1 GLI ELEMENTI CHIMICI Il concetto di elemento chimico viene

GLI ELEMENTI CHIMICI
La teoria degli elementi rappresenta un aspetto fondamentale della chimica fin dalla sua costituzione come scienza, in
quanto tratta il problema della definizione di numero, natura e funzione degli elementi di cui sono composti i corpi
materiali
“Questa tendenza ad ammettere che tutti i corpi
della natura siano composti unicamente da tre o
quattro elementi è un pregiudizio che ci viene dai
filosofi greci. L’ammissione dei quattro elementi
che, per la varietà delle loro proporzioni,
compongono tutti i corpi che noi conosciamo, è una
pura ipotesi immaginata molto tempo prima che si
avessero le prime nozioni della fisica sperimentale
e della chimica” - A. L. Lavoisier, Traité élémentaire
de chimie, 1789
Il concetto di elemento chimico viene introdotto dalla filosofia greca nel V secolo a.C.
nel tentativo di chiarire la natura della materia e di spiegarne la grande varietà a
partire da un numero limitato di principi generali.
I filosofi greci formulano quindi il concetto di archè, principio primo, unico e
immutabile, che costituisce tutti gli oggetti materiali. Le due principali correnti del
pensiero filosofico hanno individuato questi principi più semplici negli atomi (teoria
corpuscolare) e negli elementi (teoria continuista). La prima, sviluppata da Leucippo e
Democrito, si basa sull’accettazione dello spazio vuoto e sul concetto che la divisione
degli oggetti macroscopici debba avere un limite, che si raggiunge quando si separano
i componenti ultimi della materia, particelle estremamente piccole, solide, compatte,
non ulteriormente divisibili, chiamate atomi1. A differenza dell’ipotesi atomistica,
quella di elemento o principio tenta di definire la composizione delle sostanze sulla
base di costituenti, che, con la loro presenza o assenza, determinano le proprietà
macroscopiche delle sostanze materiali. In questo ambito filosofico, la prima a
svilupparsi è una visione del mondo monistica, che considera il mondo formato da una
sola sostanza, in seguito soppiantata da una visione pluralistica circa le sostanze che
hanno dato origine e che compongono il mondo.
Il filosofo Talete (624-545 a.C.) individua nell’acqua l'elemento primordiale origine di
tutte le cose, per Anassimene (596-525 a.C.) tale elemento è l'aria, per Eraclito di
Efeso (540-480 a.C.) invece è il fuoco, e per Ferecide (600 a. C.) la terra.
Empedocle di Agrigento (492-432 a.C.) abbandona l'idea di una singola arché e
prevede quattro elementi all'origine del mondo: terra (solida), acqua (liquida), aria
(gassosa), fuoco (ardente e consumatore), che si uniscono o dividono per effetto di
due forze cosmiche, rispettivamente amicizia e discordia. Egli li considera come
distinti e inconvertibili l'uno nell'altro, ma in grado di formare tutte le varietà di
materia mescolandosi tra loro in varie proporzioni. Per Empedocle, tutti i rapporti di
combinazione sono possibili e ciascuna genera un oggetto diverso.
La dottrina dei quattro elementi è ampliata da Aristotele (384-322 a.C.), a cui infatti
essa viene comunemente attribuita.
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Struttura dell’atomo – Lezione Treccani
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La sua teoria sulla natura della materia differisce da quella di Empedocle
principalmente perché considera i quattro elementi come convertibili l'uno nell'altro.
Egli assegna poi a ciascun elemento, o principio, due qualità, una delle quali comune
con un altro elemento: il fuoco è caldo e secco, l'aria è calda e umida, l'acqua è
fredda e umida e la terra è fredda e secca. In ciascun elemento primo prevale una
delle due qualità. Il fuoco è più caldo che secco, l'aria è più umida che calda, l'acqua è
più fredda che umida, la terra è più secca che fredda. La proporzione relativa e
l’azione reciproca di queste qualità determina il carattere specifico dell'elemento.
