William Carpenter e la fisiologia del senso comune

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Saggi
Medicina & Storia, X, 2010, 19-20, n.s., pp. 59-75
“An affair of uncommon sense”. William
Carpenter e la fisiologia del senso comune
Cristina Paoletti
“An affair of uncommon sense”. William Carpenter’s common-sense physiology
Summary. This essay focuses on William Carpenter (1813-1885), professor of
physiology at the University of London and author of an original interpretation of common sense.
Developing Charles Bell’s theory concerning the reflex acts of the brain,
Carpenter thought of the ‘original beliefs’ as cases of the reflex act of the nervous system and considered them to be a product of human experience: thus,
in the course of an individual’s lifespan, primitive instinctive acts are reinforced and combined, resulting in complex notions such as causality and the
existence of the material world. Refuting the idea that common-sense principles are innate and unchangeable, Carpenter reshaped the notion of common
sense: far from being the clever invention of philosophers, common sense was
defined as a product of a process that occurs in the nervous system, much like
memory and the association of ideas.
Carpenter’s theory was praised by empiricist philosophers such as John Stuart
Mill and William James, who held in high regard its demonstration of the
empirical origin of the principles of common sense and the emphasis on semiconscious mental activity.
Keywords. William Carpenter; common-sense philosophy; nineteenth-century physiology; philosophy of mind
In due saggi pubblicati tra il 1978 e il 1982, Lorraine Daston ripercorreva l’intricato dibattito sulla psicologia innescatosi in Gran Bretagna nella
seconda metà del XIX secolo1. Affascinati dall’obiettivo di realizzare un’indagine psicologica rigorosamente induttiva e oggettiva, gli psicologi britannici si distinguevano per la consapevolezza delle difficoltà che la nuova
scienza incontrava quando le sue teorie erano confrontate con la nozione
‘classica’ di anima e facoltà mentali. In particolare, Daston sottolineava che
In Gran Bretagna il fulcro della controversia sulla nuova psicologia riguardava l’esperienza quotidiana dell’intenzione e del valore morale, resi
1 Daston, 1978 e Daston, 1982.
issn (print) 1722-2206
ISSN (online) xxxx-xxxx
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© Firenze University Press
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Cristina Paoletti
manifesti dall’esercizio della volontà, e la possibilità di ridurli a quel quadro
deterministico fornito dalla scienza tardo ottocentesca in generale e in particolare dalla fisiologia2.
Mentre le scoperte della medicina e della fisiologia sembravano essere il
segno più autentico della nascita di una psicologia ‘scientifica’ e affidabile, il
nuovo approccio fisicalista non sembrava dare una spiegazione soddisfacente
di fenomeni come la volontà e l’introspezione. Nella ricchezza delle posizioni
sfumate e problematiche che animarono il dibattito, Daston si soffermava
sulla figura di William Carpenter, professore di fisiologia e poi registrar
dell’Università di Londra dal 1847 al 1879. Nato nel 1813 in Inghilterra, la
formazione intellettuale di Carpenter fu dominata da una rigida educazione
religiosa nella comunità non-conformista a cui la sua famiglia apparteneva.
Condusse i suoi studi medici prima a Londra e dal 1835 a Edimburgo, dove
entrò in contatto con il filosofo del senso comune William Hamilton, ma
anche con Thomas Carlyle, divulgatore della cultura tedesca in Scozia, e con
il fisiologo William Pulteney Alison3. Personaggio oggi quasi sconosciuto,
Carpenter è stato autore di trattati che hanno avuto numerose edizioni e di
molti articoli divulgativi apparsi sulla stampa periodica4.
Daston lo ha descritto come uno scienziato accorto, scettico sulla possibilità di ridurre le facoltà mentali a processi fisiologici e convinto invece
dell’esistenza di un potere attivo come la volontà5. Lo stesso Carpenter scriveva che, sebbene ci sia
un’evidente contraddizione tra le due dottrine (quella della dipendenza
dell’attività automatica della mente da condizioni che la riportano alla causalità fisica e quella dell’esistenza di un potere indipendente, che controlla e dirige la volontà), io posso dire soltanto che esse sono ugualmente vere alla mia
coscienza (consciousness), come, credo, alla coscienza comune dell’umanità6.
Daston, 1978, p. 194.
Sulla formazione di Carpenter e sui suoi interessi giovanili si veda Hall, 1979; per un
quadro generale della posizione di Carpenter e del suo ruolo nella medicina ottocentesca
si rimanda a Young, 1970.
4 Carpenter, 1839 e Carpenter, 1842.
5 Un’interpretazione opposta è stata data da Reed, 1997, che considera Carpenter parte
del movimento che ha criticato e definitivamente eliminato la nozione “tradizionale”
di anima, sostituendo la fisiologia all’introspezione (pp. 72-80). Sul ruolo di Carpenter
nel dibattito filosofico e scientifico, e in particolare sull’influenza esercitata su di lui da
William Whewell, si veda anche Rehbock, 1983, pp. 60-87.
