Modena Lez 1 - Università degli Studi di Parma

Sommario
Introduzione .......................................................................................................................1
Capitolo 1
Linguaggio naturale e linguaggio matematico. Ambiguità e precisazioni.
Necessità dei linguaggi formali...............................................................................3
Capitolo 2
Aspetti morfologici del calcolo delle proposizioni.................................................15
Capitolo 3
Aspetti semantici del calcolo delle proposizioni. Cenno alle Algebre di
Boole. ...................................................................................................................24
Capitolo 4
Sintassi del calcolo proposizionale. Avvio alla dimostrazione ...............................36
Capitolo 5
Insufficienze del calcolo delle proposizioni...........................................................75
Capitolo 6
Aspetti morfologici del calcolo dei predicati..........................................................83
Capitolo 7
Aspetti semantici del calcolo dei predicati. ............................................................98
Capitolo 8
Alcuni problemi didattici della Logica applicata all'Algebra elementare...............114
Capitolo 9
Aspetti sintattici del calcolo dei predicati.............................................................135
Capitolo 10
Cenno alla teoria degli insiemi ed ai principi non costruttivi................................159
Capitolo 11
Definizioni e teoremi dal punto di vista didattico.................................................170
Indice..............................................................................................................................204
SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER L'INSEGNAMENTO SECONDARIO
REGIONE EMILIA - ROMAGNA
S EZIONE DI M ODENA
Appunti per la Didattica della Logica Matematica
Carlo Marchini *
* Dipartimento di Matematica della Università di Parma - Strada D'Azeglio 85/A - 43100 Parma. Tel.
0521/032316, Fax 0521/902350. e-mail [email protected].
Introduzione.
A differenza di quanto avveniva nel passato, il tema Logica è esplicito in ogni ordine
scolastico e spinge il docente a dover progettare un percorso didattico specifico, cosa avverrà nelle varie proposte di riforma dei cicli è per il momento troppo difficile da ipotizzare.
L'insegnamento della Logica però, almeno al momento attuale non pare soddisfacente,
anzi sembra del tutto trascurato l'apporto che la Logica può portare all'insegnamento. Un
problema che pian piano si sta risolvendo è quello della carenza di una pubblicistica didattica sull'argomento, carenza dovuta sostanzialmente alla mancanza di tradizione didattica. Uno strumento per colmare la lacuna evidenziata è la pubblicazione degli atti del corso di Lecce: Ciarrapico L., Mundici D. (a cura di): 1995, L'insegnamento della Logica,
Ministero della Pubblica Istruzione - A.I.L.A., testo, per altro, quasi introvabile.
La letteratura didattica italiana e straniera spesso privilegia temi specifici: ad esempio la
comprensione dell'implicazione, l'analisi della dimostrazione, spesso esemplificata solo in
Geometria. Manca una visione globale del problema sui contenuti, sui metodi sui tempi e
soprattutto sul problema della valutazione.
I futuri insegnanti non sempre provengono da corsi di laurea in Matematica e anche
quelli che hanno la laurea in tale disciplina non sempre hanno seguito corsi specifici di
Logica matematica. Se anche hanno approfondito l'argomento durante gli studi universitari, raramente il problema della trasposizione didattica è stato affrontato e spesso sono a
disagio nell'affrontarla poi in classe.
Un motivo potrebbe essere il fatto che i testi universitari oggi presenti sul mercato si rivolgono a studenti di Matematica, Informatica o Filosofia (anche di Linguistica) con intenti di ricerca scientifica non adeguati alle necessità didattiche della scuola. Essi trattano
sempre la Logica come oggetto di studio.
Anche nei manuali scolastici più diffusi la Logica è presentata spesso solo come oggetto, nei suoi aspetti più (o troppo) elementari. La collocazione stessa in capitoli separati, in
genere all'inizio o al termine del testo, con pochi esercizi, è sintomo dell'isolamento culturale. Il rischio che si corre oggi è che si ripeta l'esperienza della insiemistica, argomento
un tempo enfatizzato ed incompreso, con detrattori e sostenitori troppo convinti.
Questo testo vuole dunque colmare una lacuna, non di preparazione specifica, ma di
presentazione degli aspetti didattici. Il lettore interessato ad approfondire l'argomento sul
versante tecnico e scientifico deve consultare i vari manuali disponibili. Qui si cerca piuttosto di mostrare le occasioni in cui la Logica matematica è o potrebbe essere presente
nella prassi didattica per vederne le valenze strumentali che ne consigliano l'introduzione
nella scuola.
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
Il testo non è esaustivo, dato che molti altri aspetti potrebbero essere utilmente trattati. In
particolare oggi è scarsa l'attenzione al tema della valutazione. D'altra parte, anche nella
letteratura italiana ed internazionale, non ho visto finora uno studio approfondito del
problema. Eppure la Logica entra spesso nella valutazione delle altre competenze, come
mostrano i vari test di ammissione alle Facoltà universitarie a numero chiuso ed anche i
test psico-attitudinali utilizzati da industrie, enti pubblici e perfino dalle Forze armate.
La carenza di forme consolidate di valutazione rischia di far cadere l'entusiasmo per
l'argomento. Il docente infatti che non abbia strumento per comprendere quanto sia stato
accettato dalla scolaresca non è a suo agio nel vagliare le attività svolte in classe. In questo
la Logica si accomuna ad ogni altro tema innovativo, proprio per la mancanza di una tradizione paragonabile a quella dell'Algebra o della Analisi o anche della Geometria. Per
ovviare a questa carenza qui si presenta una proposta relativa alla valutazione, che però
finora non ha ottenuto una validazione sperimentale.
La parte del testo più vicina al trattamento consueto di un testo universitario è quella
relativa agli aspetti sintattici. Il motivo è che essi sono da sempre presenti nella trattazione
della Matematica lungo le linee ipotetico-deduttive. Spesso i manuali scolastici accennano
ad essi, ma l'argomento viene presto eluso. Qui si tratta, con una certa ampiezza, questo
lato della Logica per offrire al docente uno strumento di lettura delle difficoltà spesso nascoste e che rendono assai problematico l'approccio alla dimostrazione. Anche il sistema
deduttivo utilizzato non è dei più consueti, ma, come mostrano numerosi esempi, è ben
radicato nella pratica matematica.
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
Capitolo 1: Linguaggio naturale e linguaggio matematico. Ambiguità e
precisazioni. Necessità dei linguaggi formali.
L'abitudine all'insegnamento ed all'apprendimento della Matematica fa forse dimenticare
che la maggior parte dei discorsi "matematici" si svolge in un linguaggio diverso da quello
naturale 1, anche se variamente interconnesso con esso. I codici e le attese che vengono
veicolati attraverso il linguaggio sono differenti. In particolare in Matematica si usano
molti termini presi dalla lingua naturale, ma usati con significato assai diverso. Ad
esempio anello in Matematica e nella vita comune identifica concetti assai dissimili. Altre
(poche) volte frasi matematiche, originatesi nella vita quotidiana, ritornano nel linguaggio
comune con significati diversi: ad es. al limite, ecc.
Questo doppio binario, ben analizzato nella tesi di C. Laborde, è causa di difficoltà di
apprendimento: una didattica accorta deve tenere presente il fatto. L'insegnante oltre a trasmettere conoscenza dei contenuti, viene ad esprimersi con un codice, ormai connaturato,
diverso da quello dei discenti. La situazione si ripete anche sui testi.
Ci si accorge in modo conclamato di queste ambiguità di interpretazione quando i vari
codici linguistici entrano in conflitto tra loro. Alcuni esempi permetteranno di capire ciò
che si intende.
1) Le dimostrazioni per assurdo. Un esempio semplice: se con A ⊂ B si denota l'inclusione stretta, vale a dire la relazione di inclusione tra insiemi diversi, cioè A ⊂ B sta per
A ⊆ B e A ≠ B, si prova la proprietà transitiva dell'inclusione stretta: se A ⊂ B e B ⊂ C,
allora A ⊂ C. Una dimostrazione che di solito viene presentata sfrutta la proprietà transitiva dell'inclusione ⊆, ma in base ad essa non si può escludere che A = C. E' necessario allora provare A ≠ C e ciò viene fatto, di solito, per assurdo, assumendo l'ipotesi A = C. Nel
linguaggio quotidiano un procedimento di questo tipo non ha molto senso. Se il linguaggio descrive fatti, che senso ha assumere un fatto contrario alla realtà? La stessa
obiezione può essere mossa a questa, come a tutte le dimostrazioni per assurdo. Se ci si
pone in un'ottica di sapore platonista, si dovrebbe assumere la posizione che la matematica
1 Cosa sia il liguaggio naturale è un bel problema su cui stanno dibattendo da sempre e pure tuttora i filosofi del
linguaggio. Personalmente sono abbastanza scettico sulla sua "esistenza", ritenendo che si tratti piuttosto di
una "concatenazione" di linguaggi specifici che ciascuno di noi ha appreso a parlare ed usa diversamente in situazioni diverse. Si rimanda a Marchini C.: 1989, 'Lo g i c a p r o p o s i z i o n a l e n e l l a s c uo l a ' , M D , III, n. 2,
28 - 37, e Marchini C.: 1989, 'As p e t t i di da t t i c i de l c a l c o l o de i p r e di c a t i ' , M D , III, n. 3, 23 - 35, dai
quali traggo numerosi esempi in queste lezioni.
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
esista nel mondo delle idee e tutti i ragionamenti servano solo a descrivere tale tipo di
realtà, quindi che senso avrebbe fare ipotesi che contraddicano la realtà delle idee?
2) L'implicazione matematica (materiale) e l'implicazione del linguaggio comune. Nel
linguaggio comune il nesso se … allora … ha connotati assai diversi dall'uso del connettivo in matematica. Le frasi ipotetiche che vengono introdotte con queste particelle spesso,
se non sempre, vengono a risentire del concetto di causalità. L'antecedente, la frase che
segue immediatamente se, si presenta con il congiuntivo imperfetto, e precede allora è
intuita come la causa di cui il conseguente, la frase che segue allora è l'effetto e viene
espressa con un condizionale. Però spesso le stesse particelle vengono utilizzate per la
presentazioni di frasi causali e stavolta con l'uso dell'indicativo sia nell'antecedente sia nel
conseguente. Anche qui qualche esempio non guasta. Si analizzino in modo intuitivo le
frasi
se metti le dita nella presa di corrente, (allora) prendi la scossa
,
se tu mettessi le dita nella presa della corrente, (allora) prenderesti la scossa
non mettere le dita nella presa di corrente, o (altrimenti) prendi la scossa.
A parte una diversa presentazione verbale dovuta alle particolarità linguistiche, esse suonano come avvertimenti dello stesso tipo. Nella prima frase è più esplicitata la relazione di
causa ed effetto, la seconda traduce di più l'aspetto ipotetico. La terza sembra equivalente
alle due, ma osservando bene non è chiaro quale delle due traduca. Ciò mostra che il nesso
di causalità, almeno nel linguaggio comune può essere espresso in vari modi. Le frasi
se Parigi fosse a 2500 m. sul livello del mare, allora Cristoforo Colombo avrebbe
scoperto l'America
se 0 = 1, allora G. Agnelli sarebbe il papa
verrebbe voglia di considerarle insensate, ma se all'implicazione si attribuisce il significato
usato in Matematica, quello dell'implicazione materiale 1, esse sono da ritenere vere. Ciò
perché viene considerato l'aspetto estensionale del connettivo e non quello intensionale. Il
giudizio di insensatezza, per esempio per la frase che parla di Parigi, è basato sul fatto che
non si comprende come una "causa" di natura orografica possa aver provocato un effetto
nel passato ed anche perché non è manifesto il rapporto di causa ed effetto 2. Nel secondo
poi il simbolo "=" viene letto come un predicato nominale che dovrebbe essere coniugato
1 Cioè quello che viene "codificato" dalle consuete tavole di verità del connettivo di implicazione.
2 A riprova delle perplessità che suscita la scelta della tavola di verità del connettivo di implicazione, si pensi
che proprio per migliorare l'adeguatezza della simbolizzazione al linguaggio naturale è nata una parte della Logica formale nota col nome di Logica modale. Per un approfondimento del problema si possono consultare D.C.
