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Relazione sull’attività di ricerca svolta durante il primo anno di dottorato
Michele Palmira
La ricerca da me intrapresa ha come punto di partenza il dibattito, in filosofia del linguaggio,
tra relativismo e contestualismo semantico. Le due posizioni si differenziano nella
valutazione vero-condizionale degli enunciati: il contestualismo semantico sostiene che il
valore di verità degli enunciati sia relativo al contesto di proferimento dell’enunciato, vale a
dire ai criteri e prospettive di chi ha proferito l’enunciato; il relativismo, al contrario, ritiene
che la valutazione non sia vincolata ai criteri di giudizio di chi ha proferito l’enunciato ma
vari relativamente ai criteri di giudizio e prospettive dei singoli partecipanti alla
conversazione. Tramite l’analisi della letteratura rilevante, comprendente scritti di John
MacFarlane (2010), François Recanati (2007), David Kaplan (1977) e Crispin Wright
(2001),1 sono giunto ad individuare quello che, a mio avviso, è uno degli aspetti principali di
questo dibattito: secondo autori come MacFarlane e Max Kölbel (2003),2 il relativismo trae la
sua linfa vitale dalla possibilità di spiegare il fenomeno del disaccordo. Prendiamo in
considerazione il seguente caso:
(1) Mario: “La guerra in Iraq è moralmente giusta”
Giuseppe: “Non è vero, ti sbagli! La guerra in Iraq è moralmente sbagliata”.
In maniera intuitiva si può affermare che Mario e Giuseppe sono in disaccordo sulla
correttezza morale della Guerra in Iraq, nel senso che stanno proferendo due giudizi
contraddittori su uno stesso argomento. Il compito a cui è chiamata la semantica è fornire una
metodo che ci consenta di assegnare il valore di verità ai due enunciati senza perdere la
sensazione che Mario e Giuseppe sono in disaccordo. Il contestualismo semantico si articola
in due posizioni, chiamate contestualismo indicale e contestualismo non-indicale: nel primo
caso, ciò che Mario sta asserendo è la stessa proposizione che avrebbe asserito se avesse
proferito (1*) “Secondo il mio codice morale la guerra in Iraq è moralmente giusta”; oppure,
in un’altra versione, (1**) “Secondo il codice morale della mia comunità la guerra in Iraq è
1
Kaplan, D. [1977], Demonstratives, in Almog, J., Perry, J., Wettstein, H. (a cura di) Themes from Kaplan,
New York: Oxford University Press, 1989, pp. 481-563. MacFarlane [ms.] Assessment sensitivity. Relative truth
and its applications. Recanati, F. [2007] Perspectival thought. A plea for moderate relativism, Oxford: Oxford
University Press. Wright, C. [2001] “On Being in a Quandary”, in Mind, vol. 110 no. 437, pp. 45-98.
2
Kölbel, M. [2003] “Faultless Disagreement’, in Proceedings of the Aristotelian Society, 104, pp. 53-73.
1
moralmente giusta”. L’idea è quindi che la forma logica profonda dell’enunciato (1) contiene
un elemento indicale nascosto del tipo “secondo il mio codice morale” o “secondo il codice
morale della mia comunità” che arricchisce il contenuto espresso. Nel caso del
contestualismo non-indicale invece, i proferimenti di Mario e Giuseppe esprimono
proposizioni che non sono semanticamente arricchite e che vanno analizzate in base ai criteri
stabiliti dal contesto di proferimento, quindi dagli standard morali di Mario. Il relativismo,
invece, ritiene che entrambe le analisi contestualiste non riescano a preservare la sensazione
che Mario e Giuseppe sono in disaccordo: nel caso del contestualismo indicale, i due
proferimenti sono equivalenti all’espressione di due proposizioni differenti; così, Mario non
negherà che in base agli standard di Giuseppe l’utilizzo delle cellule staminali sia moralmente
sbagliato, e, mutatis mutandis per Giuseppe. Nel caso del contestualismo non-indicale,
sebbene si mantenga l’intuizione che Mario e Giuseppe stanno proferendo giudizi
contraddittori riguardanti uno stesso contenuto, l’idea che la verità sia stabilita rispetto al
contesto di Mario sembra non lasciare spazio alle ragioni di Giuseppe, che possono essere
ugualmente valide. In questo caso, una relativizzazione della valutazione a differenti giudici
assicurerebbe la sensazione che il disaccordo tra Mario e Giuseppe è “senza errore”, nel
senso che non abbiamo fatti oggettivi per stabilire chi dei due contendenti ha espresso una
proposizione vera. Sulla base di queste riflessioni, il relativismo è posto nuovamente al centro
del dibattito filosofico: tuttavia, la questione principale su cui ho inteso fondare la mia ricerca
non riguarda la liceità o meno di una spiegazione relativista del fenomeno del disaccordo.
