“ALLEGATO 3” ACINETOBACTER MULTIRESISTENTE Nel corso di questi ultimi anni, Acinetobacter sp. è diventato un germe problematico in diversi paesi. Negli Stati Uniti e in altre nazioni come la Francia, la Germania e l’Inghilterra, la frequenza delle infezioni nosocomiali causate da questo germe è aumentata. L’introduzione degli antibiotici a largo spettro ha probabilmente giocato un ruolo importante in questo processo. In Svizzera, un’epidemia dovuta ad un ceppo multiresistente è stata descritta in un servizio di cure intensive all’inizio degli anni ottanta. Acinetobacter sp. è un coccobacillo gram negativo non fermentativo, ubiquitario e riscontrato anche nella flora della pelle umana. L'Acinetobacter è un genere di batteri Gram negativi cui appartengono ben 31 specie o sottospecie. Quello che viene comunemente indicato come Acinetobacter baumannii (dal nome dei batteriologi americani P. e L. Baumann) in realtà non è un'unica specie batterica, ma un insieme di varie sottospecie. Poiché le comuni tecniche utilizzate dai laboratori di microbiologia clinica non sono in grado di distinguere tra specie o sottospecie con caratteristiche microbiologiche molto simili, è stato deciso di riconoscere tre principali "complex" (Acinetobacter calcoaceticus-baumannii, Acinetobacter lwoffii , Acinetobacter haemolyticus) a cui vengono ricondotte tutte le specie e sottospecie finora note. Può sopravvivere su varie superfici, sia asciutte che umide ed è stato spesso descritto in ambito ospedaliero come agente eziologico di infezioni in pazienti debilitati. Quello che è scientificamente conosciuto come A. calcoaceticus-baumannii complex (nella pratica A. baumannii) è responsabile della maggior parte delle infezioni che si verificano nell'uomoed è quindi la specie più importante per le infezioni ospedaliere oltre al gruppo DNA 13TU, geneticamente vicino e ugualmente importante. Le principali infezioni nosocomiali severe dovute ad Acinetobacter sp. sono le infezioni delle vie respiratorie, le batteriemie e le meningiti secondarie. Le infezioni respiratorie sono soprattutto delle polmoniti in pazienti ventilati nelle unità di cure intensive (4-20% di tutte le polmoniti tardive). I fattori di rischio conosciuti in questo contesto sono, tra gli altri, gli interventi neurochirurgici, i traumi cranio-cerebrali, i trattamenti antibiotici e le affezioni polmonari croniche. Il tasso di letalità in questi pazienti si situa tra il 30 e il 75%, ossia è comparabile a quello delle infezioni da Pseudomonas aeruginosa. Le batteriemie si ritrovano il più frequentemente in pazienti immunocompromessi. La loro ripercussione clinica varia tra la batteriemia transitoria benigna e lo shock settico fulminante (2530%). In questo contesto, A. baumannii ha un ruolo preponderante. Il focolaio infettivo primario è spesso respiratorio, e i fattori di rischio identificati sono neoplasie, traumi e bruciature. Nell’ambito delle batteriemie, si trovano ugualmente delle infezioni su cateteri, in modo particolare nei pazienti con ustioni. Il tasso di letalità delle batteriemie su cateteri è ciononostante nettamente meno importante. Un altro gruppo a rischio è costituito dai neonati nelle unità di cure intense di neonatologia, nei quali delle setticemie sono state descritte in Giappone e Israele. I fattori di rischio evocati sono un peso ridotto alla nascita, una terapia antibiotica preventiva, la ventilazione meccanica e le convulsioni. La meningite sopravviene praticamente esclusivamente come forma secondaria dopo un trauma cranio-cerebrale o dopo un intervento neurochirurgico. E’ sovente associata alla presenza di shunt ventricolari con derivazione esterna di liquido cefalorachidiano, ma punzioni lombari, mielografie, ventriculografie e altre manipolazioni neurochirurgiche sono pure state descritte. Un fattore di rischio supplementare in questi pazienti è la terapia antibiotica a alte dosi nelle cure intense. Il tasso di letalità si situa attorno al 25%. Altre infezioni più rare sono l’endocardite in seguito a chirurgia cardiovascolare o interventi dentari, la peritonite nel dializzato peritoneale, le infezioni urinarie e la colangite dopo colangiografia. Acinetobacter sp. è un germe ubiquitario che si ritrova nel suolo, acqua potabile, acque di superficie e in diversi generi alimentari. Si stima che fino al 25% della popolazione è portatrice di Acinetobacter sp. a livello della flora cutanea, in modo particolare in ascelle, regione inguinale, e negli spazi tra le dita dei piedi. Ciononostante, la percentuale di portatori può essere maggiore nei pazienti ospedalizzati. Al contrario non si capisce bene perché la specie A. baumannii, che gioca un ruolo così importante nelle infezioni nosocomiali (circa il 70% dei ceppi clinicamente significativi) è riscontrata solo raramente a livello della pelle. Ecco perché la maggior parte degli isolamenti di Acinetobacter sp. negli strisci superficiali riflette una colonizzazione piuttosto che un’infezione. Per contro, dal 4 al 30% del personale ospedaliero è stato identificato come portatore di Acinetobacter sp. in studi precedenti. La trasmissione per contatto (mani) sembra avere una grande importanza nella disseminazione delle infezioni nosocomiali. Diverse epidemie ospedaliere trasmesse tramite le mani, ma anche da apparecchi per l’assistenza ventilatoria e umidificatori sono state riportate. Acinetobacter sp. è molto resistente alle condizioni ambientali. La sua sopravvivenza durante più giorni in un ambiente inanimato è del tutto possibile. Questo permette la trasmissione attraverso dei vettori come per esempio la biancheria contaminata, come sospettato in un’epidemia nei Paesi Bassi. Gli strumenti contaminati (tubi e palloncini di assistenza ventilatoria) sono stati associati alla trasmissione di infezioni respiratorie. Ai problemi menzionati precedentemente, si aggiunge quello della resistenza di Acinetobacter sp. a una moltitudine di antibiotici. Si ritrova questa resistenza spesso sotto forma di multiresistenza alle betalattamine e agli aminoglicosidi, dovuta alla produzione di betalattamasi e di enzimi che modificano gli aminoglicosidi. L’attività dei nuovi antibiotici come le cefalosporine a largo spettro della 3a generazione e dei fluorochinoloni resta parzialmente conservata, ma sembra in tutti i casi diminuire nel corso di questi ultimi anni. Le sostanze più attive restano i carbapenemi. In ogni modo, dei ceppi capaci di idrolizzare l’imipenem sono già stati descritti in Inghilterra e Portogallo. Fra questi, la specie più importante è A. baumannii mentre le altre specie, meno implicate nelle infezioni nosocomiali hanno piuttosto le tendenza a restare sensibili agli antibiotici. E’ quindi imperativo identificare accuratamente i ceppi nosocomiali e testare la loro sensibilità agli antibiotici per poter applicare un trattamento mirato e poter effettuare degli studi epidemiologici. Le terapie descritte nella letteratura come più efficaci comprendono penicilline e cefalosporine a largo spettro così come l’imipenem associato o meno a un aminoglicoside. PRECAUZIONI DA ADOTTARE 1) PRECAUZIONI DA CONTATTO 1a) Uso di misure di barriera/ Dispositivi Protezione Individuale (DPI) Standard: Guanti in caso di contatto con sangue, materiale infetto, mucose, cute non integra o integra se potenzialmente contaminata. Sovracamice durante procedure o attività che prevedano contatto con sangue, fluidi biologici, secrezioni o escrezioni DPI per naso/bocca/occhi per procedure che generano spruzzi o schizzi da sangue, fluidi biologici, secrezioni o escrezioni Specifiche: Guanti e sovracamice per ogni contatto con cute integra paziente o superfici/oggetti circostanti. Indossati all’entrata e rimossi all’uscita della stanza di isolamento (zona filtro, antistanza). Corretta rimozione per evitare la contaminazione 1b) Posizionamento del paziente Standard: Paziente con sospetto rischio di trasmissione di infezione in stanza singola, altrimenti basarsi su: Potenziale via trasmissione Fattori di rischio di trasmissione del paziente Rischio di outcome avversi da ICA in altri pazienti Disponibilità di stanza singola o coorte o separazione spaziale Specifiche: Paziente in stanza singola. Coorte di pazienti Separazione spaziale Coorte di operatori 1c) Trasporto del paziente Standard: Non indicazioni Specifiche: Trasporto del paziente solo se necessario contenimento/copertura aree infette/colonizzate rimozione DPI contaminati e igiene delle mani prima del trasporto nuovi DPI nel luogo di destinazione 1d) Corretta gestione delle attrezzature, strumenti e dispositivi per la cura del paziente Standard: Stabilire politiche e procedure per il contenimento, trasporto e manipolazione di attrezzature/strumenti/dispositivi potenzialmente contaminati con sangue o fluidi biologici. Rimuovere, con idonei prodotti, eventuale materiale organico da strumenti/devices criticisemi critici prima della disinfezione ad alto livello e della sterilizzazione Uso DPI indicati se manipolazione di strumenti/devices sporchi o in contatto con sangue e fluidi biologici Specifiche: Attrezzature non critiche devono essere monouso o dedicate al singolo paziente o pulizia e disinfezione prima del riuso 1e) Corretta gestione degli ambienti Standard: Stabilire politiche e procedure di pulizia dell’ambiente di routine e mirate a specifiche situazioni. Uso di prodotti idonei e controllo dell’efficacia nel tempo Specifiche: Garantire frequente pulizia e disinfezione stanze di isolamento superfici/oggetti/strumentazioni circostanti il paziente con attenzione a 2) PRECAUZIONI DA DROPLET Standard: Istruire le persone sintomatiche a coprire bocca e naso quando starnutiscono e/o tossiscono; Utilizzare fazzoletti di carta per il contenimento degli starnuti o colpi di tosse Smaltire i fazzoletti contaminati in contenitori no-touch Praticare l’igiene delle mani contaminate da secrezioni respiratorie Invitare le persone sintomatiche ad indossare una mascherina chirurgica, se tollerata. Specifiche: 2a) Sistemazione del paziente: preferibilmente in stanza singola, decidendo caso per caso e valutando i rischi di infezione per gli altri pazienti nella stessa stanza se instanza comune, cercare di minimizzare la possibilità di contatto diretto tra pazienti (almeno un metro) cambiare i dispositivi di protezione individuale e lavarsi le mani tra un paziente e l’altro 2b) Dispositivi di Protezione Individuale: Prima di entrare nella stanza del paziente indossare una mascherina idonea. Per manovre assistenziali da effettuare nelle immediate vicinanze o sul paziente, indossare un Facciale Filtrante per Rischio Biologico un FFP2 Trasporto del paziente:Se il trasporto è necessario far indossare al paziente una mascherina idonea e rispettare le raccomandazioni di igiene respiratoria “ALLEGATO 5” ENTEROBATTERI ESBL Le Enterobatteriaceae appartengono alle famiglie di batteri