gruppi di lie - Corso di Laurea in Matematica

Dipartimento di Matematica – Università di Torino
GRUPPI DI LIE
E. Abbena – S. Console – S. Garbiero
A.A. 2006–2007
Indice
Introduzione
v
Capitolo 1. Gruppi e algebre di Lie, generalità
1.1. Definizioni ed esempi
1.2. Algebra di Lie di un gruppo di Lie
1.3. L’applicazione esponenziale
1.4. Relazioni tra un gruppo di Lie e la sua algebra di Lie
1.5. Forme differenziali invarianti ed equazioni di struttura
1.6. Sottogruppi di Lie
1.7. Rivestimenti di gruppi di Lie
1.8. Rappresentazione aggiunta
1.9. Algebre e gruppi di Lie semisemplici e risolubili
1.10. Classificazione delle algebre di Lie reali di dimensione 3
1.11. Gruppi di Lie di dimensione 4
1
1
6
11
17
21
28
38
42
46
54
60
Capitolo 2. Richiami di geometria Riemanniana
2.1. Varietà Riemanniane ed isometrie
2.2. Connessioni su varietà Riemanniane
2.3. Tensori di curvatura
2.4. Equazioni di struttura di Cartan
2.5. Geodetiche e teorema di Myers
61
61
67
72
77
81
Capitolo 3. Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie
3.1. Metriche invarianti a sinistra e metriche biinvarianti
3.2. Metriche invarianti sui gruppi di Lie di dimensione 3
3.3. Curvatura sezionale di una metrica invariante
3.4. Curvature di Ricci e scalare di una metrica invariante
83
83
93
98
105
Appendice A. Spazi proiettivi e gruppi classici
109
Appendice B. Omotopia e gruppo fondamentale
113
Appendice C. Rivestimenti
117
Bibliografia
121
iii
Introduzione
Queste note sono relative al Corso di “Gruppi di Lie” tenuto, nell’ambito del VI Ciclo di Dottorato in Matematica, presso il Dipartimento di
Matematica dell’Università di Torino, nell’Anno Accademico 1990/91.
Lo scopo del Corso è stato quello di fornire un’introduzione alla teoria
dei gruppi di Lie e delle metriche Riemanniane invarianti. Dato il prevalente
fine didattico, si è cercato di ridurre al minimo i prerequisiti, che consistono in una conoscenza delle nozioni principali sulle varietà differenziabili e
sui campi vettoriali. In ogni caso, le definizioni e le proprietà richieste si
possono trovare nel testo di W. Boothby [5], le cui notazioni sono state ampiamente adottate nel corso dell’esposizione. Si è deciso, inoltre, di limitare
il numero delle dimostrazioni riportate integralmente, preferendo sviluppare
maggiormente gli aspetti più “pratici” come, ad esempio, calcoli dettagliati
su esempi significativi.
Desideriamo ringraziare, in modo particolare, i Proff. Franco TRICERRI, dell’Università di Firenze, che tenne il Corso di Gruppi di Lie a Cortona
nel 1983, a cui queste note si sono largamente ispirate, e Alfred GRAY dell’Università di Maryland, per aver messo a nostra disposizione le sue note
dei Corsi di Ph.D.
Torino, febbraio 2007
v
CAPITOLO 1
Gruppi e algebre di Lie, generalità
In questo capitolo vengono presentate le proprietà principali dei gruppi
e delle algebre di Lie.
1.1. Definizioni ed esempi
Le varietà differenziabili considerate in queste note sono spazi di Hausdorff che verificano il secondo assioma di numerabilità (esiste una base
numerabile per la famiglia degli aperti).
Definizione 1.1.1. Un gruppo di Lie (reale) è una varietà differenziabile analitica reale G tale che
i) G ha la struttura di gruppo,
ii) le applicazioni
G × G −→ G,
(a, b) 7−→ ab,
a 7−→ a−1
G −→ G,
sono analitiche (G × G è dotato della struttura differenziabile prodotto).
Osservazioni.
1) La condizione ii) è equivalente alla seguente:
ii’) l’applicazione G × G −→ G, (a, b) 7−→ ab−1 , è analitica.
2) Se nella definizione precedente si suppone che G sia una varietà complessa, si ottiene un gruppo di Lie complesso. Si noti che, essendo ogni
varietà complessa una varietà reale, un gruppo di Lie complesso è anche
un gruppo di Lie reale.
3) Se, invece, si suppone che G sia soltanto uno spazio topologico di Hausdorff e che le applicazioni considerate nel punto ii) siano continue, si ha
la definizione di gruppo topologico.
È evidente che ogni gruppo di Lie è un gruppo topologico. Un famoso
problema, proposto da Hilbert (V problema), consiste nel provare che un
gruppo topologico localmente euclideo (tale cioè che ogni punto abbia un
intorno omeomorfo ad un aperto di Rn ) ammette sempre un’unica struttura di varietà analitica rispetto alla quale diventa un gruppo di Lie. La
dimostrazione di tale affermazione si deve a Von Neumann (1933), nel caso compatto, ed a Gleason, Montgomery e Zippin (1952) nel caso generale.
Questo risultato implica, tra l’altro, che l’ipotesi di analiticità per i gruppi
di Lie non è affatto restrittiva.
1
2
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Esempi.
(1) Rn è un gruppo di Lie reale abeliano, rispetto alla struttura differenziabile ordinaria. Analogamente, Cn è un gruppo di Lie complesso
abeliano.
(2) Indichiamo con GL(n, R) il gruppo lineare generale, ossia l’insieme
delle matrici reali di ordine n con determinante diverso da zero. Iden2
tificando una matrice di ordine n con un punto di Rn , si vede che la
funzione
det : M(n, R) −→ R, A 7−→ det A
(M(n, R) denota l’insieme di tutte le matrici di ordine n) è continua;
l’insieme det−1 (0) è chiuso e, quindi, GL(n, R) = M(n, R) − det−1 (0) è
2
aperto in Rn . Pertanto, GL(n, R) ha la struttura di varietà analitica
reale aperta, indotta da quella di M(n, R). Ricordando le espressioni
del prodotto di due matrici e della matrice inversa, si ha che GL(n, R)
è un gruppo di Lie di dimensione n2 .
In generale, se V è uno spazio vettoriale reale di dimensione n,
GL(V ), il gruppo degli isomorfismi lineari di V , è un gruppo di Lie,
isomorfo a GL(n, R) (fissata una base in V ).
(3) Consideriamo la circonferenza unitaria S 1 nel piano
{z ∈ C / |z| = 1} = {z ∈ C / z = eiθ = cos θ + i sin θ, θ ∈ R}.
S 1 ha una struttura naturale di varietà analitica di dimensione 1 (le
funzioni sin e cos sono omeomorfismi locali su opportuni aperti che ricoprono S 1 ). Inoltre, S 1 è un gruppo abeliano rispetto al prodotto di
numeri complessi. S 1 è isomorfo ai seguenti gruppi
cos θ − sin θ
i) SO(2) = A ∈ M(2, R) / A =
, θ∈R ;
sin θ cos θ
ii) R/Z, gruppo quoziente rispetto alla congruenza modulo Z.
Mediante gli isomorfismi precedenti, non è difficile verificare che S 1
è un gruppo di Lie.
Introduciamo ora la nozione di omomorfismo tra gruppi di Lie.
Definizione 1.1.2. Siano G e H due gruppi di Lie. Si dice omomorfismo analitico ogni applicazione analitica φ : G −→ H che sia anche un omomorfismo di gruppi. Se φ è un isomorfismo di gruppi e un
diffeomorfismo, φ prende il nome di isomorfismo analitico.
Dati due gruppi di Lie G e H, è possibile costruire altri gruppi di Lie
nel modo seguente. Supponiamo che per ogni a ∈ G esista un automorfismo
αa di H in sè tale che:
(1) per ogni a, b ∈ G
αab = αa ◦ αb ,
(2) l’applicazione
G × H −→ H,
sia analitica.
(a, h) 7−→ αa (h)
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
3
In tal caso, si verifica che la varietà analitica H × G, dotata dell’operazione
(h, a)(h0 , b) = (hαa (h0 ), ab),
h, h0 ∈ H, a, b, ∈ G,
è un gruppo di Lie, detto prodotto semidiretto di H e G rispetto ad
α ed indicato con H oα G. Se αa = idH , per ogni a ∈ G, si ha il prodotto
diretto e si scrive H ×G. Si noti che H è un sottogruppo normale di H oα G.
Esempi.
(1) Siano G = GL(n, R), H = Rn , A ∈ GL(n, R), αA : H −→ H, u 7−→ Au.
Allora H oα G non è altro che il gruppo delle affinità di Rn . Si osservi
che si può identificare H oα G con il gruppo K di matrici
A tu
B ∈ GL(n + 1, R) / B =
, A ∈ GL(n, R), u ∈ Rn .
0 1
(2) Se G = S 1 , il prodotto diretto
1
Tn = S
· · × S }1
| × ·{z
n volte
si dice toro reale di dimensione n. Si noti che T n è analiticamente
isomorfo a Rn /Zn , gruppo quoziente di Rn rispetto alla relazione di
congruenza modulo Zn .
Introduciamo ora delle particolari algebre che, come vedremo, sono strettamente collegate ai gruppi di Lie.
Definizione 1.1.3. Un’algebra di Lie reale è uno spazio vettoriale reale
g dotato di un’applicazione bilineare (detta parentesi di Lie o semplicemente
“bracket”)
[ , ] : g × g −→ g,
che verifica le seguenti proprietà:
(X, Y ) 7−→ [X, Y ],
(1)
[X, Y ] = −[Y, X],
(2)
SX,Y,Z [[X, Y ], Z] = [[X, Y ], Z] + [[Y, Z], X] + [[Z, X], Y ] = 0,
def.
per ogni X, Y, Z ∈ g (SX,Y,Z denota la somma sulle permutazioni cicliche
di X, Y, Z). La (2) è detta identità di Jacobi.
Definizione 1.1.4. Un omomorfismo di algebre di Lie è un’applicazione lineare φ : g −→ g0 tale che
φ([X, Y ]) = [φ(X), φ(Y )],
per ogni X, Y ∈ g. I monomorfismi, gli epimorfismi e gli isomorfismi
di algebre di Lie si definiscono in modo ovvio.
Siano a, b due sottospazi vettoriali di un’algebra di Lie g. Poniamo
(
)
X
[a, b] =
ai [Xi , Yi ], Xi ∈ a, Yi ∈ b, ai ∈ R .
i
4
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Definizione 1.1.5. Un sottospazio vettoriale h di g si dice sottoalgebra
di Lie se [h, h] ⊆ h. h è un ideale di g se [h, g] ⊆ h.
Vale la seguente proprietà, la cui dimostrazione consiste in una semplice
verifica.
Proprietà 1.1.6. Sia φ : g −→ g0 un omomorfismo di algebre di Lie.
Allora:
(1) ker φ è un ideale di g e im φ è una sottoalgebra di g0 ;
(2) se h è un ideale di g, g/h è ancora un’algebra di Lie con parentesi di Lie
data da
[X + h, Y + h] = [X, Y ] + h, X, Y, ∈ g.
Esempi.
(1) g = Rn , con parentesi di Lie definita da [u, v] = 0 per ogni u, v ∈ Rn , è
un’algebra di Lie abeliana. In generale, si dice abeliana un’algebra di
Lie la cui parentesi di Lie è identicamente nulla.
(2) Sia g = gl(n, R) lo spazio vettoriale delle matrici reali di ordine n (come
insieme coincide con M(n, R)) dotato dell’operazione
[A, B] = AB − BA,
per ogni A, B ∈ gl(n, R). Si verifica che gl(n, R) è un’algebra di Lie.
Più in generale, se V è uno spazio vettoriale reale, indichiamo con gl(V )
l’algebra di Lie degli endomorfismi lineari di V . La parentesi di Lie è
data da
[f, g] = f ◦ g − g ◦ f,
per ogni f, g ∈ gl(V ). Se V ha dimensione n, scelta una base di V , gl(V )
è isomorfa, come algebra di Lie, a gl(n, R).
Definizione 1.1.7. Sia g un’algebra di Lie. Un endomorfismo (di spazi
vettoriali) φ di g si dice derivazione di g se:
φ([X, Y ]) = [φ(X), Y ] + [X, φ(Y )],
per ogni X, Y ∈ g.
Indicato con Der(g) l’insieme delle derivazioni di g, si verifica che:
(1) se φ, ψ ∈ Der(g) e a ∈ R, allora: φ + ψ ∈ Der(g), aφ ∈ Der(g) e
[φ, ψ] = φ ◦ ψ − ψ ◦ φ ∈ Der(g).
(2) Der(g) è una sottoalgebra di Lie di gl(g), detta algebra di Lie delle
derivazioni di g.
Si noti che, se X ∈ g, l’endomorfismo lineare
adX : g −→ g,
Y 7−→ adX Y = [X, Y ]
è una derivazione di g, detta derivazione interna. Si prova che:
(1) [adX , adY ] = ad[X,Y ] , per ogni X, Y ∈ g.
(2) ad(g) = {φ ∈ Der(g) / φ = adX , X ∈ g} è un’algebra di Lie, sottoalgebra di Der(g), detta algebra di Lie delle derivazioni interne.
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
5
Definizione 1.1.8. Siano g e h due algebre di Lie e δ : g −→ Der(h) un
omomorfismo di algebre di Lie. Si consideri h × g dotato della struttura di
spazio vettoriale somma diretta e si definisca il prodotto in h × g nel modo
seguente
[(U, X), (V, Y )] = ([U, V ] + δ(X)V − δ(Y )U, [X, Y ]),
per ogni U, V ∈ h e X, Y ∈ g. Si ottiene cosı̀ un’algebra di Lie, denotata con
h ⊕δ g, detta somma semidiretta di h e g (rispetto a δ).
Si noti che h è un ideale di h ⊕δ g. Se δ(X) = 0, per ogni X ∈ g, si parla
di somma diretta di algebre di Lie e si scrive semplicemente h ⊕ g.
Esercizi.
1.1.1 Descrivere esplicitamente la struttura analitica di S 1 (atlante delle
carte locali e funzioni di transizione) e verificare che S 1 è un gruppo
di Lie. Ripetere lo stesso esercizio nel caso di GL(n, R).
1.1.2 Provare che il prodotto semidiretto H oα G di due gruppi di Lie è un
gruppo di Lie. Verificare che H è un sottogruppo normale di H oα G.
1.1.3 Verificare che:
a) Der(g) è una sottoalgebra di gl(g);
b) adX ∈ Der(g), per ogni X ∈ g;
c) ad(g) è una sottoalgebra di Lie di Der(g).
1.1.4 Provare che la somma semidiretta h ⊕δ g di due algebre di Lie è
effettivamente un’algebra di Lie e che h è un ideale di h ⊕δ g.
1.1.5 Supponiamo che l’algebra di Lie g sia la somma diretta, come spazio
vettoriale, di due sottoalgebre h e k.
a) Stabilire che g = h ⊕ k è somma diretta di algebre di Lie se e solo
se h e k sono due ideali.
b) Provare che g è somma semidiretta di h e k se h è un ideale di g
(suggerimento: g = h ⊕δ k dove δ(X) = adX , X ∈ k).
6
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
1.2. Algebra di Lie di un gruppo di Lie
Sia G un gruppo di Lie. Per ogni a ∈ G consideriamo le seguenti
applicazioni:
La : G −→ G,
Ra : G −→ G,
Ia : G −→ G,
b 7−→ ab,
b 7−→ ba,
b 7−→ aba−1 .
La e Ra sono diffeomorfismi analitici (ma non omomorfismi di gruppi), detti traslazione sinistra e traslazione destra, rispettivamente. Ia è un
automorfismo analitico di G, detto automorfismo interno corrispondente
all’elemento a di G.
Si ricordi che se φ : M −→ N è una funzione differenziabile tra due
varietà differenziabili, il differenziale di φ nel punto p ∈ M è un’applicazione
lineare tra gli spazi tangenti Tp M e Tφ(p) N , indicata con φ∗|p .
Definizione 1.2.1. Sia X un campo vettoriale analitico su G. X si dice
invariante a sinistra (a destra) se
(La )∗ b Xb = Xab ,
((Ra )∗ b Xb = Xba )
per ogni a, b ∈ G.
Vale la seguente
Proprietà 1.2.2. Se X e Y sono due campi invarianti a sinistra (a
destra), anche i campi X + Y , λX, con λ ∈ R, e [X, Y ] sono invarianti a
sinistra (a destra).
Dimostrazione. Le prime due affermazioni sono conseguenza del fatto
che il differenziale è un’applicazione lineare. Per provare la terza, si osservi
che, se φ è un diffeomorfismo di G in G, dato un campo vettoriale X, si
definisce il campo φ∗ X nel modo seguente:
(φ∗ X)a = φ∗ φ−1 (a) Xφ−1 (a) , per ogni a ∈ G.
In tal caso, vale la relazione
φ∗ [X, Y ] = [φ∗ X, φ∗ Y ]
e la tesi segue dal fatto che un campo X è invariante a sinistra (a destra) se
e solo se (La )∗ X = X (oppure (Ra )∗ X = X), per ogni a ∈ G.
Dalla proprietà precedente si vede che l’insieme dei campi vettoriali invarianti a sinistra ha la struttura di algebra di Lie, detta algebra di Lie
del gruppo di Lie G.
Teorema 1.2.3. Sia G un gruppo di Lie di dimensione n. La sua algebra
di Lie g è isomorfa (come spazio vettoriale) a Te G, spazio tangente a G
nell’elemento neutro e ∈ G. Di conseguenza, anche g ha dimensione n.
Dimostrazione. Iniziamo col provare che, dato un vettore x ∈ Te G,
esiste un unico campo vettoriale invariante a sinistra X ∈ g tale che Xe = x.
Si definisce X nel modo seguente: per ogni a ∈ G, Xa = (La )∗ e x.
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
7
i) X è invariante a sinistra poichè
Xab = (Lab )∗|e x = (La )∗ b (Lb )∗ e x = (La )∗ b Xb , a, b ∈ G.
ii) X è un campo analitico. Dato che X è invariante a sinistra, è sufficiente
verificare che X è analitico in un intorno di e. A tal fine consideriamo
una carta locale (U, φ) centrata in e (cioè φ(e) = 0 ∈ Rn ). Indicate
con x1 , x2 , . . . , xn le funzioni (analitiche) coordinate locali su U , vale
l’espressione
n
X
∂
XU=
Xi i
∂x
i=1
e, quindi, il campo X è analitico se e solo se le funzioni X i sono
analitiche. Poichè X è invariante a sinistra, si ha
X i (a) = Xa (xi ) = ((La )∗ e Xe )(xi ) = Xe (xi ◦ La )
e, pertanto, basta provare che le funzioni
U −→ R,
a 7−→ Xe (xi ◦ La ), i = 1, . . . , n,
sono analitiche.
Dato che l’applicazione G × G −→ G, (a, b) 7−→ ab, è analitica (in
particolare è continua), esiste un intorno aperto V di e, contenuto in U ,
tale che V · V ⊆ U , dove V · V = {c ∈ G / c = ab, a, b ∈ V }. Introdotte
le funzioni analitiche
F i : V × V −→ R,
(a, b) 7−→ F i (a, b) = xi (ab),
i = 1, . . . , n,
dal diagramma
Fi
V × VC
C
CC
CC
CC
!
φ×φ
/R
{=
{
{{
{{ ψ
{
{{
φ(V ) × φ(V )
si deduce che le funzioni
ψ i =F i ◦ (φ × φ)−1 : φ(V ) × φ(V ) −→ R
(y 1 , . . ., y n , z 1 , . . . , z n ) 7−→ ψ i (y 1 , . . . , y n , z 1 , . . . , z n )
sono analitiche nelle 2n variabili e che
F i (a, b) = ψ i (x1 (a), . . . , xn (a), x1 (b), . . . , xn (b)).
Di conseguenza, anche le funzioni
(xi ◦ La ◦ φ−1 )(z 1 , z 2 , . . . , z n ) = xi (aφ−1 (z 1 , z 2 , . . . , z n ))
= F i (a, φ−1 (z 1 , z 2 , . . . , z n )) = ψ i (x1 (a), . . . , xn (a), z 1 , . . . , z n )
8
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
sono analitiche. Infine, l’analiticità delle X i (a) in un intorno di e si
ricava dalle seguenti espressioni
i
i
X (a) = Xe (x ◦ La ) =
n
X
X h (e)
h=1
=
=
n
X
h=1
n
X
∂
(xi ◦ La )
∂xh
X h (e)
∂
(xi ◦ La ◦ φ−1 )
∂z h
X h (e)
∂ψ i
∂z h
h=1
e
(0,...,0)
(x1 (a),...,xn (a),0,...,0)
.
Da (i) e (ii) risulta che il campo X, univocamente determinato a partire da
x ∈ Te G, appartiene a g. Non è difficile verificare che l’applicazione
g −→ Te G,
X 7−→ Xe ,
è un isomorfismo di spazi vettoriali.
In base al risultato precedente, si può introdurre su Te G una struttura
di algebra di Lie definendo, per ogni x, y ∈ Te G,
[x, y] = [X, Y ]e ,
dove X e Y sono gli unici campi invarianti a sinistra tali che Xe = x,
Ye = y. In tal modo, Te G risulta isomorfo, come algebra di Lie, a g. In
seguito, spesso, le due algebre di Lie saranno identificate.
Esempio.
Siano G = GL(n, R) ed I la matrice unità. Allo scopo di determinare
esplicitamente l’algebra di Lie di GL(n, R), si può introdurre un sistema di
coordinate globali su GL(n, R) ponendo
xij (a) = aij ,
i, j = 1, . . . , n,
dove a = (aij ) ∈ GL(n, R). Ogni vettore tangente in I a GL(n, R) si può
scrivere nel modo seguente
n
∂ X
, Aij ∈ R.
x=
Aij
∂xij I
i,j=1
Di conseguenza, l’applicazione
TI (GL(n, R)) −→ gl(n, R),
x 7−→ (Aij ) = A,
è un isomorfismo di spazi vettoriali. Verifichiamo che è anche un isomorfismo
di algebre di Lie. Sia x ∈ TI (GL(n, R)); per determinare il campo invariante
a sinistra X tale che XI = x, si consideri la curva
γ(t) = I + tA,
t ∈ (−, ) ⊂ R.
A causa della continuità della funzione determinante, det(I + tA) =
6 0, se t
è sufficientemente piccolo, e quindi γ è una curva in GL(n, R) per la quale
γ(0) = I,
γ̇(0) =
dγ
dt
t=0
= x.
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
9
Sia a ∈ GL(n, R), dalla definizione di differenziale segue che
(La )∗|I x =
de
γ
dt
t=0
,
dove
γ
e(t) = (La ◦ γ)(t) = a + taA.
Quindi
ij
γ
eij (t) = x (e
γ (t)) = aij + t
n
X
aik Akj
k=1
e
n
X
de
γij
(La )∗ I x =
dt
=
i,j=1
n
X
t=0
aik Akj
i,j,k=1
∂
∂xij
∂
∂xij
a
a
=
n
X
xik (a)Akj
i,j,k=1
∂
.
∂xij a
Dall’espressione precedente, si vede che il campo invariante a sinistra X tale
che XI = x è dato da
n
X
∂
.
X=
xik Akj
∂xij
i,j,k=1
Analogamente, considerato un secondo vettore y ∈ TI (GL(n, R)) del tipo
y=
n
X
Bij
i,j=1
∂
,
∂xij I
Bij ∈ R,
il campo invariante a sinistra Y tale che YI = y è dato da:
n
X
∂
Y =
xik Bkj
.
∂xij
i,j,k=1
Pertanto
[X, Y ] =
=
=
=
n
X
n
X
∂
∂
ik
lr
x Akj
, x Brs ls
∂xij
∂x
i,j,k=1 l,r,s=1
n
X
ik
x Akj Brs
i,j,k,l,r,s=1
n
X
ik
x Akj Bjs
i,j,k,s=1
n
X
i,j,k,s=1
∂xlr ∂
−
∂xij ∂xls
∂
−
∂xis
n
X
n
X
xlr Brs Akj
i,j,k,l,r,s=1
xlr Brs Asj
j,l,r,s=1
∂xik ∂
∂xls ∂xij
∂
∂xlj
n
X
∂
∂
x (Akj Bjs − Bkj Ajs ) is =
xik [A, B]ks is .
∂x
∂x
ik
i,k,s=1
In conclusione,
[X, Y ]I =
n
X
i,s=1
[A, B]is
∂
∂xis
I
e TI (GL(n, R)) è isomorfo, come algebra di Lie, a gl(n, R).
10
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Esercizi.
1.2.1 Siano G un gruppo di Lie e φ : G −→ G un diffeomorfismo. Dato
un campo vettoriale X su G, si definisca il campo vettoriale φ∗ X nel
modo seguente
(φ∗ X)b = φ∗|φ−1 (b) Xφ−1 (b) ,
per ogni b ∈ G.
a) Provare che X è invariante a sinistra se e solo se (La )∗ X = X, per
ogni a ∈ G.
b) Verificare che se X e Y sono campi vettoriali su G, allora φ∗ [X, Y ] =
[φ∗ X, φ∗ Y ].
1.2.2 Dimostrare che, a meno di isomorfismi, esistono solo due algebre di
Lie, reali di dimensione due. Più precisamente, data un’algebra di Lie
reale g di dimensione due, provare che o g è abeliana (il “bracket”è
identicamente nullo) oppure g è isomorfa alla seguente sottoalgebra di
gl(2, R)
a b
, a, b ∈ R .
h=
0 −a
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
11
1.3. L’applicazione esponenziale
Sia g un’algebra di Lie. Dato un campo X ∈ g, indichiamo con φX la
curva integrale di X passante per l’elemento neutro e di G, cioè tale che
φX (0) = e,
φ̇X (t) = XφX (t) ,
t ∈ (−, ) ⊂ R.
In generale, una curva integrale è definita solo per t sufficientemente piccolo.
Tuttavia, poichè X è invariante a sinistra, si può provare che la curva φX
è definita su tutto R. Supposto, infatti, che φX sia definita per |t| ≤ , si
consideri la curva
ψ(t) = φX ()φX (t − ),
≤ t ≤ 2.
ψ è una curva integrale di X dato che
d
dψ
= (LφX () )∗ φX (t−) φX (t − )
dt t
dt
= (LφX () )∗
XφX (t−)
t
φX (t−)
= XφX ()φX (t−) = Xψ(t) .
Di conseguenza
ψX (t) =
(
φX (t), |t| ≤ ψ(t),
< t ≤ 2
è una curva integrale di X che estende φX all’intervallo reale − ≤ t ≤ 2.
Per induzione, si estende φX a tutto R.
Proprietà 1.3.1.
(1) φX (t + s) = φX (t)φX (s), per ogni t, s ∈ R.
(2) φX (ts) = φtX (s), per ogni t, s ∈ R.
(3) La curva integrale di X passante per a ∈ G è data da
γ(t) = aφX (t) = (La ◦ φX )(t).
Dimostrazione.
(1) Fissiamo t ∈ R. Allora γ(s) = φX (t + s) è una curva integrale di X
passante per γ(0) = φX (t). Dato che anche γ
e(s) = φX (t)φX (s) è una
curva integrale di X passante per γ
e(0) = φX (t)φX (0) = φX (t), dall’unicità delle soluzioni di un sistema di equazioni differenziali ordinarie,
assegnate le condizioni iniziali, si può concludere che γ(s) = γ
e(s).
(2) Si prova in modo analogo in quanto γ(s) = φX (ts) e γ̃(s) = φtX (s) sono
curve integrali di tX passanti per e.
(3) È sufficiente verificare che
d
(aφX (t)) = (La )∗ φX (t) φ̇X (t) = (La )∗ φX (t) XφX (t) = XaφX (t) .
t
dt
Si noti che, a causa della proprietà precedente, l’applicazione
φX : R → G,
t 7−→ φX (t),
12
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
è un omomorfismo di gruppi di Lie. Per questo motivo, φX (R) prende il
nome di sottogruppo ad un parametro di G.
Allo scopo di determinare esplicitamente i sottogruppi ad un parametro
di GL(n, R), si consideri la seguente serie di matrici:
∞
X
e
X Xk
1
1
= I + X + X 2 + X 3 + ... =
,
2!
3!
k!
k=0
dove X ∈ gl(n, R).
Teorema 1.3.2.
(1) La serie eX converge assolutamente per ogni X ∈ gl(n, R). La convergenza è uniforme sui sottoinsiemi compatti di gl(n, R).
(2) La funzione gl(n, R) → gl(n, R), X 7−→ eX , è analitica.
(3) Se X, Y ∈ gl(n, R) e XY = Y X, allora eX+Y = eX eY .
(4) eX ∈ GL(n, R), per ogni X ∈ gl(n, R).
(5) det(eX ) = etr X , per ogni X ∈ gl(n, R) (tr X è la traccia della matrice
X).
(6) Se X ∈ gl(n, R), φX (t) = etX .
Dimostrazione.
(1) Sia X = (Xij ) ∈ gl(n, R). Posto λ = sup1≤i,j≤n |Xij |, si prova per
induzione che
|(X k )ij | ≤ (nλ)k ,
k ∈ N,
da cui segue la tesi.
(2) Poichè la convergenza è uniforme sui sottoinsiemi compatti di gl(n, R) e
le somme parziali sono polinomi nelle variabili Xij , si ha che la funzione
X 7−→ eX è analitica.
(3) Se X, Y ∈ gl(n, R) e XY = Y X, si prova per induzione che
m
(X + Y )m X X r Y m−r
=
.
m!
r! (m − r)!
r=0
La tesi segue dalle proprietà del prodotto di due serie assolutamente
convergenti.
(4) Per la (3) si ha
I = e0 = eX−X = eX e−X ,
quindi (eX )−1 = e−X , ossia eX ∈ GL(n, R).
(5) Siano λ1 , .., λr gli autovalori distinti (eventualmente complessi) di X
con molteplicità m1 , .., mr rispettivamente. Dato che X è simile ad una
matrice triangolare superiore (forma canonica di Jordan), gli autovalori
di X k sono λk1 , .., λkr con le stesse molteplicità. Pertanto gli autovalori
di eX saranno eλ1 , .., eλr , da cui la (5).
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
13
(6) Consideriamo X = (Xij ) ∈ gl(n, R) come un campo vettoriale invariante
a sinistra su GL(n, R), cioè (cfr. l’Esempio di pag. 8)
n
X
X=
xik Xkj
i,j,k=1
∂
.
∂xij
La curva integrale φX di X passante per I soddisfa il sistema di equazioni
differenziali ordinarie