6 Carpenter, 1874a, pp. IX-X.
2 3 William Carpenter e la fisiologia del senso comune
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In realtà, oltre che a un generico appello alla coscienza introspettiva,
Carpenter si affidava a un’accurata descrizione del sistema nervoso e a
numerose comparazioni con la fisiologia animale nell’intento di dimostrare
che le strutture della mente sono influenzate dall’esperienza e che, nello
stesso tempo, esiste un potere della mente come la volontà che agisce sugli
organi corporei attraverso il cervello e il sistema nervoso.
In questo saggio verrà indagato il ruolo di Carpenter nella polemica
sull’esistenza dei principi del senso comune: riaperto da Erasmus Darwin
e Dugald Stewart, il dibattito riguardava la possibilità di modificare attraverso l’esperienza i cosiddetti principi originari della mente. Mentre Darwin
sosteneva che non esistono principi immutabili del pensiero, Stewart ribadiva che alcune leggi sono costitutive della mente e pertanto non derivano
dall’esperienza. La fisiologia di Carpenter diede una soluzione originale:
essa rivedeva il rapporto tra senso comune e istinto e considerava in una
nuova prospettiva il rapporto tra coscienza e processi cerebrali, facendo
dei principi del senso comune un processo mentale semi-inconscio che dà
origine a credenze naturali, non derivate dal ragionamento, che hanno un
ruolo positivo nella vita degli uomini.
Carpenter si collocò in una posizione sostanzialmente equidistante
rispetto sia agli associazionisti sia agli intuizionisti: difensore della libertà
della volontà umana – una posizione che lo accomunava ai common sense
philosophers – la sua spiegazione del senso comune incontrò il favore di
Mill, che vi vedeva la prova della plasticità di ogni principio del pensiero.
La teoria medica di Carpenter, largamente conosciuta nelle università
britanniche e nordamericane, fu una delle principali fonti di William
James che, enfatizzando la ‘volontà’ di credere, si schierava dalla parte di
Carpenter nel difendere la specificità della volontà rispetto alle funzioni
nervose e cerebrali7.
Senso comune e istinto
La pubblicazione, tra il 1794 e il 1796, della ponderosa Zoonomia di
Erasmus Darwin aveva riaperto il dibattito sullo statuto dei principi del
senso comune e in particolare sulla possibilità di definirli come una particolare categoria di istinti, per il fatto che agiscono spontaneamente e si
ritrovano universalmente negli uomini. Lo stesso Thomas Reid aveva forse
alimentato questa ambiguità, quando aveva chiamato il senso comune un
7 Daston, 1982, pp. 100-111.
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istinto per sottolinearne il carattere immediato e provvidenziale8. Tuttavia,
proprio l’allievo più vicino a Reid, Dugald Stewart, avrebbe scritto contro
Darwin che l’istinto è una facoltà data da Dio agli animali perché potessero orientarsi nel mondo, ma che gli istinti umani sono completati dalla
ragione, attraverso la quale l’uomo apprende e perfeziona le sue conoscenze9. Darwin aveva sostenuto che era probabile che
la migrazione degli uccelli non è prodotta da un istinto prestabilito, ma il risultato di miglioramenti fortuiti simili a quelli che occorrono nelle conoscenze umane, insegnate al singolo uomo dai suoi contemporanei o trasmessegli
dalle generazioni precedenti10.
Criticando l’esistenza di tendenze naturali spontanee di cui l’uomo e gli
animali sono forniti dalla nascita, Darwin considerava l’istinto come uno
dei numerosi effetti dell’esperienza e dell’apprendimento e perciò affine
alla scienza umana. Oltre a minimizzare le differenze tra intelligenza
umana e intelligenza animale, escludeva che esistessero facoltà originarie, innate nell’uomo e non modificabili nella vita dell’individuo, come
appunto erano i principi del senso comune. Le parole di Darwin, oltre a
contribuire a una spiegazione materialistica del pensiero umano, tendevano ad escludere che esistessero principi indipendenti dall’esperienza.
Questo era invece l’argomento che Stewart voleva difendere, quando scriveva che gli istinti animali sembrano modificabili, ma entro limiti molto
stretti, e che
le operazioni della ragione e del genio, propriamente intesi, sembrano essere
sostanzialmente diversi da qualsiasi altra cosa che si ritrova nel mondo animale, in quanto non si sono mai visti due individui della nostra specie fare
uso esattamente degli stessi strumenti (o almeno degli stessi strumenti complessi) per l’ottenimento degli stessi fini11.
Nonostante il prestigio di Stewart, il suo netto rifiuto di assimilare i principi del senso comune agli istinti fu messo in discussione tra gli stessi sostenitori della common sense philosophy. William Alison, insegnante di institutes of medicine all’università di Edimburgo negli anni in cui Carpenter vi
Cfr. per esempio Reid, 1996, pp. 278 e 603.
