Esuli & rimasti sabato 6 luglio 2013 Piccola Storia di Fiume 25 di Rodolfo Decleva Gli orrori della guerra e dell’odio (8 e continua) Alto comando della seconda Armata italiana creò nell’isola di Arbe un campo di concentramento per civili, che ospitò complessivamente tra 10mila e 15mila persone (anziani, donne e bambini) espulse dai loro paesi e villaggi, dati alle fiamme per essere stati teatro di attacco partigiano. Per raggiungere tale località i deportati erano costretti a lunghe marce e venivano falcidiati dalla fatica, dalle intemperie, dalla fame e dalle malattie; fame e malattie che non li risparmiavano nemmeno quando si trovavano in stato di detenzione nel campo, dove mancavano anche i servizi igienici e si viveva in tenda. In questo campo furono anche rinchiusi 3.500 ebrei, con il lodevole intento – si suppone – di sottrarli alla deportazione in Germania. Un altro campo tristemente famoso fu istituito a Gonars (Udine), inizialmente per gli sloveni, ma poi - a seguito delle rappresaglie italiane in continuo aumento - anche per i civili del Gorski Kotar e dei nuovi territori annessi. Le Camicie nere fiumane non mancavano di dare il loro appoggio a queste rappresaglie, che venivano chiamate “spedizioni punitive” ed erano dirette nelle località vicine a Fiume. L’episodio più grave fu commesso dall’esercito italiano a Podhum, località annessa alla Provincia del Carnaro nei pressi di Grobnico, dove i partigiani avevano “fatto sparire” i due insegnanti giunti dall’Italia: Giovanni e Francesca Renzi, marito e moglie, perché maltrattavano gli scolari, che malvolentieri si impegnavano nell’apprendimento della lingua italiana. Era il 12 luglio del 1942. Vennero fucilate per rappresaglia 91 persone tra i 16 e i 60 anni, in base alla criminale Circolare 3/C del 1.mo marzo 1942, emessa dall’Alto comando dell’esercito, che fissava la rappresaglia nella proporzione di “una testa per un dente”, con lo scopo di colpire più duramente i civili che davano supporto logistico ai partigiani. L’ Belve umane dall’una e dall’altra parte Il villaggio fu bruciato e il resto della popolazione deportato a Arbe. Solo 20 chilometri separavano Fiume da Podhum, ma la notizia non si diffuse nella nostra città e rimase top secret per i soli addetti ai lavori, come pure quella sul campo di concentramento di Arbe. Arrivavano e giravano invece fotografie altrettanto crudeli dei nostri fantaccini oltraggiati dai partigiani di Tito, che mostravano i cadaveri di soldati italiani con le stellette conficcate negli occhi, con i sassi depositati sul ventre sventrato, o con i genitali in bocca. Belve umane dell’una e dell’altra parte, che erano il prodotto orrendo della guerra e dell’odio. Nel frattempo l’Italia aveva perso l’Etiopia e la Somalia, mentre sul fronte libico, grazie all’aiuto tedesco, era penetrata in Egitto, pregustando di impossessarsi dei giacimenti petroliferi del Medio Oriente senza però mai raggiungerli. L’handicap italo-tedesco era rappresentato dalle difficoltà dei rifornimenti che dovevano giungere dai porti del meridione d’Italia per mezzo di convogli di navi scortate dalla nostra Marina di Guerra, ma sempre più attaccate e affondate dal nemico con ingenti perdite sia di militari che di marittimi, bruciati dal petrolio in fiamme sulla superficie del mare. Anche in Russia, dove il Duce aveva mandato il CSIR Corpo Spedizione Italiano Russia a combattere per compensare l’in- a cura di Roberto Palisca tervento tedesco dell’Africa Korps in Libia, l’andamento delle battaglie era stato negativo e si concluse con la disastrosa ritirata del Don. Quel mese di ritardo nell’iniziare l’ “Operazione Barbarossa” per la liquidazione della Jugoslavia era stato complice nel produrre quella situazione. L’inizio del 1943 a Fiume si presentava pertanto molto negativo per il porto vuoto - essendo tutte le navi spostate nel Sud per i rifornimenti alla Libia - ad eccezione dei collegamenti quotidiani con Zara e la Dalmazia. Le fabbriche di guerra lavoravano a pieno ritmo mentre la popolazione soffriva i disagi delle tessere annonarie che alimentavano il mercato nero e il baratto. Intanto gli Alleati anglo-americani avevano chiuso la partita anche in Africa Settentrionale e il 10 Giugno ci fu l’atteso sbarco in Sicilia dove il Duce aveva inutilmente promesso di fermare il nemico sul bagnasciuga. Di fronte al precipitare