sociali e a fronte
della mutevolezza delle circostanze storiche, l’idea di una ricorrente centralità di valori, in linea con la presenza nella storia di una philosophia perennis, che i diversi politici, pensatori e storici (dal Rinascimento al Risorgimento, dal Barocco all’Illuminismo), hanno espresso nei loro studi insistendo
sulla specificità di una storia italiana mai disgiunta dal contesto europeo.
La sezione “Rosminiana” intende pubblicare studi e ricerche sul pensiero teologico e politico di Antonio Rosmini Serbati e sulla relativa storiografia, che a partire dall’Ottocento e passando per tutto il Novecento,
ha fatto risaltare l’originalità di questo pensatore, la cui fedeltà al cattolicesimo ha contribuito a rinnovare il nesso fra tradizione e innovazione
alla luce dell’eterno problema del rapporto fra fede e ragione e in vista
della difesa della persona contro ogni forma di dispotismo.
Antonio Macchia
Due idee di nazione
Imperialismo fascista e nazionalismo democratico
di “Giustizia e Libertà”
durante il conflitto italo-etiopico
Copyright © MMXII
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via Raffaele Garofalo, 133/A–B
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN 978–88–548–5435–2
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: ottobre 2012
INDICE
Premessa ............................................................................................ 9
CAPITOLO I
I PRODROMI DELLA CRISI ETIOPICA
(MARZO 1932 - DICEMBRE 1934)
I.1. I primi segnali: Mussolini si interessa all’Etiopia .......................25
I.2. Due realtà a confronto: le lotte per la direzione
dell’impresa in Italia; le divergenze nella valutazione
della crisi economica in seno all’antifascismo .............................29
I.3. Struttura ed evoluzione di GL in Italia
alla vigilia della crisi etiopica: la vicenda di Ponte Tresa ............38
I.4 Il principio e l’evoluzione della crisi italo-etiopica
e la percezione di GL ...................................................................49
I.5. Le direttive del 30 dicembre 1934 di Mussolini a Badoglio
e i motivi dell’impresa .................................................................57
CAPITOLO II
LA RAPIDA CORSA VERSO LA GUERRA
(GENNAIO-OTTOBRE 1935)
II.1 La preparazione diplomatica: gli accordi Mussolini-Laval ..........63
7
8
Indice
II.2. L’opinione di GL sulle operazioni militari
e sulla colonizzazione italiana dell’Etiopia ..................................67
II.3. La svolta di febbraio:
l’invio delle prime divisioni italiane in Eritrea .............................71
II.4 Perché siamo contro la guerra d’Africa .......................................78
II.5. La scelta dell’attacco violento contro il fascismo ......................86
II.6. L’inizio del conflitto e le reazioni
all’interno di GL e dell’antifascismo ............................................90
Conclusioni ........................................................................................99
Documenti.........................................................................................105
Bibliografia ......................................................................................107
PREMESSA
Al principio degli anni trenta, padrone ormai dell’apparato
politico della nazione, Mussolini rivolse la sua attenzione
all’incremento del prestigio italiano all’estero e all’affermarsi
delle aspirazioni dell’Italia fascista a un posto fra le grandi potenze europee1.
Tale sintesi sul ventennio fascista non è mia, ma dello storico americano George W. Baer che, come altri, distingue tra un
primo periodo nel quale il regime concentrò i suoi sforzi a radicarsi definitivamente all’interno del paese e ad occupare le leve
di comando e di controllo delle istituzioni statali ed una seconda
fase, collocabile, grossomodo, intorno al 1930 nella quale
l’interesse fu orientato maggiormente a svolgere la sua azione
nel quadro della politica estera2.
L’aspirazione ad un posto tra le grandi nazioni, che cela una
sorta di complesso di inferiorità nei riguardi degli Stati protagonisti della scena internazionale, è il passaggio più significativo
messo in risalto da Baer; nella politica estera fascista si mescolarono, infatti, sia la volontà di valorizzare il ruolo dell’Italia
agli occhi della diplomazia internazionale (in particolare nel periodo in cui la politica estera italiana fu sostanzialmente affidata
a Dino Grandi), ma anche il dare sfogo a quella parte della na1
G.W. Baer, The Coming of the Italian-Ethiopian War, Harward University press, Cambridge (Mass.), 1967, trad. It.: La Guerra italo-etiopica e la
crisi dell’equilibrio europeo, Laterza, Bari, 1970, pag. 33
2
Una periodizzazione dell’imperialismo coloniale fascista è ben descritta
da Luigi Goglia in L. Goglia e F. Grassi, Il colonialismo italiano da Adua
all’impero, Laterza, Bari, 1981, pp. 204-210. In generale: R. De Felice, Mussolini il duce I. Glia anni del consenso, Einaudi, Torino, 1974, pag. 323 e pp.