Gram-negativi, sono di piccole dimensioni con lunghezza da 0.5-1.5 μm a 2-4 μm. Possiedono dei pili e alcuni presentano flagelli per la loro mobilità e una capsula. Lo strato esterno, tipico dei batteri Gram negativi, è costituito prevalentemente da lipopolisaccaridi collegati tra loro da proteine che attravesano lo spazio periplasmatico. Alla frazione glicidica si deve il potere immunogeno dei Gram negativi. Il lipide A forma una struttura rigida che rende la cellula batterica impermeabile a molte sostanze, antibiotici o disinfettanti. Nello strato esterno si trovano le porine che delimitano dei canali di selezione di sostanze in entrata nella cellula. Per questo motivo i Gram negativi risultano meno sensibili dei Gram positivi nei confronti di alcuni antibiotici, in quanto le porine ne impediscono l’ingresso. All’interno della parete vi sono complessi molecolari di trasporto, responsabili del pompaggio verso l’esterno di sostanze nocive eventualmente penetrate nella cellula. Molti componenti della parete sono immunogeni e come tali inducono nell’ospite una reazione immunitaria ai batteri. I bacilli Gram negativi sono i più comuni costituenti della flora endogena umana del cavo orale, tratto gastrointestinale e vaginale e risultano i più frequenti agenti eziologici di una vasta gamma di infezioni, come per esempio infezioni urinarie, ginecologiche, polmonari La produzione di beta-lattamasi a spettro esteso (Extended Spectrum Beta-Lactamases, ESBL) da parte di batteri gram-negativi rende inefficaci tutte le penicilline, le cefalosporine e l’aztreonam nel trattamento delle infezioni gravi causate da questi patogeni. Le ESBL sono derivate da mutazioni di enzimi parentali (TEM-1 e SHV-1), a collocazione plasmidica e cromosomica, presenti in Escherichia coli e Klebsiella pneumoniae. In particolare l’enzima TEM-1 fu isolato agli inizi degli anni ’60 da una emocoltura di un paziente greco di nome Temoniera che aveva contratto un’infezione da Escherichia coli. Intorno agli anni ’80 furono introdotte le cefalosporine di terza generazione, nate sia per contrastare l’incremento di beta-lattamasi in taluni microrganismi e il loro diffondersi in altri, sia per il loro minor effetto nefrotossico rispetto agli aminoglicosidi e alle polimixine; ma nel 1983 furono isolati in Germania, da Klebsiella ozaenae, i primi ceppi (SHV-2) capaci di idrolizzare le cefalosporine ad ampio spettro che dal 1985 verranno individuati come ESBL per evidenziare la loro attività anche nei confronti di questi nuovi antibiotici. Ad oggi sono state descritte circa 300 beta-lattamasi, la cui classificazione segue due schemi, molecolare e funzionale. La classificazione di Ambler è basata su similitudini aminoacidiche, mentre quella di Bush-Jacoby-Medieros si basa sul profilo sia del substrato che dell’inibitore. Tra le ESBL, TEM-1 è la più comune beta-lattamasi mediata da plasmidi prodotta da Escherichia coli. Da TEM-1 sono derivati, per sostituzioni di amminoacidi, numerosi enzimi (TEM2, TEM3, ecc.) presenti non solo in Escherichia coli e Klebsiella ma anche in numerose Enterobacteriaceae e Pseudomonas. La loro attività si manifesta con l’idrolisi verso un numero più ampio di molecole antibiotiche e con l’inibizione da acido clavulanico. Altra ESBL comune è CTX-M, che possiede una potente attività verso il cefotaxime. Da CTX-M sono derivati alcuni enzimi come TOHO-1 e TOHO-2 con la stessa attività idrolitica. SHV-1 è stata la prima ESBL ad essere descritta ed è più frequentemente isolata in Klebsiella pneumoniae, con attività di idrolisi nei confronti di ceftazidime. Da SHV-1 sono derivate, per sostituzione di amminoacidi, molteplici varianti ESBL, presenti in numerose Enterobacteriaceae. Escherichia coli e Klebsiella pneumoniae sono i due principali enterobatteri produttori di beta lattamasi a spettro esteso (ESBL) e rappresentano un problema di notevole rilievo clinico ed epidemiologico. I processi infettivi da enterobatteri ESBL produttori sono prevalenti in ambiente ospedaliero e spesso complicano il decorso clinico di pazienti affetti da polipatologie. Infatti numerosi fattori sono associati alla colonizzazione o all’infezione da batteri produttori di ESBL: in particolare, la presenza di catetere urinario o altri presidi medici, la durata del periodo di ospedalizzazione, una terapia antibiotica precedente, l’età avanzata, la ventilazione assistita, la presenza di ulcere da decubito, la permanenza in strutture per lungodegenza. Diversi studi policentrici nazionali indicano che la percentuale di isolamento di enterobatteri ESBL positivi oscilla tra il 4 e il 12%. Un aspetto preoccupante, recentemente emerso, è l’isolamento di questi enzimi (soprattutto del tipo CTX-M) in ambito comunitario in pazienti che presentano alcuni fattori di rischio quali: età avanzata, diabete, infezioni urinarie ripetute, uso di chinoloni o almeno una ospedalizzazione nel corso dell’anno precedente. Alcuni ceppi ESBL-produttori presentano il fenomeno della multiresistenza nei confronti di fluorochinoloni, cotrimossazolo e aminoglicosidi riducendo drasticamente le opzioni terapeutiche a disposizione del clinico. L’utilizzo dei carbapenemi ha determinato l’insorgenza di ceppi ESBL positivi resistenti. La presenza di ESBL, dunque, prevale in ceppi ospedalieri, determina multi resistenza, rischio di diffusione epidemica e per questo necessita di sorveglianza epidemiologica PRECAUZIONI DA ADOTTARE 1) PRECAUZIONI DA CONTATTO 1a) Uso di misure di barriera/ Dispositivi Protezione Individuale (DPI) Standard: Guanti in caso di contatto con sangue, materiale infetto, mucose, cute non integra o integra se potenzialmente contaminata. Sovracamice durante procedure o attività che prevedano contatto con sangue, fluidi biologici, secrezioni o escrezioni DPI per naso/bocca/occhi per procedure che generano spruzzi o schizzi da sangue, fluidi biologici, secrezioni o escrezioni Specifiche: Guanti e sovracamice per ogni contatto con cute integra paziente o superfici/oggetti circostanti. Indossati all’entrata e rimossi all’uscita della stanza di isolamento (zona filtro, antistanza). Corretta rimozione per evitare la contaminazione 1b) Posizionamento del paziente Standard: Paziente con sospetto rischio di trasmissione di infezione in stanza singola, altrimenti basarsi su: Potenziale via trasmissione Fattori di rischio di trasmissione del paziente Rischio di outcome avversi da ICA in altri pazienti Disponibilità di stanza singola o coorte o separazione spaziale Specifiche: Paziente in stanza singola. Coorte di pazienti Separazione spaziale Coorte di operatori 1c) Trasporto del paziente Standard: Non indicazioni Specifiche: Trasporto del paziente solo se necessario contenimento/copertura aree infette/colonizzate rimozione DPI contaminati e igiene delle mani prima del trasporto nuovi DPI nel luogo di destinazione 1d) Corretta gestione delle attrezzature, strumenti e dispositivi per la cura del paziente Standard: Stabilire politiche e procedure per il contenimento, trasporto e manipolazione di attrezzature/strumenti/dispositivi potenzialmente contaminati con sangue o fluidi biologici. Rimuovere, con idonei prodotti, eventuale materiale organico da strumenti/devices criticisemi critici prima della disinfezione ad alto livello e della sterilizzazione Uso DPI indicati se manipolazione di strumenti/devices sporchi o in contatto con sangue e fluidi biologici Specifiche: Attrezzature non critiche devono essere monouso o dedicate al singolo paziente o pulizia e disinfezione prima del riuso 1e) Corretta gestione degli ambienti Standard: Stabilire politiche e procedure di pulizia dell’ambiente di routine e mirate a specifiche situazioni. Uso di prodotti idonei e controllo dell’efficacia nel tempo Specifiche: Garantire frequente pulizia e disinfezione stanze di isolamento superfici/oggetti/strumentazioni circostanti il paziente con attenzione a 2) PRECAUZIONI DA DROPLET Standard: Istruire le persone sintomatiche a coprire bocca e naso quando starnutiscono e/o tossiscono; Utilizzare fazzoletti di carta per il contenimento degli starnuti o colpi di tosse Smaltire i fazzoletti contaminati in contenitori no-touch Praticare l’igiene delle mani contaminate da secrezioni respiratorie Invitare le persone sintomatiche ad indossare una mascherina chirurgica, se tollerata. Specifiche: 2a) Sistemazione del paziente: preferibilmente in stanza singola, decidendo caso per caso e valutando i rischi di infezione per gli altri pazienti nella stessa stanza se instanza comune, cercare di minimizzare la possibilità di contatto diretto tra pazienti (almeno un metro) cambiare i dispositivi di protezione individuale e lavarsi le mani tra un paziente e l’altro 2b) Dispositivi di Protezione Individuale: Prima di entrare nella stanza del paziente indossare una mascherina idonea. Per manovre assistenziali da effettuare nelle immediate vicinanze o sul paziente, indossare un Facciale Filtrante per Rischio Biologico un FFP2 Trasporto del paziente:Se il trasporto è necessario far indossare al paziente una mascherina idonea e rispettare le raccomandazioni di igiene respiratoria “ALLEGATO 7” ENTEROCOCCHI VRE Gli enterococchi sono i più comuni cocchi Gram positivi aerobi nell’intestino e della flora nel tratto genitale femminile basso, negli uomini e negli animali. Inizialmente ritenuti come microrganismi commensali innocui, gli enterococchi sono emersi come significativi patogeni umani. Le infezioni enterococciche si verificano in prevalenza nei pazienti immunodeficenti, sia congeniti sia per terapia immunosoppressiva, e in pazienti con breccia delle normali barriere difensive (come in cateteri intravascolari e urinari). E’ stato riportato che il 60% delle infezioni da enterococchi sono nosocomiali e metà di queste si verificano nelle unità di cura intensive. Sebbene E. faecalis venga ritenuto il responsabile dell’80-90% delle infezioni enterococciche e E. faecium del 10-20%, studi più recenti hanno suggerito che la proporzione delle infezioni da E. faecium è aumentata. Sfortunatamente poco è noto riguardo i meccanismi di patogenicità ed i fattori di virulenza o su come il sistema immune riconosca E. faecium. Tuttavia l’aumentata rilevanza degli enterococchi come patogeni nosocomiali è almeno parzialmente spiegata dalla loro intrinseca resistenza ai vari antibiotici di diverse classi (come cefalosporine, penicilline antistafilococciche, clindamicina, trimetoprim) e la loro naturale possibilità di acquisire e scambiare elementi genetici racchiudenti la resistenza agli antibiotici. Un evidente esempio di questa possibilità è lo sviluppo di resistenza alla vancomicina mediata da plasmidi. Il più comune fenotipo di resistenza (vanA) è associato con alti livelli di resistenza acquisita o indotta sia a vancomicina (MIC>32 mg/L) e teicoplanina (MIC >16 mg/L) ed è trasportata da un transposone (Tn1546) che è trasferibile