della situazione - e dopo che il Gran Consiglio del Fascismo aveva messo in minoranza Mussolini - il 25 Luglio 1943 il Re ordinò l’arresto del Duce e la sua prigionia in una località segreta, gesto che rappresentò la fine del Fascismo. Non risulta che a Fiume fossero state eseguite gravi vendette contro Gerarchi o esponenti del vecchio Regime. La guerra purtroppo continuava mentre l’Italia, all’insaputa dell’alleato tedesco, preparava la resa incondizionata al nemico e si giunse così allo storico 8 Settembre quando il discorso sibillino del nuovo Capo del Governo Pietro Badoglio creò il caos militare e la sensazione che la guerra fosse finita. Quella sera si formarono in Piazza Dante e in Piazza Scarpa a Fiume due cortei di antifascisti che si diressero alle carceri di Via Roma per tentare la liberazione dei prigionieri politici. Alcuni reparti detti “metropolitani” giunti dalla Questura spararono alcuni colpi di fucile in aria e tra il fuggi fuggi generale la piccola folla si disciolse o si nascose nel rifugio antiaereo che era in costruzione nella stessa Via Roma. Fiume fu invasa da masse di soldati sbandati che avevano buttato le armi e cercavano di riparare nella penisola per fuggire dall’inferno jugoslavo e fu invece una grossa e dolorosa sorpresa vedere una misera umanità di vecchi e donne, con indosso laceri indumenti tipici dei bodoli della Bodolia, in cerca di un tozzo di pane. Il Centro di ristoro di Maria Kirizza In Cittavecchia si distinse la signora Maria Mansutti, detta Maria Kirizza - poi profuga e dipendente delle Poste Italiane di Genova - che organizzò un “centro di ristoro” fra le donne del rione. Si venne così a sapere che questa gente arrivava dalla prigionia di Arbe e che era diretta in Jugoslavia in cerca di ciò che restava dei loro villaggi. I fiumani si riversarono festosi in Piazza Dante, sui moli dove attraccavano le navi della “Società Fiumana di Navigazione” e in Mololongo sperando di vedere l’arrivo di navi alleate, ma accadde invece il contrario e cioè che una decina di giorni dopo giunsero i tedeschi che incorporarono la città nell’ “Adriatisches Kùstenland”, governato da un Gauleiter che risiedeva a Trieste. In aggiunta, il 12 settembre 1943 Otto Skorzeny - eroe negativo dell’incredibile liberazione di Mussolini dalla prigionia segreta di Campo Imperatore del Gran Sasso d’Italia - riaprì una nuova fase della guerra che sarà determinante del triste destino che si stava preparando per Fiume e i Fiumani. Dopo il “Ribalton” dell’ 8 settembre 1943, con il 1944 era iniziato il quarto anno di guerra e Fiume non aveva ancora subìto un bombardamento aereo anche se le sirene di allarme e pre-allarme suonavano molto spesso e senza conseguenze. I rifugi antiaerei erano stati ultimati, i capi-fabbricato e l’UNPA Unione Nazionale Protezione Antiaerea facevano osservare rigorosamente l’oscuramento, i vetri delle finestre erano tutti prudenzialmente incollati per contenere le rotture a seguito dello spostamento d’aria e le cantine erano tutte dotate di sacchetti di sabbia anti-incendio. In Piazza delle Erbe era sempre fiorente la borsa nera delle sigarette e sempre più gente prendeva il treno per andare a Trieste, dove in Ponterosso c’era il mercato dei furlani che vendevano liberamente soprattutto farina bianca e gialla, rischiando di saltare in aria per causa di attentati dei partigiani ai binari della ferrovia, come successe il 13 marzo 1944, con 8 morti e 80 feriti, o di essere mitragliati dal solito “Pippo”, il ricognitore aereo che controllava la nostra regione. La Germania si era ripresa la sovranità dei territori ceduti dall’Austria nel 1918 creando la nuova regione dell’ Adriatisches Kustenland (Litorale Germanico) e cioè la Venezia Giulia, allargata da Udine a Lubiana fino a Fiume, gestita da Prefetti e Uffici italiani per mantenere l’ordine pubblico, ma rigorosamente sotto il controllo tedesco. Al di là del ponte sull’Eneo c’era la Croazia di Ante Pavelic’. Da subito i fiumani capirono che la guerra continuava e che essi avevano 3 possibilità di comportamento: 1. schierarsi con i tedeschi 2. schierarsi con i fascisti italiani 3. fuggire in bosco per unirsi ai partigiani di Tito che erano antiitaliani. Molti, anche per evitare di finire in Germania, aderirono alla neo costituita Repubblica Sociale di Mussolini e si arruolarono nella Milizia, che era