Una canzone importante

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I TEMI: sette note
Roberto Cotroneo
Una canzone importante
Ti ricordi, Andrea, che caldo faceva? In quella tua scuoletta, con le
classi che stanno ognuna in una casettina di legno. C’era la tua recita
di fine anno. La prima recita di fine anno delle elementari. Tu eri uno
dei dottori di Pinocchio. Ti avevano vestito con un costume bellissimo
e ti avevano anche messo gli occhiali, rotondi, dalla montatura in oro.
Eri buffo, con quegli occhi azzurrissimi dietro quelle lenti grandi. Ed
eri buffo perché tu, come sempre, prendi le cose molto seriamente.
Sembrava una bella recita come tante. Con tutti i genitori seduti sulle
vostre sedie di scuola piccole piccole, ad applaudirvi mentre recitavate Pinocchio. Ma alla fine è successa una cosa che non ci aspettavamo.
Alla fine le vostre maestre vi hanno messi tutti in fila. E ci hanno
detto che avreste cantato per noi qualche canzone.
Non potevo immaginare che avreste cantato Imagine di John Lennon.
Voi, così piccoli, a ripetere quei versi in inglese che furono scritti tanti anni fa: «Imagine there’s no heaven. It’s easy if you try...».
Cosa puoi aver capito, Andrea, di quelle parole che ripetevi, cercando
di seguire la musica della chitarra con cui la tua maestra Monica vi
accompagnava?
Parole in inglese, una lingua che ancora non conosci, parole che dicono molte cose. Vi tenevate tutti per mano, e non ricordo più se tu
avevi ancora addosso gli occhiali oppure no. Certo, era commovente.
In quel momento si intrecciavano dei mondi. Voi che ripetevate una
canzone di cui sapevate poco. Noi genitori di bambini di sette anni,
genitori che appartengono alla generazione di quella canzone, a pensare che i fili delle esperienze riuniscono tutti e sono fili comuni. Tu
cantavi una canzone che noi conosciamo bene, che è stata una canzone importante, emozionante persino. Che parla di pace, che parla
di un mondo più giusto, che tra le altre cose dice: «Imagine all the
people / Living life in peace». Parole che tu hai cantato con una pronuncia incerta, senza saperne il significato, e che vogliono dire: «Immagina che tutti vivano la loro vita in pace».
Mentre ti ascoltavo guardavo le tue labbra indecise ripetere le parole
della canzone, e pensavo che la prima volta che l’ho sentita ero già
abbastanza grande. E avevo l’età per capire cosa dicesse, e perché lo
dicesse. I Beatles, gruppo musicale di cui John Lennon faceva parte,
erano stati la colonna sonora della mia adolescenza, anche se si sciolsero che avevo soltanto otto anni. Poi John Lennon, – che portava gli
occhialini-rotondi, non diversi da quelli che avevi messo tu per fare
il dottore di Pinocchio – ha preso una sua strada, si è messo a cantare
da solo, e ha abbracciato la causa della pace nel mondo.
Imagine è la canzone più emblematica, più significativa di tutto que-
Una canzone importante
sto. Uscì in un disco nel 1971, era il mese di ottobre. Divenne una
canzone universale, una delle più famose di tutta la storia della musica. John Lennon era una vera celebrità e con quella canzone si apriva
un’epoca che purtroppo finì presto. Un’epoca sincera. Proprio così,
potremmo chiamarla in questo modo. Un anno dopo averla scritta e
averla incisa, Lennon rilasciò un’intervista e a proposito di Imagine,
disse: «Imagine era una dichiarazione sincera... Cercavo di pensarci con
le parole dei bambini».
Chissà se le tue maestre sapevano che John Lennon aveva detto questo. Forse no. Eppure vi hanno insegnato, piano piano, a ripetere
quelle parole: «Imagine there’s no countries. It isn’t hard to do...»,
«Immagina non ci siano paesi, non è difficile. Niente per cui uccidere
e morire e nessuna religione. Immagina che tutti vivano la loro vita in
pace...» Cantavate, voi così piccoli, queste parole. Ma sotto c’era la musica. Una musica semplice, come molto spesso è semplice la musica.