 dφ
= XφX (t)
dt
φ (0) = I.
X
Posto φX (t) = (φij (t)), in coordinate locali il sistema precedente si
riscrive come

P
 dφij
= nk=1 φik Xkj
dt
φ (0) = δ .
ij
ij
P∞ 1 k k
tX
Anche la curva ψ(t) = e = k=0 k! t X verifica lo stesso sistema con
le medesime condizioni iniziali. Quindi φX (t) = etX .
Osservazioni.
1) La funzione analitica
e : gl(n, R) −→ GL(n, R),
X 7−→ eX ,
si dice applicazione esponenziale per le matrici.
2) Se V è uno spazio vettoriale di dimensione finita (reale o complesso), si
definisce in modo del tutto analogo un’applicazione esponenziale
e : gl(V ) −→ GL(V ),
∞
X
1 k
f−
7 →e =
f ,
k!
f
k=0
per la quale valgono le stesse proprietà del Teorema 1.3.2.
Sia ora G un gruppo di Lie con algebra di Lie g. Tenuto conto della (6)
del Teorema 1.3.2, è naturale introdurre la seguente
Definizione 1.3.3. L’applicazione esponenziale di un gruppo di Lie
G è la funzione
exp : g −→ G,
X 7−→ exp X = φX (1),
dove φX è il sottogruppo ad un parametro generato da X.
Vale il
Teorema 1.3.4.
(1) exp(tX) = φX (t), exp(t + s)X = (exp tX)(exp sX), per ogni X ∈ g e t,
s ∈ R.
(2) L’applicazione exp : g −→ G è analitica.
14
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
(3) Se f è una funzione a valori reali definita su G, analitica in un intorno
di a ∈ G, si ha
∞
X
tk k
f (a exp tX) =
X (f )(a),
k!
|t| < .
k=0
(4) exp è un diffeomorfismo di un intorno di 0 ∈ g in un intorno di e ∈ G.
(5) Per ogni X, Y ∈ g si ha
t2
exp(tX) exp(tY ) = exp t(X + Y ) + [X, Y ] + O(t3 ) ,
2
exp(tX) exp(tY )(exp(−tX)) = exp tY + t2 [X, Y ] + O(t3 ) ,
dove O(t3 ) indica una funzione analitica di t, a valori in g, tale che il
vettore t13 O(t3 ) sia limitato per t → 0.
(6) Se G = GL(n, R) e g = gl(n, R), allora exp X = eX , X ∈ gl(n, R).
Dimostrazione. (1) Segue dalla Proprietà 1.3.1, punti (1) e (2).
(2) Sia (U, x1 , . . . , xn ) una carta locale analitica di G centrata in e. I vettori
(∂x1 |e , . . . , ∂xn |e ) formano una base di Te G. I corrispondenti campi
invarianti a sinistra E1 , . . . , En sono dati da
Ei =
n
X
j=1
θij
∂
,
∂xj
dove le funzioni θij sono analitiche nell’intorno U . Se X è un campo
P
∂
αi ∈ R), si ha:
invariante a sinistra tale che Xe = ni=1 αi ∂x
i e
X=
n
X
i=1
α i Ei =
n
X
i,j=1
αi θij
∂
.
∂xj
Sia φX la curva integrale di X passante per e. Posto φi (t) = xi (φX (t)),
t ∈ R, le funzioni φi sono soluzioni del sistema
 i
P
 dφ
= nj=1 αi θij (φX (t))
dt
φi (0) = 0.
Si tratta di un sistema di equazioni differenziali ordinarie che dipendono
dai parametri (α1 , .., αn ). Dalla teoria generale di tali sistemi (cfr. [5],
pag. 130), è noto che esiste un intorno W di 0 ∈ Rn , tale che le soluzioni dipendono analiticamente dai parametri (α1 , .., αn ) ∈ W . Pertanto
anche φX (t) dipende analiticamente da X se X appartiene ad un opportuno intorno V di 0 ∈ g. Quindi, exp è analitica su V . In generale,
se X ∈ g, si consideri un numero reale p tale che p1 X ∈ V . Dalla (1), si
deduce che
1
exp X = (exp X)p
p
e, quindi, exp è analitica anche in un intorno di X. In conclusione, exp
è una funzione analitica su tutto g.
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
15
(3) Se f è analitica in un intorno di a ∈ G, f (a exp tX) è analitica per |t| < e quindi
∞ k
X
t dk
f (a exp tX).
f (a exp tX) =
k! dtk
k=0
Dato che
d
f (a exp tX) = (La )∗ exp tX (Xexp tX )(f )
dt
= Xa exp tX (f ) = (Xf )(a exp tX),
per induzione si prova che
dk
f (a exp tX) = X k (f )(a exp tX).
dtk
Per t = 0 si ha la formula cercata.
(4) È sufficiente dimostrare che il differenziale di exp in 0 ∈ g non è singolare. Poichè g è uno spazio vettoriale, T0 g è isomorfo a g mediante
l’isomorfismo
dγ
g −→ T0 g, Y 7−→
,
dt t=0
dove γ(t) = tY . Posto ψ = exp, se Y ∈ g si ha:
d
d
ψ(tY )
exp(tY )
=
= Ye
t=0
t=0
dt
dt
e, quindi, ψ∗ 0 : g(' T0 g) −→ Te G, Y 7−→ Ye , è un isomorfismo.
ψ∗ 0 (Y ) =
(5) Si pone (exp tX)(exp tY ) = exp Z(t), con Z(t) funzione analitica. Allora
Z(t) = tZ1 + t2 Z2 + O(t3 ),
Z1 , Z2 ∈ g. Mediante alcuni calcoli in cui interviene la (3), si trova
Z1 = X + Y,
1
Z2 = [X, Y ].
2
(6) È una conseguenza del Teorema 1.3.2, punto (6), e della definizione di
esponenziale.
Sia G un gruppo di Lie con algebra di Lie g. Denotiamo con G0 la
componente connessa dell’elemento neutro e di G, vale a dire il più grande
sottoinsieme connesso che contiene e. Essendo g connessa e l’applicazione
esponenziale analitica, l’immagine exp(g) è contenuta in G0 . In generale,
exp non è suriettiva su G0 ; tuttavia si può provare che exp : g −→ G è
suriettiva nei casi seguenti (vedi [13], p. 135 e p. 147):
i) G è connesso e compatto;
ii) G è connesso e nilpotente.
Notiamo, infine, che G0 è sia un sottoinsieme chiuso sia un sottogruppo
di G (cfr. § 1.6). Si verifica che G0 è un gruppo di Lie rispetto alla struttura
analitica indotta. Inoltre, dato che G0 è aperto in G, Te G è isomorfo a Te G0
e, di conseguenza, G e G0 hanno la stessa algebra di Lie.
16
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Esercizi.
1.3.1 a) Verificare che l’insieme