divisa in Portuale, Forestale, Ferroviaria e Postale mentre altri scelsero la Polizei tedesca. Si videro così le donne al lavoro in fabbrica e soprattutto a guidare i tram o recapitare la posta con grossi borsoni a tracolla. Pochi scelsero il bosco. Per paura dei bombardamenti i tedeschi spostarono parte della produzione del Silurificio a Fiumeveneto e a Livorno e proposero convenienti ingaggi di lavoro a operai specializzati in Germania. A quelli che volontariamente, almeno all’inizio, andavano in Germania li rassicuravamo che là non avrebbero sofferto la fame perché c’erano almeno kartofeln (patate) da mettere sotto i denti. Vittorio Broznick La Morgia fu uno di questi e quando tornò a guerra finita, giunse malato dal Campo di Concentramento di Dachau dove era finito per “indisciplina”. Un crimine esclusivamente tedesco La Germania stava subendo massicci bombardamenti giorno e notte, e gravi sconfitte sul fronte russo dove aveva perduto gran parte dei territori conquistati per cui era convinzione di tutti che le sorti della guerra erano ormai segnate a favore degli Alleati, che stavano approntando il colpo finale con l’Operazione Overlord per l’apertura di un nuovo fronte nel Continente o in Dalmazia. Solo i tedeschi avevano fiducia nella vittoria finale di Hitler, che prometteva armi distruttive nuove, che sarebbero state capaci di ribaltare la situazione e perciò difendevano strenuamente ogni metro di territorio italiano allo scopo di guadagnare tempo per i loro scienziati. Nel contempo, con le loro temute SS inasprivano in città e nelle fabbriche la repressione delle cellule antifasciste unitamente a improvvise retate e rastrellamenti dei boschi del circondario. I primi bombardamenti anglo-americani avvennero nei giorni della Befana 1944 e continuarono periodicamente provocando vittime e danni agli impianti portuali e industriali, nonché agli edifici civili. Gli effetti della guerra stavano purtroppo segnando inesorabilmente anche la nostra città che nel 1941 si era illusa di averla fatta franca. A Fiume la gente parteggiava sempre più contro i tedeschi e i fascisti, e seguiva con molta attenzione l’avanzata dell’esercito di Tito, ma non risulta che molti fiumani siano scappati in bosco. Il 30 Aprile 1944 i partigiani attaccano un presidio fascista a Rupa, bivio importante sulla strada Trieste-Fiume-Lubiana e il Capo-posto chiede aiuto ad una colonna tedesca ferma al bivio. Mentre questa sta decidendo il da farsi, cade una granata che provoca dei morti fra i tedeschi. Immediatamente il Comandante tedesco si collega con il suo Comando di Castelnuovo d’Istria (Podgrad), che invia il Battaglione SS “Triest”, che inquadra numerosi ucraini e procede alla eliminazione dei partigiani. Per rappresaglia i tedeschi sfogano poi il loro odio sul vicino paese di Lipa, entrano nelle case, uccidono e concentrano gli abitanti sopravissuti in un edificio diroccato all’inizio del paese. La gente pensa di finire al confino e invece latte di benzina vengono versate su di loro e colpi di mitra per chi tenta di uscire da quell’inferno. Dei 300 abitanti di Lipa solo una trentina di persone rimasero vive e furono i ragazzi che pascolavano il bestiame nei dintorni o i giovani che erano in bosco coi partigiani o quelle poche persone che - pur essendo domenica - erano ugualmente a Fiume per lavoro. Lipa distava da Fiume 23 km. e faceva parte della Provincia del Carnaro. Non fu crimine italiano, ma esclusivamente tedesco, al comando del Ten. Arthur Walter. Man mano che i partigiani di Tito si avvicinavano a Fiume, attentati e fucilazioni si susseguivano in città e l’attentato al Ristorante “Ornitorinco” fu quello che fece molta impressione per il risultato di aver eliminato o ferito presunti aguzzini nazisti e delatori fascisti. Il 30 Gennaio 1944 venne incendiato il Tempio Israelitico di Via Pomerio 31 mediante una esplosione preparata dalla Polizia tedesca e quando arrivarono i pompieri fu impedito loro di procedere allo spegnimento per cui andò distrutto l’interno con tutto il suo arredamento, le Sacre Scritture, l’archivio e la biblioteca. 403 ebrei fiumani, tollerati dal Fascio dopo le Leggi razziali del 1938, riuscirono a sfuggire alla caccia dei tedeschi mentre 208 dopo esser stati depredati dei loro averi - furono deportati prima alla Risiera di San Sabba di Trieste e poi al Campo di Auschwitz.