Questa concezione degli elementi risponde al problema di conciliare l’unicità
dell’essere con la molteplicità delle sue manifestazioni che si presentano ai nostri
sensi. Se le qualità cambiano gli elementi mutano uno nell’altro, in un ciclo infinito.
Gli elementi quindi, vanno interpretati come principi con qualità specifiche osservabili
e non come componenti materiali, ossia come entità astratte responsabili delle
caratteristiche percepibili dei corpi sebbene di per sé non rilevabili.
Mentre gli elementi di Empedocle sono
immutabili, per Aristotele ogni elemento
può
trasformarsi
in
un
altro,
semplicemente cambiando una delle due
qualità nel suo contrario: “Noi sosteniamo
che il fuoco, l’aria, l’acqua e la terra sono
vicendevolmente
trasformabili
l’uno
nell’altro, e che ciascuno è potenzialmente
latente negli altri, come si verifica per tutte
le altre cose aventi un unico sostrato
comune che sta alla base di esse e nel
quale esse possono in ultima analisi
risolversi” ( Meteorologica, 339 a).
Di conseguenza, le trasformazioni possono
essere spiegate come sostituzione di una
Figura 1 - Rappresentazione dei quattro elementi qualità con un’altra o come una variazione
aristotelici secondo G.W. Leibniz (Dissertatio de
nei loro rapporti: per esempio, l’acqua,
arte combinatoria, 1666). Vi sono rappresentati i
passaggi da un elemento ad un altro per perdita o fredda e umida si può trasformare in aria,
acquisto di una delle quattro qualità e le
calda e umida, semplicemente sostituendo
combinazioni possibili fra esse
il freddo con il caldo, cioè scaldandola. Ciò
mette in relazione gli elementi anche con i passaggi di stato (fig.1).
Nel Medioevo l’ipotesi aristotelica degli elementi prevale su quella corpuscolare di
Democrito ed è quella accettata dagli alchimisti. Ciò accade soprattutto perché questa
si impone per la sua semplicità e completezza. L’esperienza mostra che nelle
operazioni chimiche una sostanza caratterizzata da una determinata composizione e
proprietà si trasforma in un’altra di composizione e proprietà diverse, e questo è
difficile da giustificare con l'esistenza di particelle che mantengono immutate le
proprie caratteristiche.
La concezione aristotelica delle trasformazioni della materia fornisce un supporto
teorico alla trasmutazione dei metalli, che gli alchimisti pensano di eseguire privando i
metalli di qualche qualità fino a ridurli a materia prima, e poi dando loro le qualità
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dell’oro. Ciò implica la negazione di qualsiasi composizione definita delle sostanze e
quindi della possibilità che esse reagiscano secondo un qualunque rapporto.
Paracelso (1493-1541) opera il primo tentativo di critica alla dottrina aristotelica2. Egli
formula, nell'Opus paramirum del 1531, la teoria dei tria prima, secondo la quale i
costituenti della materia sono lo zolfo (principio di combustibilità), il mercurio
(principio di volatilità) e il sale (principio di solubilità o fissità), elementi e principi che
non rappresentano sostanze concretamente individuabili, ma soltanto matrici o
archetipi di natura spirituale. Nonostante la dottrina di Paracelso prenda spunto dalle
fondamentali tecniche di laboratorio di combustione e distillazione, essa non
rappresenta una reale rottura con il passato, in quanto rileva la connotazione
metafisica del concetto di elemento, che implica l’impossibilità non solo materiale ma
anche concettuale del loro isolamento.