Stewart, 1844, vol. IV, pp. 250-277; per un’articolata discussione del senso comune in
Stewart si vedano Davie, 2001 e Levi Mortera, 2007.
10 Darwin, 1818, vol. I, p. 127.
11 Stewart, 1844, vol. IV, p. 251; sulla polemica tra Stewart e Darwin e la sua importanza
nello sviluppo della scuola del senso comune si veda Giuntini, 1995, pp. 176-183.
8 9 William Carpenter e la fisiologia del senso comune
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studiava medicina e ‘alleato’ di William Hamilton nella polemica contro i
frenologi, scriveva nelle sue lezioni di fisiologia che esistono principi
creduti immediatamente e uniformemente da tutti gli uomini in qualsiasi circostanza, [che] non risultano essere influenzati dagli eventi, situazioni, consuetudini e dalla società12.
Queste credenze comprendevano ad esempio la regolarità dei fenomeni naturali, l’attendibilità della conoscenza sensibile e della memoria,
che Reid aveva chiamato principi del senso comune e che Alison definiva
instinctive propensities per sottolineare che si trattava di tendenze connaturate all’uomo, indipendenti da qualsiasi influenza esterna e per questo
immutabili. Nonostante considerasse facoltà mentali soltanto le credenze
del senso comune, Alison insisteva che questi avevano in comune con
gli istinti il fatto di essere spontanei, immediati e di rivelare un ordine e
un’intelligenza che non potevano risultare né dal caso né dall’abitudine.
Per questo, come Reid, Alison si soffermava sulle analogie tra i principi del
senso comune e alcuni movimenti involontari e inconsapevoli che accompagnano gli atti volontari, come i raffinati aggiustamenti che consentono
di non perdere l’equilibrio. Alison di fatto alimentava quell’ambiguità che
Stewart aveva cercato di combattere: affini agli istinti e ai movimenti involontari, i principi del senso comune condividevano con i fenomeni corporei la spontaneità e l’immediatezza.
Contrariamente ai propositi di Stewart, sembrava non esserci per Alison
una linea di demarcazione precisa tra gli impulsi corporei e le credenze
della mente, proprio perché le funzioni vitali e le reazioni dell’organismo
sembravano essere una prova evidente che esistono operazioni costanti
e immutabili nell’uomo, affermazione che Darwin, apparentemente con
scarso successo, aveva provato a confutare.
Istinti e reflex acts
Nonostante la cautela di Alison, non pochi dei suoi allievi e lettori
percepirono che era troppo fragile la distinzione tra istinti riferibili al
corpo e instinctive propensities proprie della mente. Con maggiore incisività di Alison, il suo allievo Thomas Laycock spiegava gli istinti come
uno degli effetti dei reflex acts, i movimenti riflessi che hanno luogo nel
12 Alison, 1839, p. 323.
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sistema nervoso e da cui risultano le sensazioni apparentemente semplici
che si presentano alla coscienza13. Laycock si richiamava esplicitamente a
Charles Bell e alla sua critica della standard view secondo cui il cervello
è un sensorium commune in cui confluiscono le sensazioni ‘portate’ dai
nervi, conduttori tutti uguali tra loro per funzione e semmai diversi per
sensibilità14. Bell affermava invece che le funzioni dei nervi sono diversificate e dipendono dalla zona della spina dorsale in cui essi si originano:
nervi di sensazione e di movimento sono sempre distinti e indipendenti,
anche se in certi casi sono così vicini da essere confusi per il medesimo
nervo. La loro funzione non è di trasmettere tutte le sensazioni o gli
impulsi al movimento, ma le sensazioni apparentemente semplici sono
già il prodotto di una selezione, come è dimostrato dal caso di un ago che
perfora la retina, senza quasi produrre dolore15.
Accettando la distinzione di Bell in nervi afferenti (che trasmettono
la sensazione al cervello) ed efferenti (che producono un movimento nel
corpo), Laycock si occupò dei vari e molteplici effetti che gli atti riflessi
producono sia nell’organismo sano sia in quello malato: riprendendo una
serie classica di esempi (che risaliva almeno allo scozzese Robert Whytt) di
azioni spontanee che avevano l’effetto di rimuovere corpi estranei o pericolosi per la salute del corpo (come lo starnuto o la tosse per liberare le
vie respiratorie), ne concludeva che la loro funzione era di concorrere alla
conservazione dell’individuo e della specie. Inoltre, dopo aver dimostrato
che certi movimenti involontari sono, almeno in parte, atti riflessi, Laycock
affermava che “certi atti istintivi possono essere semplicemente movimenti
riflessi, anche quando coincidono con la coscienza”16. Più coraggiosamente
di Alison, proponeva la stessa origine organica e nervosa per tutte le reazioni che apparivano semplici e immediate alla coscienza, includendo sia
Sulla carriera e l’evoluzione delle idee di Laycock si veda Barfoot, 1995.