0 a b


n = A ∈ gl(3, R) / A = 0 0 c  , a, b, c ∈ R


0 0 0
è una sottoalgebra di gl(3, R). È un ideale?
b) Determinare etA , per ogni A ∈ n, t ∈ R.
c) Verificare che n è isomorfa (come algebra di Lie) alla somma semidiretta
0 t
2
R ⊕δ R, con δ(t) =
, t ∈ R.
0 0
1.3.2 Siano G = GL(2, R) e g = gl(2, R).
a) Verificare che G0 = {a ∈ G / det a > 0} è la componente connessa
dell’identità di G. −1
1
b) Data la matrice a =
∈ G, provare che a ∈
/ exp(g) (sug0 −1
gerimento: supposto che a = exp X, X ∈ g, che cosa si può dire
degli autovalori di X?).
1.3.3 Si dia per scontato che SL(n, R) = {a ∈ GL(n, R) / det a = 1}
sia un gruppo di Lie avente come algebra di Lie sl(n, R) = {X ∈
gl(n, R) / tr X = 0} (tr X indica la traccia della matrice X). Sia
λ 0
a=
∈ SL(2, R), λ 6= 0, 1.
0 λ−1
Considerati uguali due sottogruppi ad un parametro se essi sono generati da vettori proporzionali, verificare che se λ > 0, a appartiene
ad un unico sottogruppo ad un parametro; se λ = −1, a appartiene
ad infiniti sottogruppi ad un parametro; se λ < 0, λ 6= −1, a non
appartiene ad alcun sottogruppo ad un parametro.
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
17
1.4. Relazioni tra un gruppo di Lie e la sua algebra di Lie
Sia φ : G −→ G0 un omomorfismo analitico tra due gruppi di Lie G e G0 ;
si indichino con g e g0 le loro algebre di Lie, rispettivamente. Dato X ∈ g,
il vettore φ∗ e Xe ∈ Te0 G0 , dove e ed e0 sono gli elementi neutri di G e di G0 ,
rispettivamente. Consideriamo pertanto l’unico elemento X 0 di g0 tale che
Xe0 0 = φ∗ e Xe .
Si noti che, per ogni a ∈ G, si ha
0
= (Lφ(a) )∗ e0 Xe0 0
Xφ(a)
= (Lφ(a) )∗ e0 φ∗ e Xe = (Lφ(a) ◦ φ)∗ e Xe
= (φ ◦ La )∗ e Xe = φ∗ a Xa .
In altri termini, i campi X e X 0 sono φ-riferiti (cfr. [5], pag. 119). Posto:
X 0 = φ∗ X, si ha il
Teorema 1.4.1. φ∗ : g −→ g0 , X 7−→ φ∗ X, è un omomorfismo di algebre
di Lie ed il diagramma
φ∗
g
expG
/ g0
0
G
φ
expG
/ G0
0
commuta, cioè φ(expG X) = expG (φ∗ X), X ∈ g.
Dimostrazione. φ∗ è lineare; inoltre, se X 0 e Y 0 sono φ-riferiti a X e
Y , allora [X 0 , Y 0 ] è φ-riferito a [X, Y ] (cfr. [5], Teorema 7.9). Quindi, φ∗ è
un omomorfismo di algebre di Lie. La commutatività del diagramma segue
dalla definizione stessa di applicazione esponenziale.
Si osservi che il teorema precedente è ancora vero anche se φ è un omomorfismo locale, cioè se φ : U −→ U 0 è una funzione analitica (dove U e
U 0 sono intorni di e ∈ G ed e0 ∈ G0 , rispettivamente) per la quale si ha
φ(ab) = φ(a)φ(b),
per ogni a, b ∈ U tali che ab ∈ U e φ(ab) ∈ U 0 . Infatti, per costruire φ∗
si utilizza solo il differenziale di φ in e e, quindi, è sufficiente conoscere il
valore di φ in un intorno dell’elemento neutro.
Un isomorfismo locale tra due gruppi di Lie G e G0 è un omomorfismo
locale φ : U −→ U 0 che è anche un diffeomorfismo analitico. In tal caso, φ∗
è un isomorfismo di algebre di Lie. Si possono provare i seguenti risultati.
Teorema 1.4.2 (Primo Teorema di Lie). Se due gruppi di Lie G e G0
sono localmente isomorfi, le loro algebre di Lie g e g0 sono isomorfe.
Teorema 1.4.3 (Secondo Teorema di Lie). Due gruppi di Lie G e G0 ,
le cui algebre di Lie g e g0 siano isomorfe, sono localmente isomorfi.
18
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Dimostrazione. (cenno) È basata sulla formula di Campbell–Hausdorff.
Se X, Y ∈ g, si può scrivere
exp X · exp Y = exp f (X, Y ),
P∞
dove f (X, Y ) = n=1 cn (X, Y ) è una serie che converge in un intorno di
(0, 0) ∈ g × g. Con alcuni calcoli, si trova che
1
c1 (X, Y ) =X + Y, c2 (X, Y ) = [X, Y ],
2
1
c3 (X, Y ) = {[X, [X, Y ]] + [Y, [Y, X]]}, ecc.
12
La formula di Campbell–Hausdorff esprime induttivamente il termine generale cn in funzione di “brackets” iterati (cfr. [22], pag. 134). Perciò, se ψ è
un isomorfismo di algebre di Lie, si ha che
ψ(f (X, Y )) = f (ψ(X), ψ(Y )), X, Y ∈ g.
Supponiamo allora che ψ : g −→ g0 sia un isomorfismo tra le algebre di Lie
di G e G0 . Consideriamo un intorno U di e ∈ G tale che
expG : W −→ U,
(W intorno di 0 ∈ g),
sia un diffeomorfismo analitico. Scegliendo W sufficientemente piccolo, si
può supporre che W 0 = ψ(W ) abbia la stessa proprietà, cioè
0
expG : W 0 −→ U 0
sia un diffeomorfismo analitico. Si ha il diagramma seguente:
g⊃W
expG
ψ
/ W 0 ⊂ g0
0
G⊃U
φ
expG
/ U ⊂ G0
0
0
dove φ = expG ◦ψ ◦ exp−1
G : U −→ U è un diffeomorfismo analitico. Verifichiamo che φ è un isomorfismo locale. Siano X, Y ∈ W ; allora
0
φ(expG X expG Y ) = φ{expG f (X, Y )} = expG {ψf (X, Y )}
0
0
= expG {f (ψ(X), ψ(Y ))} = expG ψ(X) expG0 ψ(Y )
= φ(expG X)φ(expG Y ).
Una seconda dimostrazione di questo teorema verrà data nel § 1.7.
In certi casi un isomorfismo locale si può estendere ad un isomorfismo
globale (in modo unico). Per esaminare questa situazione sono necessarie
alcune premesse.
Sia U un intorno aperto dell’elemento neutro e ∈ G. Poichè il prodotto in
G è una funzione continua, esistono due intorni V1 , V2 di e tali che V1 V2 ⊂ U .
Poniamo V = V1 ∩V2 e W = V ∩V −1 dove V −1 = {a−1 /a ∈ V }. E’ evidente
che W è un intorno aperto di e ∈ G tale che
1) W ⊂ U,
2) W 2 = W W ⊂ U,
3) W = W −1 .
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
19
W si dice intorno simmetrico di e. Pertanto, ogni intorno U di e contiene
un intorno simmetrico. Si ha il
Teorema 1.4.4. Sia G un gruppo di Lie e U un intorno aperto di e ∈ G.
S
n è un sottogruppo aperto e
(1) Se U è simmetrico, allora H = ∞
n=1 U
n
chiuso di G (dove U = U
. . U}). Inoltre, se U è connesso anche H è
| .{z
n volte
connesso.
S
n
(2) Se G è connesso, G = ∞
n=1 U . In altri termini: ogni intorno aperto
dell’elemento neutro genera G.
Dimostrazione.
(1) Se U è simmetrico si controlla immediatamente che H è un sottogruppo
di G. Inoltre
[
U2 =
aU
a∈U
è un aperto perchè ogni aU, a ∈ U , è aperto. Ma se H è aperto anche
[
K=
aU
a∈U
/
è aperto e, pertanto, H = G − K è chiuso.
(2) Sia W un intorno simmetrico di e contenuto in U . Allora
H=
∞
[
n
W ⊆
n=1
∞
[
Un ⊆ G
n=1
e H è contemporaneamente
aperto e chiuso in G. Poichè G è connesso
S
n.
U
si ha G = H = ∞
n=1
Sia G0 la componente connessa dell’elemento neutro di G (cfr. § 1.3).
(1)
(2)
(3)
(4)
Teorema 1.4.5.
G0 è un sottogruppo normale chiuso di G.
Se a ∈ G, la componente connessa di a è aG0 .
G/G0 è discreto.
Se U è un intorno di e ∈ G, allora
0
G =(
∞
[
U n)
\
G0 .
n=1
Dimostrazione.
(1) Dato che ogni La è un omeomorfismo, se a ∈ G0 , a−1 G0 è un connesso
che contiene e. Quindi
a−1 G0 ⊆ G0
e, pertanto, G0 è un sottogruppo. Analogamente, se x ∈ G, x−1 G0 x è
un connesso che contiene l’elemento neutro e da cui
x−1 G0 x ⊆ G0 ,
20
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
0
cioè G0 è normale in G. Infine, se G0 è connesso anche G è connesso,
0
0
dove G indica la chiusura di G0 in G. Ciò implica che G0 = G è
chiuso.
(2) Se a ∈ G, aG0 è un connesso che contiene a. Sia C(a) la componente
connessa di a. Allora aG0 ⊆ C(a). Anche a−1 C(a) è connesso e contiene
e, quindi
a−1 C(a) ⊆ G0 ,
ossia
C(a) ⊆ aG0 ,
da cui la tesi.
(3) Indichiamo con π : G −→ G/G0 la proiezione canonica. Introdotta in
G/G0 la topologia quoziente, si ha che π è una funzione aperta e quindi,
se U è un intorno aperto dell’elemento neutro e, π(U ) è un intorno aperto
di eG0 ∈ G/G0 . Se U è connesso, U ⊆ G0 e π(U ) = {eG0 } è un aperto.
Di conseguenza, G/G0 è dotato della topologia discreta.
Supponiamo ora che φ : U ⊆ G −→ G0 sia un omomorfismo locale. Se G
è connesso, in base al Teorema 1.4.4, punto (2), un’eventuale estensione di φ
ad un omomorfismo globale è unica. La condizione topologica che assicura
l’esistenza di tale estensione è che G sia semplicemente connesso (cfr.
Definizione 6, §A.2). Vale infatti il seguente risultato che verrà dimostrato
nel § 1.7 (cfr. Teorema 1.7.4).
Teorema 1.4.6 (Principio di monodromia). Se G è connesso e semplicemente connesso, ogni omomorfismo locale φ : U ⊆ G −→ G0 si può estendere
in modo unico ad un omomorfismo analitico globale ψ : G −→ G0 .
Pertanto si può concludere che
Teorema 1.4.7. Due gruppi di Lie connessi e semplicemente connessi
sono analiticamente isomorfi se e solo se le loro algebre di Lie sono isomorfe.
Per completezza ricordiamo, infine, il
Teorema 1.4.8 (Terzo Teorema di Lie). Data un’algebra di Lie g esiste
sempre un gruppo di Lie G la cui algebra di Lie è g.
Un cenno della dimostrazione verrà dato nel § 1.6.
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
21
1.5. Forme differenziali invarianti ed equazioni di struttura
Sia G un gruppo di Lie con algebra di Lie g. Una 1–forma differenziale
ω su G si dice invariante a sinistra se, per ogni a ∈ G,
(La )∗ ω = ω,
dove, per definizione, (La )∗ ω è la 1–forma data da
((La )∗ ω)b Xb = ωab ((La )∗ b Xb ),
per ogni b ∈ G e X ∈ g. Quindi, ω è invariante a sinistra se e solo se
ωab ((La )∗ b Xb ) = ωb (Xb ),
cioè se e solo se
ωa ((La )∗ e Xe ) = ωe (Xe ),
per ogni a, b ∈ G e X ∈ g. Segue che, se X è un campo invariante a sinistra
e ω è una 1–forma invariante a sinistra, allora la funzione
ω(X)(a) = ωa (Xa ) = ωa ((La )∗ e )Xe = ωe (Xe )
è costante (non dipende da a ∈ G). Pertanto, vale la
Proprietà 1.5.1. ω è una 1–forma invariante a sinistra se e solo se
ω(X) = ωe (Xe )
per ogni X ∈ g.
Esempio. Determiniamo le 1–forme invarianti a sinistra su G = GL(n, R).
Considerato X ∈ g, algebra di Lie di GL(n, R), è noto che (cfr. pag. 9)
n
X
X=
xih Ahj
i,j,h=1
∂
,
∂xij
dove A = (Ahj ) ∈ gl(n, R). Una base per le 1–forme su G è data da
(dx11 , . . . , dxnn ) e una 1–forma ω su G si può scrivere nel modo seguente
ω=
n
X
λij (x) dxij
i,j=1
dove le λij : GL(n, R) −→ R sono funzioni analitiche. Poichè
ω(X) =
n
X
λij (x)xim Amj ,
i,j,m=1
ω è invariante a sinistra se e solo se (cfr. Proprietà 1.5.1)
ω(X) = ωI (XI ),
X ∈ g (I : matrice unità),
cioè se e solo se
n
n
X
X
λij (x)xim Amj =
λij (I)xim (I)Amj
i,j,m=1
=
i,j,m=1
n
X
i,j,m=1
λij (I)δim Amj =
n
X
i,j=1
λij (I)Aij .
22
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Tale relazione deve essere verificata per ogni X ∈ g, vale a dire per ogni
A ∈ gl(n, R). Quindi
n
X
λij (x)xim = λmj (I) = costante,
i=1
da cui si deduce
λij (x) =
n
X
µhj (x−1 )hi ,
h=1
dove si è posto: µhj = λhj (I) = costante e (x−1 )hi denota l’elemento di
posto (h, i) nella matrice x−1 , inversa di x ∈ GL(n, R). Pertanto
ω=
n
X
µhj (x−1 )hi dxij
i,j,h=1
e, quindi, ogni 1–forma invariante a sinistra è una combinazione lineare, a
coefficienti costanti, delle 1–forme
ωij =
n
X
(x−1 )ih dxhj
h=1
che individuano la base duale di g, rispetto alla base dei campi invarianti a
sinistra data da
n
X
∂
Xij =
xmi mj , i, j = 1, . . . , n.
∂x
m=1
Ritornando al caso generale, se (E1 , . . . , En ) è una base di g, indicata
con (ω 1 , . . . , ω n ) la base duale, poniamo:
[Ei , Ej ] =
n
X
ckij Ek ,
ckij ∈ R.
k=1
ckij
Le
si dicono costanti di struttura dell’algebra di Lie g e verificano le
seguenti relazioni:
i) ckij = −ckji ,
ii)
n
X
k
m k
m k
cm
ij cmh + cjh cmi + chi cmj = 0,
(identità di Jacobi).
m=1
Viceversa, assegnate n3 costanti ckij che verifichino le condizioni i) e ii),
esiste una sola algebra di Lie le cui costanti di struttura siano proprio le ckij
date.
Se ω è una 1–forma differenziale, il differenziale di ω è la 2-forma dω
definita da (cfr. pag. 77):
2dω(X, Y ) = Xω(Y ) − Y ω(X) − ω([X, Y ]),
per ogni coppia di campi vettoriali X e Y . In particolare, se X, Y sono campi
invarianti a sinistra e ω è una 1–forma invariante e sinistra, l’espressione
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
23
precedente si riduce a
2dω(X, Y ) = −ω([X, Y ]).
Quindi, se (ω 1 , . . . , ω n ) è la base duale di (E1 , . . . , En ), si ha
2dω k (Ei , Ej ) = −ω k ([Ei , Ej ]) = −
n
X
clij ω k (El ) = −ckij ,
l=1
da cui si ricava (vedi a pag. 77 la definizione di prodotto esterno di due
forme)
n
1 X k i
cij ω ∧ ω j .
dω = −
2
k
(∗)
i,j=1
Queste espressioni prendono il nome di equazioni di Maurer–Cartan.
Osservazione. La condizione d2 = 0 (cfr. Teorema 2.4.1) equivale
all’identità di Jacobi (Esercizio 1.5.2).
Vedremo che le equazioni di Maurer–Cartan determinano (localmente)
l’operazione prodotto in G. A tal fine è opportuno considerare un particolare
sistema di coordinate valido in un intorno di e ∈ G. Sia
n
n
X
X
i
V = {X ∈ g / X =
a Ei ,
(ai )2 < r2 , r ≥ 0}
i=1
i=1
un intorno sferico di 0 ∈ g. Se r è sufficientemente piccolo, exp è un diffeomorfismo su V . Allora U = exp(V ) è un intorno aperto di e ∈ G.
Introduciamo un sistema di coordinate analitiche su U : se a ∈ U , si definisce
xi (a) = ai ,
dove
X=
n
X
ai ∈ R,
i = 1, . . . , n,
ai Ei = exp−1 (a) ∈ V.
i=1
Le
(x1 , . . . , xn )
si dicono coordinate canoniche di prima specie e si ha
i
i
x (exp tX) = ta ,
X=
n
X
ai Ei ∈ V.
i=1
Teorema P
1.5.2. Sia (ω 1 , . . . , ω n ) la base duale della base (E1 , . . . , En ) di
i
g. Posto ω = nj=1 ωji dxj , i = 1, . . . , n ((x1 , . . . , xn ) coordinate canoniche),
si consideri la matrice di funzioni ω = (ωji ). Allora
∞
X
1 m−1
ω=
B
,
m!
(**)
m=1
dove B =
(Bij )
e le funzioni
Bij
sono definite da
adX (Ei ) = [X, Ei ] =
n
X
j,l=1
al cjli Ej
=−
n
X
j=1
Bij Ej .
24
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Identificando adX con la sua matrice rispetto alla base (E1 , . . . , En ), si può
anche scrivere
∞
X
1
(− adX )m−1 .
ω=
m!
m=1
Dimostrazione. Poichè xi (exp tX) = tai , dove X =
Xexp tX =
n
X
i=1
ai
∂
∂xi
exp tX
Pn
i
i=1 a Ei ,
si ha
,
e quindi ω i (X) = ai . Consideriamo la funzione
ψ : R × Rn −→ G
(t, a1 , . . . , an ) 7−→ ψ(t, a1 , . . . , an ) = exp t
n
X
!
ai Ei
i=1
e poniamo ω
e i = ψ ∗ ω i . Dato che ψ ∗ commuta con il differenziale esterno,
dalle equazioni di Maurer–Cartan (*) si ricava
n
de
ωi = −
1X i j
e ∧ω
ek.
cjk ω
2
j,k
Le 1–forme ω
e i si possono anche calcolare direttamente nel modo seguente
ω
e i = ψ∗ωi =
n
X
(ωki ◦ ψ)d(xk ◦ ψ),
k=1
dove
(xk ◦ ψ)(t, a1 , . . . , an ) = tak
e
d(xk ◦ ψ) = ak dt + tdak .
Pn
Inoltre, detto a = exp t k=1 ak Ek il corrispondente punto di G, si ha


n
n
n
n
X
X
X
X
aj Ej 
ωki (a)ak =
ωki (a)ω k 
ωki (ψ(t, a1 , . . . , an ))ak =
k=1
k=1
k=1
= ωi a
n
X
j=1
!
ak Ek
= ai
k=1
e, pertanto,
ω
e i = ai dt ∧ dai +
n
X
t(ωki ◦ ψ)dak .
k=1
Posto φeij (t, a1 , ..., an ) = tωji (a), differenziando l’espressione precedente di ω
ei
si ottiene
n
X
∂ φeij
i
i
de
ω = −dt ∧ da +
dt ∧ daj + . . . (termini senza dt).
∂t
j=1
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
25
D’altra parte
n
n
X
1 X i j k
j
cjk ω
e ∧e
ω =−
de
ωi = −
cilm al φem
j dt∧da +. . . (termini senza dt).
2
j,k=1
l,m,j=1
Uguagliando le ultime due espressioni, si ricava

n
X
∂ φeij



= δji −
al cilm φem
j
∂t
m,l=1



φeij (0) = 0.
P
Considerate le matrici φe = (φeij ) e B = (Bji ) dove Bji = − nl=1 al clj , il
sistema precedente si riscrive come segue:


 ∂ φe
= I + B φe
∂t
e

φ(0) = 0.
P
m
e = ∞ t B m−1 è l’unica soluzione.
E’ evidente che φ(t)
m=1 m!
Osservazione. Il teorema precedente prova che le costanti di struttura
determinano univocamente una base di 1–forme invarianti a sinistra, dette
forme di Maurer–Cartan.
Teorema 1.5.3. Si considerino valide le ipotesi del teorema precedente.
Sia ψ : U −→ Rn , a 7−→ (x1 (a), . . . , xn (a)). Allora le funzioni
F i = xi ◦ La ◦ ψ −1
sono soluzioni del sistema di equazioni differenziali

n
X

∂F i


=
(A−1 )ih (F 1 (x), . . . , F n (x))Ahj (x)
∂xj
h=1


 F i (0, . . . , 0) = xi (a),
dove si è posto x = (x1 , . . . , xn ) e Aij (x1 , . . . , xn ) = ωji (ψ −1 (x1 , . . . , xn )).
Dimostrazione. Sia ω una qualsiasi 1–forma invariante a sinistra. Se
n
X
ω=
ηi dxi , ηi ∈ C ∞ (U ),
i=1
per ogni a, b ∈ G si ha:
(La )∗ ωb =
=
=
n
X
ηi (ab)d(xi ◦ La ) b
i=1
n
X
i,j=1
n
X
(ηi ◦ La ◦ ψ −1 ) ψ(b)
(ηj ◦ ψ −1 ) ψ(b) dxj b ,
j=1
∂(xi ◦ La ◦ ψ −1 )
∂xj
ψ(b)
dxjb
26
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
in quanto (La )∗ ω = ω.
1
n
In particolare, se
Pn(ω , .i. . , jω ) è una base delle 1–forme invarianti a
i
sinistra, posto ω = j=1 ωj dx , i = 1, . . . , n, si trova
n
X
(ωki ◦ La ◦ ψ −1 )
k=1
∂(xk ◦ La ◦ ψ −1 )
= ωji ◦ ψ −1 .
∂xj
Definite le funzioni Aij = ωji ◦ ψ −1 , si ha che Aij (0) = δji e, quindi, la matrice
delle funzioni A = (Aij ) è invertibile in un intorno di O ∈ Rn . Da ciò si
deduce il teorema.
Osservazione. Il sistema di equazioni differenziali che compare nel teorema precedente è completamente integrabile. Infatti le condizioni di integrabilità coincidono con le equazioni di Maurer-Cartan e con l’identità di
Jacobi per le costanti di struttura. Le soluzioni del sistema individuano la
legge di composizione del gruppo, nell’intorno dell’identità. Si noti che le
funzioni F i dipendono solo dalle forme di Maurer–Cartan, le quali, a loro
volta, sono completamente determinate dalle costanti di struttura. Di conseguenza, algebre di Lie isomorfe danno origine a gruppi di Lie localmente
isomorfi e, in tal modo, si ha un’altra dimostrazione del Secondo Teorema
di Lie (Teorema 1.4.3).
Esempio. Sia g uno spazio vettoriale reale di dimensione 3 riferito ad
una base (E1 , E2 , E3 ). Posto
[E1 , E2 ] = 0,
[E1 , E3 ] = 0,
g ha la struttura di algebra di Lie. Se

0
adX = 0
0
[E2 , E3 ] = E1 ,
P3
X = i=1 xi Ei ∈ g, si trova

−x3 x2
0
0
0
0
e, quindi, (adX )2 = 0. Allora

∞
1
X
1
1
(− adX )m−1 = I − adX = 0
ω=
m!
2
m=1
0


1 − 12 x3 12 x2
ω −1 = 0
1
0 .
0
0
1
e
1 3
2x
1
0

− 12 x2
0 
1
Dunque

1 − 21 F 3 (x) 12 F 2 (x)
A−1 (F (x)) = A−1 (F 1 (x), F 2 (x), F 3 (x)) = 0
1
0 
0
0
1


1 21 x3 − 21 F 3 (x) − 12 x2 + 12 F 2 (x)
.
A−1 (F (x))A(x) = 0
1
0
0
0
1

e
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
27
Il sistema del teorema precedente, scritto in modo esplicito, è dato da:

∂F 1
1 3 1 3
∂F 1
1
1
∂F 1


=
1,
=
x
−
F
(x),
= − x2 + F 2 (x)


1
2
3

∂x
∂x
2
2
∂x
2
2


∂F 2
∂F 2
∂F 2
= 0,
= 1,
=0

∂x1
∂x2
∂x3



3
3
3


 ∂F = 0, ∂F = 0, ∂F = 1.
∂x1
∂x2
∂x3
Dalle ultime due righe, si ha subito che
F 2 (x) = x2 + a2 ,
F 3 (x) = x3 + a3 ,
con a2 , a3 costanti di integrazione. Sostituendo nella prima riga e integrando, si trova la soluzione

1
1

F 1 (x1 , x2 , x3 ) = x1 − a3 x2 + a2 x3 + a1


2
2


 2 1 2 3
F (x , x , x ) = x2 + a2


F 3 (x1 , x2 , x3 ) = x3 + a3



 i
F (0, 0, 0) = ai , i = 1, 2, 3.
Ne segue che la legge di composizione del gruppo è data da

1 2 3

3 2
1
1
1


 x (ab) = a + b + 2 (a b − a b )
x2 (ab) = a2 + b2



 x3 (ab) = a3 + b3 .
Tali funzioni sono definite su tutto R3 e sono analitiche. Esiste un unico
gruppo di Lie connesso e semplicemente connesso che ha g come algebra di
Lie. Si può provare che tale gruppo è isomorfo al gruppo di Heisenberg



 1 x z

He = 0 1 y  , x, y, z ∈ R .


0 0 1
Esercizio.
1.5.1 Si consideri il gruppo di Lie G = R3 dotato dell’operazione ∗ cosı̀
definita:
1
(a, b, c) ∗ (a0 , b0 , c0 ) = (a + a0 + (bc0 − b0 c), b + b0 , c + c0 ).
2
Provare che G è isomorfo al gruppo di Heisenberg He.
1.5.2 Verificare che se (ω1 , . . . ωn ) sono le forme di Maurer–Cartan, le condizioni d2 (ωi ) = 0, i = 1, . . . , n, equivalgono alle equazioni di Jacobi.
28
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
1.6. Sottogruppi di Lie
Iniziamo con alcuni richiami sulle sottovarietà di una varietà differenziabile, rinviando al Capitolo III di [5] per maggiori dettagli e per le relative
dimostrazioni.
Definizione 1.6.1.
(1) Una funzione differenziabile f : M −→ N tra due varietà differenziabili si dice immersione se, per ogni p ∈ M , f∗|p : Tp M −→ Tf (p) N è
iniettivo.
e = f (M ),
(2) Sia f : M −→ N un’immersione iniettiva. Il sottoinsieme N
e un diffeodotato della struttura differenziabile che rende f : M −→ N
morfismo, si dice sottovarietà immersa di N .
e = f (M ) è una sottovarietà immersa e la topologia di N
e è la
(3) Se N
e si dice sottovarietà regolare di N .
topologia indotta, N
Esempi.
(1) f : R −→ R2 , t 7−→ (2 cos(t − π2 ), sin 2(t − π2 )) è un’immersione non
iniettiva. f (R) in questo caso è la “figura otto”.
In base alla definizione precedente, f (R) non è una sottovarietà di R2 .
(2) g : R −→ R2 , t 7−→ (2 cos(h(t) − π2 ), sin 2(h(t) − π2 )) dove h(t) = π +
2 arctg g(t). Si noti che h è crescente, h(0) = π, limt→−∞ h(t) = 0 e
limt→∞ h(t) = 2π. L’immagine di g(R) è la “figura otto aperta”(vedi la
figura successiva). La funzione g è un’immersione iniettiva e, pertanto,
g(R) è una sottovarietà immersa. Tuttavia la topologia di g(R) che rende
g : R −→ g(R) un diffeomorfismo non è la topologia indotta da R2 ma
è più fine di quest’ultima. Ad esempio, nella topologia indotta, −∞ e
+∞ sono “vicini”in g(R). In conclusione, g(R) non è una sottovarietà
regolare di R2 .
(3) f : R −→ R3 , t 7−→ (cos 2πt, sin 2πt, t) è un’immersione iniettiva. L’immagine f (R) è l’elica cilindrica. La sua topologia coincide con quella
indotta e, pertanto, f (R) è una sottovarietà regolare di R3 .
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
29
In seguito, col termine sottovarietà si intenderà sia una sottovarietà
immersa sia una sottovarietà regolare.
I teoremi seguenti sono molto utili per provare che certi sottoinsiemi
sono sottovarietà.
Teorema 1.6.2. Siano M e N due varietà differenziabili di dimensione
m ed n, rispettivamente. Sia f : M −→ N una funzione differenziabile tale
che f abbia rango costante k su M . Allora, per ogni q ∈ f (M ), f −1 (q) è
una sottovarietà regolare chiusa di M , avente dimensione m − k.
Teorema 1.6.3. Sia f : M −→ N una funzione differenziabile tra due
varietà tali che
i) dim N = n ≤ m = dim M ,
ii) f ha rango n in ogni punto dell’insieme A = f −1 (a), a ∈ N .
Allora A è una sottovarietà regolare chiusa di M di dimensione m − n.
Esempi.
P
(1) f : Rn −→ R, (x1 , .., xn ) 7−→ ni=1 (xi )2 , ha rango 1 in ogni punto di
f −1 (1). Quindi S n−1 = f −1 (1) è una sottovarietà regolare di dimensione
n − 1.
2
(2) f : R3 −→ R, (x1 , x2 , x3 ) 7−→ a − ((x1 )2 + (x2 )2 )1/2 + (x3 )2 , a > 0,
f ha rango 1 in ogni punto di f −1 (b2 ), per ogni b tale che a > b > 0.
f −1 (b2 ) è il toro di R3 .
Rivediamo le nozioni precedenti nel caso dei gruppi di Lie.
Teorema 1.6.4. Sia G un gruppo di Lie e sia H un sottogruppo (in
senso algebrico) di G. H si dice sottogruppo di Lie se:
i) H è una sottovarietà analitica di G,
ii) H ha la struttura di gruppo di Lie (rispetto alla struttura analitica del
punto precedente).
In generale, la topologia di un sottogruppo di Lie è più fine della topologia indotta. Quindi, un sottogruppo di Lie non è necessariamente un sottogruppo topologico, in quanto, per definizione, un sottogruppo topologico
deve necessariamente avere la topologia indotta.
30
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Esempio.
Sia T 2 = S 1 × S 1 il toro bidimensionale. Poichè S 1 ' SO(2) (cfr. § 1.1),
si può identificare T 2 con il seguente insieme di matrici

cos θ1 sin θ1



− sin θ1 cos θ1
T2 = 
 0
0



0
0


0
0




0
0 
,
θ
,
θ
∈
R
.
cos θ2 sin θ2  1 2



− sin θ2 cos θ2
Se α e β sono due interi non contemporaneamente nulli, consideriamo i
sottoinsiemi Hα,β di T 2 cosı̀ definiti
Hα,β



cos(αt)
sin(αt)
0
0







−
sin(αt)
cos
αt
0
0


= 
,
t
∈
R,
.
0
0
cos(βt) sin(βt) 