ad altri enterococchi sensibili per coniugazione. Diversi fenotipi di resistenza acquisita ai glicopeptidi sono stati caratterizzati dai tipi vanB ed i meno comuni vanD, vanE e vanG. Gli enterococchi che posseggono i geni vanC (come E. flavescens e E. gallinarum) sono intrinsecamente resistenti a livelli bassi di vancomicina (valori di MIC di 8-18 mg/L). Notevole resistenza a vancomicina è più comune in E. faecium che in E. faecalis. Dopo la descrizione iniziale VRE (costituito in modo predominante dal fenotipo vanA) è emerso in tutto il mondo come un importante patogeno nosocomiale. In Europa solo alcuni outbreak nosocomiali sono state riferite (quantunque questi episodi siano in aumento) e l’incidenza di infezioni nosocomiali è relativamente bassa. Tuttavia la presenza di portatori asintomatici fra individui Europei sani è relativamente frequente. Questo largo reservoir di VRE fra i soggetti sani è stato associato al prolungato impiego di un analogo della vancomicina, avoparcin, come promotore di crescita nell’industria degli allevamenti. In realtà la colonizzazione con VRE è molto elevata nei maiali, vitelli o tacchini e ceppi VRE sono stati ritrovati, sebbene con minore frequenza, nelle feci di cani e gatti, crostacei ed altri tipi di animali. Individui a stretto contatto con questi presentano una maggiore frequenza di VRE rispetto ad individui sani senza questo contatto. In più, transposomi genotipicamente identici contenenti il gene vanA, sono stati dimostrati in enterococchi di contadini o macellai. Il legame fra uso di avoparcin ed il reservoir ambientale di VRE è supportato ulteriormente dal fatto della mancanza di colonizzazione di VRE in animali e persone sane in zone, come ad esempio gli USA, dove i glicopeptidi non sono mai stati impiegati come agenti favorenti la crescita negli allevamenti. Se l’eliminazione della avoparcin nell’industria della agricoltura eliminerà completamente il reservoir comunitario in Europa non è dato di sapere. E’ comunque di notevole interesse che isolati vancomicino resistenti di E. faecium isolati da maiali e polli appartengono ad un cluster geneticamente identico a quello degli isolati di persone non ospedalizzate, supportando la possibilità di una trasmissione animale-uomo. attese. In particolare, la scelta di attivare a livello Europeo vari programmi di controllo su E. faecalis ed E. faecium nasce dall’osservazione che: questi patogeni sono tra i più frequenti agenti eziologici di infezioni nosocomiali; in tutto il mondo si stanno moltiplicando le segnalazioni di ceppi resistenti alla vancomicina. Il fenomeno della vancomicina resistenza potrebbe avere gravi ricadute in sanità pubblica, non soltanto perché spesso associato a fenomeni di multiresistenza che, rendendo inefficaci quasi tutte le terapie antibiotiche a disposizione, aumentano morbidità e mortalità dei pazienti colpiti; ma anche perché, come già specificato, sperimentalmente è dimostrato che i geni della resistenza alla vancomicina possono essere trasferiti ad altre specie microbiche, con conseguenze disastrose. Durante la sorveglianza attivata dall’ISS, nel periodo 1° giugno 2001-31 gennaio 2002, il 5,9% degli isolati è risultato resistente a tre o più antibiotici (di classi diverse) ed è rilevante il fatto che questa percentuale salga all’80% se si prendono in considerazione solo i ceppi vancomicina resistenti. La frequenza di VRE non è risultata significativamente più elevata in nessuna delle classi di età analizzate, né tra i due sessi. La frequenza di VRE è risultata più alta nei reparti di chirurgia, rispetto ai reparti di medicina e terapia intensiva (9,8% contro, rispettivamente, il 6,6% e il 6%). I dati preliminari di resistenza conseguiti in questi mesi di attività della sorveglianza dell’ISS hanno rivelato che la resistenza alla vancomicina rappresenta già un problema importante nel nostro Paese, inoltre, almeno per quanto riguarda E. faecium, sembra che l’Italia si collochi tra i Paesi europei con i più alti livelli di resistenza alla vancomicina. E’ quindi importante sottolineare l’importanza di prevenire queste infezioni, soprattutto nei soggetti ospedalizzati. Gli strumenti a disposizione per il controllo di queste infezioni in ambiente nosocomiale sono riconducibili essenzialmente a un uso più prudente della vancomicina sia nella profilassi che nella terapia e alla messa in atto di misure di controllo finalizzate a evitare la trasmissione persona-persona e la contaminazione ambientale. È opportuno, inoltre, intensificare l’uso di misure di protezione personali, come guanti e camici, da sostituire sempre dopo il contatto con pazienti a rischio, attraverso un attento trattamento della biancheria e del materiale infetto e attraverso una scrupolosa pulizia e disinfezione delle superfici e della strumentazione medica. PRECAUZIONI DA ADOTTARE 1) PRECAUZIONI DA CONTATTO 1a) Uso di misure di barriera/ Dispositivi Protezione Individuale (DPI) Standard: Guanti in caso di contatto con sangue, materiale infetto, mucose, cute non integra o integra se potenzialmente contaminata. Sovracamice durante procedure o attività che prevedano contatto con sangue, fluidi biologici, secrezioni o escrezioni DPI per naso/bocca/occhi per procedure che generano spruzzi o schizzi da sangue, fluidi biologici, secrezioni o escrezioni Specifiche: Guanti e sovracamice per ogni contatto con cute integra paziente o superfici/oggetti circostanti. Indossati all’entrata e rimossi all’uscita della stanza di isolamento (zona filtro, antistanza). Corretta rimozione per evitare la contaminazione 1b) Posizionamento del paziente Standard: Paziente con sospetto rischio di trasmissione di infezione in stanza singola, altrimenti basarsi su: Potenziale via trasmissione Fattori di rischio di trasmissione del paziente Rischio di outcome avversi da ICA in altri pazienti Disponibilità di stanza singola o coorte o separazione spaziale Specifiche: Paziente in stanza singola. Coorte di pazienti Separazione spaziale Coorte di operatori 1c) Trasporto del paziente Standard: Non indicazioni Specifiche: Trasporto del paziente solo se necessario contenimento/copertura aree infette/colonizzate rimozione DPI contaminati e igiene delle mani prima del trasporto nuovi DPI nel luogo di destinazione 1d) Corretta gestione delle attrezzature, strumenti e dispositivi per la cura del paziente Standard: Stabilire politiche e procedure per il contenimento, trasporto e manipolazione di attrezzature/strumenti/dispositivi potenzialmente contaminati con sangue o fluidi biologici. Rimuovere, con idonei prodotti, eventuale materiale organico da strumenti/devices criticisemi critici prima della disinfezione ad alto livello e della sterilizzazione Uso DPI indicati se manipolazione di strumenti/devices sporchi o in contatto con sangue e fluidi biologici Specifiche: Attrezzature non critiche devono essere monouso o dedicate al singolo paziente o pulizia e disinfezione prima del riuso 1e) Corretta gestione degli ambienti Standard: Stabilire politiche e procedure di pulizia dell’ambiente di routine e mirate a specifiche situazioni. Uso di prodotti idonei e controllo dell’efficacia nel tempo Specifiche: Garantire frequente pulizia e disinfezione stanze di isolamento superfici/oggetti/strumentazioni circostanti il paziente con attenzione a 2) PRECAUZIONI DA DROPLET Standard: Istruire le persone sintomatiche a coprire bocca e naso quando starnutiscono e/o tossiscono; Utilizzare fazzoletti di carta per il contenimento degli starnuti o colpi di tosse Smaltire i fazzoletti contaminati in contenitori no-touch Praticare l’igiene delle mani contaminate da secrezioni respiratorie Invitare le persone sintomatiche ad indossare una mascherina chirurgica, se tollerata. Specifiche: 2a) Sistemazione del paziente: preferibilmente in stanza singola, decidendo caso per caso e valutando i rischi di infezione per gli altri pazienti nella stessa stanza se instanza comune, cercare di minimizzare la possibilità di contatto diretto tra pazienti (almeno un metro) cambiare i dispositivi di protezione individuale e lavarsi le mani tra un paziente e l’altro 2b) Dispositivi di Protezione Individuale: Prima di entrare nella stanza del paziente indossare una mascherina idonea. Per manovre assistenziali da effettuare nelle immediate vicinanze o sul paziente, indossare un Facciale Filtrante per Rischio Biologicoo un FFP2 Trasporto del paziente:Se il trasporto è necessario far indossare al paziente una mascherina idonea e rispettare le raccomandazioni di igiene respiratoria “ALLEGATO 2” PSEUDOMONAS AERUGINOSA MULTIRESISTENTE Gli Pseudomonas sono ubiquitari e preferiscono gli ambienti umidi. Nell'uomo la specie più comune è lo P. aeruginosa. Altre specie che talora possono provocare infezioni umane sono le seguenti: P. paucimobilis, P. putida, P. fluorescens e P. acidovorans. Lo P. aeruginosa si può ritrovare occasionalmente nelle regioni ascellare e anogenitale di una cute normale ma solo di rado nelle feci, a meno che non sia stata somministrata una terapia antibiotica. Il microrganismo è spesso un contaminante di lesioni popolate da microrganismi più virulenti, ma talvolta provoca infezione in tessuti esposti all'ambiente esterno. Le infezioni da Pseudomonas di solito si verificano negli ospedali, dove i microrganismi si ritrovano di frequente nei lavandini, nelle soluzioni antisettiche e nei recipienti per urine. Si può verificare la trasmissione ai pazienti da parte del personale sanitario sano, soprattutto nel caso degli ustionati e nei reparti di terapia intensiva neonatale. Altre specie, precedentemente classificate come Pseudomonas, sono importanti patogeni nosocomiali, quali la Burkholderia cepacia e lo Stenotrophomonas maltophilia. La maggior parte delle infezioni provocate dallo P. aeruginosa siverifica in pazienti ospedalizzati debilitati o immunocompromessi. Lo P. aeruginosa è la seconda causa più frequente di infezioni neireparti di terapia intensiva e una frequente causa di polmoniti associate ai ventilatori. Oltre ad acquisire infezioni in ambito ospedaliero, i pazienti con infezione da HIV sono a rischio di acquisire in comunità infezioni da P. aeruginosa e spesso, quandocontraggono l'infezione, presentano segni di infezione da HIV avanzata. Le infezioni da Pseudomonas possono presentarsi in molte sedi anatomiche come cute, tessuti sottocutanei, ossa, orecchie, occhi, tratto urinario e valvole cardiache. La sede varia a seconda della porta d'ingresso e della vulnerabilità del paziente. Negli ustionati la regione al di sotto dell'escara si può infiltrare in modo abbondante con i microrganismi e servire da focolaio per una successiva batteriemia, rappresentando una complicanza delle ustioni spesso letale. Una batteriemia senza un focolaio urinario evidenziabile, soprattutto se dovuta a specie di Pseudomonas diverse dallo P. aeruginosa, deve far pensare alla