“La dottrina prevalente nelle scuole di anatomia è quella secondo cui l’intero cervello è
il sensorio comune, le estremità dei nervi sono organizzate in modo tale da ricevere una
certa impressione si distinguono tra loro soltanto per la sensibilità (delicacy) delle loro
fibre […] tale che i nervi ottici differiscono da quelli del tatto soltanto per una diversa
sensibilità [alla luce]” (Bell, 1868, p. 154). Sugli studi sul sistema nervoso condotti in Gran
Bretagna nell’800 ci si limita qui a segnalare Bynum, 1973 e Clarke, Jacyna, 1987.
15 Ivi, pp. 156-157. Contrariamente alla concezione cartesiana, secondo Bell gli impulsi
che sono trasmessi all’encefalo (considerato la sede della coscienza) e sono percepiti dalla
mente sono spesso il prodotto di riflessi elementari che si sono originati nella spina dorsale.
Per una discussione dell’evoluzione nella spiegazione di movimento riflesso si rimanda a
Canguilhem, 1955.
16 Laycock, 1844, p. 5.
13 14 William Carpenter e la fisiologia del senso comune
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i movimenti involontari del corpo sia feeling evidenti alla mente. Scriveva
Laycock nel 1840 che
le passioni e i movimenti derivanti dagli atti riflessi, come il riso, la tosse,
le lacrime, i sentimenti istintivi (instinctive feelings) e i movimenti ad essi
connessi, l’insieme dei movimenti spasmodici e convulsivi […] hanno
luogo nella stessa grande area del sistema nervoso e dipendono dalle medesime leggi17.
Laycock fondava questa omogeneità sul fatto che i gangli che si trovano
nel cranio (a cui si attribuivano le operazioni mentali coscienti) dovevano
avere le stesse funzioni e osservare le stesse leggi che valgono per quelli
periferici: pertanto anche i purely mental acts (percezioni istintive, credenze
comuni ed elementari, certe reazioni collegate ai sentimenti morali) erano
il risultato della vital machinery e se ne poteva riconoscere l’origine fisiologica. Laycock era consapevole che queste sue affermazioni erano estremamente problematiche e difficilmente compatibili con la definizione cristiana
di anima come principio indipendente dal corpo. Tuttavia, liquidava frettolosamente le accuse di materialismo ricordando che non era sua intenzione contestare l’immortalità dell’anima, ma soltanto fornire una spiegazione plausibile e documentata dei fenomeni nervosi. Tra questi rientrava
anche quella anticipationem quondam Deorum che gli uomini hanno senza
aver ricevuto alcuna educazione religiosa, anche se proprio la citazione da
Epicuro confermava i sospetti di irreligiosità e dava ulteriore enfasi all’origine corporea e materiale di tutte le natural propensities18!
Senso comune e automatismo mentale
Collega di Laycock e per un certo periodo suo avversario, Carpenter
riprese nei suoi scritti il tema della continuità tra reflex acts e operazioni
mentali spontanee e istintive, riferendosi esplicitamente ai principi del
senso comune. Contrariamente a Laycock, Carpenter era ansioso di conciliare le nuove scoperte della fisiologia con la visione dualistica e cristiana
dell’anima. La soluzione fu un’interpretazione originale dei reflex acts e
della loro influenza sulla vita mentale.
Laycock, 1840, p. 107.
Ivi, p. 108; la citazione è riferita ad Epicuro da Cicerone in De natura Deorum, I 43. Sul
materialismo di Laycock si veda Danziger, 1982.
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Carpenter elaborò la sua spiegazione fisiologica del senso comune durante
tutto il corso della vita: nel 1842 in due decisivi capitoli dei Principles of
Human Physiology (che nel 1874 furono estesi e pubblicati come Principles
of Mental Physiology) e in una serie di saggi sul problema della volontà e
della fisiologia umana pubblicati nella “Contemporary Review” tra il 1871
e il 187419. Più esplicitamente di Laycock, Carpenter intraprese un’indagine
fisiologica dei principi del senso comune, che descriveva con le parole di
Reid come “the first degree of Reason”, il cui compito è giudicare delle cose
autoevidenti e si distingue dal ragionamento vero e proprio, che invece
procede per inferenza20. Consapevole delle dispute che erano sorte intorno
all’enumerazione dei principi del senso comune, Carpenter proponeva la
sua definizione:
ciò che chiamiamo giudizio del senso comune è l’immediata o istintiva risposta data, in termini psicologici, dall’azione automatica della mente, o, in
termini fisiologici, dall’azione riflessa del cervello, a qualsiasi problema che
possa essere risolto dall’appello alle verità ‘autoevidenti’21.