365-367
9
10
Premessa
zione e dell’ideologia fascista che aspirava ad assurgere al ruolo
di grande potenza internazionale non disdegnando alcun mezzo
per raggiungere tale scopo.
Nonostante le critiche mosse alla cosiddetta “italietta liberale”, il fascismo, anche se originale nei contenuti, né ereditò o
volle ereditarne, in mancanza di suoi temi propri, le principali
trame della politica estera, oltre al personale diplomatico, sommandoli a quelli del movimento nazionalista che, nel 1921 era
confluito nel Partito Nazionale Fascista (P.N.F.).
All’indomani del grande sconvolgimento economico del
1929, alle soglie dell’affermazione del revisionismo nazista in
Germania, la posizione internazionale dell’Italia era saldamente
ancorata a quella di Francia e Gran Bretagna nella logica dello
schema vincitori (Italia, Francia e Gran Bretagna, appunto) e
sconfitti (Germania, Austria e in parte Unione Sovietica3). Non
si trattava però di una alleanza solo passiva, nella quale l’Italia
svolgeva il ruolo di partner minore dell’alleanza, ma soprattutto
dopo che il Giappone, nel 1931, mise nuovamente in moto le
sue dinamiche di controllo sulla Cina, agli alleati venne chiesto
con sempre maggiore insistenza, di sanare quella sorta di grande
situazione di disagio psicologico nazionale riassunta nel termine, coniato da D’Annunzio, di “Vittoria mutilata”.
Come noto tutti quei gruppi, in realtà minoritari nel paese,
che nel maggio del 1915 lo avevano sospinto nel primo conflitto
mondiale, dopo la firma dei trattati di pace di Versailles e soprattutto di Saint Germaine-en-Laye (19 settembre 1919), ritennero che i compensi ottenuti alla fine del conflitto non fossero
adeguati sia rispetto al sacrificio ed al ruolo a cui il paese era
assurto nel dopoguerra, sia, in punto di diritto, rispetto a quanto
pattuito il 24 aprile 1915 con il trattato di alleanza segreto di
Londra.
Motivo del contendere era l’assegnazione dei porti della Dalmazia, storicamente veneziani, ma ora etnicamente a maggioranza
croata e soprattutto, la definizione del confine orientale, tracciato a
3
L’Italia fascista sarà però il primo paese ad allacciare le relazioni diplomatiche con la Russia sovietica
Premessa
11
Londra seguendo una logica di difendibilità della frontiera italiana
rispetto ad un eventuale revanscismo dell’Austria – Ungheria, ma
che ora, dopo la dissoluzione della duplice monarchia, sostituita
dalla più debole Yugoslavia, poteva essere ragionevolmente corretto, rispettando maggiormente le linee etniche, come caldeggiava il
presidente americano Wilson, attraverso un arretramento delle pretese di Roma4.
La vicenda della frontiera orientale si risolse in maniera sostanzialmente favorevole all’Italia già prima della salita al potere del fascismo, nel novembre del 1920, includendo non solo i
confini concordati prima del conflitto, ma anche il porto di
Fiume, importantissimo sbocco marittimo per tutta l’Europa
danubiana5.