possibilità di un'avvenuta contaminazione EV dei liquidi, dei farmaci o degli antisettici usati per l'applicazione di cateteri EV. Nei pazienti con infezione da HIV, lo Pseudomonas determina più frequentemente polmonite o sinusite. Il quadro clinico dipende dalla sede interessata. Nei pazienti ricoverati in ospedale si può verificare un'infezione polmonare associata a intubazione endotracheale, tracheotomia o trattamento RPPI quando lo Pseudomonas si sia unito ad altri bacilli gram - a colonizzare l'orofaringe. La bronchite da Pseudomonas è frequente nel decorso tardivo della fibrosi cistica; i germi isolati presentano una caratteristica morfologia mucoide delle colonie. L'isolamento dello Pseudomonas nel sangue è frequente nelle ustioni e nei pazienti con tumori maligni. La presentazione clinica è quella di una sepsi da gram -, talvolta con l'aggiunta di ecthyma gangrenosum, caratterizzato da aree neroviolacee, di circa 1 cm di diametro, con centro ulcerato ed eritema circostante che generalmente si rinviene nelle zone ascellari o anogenitali. Lo Pseudomonas è causa frequente di IVU, specialmente in pazienti sottoposti a manipolazioni urologiche, affetti da uropatie ostruttive o che abbiano ricevuto antibiotici ad ampio spettro. La forma più frequente di infezione auricolare dovuta allo Pseudomonas è l'otite esterna con secrezione purulenta che si riscontra spesso nei climi tropicali. Una forma più grave, chiamata otite esterna maligna, può svilupparsi nei diabetici; si manifesta con un dolore acuto all'orecchio, spesso con paralisi unilaterale del nervo cranico e richiede una terapia parenterale. Un interessamento dell'occhio da parte dello Pseudomonas spesso si presenta come un'ulcerazione corneale conseguente a traumi, ma in alcuni casi la contaminazione si ha anche a partire da lenti a contatto o dai liquidi utilizzati per il loro uso.Il microrganismo può essere rinvenuto in fistole secernenti, specie dopo traumi o ferite da punta profonde ai piedi. Il liquido di drenaggio spesso ha un dolce odore di frutta. Molte di queste ferite da punta esitano in cellulite e osteomielite da P. aeruginosa e possono richiedere, in aggiunta agli antibiotici, una tempestiva toletta chirurgica. Di rado lo Pseudomonas provoca endocardite: ciò avviene su protesi valvolari oppure nei pazienti che abbiano subito un intervento chirurgico a cuore aperto o anche sulle valvole naturali in chi fa uso di droghe EV. L'endocardite destra può essere curata con terapia medica, ma se l'infezione interessa la mitrale, le valvole aortiche o valvole protesiche, si dovrà spesso procedere all'asportazione della valvola infetta. Nella terapia di infezioni da Pseudomonas che presentino resistenza enzimatica alla tobramicina e alla gentamicina si dovrà usare l'amikacina. Molti esperti raccomandano di trattare le infezioni gravi da Pseudomonas con un aminoglicoside associato a un antibiotico b-lattamico. Diverse penicilline, tra cui ticarcillina, piperacillina, mezlocillina e azlocillina, sono efficaci nei confronti dello Pseudomonas. Altri farmaci dotati di un'eccellente attività sono il ceftazidime, il cefepime, l'aztreonam, l'imipenem, il meropenem e la ciprofloxacina. Nelle infezioni sistemiche, o nei pazienti granulocitopenici, a una delle penicilline efficaci si dovrà associare un aminoglicoside attivo contro lo Pseudomonas. Nei pazienti neutropenici, con funzionalità renale al limite, sono ugualmente adeguate combinazioni terapeutiche senza aminoglicosidi, quali doppio b-lattamico o un blattamico insieme a un fluorochinolonico. Le IVU possono essere trattate con indanil-carbenecillina PO o con ciprofloxacina o altri fluorochinolonici. Tuttavia, i fluorochinolonici non devono essere somministrati ai bambini per via dei potenziali effetti sulla cartilagine. Quando vengono utilizzati due farmaci antipseudomonas, durante il trattamento è più rara la comparsa di ceppi resistenti. PRECAUZIONI DA ADOTTARE 1) PRECAUZIONI DA CONTATTO 1a) Uso di misure di barriera/ Dispositivi Protezione Individuale (DPI) Standard: Guanti in caso di contatto con sangue, materiale infetto, mucose, cute non integra o integra se potenzialmente contaminata. Sovracamice durante procedure o attività che prevedano contatto con sangue, fluidi biologici, secrezioni o escrezioni DPI per naso/bocca/occhi per procedure che generano spruzzi o schizzi da sangue, fluidi biologici, secrezioni o escrezioni Specifiche: Guanti e sovracamice per ogni contatto con cute integra paziente o superfici/oggetti circostanti. Indossati all’entrata e rimossi all’uscita della stanza di isolamento (zona filtro, antistanza). Corretta rimozione per evitare la contaminazione 1b) Posizionamento del paziente Standard: Paziente con sospetto rischio di trasmissione di infezione in stanza singola, altrimenti basarsi su: Potenziale via trasmissione Fattori di rischio di trasmissione del paziente Rischio di outcome avversi da ICA in altri pazienti Disponibilità di stanza singola o coorte o separazione spaziale Specifiche: Paziente in stanza singola. Coorte di pazienti Separazione spaziale Coorte di operatori 1c) Trasporto del paziente Standard: Non indicazioni Specifiche: Trasporto del paziente solo se necessario contenimento/copertura aree infette/colonizzate rimozione DPI contaminati e igiene delle mani prima del trasporto nuovi DPI nel luogo di destinazione 1d) Corretta gestione delle attrezzature, strumenti e dispositivi per la cura del paziente Standard: Stabilire politiche e procedure per il contenimento, trasporto e manipolazione di attrezzature/strumenti/dispositivi potenzialmente contaminati con sangue o fluidi biologici. Rimuovere, con idonei prodotti, eventuale materiale organico da strumenti/devices criticisemi critici prima della disinfezione ad alto livello e della sterilizzazione Uso DPI indicati se manipolazione di strumenti/devices sporchi o in contatto con sangue e fluidi biologici Specifiche: Attrezzature non critiche devono essere monouso o dedicate al singolo paziente o pulizia e disinfezione prima del riuso 1e) Corretta gestione degli ambienti Standard: Stabilire politiche e procedure di pulizia dell’ambiente di routine e mirate a specifiche situazioni. Uso di prodotti idonei e controllo dell’efficacia nel tempo Specifiche: Garantire frequente pulizia e disinfezione stanze di isolamento superfici/oggetti/strumentazioni circostanti il paziente con attenzione a 2) PRECAUZIONI DA DROPLET Standard: Istruire le persone sintomatiche a coprire bocca e naso quando starnutiscono e/o tossiscono; Utilizzare fazzoletti di carta per il contenimento degli starnuti o colpi di tosse Smaltire i fazzoletti contaminati in contenitori no-touch Praticare l’igiene delle mani contaminate da secrezioni respiratorie Invitare le persone sintomatiche ad indossare una mascherina chirurgica, se tollerata. Specifiche: 2a) Sistemazione del paziente: preferibilmente in stanza singola, decidendo caso per caso e valutando i rischi di infezione per gli altri pazienti nella stessa stanza se instanza comune, cercare di minimizzare la possibilità di contatto diretto tra pazienti (almeno un metro) cambiare i dispositivi di protezione individuale e lavarsi le mani tra un paziente e l’altro 2b) Dispositivi di Protezione Individuale: Prima di entrare nella stanza del paziente indossare una mascherina idonea. Per manovre assistenziali da effettuare nelle immediate vicinanze o sul paziente, indossare un Facciale Filtrante per Rischio Biologicoo un FFP2 Trasporto del paziente:Se il trasporto è necessario far indossare al paziente una mascherina idonea e rispettare le raccomandazioni di igiene respiratoria “ALLEGATO 6” STAFILOCOCCO AUREUS MULTIRESISTENTE Lo Staphylococcus aureus è un batterio commensale umano, gram-positivo il cui habitat primario è rappresentato dall’epitelio squamoso delle narici. Si stima che il microrganismo colonizzi l’80% della popolazione, di cui il 20% stabilmente e il 60% ad intermittenza, mentre un 20% non verrebbe mai colonizzato. Tale diversa suscettibilità alla colonizzazione non ha finora trovato spiegazioni esaustive né a livello dei fattori batterici coinvolti nell’adesione agli epiteli nasali, né a livello di fattori predisponenti dell’ospite. Il rischio di contrarre un’infezione invasiva da S. aureus è minimo nei soggetti sani, aumenta tra i portatori e, nelle strutture ospedaliere, raggiunge livelli significativi nei pazienti cateterizzati, immunocompromessi, chirurgici e con ulcere da pressione. Le infezioni da stafilococco sono estremamente diverse, sia in termini di interessamento lesionale, sia in termini di gravità, in gran parte a causa di fattori di virulenza (proteine strutturali, enzimi e tossine) espressi con grande differenza da un ceppo batterico a un altro. Così, in funzione del fenotipo di virulenza dello stafilococco, ma anche a seconda del terreno del paziente, il patogeno che può causare un largo spettro di malattie, che spaziano da leggere forme cutanee a forme sistemiche che possono mettere a repentaglio la vita stessa del paziente: infezioni della pelle e di ferite post operatorie, infezioni polmonari, endocarditi, meningiti, pericarditi, nonché intossicazioni alimentari causate dall’ingestione di cibo contaminato da ceppi produttori di enterotossine. Dalla sua scoperta negli anni ‘80 del 1800 fino all’introduzione della penicillina, la mortalità dei pazienti infettati da S.aureus era dell’80% circa. L’introduzione della penicillina ha rivoluzionato il trattamento delle infezioni da S.aureus, ma l’uso massiccio dell’antibiotico ha favorito dopo pochi anni la diffusione dei ceppi resistenti, isolati prima in ospedale e poi nella comunità. La resistenza risultava dall’acquisizione di un plasmide codificante una penicillinasi, cioè una β-lattamasi, in grado di idrolizzare la penicillina. Esistono varie forme di resistenza, ma attualmente l’attenzione della comunità scientifica è richiamata dai ceppi meticillino-resistenti, per la particolare rapidità che mostrano nel diffondersi sia nell’ambiente ospedaliero che nella comunità. La meticillino resistenza si deve alla presenza nel genoma di un elemento mobile, la Staphylococcal cassette chromosome mec (SCCmec), codificante per una variante della penicillin binding protein con una ridotta affinità per la meticillina. Fino ad oggi sono note tre classi di complessi mec (A,B e C) e quattro allotipi di complessi ccr, che combinandosi generano cinque diverse cassette SCCmec (I, II, III, IV, IV), distinte in vari sottotipi a seconda delle differenze nelle regioni junkyard. Il primo ceppo MRSA, isolato nel 1961, portava nel suo genoma la cassetta di tipo 1°, e questo primo clone, detto “arcaico” , si è diffuso nel mondo durante gli anni ’60. Nei cinquant’anni successivi sono state caratterizzate le cassette di tipo II, III, IV e V, sono comparsi ceppi epidemici, e attualmente MRSA è ancora la principale causa