Nel XVII secolo, con l’affermazione della filosofia meccanicista e della fisica di Newton,
la teoria degli elementi di Aristotele entra in crisi, in quanto la pratica va sempre più
interessandosi non tanto delle proprietà, quanto dei portatori concreti di queste,
ovvero degli elementi chimici e delle loro combinazioni. Questo avviene grazie
soprattutto al fisico R. Boyle (1627-1691) il quale, attraverso la sperimentazione,
dimostra l’inconsistenza delle dottrine degli elementi di Aristotele e Paracelso, le quali
non sono in grado di dare una spiegazione accettabile dei risultati delle osservazioni
sperimentali, e afferma che le sostanze differiscono tra loro per le dimensioni, la
forma, la disposizione e il movimento delle particelle che le costituiscono. Nel 1661,
Boyle pubblica una famosa opera intitolata The sceptical chymist, scritta sotto forma
di dialogo tra il filosofo Carneade, atomista convinto, Themistius filosofo peripatetico e
difensore dell’aristotelismo, Philoponus seguace di Paracelso e Eleutherius moderatore
della discussione, nella quale dimostra l’irrealtà degli elementi aristotelici e introduce
in chimica i concetti fondamentali della teoria corpuscolare della materia. Inoltre
formula una definizione operativa di elementi, affermando che essi sono “quei corpi
primitivi, semplici o perfettamente omogenei, che, non essendo costituiti da nessun
altro, sono l’ingrediente di cui sono fatti i corpi chiamati misti, e nei quali questi
possono, alla fine, essere decomposti”.
Boyle confuta la concezione paracelsiana per la quale da tutti i corpi è possibile
estrarre lo stesso numero di sostanze semplici per mezzo del fuoco. Dimostra
sperimentalmente che vi sono sostanze come l’oro e l’argento da cui non è possibile
estrarre i principi chimici, e che il fuoco in molti casi ricombina i componenti dei corpi
invece di separarli. Nonostante questo, Boyle non è del tutto immune alle concezioni
del suo tempo, infatti crede nella trasmutazione e nella natura composta dei metalli.
Alla fine del XVII secolo, le idee aristoteliche non sono del tutto abbandonate dalla
chimica e sopravvivono fino alla rivoluzione del pensiero chimico operata da A.
Lavoisier (1743–1794). Con l’accumularsi dei fatti sperimentali, va sempre più
affermandosi l’idea della grande varietà di sostanze chimiche e dell’esistenza di
particolari individui chimici con proprietà specifiche solo da essi possedute. Lavoisier,
basandosi su un approccio sperimentale, supera la concezione filosofica dell’elemento
2
Philippus Theophrastus Bombast von Hohenheim, detto Paracelsus o Paracelso, fu uno dei maggiori esponenti della
iatrochimica. Questa particolare branca della medicina alchemica, aveva lo scopo di applicare i principi chimici alla
spiegazione dei fenomeni vitali. Secondo gli iatrochimici, le malattie dell'uomo provenivano da processi chimici alterati
che si potevano affrontare con terapie basate su sostanze chimiche, naturali o sintetiche
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come entità astratta, sostituendola con la concezione degli elementi come sostanze
materiali semplici, isolabili e non ulteriormente decomponibili, ritenendo che vi sia un
numero finito di componenti elementari semplici che manifestano le proprietà
osservabili. Quindi gli elementi non sono più da considerarsi la causa astratta del
comportamento dei corpi, ma sostanze reali con proprietà ben definite. Nel 1789,
Lavoisier nel Traité Élémentaire de Chimie formula l’ipotesi moderna di elemento
chimico: “Se al contrario attribuiamo al nome di elementi o di principi delle sostanze
l’idea del termine ultimo al quale arriva l’analisi, tutte le sostanze che non siamo stati
capaci ancora di decomporre in alcun modo, sono per noi degli elementi”. Il concetto
di elemento diventa quindi sinonimo di corpo semplice, portatore delle caratteristiche
fondamentali, che lo distinguono dagli altri elementi e lo mettono in relazione con le
sostanze composte che lo contengono. Esso è individuabile solo sulla base di dati
sperimentali ed è considerato lo stadio finale dell’analisi chimica dei corpi.
Pertanto, non si possono stabilire a priori il numero
degli elementi, ma è possibile soltanto a posteriori
determinare quante siano in natura le sostanze non
ulteriormente decomponibili in sostanze più semplici
con alcun mezzo chimico a disposizione in quel
momento.