Makinson D.C.: 1979, Temi fondamentali della Logica moderna, Boringhieri, Torino, in particolare il II cap., e
Speranza F.: 1984, 'Logica' ,voce della Enciclopedia delle Scienze, de Agostini, Novara, fasc. 109.
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
opportunamente, per rendere l'aspetto ipotetico. Ma esempi del genere non hanno pregio
didattico, anche se qualche volta possono essere presentati a bella posta per suscitare il
riso negli allievi. Il discorso si sposta allora sulle convenzioni che si possono assumere in
Matematica e che risultano estranee al linguaggio comune. Tuttavia questo tipo di
interpretazione del connettivo di implicazione, detta anche implicazione filoniana, è nota
dai tempi di Filone di Megara (IV sec a.C.), in opposizione alla implicazione diodorea,
così detta perché proposta dal maestro di Filone, Diodoro Crono (IV. sec. a.C.), in base
alla quale la verità dell'implicazione è subordinata al fatto che in ogni tempo non sia
possibile che la verità dell'antecedente coesista con la falsità del conseguente. Un serrato
confronto tra questi due tipi di implicazione fu condotto da C.S. Peirce (1839 - 1914).
Egli concluse che per gli aspetti "elementari" della Logica era più conveniente accettare
l'implicazione materiale.
E' poi assai interessante comprendere le interrelazioni tra il connettivo di implicazione e
il condizionamento che interviene nel calcolo delle probabilità 1.
Tuttavia in certe occasioni l'"intuizione" può giocare brutti scherzi. E' necessario allora
ricondurre il ragionamento nelle sue forme schematizzate proprio dalla logica. Si presenta
un esempio 2 che simula, in modo semplificato, il procedere del ricercatore di fronte a fenomeni complessi. Nello studio di un fenomeno avviene di formulare delle ipotesi che
devono poi essere controllate nella loro veridicità o meno. Questo tipo di situazione si può
presentare anche a scuola in modo proficuo. Si considerino le quattro carte tratte da un
mazzo per il gioco della Scala 40:
Nel disegno, con toni diversi di grigio si sono voluti indicare colori del verso distinti, ad
esempio blu e rosso. Si può pensare, per rendere la cosa più attinente a situazioni reali, che
invece di carte ci siano i dati di certe esperienze in condizioni sperimentali diverse.
Assumiamo una ipotesi (di lavoro) che
1 Secondo la presentazione classica il problema non si pone, avendosi il concetto di probabilità condizionata.
Ma nella presentazione soggettivista si introduce il concetto di evento condizionato e questo è fortemente connesso con la causalità e con l'implicazione, anche se i rapporti sono tuttora poco chiari.
2 L'esempio che segue è modificazione di uno presentato da Johnson-Laird P.N., Wason P.C: 1977, 'A theoretical analysis of insight into a reasoning task', Johnson-Laird P.N, Wason P.C. eds.: Thinking: Readings in cognitive science , 143 - 157.
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
se la carta avesse il verso rosso, allora (la carta) sarebbe pari.
Si tratta, ora, di provare o confutare questa ipotesi ed il problema è di determinare il minimo numero di carte da voltare, e quali, per ottenere la verifica dell'ipotesi detta. In questo
compito ci sono d'aiuto le tavole di verità. Per semplicità scriviamo l'ipotesi nella forma r
→ p, dove r stia per "la carta ha il verso rosso ", mentre p stia per la proposizione "la
carta è pari ". Analizzando ciascun caso per vedere se la proposizione composta r → p
sia vera oppure falsa, con la tavola di verità del connettivo di implicazione materiale (per le
tavole di verità complete si veda dopo), si ha
r
p
r→ p
0
0
1
1
0
1
0
1
1
1
0
1
Quando la carta è blu, caso B, si ottiene dalle tavole di verità che la proposizione composta
è vera, in quanto è falsa la protasi r, dunque non interessa sapere il valore della carta col
verso blu. Questo è il caso contemplato nelle prime due righe della tabella dell'implicazione. Nel caso della carta col verso rosso, R, l'antecedente è vera, dunque si devono analizzare le ultime due righe della tabella della implicazione. Affinché sia vera la proposizione composta r → p è necessario che sia vera anche l'apodosi p, cioè che si tratta della
quarta riga della tabella. Bisogna dunque voltare la carta R, per appurare se l'ipotesi è vera.
Nel caso della carta 4, la proposizione conseguente p sarebbe vera, quindi è il caso in cui
si considerano la seconda e la quarta riga della citata tabella, dalla quale si conclude la
verità della proposizione composta r → p, anche se la proposizione r fosse falsa. Perciò
non ci serve conoscere il verso della carta 4, al fine di verificare l'ipotesi. Infine con la
carta 5 si considerano le righe prima e terza della tabella. Infatti la proposizione conseguente p è falsa. La proposizione composta risulterebbe vera se e solo se la protasi fosse
falsa. Così per concludere la verifica dell'ipotesi, bisogna voltare anche la carta 5. La risposta al problema è che le carte da voltare sono due e sono esattamente R e 5.
E' interessante osservare che un'indagine statistica su questo problema ha ricevuto meno
del 10% di risposte esatte. Le strategie (scorrette) più spesso seguite indicano la carta R
oppure le carte R e 4 quelle da voltare per verificare l'ipotesi. Questa indagine rivela come
il caso dell'implicazione sia difficile da comprendere e da far capire agli alunni, ma rivela
anche la distanza tra la cosiddetta intuizione ed il linguaggio scientifico. Per provare
l'esistenza di una relazione tra due proposizioni del tipo di quella illustrata sopra, la via
seguita dal maggior numero degli intervistati è quella di prendere in considerazione solo i
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
casi in cui entrambe le proposizioni componenti sono vere, cioè come se si trattasse di una
congiunzione. In altri casi gli alunni sono portati a confondere l'implicazione formulata
come se …, allora… con una relazione più affine alla deduzione, espressa da siccome…,
allora… Questo perché lo status dell'implicazione è diverso da quello della congiunzione
o disgiunzione. Con l'uso dei connettivi ∧ e ∨ la proposizione risultante tiene conto in
qualche modo delle proposizioni componenti e i tempi verbali permangono invariati, dato
che alla congiunzione è associata l'operazione di minimo, mentre a ∨ è associata l'operazione di massimo. Un aspetto che distingue la congiunzione e la disgiunzione dall'implicazione è che per quest'ultima non valgono le proprietà "commutativa" ed "associativa" 1 che sussistono per i primi due connettivi, anche se spesso tali proprietà non
vengono neppure segnalate, in questo caso l'impossibilità di scambio sarebbe messa in
luce dall'uso corretto di congiuntivo e condizionale, mentre con l'indicativo la "tentazione"
di scambiare antecedente e conseguente rimane più "forte". Un altro tipo di difficoltà insito nell'implicazione è che la tavola di verità è "poco" naturale, come si è già avuto modo
di osservare. Tuttavia, anche se a scapito dell'implicazione c'è una minor naturalezza ed intuitività, l'uso del connettivo → evita le confusioni tra le condizioni necessarie e le
condizioni sufficienti che abbondano sui libri di testo.
La quantità di pubblicazioni apparse sul tema e la sua rilevanza in ambiti quali l'intelligenza artificiale, consigliano di sprecare ancora un poco di tempo per fornire un suggerimento didattico. Invece di presentare "brutalmente" l'implicazione, maggior chiarezza si
ottiene leggendo la tavola al negativo: ammesso che la verità dell'implicazione traduca il
fatto che tra la protasi e l'apodosi è instaurata una relazione di causalità, essa sarà vera se la
sua negazione è falsa; falsa se la negazione sarà vera. Dunque il problema è riconducibile
alla negazione dell'implicazione. E quest'ultima come si esprime? Cosa significa negare in
modo fattuale che esista una relazione di causalità tra due fenomeni? Sembra chiaro: si
manifesta la presunta causa e non il presunto effetto. Ad esempio negare
Se si inaugurasse la Fiera di Milano, allora lo stesso giorno pioverebbe a Milano
(frase questa o meglio la sua versione "temporale": Quando si inaugura la Fiera di Milano, piove, che i milanesi assicurano vera!), significa che c'è stato (almeno) un giorno in
cui è avvenuta l'inaugurazione della Fiera e a Milano non è piovuto2.
1 A ben guardare tali proprietà non valgono neppure per la congiunzione, nel senso che le proposizioni p ∧ q e
q ∧ p sono distinte, ma hanno gli stessi valori di verità. Ciò non avviene per l'implicazione. Anzi uno degli errori più frequenti è l'inesistente proprietà commutativa dell'implicazione, cioè il ritenere equivalenti le proposizioni p → q e q → p, mentre sono tra loro equivalenti p → q e ¬q → ¬p.
2 Si intende meglio che la negazione dell'implicazione r → p è equivalente a r ∧ ¬p, se si pensa che l'implicazione r → p è equivalente a ¬r ∨ p. Di qui con le leggi di De Morgan si ottiene quanto detto sopra.
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
Dunque per concludere che è vera r → p, basta provare che è falsa r∧¬p e per provare che è falsa r → p, basta provare che è vera r∧¬p. Ora costruendo la tavole di r∧¬p,
si trova esattamente la tavola "contraria" di r → p. Ma la tavola di r∧¬p è molto più
accettabile, per questo è da preferire in via preliminare, al momento di introdurre l'implicazione. C'è tuttavia un delicato problema di natura didattica: una relazione tra i dati
dell'esperienza può essere scoperta in due modi: per via positiva verificando che nei casi
,
in cui ci aspettiamo valga la relazione, essa sussiste, oppure per via negativa verificando
che nei casi in cui non ci aspettiamo valga la relazione, essa non sussiste. Ebbene J.F.
Richard 1 mostra che, in generale, le due strategie hanno livelli ben diversi di accettazione a
seconda dell'età, comunque il metodo che dà migliori risultati didattici sembra quello
positivo. Ma il problema specifico sembra consigliare l'approccio "negativo".
,
Le difficoltà che si avvertono per l'interpretazione del connettivo di implicazione nelle
lingue moderna, tra cui l'Italiano, dipende dalla scarsa espressività della lingua stessa e la
"deriva" verso l'indicativo della lingua parlata. Si pensi ad esempio a cosa accade in Latino,
linguaggio forse più duttile e preciso del nostro, in cui si suddivide il periodo ipotetico in
tipi e gruppi di oggettività, possibilità, irrealtà nel presente, nel passato e nel futuro,
nonché in periodi ipotetici apparenti, retorici (exempla ficta), desiderativi, della protasi
necessaria, eccetera 2. Alcuni di questi casi hanno ottenuto attenzione dalla Logica e sono
stati adeguatamente codificati, altri sono molto al di là della portata della Logica, almeno di
quella classica delle proposizioni.