A ben vedere, ciò che restava irrisolto e finiva per costituire
la vera essenza di quel complesso di inferiorità della politica estera italiana, era rappresentato dalla mancata assegnazione dei
territori coloniali ceduti dall’Impero tedesco e da quello ottomano6, ma più in generale dalla conseguenza comportata dalle
ridotte dimensioni dell’impero coloniale italiano, cioè quello di
4
Si veda tra gli altri I. Garzia, Un’equazione a molte incognite: l’Italia e
la Jugoslavia nel sistema politico internazionale, in a cura di F. Botta e I. Garzia, Europa Adriatica, Laterza, Bari, 2005, pp. 3-14
5
Sulla questione diplomatica del confine tra Italia e Yugoslavia lo studio
a cui si fa tradizionalmente riferimento è quello di I. Lederer, La Yugoslavia e
l’Italia dalla conferenza della pace al trattato di Rapallo 1919-1920, Il saggiatore, Milano, 1966
6
Tra l’aprile ed il maggio del 1919, mentre la delegazione italiana era stata ritirata dalla conferenza di pace proprio in segno di protesta per la mancata
applicazione delle clausole del trattato di Londra, Francia e Gran Bretagna
decisero sostanzialmente di applicare l’accordo Sykes-Picot del 1916, relativo
alla suddivisione della parte araba dell’Impero ottomano e di spartirsi anche
l’impero coloniale tedesco. Usarono però l’accortezza di non trasferire direttamente nelle proprie mani tali territori, ma di assegnarli prima alla Società
delle Nazioni la quale avrebbe successivamente dato mandato a tali potenze di
amministrarli sino al raggiungimento (in tempi lunghi) di una capacità di autogoverno da parte delle popolazioni coloniali. Sul sistema dei mandati: D.
Hall, Mandates, Dependencies and Trusteeships, Carnegie Endownment for
Peace, Washigton, 1948
12
Premessa
essere confinati al rango di potenza locale e non di elevarsi a
quello di potenza globale.
Il primissimo esordio di Mussolini sulla scena internazionale
sembrò dimostrare che il nuovo Capo del Governo italiano non
aveva molti scrupoli rispetto all’uso della forza per far valere le
sue ragioni e raggiungere i suoi obiettivi7.
Dall’incidente di Corfù del 1923, trascorsero però, più di sette anni prima che il duce decidesse di riaffacciarsi decisamente
sul palcoscenico internazionale. Ma il Mussolini diplomatico
degli anni trenta è diverso da quello quasi dannunziano degli
esordi. La situazione di sconvolgimento economico e soprattutto politico della Germania, nella quale sta iniziando la rapida
ascesa del partito nazionalsocialista suggerisce prudenza. La politica a cui resta fedele è quella tradizionale, consolidata al termine del conflitto, per cui Francia, Gran Bretagna ed Italia sono
garanti dello statu quo in Europa, interessate ad arginare ogni
tentativo di risorgimento della potenza tedesca. In questo quadro, lo strumento delle conferenze ristrette tra le grandi potenze
appare il più vantaggioso, sia per l’implicito riconoscimento del
ruolo italiano, sia per la possibilità di evitare, in questo modo,
di passare attraverso la Società delle Nazioni, istituzione che
Mussolini rifiuta, in quanto il peso dei piccoli Stati in tale consesso è, a suo dire, troppo sproporzionato8.
Il duce affida, invece, il suo disegno internazionale, tra il
1929 ed il 1932, alle conferenze sul disarmo terrestre, ma soprattutto al “Patto a Quattro”, una sorta di direttorio delle grandi
potenze, inclusa la Germania, ancora non hitleriana, che avrebbe dovuto scandire, nelle aspettative italiane, il percorso delle
vicende europee nel decennio successivo.
L’esito fallimentare di tali progetti trascinò via con se anche
i disegni e le speranze di perseguire il ruolo di grande potenza
attraverso una via pacifica. In ritardo, per forza di cose, di al7
Si fa qui riferimento all’occupazione italiana, del 1923, dell’isola di Corfù. Si veda J. Barros, The Corfù Incident: Mussolini and the League of Nations, Princeton University Press, Princeton, 1965
8
G.W. Baer, op. cit., pag. 33
Premessa
13
meno vent’anni rispetto ad una politica coloniale che iniziava a
sperimentare nuovi metodi di legame e di controllo da parte della madrepatria sui territori coloniali (basti pensare alla creazione
del Commonwealth nel 1931), lo sguardo si posò inevitabilmente sui temi della politica extraeuropea, poiché, come accennato,
l’Italia non pensava minimamente a discostarsi, in Europa, dalla
politica di accordo e di concertazione con le altre potenze.
Il terreno coloniale offriva, invece, vari vantaggi: in primo
luogo perché proprio qui, a giudizio dei nazionalisti italiani, era
evidente la disparità dei trattati di pace postbellici a favore di
Francia e Gran Bretagna. Alle spartizioni a cui hanno proceduto
i due Stati l’Italia aveva potuto avere accesso solo negli anni
successivi (1925), attraverso la cessione, da parte britannica di
una lingua di territorio tra il Kenya e la Somalia italiana,
l’Oltregiuba, al quale si era aggiunta l’oasi di Giarabub, ed altri
limitati aggiustamenti di confine tra Libia ed Egitto.