Lavoisier riporta nel suo Trattato la prima tavola delle
sostanze semplici, con l’elenco dei trentatré elementi
allora noti, divisi in quattro classi (le sostanze
semplici, le sostanze semplici non metalliche ossidabili
e acidificatali, le sostanze semplici metalliche ossidabili
e acidificabili, le sostanze semplici salificabili e
terrose). Tra questi compaiono anche sostanze che si
sono poi rivelate composti (l'allumina e la silice), e
anche la luce e il calorico (quest’ultima sostanza
immaginata nel Settecento necessaria per giustificare
il passaggio di calore da un corpo all'altro), nella
convinzione che queste fossero due sostanze
effettivamente esistenti, il cui peso non era stato
possibile determinare solo per insufficienza di mezzi
Figura 2 - Lista degli elementi di
Lavoisier - Traité Élémentaire de tecnici.
Chimie (1789)
All'inizio del XIX, il chimico J. Dalton (1766–1844)
elabora la teoria sulla costituzione chimica dei corpi, secondo la quale ogni elemento
chimico è costituito da atomi uguali tra loro, indivisibili, dotati di una massa
determinata, invarianti nelle reazioni chimiche e differenti dagli atomi degli altri
elementi. Questo porta alla unificazione della teoria degli elementi e quella degli
atomi, dà una base fisica alla definizione operativa di elemento di Lavoisier e permette
di rendere conto del fatto che gli elementi chimici si conservano durante una reazione
anche se le loro proprietà macroscopiche non appaiono nei composti formati.
Con lo sviluppo dell’elettrochimica, a seguito della realizzazione della pila di Volta
(1800), si riesce a separare elettroliticamente numerosi elementi che nella prima metà
del XIX secolo raggiungono il numero di 57.
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La scoperta che diverse sostanze esposte a una fiamma la colorano diversamente
porta allo sviluppo della spettroscopia. R. Bunsen e a G. Kirchhoff nel 1859 realizzano
il primo spettroscopio e studiano gli spettri luminosi generati da campioni purificati di
diversi sali, osservando che ogni sostanza, bruciando, produce una caratteristica
sequenza di righe spettrali luminose. Cosi, ponendo una miscela su una fiamma,
mediante la sua vaporizzazione davanti a uno spettroscopio, è possibile esaminare i
differenti spettri degli elementi componenti la miscela, in modo tale da consentirne la
individuazione. L'analisi spettrale diventa così uno dei più potenti metodi di
riconoscimento delle sostanze semplici esistenti in natura. Ciò dovuto al fatto che
anche piccolissime quantità di un elemento possono dare uno spettro significativo e
caratteristico e rivelarne così la presenza anche nei casi in cui, per la loro esistenza in
tracce debolissime, sfuggano alla determinazione coi precedenti metodi di analisi.
Come conseguenza dell’aumento del numero di elementi chimici conosciuti, nella metà
del XIX secolo molti scienziati tentano di trovare uno schema di classificazione basato
sulla similarità e periodicità delle proprietà chimiche.
Nel 1871 il chimico D.I. Mendeléev enuncia la legge della periodicità, secondo la quale
le proprietà dei differenti elementi chimici dipendono in maniera periodica dal loro
peso atomico. Egli realizza una tabella disponendo ordinatamente tutti gli elementi
allora conosciuti, mediante una suddivisione in gruppi (verticali) e in periodi
(orizzontali), assumendo come criterio ordinatore il loro peso atomico crescente e
l'analogia nelle loro proprietà chimiche. Il sistema di classificazione che deriva dalla
legge della periodicità consente a Mendeléev di prevedere la scoperta di elementi
ancora sconosciuti dotati di proprietà chimiche ben definite chiamati provvisoriamente
eka-alluminio, eka-boro ed eka-silicio (eka = sotto). Si tratta del gallio, dello scandio
e del germanio, che scoperti rispettivamente nel 1875, nel 1879 e nel 1885,
dimostrano di possedere quasi esattamente le proprietà previste da Mendeléev3.
Alla fine dell'Ottocento vengono scoperti i gas nobili, ovvero elementi che esistono allo
stato gassoso e sono chimicamente inerti, e gli elementi delle cosiddette terre rare,
cioè di minerali scarsamente diffusi in natura, ottenuti mediante il frazionamento di
ossidi e la successiva analisi spettrale.