3) La negazione. Anche la negazione offre problemi. Per i romani antichi due negazioni
affermano. Ma se si riflette sul modo in cui la lingua costruisce la frase negativa ci si
accorge che ci sono sfumature assai diverse ed importanti. La frase
Luigi è una camionista educato.
ammette diverse negazioni
Non è vero che Luigi è un camionista educato .
Luigi non è un camionista educato.
Luigi è un camionista non educato.
I significati delle tre sono diversi: la prima frase è ambigua, essendo vera quando sono
vere sia la seconda che la terza. Ma se Luigi non ha la patente per guidare i camion, pur
1 Richard J.F.: 1987, 'Le vrai et le faux dans les conduites de recherche et de verification', Intellectica, 1 n. 4,
65-80.
2 Flocchini N., Guidotti Bacci P., Moscio M., 1995, Comprendere e Tradurre, Grammatica descrittiva della
lingua latina, Bompiani, Milano
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
essendo educato rende vera la seconda ma non la terza. Forse maggiore chiarezza si potrebbe ottenere esplicitando la congiunzione tra camionista e educato, ma questa potrebbe
essere una "traduzione" non perfettamente adeguata.
La presenza di negazione e quantificazione è ancora più complessa. Dice il proverbio
Can che abbaia non morde.
Come si fa a negare tale affermazione? Il linguaggio naturale richiede la negazione sull'azione, cioè sul verbo, altrimenti si usa perifrasi quali non è vero che … Ma in Logica si
può apporre la negazione globalmente su tutta la frase. Il problema è che la lingua offre
modi diversi, sulla cui equivalenza è bene soffermarsi. Nella frase scelta con una certa cattiveria, non appaiono evidenti connettivi e quantificatori, ad eccezione della negazione, ma
se si cerca di tradurre in "matematichese", ci si accorge che ben presto la frase si deve
"gonfiare" per essere adeguatamente riscritta. Allora can diventa per ogni cane; la frase
che abbaia diventa un'ipotetica, cioè se esso abbaiasse. Resta invariato il fatto che esso
non morda, ma bisogna premettere un allora come conclusione dell'ipotetica. Il ruolo di
variabile del nome comune can qui diventa evidente. La frase complessiva che traduce il
proverbio diventa per ogni cane, se esso abbaiasse, allora esso non morderebbe. La negazione del proverbio equivale a non è vero che ogni cane, se esso abbaiasse, allora esso
non morderebbe. Ed allora è possibile utilizzando leggi che coinvolgono i quantificatori e
la negazione, trovare una prima frase equivalente: esiste un cane per cui non è vero che se
esso abbaiasse, allora esso non morderebbe; invece di esiste un si può sostituire qualche
con opportune modifiche grammaticali nella frase seguente. Ma il problema della negazione è ora solo spostato: come dire meglio non è vero che se esso abbaiasse, allora esso
non morderebbe ? Una proposta (sbagliata) è quella di spostare il non su abbaia: se non
abbaiasse, allora non morderebbe. Altre proposte possono essere elaborate, ma difficilmente si giunge ad abbaia e morde. Qui è "diluita" la presentazione, per giustificare che la
negazione di Can che abbaia non morde è equivalente a
Qualche cane abbaia e morde.
Ancora sulla negazione in connessione con l'implicazione. Le frasi
(1)
(2)
(3)
(4)
Chi studia è promosso
Chi studiasse sarebbe promosso
Chi non studia non è promosso
Chi non studiasse non sarebbe promosso
sono tra loro equivalenti, oppure le seconde due sono la negazione delle prime due? Attenzione, non sono equivalenti. La prima è equivalente a chi non è promosso non studia
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
(più correttamente la consecutio temporum vuole non ha studiato), la seconda è chi non
fosse promosso non avrebbe studiato. La terza è equivalente a chi è promosso studia (ha
studiato); mentre la quarta è equivalente a chi fosse promosso avrebbe studiato. Quindi
non c'è tra le frasi proposte equivalenza. Le negazioni delle prime due frasi e delle seconde due sono equivalenti, rispettivamente, a
(5)
(6)
Qualcuno studia e non è promosso
Qualcuno non studia ed è promosso
che mostrano forse meglio la differente natura delle due frasi.
A volte agli esami che non hanno esito favorevole allo studente, egli afferma, «Ma prof,
io ho studiato.», come se l'esito negativo fosse una contraddizione per Modus ponens con
l'affermazione (implicita) (2).
In Matematica spesso le negazioni vengono "inglobate" nei predicati. Tipico esempio è
quello dell'eguaglianza: negare che x = y viene fatto in modi diversi a seconda del contesto in cui si pone l'eguaglianza. Ad esempio si usa la parola diverso che ha significato
variabili dal contesto: dire che due numeri reali x e y sono diversi lo si afferma in modo
positivo scrivendo che x < y oppure y < x. Ma se x e y sono due rette del piano cartesiano il significato di diverso è un altro e non si dispone di una qualche versione positiva del
termine.
4) Gli altri connettivi. Per mostrare casi in cui i codici linguistici matematico e naturale
sono diversi si sono mostrati esempi "rognosi" con quantificatori ed i connettivi di implicazione e negazione, cioè quelli più problematici. Ma anche i connettivi più "tranquilli"
possono offrire occasioni di riflessione. Due frasi che in "matematichese" sarebbero tradotte nello stesso modo, ma che nella lingua dicono cose diverse, sono le seguenti:
Maria si sposò ed ebbe un figlio
Maria ebbe un figlio e si sposò.
All'ingresso del cinema si legge :
Si fa lo sconto a donne e militari,
certamente non intendendo utilizzare il connettivo di congiunzione, anzi la disgiunzione,
altrimenti lo sconto, per il momento, si praticherebbe solo alle soldatesse. Così pure
Ho promosso gli studenti che sapevano il Teorema di Talete e quelli che sapevano il
Teorema di Pitagora.
utilizza una congiunzione che ha significato di disgiunzione inclusiva.
Le frasi seguenti possono essere oggetto di riflessioni in classe
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
Luigi e Antonio sono fidanzati
Luigi e Maria sono fidanzati.
Un altro bell'uso ambiguo della congiunzione è dato dalla seguente frase:
Su discreto e continuo Kant mantenne un silenzio continuo e discreto.
La disgiunzione poi ha ambiguità di significato: inclusivo oppure esclusivo. In latino si
fa differenza tra vel, disgiunzione inclusiva, e aut, disgiunzione esclusiva. In alcune lingue
moderne è rimasta tale differenza, in Italiano si è perduta. L'uso matematico è più vicino al
vel, da cui mutua il simbolo usato per il connettivo di disgiunzione, anche perché solo il
contesto talvolta è in grado di permettere di decidere quale delle due disgiunzioni si tratta.
Ad esempio
Con 120 punti della raccolta si può ricevere un tostapane o una griglia per bistecche.
Il numero naturale n è pari o un multiplo di 3.
Nella prima frase è chiaro, a chi conosca il meccanismo della raccolte a punti, che la disgiunzione è usata in senso esclusivo, nel secondo, dato che i numeri naturali hanno le loro proprietà, la congiunzione è da intendersi in senso inclusivo. Una formalizzazione non
può tenere conto del fatto che si deve distinguere tra i connettivi, in base a "condizioni al
contorno".
Oggi compare nel linguaggio giornalistico un nuovo simbolo e/o che, seppure con
qualche differenza, intende ricatturare la disgiunzione inclusiva. Alcuni degli esempi precedenti ed altri aspetti assai interessanti sono presentati da C. Bernardi 1.
5) L'importanza assunta oggi dal linguaggio informatico pone un altro delicato problema:
nei linguaggi di programmazione ed anche in strutture più (apparentemente) semplici,
come i fogli elettronici, compaiono espressioni che ricordano da vicino i connettivi. Le più
diffuse sono AND, OR, NOT. Si tratta di funzioni che operano su espressioni numeriche
o in cui compaiono stringhe di caratteri, e forniscono valori "booleani". Ad essi si
aggiunge il comando usato nei cosiddetti blocchi di controllo, IF ... THEN.... ELSE. Il
1 Si vedano ad esempio i seguenti lavori: Bernardi C. & Tazza C.: 1990, 'I quantificatori in logica matematica',
Didattica delle scienze e informatica nella scuola, XXV, n. 148, 49 - 54.
Bernardi C.: 1990a, 'L'educazione logica nella Scuola Media', Scuola e Didattica, XXXV, n. 16; 25 - 28.
Bernardi C.: 1990b, 'Linguaggio naturale e linguaggio logico: parliamo della "e"', Epsilon III, n.2, 37 - 42.
Bernardi C.: 1991, 'L'insegnamento della Logica', on Dienes Z.P. (ed.) Il Piacere della Matematica, Capelli editore, Bologna, 179 - 187.
Bernardi C.: 1993, 'La Logica nella Scuola Secondaria', IMSI, vol. 16, n. 11 - 12, 1041 - 1060.
Bernardi C.: 1995, 'Problemi per la logica (ovvero, la logica per problemi)', IMSI, vol. 17A-B, n. 5, 507 - 521.
Bernardi C.: 1996, 'Metodo ipotetico-deduttivo', su Ciarrapico L. & Mundici D. (editori), L'insegnamento della
Logica, M.P.I.- A.I.L.A., 91 - 105.
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
significato di questi comandi non è paragonabile né ai connettivi della lingua naturale, né a
quelli del linguaggio artificiale.
E' evidente da quanto detto sopra, e anticipando anche quanto si dirà subito dopo, la necessità di bandire vaghezze, almeno se si vuole fondare il linguaggio usato in Matematica,
sulla chiarezza e, cosa assai importante, sulla verificabilità interpersonale delle argomentazioni. La Logica in questo compito può dare una mano, anche se gli strumenti che
fino ad oggi la disciplina ha "costruito" sono ancora grossolani se paragonati alla finezza
espressiva del linguaggio naturale.
L'atteggiamento che la scuola ha sempre avuto, modificato con i nuovi programmi e coi
programmi sperimentali, è quello che non ci fosse bisogno di un insegnamento di Logica,
perché il linguaggio naturale di per sé ha una ricchezza che comprende anche la nostra
materia. Una buona educazione linguistica sarebbe stata strumento sufficiente anche per
l'apprendimento della Logica "naturale". In particolare gli studenti avrebbero appreso la
Logica usata dalla Matematica per via induttiva, dagli esempi di dimostrazioni.
C'è il rischio che l'inserimento dell'argomento nei nuovi programmi venga visto dall'insegnante come strumento di legittimazione delle conoscenze logiche già apprese per via
indiretta e quindi eviti una riflessione approfondita, fermandosi ad aspetti superficiali e
poco importanti (tavole di verità). Questa parte della Logica come strumento è riduttiva, se
si paragona coi risultati culturali della disciplina.
I manuali in commercio riservano alla Logica una parte assai marginale, all'inizio o al
termine del testo, con poche pagine e pochissimi esercizi, con una trattazione del tutto
slegata dal resto, senza utilizzare poi lo strumento. Molti poi non mettono in evidenza
aspetti che sono culturalmente fondanti e che hanno applicazioni al di là dell'argomento
anche in altri campi.