di infezioni nosocomiali a livello mondiale. Strategie atte a prevenire la diffusione di MRSA (particolarmente in seguito alla diffusione, negli ultimi anni, di ceppi “community-acquired”) richiedono una conoscenza dell’epidemiologia dei ceppi. La diffusione di ceppi meticillino-resistenti isolati dalla comunità (CAMRSA), e distinti dalla controparte ospedaliera (HA-MRSA), è iniziata circa venti anni fa come fenomeno sporadico per raggiungere, negli ultimi anni, livelli epidemici in alcune regioni. L’MRSA è attualmente riconosciuto come il patogeno resistente agli antibiotici più comunemente isolato in ambiente nosocomiale. A dispetto di ciò, l’MRSA è stato inizialmente isolato molto di rado nella comunità, per poi giungere ad un recente improvviso aumento nel numero di casi in centri per la riabilitazione, residenze sanitarie assistite, comunità indigene, istituti di correzione, caserme militari e comunità sportive. I casi di CAMRSA devono essere riconosciute come vere patologie infettive emergenti dal potenziale evolutivo gravissimo e fulminante, che insorgono in pazienti senza fattori di rischio per MRSA ospedaliero. Il loro fenotipo di resistenza è diverso da quello dei MRSA ospedalieri, con una maggiore sensibilità alle famiglie di antibiotici diversi dalle betalattamine. Tradizionalmente le infezioni che si manifestano entro 72 ore dal ricovero in ospedale sono definite “communityacquired”, mentre quelle che si sviluppano dopo 72 ore in ospedale, nelle strutture a lunga degenza o nelle due settimane dopo la dimissione, vengono considerate nosocomiali. Tuttavia il trend attuale spinge in direzione di una sempre minore permanenza ospedaliera e di un maggiore ricorso ai centri ambulatoriali, e i pazienti si muovono sempre più frequentemente dentro e fuori gli ospedali. Questo rende molto più difficile applicare le definizioni tradizionali per classificare le infezioni. Al momento, le infezioni vengono considerate community-acquired se sono presenti tutti i seguenti criteri: la diagnosi dell’infezione viene fatta entro 48 ore dopo l’ammissione in ospedale; il paziente non ha una storia di infezioni da MRSA; il paziente non è stato ricoverato negli anni passati, e non è stato sottoposto a dialisi o interventi chirurgici; il paziente non ha cateteri o dispositivi medici attraverso la cute. La meticillino-resistenza deve comunque essere presa in considerazione fin dall’inizio in occasione della prescrizione di un trattamento antistafilococcico, individuando i fattori di rischio di infezione da MRSA, e/o in caso di infezione grave che non permette di attendere i risultati dell’antibiogramma. Questo sottintende la realizzazione, ogniqualvolta possibile, di un prelievo iniziale del focolaio suppurativo o di emocolture per adattare al meglio la terapia antibiotica all’agente infettivo responsabile. La sorveglianza epidemiologica, il monitoraggio e la prevenzione delle infezioni da MRSA, vengono oggi considerati quindi obiettivi prioritari, dal momento che tali infezioni rappresentano un importante fattore di rischio soprattutto per i pazienti anziani e comportano il prolungamento della durata del ricovero e l’aumento della spesa sanitaria. Paradossalmente, le infezioni continuano a crescere anche nella complessità, non solo grazie alla sua capacità di adattarsi ai cambiamenti ambientali, ma anche alle migliorie nella cura dei pazienti. E’ ormai noto, ad esempio, che tra i molteplici fattori di rischio vengano citati la presenza di cateteri o di dispositivi cardiaci, nonché i precedenti trattamenti antibiotici. Di conseguenza il trattamento di queste infezioni è diventato sempre più difficile, con un incremento della patogenicità e della mortalità. E’ stato stimato, ad esempio, che nei soli Stati Uniti ogni anno muoiono circa 19.000 persone a causa delle infezioni da MRSA. Con il termine VISA/VRSA, invece, si intende l'insorgenza dello stafilococco aureo resistente alla vancomicina, un antibatterico indicato per molti tipi di infezioni. Gli stafilococchi sono classificati come VISA o VRSA sulla base di prove di laboratorio, per determinare la concentrazione di antimicrobico necessaria per inibire la crescita del microrganismo in una provetta. Il risultato del test viene generalmente espresso come concentrazione minima inibente (MIC): i batteri stafilococco sono VISA se il MIC per vancomicina è 4-8μg/ml, e classificati come VRSA se la MIC è ≥ 16μg/ml. Le persone che sviluppano questo tipo di infezione possono avere condizioni di salute di base compromesse (come il diabete e malattie renali), presenza di device (come cateteri), infezioni precedenti con meticillino-resistenza (Staphylococcus MRSA) o l'esposizione recente alla vancomicina e altri agenti antimicrobici. Dal punto di vista genetico è stato ipotizzato che gli enterococchi hanno sviluppato una resistenza plasmidica alla vancomicina, attuino il trasferimento della resistenza a stafilococchi MRSA. In realtà il trasferimento del gene vanA da E. faecalis a S. aureus nel topo infettato è stata dimostrata fin dal 1992. Tuttavia fino al 2002 la diminuita sensibilità alla vancomicina della S. aureus fu ristretta ai cosidetti vancomicino intermedi di S. aureus isolati (valore di MIC di 8 mg/L). Il primo isolato di S. aureus vancomicino resistente (VRSA), trasportante il gene vanA, fu isolato da un catetere di un paziente diabetico con insufficienza renale, nel Michigan. L’isolato conteneva il gene enterococcico vanA consistente con il profilo MIC di 32 mg/L e con il gene mecA che conferisce la resistenza alla oxacillina. Le sequenza DNA dei geni vanA di VRSA e VRE suggerivano fortemente che il gene vanA era saltato dal ceppo donatore enterococcico al ceppo del paziente MRSA. PRECAUZIONI DA ADOTTARE 1) PRECAUZIONI DA CONTATTO 1a) Uso di misure di barriera/ Dispositivi Protezione Individuale (DPI) Standard: Guanti in caso di contatto con sangue, materiale infetto, mucose, cute non integra o integra se potenzialmente contaminata. Sovracamice durante procedure o attività che prevedano contatto con sangue, fluidi biologici, secrezioni o escrezioni DPI per naso/bocca/occhi per procedure che generano spruzzi o schizzi da sangue, fluidi biologici, secrezioni o escrezioni Specifiche: Guanti e sovracamice per ogni contatto con cute integra paziente o superfici/oggetti circostanti. Indossati all’entrata e rimossi all’uscita della stanza di isolamento (zona filtro, antistanza). Corretta rimozione per evitare la contaminazione 1b) Posizionamento del paziente Standard: Paziente con sospetto rischio di trasmissione di infezione in stanza singola, altrimenti basarsi su: Potenziale via trasmissione Fattori di rischio di trasmissione del paziente Rischio di outcome avversi da ICA in altri pazienti Disponibilità di stanza singola o coorte o separazione spaziale Specifiche: Paziente in stanza singola. Coorte di pazienti Separazione spaziale Coorte di operatori 1c) Trasporto del paziente Standard: Non indicazioni Specifiche: Trasporto del paziente solo se necessario contenimento/copertura aree infette/colonizzate rimozione DPI contaminati e igiene delle mani prima del trasporto nuovi DPI nel luogo di destinazione 1d) Corretta gestione delle attrezzature, strumenti e dispositivi per la cura del paziente Standard: Stabilire politiche e procedure per il contenimento, trasporto e manipolazione di attrezzature/strumenti/dispositivi potenzialmente contaminati con sangue o fluidi biologici. Rimuovere, con idonei prodotti, eventuale materiale organico da strumenti/devices criticisemi critici prima della disinfezione ad alto livello e della sterilizzazione Uso DPI indicati se manipolazione di strumenti/devices sporchi o in contatto con sangue e fluidi biologici Specifiche: Attrezzature non critiche devono essere monouso o dedicate al singolo paziente o pulizia e disinfezione prima del riuso 1e) Corretta gestione degli ambienti Standard: Stabilire politiche e procedure di pulizia dell’ambiente di routine e mirate a specifiche situazioni. Uso di prodotti idonei e controllo dell’efficacia nel tempo Specifiche: Garantire frequente pulizia e disinfezione stanze di isolamento superfici/oggetti/strumentazioni circostanti il paziente con attenzione a 2) PRECAUZIONI DA DROPLET Standard: Istruire le persone sintomatiche a coprire bocca e naso quando starnutiscono e/o tossiscono; Utilizzare fazzoletti di carta per il contenimento degli starnuti o colpi di tosse Smaltire i fazzoletti contaminati in contenitori no-touch Praticare l’igiene delle mani contaminate da secrezioni respiratorie Invitare le persone sintomatiche ad indossare una mascherina chirurgica, se tollerata. Specifiche: 2a) Sistemazione del paziente: preferibilmente in stanza singola, decidendo caso per caso e valutando i rischi di infezione per gli altri pazienti nella stessa stanza se instanza comune, cercare di minimizzare la possibilità di contatto diretto tra pazienti (almeno un metro) cambiare i dispositivi di protezione individuale e lavarsi le mani tra un paziente e l’altro 2b) Dispositivi di Protezione Individuale: Prima di entrare nella stanza del paziente indossare una mascherina idonea. Per manovre assistenziali da effettuare nelle immediate vicinanze o sul paziente, indossare un Facciale Filtrante per Rischio Biologicoo un FFP2 Trasporto del paziente:Se il trasporto è necessario far indossare al paziente una mascherina idonea e rispettare le raccomandazioni di igiene respiratoria “ALLEGATO 4” STENOTROPHOMONAS MALTOPHYLIA (Trimetoprim Sulfametossazolo R) Stenotrophomonas maltophilia è un batterio Gram negativo, aerobico, non sporigeno, di dimensioni da 0.5 a 1.5 µm, mobile con diversi flagelli polari. La sua temperatura ottimale di crescita è 35 °C. Lo spettro nutrizionale è contenuto: dei 145 composti organici testati, solo 23 possono essere utilizzati per la crescita. Classificato in precedenza come Pseudomonas maltophilia (1960-1961) da Hugh e Ryschenkow, poi Xanthomonas maltophilia (1983), è stato infine classificato come Stenotrophomonas maltophilia (1993). Quest’ultimo cambiamento è stato deciso a causa dell’inappropriata classificazione di Pseudomonas maltophilia e Xanthomonas species sotto lo stesso nome generico di Xanthomonas, in quanto esistono numerose differenze nelle proprietà di base delle due specie. Il genereStenotrophomonas include attualmente due specie: Stenotrophomonas maltophilia e, più recentemente Stenotrophomonas africana, quest’ultima biochimicamente identica alla precedente, ad eccezione della non assimilazione del cis-aconitato. S. maltophilia è generalmente considerato come germe opportunista. Ubiquitario in natura (acqua, suolo, animali e piante), e frequentemente ritrovato a livello della flora commensale dell’uomo, questo microrganismo può anche essere isolato, come contaminante, ad esempio nel cibo, nelle macchine per la fabbricazione del ghiaccio, in apparecchi