Gli esperimenti condotti sulle scariche elettriche nei gas a cavallo del XX secolo,
portano prima alla scoperta delle particelle subatomiche dotate di carica elettrica
negativa (elettroni) e successivamente di particelle positive (protoni) e neutre
(neutroni), decretando in maniera definitiva la divisibilità dell’atomo.
Gli esperimenti di E. Rutherford consentono di elaborare un primo modello della
struttura dell’atomo di tipo nucleare, nel quale i protoni e i neutroni costituiscono il
nucleo attorno al quale ruotano a grande distanza gli elettroni negativi.
H. Moseley negli anni 1913-1914 grazie ad una serie di esperimenti di spettroscopia ai
raggi X, giunge alla conclusione che le proprietà chimiche di un elemento sono
determinate dal numero atomico (Z), cioè dal numero dei protoni, e che questo è il
vero numero d’ordine secondo il quale devono essere disposti gli elementi nella tavola
periodica di Mendeléev. Questa ipotesi permette di giustificare e spiegare alcune
anomalie della classificazione di Mendeléev, stabilire un limite minimo alla serie
naturale degli elementi (l’idrogeno che presenta la carica del nucleo uguale all’unità) e
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La tavola periodica degli elementi – Lezione Treccani
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prevedere esattamente quanti elementi rimangono ancora da scoprire essendo ormai
chiaro che fra il primo, l’idrogeno, e l’ultimo, l’uranio, dovono essere presenti soltanto
un numero ben definito di elementi.
Questo, insieme alla scoperta degli isotopi, atomi con stesso numero atomico ma
diverso numero di massa (somma dei protoni e neutroni), porta all’elaborazione di
una nuova definizione di elemento chimico. La definizione moderna indica come
elemento una sostanza definita dal suo numero atomico sia esso isolato o combinato 4.
Questa definizione è consistente con l’uso dei simboli per gli elementi sia nei composti
che negli ioni. In entrambi i casi i nuclei degli elementi non subiscono modificazioni,
mentre cambiano le proprietà e la loro struttura elettronica. Ne consegue, che il
significato del termine elemento è legato al nucleo. Gli attributi fondamentali del
concetto di elemento sono, dunque; un nome, un simbolo, una posizione nella tavola
periodica e un numero atomico5.
La scoperta dell’esistenza degli elementi radioattivi, che dando luogo ad una
emissione spontanea di energia e materia decadono in altri elementi, spiega perché in
natura non vengono trovati elementi con numero atomico superiore a quello
dell’uranio (Z=92). Ciò è dovuto al fatto che i nuclei più pesanti sono strutturalmente
instabili e pertanto trasmutano in altri elementi stabili a più basso numero atomico in
tempi brevi. Queste scoperte aprono la strada alle trasmutazioni artificiali di nuovi
elementi. Bombardando con neutroni un atomo di uranio, nel 1940 si ottiene il primo
elemento transuranico, il nettunio (numero atomico 93 e massa atomica 239). Dopo
questo sono stati ottenuti altri elementi artificiali mediante il bombardando di nuclei
con altri nuclei o particelle pesanti, fino a quello non ancora nominato dalla IUPAC
(International Union of Pure and Applied Chemistry) con numero atomico 1186.
Il mondo materiale, quindi, appare ora molto più complicato e diversificato di quello
ipotizzato dai filosofi greci. Si è passati dai 33 corpi semplici di Lavoisier agli attuali
118, mostrando che la scoperta degli elementi chimici è sempre stata strettamente
legata a grandi cambiamenti nella struttura teorica della chimica e nei dispositivi
sperimentali.
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Roundy, W. H. (1989). What is an element? Journal of Chemical Education, vol. 66(9), pp. 729-730
A. Regis, Ma cosa è un elemento ?, Atti del XII Congresso Nazionale della Divisione di Didattica della Società Chimica
Italiana, Trieste 7/10 novembre 2001, pp 133-138
I nuovi elementi superpesanti – Lezioni Treccani
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