Difatti, prima di fornire una risposta semantica, bisogna interrogarsi sul fenomeno stesso del
disaccordo, indicandone la portata, evidenziandone i tratti caratteristici e chiarendone le
conseguenze.
La mia tesi sarà quindi volta all’analisi della nozione di disaccordo. Il primo passo verso tale
analisi è stato quello di approfondire la portata del fenomeno sia in una direzione quantitativa
che in una direzione qualitativa. Il dibattito tra relativismo e contestualismo si concentra
esclusivamente sulle dispute nelle aree di discorso “soggettive”, ad esempio dispute estetiche
ed etiche, e sull’aspetto semantico-valutativo di tali dispute. Tuttavia, è pacifico sostenere che
il fenomeno del disaccordo interessa anche aree di discorso “oggettive”, come ad esempio la
matematica, e quindi un’analisi del disaccordo tout court non può prescindere da un’analisi di
disaccordi sia oggettivi che soggettivi oltreché dai diversi aspetti epistemici e conversazionali
e non solo semantici che tali casi esibiscono. Proprio per questa ragione, la mia attenzione si
è spostata sulla cifra epistemica della nozione di disaccordo, prendendo in considerazione
quello che, in epistemologia, è stato chiamato il problema del disaccordo tra pari epistemici.
2
Tale problema permette di porre due questioni fondamentali: da un lato, quali sono le basi
epistemiche su cui si sviluppa un disaccordo; dall’altro, quali sono le conseguenze
epistemiche di tale disaccordo. Una ricognizione critica della letteratura sull’argomento,
comprendente saggi di Thomas Kelly (2005), Richard Feldman (2009), David Christensen
(2007), Adam Elga (2007) and Ralph Wedgwood (2007),3 mi ha permesso di argomentare
positivamente in favore di un’analisi personale del problema. Il dibattito sull’epistemologia
del disaccordo tra pari epistemici si fonda su una comprensione intuitiva dell’idea di parità
epistemica, accompagnata da una definizione normalmente condivisa in letteratura e proposta
da Kelly: secondo tale definizione due partner conversazionali sono pari epistemici se
mostrano pari virtù intellettuali come l’imparzialità, l’onestà etc…, ed uguale conoscenza
dell’evidenza a disposizione riguardo ad un dato argomento. Ora, poniamo che Mario e
Giuseppe siano due scienziati ampiamente riconosciuti dalla comunità scientifica per le loro
competenze e le loro qualità intellettive. Poniamo che entrambi abbiano lo stesso tipo di
evidenza a disposizione riguardo alle cellule staminali embrionali. Tuttavia, Mario asserisce
l’importanza scientifica dell’utilizzo delle staminali embrionali nella ricerca, Giuseppe nega
con forza tale importanza. La domanda cruciale posta nella letteratura è la seguente: qual è il
peso epistemico di tale disaccordo?
Secondo i sostenitori della “Equal Weight View”, la scoperta di tale disaccordo deve indurre i
pari epistemici a rivedere le proprie credenze e ad assumere un atteggiamento conciliatorio:
l’idea è che essere in disaccordo con un proprio pari sottodetermina il grado di fiducia nei
confronti della proposizione supportata dalla stessa evidenza, e quindi costringe i pari ad
assumere o una posizione agnostica nei confronti della proposizione, o a livellare il grado di
fiducia nei confronti della stessa. Filosofi come Kelly e Wedgwood, invece, ritengono che la
scoperta del disaccordo non costringa i pari epistemici a rivedere la propria posizione, dato
che l’evidenza a disposizione è buona evidenza in favore delle rispettive credenze.