Gli anni venti videro anche una ristrutturazione ed una riaffermazione dei possessi coloniali italiani, già peraltro prospettata dal liberale Giovanni Amendola nel 1922, anche se non sostenuta dal fondamento ideale dell’imperialismo, bensì da quello dell’auspicio di una collaborazione tra italiani e arabi in Cirenaica e Tripolitania sotto il segno dell’appartenenza, da parte
di questi ultimi, ad un nuovo consesso internazionale diverso e
più forte rispetto a quello ottomano9. Il fascismo, in maniera più
sbrigativa, avviò una vera e propria campagna di riconquista,
condotta in Libia, con metodi spietati dai generali Pietro Badoglio e Rodolfo Graziani, contro i ribelli senussiti guidati dal
leggendario Omar El Muktar. La Somalia e l’Eritrea furono invece affidate a fascisti e nazionalisti di provata fede come Cesare De Vecchi e Corrado Zoli, che provvidero a riorganizzare e a
radicare la presenza italiana in tali colonie10.
9
Si veda R. De Felice, Amendola Ministro delle Colonie, in a cura di R.
Moscati, Giovanni Amendola nel cinquantenario della morte 1926-1976, Fondazione Einaudi, Roma, 1976, pp. 161-175
10
Il magro quadro dei possessi coloniali era completato dalle posizioni
strategiche rappresentate dalle 13 isole dell’Egeo, che costituivano il Dode-
14
Premessa
Le grandi aspirazioni coloniali italiane erano però altre ed erano rimaste latenti, addirittura dagli anni ottanta e novanta
dell’Ottocento. Gli oggetti del desiderio dell’imperialismo italiano rimanevano la Tunisia, abitata da più di un secolo da una consistente minoranza italiana, ma soprattutto l’Etiopia, legata strettamente a quella che i nazionalisti ed una parte dell’opinione
pubblica definiva come la “vergogna di Adua, cioè la sconfitta
militare patita nel 1896 dal corpo di spedizione italiano ad opera
del Negus Menelik II.
Vi erano poi nuove richieste coloniali, che nel quadro di una
rinnovata minaccia tedesca verso la Francia, scaturivano dal calcolo di poter barattare la fedeltà italiana al fronte antihitleriano
con la concessione di spazi coloniali, in particolare emergeva
l’idea della cessione di un corridoio che doveva passare attraverso Ciad e Camerun per congiungere la Libia all’Atlantico11.
In tutto questo Mussolini, forse fedele all’antica posizione
politica che lo aveva visto violento oppositore, sulle colonne
dell’Avanti, alla conquista della Libia, era sembrato spesso poco interessato alla politica coloniale e ben concentrato su quella
europea. I suoi progetti si erano limitati al massimo al Mediterraneo. E questo disinteresse coloniale è testimoniato dal fatto
che, in tutta la sua vita di statista, si recò solo in tre occasioni in
Libia e mai nell’Africa Orientale Italiana (A.O.I.) nonostante
questa, dopo il 1936, costituisse la grande impresa bellica e di
conquista del regime.
Dato questo sostanziale disinteresse risulta difficile per gli
storici stabilire il momento in cui il duce iniziò a concepire
l’idea del progetto di sottomissione dell’Etiopia e tanto meno, le
ragioni immediate che lo spinsero a tale passo. Tuttavia leggendo il volume pubblicato da Emilio De Bono all’indomani della
canneso, dall’Isola di Saseno in Albania e dalla concessione di Tien-tsin in
Cina (a cui l’Italia rinunciò definitivamente solo nel 1947)
11
Si veda A. Del Boca, Gli italiani in Africa orientale 2. La conquista
dell’impero, Laterza, Bari, 1979, pp. 171-172 e anche R. De Felice, Mussolini
il duce, cit., pag. 363 nota 2.
Premessa
15
conquista etiopica è possibile attribuire a questo personaggio
buona parte della paternità dell’impresa12.