ospedalieri, umidificatori, liquidi d’emodialisi, perfusioni per il nutrimento parenterale, soluzioni per aerosol, soluzioni antisettiche quali la clorexidina o l’ammonio quaternario. La trasmissione di questo microrganismo ai pazienti può avvenire sia direttamente a partire dalle fonti descritte sopra, sia tramite le mani, ed in questo caso può portare ad una colonizzazione della pelle (ulcere), delle mucose (tracheobronchiali), o eventualmente di liquidi biologici (ad esempio sangue). E’ stato osservato che in alcuni pazienti portatori di S. maltophilia, questo viene evacuato con le feci, in particolare nel caso di pazienti con neoplasie ematologiche. Sebbene siano stati descritti casi di colonizzazione o d’infezione acquisiti fuori dall’ospedale, S. maltophilia è considerato principalmente un germe ospedaliero. I fattori di virulenza di S. maltophilia non sono ben conosciuti. La confusione fra colonizzazione e infezione è stata probabilmente favorita da alcuni studi nei quali l’infezione da S. maltophilia non era associata ad un’importante morbilità o mortalità, oppure dal fatto che un’infezione da S. maltophilia non era considerata possibile se non in sinergia con altri batteri. E’ stata evidenziata la presenza di enzimi extracellulari prodotti da S. maltophilia, quali ad esempio DNasi, RNasi, fibrinolisine, lipasi, ialuronidasi, proteasi ed elastasi, che svolgono probabilmente un ruolo nella patogenicità di S. maltophilia. D’altronde, le capacità di adesione di S. maltophilia alla plastica, così come al vetro ed anche al teflon, potrebbe in parte spiegare perché questo germe venga frequentemente isolato in pazienti portatori di strumenti invasivi (cateteri intravenosi o arteriosi, sonde endotracheali). Considerato a lungo un germe poco virulento, S. maltophilia è invece stato riconosciuto come un patogeno il cui spettro di manifestazioni cliniche si sta sempre più diversificando. Studi recenti, hanno sottolineato il possibile impatto, in termini di morbilità e mortalità, di un infezione da S. maltophilia, in particolare nei pazienti dei reparti di cure intense con elevato rischio infettivo, che presentano patologie gravi o un’immunosoppressione. Le conoscenze riguardanti i fattori di rischio che possono predisporre ad una colonizzazione o ad un’infezione, i meccanismi di acquisizione della resistenza agli antibiotici, così come le modalità di trasmissione di questo germe, sono tuttavia ancora incomplete. Attualmente la situazione si fa ancora più inquietante, a causa dell`apparire di ceppi multiresistenti, anche al trimethoprim-sulfametossazolo, l’antibiotico che viene abitualmente prescritto nel trattamento delle infezioni da S. maltophilia. La resistenza di S. maltophilia a numerosi antibiotici è dovuta a diversi fattori. In primo luogo, S. maltophilia dispone di dueß-lattamasi cromosomali inducibili, L1 e L2. L1 è in grado di idrolizzare l’imipenem così come altri carbapenemi, e anche l’ampicillina, la carbenicillina e il cefotaxime. L1 non è sensibile all’acido clavulanico, ma lo è debolmente a altri inibitori quali il sulbactam o il tazobactam. Si spiega così la resistenza naturale di S. maltophilia a questi antibiotici. L2 è nettamente meno efficace con le penicilline, ma idrolizza molto bene l’aztreonam. Per contro, L2 è sensibile all’acido clavulanico. In secondo luogo, la membrana esterna di S. maltophilia è assai poco permeabile, e questo, in combinazione con L1, spiega in parte l’importante resistenza agli antibiotici. D’altra parte, la resistenza di S. maltophilia agli aminoglicosidi a 30°C (rispetto a 37°C) è spiegata dal cambiamento nella formazione della membrana esterna del germe che inibisce il legame o l’entrata agli antibiotici. Queste proprietà termo-dipendenti sembrano attualmente peculiari e uniche a S. maltophilia e sono importanti per la comprensione dei meccanismi di resistenza non basati sull’inattivazione enzimatica. Recentemente, la resistenza multipla agli antibiotici è stata associata alla presenza della proteina OMP 54 nella membrana esterna. Infine, come per altre specie, la sensibilità di S. maltophilia agli antibiotici è influenzata da fattori come la concentrazione di anioni e cationi, l’osmolarità, o altri parametri della composizione dell’ambiente circostante. L’incidenza di colonizzazioni e di infezioni da S. maltophilia è in aumento; dati recenti provenienti dalla rete di sorveglianza delle infezioni nosocomiali nord americana (NNIS, “National Nosocomial Infections Surveillance system”) hanno mostrato che, circa il 38% delle infezioni endemiche da Pseudomonas non-aeruginosa, erano causate da S. maltophilia. Diversi studi hanno potuto mostrare che i fattori di rischio più importanti per una colonizzazione o un’infezione da S. maltophilia comprendono: la presenza di una ventilazione meccanica di lunga durata così come di una tracheotomia, di un catetere venoso centrale, di un catetere arterioso, di una sonda urinaria, o il ricorso a una broncoscopia o a un’emodialisi. D’altra parte, è chiaramente dimostrato che l’utilizzo di certi antibiotici a largo spetto aumenta il rischio d’infezione da S. maltophilia. In effetti, malgrado l’importanza dell’attività degli antibiotici a largo spettro contro i germi Gram negativi, un numero elevato di queste molecole sono inefficaci contro S. maltophilia. Questo spiega la predisposizione alla colonizzazione a S. maltophilia in pazienti sottoposti ad una prolungata terapia con antibiotici a largo spettro. Un esempio perfetto è quello dell’imipenem, frequentemente utilizzato grazie al suo largo spettro d’azione, trova in S. maltophilia un germe naturalmente resistente. Sovente, i pazienti colonizzati o che sviluppano un’infezione da S. maltophilia sono stati frequentemente sottoposti ad una terapia antibiotica rispetto ai pazienti del controllo negativo; in particolare l’impiego dell’imipenem e della vancomicina favoriscono in modo significativo l’apparizione di S. maltophilia. Ciò nonostante, l’apparizione di S. maltophilia è favorita anche da trattamenti con antibiotici quali: carbapenemi, gentamicina, tobramicina, ceftazidima, ceftriaxone, fluorochinoloni, macrolidi, penicilline, cefotaxime, netilmicina, associazione piperacillina e tazobactam o piperacillina sola. I pazienti più frequentemente infetti da S. maltophilia sono quelli immunodepressi, neutropenici, che soffrono di cancri ematologici, o che hanno subito un trapianto di midollo. Alcuni autori descrivono il trattamento con immunosoppressori o corticoidi, come fattore predisponente, mentre l’importanza dell’esposizione a una chirurgia “pesante” varia secondo gli studi. Lo spettro delle infezioni da S. maltophilia è molto diversificato. Le vie tracheobronchiali costituiscono il sito dove si hanno più frequentemente colture positive per S. maltophilia (fra il 56% e il 69% delle colture). Spesso, si tratta di una colonizzazione, ma le infezioni delle vie respiratorie sono fra le più frequenti e complicano, in generale, uno stato di colonizzazione anteriore. S. maltophilia è stata ritenuta responsabile del 5% delle polmoniti nosocomiali. Una proporzione importante di pazienti infetti da S. maltophilia soffrono di una malattia polmonare, quale: broncopneumopatia cronica ostruttiva, bronchiectasie, ostruzione endobronchiale, cifoscoliosi o mucoviscidosi. Un’attenzione particolare deve essere prestata agli strumenti di cura utilizzati nel caso di patologie respiratorie, dato che diversi studi hanno dimostrato una contaminazione di apparecchi di ventilazione, di nebulizzatori, d’analizzatori di ossigeno, o di broncoscopi. Le infezioni da S. maltophilia sollevano un problema terapeutico reale: da una parte in ragione della multiresistenza del germe agli antibiotici e d’altra parte perché i pazienti che presentano queste infezioni sono sovente immunodepressi o soffrono di patologie severe. Come per qualsiasi germe opportunista, queste infezioni possono essere associate ad una marcata morbilità. Tenuto conto della gravità delle infezioni da S. maltophilia, il trattamento dovrebbe comprendere un’associazione di antibiotici battericidi. Diverse associazioni sono state proposte: aztreonam e acido clavulanico; trimethoprim-sulfametossazolo e tetracicline (doxiciclina, minociclina); trimethoprim-sulfametossazolo e ticarcillina-acido clavulanico; ticarcillina-acido clavulanico associata alla ciprofloxacina; la combinazione di diversi antibiotici quali ceftazidima, ciprofloxacina e tobramicina. Tradizionalmente, il Trimethoprim-sulfametossazolo(TMP-SMX) è descritto come l’agente più attivo contro S. maltophilia. Ciò nonostante, vista la sua natura batteriostatica e l’aumento della resistenza di S. maltophilia a questo antibiotico, la maggior parte degli autori sono concordi nel proporre l’associazione TMP-SMX e ticarcillina-acido clavulanico o meglio, piperacillinatazobactam, come trattamento di scelta. In ogni caso, la terapia antibiotica deve essere associata al trattamento del “corpo estraneo” (in particolare cateteri intravenosi), che potrebbe essere all’origine dell’infezione, o, nel caso di ascessi, al drenaggio chirurgico. Non esistono misure di prevenzione specifiche per evitare la colonizzazione da S. maltophilia, in particolare per il fatto che i modi di trasmissione di questo germe non sono chiari. Alcuni autori descrivono un effetto protettivo della somministrazione a titolo profilattico di trimethoprimsulfametossazolo contro S. maltophilia. Tuttavia, a nostra conoscenza, non è stato pubblicato nessuno studio comparativo sull’utilizzazione di trimethoprim-sulfametossazolo in profilassi. E’ possibile che la somministrazione profilattica di questo antibiotico diminuisca il rischio di colonizzazione da S. maltophilia per la buona sensibilità dei ceppi a questo agente (97-99%). Comunque bisogna tenere in considerazione il rischio d’apparizione di una resistenza al trimethoprim-sulfametossazolo che, in caso di infezione, comporterebbe importanti problemi di trattamento. Bisogna riconoscere il fatto che S. maltophilia è un germe patogeno importante e responsabile di infezioni nosocomiali severe e corrisponde ad una realtà attuale. E’ dunque imperativo agire di conseguenza ed evitare assolutamente l’utilizzo monolitico di antibiotici a largo spettro (in particolare carbapenemi). E’ essenziale adottare misure di prevenzione e di controllo dell’apparizione di nuovi casi di colonizzazione o di infezione da S. maltophilia, così come di effettuare, in caso di problemi, inchieste epidemiologiche alla ricerca delle sorgenti di contaminazione. Nel caso in cui un’infezione si manifesti, il trattamento antibiotico dovrebbe essere scelto in funzione dell’antibiogramma, e dovrebbe associare per esempio trimethoprim-sulfametossazolo e ticarcillinaacido clavulanico o piperacillina-tazobactam in caso di infezioni gravi. Tenuto conto dei progressi tecnologici nella medicina, per