ASPETTI ETICI DELLE BIOTECNOLOGIE Il Dizionario internazionale di medicina e Biologia “Willey” così definisce le biotecnologie: “L’applicazione delle scienze biologiche, specialmente della genetica, ad usi tecnologici o industriali”. Ma fa riflettere che ritenga di dover riferire, sia pur fra parentesi, un vecchio commento del New York Times del 27 gennaio 1980: “ La ricerca sul DNA ed altre nuove strategie in biotecnologia si vanno sviluppando così rapidamente che non se ne può prevedere il futuro”. A sua volta l’Office of Technology Assessment ne puntualizza le caratteristiche sul piano operativo come “ogni tecnica che utilizza organismi viventi (o loro parti) per fare o modificare prodotti, per migliorare piante ed animali o per sviluppare microrganismi per usi specifici”. Rientrano dunque a pieno titolo nella categoria prestazioni tecniche varie e anche molto diverse: la manipolazione dei gameti che sta alla base delle metodiche di fecondazione artificiale (FIVET ed altre), la compostazione dei residui vegetali, sino alla produzione dello yogurt. Tuttavia, a suscitare il massimo scalpore ed interesse sono quelle che riguardano la manipolazione genetica, cioè la manipolazione biotecnologica del genoma, in particolare di piante ed animali. In realtà, poiché il codice genetico è unico ed universale questa manipolazione può interessare tutti gli esserti viventi: vegetali, animali, uomo compreso, batteri, funghi, senza contare i virus, che, come è noto, veri viventi non sono. Di grande rilievo il fatto che, per la stessa ragione, la manipolazione può superare la barriera di specie. Opportunamente modificato nel suo genoma Escherichia coli (comune enterobatterio dell’intestino umano) può produrre insulina umana su scala industriale. E proprio dai batteri lo sviluppo dell’ingegneria genetica ha preso origine. Per tre principali ragioni: 1 si tratta di un materiale biologico particolarmente facile da maneggiare e rapidamente riproduttivo 2 nei batteri già in natura sono presenti trasferimenti spontanei ed abituali, intra- ed inter-cellulari (anche fra specie diverse) di frammenti di DNA. Questi trasferimenti sono alla base dei fenomeni di “trasformazione”, “coniugazione” e “trasduzione”, a loro volta responsabili, fra l’altro, della preoccupante diffusione delle resistenze batteriche agli antibiotici. 3 il mondo batterico ha fornito le indispensabili “forbici biologiche” (enzimi di restrizione), capaci di “tagliare” specifiche sequenze di coppie di basi chimiche (sequenze nucleotidiche) interposte fra i geni, “liberando” così singoli geni. Di fronte alle tante ed insperate possibilità offerte dalle biotecnologie genetiche la scienza chiede mano libera in nome della libertà di ricerca, l’industria in nome di quella di mercato. La società è allo stesso tempo ammirata, perplessa, preoccupata e divisa! Sarà poi tutto bene? Che cosa si può dire, ragionando in termini bioetici? Da sempre l’uomo si è sforzato di “modificare” gli esseri viventi, perché assumessero caratteristiche utili. Ha addomesticato animali, favorendo incroci di razze, selvatiche e non, per renderli sempre più mansueti e produttivi, ha incrociato le piante, ha utilizzato microrganismi per scopi alimentari (pane, vino), “selezionando” i più efficienti ..... In questo modo ha favorito in molti casi, pur senza rendersene conto, lo scambio di caratteri ereditari persistenti, “diluendoli” però nei secoli se non nei millenni. L’ingegneria genetica compie un’operazione ben più diretta e “brutale” suscitando il legittimo sospetto di pericolose rotture di equilibri naturali millenari. L’applicazione estensiva e severa del principio di precauzione risulta perciò, più che legittima, sacrosanta e necessaria. Non solo. La moderna ricerca scientifica, essenzialmente di gruppo, necessita di enormi capitali. Perciò il controllo della comunità scientifica e sociale non potrà limitarsi alle ricadute applicative delle nuove scoperte, ma dovrà interessarsi anche delle “linee di ricerca” che possono essere predeterminate, per i loro fini, dai dispensatori dei fondi, e cioè dal “potere” economico e politico. Ma sarà possibile, e ragionevole, dire solo dei NO! Non c’è dubbio che le biotecnologie e la ricerca biotecnologica possano fornire risultati di straordinaria utilità per i singoli, la società e l’umanità intera. Piante transgeniche di aumentata “resa” (sino a + 10%) perché resistenti a diserbanti, parassiti, batteri e virus, o arricchite di aminoacidi essenziali (cereali), o che possano svilupparsi su terreni “salati” o “aridi” (meloni...), o resistenti alla putrefazione o al congelamento (fragole) .... dovranno essere considerate sempre e comunque negativamente, specie dalle frange più “verdi”, delle società sviluppate che le producono? Si potranno dimenticare del tutto le esigenze di solidarietà verso popolazioni meno fortunate e misere, che potrebbero sostituire con quei cereali “ricchi” quelli “poveri” della loro mono-alimentazione, o dalla coltivazione, nei loro sfavorevoli ambienti naturali, di piante alimentari adattate e finalmente sufficienti? Basterà il timore dell’aumento di allergie nei paesi ricchi per negare maggiori possibilità di sopravvivenza in quelli poveri? Potrà essere considerato eticamente corretto? Lo stesso valga per gli animali. A differenza delle colture transgeniche, già molto diffuse nel mondo (colza, tabacco, soia, riso, cotone, patata, mais, zucca, pomodoro, anguria e così via) ed in fase di rapido incremento (da 3 milioni di ettari nel 1996 a 60 milioni nel 2000!), non esistono ancora “sul territorio” quantità significative di animali transgenici. Tuttavia la prospettiva di razze migliori produttrici di carne o di latte, eventualmente con contenuti proteici modificati (latte “umanizzato”) o ad elevato contenuto di proteine industrialmente utili (dal latte di certe capre si ottiene già, ad esempio, materia prima per gomene resistentissime per grandi navi), o di razze bovine resistenti alla micidiale mosca tze tze, o infine di maiali possibili “donatori” di organo, dovrà essere totalmente respinta? Si tratta solo di pochi esempi, ma indicativi. Nella giusta e doverosa riflessione sui possibili rischi della diffusione ambientale delle nuove specie transgeniche, e del loro uso, e sulla necessità di un controllo accurato ed onesto della loro innocuità prima che escano dal chiuso dei laboratori e delle serre, l’etica chiede di associare al principio di precauzione quello di solidarietà. [Prof. Aldo Mazzoni – già Ordinario di microbiologia all’Università di Bologna, Direttore del Centro di Bioetica “A. Degli Esposti” (Bologna)]