L’azione riflessa consisteva in una “reazione dei centri nervosi attraverso
i nervi motori o efferenti in risposta alle impressioni ricevute attraverso i
nervi afferenti”22. L’azione riflessa era una sorta di reazione automatica a
certi stimoli; talvolta essa era talmente rapida che poteva essere confusa con
lo stimolo stesso. Era il caso di molti fenomeni legati alla percezione visiva,
come il rovesciamento dell’immagine retinica. Carpenter era consapevole
di riproporre un repertorio di esempi a cui avevano largamente attinto i
filosofi del senso comune: Reid per primo aveva indagato il senso della vista
per mostrare che le nozioni di spazio, distanza e figura reale derivano da un
elaborato processo in cui sono coinvolte le sensazioni visive e in alcuni casi
anche quelle tattili23. Mentre Reid si era riferito alla conformazione anatomica dell’occhio e aveva prudentemente parlato soltanto delle misteriose
connessioni tra mente e corpo, Carpenter spiegava queste correzioni attraverso il sistema nervoso e gli atti riflessi ‘primari’, nei quali non sembrava
esserci mai stato il coinvolgimento della volontà e della coscienza.
Carpenter proseguiva la sua argomentazione esaminando il caso di
Carpenter, 1871a, 1871b, 1872a, 1872b, 1873, 1874a e 1874b.
Carpenter, 1871b, pp. 401-402.
21 Ivi, p. 403.
22 Ivi, p. 404.
23 Reid, 1996, pp. 169-295. Nella vastissima letteratura su Reid e il problema della visione
ci si limita a segnalare Wood, 1998, Falkenstein, 2004 e Grandi, 2005.
19 20 William Carpenter e la fisiologia del senso comune
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nozioni che appaiono ovvie e naturali a persone che hanno ricevuto una
particolare educazione o vivono in un particolare ambiente: è per esempio
‘comune’ per un musicista percepire differenze nell’intonazione dei suoni,
mentre queste risultano irriconoscibili a chi non ha un orecchio educato.
Anche questa volta Carpenter esaminava in particolare il senso della vista
e la ‘naturalezza’ con cui si corregge la percezione di due linee parallele che
sembrano convergere all’orizzonte. Questa credenza comune, che è ovviamente frutto dell’esperienza e dell’apprendimento, consisteva ancora una
volta in un reflex act, divenuto quasi meccanico per la frequente ripetizione.
Atti riflessi erano anche
gli assiomi della geometria e gli altri principi puramente intellettuali, l’insieme dei quali costituisce il senso comune dei filosofi, la convinzione che essi
non solo sono veri, ma ‘devono essere universalmente veri’, essendo un’intuizione acquisita (acquired intuition), che nessuna generalizzazione razionale
dell’esperienza potrebbe giustificare. Ogni azione della mente come queste, in
quanto movimento automatico secondario del corpo, è la risposta immediata
e diretta dell’organismo a un certo stimolo24.
L’insieme degli atti riflessi che accompagnano le operazioni della coscienza
erano propriamente casi di unconscious cerebration: mentre i filosofi avevano limitato l’attività inconscia a fenomeni estremamente semplici, come
la percezione e la memorizzazione dei piccoli particolari di un’immagine
visiva, Carpenter la estendeva al ‘pensiero’ vero e proprio, intendendo che le
operazioni inconsce possono comprendere anche complessi train of thought.
Tra questi Carpenter includeva anche le credenze del senso comune, che non
derivavano quindi da operazioni propriamente mentali, ma diventavano un
prodotto del nervous frame, una risposta nervosa non diretta dalla volontà
e a volte neanche percepita dalla coscienza. Secondo Carpenter, infatti, il
senso comune, o tendenza a giudicare le cose che sono autoevidenti,
si basa sull’insieme delle nostre esperienze passate, che si depositano nelle
inconsce profondità del nostro intelletto per un processo di coordinazione
automatica, e si materializzano nella nostra organizzazione cerebrale25.
Legato all’esperienza e all’apprendimento, il senso comune coincideva
con la capacità di pensare come immediate e intuitive quelle conclusioni
che in altre circostanze sarebbero state raggiunte con un lungo ragiona24 25 Carpenter, 1871b, p. 413.
Ivi, p. 413.
68
Cristina Paoletti
mento. Carpenter stesso citava l’esempio della stregoneria per mostrare
che le opinioni che sembravano solide in certe epoche storiche diventano
del tutto infondate in altre: questa, che i critici della filosofia del senso
comune avevano inteso come una prova dell’inesistenza di credenze originarie, diventa per Carpenter la conferma che il senso comune esiste e si
trasforma nel tempo26. Non più la base di ogni possibile argomentazione,
come era stato inteso da Reid, il senso comune di Carpenter era un processo mentale di cui non c’era bisogno di ripercorrere tutti i passaggi e
che poteva essere un valido aiuto per l’uomo proprio per la sua brevità.
Oltre che nelle diverse epoche storiche, il senso comune era diverso da
individuo a individuo e così si poteva spiegare perché ciò che un esperto
matematico riteneva ovvio e palese appariva invece difficile o addirittura
improbabile all’uomo comune.