i pazienti sempre più immunodepressi o affetti da patologie severe, l’incidenza delle infezioni dovute a S. maltophilia rischia di aumentare, così come i problemi terapeutici legati alla sua multiresistenza. S. maltophilia costituirà dunque, probabilmente, una delle sfide importanti per i clinici, i microbiologi, gli epidemiologi ospedalieri e altri specialisti attivi nella prevenzione delle infezioni. PRECAUZIONI DA ADOTTARE 1) PRECAUZIONI DA CONTATTO 1a) Uso di misure di barriera/ Dispositivi Protezione Individuale (DPI) Standard: Guanti in caso di contatto con sangue, materiale infetto, mucose, cute non integra o integra se potenzialmente contaminata. Sovracamice durante procedure o attività che prevedano contatto con sangue, fluidi biologici, secrezioni o escrezioni DPI per naso/bocca/occhi per procedure che generano spruzzi o schizzi da sangue, fluidi biologici, secrezioni o escrezioni Specifiche: Guanti e sovracamice per ogni contatto con cute integra paziente o superfici/oggetti circostanti. Indossati all’entrata e rimossi all’uscita della stanza di isolamento (zona filtro, antistanza). Corretta rimozione per evitare la contaminazione 1b) Posizionamento del paziente Standard: Paziente con sospetto rischio di trasmissione di infezione in stanza singola, altrimenti basarsi su: Potenziale via trasmissione Fattori di rischio di trasmissione del paziente Rischio di outcome avversi da ICA in altri pazienti Disponibilità di stanza singola o coorte o separazione spaziale Specifiche: Paziente in stanza singola. Coorte di pazienti Separazione spaziale Coorte di operatori 1c) Trasporto del paziente Standard: Non indicazioni Specifiche: Trasporto del paziente solo se necessario contenimento/copertura aree infette/colonizzate rimozione DPI contaminati e igiene delle mani prima del trasporto nuovi DPI nel luogo di destinazione 1d) Corretta gestione delle attrezzature, strumenti e dispositivi per la cura del paziente Standard: Stabilire politiche e procedure per il contenimento, trasporto e manipolazione di attrezzature/strumenti/dispositivi potenzialmente contaminati con sangue o fluidi biologici. Rimuovere, con idonei prodotti, eventuale materiale organico da strumenti/devices criticisemi critici prima della disinfezione ad alto livello e della sterilizzazione Uso DPI indicati se manipolazione di strumenti/devices sporchi o in contatto con sangue e fluidi biologici Specifiche: Attrezzature non critiche devono essere monouso o dedicate al singolo paziente o pulizia e disinfezione prima del riuso 1e) Corretta gestione degli ambienti Standard: Stabilire politiche e procedure di pulizia dell’ambiente di routine e mirate a specifiche situazioni. Uso di prodotti idonei e controllo dell’efficacia nel tempo Specifiche: Garantire frequente pulizia e disinfezione stanze di isolamento superfici/oggetti/strumentazioni circostanti il paziente con attenzione a 2) PRECAUZIONI DA DROPLET Standard: Istruire le persone sintomatiche a coprire bocca e naso quando starnutiscono e/o tossiscono; Utilizzare fazzoletti di carta per il contenimento degli starnuti o colpi di tosse Smaltire i fazzoletti contaminati in contenitori no-touch Praticare l’igiene delle mani contaminate da secrezioni respiratorie Invitare le persone sintomatiche ad indossare una mascherina chirurgica, se tollerata. Specifiche: 2a) Sistemazione del paziente: preferibilmente in stanza singola, decidendo caso per caso e valutando i rischi di infezione per gli altri pazienti nella stessa stanza se instanza comune, cercare di minimizzare la possibilità di contatto diretto tra pazienti (almeno un metro) cambiare i dispositivi di protezione individuale e lavarsi le mani tra un paziente e l’altro 2b) Dispositivi di Protezione Individuale: Prima di entrare nella stanza del paziente indossare una mascherina idonea. Per manovre assistenziali da effettuare nelle immediate vicinanze o sul paziente, indossare un Facciale Filtrante per Rischio Biologico un FFP2 Trasporto del paziente:Se il trasporto è necessario far indossare al paziente una mascherina idonea e rispettare le raccomandazioni di igiene respiratoria “ALLEGATO 8” STREPTOCOCCO PNEUMONIAE (MDRSP) Lo Streptococcus pneumoniae, o pneumococco, è sotto il microscopio da più di cento anni, essendo stato isolato nel liquido pleurico nel 1875; è dunque una "vecchia conoscenza" dei microbiologi, tuttavia rimane un patogeno ad alta morbilità che non soltanto non ha deposto le armi, ma continua, al contrario, ad affinare le proprie strategie offensive, la più temibile delle quali è la capacità di acquisire la resistenza agli antibiotici, in primis alla penicillina. Si conoscono ad oggi oltre 90 sierogruppi di S. pneumoniae, la maggior parte dei quali è in grado di indurre infezioni. La maggioranza dei casi di infezione da S. pneumoniae è sostenuta da una minoranza di sierogruppi: in tutte le età, più dell’80% dei ceppi isolati da pazienti con infezione invasiva da pneumococco appartiene a 12 sierogruppi (14, 6, 19, 3, 23, 1, 9, 4, 8, 18, 7, 5) mentre, al di sotto dei 6 anni d’età, l’80% dei casi, almeno per quanto riguarda i paesi dell’America del nord, è sostenuta da sei sierogruppi (14– 6– 19– 18- 23– 4– 9). Le infezioni causate da S. pneumoniae, che possono essere alla base di gravi forme invasive a carico dell’apparato respiratorio e del sistema nervoso centrale e di forme non invasive quali l’otite media, la sinusite, la bronchite, rappresentano un serio problema di sanità pubblica in tutto il mondo, anche se il loro impatto e le loro problematiche sono profondamente diverse nei paesi industrializzati ed in quelli in via di sviluppo. In questi ultimi, S. pneumoniae è il principale responsabile di gravi forme di polmoniti nei bambini al di sotto dei 5 anni di vita, e si stima che causi circa un milione di decessi ogni anno. Va al riguardo sottolineato che le difficoltà di accesso ai servizi sanitari, la mancanza di cure mediche adeguate e l’impossibilità di instaurare una immediata terapia antibiotica rappresentano, nei paesi in via di sviluppo, un’importante concausa in tali decessi. Nei paesi industrializzati, S. pneumoniae è responsabile di patologie soprattutto in soggetti in età avanzata, ovvero in soggetti di tutte le età con condizioni patologiche che espongono a maggior rischio; tra queste, vanno ricordate l’anemia falciforme, l’alterazione dell’immunocompetenza da immunodeficienza congenita o acquisita o da immunosoppressione, l’insufficienza renale cronica, la asplenia anatomica o funzionale e, non ultima, la stessa infezione da virus influenzali. Il Sistema di sorveglianza delle meningiti batteriche, che a partire dal 1994 ha permesso di rilevare i casi da agenti eziologici diversi da N. meningitidis, mostra che negli ultimi anni l'incidenza media delle meningiti da pneumococco in Italia è stata pari a 0,5 per 100.000. Il numero assoluto di casi identificati ogni anno in soggetti di tutte le età è aumentato da 109 casi nel 1994 a 309 nel 1999;il dato provvisorio per l'anno 2000 riporta 231 casi di meningite attribuibile a S. pneumoniae.. Rapportata alla popolazione presente l'incidenza età-specifica è più alta nei soggetti con età tra 0 e 4 anni (1,2 per 100.000) e soprattutto con età inferiore ad un anno (2,23 per 100.000). Tali valori sono tra i più bassi registrati in Europa e di gran lunga inferiori a quelli stimati negli USA in epoca prevaccinale; tuttavia i dati ottenuti in altri paesi con sistemi di sorveglianza su tutte le malattie invasive da pneumococco (sepsi e polmoniti batteriemiche) indicano che le meningiti rappresentano il quadro clinico più severo, ma sono solo una quota di minoranza (8-14%) delle malattie invasive, e che la numerosità dei casi identificati dipende anche dall'attitudine ad eseguire accertamenti microbiologici nella prassi ospedaliera e dall'uso precoce di un trattamento antibiotico. Va altresì rilevato che S. pneumoniae, nei Paesi ove è stata applicata con larghezza la vaccinazione verso l’Hib, è diventato la causa più importante di meningite dell’infanzia. La disponibilità di un vaccino sicuro ed efficace contro le più gravi patologie da pneumococco nel bambino è un importante strumento di prevenzione. Il rischio di malattie invasive da pneumococco, oltre ad essere in stretta relazione con l’età, è particolarmente elevato nei bambini che presentino alcune condizioni morbose predisponenti. Il rischio relativo può raggiungere, per alcune di queste malattie, valori superiori da 20 a 200 volte quello dei bambini sani. Dal punto di vista della terapia, l'uso delle penicilline ha modificato l'epidemiologia delle infezioni da pneumococco, limitandone la gravità e impedendone l'evoluzione verso patologie più gravi (tant'è che complicazioni come le mastoiditi sono praticamente scomparse), ma non ha inciso in profondità sulla morbilità correlata allo pneumococco. Dunque, questo microrganismo non solo è tuttora presente nell'ambiente, ma è divenuto ancora più temibile per la comparsa di ceppi resistenti agli antibiotici, che minacciano di ricondurci alla gravissima situazione dell'era preantibiotica. I primi pneumococchi resistenti alla penicillina furono descritti una quindicina di anni fa. Tra i sierotipi, quelli "pediatrici", che comprendono i tipi capsulari 6B, 9, 14, 18, 19 e 23, presentano più di frequente la resistenza alla penicillina. Questo è dovuto al fatto che, praticamente tutti i bambini, prima dei due anni sono colonizzati da questi batteri, che sono quelli che conferiscono l'immunità meno efficiente e perciò hanno la maggiore probabilità di persistere e di provocare un'infezione; di conseguenza sono esposti più di frequente agli antibiotici, che esercitano una pressione selettiva sui ceppi resistenti. A seconda del livello di resistenza, gli pneumococchi sono distinti in quelli con grado di resistenza intermedio (MIC, cioè concentrazione minima inibitoria, compresa tra 0,1 e 1 mg/l) e quelli con grado di resistenza elevato (MIC >2 mg/l). Tra i paesi europei, il tasso più elevato di ceppi resistenti si riscontra in Spagna e in alcuni paesi dell'est, dove la frequenza di pneumococchi penicillino resistenti è passata da meno del 10% a più del 40%, dopo gli anni ottanta. In Francia e in Portogallo, l'incremento è stato esponenziale: in 10 anni circa si è attestata a più del 20%. In Italia, così come in Svizzera e Germania, il problema epidemiologico è per ora più contenuto: nel nostro paese, la frequenza dei ceppi resistenti si attesta a meno del 10% e i batteri presentano per lo più una resistenza intermedia. Il problema degli pneumococchi resistenti alla penicillina è aggravato dal fatto che questi ceppi possono acquisire la resistenza ad altri antibiotici; infatti fino al 60% dei ceppi penicillino resistenti sono multi resistenti, mentre la percentuale è inferiore al 20% nei ceppi penicillino sensibili. L’antibiotico resistenza è dovuta