Un primo punto di importanza essenziale: la Logica non è lo strumento universale per
trovare le dimostrazioni di teoremi e risultati matematici complessi. La Logica ha la sua
utilizzazione, assai differenziata nei vari tipi di scuole. Nella scuola elementare i programmi privilegiano le connessioni tra Logica ed educazione linguistica. Sono in commercio materiali, come il Progetto Elle della Giunti che organizza una complessa attività di
apprendimento degli ambiti matematico e linguistico con forti connotati unitari. Nelle
scuole superiori essa entra nella precisazione di dimostrazioni e di concetti e ha un interfaccia con discipline filosofiche, per l'importanza storica del ruolo svolto nell'antichità e
nella Filosofia della Scienza e del Linguaggio dal secolo XVII ad oggi. In ogni ordine
scolastico essa coadiuva l'apprendimento, «avviando via via i giovani a lavorare da sé, a ricer-
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
care da sé la scoperta delle verità, anziché porgerne loro la semplice notizia; aiutandosi, ove occorra, con qualche illustrazione storica per chiarire il senso dei problemi e dei metodi.» 1
Bisogna mettere in guardia però che un'eccessiva aspettativa rischia di creare in seguito
una crisi di rigetto ingiustificata.
Il rapporto tra Logica e Linguaggio è bene espresso da Ferro 2: «La capacità di costruire
nuovi modelli deriva dalla facoltà umana di cogliere situazioni attraverso vari aspetti che possono
essere ricombinati e riorganizzati per creare nuove situazioni. Come cogliere, riorganizzare e
comunicare i singoli aspetti ed intere nuove situazioni? Ovviamente attraverso il linguaggio.» La
tesi dell'autore, come appare anche nel seguito del lavoro è che bisogna mutare atteggiamento ed aspettative: la Logica viene connotata più come lo studio delle potenzialità e dei
limiti di un linguaggio formale, piuttosto che come uno strumento che favorisca o permetta
l'apprendimento del ragionamento.
Parlare quindi di Linguaggio della Logica rischia di essere una sorta di circolo vizioso,
ma il rischio va corso perché, come afferma H. Gadamer (1900-2002), «Chi ha il linguaggio
ha il mondo».
Per meglio chiarire è bene presentare alcune distinzioni fondamentali, da approfondire
con esempi nel seguito. Una prima distinzione è tra Logica e Teoria degli Insiemi. Si tratta
di campi diversi, fortemente interconnessi, ma distinti, con scopi e metodi diversi. Spesso
vengono invece confusi. Ho parlato di Teoria degli Insiemi e non di Insiemistica, termine
spesso usato colloquialmente, perché, a sua volta, l'Insiemistica è diversa sia dalla Logica
che dalla Teoria degli Insiemi. L'Insiemistica, o meglio il linguaggio insiemistico e i pochi
cenni di operazioni insiemistiche che si presentano solitamente sono sufficienti per svolgere con una certa proprietà di linguaggio la Matematica elementare; quando la trattazione
diviene più profonda e più complessa, non bastano più. La Teoria degli Insiemi si configura come una formulazione corretta degli strumenti insiemistici solitamente introdotti in
modo intuitivo facendo riferimento a proprietà linguistiche. Essa è indispensabile in questioni di analisi e topologia, vedi Teorema di Ascoli, compattezza di spazi topologici, ecc.
Sia nel linguaggio matematico ordinario, sia in quello formalizzato della Teoria degli Insiemi, lo strumento Logico è presente, ma è solo uno strumento per la trattazione. Per
contro in concetti basilari della nostra disciplina, soddisfacibilità, modelli, ecc. si fa ricorso
agli insiemi, che assumono quindi il ruolo di teoria di riferimento per la trattazione della
Logica, ma sono altro rispetto ad essa.
1 Citazione dal R.D. 6 maggio 1923 n. 1054, in cui vengono presentati i programmi della Scuola Superiore
riformata dal ministro G.Gentile (1875 - 1944). Queste richieste, formulate a riguardo dell'insegnamento della
Lingua, sono estremamente attuali nell'insegnamento in generale ed in particolare per quanto riguarda le
Scienze. Non è improbabile che in queste parole si riflettano le idee pedagogiche di J. Dewey (1859 - 1952).
2 Ferro R.:(1993) 'La logica dei logici', IMSI, 16, n. 11-12, 988 - 1015:
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
Se al termine dell'azione didattica è chiaro allo studente la necessità di operare distinzioni all'interno della Logica tra linguaggio oggetto e metalinguaggio, come pure tra Morfologia, Semantica e Sintassi, sapendo riconoscere e distinguere all'interno della presentazione matematica questi aspetti, questo è un primo importante passo ed un risultato notevole. Nel seguito si mostreranno esempi tratti dalla prassi didattica per meglio illustrare
questa posizione. Lo schema che segue illustra, relativamente al calcolo dei predicati del 1°
ordine la complessa situazione
Logica
Linguaggio naturale
Metalinguaggio
Linguaggio artificiale
Morfologia
Sintassi
(Aritmetica)
(Aritmetica))
Semantica
(Teoria degli insiemi)
Teor. di Completezza
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
Capitolo 2: Aspetti morfologici del calcolo delle proposizioni.
Nei manuali non sempre viene dedicato sufficiente spazio agli aspetti morfologici. Il
motivo è che spesso ad essi non viene riconosciuta l'importanza che hanno. L'uso ed
abuso del linguaggio naturale non fa riflettere adeguatamente su questa fase della costruzione della conoscenza. Da tempo l'allievo ha imparato a convivere con lettere dell'alfabeto
e con cifre. Forse solo l'insegnamento di temi di Informatica può far rivolgere l'attenzione
a questi aspetti.
1) Un esempio applicabile didatticamente potrebbe essere il seguente in cui gli aspetti
morfologici sono predominati ma non esclusivi.
Scrivere delle "parole" avendo i simboli $, b, c e 3 e le clausole seguenti:
1. le parole possono avere al più quattro simboli;
2. il simbolo $ può essere ripetuto al più due volte, ma non consecutive;
3. il simbolo c può essere ripetuto al più due volte, ma solo se le presenze sono consecutive;
4. i simboli b e 3 possono essere ripetuti al più tre volte;
5. nessuna parola può terminare né per b né per 3, a meno che non incominci per $.
Come si vede le clausole sono molto poco "naturali". Con esse si può richiedere l'elenco completo delle "parole" che si possono formare, oppure si possono fornire delle parole
e richiedere se sono ammesse dalle regole fissate. Per esempio date le parole
$b, b$$, $cc$, b$cc, c$b3, 3, 33$b$
di esse solo la prima, la terza e la quarta sono ammissibili. Se interessa, le parole formate
ubbidendo a queste regole sono (salvo errori ed omissioni) le seguenti, scritte in ordine
lessicografico, in cui la cifra 3 precede il simbolo $ e questi precede le lettere considerate
in ordine alfabetico,
$, c; (2)
$b, $c, $3, b$, bc, c$, cc, 3$, 3c; (8)
$b$, $bb, $bc, $b3, $c$, $cb, $cc, $c3, $3$, $3b, $3c, $33,
b$c, bb$, bbc, bc$, bcc, b3$, b3c,
cb$, cc$, c3$,
3$c,3b$, 3bc, 3c$, 3cc, 33$, 33c; (29)
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
$b$b, $b$c, $b$3, $bb$, $bbb, $bbc, $bb3, $bc$, $bcb, $bcc, $bc3, $b3$,
$b3b, $b3c, $b33,
$c$b, $c$3, $cb$, $cbb, $cb3, $cc$, $ccb, $cc3, $c3$, $c3b, $c33,
$3$b, $3$c, $3$3, $3b$, $3bb, $3bc, $3b3, $3c$, $3cb, $3cc, $3c3, $33$,
$33b, $33c, $333; (41)
b$b$, b$bc, b$c$, b$cc, b$3$, b$3c, bb$c, bbb$, bbbc, bbc$, bbcc, bb3$,
bb3c, bcb$, bcc$, bc3$, b3$c, b3b$, b3bc, b3c$, b3cc, b33$, b33c; (23)
c$b$, c$3$, cbb$, cb3$, ccb$, cc3$, c3b$, c33$; (8)
3$b$, 3$bc, 3$cc, 3$3$, 3$3c, 3b$c, 3bb$, 3bbc, 3bc$, 3bcc, 3b3$, 3b3c,
3cb$, 3cc$, 3c3$, 33$c, 33b$, 33bc, 33c$, 33cc, 333$, 333c; (22).
Questo esercizio ha aspetti interessanti: il primo è che secondo le regole imposte, si
formano parole di cui non interessa il significato, solo la loro costruzione. Un secondo aspetto è che attività di questo tipo sono assai simili alle tecniche utilizzate dal ricercatore di
Algebra che avendo esplicitato assiomi di una struttura, cerca di studiarne le proprietà. Si
tratta quindi di un'attività assai simile alla dimostrazione formale, che però viene condotta
in un contesto facilmente controllabile. E' poi interessante l'aspetto combinatorio di problemi di questo genere. Tutte le parole che si possono formare con i simboli prescelti, ripetuti al più quattro volte sono 340, assai di più delle 135 che sono ottenute rispettando le
regole. La costruzione delle parole ammesse si può presentare utilizzando i diagrammi ad
albero, sottintesi in uno degli obiettivi specifici per la Scuola Media e citati esplicitamente
nei programmi della Scuola elementare. Si potrebbe valutare, seppure approssimativamente, quante parole in più o in meno si ottengono modificando le richieste. E' poi possibile che le regole siano poste in modo da escludere l'esistenza di parole (questo porterebbe agli aspetti sintattici della coerenza degli assiomi). Non è da trascurare neppure l'aspetto ludico insito in esercizi di questo tipo, può infatti essere presentato come una sorta
di cifrario segreto. Problemi analoghi sono estremamente importanti in considerazioni di
linguistica matematica, si parla infatti di grammatiche ed hanno importanti riflessi in
campo informatico. Infine bisogna fare notare che in considerazioni di questo tenore si fa
uso, non sempre palese, dell'Aritmetica, anzi si prepara la strada a utili generalizzazioni del
principio di induzione matematica.
L
2) Un esempio un poco più complesso è il seguente. Si considera un "linguaggio"
composto dai simboli "A", "F", "I", "V", e dai numeri naturali (alfabeto). Con questi
simboli si formano successioni finite di essi, scrivendo, come di consueto da sinistra a
destra; tra queste successioni ne vengono identificate alcune che vengono dette parole. Si
premette la seguente definizioni:
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
Definizione 1. Si chiama scrittura una successione finita di simboli dell'alfabeto.
Definizione 2. Si chiama lunghezza di una scrittura il numero dei simboli dell'alfabeto
utilizzati (contando le ripetizioni) e ritenendo i numeri di due o più cifre come un unico
simbolo.
Definizione 3. Si chiama blocco A la scrittura An, in cui n∈ ; si chiama blocco I la
scrittura Ik, in cui k∈ . Il numero che compare in un blocco si dice misura del blocco.
N
N
Definizione 4. Si dice parola una scrittura tale che soddisfi le seguenti regole:
•r1 V è sempre presente in ogni parola, ma solo una volta, all'inizio della parola stessa;
immediatamente dopo V ci può essere solo F o un blocco.
•r2 F è sempre presente in ogni parola, ma solo una volta, alla fine della parola stessa;
immediatamente prima di F ci può essere solo V oppure un blocco
•r3 I simboli A e I possono essere presenti solo in blocchi, per cui immediatamente prima
di A e I ci può essere solo un numero o V; immediatamente dopo A e I ci deve essere
un numero.