Il senso comune rientrava a tutti gli effetti tra gli automatismi della
mente, cioè tra quelle operazioni non accompagnate dalla volontà e prodotte invece dai movimenti riflessi del sistema nervoso. L’equiparazione a
un fenomeno nervoso, che per Erasmus Darwin equivaleva a un declassamento del senso comune, era invece per Carpenter una conferma della
sua esistenza ed importanza per la vita dell’uomo. Se l’appello al senso
comune era stato trattato quasi come un escamotage da critici influenti
come Priestley e Kant, Carpenter lo considerava invece come una vera e
propria facoltà e, al pari della memoria o dell’immaginazione, ne indagava
le connessioni con il cervello e il sistema nervoso. Screditato dai filosofi,
che vi vedevano una dogmatica difesa delle credenze tradizionali, il senso
comune era invece riabilitato dalla fisiologia, che lo spiegava attraverso le
leggi di funzionamento del sistema nervoso e ne mostrava la continuità con
altri fenomeni mentali, come l’abitudine e l’apprendimento.
Senso comune ed esperienza
L’intervento di Carpenter sul problema del senso comune si inseriva
nella più ampia discussione filosofica sui poteri della mente e sull’esistenza
del pensiero inconscio. Lo stesso Carpenter riconosceva una profonda affinità tra la sua spiegazione fisiologica dell’inconscio e quella che era stata
data dal filosofo del senso comune William Hamilton: Carpenter affermava
Ivi, pp. 417-418. L’influenza dell’esperienza nella formazione di automatismi mentali e
la spiegazione medica che Carpenter ne aveva dato saranno successivamente riprese da
Herbert Spencer, come è mostrato in Richards, 1987, pp. 280-285.
26 William Carpenter e la fisiologia del senso comune
69
infatti che, benché fosse venuto a conoscenza della filosofia di Hamilton
soltanto dopo aver concluso i suoi esperimenti sulla unconsciuos cerebration, le sue osservazioni sembravano confermare sul piano della fisiologia ciò che Hamilton aveva dimostrato con argomenti filosofici, cioè che
l’attività mentale non coincide con la coscienza27. In realtà, Hamilton non
aveva fatto appello alla fisiologia, ma aveva invece invocato la filosofia di
Leibniz per dimostrare che una parte dell’attività mentale si svolge al di
fuori della coscienza. Quanto all’eventuale contributo delle scienze mediche, Hamilton riteneva che
nessun aiuto può essere fornito alla filosofia della mente dallo studio del sistema nervoso e la dottrina o l’insieme di dottrine che si fondano sul presunto
parallelismo tra mente e cervello sono, per quanto rivela l’osservazione, del
tutto infondate28.
Nella prima metà dell’Ottocento, la filosofia di Hamilton godette di un
notevole prestigio – Hamilton fu nominato baronetto e guidò un autorevole movimento di difesa del sistema universitario scozzese – e per questo
probabilmente Carpenter insistette sull’affinità tra la sua teoria medica e la
filosofia di Hamilton. Tuttavia, le simpatie di Carpenter non furono ricambiate: nelle sua lezioni sulla coscienza, Hamilton non citò Carpenter, benché fosse al corrente della sua spiegazione dell’inconscio29. Invece la teoria
di Carpenter incontrò il favore di John Stuart Mill, che di Hamilton fu il
critico più aspro30. In una lettera del gennaio 1872, Mill esaltava il saggio
sul senso comune appena pubblicato e si soffermava soprattutto sulle novità
dell’interpretazione di Carpenter. In primo luogo, l’affermazione che
Carpenter, 1875, pp. 516-519.
Hamilton, 2001, vol. III, p. 264.
29 Carpenter chiese a John Stuart Mill e a Hamilton di esprimersi sull’importanza
dell’inconscio nel pensiero umano. Mill rispose confermando che la mente pensa anche
quando non è cosciente, mentre Hamilton notò che queste osservazioni erano già state
fatte da Leibniz nei suoi Nouveaux Essaies sur l’entendement humain. L’episodio è riportato
in Laycock, 1856, pp. 432-433.
30 Nel 1865, Mill pubblicò la Examination of Sir Willam Hamilton’s Phiilosophy in cui la
filosofia di Hamilton veniva accusata di oscurità e scarsa coerenza interna. Mill dedicò
al problema dell’inconscio una sezione, in cui affermava che esso poteva essere spiegato
soltanto ricorrendo a modificazioni del sistema nervoso che non erano evidenti alla
coscienza. Ipotizzando che in un ragionamento, “le concatenazioni causali potessero
procedere soltanto fisicamente”, senza che esse fossero coscienti, Mill poteva avere in
mente Carpenter e la sua unconscious cerebration (Mill, 1979, p. 263).