innanzitutto alla capsula, elemento di patogenicità dei batteri; poi al DNA, che per meccanismi di ricombinazione genetica permette l'acquisizione di geni della resistenza (lo pneumococco è uno dei rari patogeni umani spontaneamente trasformabili, capace cioè di scambiare facilmente il materiale genetico con altri batteri); e, infine, all'impiego degli antibiotici, che esercitano una pressione selettiva sui ceppi resistenti. Per distinguere i diversi isolati clinici, vi sono strumenti di epidemiologia molecolare. Innanzitutto, la determinazione del sierotipo capsulare (che tuttavia non è utile se usato da solo, dal momento che diversi ceppi condividono il medesimo sierotipo), l'analisi molecolare cromosomica, il profilo degli isoenzimi e, soprattutto, l'analisi delle alterazioni nelle proteine leganti la penicillina (Penicillin Binding Proteins o PBP). L'analisi delle PBP è piuttosto specifica. Gli pneumococchi possiedono sei PBP, trans peptidasi localizzate nella membrana plasmatica, che hanno il compito di inserire i precursori del peptidoglicano nella parete cellulare nascente. La penicillina agisce come analogo sterico del substrato delle PBP, il dipeptide D-ala-D-ala, e le blocca. Le alterazioni delle PBP sono dovute a mutazioni spontanee e soprattutto alla ricombinazione con geni eterologhi presenti in natura. Con questo meccanismo, lo pneumococco può integrare frammenti di DNA di altri tipi di streptococchi viridans, ottenendo geni ibridi delle PBP, che codificano per proteine che hanno un'affinità ridotta nei confronti della penicillina. Il meccanismo della ricombinazione gioca dunque un ruolo essenziale per l'acquisizione della resistenza agli antibiotici beta lattamici. Mentre i ceppi di pneumococchi altamente resistenti mostrano uno stesso profilo delle PBP, i ceppi con resistenza intermedia tendono ad avere profili eterogenei. Questo suggerisce che l'esposizione di una popolazione di pneumococchi alla penicillina induce tentativi multipli, ma isolati, di sviluppare la resistenza. La maggior parte dei ceppi acquisiscono un grado di resistenza intermedio mediante modificazioni individuali delle PBP; pochi di questi ceppi sviluppano un alto grado di resistenza e, avendo un vantaggio selettivo in presenza di penicillina, si disseminano in modo clonale sotto la pressione dell'antibiotico e presentano quindi lo stesso profilo delle PBP. La disseminazione clonale dei ceppi resistenti può avere un carattere regionale, ma talora attraversa i confini di uno stato e si estende a un intero continente, com'è il caso dei ceppi dei sierotipi 23F e 6B, originati in Spagna e poi diffusi ai Paesi vicini e in tutta Europa. Combinando l'analisi dei tipi capsulari, delle PBP e delle caratteristiche molecolari del cromosoma e degli isoenzimi, è stata rilevata l'esistenza degli scambi genetici orizzontali. Per esempio, un ceppo sensibile alla penicillina può acquisire le PBP modificate di un ceppo resistente mediante trasformazione genetica. Ceppi diversi possono invece scambiarsi il tipo capsulare. È possibile che pneumococchi particolarmente virulenti acquisiscano le PBP da un ceppo meno virulento, ma dotato di resistenza. D'altra parte, un ceppo altamente resistente alla penicillina, contro il quale vi è un vaccino, può scambiare la propria capsula con un altro tipo capsulare che non è più coperto dal vaccino. Questi meccanismi permettono a uno stesso ceppo di acquisire le caratteristiche che lo rendono virulento, ma anche la resistenza agli antibiotici. I meccanismi, con cui la pressione selettiva degli antibiotici favorisce la sopravvivenza di batteri mutanti capaci di sopravvivere e moltiplicarsi in presenza di concentrazioni elevate di antibiotico, sono due e portano a risultati differenti. In un caso, è l'esposizione dei batteri a cicli relativamente brevi di alte concentrazioni di penicillina che permette il "recupero" dei batteri sopravvissuti. Questi batteri divengono tolleranti, cioè non sono più uccisi dalla penicillina, ma rimangono sensibili al suo effetto inibitore; su questi batteri, la penicillina agisce dunque come un batteriostatico. Una conseguenza diversa deriva dall'esposizione prolungata delle colture batteriche a basse concentrazioni di antibiotici, aumentate progressivamente. In questo caso, sono selezionati pneumococchi "resistenti" capaci di moltiplicarsi malgrado la presenza di concentrazioni più alte di antibiotici; tuttavia, se la quantità di penicillina supera un certo limite, i batteri vengono nuovamente uccisi. Nell’ambiente clinico, la pressione di selezione esercitata dagli antibiotici è mista, essendo le concentrazioni tessutali di antibiotico molto elevate subito dopo la somministrazione, e più basse nella fase che precede l'assunzione della dose successiva. Questa pressione mista determina quindi la selezione di batteri eterogenei, in parte tolleranti in parte resistenti. L'insorgenza di ceppi multiresistenti ha riguardato progressivamente tutti i paesi del mondo; la diffusione di tali batteri è avvenuta sia per estensione clonale (verticale), cioè per disseminazione di cloni molto resistenti, sia per il passaggio della resistenza da un ceppo a un altro. Per quanto riguarda la terapia, il rischio di insuccesso terapeutico varia in funzione dei livelli di resistenza. Nella stragrande maggioranza dei casi, gli insuccessi si verificano nella terapia della meningite, che costituisce un sito dove le difese dell'ospite sono scarse e la diffusione degli antibiotici é limitata. È un problema molto grave, considerato che lo pneumococco è una delle prime cause di meningite batterica nell'adulto e nel bambino. Prima della coltura batterica, la terapia di una sospetta meningite batterica deve perciò utilizzare il ceftriaxone o la cefotassina; dopo la coltura, la terapia sarà riaggiustata sulla base dei test di resistenza in vitro. Talora, tuttavia, gli pneumococchi possono presentare resistenze crociate alle penicilline e alle cefalosporine; inoltre, sono stati descritti rari casi di ceppi resistenti al ceftriaxone, ma sensibili alla penicillina. Non è possibile dunque fare delle ipotesi a priori e i test di sensibilità in vitro sono indispensabili per orientare la terapia. L'ultima spiaggia della terapia è rappresentata dalla vancomicina, ma questo antibiotico non ha una buona penetrazione nel liquor dove è necessario effettuare misure ripetute dell'antibiotico. La polmonite e la batteriemia da pneumococco sembrano, al contrario, rispondere alle penicilline ad alte dosi per via iniettiva. Il trattamento delle infezioni otorinolaringoiatriche da pneumococco non è ancora ben codificato. In caso di resistenza, l'alternativa alle beta lattamine sono i macrolidi e il cotrimossazolo, nei casi di insuccesso si può ricorrere al drenaggio chirurgico e alla terapia parenterale. In definitiva, i ceppi di pneumococco penicillino resistenti sono un nuovo rischio sanitario. Comprendere i meccanismi della resistenza e sorvegliare il suo sviluppo, locale e generale, è perciò estremamente importante. La prevenzione passa attraverso un utilizzo razionale degli antibiotici, che significa molecole e dosi adeguate secondo l'epidemiologia locale. PRECAUZIONI DA ADOTTARE 1) PRECAUZIONI DA CONTATTO 1a) Uso di misure di barriera/ Dispositivi Protezione Individuale (DPI) Standard: Guanti in caso di contatto con sangue, materiale infetto, mucose, cute non integra o integra se potenzialmente contaminata. Sovracamice durante procedure o attività che prevedano contatto con sangue, fluidi biologici, secrezioni o escrezioni DPI per naso/bocca/occhi per procedure che generano spruzzi o schizzi da sangue, fluidi biologici, secrezioni o escrezioni Specifiche: Guanti e sovracamice per ogni contatto con cute integra paziente o superfici/oggetti circostanti. Indossati all’entrata e rimossi all’uscita della stanza di isolamento (zona filtro, antistanza). Corretta rimozione per evitare la contaminazione 1b) Posizionamento del paziente Standard: Paziente con sospetto rischio di trasmissione di infezione in stanza singola, altrimenti basarsi su: Potenziale via trasmissione Fattori di rischio di trasmissione del paziente Rischio di outcome avversi da ICA in altri pazienti Disponibilità di stanza singola o coorte o separazione spaziale Specifiche: Paziente in stanza singola. Coorte di pazienti Separazione spaziale Coorte di operatori 1c) Trasporto del paziente Standard: Non indicazioni Specifiche: Trasporto del paziente solo se necessario contenimento/copertura aree infette/colonizzate rimozione DPI contaminati e igiene delle mani prima del trasporto nuovi DPI nel luogo di destinazione 1d) Corretta gestione delle attrezzature, strumenti e dispositivi per la cura del paziente Standard: Stabilire politiche e procedure per il contenimento, trasporto e manipolazione di attrezzature/strumenti/dispositivi potenzialmente contaminati con sangue o fluidi biologici. Rimuovere, con idonei prodotti, eventuale materiale organico da strumenti/devices criticisemi critici prima della disinfezione ad alto livello e della sterilizzazione Uso DPI indicati se manipolazione di strumenti/devices sporchi o in contatto con sangue e fluidi biologici Specifiche: Attrezzature non critiche devono essere monouso o dedicate al singolo paziente o pulizia e disinfezione prima del riuso 1e) Corretta gestione degli ambienti Standard: Stabilire politiche e procedure di pulizia dell’ambiente di routine e mirate a specifiche situazioni. Uso di prodotti idonei e controllo dell’efficacia nel tempo Specifiche: Garantire frequente pulizia e disinfezione stanze di isolamento superfici/oggetti/strumentazioni circostanti il paziente con attenzione a 2) PRECAUZIONI DA DROPLET Standard: Istruire le persone sintomatiche a coprire bocca e naso quando starnutiscono e/o tossiscono; Utilizzare fazzoletti di carta per il contenimento degli starnuti o colpi di tosse Smaltire i fazzoletti contaminati in contenitori no-touch Praticare l’igiene delle mani contaminate da secrezioni respiratorie Invitare le persone sintomatiche ad indossare una mascherina chirurgica, se tollerata. Specifiche: 2a) Sistemazione del paziente: preferibilmente in stanza singola, decidendo caso per caso e valutando i rischi di infezione per gli altri pazienti nella stessa stanza se instanza comune, cercare di minimizzare la possibilità di contatto diretto tra pazienti (almeno un metro) cambiare i dispositivi di protezione individuale e lavarsi le mani tra un paziente e l’altro 2b) Dispositivi di Protezione Individuale: Prima di entrare nella stanza del paziente indossare una mascherina idonea. Per manovre assistenziali da effettuare nelle immediate vicinanze o sul paziente, indossare un Facciale Filtrante per Rischio Biologico un FFP2 Trasporto del paziente:Se il trasporto è necessario far indossare al paziente una mascherina idonea e rispettare le raccomandazioni di igiene respiratoria