Scrive De Bono: «Nel 1932 S.E. il Capo del Governo volle
che io andassi in Eritrea per vedere e poi riferire. Partii nel marzo di quell’anno e mi fermai in Colonia quel tanto necessario
per farmi una positiva idea di tutte le necessità, che erano tante,
tante. Governatori e Comandanti militari mettevano tutta la loro
competenza e volontà per fare e far progredire; e si progrediva
miracolosamente date le ristrettissime possibilità finanziarie. Al
mio ritorno feci al Capo del Governo una succinta relazione
rappresentando rudemente lo stato di fatto; ma con spirito ottimista. Tutto dipendeva da che cosa il Fascismo voleva fare in
Africa Orientale e quali erano le sue ultime mire.»13.
La ricostruzione fatta da De Bono è apparentemente chiara:
al principio del 1932 il quadrunviro, che ricopriva la carica di
Ministro delle Colonie, si sentiva un po’ nell’ombra e cercò di
suscitare in Mussolini un certo interesse per replicare anche in
Eritrea e Somalia, quanto era stato fatto in Libia. L’impresa etiopica, non era probabilmente ancora stata concepita, ma De
Bono intravedeva, sia evidenti motivi di prestigio personale sia,
probabilmente la possibilità, di richiamare l’interesse di Mussolini, facendo leva sulle ricadute propagandistiche e di prestigio
internazionale che potevano derivare all’Italia da un controllo
più stretto dell’area del Corno d’Africa14.
Dei prodromi dell’azione coloniale fascista in Etiopia si tratterà più diffusamente nel primo capitolo del volume, ma
nell’economia del discorso è importante sottolineare il nesso
12
E. De Bono, La preparazione e le prime operazioni, Istituto Nazionale
Fascista di Cultura, Roma, 1937. De Bono guidò la campagna etiopica
dall’ottobre al dicembre 1935, prima di cedere il comando a Pietro Badoglio
13
E. De Bono, cit., pag. 2
14
Sulla ricostruzione dei prodromi della campagna di Etiopia si veda: R.
De Felice, cit., pp. 416-418; G.W. Baer, cit., pp. 44-46 e A Del Boca, cit., pp.
175-178. In generale gli autori concordano sul fatto che una prima spinta a
considerare la riapertura della questione etiopica, anche se in chiave difensiva,
avvenne in occasione del viaggio di Vittorio Emanuele III in Eritrea e Somalia
nel novembre del 1932, ma solo nel corso del 1933 si iniziarono concretamente a formulare dei programmi militari
16
Premessa
esistente, a mio avviso, tra la progressiva “delusione” mussoliniana relativa al decrescere del peso della percezione della potenza italiana e quindi del duce, sul fronte europeo, con il progressivo interesse per l’impresa africana. Quasi che,
quest’ultima potesse compensare o addirittura riassestare la
prima. Il tutto nel segno di uno spasmodico inseguimento
dell’immagine esteriore di un sogno imperiale, collegato strettamente all’idea di nazione del fascismo e dei nazionalisti.
L’Italia del 1932 era, apparentemente, agli occhi della maggior parte dei suoi cittadini, un paese dove il fascismo, nell’arco
di un solo decennio, aveva eliminato ogni tipo di forza di opposizione. Eppure non era così. Un pensiero politico alternativo, in
larga parte prosecutore di quelle forze che avevano formato le
rappresentanze parlamentari prima del 1925 esisteva ancora, sia
clandestinamente, sia alla luce del sole all’estero, soprattutto in
Francia. Uno dei più attivi tra questi era “Giustizia e Libertà”,
movimento che si ricollegava alle tradizioni democratiche,
mazziniane e socialista riformista. E che, nonostante l’idea di
incarnare un nuovo Risorgimento, che pervadeva
l’organizzazione, affondava le sue radici nella tradizione politica dell’Italia unitaria, più che di quella risorgimentale ormai
lontana nel tempo15.
A differenza degli altri movimenti di opposizione, che attribuivano maggiore importanza alle dinamiche sociali interne italiane, i mutamenti del quadro europeo e le variazioni
nell’ambito del campo di azione mussoliniana furono, quasi subito valutati e non sfuggirono all’attenzione di Rosselli e di
G.L.. Due articoli, uno del 6 marzo 1933, pubblicato sui “Quaderni di Giustizia e Libertà”, firmato con lo pseudonimo di Curzio dal titolo “Il problema dei rapporti italo-francesi” e l’altro
15
La tradizione mazziniana, il cui culto era forte in casa di Carlo Rosselli,
fondatore di “Giustizia e Libertà”, era tramandata quasi come un titolo di nobiltà spirituale, dati i legami storici che legavano sia la famiglia Rosselli, nella
cui casa, a Pisa, Mazzini aveva trovato l’ultimo rifugio ed era morto nel 1872,
sia in quella della madre, Amelia Pincherle. Si veda su questo A. Garosci, Vita di Carlo Rosselli, Vallecchi, Firenze, 1973, pp. 3-4
Premessa
17
del 9 novembre 1933, sempre sulla stessa rivista, con il titolo
“La guerra che torna”, sono il punto di partenza per comprendere il formarsi del giudizio sulla politica estera italiana di quegli
anni da parte di una costola del fuoriuscitismo italiano16.