•r4 I numeri naturali sono presenti solo in blocchi, per cui immediatamente prima di un
numero ci può essere solo A oppure I; immediatamente dopo un numero ci può essere solo A, oppure I oppure F.
•r5 Niente altro è una parola.
L'ultima regola ha il ruolo di escludere dalla considerazione altre scritture "indesiderate". Ad esempio VA3A2I8F è una parola, dato che sono soddisfatte nell'ordine (da sinistra a destra, le regole r1, r3 e r4, r2, mentre A2A4I0VF, no, perché il simbolo V non è
presente all'inizio, violando così la regola r1. Già a questo livello può essere interessante
che gli studenti diano il loro contributo in una discussione, identificando o producendo
altri esempi di scritture che sono parole oppure no. Nel caso che una scrittura assegnata
non sia una parola, è bene fare individuare quali regole di formazione risultino violate. Di
qui si può osservare che il processo di controllo per individuare se una scrittura è una parola è decidibile, nel senso (impreciso) che è possibile mediante un numero finito di passi
concludere se sono verificate le regole di formazione.
Come si vede in questa presentazione non interessano i "significati" dei simboli, hanno
solo rilevanza le mutue posizioni all'interno delle successioni finite. è anche chiaro che si
può istituire una relazione di eguaglianza tra parole, eguaglianza che diviene anzi una
identità stretta: VA3A2I8F è eguale solo a se stessa ed è diversa da VA2A3I8F.
Le parole che possono scriversi sono infinite, dato che l'alfabeto è infinito, contenente
, ma anche se fossero ammessi solo {0, 1, 2 ,…,9}, egualmente vi sarebbero infinite parole, potendosi ad esempio ripetere tante volte quanto si vuole un blocco ad esempio A2.
Si può provare che non esistono parole di lunghezza dispari, che c'è un'unica parola di
N
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
lunghezza 2, eccetera. Queste cose sono evidenti, ma devono essere provate con una certa
cura.
Affrontare questi problemi sembra forse poco "matematico", ma ciò che viene detto per
questa specie di "giocattolo" linguistico è analogo all'analisi che si compie poi su linguaggi più importanti e potenti. L'esempio dovrebbe far cogliere il sapore di questioni di
carattere solamente morfologico.
Per tornare alle proposizioni, una volta che sia chiaro che si tratta di un linguaggio artificiale che serva ai nostri scopi si ripercorrono gli stessi passi con cui a scuola elementare
si apprende il linguaggio naturale. La prima parte dell'analisi del linguaggio delle proposizioni assomiglia molto a quella che viene svolta nei vari corsi di educazione linguistica.
Interessa la struttura fondamentale del discorso: la proposizione o frase atomica. In Italiano una proposizione è costituita da un soggetto, più o meno esplicito, da un predicato
verbale seguito da un eventuale complemento, oppure da un predicato nominale. Ci sono
evidentemente delle sequenze di parole che in base a questa classificazione si devono riconoscere come proposizioni, ma che il senso comune rifiuta come insensate:
Il melo parcheggia il mare
non ha senso (finora) eppure è costruita in modo corretto. Si deve allora precisare meglio.
La proposta di Aristotele (384 - 322 a.C.) è di identificare la proposizione (atomica) come un'unità di significato che è suscettibile di essere vera o falsa in quanto il filosofo era
interessato a stabilire l'uso della verità del cosiddetto discorso apofantico. Si tratta dunque
di enunciati assertori. Si deve intendere il fatto di essere suscettibili di essere veri o falsi
nel senso che talora si può non essere in grado di decidere o provare se sono veri o falsi.
La frase
La duemiliardesima cifra decimale di π è 7
non è facilmente verificabile, ma è una proposizione atomica. Per gli Stoici e in particolare
per Crisippo (281 - 204 a.C.), le proposizioni hanno invece connotati sintattici.
Nella filosofia moderna si è criticata la formulazione aristotelica che tuttavia sembra
prevalere ancora oggi sui manuali. Attribuire un valore di verità fa intervenire una semantica o una teoria del significato che interpreti i vari termini presenti nella proposizione. Ci
si sposta cioè da un livello morfologico ad uno semantico. G. Frege (1848 - 1925) ha
distinto tra senso della proposizione e forza assertoria della stessa. E. Husserl (1859 1938) ha ritenuto una proposizione il contenuto invariante di atti linguistici quali asserzioni, ma anche domande, auspici, ecc. Il dibattito filosofico sul tema è ancora in corso.
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
I predicati nominali pongono altri problemi: Gli Apostoli sono ebrei, gli Apostoli sono
dodici, sono frasi in cui la copula assume significati e funzioni assai diversi.
Di fronte a questa complessa situazione storica e culturale, sembra riduttivo ed anche
scorretto identificare le proposizioni atomiche di cui si occupa la Logica con una o l'altra
di queste proposte. Per chiarire allora i ruoli delle varie proposte qui ci si avvale di un artificio. Temporaneamente si indicano con n-proposizioni quelle della lingua naturale e Lproposizioni quelle della Logica. Cosa sia una n-proposizione si lascia agli studiosi di
materie letterarie ed ai filosofi. Per chiarire cosa siano le L-proposizioni si parte da un
esempio apparentemente poco significativo. E' ben nota l'identità
a2 - b2 = (a+b)(a-b).
La "forza" di questa espressione è che essa è costituita di simboli privi di significato, proprio perché così possano assumere di volta in volta il significato più opportuno. Questa eguaglianza vale nei numeri naturali (quando si può fare la sottrazione), nei numeri interi,
nei numeri razionali, nei numeri reali, nei numeri complessi, ma vale anche nell'anello 15
Z
Z
Q R
C
Z
o 23 ecc. Vale anche in [x], in [x], [x] e in [x]. Anzi vale anche nei polinomi a
coefficienti naturali (quando si può fare la sottrazione). Viene utilizzata anche nella teoria
delle equazioni differenziali a derivate parziali per risolvere l'equazione della corda vibrante: in questo caso a e b sono operatori differenziali lineari. Come si vede è una forma
ricca di possibili significati. Ma su cosa si debba intendere per significato è bene riflettere.
Frege ha introdotto la distinzione, oggi quasi universalmente accettata, tra senso e denotazione. La sua proposta è quella di associare ad ogni nome proprio, ad ogni predicato,
enunciato (o più in generale ad ogni elemento linguistico significante) un significato. Ma
sono presenti due piani: uno è quello intensionale o del senso (detto anche della connotazione) ed uno è quello estensionale o della denotazione. Ad una data intensione corrisponde sempre un'unica estensione, mentre una data estensione può essere descritta mediante intensioni diverse. Ad esempio (l'uomo) Socrate è l'estensione dei più termini: «il
maestro di Platone», «il marito di Santippe», «il personaggio della commedia "Le nuvole"
di Aristofane», ecc. Queste intensioni hanno contenuto concettuale diverso in quanto non
è con strumenti puramente logici che se ne coglie l'equivalenza dal punto di vista estensionale. Quindi queste connotazioni hanno sensi diversi, pur avendo una stessa denotazione. Ne discende che ogni simbolo linguistico esprime (senso) una intensione e denota
una estensione.
Anche per le L-proposizioni si vuole ottenere questa ampia applicabilità e per questo si
preferisce che siano forme prive di uno specifico significato proprio perché ne possano
assumere tanti, in relazione alle varie situazioni. In questo senso ci si avvicina alle posizioni di Husserl. Ritenere che la Matematica o peggio la Logica considerino solo come L-
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
proposizioni le frasi della lingua italiana di senso compiuto che siano vero-funzionali, cioè
suscettibili di essere vere o false, che d'ora si indicheranno come pL-proposizioni: pseudo
L-proposizioni, è un arbitrio ed una limitazione insopportabile. Così:
il Monte Bianco è in Valle D'Aosta
è una pL-proposizione,
Mangia!
no. Questa posizione di insegnanti e testi è causa di una delle peggiori difficoltà didattiche. La frase
Roma è la capitale d'Italia
è una n-proposizione che potrebbe essere assunta come pL-proposizione. Essa è vera, una
volta precisato il contesto, così come sono vere o false le varie pL-proposizioni: ad
esempio nel 1860 la capitale d'Italia era Torino!. Come è possibile allora esibire le tavole
di verità? La comprensione può bloccarsi: se si devono congiungere due pL-proposizioni
il valore di verità della congiunzione è uno solo, non tutti i casi che invece vengono presentati nelle tavole di verità. Altro aspetto che depone a sfavore delle pL-proposizioni è
dato dal seguente esempio:
x=3
è una "frase" matematica che viene scritta con un soggetto, "x", un predicato nominale "è
eguale", con il verbo coniugato all'indicativo presente, ed un complemento di termine "a
tre". La frase globale è una n-proposizione, che però non può essere assunta come pLproposizione in quanto non ha un valore di verità fissato, dipendendo da x. Si parla allora
di forma o funzione proposizionale o di frase aperta, cioè di qualcosa che, fissato x, diventa una pL-proposizione. Ma la frase
x è eguale a 3 e x non è eguale a 3
si potrebbe considerare la combinazione mediante i connettivi di congiunzione e negazione, della frase
x è eguale a 3
con se stessa, quindi ancora una forma o funzione proposizionale o una frase aperta. Invece è falsa, dunque qui si ha una pL-proposizione ottenuta con i connettivi a partire da
"altro". Non che questo sia "vietato", ma è almeno sorprendente. Infine non è da sottovalutare il fatto che con le pL-proposizioni si rimane sempre in ambito linguistico, senza favorire il distacco da questo verso ambiti più formali, specifici della Matematica e della
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
Logica, inserendo un nuovo motivo di conflitto tra codici linguistici differenti. Per questi
motivi è bene tralasciare le pL-proposizioni a favore del concetto più "astratto" di L-proposizione.
Una definizione di L-proposizione dovrà essere tale che in essa si possa ritrovare anche
quella di pL-proposizione, ma non solo quella. Essa verrà data assieme ad un calcolo delle
proposizioni che può essere visto come struttura algebrica, interessante di per sé, oppure
come un primo, grossolano tentativo di analisi del linguaggio, compiuto facendo delle
semplificazioni "micidiali" sul potere espressivo ed interpretativo del linguaggio stesso. Il
risultato non è più un ente con connotati solo linguistici, ma prevalgono aspetti astratti
formali ed algebrici. Così il calcolo delle proposizioni, essendo creazione artificiale, può
permettersi di avere regole perfettamente stabilite e riconoscibili, non dettate dall'uso come
accade nei linguaggi naturali, ma da una rigorosa scelta.
Si presenta il calcolo delle proposizioni distinguendo tra gli aspetti morfologici, quelli
semantici e quelli sintattici. La parte morfologica è assai semplice: essa riguarda le regole
di formazione delle parole in questo linguaggio. Questi aspetti sono assai importanti perché molte dimostrazioni in questo ambito si avvalgono della struttura morfologica.