27 28 70
Cristina Paoletti
spesso si deve credere all’intuizione piuttosto che al giudizio ponderato è precisamente […] perché non è una questione di senso comune, ma di senso non
comune (an affair of uncommon sense), visto che le percezioni e conoscenze
che sono culminate nel giudizio intuitivo sono proprie dell’individuo31.
Carpenter estendeva il senso comune alle nozioni, credenze e convinzioni
individuali, che apparivano notevolmente diverse tra gli uomini perché prodotte attraverso l’esperienza e l’educazione. Questa teoria ben si coniugava
con la difesa di Mill dell’individuo e della sua singolarità e infatti Mill non
trovava affatto bizzarro che il senso comune perdesse la sua pretesa di essere
un principio universale – catholic, come aveva spesso scritto con sarcasmo –
per diventare invece una caratteristica propria di ogni uomo.
Carpenter spiegava il senso comune attraverso un’associazione di idee
e una combinazione di atti riflessi che nel tempo erano diventate forti e
costanti; questa era stata la definizione che James Mill aveva dato della
credenza32. In una nota all’Analysis, John Stuart esprimeva la sua insoddisfazione per questa spiegazione, prima di tutto perché “se la credenza
consistesse in un’associazione indissolubile, la credenza stessa sarebbe
indissolubile”, mentre esistono ovviamente credenze che cambiano nella
storia e addirittura nella vita dell’individuo33. Inoltre, fondando l’evidenza
e la verità sulla credenza e sul grado di assenso che la mente conferisce a
certe proposizioni, James Mill trascurava il fatto che “se la credenza consiste soltanto in un’associazione, la credenza dipende allora dal caso e
dall’abitudine”34. Come i filosofi del senso comune, ricordati da John Stuart
nella enumeration of Fallacies prodotte da false credenze, James Mill sembrava confondere il valore epistemologico della credenza con quello psicologico: mentre questa poteva apparire certa e indubitabile alla mente,
tuttavia restava ancora da verificare la sua origine e la sua validità, aspetti
che non erano indagati né dai filosofi del senso comune né da James Mill.
Contrariamente a James Mill, Carpenter ammetteva la modificabilità della
credenza e, collocandola tra i fenomeni fisiologici, aiutava a sfatare il mito
della credenza come fenomeno ‘puramente mentale’ che inspiegabilmente
Mill, 1972, p. 1869.
“Sappiamo che l’intensità dell’associazione produce due effetti. Uno è unire le sensazioni
così profondamente tanto che appaiono un unico feeling. Il secondo è rendere l’associazione
inseparabile, tanto che se una sensazione esiste, l’altra appare necessariamente insieme
alla prima” (Mill, 1992, vol. I, p. 258). La filosofia della mente di James Mill è discussa in
Bucchi, 2001.
33 Mill, 1989, p. 161.
34 Ivi, p. 163.
31 32 William Carpenter e la fisiologia del senso comune
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rivela conoscenze sul mondo esterno che sono inaccessibili alla ragione e
all’esperienza. La fisiologizzazione del senso comune operata da Carpenter
era agli occhi di John Stuart Mill un’ulteriore riaffermazione dei limiti concreti della conoscenza umana: se Carpenter aveva dato un’autorevole ed
esauriente descrizione dei processi organici da cui hanno origine le credenze, doveva essere ancora più difficile confondere la conoscenza intuitiva
e non razionale con un segno della Provvidenza divina o un elemento privilegiato della conoscenza umana.
Inoltre Carpenter sembrava aver corretto un altro difetto della filosofia
del senso comune. Se infatti una critica frequente agli ‘intuizionisti’ era il
fatto di aver trattato come indimostrabile ciò che invece richiedeva dimostrazione, Carpenter aveva mostrato che
nel caso del senso comune proprio le parole implicano che i fatti, che sono la
reale giustificazione dei giudizi, sono familiari a tutta l’umanità. Se è così, io
capisco che molti giudizi possono essere riformulati ed espressi in una forma
che ammetta di essere sottoposta a una verifica scientifica. Ora questo deve
essere sempre fatto quando possibile. A causa della mancanza di tale verifica i
giudizi del senso comune sono giudizi tratti da apparenze superficiali35.
Mill giudicò positivamente l’origine storica dei principi del senso
comune, per il fatto che veniva negata l’impossibilità di qualsiasi spiegazione o dimostrazione. La loro dipendenza dalle strutture del sistema
nervoso e la loro plasticità all’influenza dell’ambiente erano la prova più
convincente che il senso comune ha origine nell’esperienza e non è, come
avevano sostenuto Reid e Stewart, la guida in ogni conoscenza empirica del
mondo. L’apprezzamento di Mill derivava dal fatto che Carpenter aveva in
qualche modo snaturato il senso comune: i principi ‘originari’ non servivano per fondare epistemologicamente la conoscenza umana, ma l’intuizione era soltanto una forma ‘abbreviata’ di pensiero, la cui forza consisteva
nel poter essere riportato alla forma argomentativa quando necessario.