Un giorno la risentirai, Andrea, quelle parole ti diventeranno familiari, capirai perché è stata scritta, come erano quegli anni. E cosa significa veramente. Forse non ti piacerà più di tanto, forse ne preferirai
un’altra. Oppure rimarrà una delle canzoni del tuo cuore, una di quelle che ti accompagneranno per tutta la vita.
Cosa ricorderai di quel pomeriggio? Forse nulla, forse neppure le canzoni cantate. Ma certamente accadrà un giorno che, mentre starai
leggendo un libro nella tua cameretta, la radio accesa a basso volume,
comincerai a sentire quelle note iniziali del pianoforte, lente, persino
incerte. E allora, con un movimento non voluto, senza una ragione
apparente, allungherai la mano verso la manopola che regola il volume del tuo stereo.
Forse questo avverrà in un pomeriggio simile a quello di tanti anni fa,
caldo, con il cielo blu, saturo, che disegna i contorni dei terrazzi che
puoi vedere dalla finestra. Alzerai un po’ il volume e sentirai la voce
di John Lennon che intona Imagine, e penserai che quella canzone ti
dice più di molte altre, anche se non è una delle tue, è una canzone
che sentivano i tuoi genitori e i tuoi zii più anziani. E ti chiederai
(certo che te lo chiederai) perché, ogni volta che riascolti Imagine,
qualcosa di strano si accende dentro di te. Forse qualcosa che ti fa
sorridere, o che ti fa sentire più leggero, o magari semplicemente più
felice. Ti chiederai perché proprio quella, visto che magari le tue canzoni preferite sono altre, quelle che ti stanno accompagnando lungo
la tua adolescenza. E magari, quando la farai ascoltare ai tuoi amici,
ti guarderanno perplessi e stupiti che tu possa sentire musica vecchia.
Che sentivano i loro padri, e ti chiederanno di cambiare cd. E tu lo
cambierai, accondiscendente, sapendo che la musica è sì un’esperienza
collettiva, ma riesce a essere anche un’esperienza unica, personale e
persino incomunicabile.
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I TEMI: sette note
1 melomani: gli appassionati e gli intenditori di
opera lirica.
Allora non c’è possibilità di uscita. La musica non si fa ingabbiare nei
generi. Ho sempre diffidato di chi ascolta un solo tipo di musica. Gli
ossessionati dal jazz, quelli che vanno solo ai concerti di musica classica, i melomani1, i maniaci della musica rock. I grandi musicisti sono
curiosi di tutto, non si fermano a un genere. E allora, Andrea, sorrido
quando mi dici, già adesso che hai solo sette anni, che la mia è una
musica da vecchi, e vuoi sentire i tuoi cd. Sorrido, perché è un passaggio necessario. L’affermazione dell’identità: come quando i bambini
dicono sempre io o rispondono sempre no a qualunque domanda.
L’affermazione di una identità musicale.
Solo che la tua identità musicale sarà fatta a strati, come fosse una
torta. Negli strati superficiali ci saranno le musiche che via via scoprirai nella tua vita. Quelle che senti per radio, quelle che condividi con
i tuoi amici, quelle che il mercato discografico riuscirà a farti arrivare.
E queste musiche influenzeranno il tuo quotidiano, la vita di tutti i
giorni. Poi, in uno strato intermedio, ci saranno le musiche scelte. Se
avrai passione per la musica classica, vorrà dire che lì avrai messo i
tuoi compositori preferiti, i brani che consideri più importanti di altri.
Avrai, che posso dire, il tuo Beethoven, o magari Bach, e magari ancora Charlie Parker o Keith Jarrett, o i Beatles, o chissà chi altro. Ma è
allo strato più profondo che dobbiamo arrivare, Andrea, quello della
musica che forse non hai neppure scelto, che ti è arrivata dalle vie
tortuose della vita. E che riesce, come il sommergibile di un film di
avventure, a toccare il fondale più remoto della tua sensibilità. E sai
qual è il paradosso? Che può anche accadere che quella musica non
ti piaccia affatto. Ma è dentro di te, come un paesaggio brutto che ti
è venuto incontro in un momento particolare della tua sensibilità. Un
quartiere in cui hai giocato felice, o dove magari hai conosciuto una
persona importante per te, e che nonostante tutto non riesci a ricordare come qualcosa di esteticamente brutto perché in qualche modo
ti appartiene.
tratto da R. Cotroneo, Chiedimi chi erano i Beatles, Mondadori
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