La mia proposta si articola in due fasi: da un lato miro a chiarire il concetto stesso di parità
epistemica e la possibilità di rilevare tale condizione nel corso di una conversazione; in
seconda battuta argomento in favore dell’idea che la scoperta del disaccordo non può fornire
3
Christensen, D. [2007] “Epistemology of Disagreement: the Good News”, in The Philosophical Review, vol.
116 no.2, pp. 187-217. Elga, [2007] “Reflection and Disagreement”, in Nous, vol. XLI n. 3, pp. 478-502.
Feldman, R. [2009] “Evidentialism, Higher-Order Evidence and Disagreement”, in Episteme pp. 294-311.
Kelly, T. [2005] “The Epistemic Significance of Disagreement’, in Szabo, T. G. and Hawthorne, J. (a cura di),
Oxford studies in epistemology, vol. 1, Oxford: Oxford University Press, pp. 167-96. Wedgwood, R. [2007] The
nature of normativity, Oxford: Oxford University Press.
3
ragioni per modificare una credenza supportata da evidenza. L’idea di parità epistemica
condivisa nella letteratura, a mio modo di vedere, non coglie l’ampiezza dell’aggettivo
“epistemico”: infatti, tra gli aspetti epistemici che possiamo o non possiamo condividere non
vanno inseriti solo le conoscenze e la familiarità con l’evidenza a disposizione, ma anche
quegli strumenti epistemici che permettono l’utilizzo di tale evidenza. La mia idea è quella di
ampliare la definizione di parità epistemica affermando che un ulteriore elemento per trovarsi
in una siffatta condizione è la condivisione di una cornice epistemica: questa cornice è
composta da una serie di assunzioni, proposizioni e presupposizioni concernenti l’uso di una
determinata concezione della giustificazione epistemica, delle differenti modalità di tale
giustificazione (giustificazione testimoniale, tramite memoria), l’utilizzo di alcuni principi
come il principio di chiusura epistemica, l’adozione, nel corso della disputa, di una logica
classica ed un’altra serie di aspetti epistemici che sono implicitamente o esplicitamente
condivisi. Dopo aver discusso e chiarito questo nuovo aspetto della parità epistemica, cerco
di sottolineare la necessità di avere un metodo per rilevare la condizione epistemica dei
parlanti nel corso della loro disputa, e quindi, di un metodo per rilevare la loro presunta parità
epistemica. Il metodo che suggerisco è sviluppato a partire dall’idea di score conversazionale
di David Lewis:4 l’idea principale è che tutto ciò che i parlanti condividono dal punto di vista
epistemico va a comporre quello che chiamo “lo score epistemico della disputa”. Sulla base
di questa analisi propongo la seguente soluzione del caso di disaccordo tra pari epistemici: se
dovessimo riconoscere il disaccordo come un dato epistemico dovremmo includerlo nello
score epistemico e per questo accettare che la contraddizione di Giuseppe e Mario sia
supportata dall’evidenza, e che quindi sia vero sia che è scientificamente importante
impiegare le cellule staminali embrionali, sia la sua negazione. Ciò comporta in primis un
rifiuto della logica classica e l’adozione di una logica paraconsistente, chiamata dialeteismo,
in grado di assegnare un valore di verità alla congiunzione di enunciati contraddittori che li
renda entrambi veri. Tuttavia, accettare la verità della contraddizione ha due conseguenze
indesiderate per il caso in esame: la perdita del disaccordo e la mancanza di ragioni per
discutere. In questo senso, i pari epistemici non sono tenuti a rivedere la propria credenza e il
disaccordo rimane epistemico in un senso forte, poiché non siamo in grado di dire chi tra i
due ha commesso un errore. L’intera discussione è volta ad evidenziare due punti tralasciati
4
Lewis, D. K. [1979] “Scorekeeping in a Language-Game”, in Journal of Philosophical Logic 8, pp. 339-59,
ristampato in Lewis, D., K. [1983] Philosophical papers, volume 1, New York: Oxford University Press, pp.
233-49.
4
nella letteratura: da un lato, è possibile sostenere che i casi di disaccordo epistemico siano
senza errore, dall’altro, si mostra l’utilità di un’analisi del fenomeno del disaccordo che si
articoli sia su basi epistemiche che su basi conversazionali.