Si inizia parlando dell'alfabeto 1. Esso è costituito di una parte fissa: le costanti logiche,
ovvero i connettivi, e di simboli ausiliari. Si utilizzano senza problemi i simboli ed i termini
insiemistici dicendo che la parte fissa dell'alfabeto è costituita da un insieme di connettivi :
{¬, ∧, ∨, →, ↔} e da un insieme di simboli ausiliari: {(, )}, le parentesi. Accanto a questi
simboli è dato un insieme P i cui elementi sono detti proposizioni elementari o lettere
proposizionali (d'ora in poi col termine proposizione intendo le L-proposizioni di prima;
pertanto evito il prefisso L-). L'insieme P può essere finito oppure no, ma non vuoto;
solitamente lo si assume numerabile, cioè equipotente a . Così, in definitiva, l'alfabeto A
è dato dall'insieme A = {¬, ∧, ∨, →, ↔} ∪ {(, )} ∪ P e spesso, visto che due alfabeti dello
N
steso tipo di Logica si distinguono solo per insiemi diversi di proposizioni elementari, si
confonde l'alfabeto con l'insieme P.
Data la genericità di P non ci sono ostacoli nel prendere come P le frasi della lingua italiana che prima abbiamo chiamato pL-proposizioni. Ma non si può escludere che P comprenda anche gli imperativi, ad esempio mangia!. Sono possibili scelte più inconsuete. Ad
esempio si potrebbe considerare P = e fare un calcolo delle proposizioni a partire da
questa posizione. Nella prassi si considerano talora come proposizioni frasi del tipo x∈A,
N
1 Qui mi riferisco al caso "classico". Sono possibili altre scelte influenzate dal "risultato finale" che si vuole
ottenere.
- 21 -
C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
e con tale scelta si ottengono le relazioni che intercorrono tra connettivi ed operazioni
insiemistiche.
La parola calcolo fa venire in mente qualche cosa in cui ci siano da fare dei "conti"
meccanici, qualcosa di effettivo. Questa idea è confermata dalle presentazioni che si incontrano più spesso sui testi.
L
DEFINIZIONE. L'insieme 0(P) delle proposizioni costruite sull'insieme P è
tale che
1) P ⊆ 0(P);
2) se ψ ∈ 0(P), allora ¬(ψ) ∈ 0(P);
3) se ϕ, ψ ∈ 0(P), allora (ϕ)∧(ψ), (ϕ)∨(ψ), (ϕ) → (ψ), (ϕ)↔(ψ)∈ 0(P);
4) nient'altro.
L
L
L
L
L
Ad essere pignoli sarebbe indispensabile distinguere tra le parentesi spesso utilizzate
per rendere più leggibile una scrittura complessa e le parentesi linguistiche introdotte come simboli ausiliari. Per questo scopo si potrebbe fare uso di parentesi inclinate per i simboli ausiliari. Ciò rende più complessa l'opera del dattilografo e per questo qui la si evita.
Sarà cura del lettore individuare le parentesi che dovrebbero essere scritte inclinate. Il numero di parentesi può essere ridotto se, come avviene nella prassi delle espressioni, si decide di utilizzare una gerarchia di aderenza. Ad esempio nella scuola preuniversitaria la
scrittura a+b⋅c non è ambigua, dato che una convenzione ben radicata permette di leggere
l'espressione come a + (b⋅c), prima si esegue la moltiplicazione, poi l'addizione. Se si
vuole procedere diversamente, si deve scrivere (a+b)⋅c. Quindi la moltiplicazione è più
aderente della addizione.
Si omettono le parentesi attorno a lettere proposizionali, così invece di scrivere (p) →
(q), si scrive p → q. Inoltre si assume ¬ più aderente di ∧ e ∨ e questi a loro volta più
aderenti di → e di ↔. In base a questa convenzione è facile ripristinare le parentesi nella
scrittura p → ¬q ∧ r, che scritta secondo la definizione "ufficiale" è data da (p) →
((¬(q)) ∧ (r)). La scrittura p → ¬q ∧ r ↔ p è invece ambigua essendo possibili due
diverse disposizioni delle parentesi: ((p) → ((¬(q)) ∧ (r))) ↔ (p) oppure (p) →
((((¬(q)) ∧ (r))) ↔ (p)), dato che i connettivi → e ↔ hanno lo stesso grado di aderenza.
L
Dal punto di vista algebrico, 0(P) è un'algebra (assolutamente) libera su P tra le algebre con una operazione unaria e quattro operazioni binarie. Molte delle proprietà anche
semplici del calcolo delle proposizioni discendono da questo risultato algebrico che, in un
certo senso, evita l'applicazione del principio di induzione.
Come conseguenza dell'assoluta libertà dell'algebra 0(P), si può dimostrare un Teorema di unica leggibilità, in base al quale due espressioni coincidono se e solo se sono
presenti gli stessi simboli nello stesso ordine.
L
- 22 -
C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
Si noti infine che mentre in certi testi scolastici si presenta il connettivo disgiunzione
esclusiva (e talvolta non quello di disgiunzione inclusiva), per esso non è disponibile un
simbolo largamente accettato. Un ulteriore problema è offerto dalle notazioni usate per i
connettivi che possono cambiare molto passando da un testo ad un altro.
- 23 -
C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
Capitolo 3: Aspetti semantici del calcolo delle proposizioni. Cenno alle Algebre
di Boole.
Fare semantica vuol dire assegnare significato alle scritture. Ad esempio considerato il
linguaggio visto nell'esempio 2 del capitolo precedente, si disegni sul pavimento una
freccia con la punta (un segmento orientato) con in nastro adesivo. Si indichino varie tacche su questa freccia mettendone in rilievo una in modo particolare (tacca principale),
come mostrato nel disegno che segue
L
L'interpretazione del linguaggio imperativo è eseguita da uno studente: egli interpreta
il simbolo V ponendosi nel punto indicato dalla tacca più lunga e voltandosi con il viso
nella direzione della punta della freccia. Il simbolo A lo interpreta spostandosi in avanti di
tante tacche quanto è indicato dalla misura del blocco. Il simbolo I lo interpreta spostandosi all'indietro, muovendosi come un gambero, di tante tacche quante indicate dalla misura del blocco. Il simbolo F lo interpreta come l'ordine di fermarsi e di contare alla fine
se si trova prima o dopo della tacca principale, rispetto all'ordine indicato dalla freccia, e di
quante tacche. In queste attività si sottintende la proprietà associativa.
Dal punto di vista matematico si può così introdurre l'addizione tra numeri interi relativi,
basta interpretare, ad esempio, A3 come il numero (+3) e I5 come (–5).
In questo modo si sono date due interpretazioni diverse allo stesso linguaggio: una
motoria e l'altra aritmetica. E' da rilevare la presenza di un contesto in cui interpretare la
scrittura.
Tornando alla parte logica più tradizionale, per costruirne una interpretazione, siccome la
struttura costante dell'alfabeto è quella data dai connettivi, le costanti logiche, bisogna interpretare per prima questi. Il problema è "dove" cercare le interpretazioni. Nel seguito si
metterà in luce l'esigenza di un metalinguaggio come ambiente in cui cercare le interpretazioni. Per il calcolo delle proposizioni le richieste metalinguistiche sono estremamente
limitate, tanto da non farne quasi cogliere l'esigenza.
Per fare ciò si apre una parentesi di ricostruzione razionale della storia dell'algebra astratta 1. G. Boole (1815-1864) si è interessato al problema. Il suo scopo (Indagine sulle
1 Per questa parte si veda Hailperin T.: 1976, Boole's Logic and Probability, North Holland, Amsterdam.
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
leggi del pensiero del 1854) era quello di ridurre il ragionamento a calcoli aritmetici. Egli
utilizza il connettivo di congiunzione, ∧, da lui denotato come la moltiplicazione algebrica
"⋅", ed il connettivo di disgiunzione alternativa, il latino aut, da lui denotato con "+". Con
queste posizioni, Boole prova che le due operazioni, non tra numeri, ma tra n-proposizioni
(meglio: tra classi di equivalenza di n-proposizioni), godono di proprietà ben note in
aritmetica: esse sono commutative ed associative, vale la distributiva della moltiplicazione
sull'addizione; c'è poi un elemento neutro per l'addizione, dato dalla contraddizione, pure
assorbente rispetto alla moltiplicazione, di qui il suggerimento di indicare tale proposizione con 0. Se si considera una verità analitica, una tautologia, essa è elemento neutro
rispetto alla moltiplicazione e ciò consiglia di indicarla con 1. Il catalogo delle cose che
"funzionano bene" è riassunto nella seguente tabella: siano a, b, c proposizioni nel senso
di Boole,
Addizione
Proprietà
a+b = b+a
a+(b+c) = (a+b)+c
commutativa
associativa
a+0 = a
elemento neutro
Moltiplicazione
a⋅b = b⋅a
a⋅(b⋅c) = (a⋅b)⋅c
a⋅(b+c) = (a⋅b)+(a⋅c)
a⋅0 = 0
a⋅1 = a
Proprietà
commutativa
associativa
distributiva
el.to assorbente
elemento neutro
Presto Boole si accorge che altre proprietà sono in contraddizione con il paradigma aritmetico. Una "legge del pensiero" che sembra ovvia, la cosiddetta legge degli indici, è
rappresentata dalla idempotenza della moltiplicazione:
a⋅a = a.
Questa relazione, vista come equazione numerica, ha come uniche soluzioni i valori 0 e 1.
Per questo motivo si possono interpretare le lettere usate finora come nomi variabili per i
valori 0 e 1. Ma questa è la semantica che si cercava 1. D'ora in poi le proposizioni andranno "interpretate" in 2 = {0,1}. Questi valori si possono considerare a piacimento simboli o numeri, anzi l'interpretazione più corretta è quella di ritenerli classi di resti della divisione per 2. In tal modo 0 rappresenta la classe dei numeri pari e 1 la classe dei numeri
dispari. Le relazioni che aritmeticamente non" funzionavano" assumono allora un significato ben noto: a+a = 0 afferma che la somma di due numeri pari è pari e che la somma
1 Anche con questa limitazione vi sono proprietà delle "leggi del pensiero" che non sono in accordo con l'aritmetica, ad esempio a+a = 0. Per questo motivo la struttura algebrica che viene definita da Boole non è una struttura aritmetica, anzi viene vista come il primo esempio di struttura astratta.
- 25 -
C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
di due numeri dispari è pari; a⋅a = a dice che il prodotto di due numeri pari è pari e che il
prodotto di due numeri dispari è dispari.
Tutte le altre relazioni che sussistono per le "leggi del pensiero" si interpretano correttamente in questo modo. In definitiva la struttura <2, +, ⋅, 0, 1> è (isomorfa) a 2, l'anello
Z
delle classi di resti modulo 2. Si tratta di un anello particolare, ha unità, cioè elemento neutro per la moltiplicazione ed in esso ogni elemento è idempotente cioè x⋅x = x 1. Anelli
con queste caratteristiche vengono detti anelli di Boole.
Dal punto di vista della Logica, la scelta di Boole delle operazioni non è soddisfacente.
Infatti l'articolazione del discorso basata sulla congiunzione e sulla disgiunzione esclusiva,
si allontana troppo da quella consueta che privilegia la negazione, l'equivalenza, la disgiunzione non esclusiva e soprattutto l'implicazione. Per questo l'analisi della struttura su 2,
assume un aspetto diverso se si interpretano le costanti logiche indicate nella parte fissa
dell'alfabeto.