0
0
− sin(βt) cos(βt)
Si prova che:
(1) T 2 è un sottogruppo di Lie di GL(4, R);
(2) per ogni α, β ∈ Z, Hα,β è un sottogruppo di Lie di T 2 ;
(3) se α/β è razionale, Hα,β è una curva chiusa su T 2 e, quindi, una sottovarietà regolare di T 2 ;
(4) se α/β è irrazionale, Hα,β è una curva densa in T 2 e, quindi, Hα,β non
ha la topologia indotta.
Ritornando al caso generale, sono importanti le seguenti proprietà dei
sottogruppi di Lie.
Teorema 1.6.5. Sia G un gruppo di Lie con algebra di Lie g.
(1) Se H è un sottogruppo di Lie con algebra di Lie h, allora h è una
sottoalgebra di Lie di g e inoltre
expH = expG h .
(2) Sia h una sottoalgebra di Lie di g. Esiste un unico sottogruppo di Lie
connesso H di G, la cui algebra di Lie è h.
Dimostrazione. (1) Poichè H è un sottogruppo di Lie di G, l’immersione canonica i : H −→ G è un omomorfismo iniettivo di gruppi di Lie.
Pertanto i∗ h = h è una sottoalgebra di Lie di g (cfr. Proprietà 1.1.6).
Inoltre, per ogni X ∈ h,
expH X = i(expH X) = expG (i∗ X) = expG X.
(2) (Cenno; per i dettagli si veda [13]). Sia H il sottogruppo astratto
generato da exp(h). Consideriamo un intorno V di 0 ∈ g tale che
exp : V −→ U ⊆ G sia un diffeomorfismo. Vogliamo definire una topologia su H. Iniziamo con il richiedere che exp(V ∩ h) sia aperto e,
poi, mediante le traslazioni sinistre, definiamo gli intorni aperti di ogni
punto di H. In modo analogo, si introduce una struttura analitica su H
richiedendo che l’applicazione V ∩ h 7−→ exp(V ∩ h) sia analitica. Resta
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
31
da provare che H è sia un gruppo di Lie sia una sottovarietà analitica
di G.
Osservazione. Dal teorema precedente segue il Terzo Teorema di Lie
(cfr. Teorema 1.4.8). Infatti, Ado ha dimostrato che se g è un’algebra di Lie
reale, g è isomorfa ad una sottoalgebra di gl(n, R), con n opportuno; quindi,
esiste un sottogruppo di Lie di GL(n, R) la cui algebra di Lie è isomorfa a
g.
Vale il seguente risultato concernente la topologia dei sottogruppi di Lie
(cfr. [25], Teorema 2.5.4).
Teorema 1.6.6. Un sottogruppo di Lie H di G è una sottovarietà regolare se e solo se H è chiuso in G.
Infine, per completezza, citiamo le seguenti proprietà, la cui dimostrazione si può trovare in [13].
Teorema 1.6.7. Sia G un gruppo di Lie con algebra di Lie g. Se H è
un sottogruppo (astratto) chiuso di G, esiste un’unica struttura analitica tale
che H sia un sottogruppo di Lie di G.
Teorema 1.6.8. Se H è un sottogruppo di Lie di G, allora la sua algebra
di Lie è data da
h = {X ∈ g / exp(tX) ∈ H, per ogni t ∈ R}.
Esempi.
(1) G = GL(n, R), H = SL(n, R) = {a ∈ GL(n, R) / det a = 1}. Si verifica facilmente che SL(n, R) è un sottogruppo di GL(n, R) detto gruppo speciale lineare. Poichè SL(n, R) = det−1 (1), esso è chiuso in
GL(n, R) e, quindi, per il Teorema 1.6.7 è un sottogruppo di Lie di
GL(n, R).
(2) Si può trovare lo stesso risultato usando il Teorema 1.6.2. Consideriamo
la funzione
f : GL(n, R) −→ R∗ = R − {0} = GL(1, R),
a 7−→ det a.
f è un omomorfismo analitico suriettivo. Verifichiamo che il rango di
f è costante su tutto GL(n, R). Fissiamo a ∈ GL(n, R) e poniamo
α = det a ∈ GL(1, R) = R∗ . Per ogni x ∈ GL(n, R), si ha
f (x) = det x = (det a)(det a−1 x) = (Lα ◦ f ◦ La−1 )(x).
Quindi
(f∗ )x = (Lα )∗ det(a−1 x) ◦ (f∗ )a−1 x ◦ (La−1 )∗ x .
Dato che (Lα )∗ det(a−1 x) e (La−1 )∗ x sono isomorfismi, si ha
rg(f∗ )x = rg(f∗ )a−1 x .
32
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Se a = x, si trova rg(f∗ )x = rg(f∗ )e , ossia il rango di f è costante. Quindi, per il Teorema 1.6.2, SL(n, R) = f −1 (1) è una sottovarietà regolare
di GL(n, R). Si controlla direttamente che SL(n, R) è un gruppo di Lie.
(3) In modo analogo, si vede che
O(n) = {a ∈ GL(n, R) / t aa = I}
è un sottogruppo di Lie, detto gruppo ortogonale (t a indica la trasposta della matrice a). In questo caso, si considera la funzione
a 7−→ t aa.
f : GL(n, R) −→ GL(n, R),
2
O(n) è compatto (è un chiuso limitato di Rn ) ma non è connesso; le
sue due componenti connesse sono
SO(n) = {a ∈ O(n) / det a = 1} = O(n) ∩ SL(n, R),
O− (n) = {a ∈ O(n) / det a = −1}.
SO(n) è un sottogruppo di Lie di O(n) (coincide con la componente
connessa dell’elemento neutro), detto gruppo speciale ortogonale.
(4) Determiniamo le algebre di Lie di SL(n, R) e O(n) (e, quindi, anche di
SO(n)). Sia sl(n, R) l’algebra di Lie di SL(n, R). Dal Teorema 1.6.8 si
ha
sl(n, R) = {X ∈ gl(n, R) / etX ∈ SL(n, R), t ∈ R}.
Ma etX ∈ SL(n, R) se e solo se 1 = det etX = et tr X , cioè se e solo se
tr X = 0. Quindi
sl(n, R) = {X ∈ gl(n, R) / tr X = 0}
e
dim SL(n, R) = dim sl(n, R) = n2 − 1.
Indichiamo con so(n, R) l’algebra di Lie di O(n). Dato che
so(n, R) = {X ∈ gl(n, R) / esX es
tX
= I, s ∈ R},
derivando rispetto a s, si ha
XesX es
tX
+ t XesX es
tX
= 0.
In particolare, se s = 0, si trova
X + t X = 0,
ossia
so(n, R) = {X ∈ gl(n, R) / X + t X = 0}
e
dim O(n) = dim SO(n) = dim so(n, R) =
n(n − 1)
.
2
Consideriamo ora il gruppo degli automorfismi Aut(g) di un’algebra
di Lie g. Aut(g) è un sottogruppo di Gl(g), chiuso perchè definito da un
numero finito di equazioni algebriche. Per il Teorema 1.6.7, Aut(g) è un
sottogruppo di Lie di Gl(g).
Proprietà 1.6.9. L’algebra di Lie di Aut(g) è Der(g), algebra di Lie
delle derivazioni di g.
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
33
Dimostrazione. Sia h l’algebra di Lie di Aut(g). Dal Teorema 1.6.8 si
ha
Sostituiamo
etA
h = {A ∈ gl(g) / exp tA ∈ Aut(g), t ∈ R}.
a exp(tA); allora, se A ∈ h
etA [X, Y ] = etA X, etA Y , X, Y ∈ g.
Derivando rispetto a t, si ha
AetA [X, Y ] = AetA X, etA Y + etA X, AetA Y .
Per t = 0, dato che e0 = I, si ottiene
A[X, Y ] = [AX, Y ] + [X, AY ],
X, Y ∈ g,
ossia A ∈ Der(g).
P
1 m m
Viceversa, sia A ∈ Der(g). Proviamo che etA = ∞
sta in
m=0 m! t A
Aut(g), per ogni t ∈ R. Per induzione, si dimostra che
m h
i
X
m
m
A [X, Y ] =
Am−k (X), Ak (Y )
X, Y ∈ g,
k
k=0
quindi
∞ X
m
X
h
i
tm
Am−k (X), Ak (Y )
k!(m − k)!
m=0 k=0
∞
∞ l
i
X
X
tl+n h l
t l
tn n
n
=
A (X), A (Y ) =
A (X), A (Y )
l!n!
l!
n!
l,n=0
l,n=0
= etA (X), etA (Y ) ,
etA [X, Y ] =
per ogni X, Y ∈ g e t ∈ R.
Come applicazione dei risultati precedenti, determiniamo l’algebra di Lie
del prodotto semidiretto G = H oα K, dove α : K −→ Aut(H).
Proprietà 1.6.10. L’algebra di Lie di H oα K è la somma semidiretta
delle algebre di Lie h e k, di H e K, rispettivamente.
Dimostrazione. Sappiamo che per ogni a ∈ K, α(a) : H −→ H è un
automorfismo e quindi α(a)∗ : h −→ h è un automorfismo dell’algebra di Lie
h. L’applicazione
ψ : K −→ Aut(h),
a 7−→ α(a)∗ ,
è un omomorfismo di gruppi; verifichiamo che ψ è pure analitica. Per ogni
Y ∈ h, si ha
α(a)(expH Y ) = expH (α(a)∗ Y ),
da cui si deduce che α(a)∗ dipende analiticamente da a ∈ K. Posto
δ = ψ∗ : k −→ Der(h),
si prova che δ è un omomorfismo di algebre di Lie e l’algebra di Lie di H oα K
è isomorfa a h ⊕δ k (per i dettagli, cfr. [21]).
Infine, come applicazione dei Teoremi 1.6.5 e 1.6.7, abbiamo il
34
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Teorema 1.6.11. Sia φ : G −→ G0 un omomorfismo analitico di gruppi
di Lie.
(1) H = ker φ è un sottogruppo di Lie di G la cui algebra di Lie è h = ker φ∗ .
(2) Se G è connesso, K = φ(G) è un sottogruppo di Lie connesso di G0 la
cui algebra di Lie è k = im φ∗ .
Dimostrazione.
(1) ker φ è un sottogruppo normale e chiuso di G; allora, per il Teorema 1.6.7, è un sottogruppo di Lie di G. Inoltre, X ∈ h se e solo se
expG (tX) ∈ H, per ogni t ∈ R, ossia se e solo se φ[expG (tX)] = e0 ,
elemento neutro di G0 . Ma
0
φ[expG (tX)] = expG [tφ∗ (X)] = e0 ,
t ∈ R,
g0 .
se e solo se φ∗ (X) = 0 ∈
Quindi h = ker φ∗ .
(2) Sia K l’unico sottogruppo di Lie connesso di G0 la cui algebra di Lie è
kn= im φ∗ (cfr. Teorema
o 1.6.5). Si è visto che K è generato dall’insieme
0
G
exp φ∗ (X), X ∈ g . Per ipotesi, G è connesso e, quindi, è generato
da elementi del tipo expG X, X ∈ g. Di conseguenza, φ(G) sarà generato
da elementi del tipo
0
φ(expG X) = expG φ∗ (X),
X ∈ g.
Poichè K e φ(G) sono gruppi connessi aventi gli stessi generatori, si può
concludere che K = φ(G).
Osservazione. Nel Teorema 2.7.3 di [25], si prova che φ(G) è un sottogruppo di Lie di G, senza richiedere che G sia connesso. Se G non è connesso,
allora φ(G0 ) = φ(G)0 = K, dove K è l’unico sottogruppo di Lie connesso
la cui algebra di Lie è im φ∗ (si noti che G0 e φ(G)0 sono le componenti
connesse degli elementi neutri di G e φ(G), rispettivamente).
Esercizi.
1.6.1 Si identifichi Cn con lo spazio vettoriale reale R2n mediante l’isomorfismo R-lineare α : Cn −→ R2n , definito da:
α(z 1 , . . . , z n ) = (Re(z 1 ), . . . , Re(z n ), Im(z 1 ), . . . , Im(z n )).
a) Verificare che α si estende ad un monomorfismo di algebre di Lie
α : M(n, C) −→ M(2n, R)
A −B
A + iB 7−→
B
A
detto rappresentazione reale di M(n, C) (M(n, K) è lo spazio vettoriale delle matrici quadrate di ordine n ad elementi nel corpo
K).
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
35
b) Provare che α induce un monomorfismo α
e tra i gruppi di Lie GL(n, C)
e GL(2n, R)
tale
che
α
e
(GL(n,
C))
=
{a
∈ GL(2n, R) / aJ = Ja},
0 −In
dove J =
∈ GL(2n, R).
In
0
1.6.2 Considerare i seguenti insiemi di matrici
U (n) = {a ∈ GL(n, C) / t aa = I},
SU (n) = {a ∈ U (n) / det(a) = 1},
Sp(n, R) = {a ∈ GL(2n, R) / t aJa = J}.
a) Provare che sono gruppi di Lie reali.
b) Verificare che le loro algebre di Lie sono, rispettivamente:
u(n) = {X ∈ gl(n, C) / t X + X = 0},
su(n) = {X ∈ u(n) / tr X = 0},
sp(n, R) = {X ∈ gl(2n, R) / J t X + XJ = 0}.
Calcolare le loro dimensioni determinandone esplicitamente una
base.
c) Considerato il prodotto scalare Hermitiano su Cn ,
hz, wi =
n
X
z i wi ,
i=1
dove z =
(z 1 , . . . , z n )
e w = (w1 , . . . , wn ), verificare che
U (n) = {a ∈ GL(n, C) / haz, awi = hz, wi}.
d) Scrivere esplicitamente gli elementi di SU (2) e provare che SU (2)
P
è omeomorfo a S 3 = {(x1 , x2 , x3 , x4 ) ∈ R4 / 4i=1 (xi )2 = 1}.
1.6.3 Sia {1, i, j, k} la base standard di R4 . Posto:
1i = i,
2
2
1j = j,
2
i = j = k = −1,
1k = k,
ij = −ji = k,
si estenda per linearità tale prodotto a tutti gli elementi di R4 .
a) Verificare che, con tale prodotto, R4 ha la struttura di corpo detto
corpo dei quaternioni e lo si indichi con H. Verificare, inoltre,
che H è un’algebra associativa su R, non commutativa.
b) Se q = a + bi + cj + dk ∈ H, si indichi con q = a − bi − cj − dk il
coniugato di q. Verificare che, per ogni q, q 0 ∈ H, si ha:
i) q + q 0 = q + q 0 ,
ii) qq 0 = q 0 q,
iii) qq è un numero reale non negativo,
1
iv) |q| = (qq) 2 è una norma su H,
v) se u = a + bi ∈ C allora uj = ju e uk = ku.
1.6.4 Se q = a + bi + cj + dk ∈ H, si ponga q = u + jv, con u = a + ib e
v = c − id numeri complessi. In tal modo, H viene identificato con C2 .
36
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
a) Si consideri Hn come uno spazio vettoriale a destra su C. Verificare
che l’applicazione β : Hn −→ C2n definita da:
β(q 1 , . . . , q n ) = (u1 , . . . , un , v 1 , . . . , v n ),
dove q h = uh + jv h , h = 1, . . . , n, è un isomorfismo tra spazi
vettoriali complessi.
b) Sia A ∈ M(n, H) una matrice ad elementi quaternionici. Provare
che β induce un monomorfismo R-lineare
β : M(n, H) −→ M(2n, C)
A −B
A + jB 7−→
B
A
che rende commutativo il diagramma
Hn
β
C2n
A
β(A)
/ Hn
β
/ C2n
(ogni matrice viene identificata con il corrispondente endomorfismo).
c) Verificare che β induce un monomorfismo βe tra i gruppi di Lie
GL(n, H) e GL(2n, C).
1.6.5 Si consideri Hn come spazio vettoriale su H a destra. Il prodotto
scalare quaternionico è definito da:
n
X
q i q 0i
hq, q 0 i =
(q 1 , .., q n )
Hn
q0
i=1
(q 01 , .., q 0n )
dove q =
∈
e =
0
00
0
i) hq, q + q i = hq, q i + hq, q 00 i;
∈ Hn . Verificare che:
ii) hq, q 0 i = hq 0 , qi;
iii) hqλ, q 0 i = λhq, q 0 i, hq, q 0 λi = hq, q 0 iλ;
iv) hq, qi ≥ 0 e hq, qi = 0 se e solo se q = 0;
v) hAq, q 0 i = hq, t Aq 0 i;
per ogni q, q 0 , q 00 ∈ Hn e per ogni λ ∈ H.
1.6.6 a) Stabilire che Sp(n) = {a ∈ GL(n, H) / t aa = I} è un gruppo di Lie
reale la cui algebra di Lie è sp(n) = {X ∈ gl(n, R) / t X + X = 0}.
1
b) Posto kqk = hq, qi 2 , verificare che:
Sp(n) = {a ∈ GL(n, H) / kaqk = kqk, per ogni q ∈ Hn }.
c) Sia β̃ l’applicazione definita nell’Esercizio 1.6.4, punto c). Dopo
e
aver verificato che β(Sp(1))
= SU (2), provare che
βe : Sp(1) −→ SU (2)
è un isomorfismo di gruppi di Lie. Dato che Sp(1) = S 3 si ha un
altra verifica dell’Esercizio 1.6.2, punto d).
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
37
d) Posto
Sp(n, C) = {a ∈ GL(2n, C) / t aJa = J},
e
verificare che β(Sp(n))
= Sp(n, C) ∩ U (2n) e che
βe : Sp(n) −→ Sp(n, C) ∩ U (2n)
è un isomorfismo di gruppi di Lie.
1.6.7 Sia q ∈ Sp(1) = S 3 un quaternione unitario.
a) Verificare che l’applicazione
A(q) : H −→ H,
x 7−→ qxq −1
è una isometria di H (identificato con con lo spazio vettoriale reale
R4 , dotato del prodotto scalare standard).
b) Posto H = R ⊕ R3 , dove R = L(1) e R3 = L(i, j, k), verificare
che A(q) lascia fisso R e induce una isometria di R3 in sè, cioè
A(q) 3 ∈ O(3).
R
c) Provare che A : Sp(1) −→ SO(3) è un omomorfismo suriettivo di
gruppi tale che ker A = {−I, I}. Quindi
Sp(1)/{−I, I} ' SO(3)
e Sp(1) è il rivestimento universale di SO(3) (cfr. l’Appendice C).
1.6.8 Sia F : S 3 × S 3 −→ gl(H) l’applicazione definita nel modo seguente:
se p, q ∈ S 3 (considerato come gruppo dei quaternioni di norma 1),
allora
F (p, q) : H −→ H, w 7−→ pwq −1 .
Si verifichi che:
i) F (p, q) ∈ SO(4), per ogni p, q ∈ S 3 .
ii) F è un omomorfismo continuo.
iii) ker F = {(1, 1), (−1, −1)}.
iv) L’applicazione F : S 3 × S 3 −→ SO(4) è suriettiva.
38
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
1.7. Rivestimenti di gruppi di Lie
Per le nozioni ed i risultati usati in questo paragrafo, si rinvia all’Appendice C. Ricordiamo che ogni rivestimento di un gruppo di Lie è esso stesso un
gruppo di Lie e ogni gruppo di Lie ammette un rivestimento universale (unico, a meno di isomorfismi). In questo paragrafo si determineranno il gruppo
fondamentale di alcuni gruppi classici e il loro rivestimento universale.
Innanzi tutto si osservi che lo studio dal punto di vista topologico di
GL(n, R) (rispettivamente GL(n, C)) può essere ricondotto a quello di SO(n)
(rispettivamente SU (n)), per maggiori dettagli si veda l’Appendice A. Tenuto conto che alcuni gruppi di matrici come SL(n, R), oppure SL(n, C),
sono riducibili a meno di omotopia a SO(n) (oppure SU (n)), si riconosce
che la descrizione delle proprietà topologiche di SO(n) e di SU (n) serve a
caratterizzare anche la maggior parte dei gruppi classici. Determiniamo il
gruppo fondamentale di SO(n).
Teorema 1.7.1.


0
∼
π1 (SO(n)) = Z


Z2
se n = 1
se n = 2
se n > 2.
Dimostrazione. Si propongono due dimostrazioni diverse.
I Metodo: SO(n) è un CW–complesso e SO(k) per k < n è uno scheledi SO(n). Per avere un’idea di questo fatto, si pensi
tro di dimensione k(k−1)
2
1
che SO(2) è S e che SO(3) è isomorfo al gruppo quoziente di S 3 modulo
il sottogruppo discreto {−1, 1} (cfr. Proprietà A.2) e, quindi, è omeomorfo a RP3 . Ne segue che RP3 ha come 0–scheletro SO(1), come 1–scheletro
SO(2) e come 2–scheletro uno spazio omeomorfo a RP2 . Questa situazione
si ripete, in generale, per SO(n). Allora la tesi segue dal Teorema B.8.
II Metodo: Se n = 1, 2, 3 il teorema è ovvio. Sia, allora, n > 3 e
supponiamo che π1 (SO(n − 1)) ∼
= Z2 . Considerati N = (0, . . . , 0, 1) ∈ S n−1 ,
n−1
n−1
U =S
− {−N }, V = S
− {N } e l’applicazione q : SO(n) −→ S n−1
cosı̀ definita: α 7−→ α(N ), indichiamo con s l’applicazione continua di U
in SO(n) che ad ogni x = (x1 , . . . , xn ) ∈ U associa la rotazione nel piano
orientato, generato dalla coppia (N, x), che manda N in x. Si ha


x1
xi xj

δij − 1+x
... 
.

n
s(x) = 
xn−1 
−x1
...
−xn−1 xn
Posto ρ = (s(0, 0, . . . , 1, 0)), segue ρ2 = 1. Si definiscono le applicazioni
Φ1 : U × SO(n − 1) −→ SO(n),
(x, α) 7−→ s(x)α,
Φ2 : V × SO(n − 1) −→ SO(n),
(x, α) 7−→ ρs(ρx)α,
dove si pensa SO(n − 1) immerso in SO(n) mediante le applicazioni
ortogonali che lasciano fisso N . Si osservi che qΦ1 (x, α) = x, qΦ2 (x, α) = x
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
39
e Φ1 e Φ2 sono omeomorfismi su q −1 (U ) e q −1 (V ), rispettivamente. Le
applicazioni inverse sono date da:
−1
Φ−1
1 (α) = (q(α), s(q(α)) α),
−1
Φ−1
2 (α) = (q(α), s(ρq(α)) ρα).
Per n > 3, S n−1 − {−N, N } ha lo stesso tipo di omotopia di En−1 − {punto}
e quindi di S n−2 (che è semplicemente connesso). Dunque le applicazioni,
definite in modo naturale,
(U ∩ V ) × SO(n − 1) −→ U × SO(n − 1)
e
(U ∩ V ) × SO(n − 1) −→ V × SO(n − 1)
inducono isomorfismi tra i gruppi fondamentali. Ne segue che le inclusioni
corrispondenti (mediante Φ1 e Φ2 )
q −1 (U ) ∩ q −1 (V ) = q −1 (U ∩ V ) −→ q −1 (U )
e
q −1 (U ) ∩ q −1 (V ) = q −1 (U ∩ V ) −→ q −1 (V )
inducono isomorfismi e, per il Corollario B.10, si ha che π1 (SO(n)) '
π1 (q −1 (U )). Poichè anche l’inclusione di SO(n − 1) in q −1 (U ) = Φ1 (U ) ×
SO(n − 1) induce un isomorfismo a livello di gruppi fondamentali, segue che
π1 (SO(n)) ∼
= π1 (SO(n − 1)) e dall’ipotesi induttiva si ha la tesi.
Corollario 1.7.2.