Il lavoro svolto in questo primo anno ha quindi evidenziato l’importanza e la novità di una
duplice prospettiva, semantico-conversazionale ed epistemologica, nell’analisi della nozione
di disaccordo: per poter fornire una valutazione vero-condizionale di due giudizi in
disaccordo, è necessario chiarire lo statuto epistemico della disputa e le possibili mosse
conversazionali. In questo senso, il lavoro che intendo proseguire comprende sicuramente
una discussione del dibattito tra contestualismo e relativismo, ma non si esaurisce in tale
discussione. Difatti, il mio intento in questa fase della ricerca non è tanto caratterizzare
semanticamente i casi controversi presi in considerazione da contestualismo e relativismo –
compito a cui mi dedicherò successivamente – quanto esplorare l’utilità dell’approccio che
propongo ed estenderlo a casi particolari in differenti aree di discorso.
Attività seminariali – convegni
Nel corso di questo primo anno, oltre alla partecipazione alle attività della Scuola di
Dottorato, ho avuto modo di prendere parte ad una serie di seminari e convegni inerenti al
mio argomento di ricerca, in particolare ai seminari di epistemologia, filosofia del linguaggio
e
filosofia
della
matematica
organizzati
dal
centro
di
ricerca
COGITO
http://cogito.lagado.org/node/21. L’attività di ricerca da me svolta ha prodotto la
partecipazione, come relatore, a due convegni internazionali di filosofia analitica, ad una
giornata COGITO dedicata all’epistemologia ed al convegno “Migrazioni. Temi e Questioni
tra Italie e Francia”. Inoltre, ho potuto beneficiare di un periodo di ricerca all’estero di due
mesi presso l’Institut Jean Nicod di Parigi. Di seguito una lista delle principali attività a cui
ho preso parte.s
•
01-07/10: partecipazione al seminario di filosofia del linguaggio di COGITO
(responsabili Prof. Paolo Leonardi, Dott. Sebastiano Moruzzi).
•
02-03/10: partecipazione al seminario di epistemologia di COGITO (responsaibili
Prof. ssa Annalisa Coliva, Dott. ssa Elisabetta Lalumera).
•
02-05/10: partecipazione al seminario di filosofia della matematica di COGITO
(responsabili Prof. Marco Panza, Dott. Andrea Sereni).
5
•
24/05/10, Bologna: partecipazione al COGITO DAY IV – Epistemology. Titolo della
relazione: “Disagreement: the case of epistemic peers”.
•
5-6/06/10, Bologna: Partecipazione al convegno “Truth & Relativism”.
•
7-11/06/10, Bologna: partecipazione ai seminari del Prof. John MacFarlane (Berkeley
- visiting professor a Cogito).
•
16/09/10, Trieste: partecipazione al XVII Convegno della Società Italiana di Filosofia
del Linguaggio. Titolo relazione: “La pragmatica mantiene ciò che il relativismo
promette”.
•
23-25/09/10, Padova: partecipazione alla 9th National Conference of the Italian
Society for Analytic Philosophy. Titolo relazione: “Epistemic peerhood and faultless
disagreement”.
•
26/11/10, Modena: partecipazione al convegno Migrazioni. Temi e Questioni tra
Italia e Francia. Titolo relazione (con Prof. ssa Annalisa Coliva): “Relativismo e
Multiculturalismo”.
•
14/12/10, Bologna: commento alla relazione del Prof. Ernest Sosa (Rutgers – visiting
professor a Cogito), “The Epistemology of Disagreement”.
Periodo di ricerca all’estero:
•
20/09/10 – 15/11/10: visiting student all’Institut Jean Nicod – École Normale
Supérieure Paris. Supervisore: Prof. François Recanati.
•
Settembre-Novembre: Partecipazione alle Content and Context Lectures. Relatori:
Prof. John MacFarlane (Berkley), Prof. Christopher Peacocke (Columbia).
•
12/11/10, Parigi: partecipazione al graduate and postgraduate seminar dell’Institut
Jean Nicod – ENS – EHESS - CNRS Paris. Titolo relazione: “Faultless disagreement
in Wolf’s clothing”.
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