La semantica del calcolo delle proposizioni che qui si presenta fa corrispondere a ciascun connettivo un'operazione su 2, in modo da privilegiare su tale insieme la struttura di
algebra di Boole. Tale tipo di struttura si può presentare in vari modi. Ad esempio si può
scegliere v ∧ (x,y) = min{x,y} = max{0,x+y-1} = x⋅y, v ∨ (x,y) = max{x,y} =
min{1,x+y} e v¬(x) = 1 - x, v→ (x,y) = v∨(v¬(x),y) = max{1-x,y} = min{1,1-x+y} e
v ↔ (x,y) = |1- (x+y)|, utilizzando la struttura aritmetica e di ordine su 2 visto come
sottinsieme di . Si ottiene ⟨2,v∧, v∨, v¬, 0, 1⟩ con le seguenti proprietà (date in modo sovrabbondante), qualunque siano x, y, z∈2:
R
- Le operazioni v∧, v∨ sono commutative: v∧(x,y) = v∧(y,x) e v∨(x,y) = v∨(y,x) 2.
- Le operazioni v∧, v∨ sono associative:
v∧(x,v∧(y,z)) = v∧(v∧(x,y),z) e v∨(x,v∨(y,z)) = v∨(v∨(x,y),z).
- Le operazioni v∧, v∨ sono idempotenti, cioè v∧(x,x) = x e v∨(x,x) = x.
- Valgono le leggi di assorbimento: v∧(x,v∨(x,y)) = x e v∨(x,v∧(x,y)) = x.
- Valgono le leggi distributive:
v∧(x,v∨(y,z)) = v∨(v∧(x,y),v∧(x,z)) e v∨(x,v∧(y,z)) = v∧(v∨(x,y),v∨(x,z)).
- 0 è elemento neutro per v∨ ed elemento assorbente per v∧: v∨(x,0) = x e v∧(x,0) = 0.
1 Bastano queste condizioni per ottenere x+x = 0, basta infatti sviluppare l'eguaglianza (1+x)⋅(1+x) = 1+x, ricordando che x⋅x = x. Da (x+y)⋅(x+y) = x+y si ottiene x⋅y + y⋅x = 0, da cui, sommando a sinistra y⋅x si ricava
x⋅y = y⋅x. Quindi l'anello con unità in cui ogni elemento è idempotente è di caratteristica 2 e commutativo. Per
altri dettagli si veda Marchini C.: 1984 'Algebra', voce della Enciclopedia delle Scienze De Agostini, Novara,
Vol. XIII, fasc. 111.
2 Non deve stupire l'uso delle operazioni prefisse invece che infisse, cioè le scritture v (x,y) al posto di xv y. I
∧
∧
simboli di operazione infissi hanno senso solo quando si tratta di operazioni binarie, ma con operazioni generali tale uso non è applicabile, come mostra il caso delle operazioni unarie. Per uniformità si preferisce qui usare
i simboli di operazioni prefissi.
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
- 1 è elemento neutro per v∧ ed elemento assorbente per v∨: v∧(x,1) = x e v∨(x,1) = 1.
- Ogni elemento ha complemento: v∧(v¬(x),x) = 0, v∨(v¬(x),x) = 1.
La logica così ottenuta è detta classica ed è presente nella tradizione occidentale a
partire da Guglielmo di Sherwood (sec. XIII). Ad esempio è facile controllare che
v ¬ (v ¬ (x)) = x; v ∨ (x,v ¬ (x)) = 1, v¬ (v ∧ (x,y)) = v ∨ (v ¬ (x),v ¬ (y)) e v¬ (v ∨ (x,y)) =
v∧(v¬(x),v¬(y)). Sono possibili altre scelte, ad esempio interpretando i connettivi in strutture differenti o per l'insieme di sostegno, ad esempio prendendo 3 = {0,1,2}, scegliendo
le possibili interpretazioni dei connettivi date sopra, che in tal caso non coincidono, o
mantenendo 2 e interpretando i connettivi con altre operazioni.
Come si vede nella definizione di anello di Boole non entrano esplicitamente le operazioni v→ e v↔, ma questa è una scelta che si giustifica nel seguito. Sono note altre presentazioni, del tutto equivalenti a quella data, che utilizzano le operazioni qui trascurate. Dal
punto di vista algebrico studiare il calcolo delle proposizioni in questa versione classica è
equivalente a studiare la varietà (classe) delle algebre di Boole. Così gli aspetti "linguistici"
spariscono e tutta la materia diviene qualcosa di ben definito in senso matematico.
La seguente tabella, spesso indicata col nome di tavole di verità, compendia la discussione precedente:1
TABELLA 1
x
v¬(x)
0
1
1
0
x
y
0
0
1
1
0
1
0
1
v∧(x,y) v∨(x,y) v→(x,y v↔(x,y)
0
0
0
1
0
1
1
1
1
1
0
1
1
0
0
1
1 Per mostrare come cambiando l'insieme 2 con {0; 0,5; 1} le varie definizioni che coincidono in 2 divengano
diverse, si controlli la seguente Tabella.
x
y min{x,y} max{0,x+y-1} max{x,y} min{1,x+y} 1-x
0
0
0
0
0
0
1
0
0,5
0
0
0,5
0,5
1
0
1
0
0
1
1
1
0,5
0
0
0
0,5
0,5
0,5
0,5 0,5
0,5
0
0,5
1
0,5
0,5
0,5
0,5
1
1
0,5
1
1
0
0
0
1
1
0
1
0,5
0,5
0,5
1
1
0
1
1
1
1
1
1
0
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
I simboli usati sono solo una proposta. Le tavole di verità così costruite sono quelle
consuete che si possono trovare in ogni libro di testo. Le tavole di verità per i connettivi
sono, in un certo senso, equivalenti alle tavole pitagoriche delle operazioni aritmetiche.
Infatti come conoscendo le tavole pitagoriche si riesce a fornire il risultato di una qualunque addizione o moltiplicazione tra numeri naturali, dalle tavole di verità per i connettivi si
può calcolare il valore di verità di una proposizione: data una proposizione ϕ, essa è costruita, in modo unico a partire da lettere proposizionali mediante i connettivi. Una volta
assegnati valori di verità alle lettere proposizionali resta individuato un unico valore di
verità per la proposizione. Ciò è causato dal Teorema di unica leggibilità, a sua volta conseguenza dell'affermazione che 0(P) è algebra libera su P. Non ritenendo il caso di provare il risultato nella sua generalità, si preferisce qui mostrare qualche esempio. Si consideri la proposizione ϕ data da
L
(p → ((q ∨ r) → (q ∧ r))) ∧ (((q ∨ r) → (q ∧ r)) → p)
se x,y,z∈2 sono arbitrari valori associati rispettivamente a p, q e r, alla proposizione
complessiva è associato il valore
v∧(v→(x,v→(v∨(y,z),v∧(y,z))),v→(v→(v∨(y,z),v∧(y,z)),x))
Ma per meglio evidenziare il valore effettivo che si ottiene si procede con la costruzione
della tavola di verità. Siccome x, y e z possono assumere due valori ciascuno, si devono
considerare tanti casi quanti le disposizioni con ripetizione di due elementi a tre a tre,
quindi 8 casi distinti. Per indicarli tutti si può tenere conto dell'ordine lessicografico sulle
terne ordinate. E' chiaro quindi il legame, tra l'altro messo in luce dai programmi delle
scuole elementari e da quelli per la scuola media, tra aspetti logici e combinatori.
Si ottiene il valore che si associa a ϕ è ottenuto "facendo i conti", come indicati nella
Tabella 1. Questa fase può essere svolta riportando (i valori di verità sotto le lettere proposizionali e sotto i connettivi come segue
(p → (q
∨
r → q
∧ r))
∧
((q
∨
r →
q
∧
r) → p)
0
1
0
0
0
1
0
0
0
0
0
0
0
1
0
0
0
0
0
0
1
0
1
1
0
0
0
1
1
0
1
1
0
0
0
1
1
0
0
1
1
1
0
0
1
0
0
0
1
1
0
1
1
0
0
0
0
0
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
0
1
1
0
0
0
1
0
0
0
1
0
0
0
0
0
1
0
1
1
1
0
0
1
1
0
0
0
1
0
0
1
1
1
0
1
1
1
1
1
0
1
1
0
0
1
0
0
0
1
0
0
0
1
1
0
0
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
Si è cercato di rendere con diversità grafiche il procedimento che viene utilizzato per
costruire la tabella. Il valore risultante per l'intera proposizione è quello qui riportato sotto
il connettivo di congiunzione (il connettivo principale) e riportato in neretto e viene detto
tavola di verità di ϕ. Con questa tecnica la determinazione del connettivo principale è importante perché i valori che si leggono sotto di esso sono i valori della tavola di verità della
proposizione. Per aiutare la l'individuazione (e nel contempo controllare la correttezza
della scrittura) si può utilizzare l'artificio di contare +1 per ogni parentesi aperta e –1 per
ogni parentesi chiusa. Se la formula è scritta correttamente si ottiene 0 all'inizio, alla fine
della proposizione e in corrispondenza del connettivo principale.
Un altro metodo è quello di scomporre la proposizione in sottoproposizioni, calcolarle
separatamente e poi determinare il valore complessivo, come segue
p q r q∨r q∧r q∨r→q∧r
p→(q∨r→q∧r)
(q∨r→q∧r)→p
ϕ
0
0 0
0
0
1
1
0
0
0
0 1
1
0
0
1
1
1
0
1 0
1
0
0
1
1
1
0
1 1
1
1
1
1
0
0
1
0 0
0
0
1
1
1
1
1
0 1
1
0
0
0
1
0
1
1 0
1
0
0
0
1
0
1
1 1
1
1
1
1
1
1
Anche in questo caso sarebbe bene avere una nozione di sottoproposizione. Questa è
più complessa e come quella connettivo principale rientra nella parte morfologica.
Sperando che questo esempio permetta di ricostruire un'intera trattazione più precisa
che viene omessa si ottengono la seguente
D EFINIZIONE. Sia ϕ una proposizione. Si dice che ϕ è una tautologia se
nella sua tavola di verità compaiono solo valori 1. In simboli se ϕ è una
tautologia si scrive y ϕ. Si dice che ϕ è una contraddizione se nella sua
tavola di verità compaiono solo valori 0.
Date due proposizioni ϕ e ψ si dice che ϕ implica logicamente ψ se y (ϕ)
→ (ψ). In simboli se ϕ implica logicamente ψ si scrive ϕ ⇒ ψ.
Date due proposizioni ϕ e ψ si dice che ϕ e ψ sono logicamente equivalenti se ϕ ⇒ ψ e ψ ⇒ ϕ. In simboli se ϕ implica logicamente ψ si scrive
ϕ ⇔ ψ.
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
La definizione di implicazione logica (e di equivalenza logica) è qui presentata in modo
semplificato rispetto a quella che si può trovare su testi universitari. Per essere più corretti
bisogna introdurre il concetto di interpretazione delle lettere proposizionali e di interpretazione associata delle proposizioni, qui banalizzato in quello di tavola di verità. Con questa nozione ϕ implica logicamente ψ se ogni interpretazione che rende vera ϕ, rende vera
ψ. Ma la trattazione più rigorosa richiede ancora una volta il teorema che afferma che
L0(P) è un'algebra libera.
Si osserva inoltre che se ϕ è una tautologia, allora ¬(ϕ) è una contraddizione, mentre se
ϕ è una contraddizione, ¬(ϕ) è una tautologia. Se ϕ ⇒ ψ e ϕ è una tautologia, si ha che ψ
è una tautologia 1, mentre se ψ è una tautologia, qualunque sia ϕ, si ha ϕ ⇒ ψ. Ciò può
essere facilmente controllato dalla tavola di verità della implicazione. D'altra parte se ψ è
una contraddizione e ϕ ⇒ ψ, allora anche ϕ è una contraddizione 2 e se ϕ è una contraddizione, qualunque sia ψ, si ha ϕ ⇒ ψ. Tutte le tautologie sono tra loro logicamente
equivalenti e tutte le contraddizioni sono tra loro equivalenti.