Secondo Reid sarebbe stato vano – o addirittura ridicolo – ricostruire l’origine e le circostanze in cui una credenza del senso comune si era formata.
Per Mill, invece, essa costituiva una prova dell’attendibilità delle credenze
che apparivano autoevidenti, dal momento che avrebbe permesso di riconoscere quelle formate attraverso un processo rigoroso e di escludere invece
quelle non attendibili. I ‘principi’ del senso comune acquistavano credibilità
agli occhi di Mill in quanto perdevano il loro carattere assiomatico: non più
35 Mill, 1972, p. 1869.
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Cristina Paoletti
presupposto di ogni ragionamento possibile, ma semplicemente modello
costruito empiricamente ed eventualmente modificabile.
Conclusione: una filosofia dell’abitudine
Nei Principles of Psychology del 1890, William James scriveva che la fisiologia di Carpenter dimostrava che “il nostro sistema nervoso si sviluppa nei
modi in cui è stato esercitato”, una massima che esprime l’essenza della philosophy of habit36. James riportava lunghe citazioni dai Principles of Mental
Physiology per dimostrare che gli istinti, cioè tendenze innate comuni sia
all’uomo sia agli animali, e gli abiti mentali propriamente umani, tra cui
anche la ragione, hanno la loro origine negli stessi meccanismi nervosi.
James si soffermava a lungo sulla plasticità delle fibre nervose, sulla possibilità che fossero gradualmente modificate attraverso l’esercizio, l’educazione e
lo sforzo volontario, e che dunque gli istinti potessero evolversi e che potessero costituirsi nuovi automatismi mentali. Contrariamente a Carpenter, il
senso comune non veniva mai evocato, ma venivano richiamati quei “movimenti riflessi secondari” attraverso i quali Carpenter aveva spiegato l’acquisizione delle credenze ‘fondamentali’ degli uomini. Di questi abiti mentali,
James sottolineava il carattere benefico per l’individuo e la società poiché
da essi dipendono non solo le abilità necessarie nelle diverse professioni, ma
anche la tenacia con cui qualsiasi lavoratore persegue i suoi obiettivi. Non un
dono della Provvidenza divina, come erano spesso state definite nel diciottesimo secolo, le tendenze della mente si formavano attraverso l’autodisciplina
e l’esercizio volontario. Per questo, corretti abiti mentali diventavano segno
di un’appropriata educazione e di un elevato carattere morale, che avevano
plasmato nel modo più proficuo la mente dell’individuo.
Questa accezione di abito mentale riprendeva il carattere naturale e nonrazionale dei principi del senso comune: erano un feeling o belief che non
potevano essere dimostrati e a cui ognuno era portato istintivamente a credere. Ovviamente essi non erano universali, anzi molti erano chiaramente
legati alla vita e all’esperienza proprie del singolo. Tuttavia potevano dirsi
comuni in quanto si tendeva a non metterli in dubbio e li si accettava invece
come ‘primi’ e ‘originari’. Come il senso comune, gli abiti mentali sono una
guida del plain man, anche se non garantiscono la verità delle conoscenze
ottenute né indicano un infallibile metodo di ricerca. Gli abiti mentali valgono per James come uno strumento in grado di alleggerire e accelerare i
36 James, 1950, vol. I, p. 112.
William Carpenter e la fisiologia del senso comune
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processi più complessi; la loro forza consiste nell’aver reso “il sistema nervoso un alleato piuttosto che un nemico, come se, dopo aver guadagnato e
investito un capitale, potessimo vivere di rendita sugli interessi maturati”37.
Se da una parte la parola habit richiamava una lunga tradizione associazionista (che comprendeva ad esempio Hartley e i due Mill) che James
aveva aspramente criticato, la fisiologia di Carpenter permetteva di eliminare il meccanicismo evocato dalla dottrina dell’associazione di idee.
Operazione automatica in quanto sfugge alla coscienza, l’abitudine
secondo James non è un meccanismo cieco né fisso, ma soggetto a continui aggiustamenti dovuti all’influenza dell’ambiente e ai comandi della
volontà. Il solido fondamento fisiologico che Carpenter aveva dato alla credenza e all’abitudine le rendeva facoltà flessibili ai diversi fini deliberatamente scelti dalla volontà e in grado di evolversi nel tempo. Pertanto James
riprendeva da Carpenter non solo la nozione di volontà come potere attivo
– un aspetto notato da Daston – ma ne recuperava anche la fisiologia del
sistema nervoso e la sua relazione con la coscienza. Conseguenza dei reflex
acts, l’associazione, l’abitudine e il senso comune diventavano una parte
essenziale dello stream of consciousness e nello stesso tempo perdevano i
caratteri di astrattezza e intellettualismo, che James attribuiva a gran parte
della filosofia della mente ottocentesca.
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