0
∼
π1 (GL(n, R)) = Z


Z2
se n = 1
se n = 2
se n > 2.
Per quanto concerne SU (n) si può provare, con metodi analoghi al
Teorema 1.7.1 (cfr. [10], pag. 102) il seguente
Teorema 1.7.3. SU (n) è semplicemente connesso.
Come applicazione dei teoremi precedenti, diamo ora un’idea di quali
siano i rivestimenti universali dei gruppi classici. Per quanto osservato, è
sufficiente considerare SO(n). Per n = 2, SO(n) ∼
= S 1 , dunque il suo
rivestimento universale è R. Se n > 2, SO(n) è un gruppo compatto avente
gruppo fondamentale isomorfo a Z2 . Come semplice conseguenza del punto
(iii) dell’Esercizio 2 dell’Appendice C, si vede che il rivestimento universale
di SO(n) è un rivestimento a due fogli, che viene indicato con Spin(n). Si
osservi che Spin(3) è isomorfo a S 3 .
Teorema 1.7.4. Siano G un gruppo di Lie connesso e semplicemente
connesso, H un gruppo di Lie arbitrario e g, h le loro algebre di Lie. Dato
ϕ : g −→ h, omomorfismo di algebre di Lie, esiste un unico omomorfismo
analitico f : G −→ H tale che f∗ = ϕ.
40
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Dimostrazione. Il gruppo prodotto G×H ha come algebra di Lie g⊕h
e k = {X ⊕ϕ(X) / X ∈ g} e è una sottoalgebra di Lie di g⊕h. Per il Teorema
1.6.5, esiste un sottogruppo di Lie K di G × H che ha k come algebra di Lie.
Consideriamo i seguenti omomorfismi
w1 : K
incl.
/G × H
proi.
/ G,
w2 : K
incl.
/G × H
proi.
/H
Poichè (w1 )∗ (X ⊕ϕ(X)) = X, si ha ker(w1 )∗ = {0}. Ma ker(w1 )∗ è l’algebra
di Lie di ker w1 e, quindi, ker w1 ha dimensione zero, cioè è un sottogruppo
discreto di G × H. Dall’Esercizio 1, §A.3, segue che w1 : K −→ G è un
rivestimento. Siccome G è semplicemente connesso, w1 è un isomorfismo.
Si definisce f : G −→ H come w2 ◦ w1−1 . Se X ∈ g, si trova infine
f∗ (X) = (w2 )∗ ◦ (w1 )−1
∗ = (w2 )∗ (X ⊕ ϕ(X)) = ϕ(X).
Si osservi che dal Teorema 1.7.4 segue il Principio di Monodromia (Teorema 1.4.6).
Per concludere questo paragrafo osserviamo che ogni gruppo di Lie compatto ha caratteristica di Eulero–Poincaré nulla. Ricordiamo che cosa si
intende per caratteristica di Eulero–Poincaré di un CW-complesso finito,
osservando che ogni varietà compatta ha il tipo di omotopia di un CW–
complesso finito (cfr. [18], pag. 36).
Definizione 1.7.5. Se X è un CW–complesso n-dimensionale con i−celle
αi (αj = 0, ∀j > n), la caratteristica di Eulero–Poincaré χ(X) di X è
data da
n
X
χ(X) =
(−1)i αi .
i=0
Ad esempio, la caratteristica di Eulero–Poincaré di S n è 2, per n pari, e
0, per n dispari.
Si può verificare (per la dimostrazione si rimanda ad un testo di Topologia Algebrica, ad esempio [11]) che la definizione della caratteristica di
Eulero–Poincaré dipende solo dal tipo di omotopia del CW–complesso e non
dalla scelta della decomposizione cellulare.
Si può vedere con metodi sufficientemente elementari (ad esempio in
[11]) che esistono campi vettoriali mai nulli su S n se e solo se n è dispari
(cioè se e solo se la caratteristica di Eulero–Poincaré è nulla). Questo è un
caso particolare del seguente risultato più generale (cfr. [24], pag. 201).
Teorema 1.7.6. Sia X è una varietà compatta e connessa. Esiste un
campo vettoriale mai nullo su X se e solo se χ(X) = 0.
Esercizi.
1.7.1 Sia p : Spin(n) −→ SO(n) il rivestimento universale di SO(n), per
n ≥ 3. Esiste una funzione continua g : SO(n) −→ Spin(n) tale che
p ◦ g = id?
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
41
1.7.2 Determinare i gruppi fondamentali ed i rivestimenti universali di
O(n),
GL(n, R),
GL(n, C),
SL(n, R),
SL(n, C).
1.7.3 Sia f : SO(3) −→ SO(2) una funzione continua. Stabilire se f è
necessariamente omotopa a zero.
42
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
1.8. Rappresentazione aggiunta
Sia V uno spazio vettoriale reale di dimensione n e sia g un’algebra
di Lie reale. Una rappresentazione di g su V di rango n è un omomorfismo di algebre di Lie ψ : g −→ gl(V ). Se G è un gruppo di Lie, una
rappresentazione di G su V è un omomorfismo analitico
φ : G −→ GL(V ).
Nel caso in cui V = Rn , la rappresentazione si dice matriciale.
Definizione 1.8.1. Se g è un’algebra di Lie, la rappresentazione
aggiunta di g su g è definita da
ad : g −→ gl(g),
X 7−→ adX ,
dove adX : g −→ g è dato da adX (Y ) = [X, Y ]. Il centro di g è il nucleo di
ad e si indica con z(g) (oppure, semplicemente, con z), quindi:
z(g) = {X ∈ g / [X, Y ] = 0, Y ∈ g}.
Si noti che ad(g) ⊆ Der(g) ⊆ gl(g), e che z(g) è un ideale di g.
Ogni gruppo di Lie ammette una rappresentazione molto importante
sulla sua algebra di Lie, costruita nel modo seguente. Se a ∈ G,
Ia : G −→ G,
b 7−→ aba−1 ,
è un automorfismo di G (cfr. § 1.2) e, quindi, (Ia )∗ è un automorfismo
dell’algebra di Lie g di G. Si può, pertanto, definire l’applicazione
Ad : G −→ GL(g), a 7−→ Ad(a) = (Ia )∗
e provare il
Teorema 1.8.2. Ad è una rappresentazione di G in g, detta rappresentazione aggiunta del gruppo di Lie G in g.
Dimostrazione. Verifichiamo che Ad è un omomorfismo di gruppi. Si
noti che, per ogni X ∈ g ed ogni a ∈ G, si ha
exp Ad(a)X = exp(Ia )∗ X = Ia (exp X) = a(exp X)a−1
e
exp tAd(ab)X = ab(exp tX)b−1 a−1 = a(exp tAd(b)X)a−1
= exp tAd(a)Ad(b)X,
per ogni a, b ∈ G e t ∈ R. Se |t| < , con numero reale positivo opportuno,
l’applicazione esponenziale è biiettiva (cfr. Teorema 1.3.4, punto (4)) ossia
tAd(ab)X = tAd(a)Ad(b)X,
e, quindi: Ad(ab) = Ad(a)Ad(b), per ogni a, b ∈ G.
Vediamo ora che Ad è analitica. Data una base (E1 , . . . , En ) di g, siano
(x1 , . . . , xn ) le coordinate canoniche associate (cfr. pag. 23). Se a ∈ G,
Ad(a)Ei = (Ia )∗ (Ei ) =
n
X
j=1
aji (a)Ej .
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
43
Per provare che Ad è analitica basta verificare che le funzioni aji (a) sono
analitiche in un intorno di e P
∈ G. Si può allora supporre che a = exp X,
per un certo X ∈ g. Se X = ni=1 ai Ei , ai ∈ R, si ha xi (a) = ai . Poniamo
bi = exp Ei . Allora
n
X
Ia bi = Ia (exp Ei ) = exp((Ia )∗ Ei ) = exp(
aji (a)Ej ),
j=1
ed anche (Teorema 1.3.4, punto (5))
Ia bi = abi a−1 = (exp X)(exp Ei )(exp(−X)) = exp(Ei + [X, Ei ] + . . . )
(i termini non scritti sono costituiti da “brackets” iterati). Tenuto conto
della biiettività di exp, se X appartiene ad un intorno piccolo di 0 ∈ g, dalle
due espressioni precedenti si deduce
aji (a) = δij +
n
X
xh (a)cjhi + . . . ,
h=1
(cjhi
sono le costanti di struttura) da cui si vede che le funzioni aji dipendono
analiticamente dalle coordinate canoniche di a.
Teorema 1.8.3.
(1) Ad∗ |e = ad (e: elemento neutro di G),
(2) Ad(expG X) = eadX , per ogni X ∈ g.
Dimostrazione. (1) Siano X, Y ∈ g. Dai Teoremi 1.4.1 e 1.3.4, si ha
exp(Ad(exp tX)tY ) = I(exp tX) (exp tY ) = (exp tX)(exp tY )(exp(−tX))
= exp{tY + t2 [X, Y ] + O(t3 )}.
Se |t| < , exp è biettiva, quindi
Ad(exp tX)Y = Y + t[X, Y ] +
O(t3 )
,
t
cioè
Ad(exp tX) = I + t adX +O(t2 ).
In definitiva,
dAd(exp tX)
dt
Ad∗ (X)|e =
t=0
= adX .
(2) Si verifica facilmente che il diagramma
g
ad
expG
G
Ad /
/ gl(g)
expGL(g)
GL(g)
è commutativo, ossia Ad(expG X) = expGL(g) (adX ) = eadX .
44
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Il teorema seguente è molto utile per determinare la rappresentazione
aggiunta dei sottogruppi di Lie di GL(V ), dove V è uno spazio vettoriale
reale. In particolare, il risultato vale per i sottogruppi di GL(n, R).
Teorema 1.8.4. Sia H un sottogruppo di Lie di GL(V ) con algebra di
Lie h. Allora, per ogni a ∈ H e per ogni X ∈ h, si ha
Ad(a)X = aXa−1 .
Dimostrazione. Tenuto conto che expH = expGL(V )
H , si
−1
ottiene
expH (tAd(a)X) = Ia (expH tX) = a(expH tX)a
= aetX a−1 = etaXa
−1
= expH (taXa−1 ), t ∈ R.
Se |t| < , allora tAd(a)X = taXa−1 , cioè Ad(a)X = aXa−1 .
Definizione 1.8.5. Sia g un’algebra di Lie. Il gruppo aggiunto è il
sottogruppo di Lie connesso di Aut(g) la cui algebra di Lie è ad(g) (che è
una sottoalgebra di Der(g)). Tale gruppo viene indicato con Int(g).
Proprietà 1.8.6. Int(g) è un sottogruppo normale di Aut(g).
Dimostrazione. Se X ∈ g, adX ∈ ad(g) e quindi eadX ∈ Int(g).
Inoltre, se ϕ ∈ Aut(g), allora
ϕeadX ϕ−1 = eϕ adX ϕ
−1
= eadϕ(X) .
Poichè Int(g) è connesso, ogni elemento di Int(g) è generato da elementi
del tipo eadX . Pertanto, Int(g) è normale in Aut(g).
Sia G un gruppo di Lie connesso. Per il Teorema 1.6.11, si sa che Ad(G)
è un sottogruppo di Lie la cui algebra di Lie è
im Ad∗ e = im(ad) = ad(g).
Quindi Ad(G) e Int(g) sono gruppi di Lie connessi che hanno la stessa
algebra di Lie. Poichè i gruppi di Lie connessi sono generati dagli intorni
dell’elemento neutro (cfr. Teorema 1.4.4), si ha
Ad(G) = Int(g).
Se G non è connesso, allora Int(g) = Ad(G)0 , componente connessa dell’elemento neutro di Ad(G) (cfr. l’Osservazione di pag. 34).
Vediamo ora di caratterizzare le sottoalgebre di Lie dei sottogruppi di
Lie normali.
Teorema 1.8.7. Sia G un gruppo di Lie con algebra di Lie g. Consideriamo un suo sottogruppo di Lie connesso H con algebra di Lie h.
(1) Se H è normale in G, allora h è un ideale di g.
(2) Supponiamo che anche G sia connesso. Se h è un ideale di g, allora H
è un sottogruppo normale di G.
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
45
Dimostrazione.
(1) Sia H normale in G. Per ogni a ∈ G, se X ∈ h, si ha:
a exp tXa−1 = exp tAd(a)X ∈ H,
t ∈ R.
Dal Teorema 1.6.8 si deduce che Ad(a)X ∈ h. Fissato un Y ∈ g, posto
a = exp tY , tenuto conto del Teorema 1.8.3, si ha:
Ad(exp tY )X = et adY (X) ∈ h,
t ∈ R.
Di conseguenza
[Y, X] =
d t adY
e
(X) t=0 ∈ h,
dt
ossia: [h, g] ⊆ h.
(2) Consideriamo due elementi a ∈ G, h ∈ H e supponiamo, per il momento,
che a = exp Y , h = exp X con Y ∈ g e X ∈ h. Dato che h è un ideale,
(adY )n (X) ∈ h, per ogni n ∈ N e quindi:
Ad(exp Y )X = eadY (X) ∈ h,
da cui si ricava che
aha−1 = (exp Y )(exp X)(exp Y )−1 = exp Ad(exp Y )(X) ∈ H.
Dato che i gruppi di Lie G e H sono connessi, essi sono generati da un
intorno dei rispettivi elementi neutri (cfr. Teorema 1.4.4) e, pertanto, i
loro elementi generici sono il prodotto di elementi del tipo precedente.
Esercizi.
1.8.1 Sia G un gruppo di Lie connesso e semplicemente connesso. Provare
che ogni sottogruppo di Lie di G normale e connesso è necessariamente
chiuso.
1.8.2 Sia G = C×C×R il gruppo di Lie reale di dimensione 5 con il prodotto
definito da
(c1 , c2 , r)(c01 , c02 , r0 ) = (c1 + e2πir c01 , c2 + e2πihr c02 , r + r0 ),
dove h è un numero irrazionale fissato e c1 , c2 , c01 , c02 ∈ C, r, r0 ∈ R.
Siano s, t ∈ R. Poniamo
αs,t : G −→ G
(c1 , c2 , r) 7−→ (e2πis c1 , e2πit c2 , r).
(a) Provare che αs,t è un isomorfismo analitico.
(b) Se t = hs+hn, con n ∈ Z, αs,t coincide con l’automorfismo interno
I((0, 0, s + n)).
(c) Sia g l’algebra di Lie di G. Poniamo As,t = (αs,t )∗ ∈ Aut(g).
Provare che se sn → s0 , tn → t0 , allora Asn ,tn → As0 ,t0 in Aut(g).
(d) Verificare che A0, 1 ∈
/ Int(g). Dedurre dal punto (c) che Int(g)
3
non è chiuso in Aut(g).
46
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
1.9. Algebre e gruppi di Lie semisemplici e risolubili
Sia g un’algebra di Lie. Si verifica facilmente che l’applicazione
B : g × g −→ R,
(X, Y ) 7−→ B(X, Y ) = tr(adX ◦ adY )
è una forma bilineare simmetrica, detta forma di Killing di g. Un’importante proprietà della forma di Killing è che è invariante rispetto agli
automorfismi di g e, pertanto, dipende solo dalla classe di isomorfismo di g.
Valgono le seguenti
Proprietà 1.9.1.
(1) Se ϕ ∈ Aut(g), allora
B(ϕX, ϕY ) = B(X, Y ),
per ogni X, Y ∈ g.
(2) Se D ∈ Der(g), allora
B(DX, Y ) + B(X, DY ) = 0.
In particolare,
B(adZ X, Y ) + B(X, adZ Y ) = 0,
per ogni X, Y, Z ∈ g.
(3) Se h è un ideale di g, allora
h⊥ = {X ∈ g/B(X, Y ) = 0, Y ∈ h}
è ancora un ideale di g. In particolare,
ker B = g⊥ = {X ∈ g/B(X, Y ) = 0, Y ∈ g}
è un ideale di g.
(4) Se h è un ideale di g, la forma di Killing di h coincide con la restrizione
di B ad h × h.
Dimostrazione. (1) Se ϕ è un automorfismo di g, si ha
adϕ(X) (Y ) = [ϕ(X), Y ] = ϕ X, ϕ−1 (Y ) = ϕ ◦ adX ϕ−1 Y,
ossia
adϕ(X) = ϕ ◦ adX ◦ϕ−1 .
Dunque
B(ϕ(X), ϕ(Y )) = tr(adϕ(X) ◦ adϕ(Y ) )
= tr(ϕ ◦ adX ◦ϕ−1 ◦ ϕ ◦ adY ◦ϕ−1 )
= tr(ϕ ◦ adX ◦ adY ◦ϕ−1 )
= tr(ϕ ◦ ϕ−1 ◦ adX ◦ adY )
= tr(adX ◦ adY ) = B(X, Y ).
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
47
(2) Sia D ∈ Der(g), allora etD ∈ Aut(g), per ogni t ∈ R, e
B(etD X, etD Y ) = B(X, Y ), X, Y ∈ g.
Derivando rispetto a t l’espressione precedente, per t = 0 si ottiene infine
B(DX, Y ) + B(X, DY ) = 0, X, Y ∈ g.
(3) Siano X ∈ h⊥ e Y ∈ g. Per ogni Z ∈ h, si ha
B([X, Y ], Z) = −B(adY X, Z) = B(X, adY Z) = 0,
in quanto adY Z ∈ h e X ∈ h⊥ . Quindi [X, Y ] ∈ g, cioè h⊥ è un ideale.
(4) Siano dim h = r, dim g = n, (E1 , . . . , Er ) una base di h, (E1 , . . . , Er ,
Er+1 , . . . , En ) una base di g. Se X ∈ h, adX Ei ∈ h, i = 1, . . . , n, perchè
h è un ideale. Quindi, la matrice di adX è del tipo
A1 A2
A=
.
0
0
B1 B2
Sia B =
la matrice di adY , Y ∈ h. Allora
0 0.
A1 B1 A1 B2
AB =
.
0
0
Osservato che A1 ed A2 sono, rispettivamente, le matrici di adX e adY ,
pensate come endomorfismi di h in h, segue che, per la forma di Killing
Bh di h, si ha
Bh (X, Y ) = tr(A1 B1 ) = tr(AB) = B(X, Y ),
per ogni X, Y ∈ g, ossia Bh = B|h×h .
Introduciamo ora una classe molto importante di algebre di Lie.
Definizione 1.9.2. Un’algebra di Lie g si dice semisemplice se B è
non degenere, ossia ker B = {0}. g si dice semplice se è semisemplice e
non contiene ideali propri.
Proprietà 1.9.3.
(1) Se g è semisemplice, z(g) = {0}.
(2) Sia h un ideale di un’algebra di Lie semisemplice g. Allora anche h e
h⊥ sono ideali semisemplici e g = h ⊕ h⊥ (somma diretta di algebre di
Lie).
Dimostrazione. (1) Basta osservare che, in generale, z(g) ⊆ ker B.
(2) Supponiamo che dim h = r. Poichè B è non degenere, h⊥ ha dimensione
n−r, dove n = dim g. Infatti, considerata una base (E1 , . . . , Er , . . . , En )
di g tale che (E1 , . . . , Er ) sia una base di h, si ha che X ∈ h⊥ se e solo
se
B(X, Eα ) = 0,
1 ≤ α ≤ r,
48
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
ossia se e solo se, posto X =
n
X
Pn
i=1 X
X i Biα = 0,
iE
i,
valgono le relazioni
1 ≤ α ≤ r,
i=1
dove Biα = B(Ei , Eα ). Dato che la matrice (Biα ) ha rango r, si deduce
che dim h⊥ = n − r. Sappiamo che h ∩ h⊥ è un ideale. Proviamo
ora che h ∩ h⊥ è abeliano. Siano X, Y ∈ h ∩ h⊥ e Z ∈ g. Allora,
B([X, Y ], Z) = −B(Y, [X, Z]) = 0, poichè Y ∈ h⊥ e [X, Z] ∈ h. Siccome
B è non degenere, si ha [X, Y ] = 0. Sia ora X ∈ h ∩ h⊥ . Per ogni Y ∈ g,
si trova
(adX ◦ adY )(Z) = [X, [Y, Z]] ∈ h ∩ h⊥ ,
Z ∈ g.
Se Z ∈ h ∩ h⊥ anche [Y, Z] ∈ h ∩ h⊥ e, quindi, (adX ◦ adY )(Z) = 0. Sia
0
(E10 , . . . , Ep0 , Ep+1
, . . . , En0 ) una base di g tale che (E10 , . . . , Ep0 ) sia una
base di h ∩ h⊥ . Per quanto visto in precedenza, la matrice di adX ◦ adY
è del tipo
0 ∗
0 0
dove ∗ denota una matrice di p righe e (n−p) colonne. Quindi, B(X, Y ) =
0, se X ∈ h ∩ h⊥ e Y ∈ g. Dato che B è non degenere, X = o, cioè
h ∩ h⊥ = {0} e g = h ⊕ h⊥ . Dalla Proprietà 1.9.1, punto (4), si ricava
che ogni ideale di un’algebra di Lie semisemplice è semisemplice.
La principale proprietà delle algebre di Lie semisemplici è illustrata dal
seguente
Teorema 1.9.4. Se g è semisemplice allora g è somma diretta di ideali
semplici, cioè
g = g1 ⊕ ... ⊕ gr
dove ogni gi è un ideale semplice di g. Se h è un qualsiasi ideale di g, h è
somma diretta di un certo numero di ideali gi .
Dimostrazione. Se g non è semplice, per definizione esiste un ideale h
di g non banale. Allora h⊥ è un ideale semisemplice e
g = h ⊕ h⊥ .
Ripetendo il ragionamento per h e h⊥ , si arriva, dopo un numero finito di
passi, a scrivere g come somma diretta di ideali che non contengono ideali
non banali, cioè di ideali semplici. Sia h un ideale qualsiasi di g. Per ogni
i = 1, .., r, gi ∩ h è un ideale di gi e, quindi, gi ∩ h = {0} oppure gi ∩ h = gi ,
poichè gi è semplice. Di conseguenza, h è somma diretta di un certo numero
di ideali gi .
Osservazione. Vale anche l’affermazione reciproca: se g = g1 ⊕ ... ⊕ gr
è somma diretta di ideali semplici, allora g è semisemplice. Infatti ker B
è un ideale di g e se fosse ker B 6= {o}, esisterebbe un ideale gi tale che
ker B ∩ gi = gi . Ma allora B|gi ×gi sarebbe nulla, in contrasto con l’ipotesi
che gi sia semplice. Quindi, ker B = {0}.
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
49
Proprietà 1.9.5.
(1) Se g è semisemplice ogni derivazione di g è interna, ossia
ad(g) = Der(g).
(2) Int(g) = Aut(g)0 , se g è semisemplice.
Dimostrazione.
(1) Poichè g è semisemplice, z(g) = ker(ad) = {0} e g è isomorfa ad ad(g),
cioè ad(g) è semisemplice. Sia D ∈ Der(g), allora, se X ∈ g,
[D, adX ] = D adX − adX D = adD(X) ∈ ad(g),
ossia ad(g) è un ideale di Der(g). Per la Proprietà 1.9.1, ad(g)⊥ è un
ideale di Der(g) e, quindi, anche ad(g) ∩ ad(g)⊥ è un ideale di Der(g).
Dato che ad(g) è semisemplice, si ha che ad(g)∩ad(g)⊥ = {0} (Proprietà
1.9.3).
Sia ora D ∈ ad(g)⊥ . Per ogni X ∈ g si ha
adD(X) = [D, adX ] ∈ ad(g) ∩ ad(g)⊥ ,
ossia adD(X) = 0. Quindi D(X) ∈ ker(ad) = z(g), per ogni X ∈ g. Ma
z(g) = {0}, cioè D(X) = 0, per ogni X ∈ g. In conclusione, D = 0,
ad(g)⊥ = {0} e
ad(g) = Der(g).
(2) Basta ricordare che Int(g) e Aut(g) hanno la stessa algebra di Lie.
Definizione 1.9.6. Un gruppo di Lie si dice semisemplice (semplice)
se la sua algebra di Lie g è semisemplice (semplice).
Osservazioni. Da quanto si è visto, la classificazione delle algebre di
Lie semisemplici reali si riconduce alla classificazione delle algebre di Lie
semplici reali. D’altro canto, le algebre di Lie semplici reali ricadono in uno
dei due tipi seguenti (cfr. [13], pag. 443):
(A) g è un’algebra di Lie complessa semplice pensata come algebra di Lie
reale;
(B) la complessificata gC di g (cfr. Esercizio 1.9.2) è un’algebra di Lie
complessa semplice. In questo caso si dice che g è una forma reale di
un’algebra di Lie complessa.
In conclusione, basta classificare le algebre di Lie complesse semplici e le
loro forme reali.
Esempio. sl(2, C) è un’algebra di Lie complessa semplice. Poichè
sl(2, C) = sl(2, R)C ,
sl(2, R) è una forma reale di sl(2, C); tale forma reale non è unica dato che
anche
su(2) = {A ∈ gl(2, C)/ t Ā + A = 0, tr A = 0}
è una forma reale di sl(2, C).
50
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Algebre di Lie
complesse semplici
Gruppi di Lie
complessi semplici
Forma reale
compatta
Gruppi di Lie semplici
compatti connessi
An : sl(n + 1, C),
n≥1
SL(n + 1, C)
su(n + 1)
SU (n + 1)
Bn : so(2n + 1, C),
n≥2
SO(2n + 1, C)
so(2n + 1)
SO(2n + 1)
Sp(n, C)
sp(n)
Sp(n)
SO(2n, C)
so(2n)
SO(2n)
Cn : sp(n, C),
n≥3
Dn : so(2n, C),
n≥4
g2
GC2
G2
f4
F4C
F4
e6
E6C
E6
e7
E7C
E7
e8
E8C
E8
Si può dimostrare che ogni algebra di Lie semplice complessa ammette
un’unica forma reale compatta, cioè è l’algebra di Lie di un gruppo compatto. Per esempio, su(2) è la forma reale compatta di sl(2, C) perchè su(2)
è l’algebra di Lie di SU (2) che è compatto (infatti è omeomorfo a S 3 ).
L’elenco delle algebre di Lie complesse e delle loro forme reali compatte
è riportato nella tabella precedente. Gli ultimi cinque gruppi (reali) che
compaiono nella tabella prendono il nome di gruppi eccezionali. Essi
hanno dimensione: 14, 52, 78, 133, 248, rispettivamente.
Consideriamo ora un’altra importante classe di algebre di Lie. Sia g
un’algebra di Lie. E’ facile verificare che D1 g = [g, g] è un ideale di g,
detto algebra derivata o derivato primo di g. I derivati successivi si
definiscono per induzione
Dn g = D(Dn−1 g) = Dn−1 g, Dn−1 g .
Si ottiene che
. . . Dn g ⊆ . . . D2 g ⊆ D1 g ⊆ g
e ogni Dn g è un ideale di Dn+1 g.
Definizione 1.9.7. Un’algebra di Lie g è risolubile se esiste un intero
n tale che Dn g = {0}.
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
51
Esempio. Sia t2 l’algebra di Lie delle matrici triangolari superiori
a b
t2 =
, a, b, c ∈ R .
0 c
Dato che
0 0 a b
a b
0 ab0 + bc0 − a0 b − b0 c
,
=
,
0 c
0 c0
0
0
si trova
0 α
D t2 =
, α∈R
0 0
e
0 0
2
D t2 =
,
0 0
ossia t2 è risolubile. In modo analogo, si verifica che