Si noti la differenza tra connettivo di implicazione e implicazione logica. Spesso vengono confusi, anche sui manuali scolastici. Il connettivo di implicazione è, come dice il nome,
un connettivo, quindi applicato a due proposizioni fornisce una nuova proposizione, muovendosi in ambito morfologico. L'implicazione logica è invece un concetto semantico che
richiede quindi un giudizio che dipende dal contesto e dall'interpretazione in esso. Il fatto
che l'implicazione logica sia connessa con il connettivo di implicazione, ma non
esclusivamente con esso, deve essere tenuto in debito conto. Quanto detto per l'implicazione si ripete per l'equivalenza, distinguendo tra il connettivo ↔ e l'equivalenza logica
⇔. Si noti che ϕ ⇔ ψ sse y (ϕ) ↔ (ψ).
Nei programmi della Scuola Media si parla di calcolo delle proposizioni, però i connettivi che vengono citati sono solo la negazione, la congiunzione e la disgiunzione. Non si fa
accenno ai connettivi di implicazione e di equivalenza. Non si tratta però di una carenza in
quanto nell'ambito classico gli altri due connettivi sono definibili a partire da negazione,
congiunzione e disgiunzione dato che si ha
ϕ → ψ ⇔ (¬ϕ) ∨ ψ ; ϕ ↔ ψ ⇔ (ϕ → ψ) ∧ (ψ → ϕ).
Un altro aspetto didattico importante della possibilità di esprimere i vari connettivi con
solo negazione, disgiunzione e congiunzione, risultato che talora viene indicato col nome
1 Questa affermazione stabilisce la correttezza del modus ponens, di cui si dice in seguito; è scambiata
erroneamente da certi autori di manuali per il modus ponens.
2 Questa affermazione stabilisce la correttezza del modus tollens, di cui si dice in seguito; è scambiata
erroneamente da certi autori di manuali per il modus tollens.
- 30 -
C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
di Teorema di forma normale, è dato dal legame delle tavole di verità con l'analisi combinatoria. In realtà il detto Teorema è un'affermazione più raffinata, che si commenterà nel
seguito. Nei programmi della Scuola Elementare e delle Scuole Medie si invita il docente a
trattare i due aspetti. Il Teorema di forma normale è la via per collegarle in modo semplice.
Si consideri ad esempio una proposizione ϕ in cui intervengano le lettere proposizionali p,
q e r. I possibili casi distinti di assegnazione di valori di verità alle lettere proposizionali,
come detto prima sono 8, quindi in corrispondenza a ciascuno di questi otto la
proposizione assumerà valore 0 oppure 1. Invece della tavola di verità si può procedere
con una rappresentazione mediante un diagramma ad albero. Esso si costruisce con queste
tecniche: si fissa un ordine arbitrari nell'insieme delle lettere proposizionali che sono
presenti nella proposizione, qui si segue quello alfabetico. Si disegna un punto: la radice
dell'albero. Dalla radice partono due rami, etichettati quello a sinistra con p e quello a destra con ¬p. Dai punti terminali di questi due rami partono altri due rami (in totale quattro). Quelli di sinistra sono etichettati con q e quelli di destra con ¬q. Infine da ciascuno
dei punti terminali dei quattro rami partono rispettivamente altri due rami etichettati, quelli
di sinistra con r e quelli di destra con ¬r. In totale si costruiscono 8 punti, le foglie dell'albero, facendo attenzione che i rami non si intersechino. Ad esempio se si considera la
proposizione ϕ la cui tavola di verità è data da
p
q
r
ϕ
0
0
0
0
0
0
1
1
0
1
0
1
0
1
1
0
1
0
0
1
1
0
1
0
1
1
0
0
1
1
1
1
ad essa si associa un diagramma ad albero.
- 31 -
C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
In esso con i cerchi neri sulle "foglie" dell'albero si sono messe in evidenza i valori 1 della
proposizione ϕ. I cerchi sono collocati leggendo la tavola di verità come un insieme di
istruzioni: presa una riga della tavola si interpreta 0 come la consegna di andare a destra,
con 1 si impone di andare a sinistra. Si noti che ogni proposizione costruita con tre lettere
proposizionali dà luogo ad un albero binario bilanciato con tre livelli (oltre la radice). Le
varie proposizioni si distinguono per le foglie evidenziate.
Il Teorema di forma normale legge i rami da percorrere per raggiungere i punti in grassetto come congiunzione e considera come disgiunzione i vari casi, se ci sono foglie indicate. Nel nostro caso la forma normale di ϕ è data da
(p ∧ q ∧ r) ∨ (p ∧ ¬q ∧ ¬r) ∨ (¬p ∧ q ∧ ¬r) ∨ (¬p ∧ ¬q ∧ r).
Questo esempio specifica meglio cosa si intenda per forma normale di una proposizione.
DEFINIZIONE. Sia ϕ una proposizione in cui compaiono le lettere proposizionali p1,…,pn∈P. La proposizione ϕ è in forma normale se è espressa
come la disgiunzione di congiunzioni in cui compaiono tutte le n lettere
proposizionali eventualmente negate.
Si ha così il
TEOREMA DI FORMA NORMALE. Ogni proposizione è logicamente equivalente ad una proposizione in forma normale.
Il procedimento del diagramma ad albero permette di individuare, data una proposizione,
una proposizione ad essa equivalente in forma normale.
Con la rappresentazione mediante diagramma ad albero si riconoscono le tautologie
come le proposizioni per le quali tutte le foglie sono evidenziate. Una contraddizione invece non ne evidenzia alcuna. Semplificazioni si possono ottenere se ad esempio due rami
- 32 -
C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
che escono dallo stesso nodo hanno tutte le foglie "evidenziate" allora si può considerare
il solo nodo da cui partono tali rami. Ad esempio considerando la proposizione ψ, scritta
con le lettere proposizionali p,q e che ha la seguente tavola di verità:
p
q
ψ
0
0
1
0
1
0
1
0
1
1
1
1
la sua rappresentazione mediante diagramma ad albero è data da
in cui col punto evidenziato più chiaro si mette in risalto che entrambi i rami hanno foglie
evidenziate. La forma normale della proposizione ψ è data da
(p ∧ q) ∨ (p ∧ ¬q) ∨ (¬p ∧ ¬q)
che è logicamente equivalente a
p ∨ (¬p ∧ ¬q).
A volte lo strumento del diagramma ad albero è utile per risolvere giochi logici. Applicato in questo senso permette di trovare una espressione mediante una proposizione in
forma normale di un quesito complesso.
Il Teorema di forma normale si può riformulare come proprietà di completezza funzionale
dell'algebra 2, proprietà enunciata e dimostrata da Boole.
TEOREMA DI BOOLE. Sia f: 2n → 2 una funzione, allora per ogni n-pla
ordinata ⟨x1,…,xn⟩∈2n e per ogni indice r con 1≤ r ≤ n, vale la seguente
eguaglianza
f(x1,…,xn) = v∨(v∧(xr,f(x1,…,xr-1,1,xi+1,…,xn)),
v∧(v¬(xr), f(x1,…,xr-1,0,xr+1,…,xn))).
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C. Marchini - Appunti per la Didattica della Logica Matematica
Non si dimostra questo teorema, solo qualche commento. Esso ha grande importanza
nelle applicazioni moderne delle algebre di Boole, in particolare nella realizzazioni di dispositivi di calcolo automatico ed altro ancora, come ha provato nel 1938 C. Shannon 1. Il
teorema fornisce uno strumento di rappresentazione assai utile in quanto afferma che ogni
funzione (operazione) n-aria sull'algebra di Boole si può riottenere usando solo le operazioni v¬, v∧ e v∨; per questo talvolta viene indicato col nome di Teorema di completezza
funzionale. Questo aggancio con le applicazioni è previsto dai programmi della Scuola
Media, che parlano esplicitamente di costruzione di circuiti elettrici.
Invece di dimostrare il teorema, si considera l'esempio della funzione ternaria, definita
dalla seguente tabella
x
0
0
0
0
1
1
1
1
y
0
0
1
1
0
0
1
1
z
0
1
0
1
0
1
0
1
f(x,y,z)
0
1
1
0
1
0
0
1
Si applica il Teorema di Boole alla funzione f(x,y,z) definita sopra, riassumendo la tabella di prima come segue, anche se con qualche imprecisione:
x
0
0
1
1
y
0
1
0
1
z
z
z
z
z
f(x,y,z)
z
v¬(z)
v¬(z)
z
Sviluppando prima rispetto ad x, poi rispetto ad y ed infine rispetto a z, tenendo presente
la tabella "abbreviata" si ha
f(x,y,z) = v ∨ (v ∧ (x,f(1,y,z)),v ∧ (v ¬ (x),f(0,y,z))) = v ∨ (v ∧ (x,v ∨ (v ∧ (y,f(1,1,z)),
v ∧ (v ¬ (y),f(1,0,z)))),v ∧ (v ¬ (x),v ∨ (v ∧ (y,f(0,1,z)),v ∧ (v ¬ (y),f(0,0,z))))) =
v∨(v∧(x,v∨(v∧(y,z),v∧(v¬(y),v¬(z)))),v∧(v¬(x),v∨(v∧(y,v¬(z)),v∧(v¬(y),z)))) .
Questa costruzione spiega come costruire mediante tre tipi fondamentali di circuiti (gli
elettrotecnici li chiamano anche porte logiche) per il connettivo ¬, il connettivo ∧ e il connettivo ∨, un dispositivo che lasci passare corrente, cioè f(x,y,z) = 1 nei casi previsti.
L'esempio può sembrare complesso, ma è di corrente applicazione domestica: si pensi ad
una camera da letto in cui sia collocata una luce centrale comandata da tre interruttori.
1 'A symbolic Analysis of relay and Switching Circuits'.
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Il lettore si sarà accorto che nelle considerazioni precedenti si sono presentati esempi
sempre della stessa situazione, come è facile rendersi conto confrontando le tavole di verità. La speranza è che così si intuiscano i legami tra Teorema di forma normale e Teorema
di completezza funzionale: invece di generici elementi x1,…,xn di 2, si possono considerare le lettere proposizionali p1,…,pn di cui x1,…,xn sono i valori assunti nelle varie interpretazioni, e costruire a partire da esse la proposizione che ha l'assegnata tavola di verità. Il risultato, nel caso dei tre interruttori, è la proposizione
(p ∧ ((q ∧ r) ∨ (¬p ∧ ¬r))) ∨ (¬p ∧ ((¬q ∧ r) ∨ (q ∧ ¬r))),
che non è in forma normale, ma applicando le "distributive" dei connettivi, si ha una proposizione logicamente equivalente:
(p ∧ q ∧ r) ∨ (p ∧ ¬q ∧ ¬r) ∨ (¬p ∧ q ∧ ¬r) ∨ (¬p ∧ ¬q ∧ r)
e questa è in forma normale.
Oltre a questi aspetti semantici che ben si inquadrano nella utilizzazione didattica, ve ne
sono altri che possono essere interessanti, ad esempio la possibilità o l'impossibilità di
definire certe operazioni partendo da altre.
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