E’ bene chiarire, però, che nel quadro dei movimenti diplomatici e delle Relazioni internazionali, in genere, il confronto
polemico a distanza, tra Rosselli e Mussolini, rivestì
un’importanza largamente marginale, praticamente con nessuna
incidenza sui fatti, data anche la ristretta platea di lettori a cui
l’antifascista fiorentino si rivolgeva. Ciò che questo studio intende mettere in risalto sono, invece, altri aspetti connessi con la
crisi italo-etiopica, ma che matureranno ed assumeranno maggiore rilevanza negli anni del conflitto mondiale e soprattutto in
quelli postbellici: in primo luogo vi è il tema del compimento di
una frattura definitiva, consumatasi nell’ambito del movimento
interventista italiano; in secondo luogo l’emergere di una valutazione di inadeguatezza e pochezza del regime rispetto alle
grandi sfide internazionali; infine quello di un mutamento della
strategia di opposizione che sfocerà prima nella partecipazione
alla guerra di Spagna, già nel 1936 e poi in un embrione di idea
di opposizione armata, che si concretizzerà, però, solo a sei anni
di distanza dalla morte di Rosselli.
Come si diceva, le prime riflessioni sulle mutate condizioni
della politica estera europea del 1933 sono affidate, da Rosselli,
all’articolo “La guerra che torna”. La domanda che si pone il
già giovane ed ardente interventista del 1915, che credeva allora
nella guerra sovvertitrice, è sorprendente:
E se l’edificio della pace crolla nelle sue fondamenta? Allora, silenzio. Proibito constatare che le fondamenta sono crollate, proibito dire che la guerra, cancellata dal vocabolario, messa
fuori legge dal Patto Kellog, ma riapparsa in america e in Asia,
ritorna ad essere una ipotesi possibile, probabile, forse fatale
16
Per i testi di tali scritti, oltre allo spoglio del mensile (poi settimanale)
“Giustizia e Libertà”, si fa riferimento ai 2 volumi curati da Costanzo Casacci:
C. Rosselli, Scritti dell’Esilio, Einaudi, Torino, 1988 e 1992
Premessa
18
anche in Europa. Proibito perché la pace è prima di tutto fede.
E la fede non si discute17.
Il colpevole di tale sovvertimento è però palese:
A costo di essere fraintesi e lapidati vogliamo dire quello
che tutti abbiamo nel cuore in Europa da quando Hitler comanda in Germania: l’illusione della pace è finita. La meccanica
pacifista ginevrina è schiantata. La pace torna ad essere quello
che fu sempre nella storia: uno stato negativo e precario, una
parentesi tra due guerre, una guerra, come Clausewitz diceva,
che continua sotto forme mutate.18.
Rosselli si sofferma, poi, sui possibili schieramenti ed intravede, il ricomporsi delle alleanze della prima guerra mondiale,
nonostante i radicali cambiamenti avvenuti in Italia e Russia.
Mussolini è descritto in maniera non lontana da quella che si
rivelerà realmente al momento della decisione suprema:
Ama il piccolo giuco e la vincita certa. Al momento dello
scoppio lo vedremo tremare e accodarsi come sempre,
all’Inghilterra.».
Come vedremo sarà invece proprio il conflitto etiopico (che
però nel novembre del 1933 è assolutamente non prevedibile) a
favorire l’avvicinamento dell’Italia alla Germania e la certezza
della vittoria tedesca, dopo la disfatta francese, a determinare
una scelta, diversa nell’alleato, ma simile nelle motivazioni.
Un Rosselli pacifista, ma rassegnato alla guerra quindi?