a11 a22 . . . a1n







0
a
.
.
.
a
22
2n 

tn = 
,
a
∈
R
0
0 . . . . . .  ij






0
0
0 ann
1
è risolubile.
Sia g un’algebra di Lie. Poniamo
g1 = D1 g, g2 = [g, g1 ], . . . , gn = [g, gn−1 ].
Si ha
· · · ⊆ g2 ⊆ g1 ⊆ g
e ogni gn è un ideale di gn−1 .
Definizione 1.9.8. Un’algebra di Lie g si dice nilpotente se esiste un
intero n tale che
gn = {0}.
Si noti che, essendo
Dn g ⊆ gn ,
ogni algebra di Lie nilpotente è anche risolubile. Tuttavia non è vera l’affermazione reciproca. Per esempio, nel caso di g = t2 si ha
0 α
1
1
g =D t2 =
, α∈R ,
0 0
g2 =[g, g1 ] = [t2 , D1 t2 ] = g1
e, quindi, g1 = g2 = · · · 6= {0}, ossia t2 è risolubile ma non è nilpotente.
Invece, l’algebra di Lie delle matrici strettamente triangolari superiori



0 a12 . . .
a1n







0
0
.
.
.
.
.
.


,
a
∈
R
n= 
ij
0 0
0 an−1n 






0 0
0
0
è nilpotente.
52
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Definizione 1.9.9. Un gruppo di Lie è risolubile (nilpotente) se la
sua algebra di Lie è risolubile (nilpotente).
Valgono le seguenti proprietà. Per le dimostrazioni, si veda [13], oppure
[22].
(1)
(2)
(3)
(4)
(5)
Proprietà 1.9.10.
Sia h una sottoalgebra di g. Se g è risolubile (nilpotente) anche h è
risolubile (nilpotente).
Se g è risolubile (nilpotente) e h è un ideale di g, g/h è risolubile
(nilpotente).
Se h è un ideale risolubile di g tale che g/h sia risolubile, allora g è
risolubile.
g è risolubile se e solo se D1 g è nilpotente.
(Teorema di Engel). g è nilpotente se e solo se adX è un endomorfismo
nilpotente, per ogni X ∈ g (cioè, se esiste un intero n tale che (adX )n =
0).
Definizione 1.9.11. Sia g un’algebra di Lie.
(1) Il radicale (risolubile) di g è l’unico ideale risolubile massimale r contenuto in g (r è massimale nel senso che contiene ogni ideale risolubile
proprio di g).
(2) Il radicale nilpotente (o nilradicale) di g è l’unico ideale massimale
nilpotente.
Si provano i seguenti risultati fondamentali (cfr. [25]).
Teorema 1.9.12 (Criterio di Cartan). g è semisemplice se e solo se
r = {0}.
Teorema 1.9.13 (Levi–Malčev). Ogni algebra di Lie g ammette una
decomposizione del tipo
g=r+s
(somma diretta di spazi vettoriali) dove r è il radicale risolubile e s è una
sottoalgebra semisemplice di g.
Si noti che, nel teorema precedente, la somma non è diretta rispetto alle
algebre di Lie. Però g = r ⊕δ s, dove δ(X) = adX , X ∈ s.
Esercizi.
1.9.1 (a) Considerata la seguente base di sl(2, R)
0 1
1 0
0 0
A=
,
B=
,
C=
,
0 0
0 −1
1 0
calcolare la matrice della forma di Killing e verificare che sl(2, R)
è semisemplice.
(b) Provare che sl(2, R) è semplice (usare la base precedente per dimostrare che se h 6= {o} è un ideale allora h = sl(2, R)).
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
53
(c) Provare che, in generale, se g è un’algebra di Lie semisemplice di
dimensione 3 allora g è semplice.
1.9.2 Sia g un’algebra di Lie reale. Si consideri su g×g la seguente struttura
di spazio vettoriale complesso:
(X, Y ) + (X 0 , Y 0 ) = (X + X 0 , Y + Y 0 ),
(a + ib)(X, Y ) = (aX − bY, bX + aY ),
a + ib ∈ C, X, Y, X 0 , Y 0 ∈ g.
(a) Verificare che lo spazio vettoriale g × g, dotato del prodotto
[(X, Y ), (X 0 , Y 0 )] = ([X, X 0 ] − [Y, Y 0 ], [X, Y 0 ] + [Y, X 0 ]),
ha la struttura di algebra di Lie complessa, che si indica con gC
e prende il nome di complessificata di g. Identificate le coppie
(X, 0) con X e (0, Y ) con iY , gli elementi di gC si scrivono nella
forma X + iY , X, Y ∈ g.
(b) Provare che su(2) è una forma reale di sl(2, C), ossia che
su(2)C = sl(2, C).
1.9.3 Sia G un gruppo di Lie di dimensione 4 e sia (ω 1 , ω 2 , ω 3 , ω 4 ) una base
delle 1–forme invarianti a sinistra tale che

