ASSENSO DEL MINORE ALL’ATTO MEDICO Lo sviluppo psichico e relazionale del bambino sta subendo una graduale accelerazione, influenzando la sua capacità di comprensione e di interazione con i soggetti adulti che di lui si prendono cura. Ciò comporta un profondo ripensamento circa la figura del minore e la sua autonomia ed una sempre maggiore attenzione al rispetto dovuto alla sua volontà nella gestione del proprio stato di salute. A livello internazionale una forte innovazione venne con la stesura, nel 1989, della Convenzione sui diritti dell’infanzia (ratificata dal Parlamento Italiano con la legge 176/1991), in cui si affermò l’importanza di dare adeguata valutazione alla capacità di consentire del soggetto minore in funzione dell’età e del suo sviluppo cognitivo e relazionale. In seguito la Dichiarazione di Oviedo, promulgata nel 1997 dal Consiglio D’Europa, confermerà quanto sancito dalla Convenzione di New York e gli stessi concetti verranno ripresi fedelmente, anche in ambito nazionale, della Carta dei diritti del bambino in ospedale, promulgata dal lavoro congiunto di alcuni centri pediatrici italiani. Già nel 1995, inoltre, il Committee on Bioethics dell’American Academy of Pediatrics aveva riconosciuto all’adolescente ultraquattordicenne una piena capacità decisionale, pari a quella dell’adulto. Più recentemente, le dichiarazioni e le linee guida prodotti dell’Ethics Working Group del C.E.S.P. - Confederation of European Specialist in Paediatrics - nel 2002 e le linee guida , emesse dalla S.I.O.P. Working Committee on Psychosocial Issues in Pediatric Oncology nel 2003, pur ammettendo che, circa l’ottenimento del consenso informato, debbano essere seguite le indicazioni legislative del singolo Paese, hanno ribadito la necessità di dare al minore un livello di informazione adeguato. Nonostante alcuni Stati nazionali abbiano adottato norme specifiche a tutela del diritto di autodeterminazione del minore in campo sanitario, tale copertura legislativa permane, a tutt’oggi, estremamente variabile. Tale dato, che si riflette, in modo particolarmente evidente, sulle soglie di età, scelte per dare al consenso del minore un valore completamente vincolante. Se, infatti, in alcuni Paesi limite di età per prestare un valido consenso è stato progressivamente abbassato, scendendo a 16 anni in Inghilterra ed in Spagna , 15 in Danimarca , 12 in Olanda in altre nazioni tale soglia rimane corrispondente a quella per il raggiungimento della maggiore età normalmente il compimento del 18° anno di età. In questi ultimi il diritto di esprimere il consenso all’atto medico rimane in capo al genitore, senza che la volontà del minore abbia una reale copertura legislativa. Si è sviluppata nel tempo una ricca letteratura, che ha coinvolto diversi ambiti della pediatria, dalla quotidiana pratica clinica alla ricerca, dall’oncologia alla terapia intensiva, fino agli interrogativi circa le decisioni di fine vita, che sottolinea la necessità di coinvolgere, in modo progressivamente sempre maggiore il bambino con l’aumentare dell’età, assegnando, gradualmente, alle sue decisioni un valore sempre più vincolante e, soprattutto, rispettando sempre e comunque il suo fondamentale ed inalienabile diritto ad essere informato, circa le azioni compiute sul suo corpo e relative alla sua salute. In questi casi lo strumento ad oggi più indicato sembra essere l’assenso del minore, un concetto di cui non si hanno definizioni precise, ma che da alcuni autori è stato recentemente definito, con estrema vicinanza con quanto previsto dalle dichiarazioni internazionali, come “developmentally appropriate involvement in decision making”. Ne consegue la necessità di lavorare moltissimo sulla comunicazione con il bambino, dilatando il tempo dedicato al dialogo con il paziente minore, il tempo dedicato alle spiegazioni, alle domande, ai pensieri del bambino, fino ad instaurare con esso una vera alleanza terapeutica. L’aver informato il genitore, lasciando a quest’ultimo il compito di spiegare la situazione contingente al figlio/a, non può più essere considerata soddisfacente, ma deve, anzi, essere affiancata da spiegazioni fornite direttamente al minore, in modo appropriato, stimolando la richiesta di spiegazioni, l’espressione di dubbi o perplessità, anche in assenza di precisi vincoli normativi. Se in ambito pediatrico si è spesso concordi circa la necessità di cercare l’assenso del paziente, poco si dice su come si deve agire, quando il paziente minore rifiuta un trattamento. Su questo difficile fronte mancano non soltanto delle linee guida, ma una accettazione condivisa. Alcuni autori mettono in evidenza come molto raramente la scelta di dissentire nei confronti di un trattamento venga rispettata, specie se in disaccordo con quanto deciso dai genitori. Dal punto di vista legislativo, inoltre, ci si trova immersi in un vero e proprio baratro, poiché anche nel caso dell’adolescente l’unico consenso valido resta quello del genitore ed in caso di disaccordo quest’ultimo non può che prevalere, a meno che non vada ad inficiare la salute del minore, o non configuri un atto di accanimento terapeutico.