Niente affatto: il Rosselli del 1933 è ancora interventista. Convinto che la soluzione al problema hitleriano sia la guerra preventiva, che invoca a gran voce:
Una Francia democratica e socialista che in un momento
importante della lotta civile in Germania interviene ed innalza
17
18
C. Rosselli, cit., pag. 250
Cit., pag. 251
Premessa
19
in faccia a Hitler un governo tedesco libero e rivoluzionario
che a sua volta con un’armata di operai tedeschi si ricongiunge
ai fratelli ribelli in patria.
E’ un discorso irrealistico nel 1933:
Sogni, si dirà. Sogni, ammettiamo anche noi19,
ma che si rivelerà tutt’altro che folle alla luce degli avvenimenti successivi. A questo punto, però, lo spirito di Rosselli si
vela di un pessimismo ammonitore:
La guerra viena, la guerra verrà. Un solo modo esiste per
scongiurarla: prevenirla. Prevenirla con un’azione risoluta, con
un’intervento rivoluzionario che nei paesi dove il fascismo
domina rovesci le parti nella guerra civile. In luogo di organizzare la guerra, o di subirla passivamente, aiutare la rivoluzione.
Questa è, nell’ora attuale, l’unica forma di pacifismo virile che
si conviene a dei rivoluzionari; l’unico metodo di salvare la pace. Trionferà? Non crediamo. I rivoluzionari che hanno il coraggio di guardare in faccia la realtà sono rari in Europa. Le diplomazie democratiche continueranno la loro vana schermaglia
coi Mussolini e cogli Hitler. I partiti socialisti continueranno a
invocare il disarmo, la pace, l’intesa dei popoli. Intanto le fabbriche d’armi lavoreranno e gli Stati Maggiori perfezioneranno
i piani di mobilitazione. Nell’ora che nessuno può anticipare, la
nuova catastrofe piomberà sull’Europa 20.
Ammiriamo questo Rosselli quasi preveggente, lucido
nell’analisi della situazione politica internazionale del suo tempo e ancora di più, se consideriamo che, “La guerra che torna”,
non è il primo articolo di politica internazionale scritto
dall’antifascista toscano, ma esso completa un quadro iniziato
con l’analisi de “Il problema dei rapporti italo-francesi”, pubblicato il 6 marzo dello stesso anno e trasfuso, in buona parte,
anche nel testo di una conferenza tenuta presso il prestigioso
19
20
Cit., pag. 254
Cit., pp. 257-258
Premessa
20
Royal Institute of International Affairs di Londra il 16 dello
stesso mese21.
Già in queste occasioni Rosselli prendeva le distanze dal nazionalismo e dalla politica estera mussoliniana e dai pericoli per
la stabilità europea, derivanti dal dissidio con la Francia. In
primo luogo sottolineava il carattere imperialistico del nazionalismo fascista:
Il problema che sorge a questo punto è di sapere se la politica estera di Mussolini sia una politica di genere imperialistico, tutta tesa verso una espansione territoriale e coloniale. Su
questa rivista possiamo dispensarci dalla dimostrazione. Basterà ricordare le innumerevoli dichiarazioni di Mussolini
sull’impero, sulla fatalità dell’espansione, sulla supremazia della razza, sulla necessità della guerra come igiene dei popoli;
sull’esclusiva lasciata ai nazionalisti in materia di politica estera, l’educazione della gioventù, l’opera violenta di snazionalizzazione delle minoranze, la politica delle colonie, la colonizzazione dell’Albania, ecc22.
Quindi, ancora con un acume non comune affermava che:
Il fallimento stesso della politica ricostruttiva all’interno, la
miseria, la disoccupazione, la crisi, spingono il fascismo e più
ancora il suo capo a ricercare grandi e tangibili successi in politica estera. Mussolini è ossessionato dall’idea di associare il
suo nome alla vittoria militare e alla conquista di un impero. E
quando l’ora gli parrà matura, tenterà l’avventura23.
A ben vedere è quasi l’abbozzo di quell’analisi che, a quaranta anni di distanza, porterà Renzo De Felice ad individuare
21
Si veda C. Rosselli, La politica estera fascista, in il Mulino, XXXIII
(1984), pp. 241-261 preceduto dal commento di C. Casucci, ivi, pp. 231-240 e
inoltre C. Casucci, Tante volte sconfitto mai vinto proprio come Mazzini, Il
Tempo, 14 marzo 1992
22
C. Rosselli, il problema dei rapporti italo-francesi, in C. Rosselli, Scritti
dell’esilio, cit., pag. 179
23
Cit., pag. 180
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