1
2

dω = dω = 0
dω 3 = ω 1 ∧ ω 2

 4
dω = ω 1 ∧ ω 3 .
Verificare che le ω i , i = 1, . . . , 4, soddisfano le equazioni di Maurer–
Cartan e che G è nilpotente.
54
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
1.10. Classificazione delle algebre di Lie reali di dimensione 3
In questo paragrafo, seguendo l’articolo di J. Milnor [19], ci proponiamo
di esporre la classificazione completa, a meno di isomorfismi, delle algebre di
Lie di dimensione 3. Verranno dati solo i punti essenziali delle dimostrazioni,
lasciando i dettagli per esercizio.
Sia g un’algebra di Lie reale. Considerata la funzione
ϕ : g −→ R,
X 7−→ tr(adX )
e tenuto conto che
tr ad[X,Y ] = tr[adX , adY ] = 0,
si ha ϕ([X, Y ]) = 0, per ogni X, Y ∈ g, in altri termini ϕ è un omomorfismo
di algebre di Lie. Di conseguenza, u = ker ϕ è un ideale di g, detto nucleo
unimodulare. g si dice unimodulare se g = ker ϕ, ossia se
tr(adX ) = 0,
per ogni X ∈ g.
Supponiamo che dim g = 3 e consideriamo un prodotto scalare
< , > : g × g −→ R.
Scelto un orientamento su g, si può identificare g con R3 e definire un
prodotto vettoriale su g
∧ : g × g −→ g,
(X, Y ) 7−→ X ∧ Y.
Si noti che ∧ dipende dall’orientamento scelto su g.
Proprietà 1.10.1.
(1) Esiste un’unica applicazione lineare L : g −→ g tale che L(X ∧ Y ) =
[X, Y ], per ogni X, Y ∈ g.
(2) g è unimodulare se e solo se L è simmetrica, ossia se
< LX, Y >=< X, LY >,
per ogni X, Y ∈ g.
(3) Se g è unimodulare, esiste una base ortonormale (E1 , E2 , E3 ) di g tale
che
[E2 , E3 ] = λ1 E1 , [E3 , E1 ] = λ2 E2 , [E1 , E2 ] = λ3 E3 .
P
P
Inoltre, se X = 3i=1 X i Ei , Y = 3i=1 Y i Ei , la forma di Killing B di
g assume la seguente espressione
B(X, Y ) = −2{λ2 λ3 X 1 Y 1 + λ1 λ3 X 2 Y 2 + λ1 λ2 X 3 Y 3 }.
Dimostrazione. (1) Sia (e1 , e2 , e3 ) una base ortonormale positiva di
g. Definiamo
L(e1 ) = [e2 , e3 ], L(e2 ) = [e3 , e1 ], L(e3 ) = [e1 , e2 ].
Poichè e1 ∧ e2 = e3 , e1 ∧ e3 = −e2 , e2 ∧ e3 = e1 , si vede che
L(ei ∧ ej ) = [ei , ej ],
i, j = 1, 2, 3
e, quindi, L(X ∧ Y ) = [X, Y ], per ogni X, Y ∈ g.
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
(2) Poniamo L(ei ) =
P3
j=1 aji ej .
55
Allora
tr adX = X 1 (a23 − a32 ) + X 2 (a31 − a13 ) + X 3 (a12 − a21 ).
Dunque tr adX = 0, per ogni X, Y ∈ g se e solo se L è simmetrica.
(3) Basta considerare una base ortonormale positiva (E1 , E2 , E3 ) che diagonalizzi L (tale base esiste perchè L è simmetrica).
La classificazione cercata verrà suddivisa in due casi, a seconda che g sia
o meno unimodulare.
Supponiamo che g sia unimodulare. Considerata una base ortonormale positiva (E1 , E2 , E3 ) che diagonalizza L e indicati con λ1 , λ2 , λ3 gli
autovalori di L, si presentano le seguenti possibilità:
1) λ1 λ2 λ3 6= 0;
2) λ1 λ2 6= 0, λ3 = 0;
3) λ1 6= 0, λ2 = λ3 = 0;
4) λ1 = λ2 = λ3 = 0.
Osservazioni.
Si hanno, nei vari casi, le seguenti situazioni.
1) B è non degenere, cioè g è semisemplice. Dato che dim g = 3, g è semplice
(cfr. Esercizio 1.9.1).
2) Poichè
[E2 , E3 ] = λ1 E1 ,
[E3 , E1 ] = λ2 E2 ,
[E1 , E2 ] = 0,
si ha
D1 g =L(E1 , E2 ),
D2 g ={0}
cioè g è risolubile. Ma g2 = [g, D1 g] = L(E1 , E2 ) = g1 e, quindi, g non
può essere nilpotente.
3) Si ha
[E2 , E3 ] = λ1 E1 ,
[E3 , E1 ] = [E1 , E2 ] = 0.
Quindi D1 g = L(E1 ) e g2 = [g, D1 g] = {0}, ossia g è nilpotente.
4) g è abeliana ed è isomorfa a R3 .
Esaminiamo, ora, più in dettaglio i singoli casi.
Caso 1. Le segnature possibili di B sono (0, 3) e (1, 2). Poichè B è invariante per isomorfismi, ci sono almeno due algebre di Lie non isomorfe.
Consideriamo, allora, i seguenti sottocasi.
56
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
1.a) λ1 > 0, λ2 > 0, λ3 > 0.
Considerata la nuova base
1
1
1
E1 , U2 = √
E2 , U 3 = √
E3 ,
U1 = √
λ2 λ3
λ1 λ3
λ1 λ2
si ha
[U2 , U3 ] = U1 , [U3 , U1 ] = U2 , [U1 , U2 ] = U3
e si trova un’algebra di Lie isomorfa a su(2).
1.b) λ1 > 0, λ2 > 0, λ3 < 0.
Si pone
1
1
1
U1 = √
E1 , U2 = √
E2 , U3 = √
E3 ,
−λ2 λ3
−λ1 λ3
λ1 λ2
da cui si ricava
[U2 , U3 ] = U1 ,
[U3 , U1 ] = U2 ,
[U1 , U2 ] = −U3 .
Le corrispondenti algebre di Lie sono isomorfe a sl(2, R).
Caso 2. Si presentano due sottocasi: λ1 > 0, λ2 > 0 oppure λ1 > 0, λ2 < 0.
2.a) λ1 > 0, λ2 > 0 implicano B(X, X) ≥ 0. Come prima, si può costruire
una base (U1 , U2 , U3 ) tale che
[U2 , U3 ] = U1 ,
[U3 , U1 ] = U2 ,
[U1 , U2 ] = 0.
Si noti che h = L(U1 , U2 ) è un ideale abeliano, quindi, g è isomorfa alla
somma semidiretta R2 ⊕δ R di R2 con R, dove
0 −1
δ(U3 ) =
1 0
(R2 ∼
= h = L(U1 , U2 ), R ∼
= k = L(U3 )). g è isomorfa all’algebra di Lie
di E(2), gruppo dei movimenti rigidi del piano.
2.b) λ1 > 0, λ2 < 0 implicano B(X, X) ≤ 0. Le corrispondenti algebre
di Lie non sono isomorfe alle precedenti. In questo caso, in una base
opportuna, si ha
[U2 , U3 ] = U1 ,
[U3 , U1 ] = −U2 ,
[U1 , U2 ] = 0.
Anche qui h = L(U1 , U2 ) è un ideale abeliano e g è isomorfa all’algebra
di Lie dei movimenti rigidi del piano di Minkowski E(1, 1) = R2 oα R
dove
t
e
0
α(t) =
.
0 e−t
Caso 3. Posto
U1 = λ1 E1 ,
U2 = E2 ,
U3 = E3 ,
si ha
[U2 , U3 ] = U1 , [U3 , U1 ] = [U1 , U2 ] = 0.
Allora h = L(U1 , U2 ) è un ideale abeliano e g è isomorfa alla somma semidiretta R2 ⊕δ R, dove
0 t
δ(t) =
.
0 0
Si tratta dell’algebra di Lie del gruppo di Heisenberg He.
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
57
Riassumendo, nel caso unimodulare, si ha la seguente tabella (la tilde
significa: ricoprimento universale).
Segnatura di B
Algebra di Lie
Tipo
Gruppi di Lie
semplicemente connessi
+++
su(2)
semplice
SU (2) ∼
= Sp(1)
++−
sl(2, R)
semplice
^R)
SL(2,
++0
R2 ⊕ δ R
risolubile
] = R2 oα R
E(2)
+−0
R2 ⊕ δ R
risolubile
E(1, 1) = R2 oα R
+00
R2 ⊕ δ R
nilpotente
He
000
R
abeliana
R3
Nel caso non unimodulare, si prova il
Teorema 1.10.2. Sia g un’algebra di Lie di dimensione 3 non unimodulare. Allora esiste una base (U1 , U2 , U3 ) di g tale che
[U1 , U2 ] = αU2 + βU3 ,
[U1 , U3 ] = γU2 + δU3 ,
[U2 , U3 ] = 0,
dove α, β, γ, δ ∈ R e α + δ = 2. Se
α γ
A=
6= I,
β δ
allora det(A) è un invariante per isomorfismi, cioè due algebre di Lie g e h
sono isomorfe se e solo se det(A) = det(A0 ). Tutte le algebre di Lie di questo
tipo sono risolubili ma non nilpotenti; u = L(U2 , U3 ) è un ideale abeliano e
g è isomorfa alla somma semidiretta di u ∼
= R2 e R.
Dimostrazione. Sia u il nucleo unimodulare di g. Dato che g non è
unimodulare,
ϕ : g −→ R, X 7−→ tr adX
è una forma lineare non nulla e dim u = 2. Si verifica che u è abeliano. Sia
(U2 , U3 ) una base di u. Allora
[U2 , U3 ] = 0.
58
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Consideriamo un elemento U1 ∈ g che non appartenga ad u. Dato che
tr adU1 6= 0, si può supporre tr adU1 = 2. Introdotto il seguente endomorfismo
ψ : u −→ u, X 7−→ [U1 , X] = adU1 (X).
si presentano due possibilità
1) ψ(X) = λX, per ogni X ∈ u;
2) esiste un Y ∈ u tale che Y e ψ(Y ) sono linearmente indipendenti.
I due casi danno luogo ad algebre di Lie non isomorfe.
Caso 1) Dato che adU1 (X) = ψ(X) = λX e tr adU1 = 2, deve essere λ = 1,
quindi
[U1 , U2 ] = U2 ,
[U1 , U3 ] = U3 ,
cioè
A=
[U2 , U3 ] = 0,
1 0
.
0 1
Caso 2) Poichè u è un ideale
[U1 , U2 ] = αU2 + βU3 ,
[U1 , U3 ] = γU2 + δU3 ,
[U2 , U3 ] = 0,
vale a dire
adU1


0 0 0
= 0 α γ 
0 β δ
e
tr adU1 = α + δ = 2.
Resta da provare che det(A) determina completamente la classe di
isomorfismo. Ciò si ottiene costruendo una base di g che dipende
solo da det(A). Consideriamo V2 , V3 ∈ u tali che V3 = ψ(V2 ) e V2
siano linearmente indipendenti. Posto V1 = U1 , (V1 , V2 , V3 ) è una
base di g tale che
[V1 , V2 ] = ψ(V2 ) = V3 ,
[V1 , V3 ] = ψ(V3 ) = hV2 + kV3 ,
[V2 , V3 ] = 0.
0 h
Poichè ψ = adU1 |u , le matrici A e B =
sono simili. Quindi
1 k
k = tr B = tr A = 2 e −h = det B = det A, cioè
[V1 , V2 ] = ψ(V2 ) = V3 ,
[V1 , V3 ] = ψ(V3 ) = − det(A)V2 + 2V3 ,
[V2 , V3 ] = 0.
Se g e g0 sono tali che det(A) = det(A0 ), scegliendo basi del tipo
precedente, si individua un isomorfismo tra g e g0 .
Esercizi.
Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie,
59
1.10.1 Sia g un’algebra di Lie di dimensione 3 non unimodulare. Provare
che il nucleo unimodulare di g è un ideale abeliano.
1.10.2 Sia g un’algebra di Lie reale di dimensione 3 e sia (E1 , E2 , E3 ) una
sua base.
(a) provare che se
[E1 , E2 ] = ±E3 ,
[E1 , E3 ] = −E2 ,
[E2 , E3 ] = E1 ,
allora g è isomorfa a su(2) (nel caso del segno +), oppure a sl(2, R)
(nel caso del segno –).
(b) Trovare l’algebra di Lie g0 del ricoprimento universale gruppo
] = R2 oα R, dove
delle isometrie del piano E(2)
cos t − sin t
α(t) =
.
sin t cos t
Verificare che se
[E1 , E2 ] = 0,
[E1 , E3 ] = −E2 ,
[E2 , E3 ] = E1 ,
g0 .
g è isomorfa a
(c) Trovare l’algebra di Lie g0 del ricoprimento universale del gruppo
^
delle isometrie del piano di Minkowski E(1,
1) = R2 oα R, dove
t
e
0
α(t) =
.
0 e−t
Verificare che se
[E1 , E2 ] = 0,
g è isomorfa a
g0 .
[E1 , E3 ] = E2 ,
[E2 , E3 ] = E1 ,
60
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
1.11. Gruppi di Lie di dimensione 4
I risultati riportati in questo paragrafo, tratti dall’articolo di L. Bèrard
Bergery [3], sono una rilettura in chiave moderna dell’articolo di S. Ishihara,
[14]. Si rimanda ad [14] per le dimostrazioni.
Lo scopo è quello di dare la classificazione dei gruppi di Lie, connessi e
semplicemente connessi, di dimensione 4.
I risultati principali sono i seguenti.
Teorema 1.11.1. Un gruppo di Lie, di dimensione 4, connesso e semplicemente connesso, è isomorfo ad uno dei seguenti gruppi
(1) G gruppo di Lie risolubile,
(2) SU (2) × R,
^R) × R, (SL(2,
^R) indica il rivestimento universale di SL(2, R),
(3) SL(2,
che è diffeomorfo a R3 ).
Teorema 1.11.2. Sia G un gruppo di Lie risolubile, connesso e semplicemente connesso, di dimensione 4. Allora esiste un sottogruppo G0 di G,
di dimensione 3, risolubile, unimodulare, semplicemente connesso, tale che
G = G0 oφ R,
dove φ(R) è un gruppo ad un parametro di automorfismi di G0 .
Dal teorema precedente segue che, per classificare tutti i gruppi di Lie
risolubili di dimensione 4, è sufficiente considerare i sottogruppi di dimensione 3, risolubili, unimodulari, semplicemente connessi, e i loro gruppi di
automorfismi.
Più precisamente, facendo riferimento alla classificazione riportata nel
paragrafo precedente, si ha
Teorema 1.11.3. I gruppi di Lie risolubili, connessi e semplicemente
connessi, di dimensione 4 sono isomorfi ad uno dei gruppi seguenti:
] oα R, con E(2)
] rivestimento universale del gruppo dei movimenti
(1) E(2)
rigidi del piano euclideo;
(2) E(1, 1) oα R, con E(1, 1) gruppo dei movimenti rigidi del piano di
Minkowski;
(3) He oα R, con He gruppo di Heisenberg;
(4) R3 oα R.
CAPITOLO 2
Richiami di geometria Riemanniana
In questo capitolo si intendono riassumere le nozioni di geometria Riemanniana che, nel prossimo capitolo, saranno applicate ai gruppi di Lie.
Per maggiori dettagli, dimostrazioni ed esempi, si consiglia la consultazione dei testi [5], [23], [17], indicati in Bibliografia.
2.1. Varietà Riemanniane ed isometrie
Nel corso di tutto il Capitolo si indicherá con M una varietá differenziabile C ∞ , paracompatta, di dimensione n. Inoltre, X(M ) e F(M ) saranno,
rispettivamente, l’algebra di Lie dei campi vettoriali C ∞ su M e l’anello delle
funzioni C ∞ su M a valori reali.
Si ricordi che una varietà differenziabile M si dice paracompatta se
ogni suo ricoprimento aperto ammette un raffinamento localmente finito.
È noto che ogni varietà differenziabile, di Hausdorff e con base numerabile, è paracompatta e, per questo motivo, ammette sempre una partizione
dell’unità subordinata ad ogni ricoprimento aperto.
Definizione 2.1.1. Una metrica Riemanniana g su M è una funzione che ad ogni punto p di M associa un prodotto scalare gp , definito sullo spazio tangente Tp M , che dipende differenziabilmente da p. Più precisamente,
per ogni coppia X, Y di campi vettoriali C ∞ su M , l’applicazione
p 7−→ gp (Xp , Yp ),
X, Y ∈ X(M )
è differenziabile di classe C ∞ .
La Definizione 2.1.1 è equivalente alla seguente
Definizione 2.1.2. Una metrica Riemanniana g su M è un campo tensoriale due volte covariante, simmetrico, definito positivo. In altri
termini, una metrica Riemanniana è un’applicazione
g : X(M ) × X(M ) −→ F(M )
F(M )–bilineare, simmetrica
g(X, Y ) = g(Y, X),
X, Y ∈ X(M ),
e definita positiva, ossia
gp (x, x) ≥ 0 e gp (x, x) = 0 ⇔ x = 0, p ∈ M, x ∈ Tp M.
Osservazioni.
p
1) Se x ∈ Tp M , la norma del vettore x è il numero reale kxk = gp (x, x).
61
62
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
2) Se si richiede che g sia solamente non degenere, ma non necessariamente
definita positiva, g prende il nome di metrica Riemanniana indefinita
o metrica pseudo–Riemanniana.
Definizione 2.1.3. La coppia (M, g) si dice varietà Riemanniana.
Si possono dimostrare le seguenti proprietà.
(1) Se U è un aperto di M , la restrizione ad U della funzione g(X, Y ) dipende
solo dalle restrizioni dei campi vettoriali X e Y a U . Pertanto ogni
metrica Riemanniana su M induce una metrica Riemanniana su ogni
aperto U di M.
(2) Viceversa, dato un ricoprimento aperto R di M, se per ogni U ∈ R è
assegnata una metrica Riemanniana gU tale che per ogni V di R, con
U ∩ V 6= ∅, si abbia gU = gV su U ∩ V , allora esiste un’unica metrica
Riemanniana g definita globalmente su M tale che g |U = gU .
(3) Dalle osservazioni precedenti segue che per assegnare una metrica Riemanniana g su M è sufficiente considerare un atlante di M e definire g su
ogni carta locale, rispettando certe condizioni di compatibilità che ora
saranno precisate. Sia (U, x1 , x2 , . . . , xn ) una carta locale; considerati
due campi vettoriali locali
X=
n
X
i=1
∂
,
X
∂xi
i
Y =
n
X
Yj
j=1
∂
,
∂xj
X i , Y j ∈ F(U )
(F(U ) indica l’anello delle funzioni C ∞ su U a valori reali), si ha la
seguente espressione
n
X
g(X, Y ) =
X i Y j gij ,
i,j=1
∂
∂
, j . Le funzioni gij prendono il nome di compoi
∂x ∂x
nenti locali di g rispetto alle coordinate (x1 , x2 , . . . , xn ).
Sia (V, y 1 , y 2 , . . . , y n ) un’altra locale tale che U ∩ V 6= ∅. Tenuto conto
che
n
X
∂
∂xi ∂
=
,
∂y α
∂y α ∂xi
i=1
∂
∂
le componenti locali gαβ = g
,
nei punti di U ∩ V verificano
∂y α ∂y β
le seguenti condizioni di compatibilità
dove gij = g
(∗)
gαβ =
n
X
∂xi ∂xj
gij .
∂y α ∂y β
i,j=1
(4) Da quanto si è visto, dare una metrica Riemanniana su M equivale ad
assegnare, per ogni aperto di un ricoprimento di M , n(n+1)
funzioni gij
2
tali che la matrice (gij ) sia in ogni punto simmetrica, definita positiva
Capitolo 2 – Richiami di geometria Riemanniana
63
e valgano le condizioni di compatibilità (∗). Il tensore metrico assume,
quindi, la seguente espressione locale
g=
n
X
gij dxi ⊗ dxj .
i,j=1
La forma quadratica associata a tale forma bilineare si indica solitamente
con
(∗, ∗)
n
X
2
ds =
gij dxi dxj ,
i,j=1
dove dxi dxj è il prodotto simmetrico di due tensori, dato da
1
dxi dxj = (dxi ⊗ dxj + dxj ⊗ dxi ).
2
ds2 prende il nome di elemento d’arco; tale denominazione è collegata
alla nozione di distanza tra due punti (cfr. punto (7)).
(5) Usando la partizione dell’unità, è possibile provare che ogni varietà differenziabile ammette sempre una metrica Riemanniana. Si noti che questa
proprietà non vale nel caso delle metriche Riemanniane indefinite; infatti non è sempre possibile costruire metriche di assegnata segnatura su
una varietà differenziabile qualsiasi. Per esempio, sulle varietà compatte
non esistono metriche di segnatura (1, n − 1) (le cosiddette metriche di
Lorentz).
(6) Data una carta locale (U, x1 , x2 , . . . , xn ), applicando il procedimento di
∂
∂
∂
, 2,...,
, si
ortogonalizzazione di Gram-Schmidt ai campi
1
∂x ∂x
∂xn
possono costruire n campi vettoriali locali E1 , E2 , ..., En tali che
g(Ei , Ej ) = δij .
In altri termini, su ogni aperto di M esistono sempre dei riferimenti
ortonormali locali che, in generale, non si estendono a dei riferimenti
globali. Se (θ1 , θ2 , . . . , θn ) è il riferimanto duale di (E1 , E2 , . . . , En ),
allora il tensore metrico g assume la seguente semplice espressione
g=
n
X
θi ⊗ θi .
i=1
Tuttavia,
in certi casi
usare
è più opportuno
il riferimento coordinato
∂
∂
∂
∂
∂
,
, . . . , n dato che
,
= 0, in contrasto col fatto
∂x1 ∂x2
∂x
∂xi ∂xj ∂
∂
∂
che, in generale, [Ei , Ej ] 6= 0. D’altra parte,
,
,... ,
ha
∂x1 ∂x2
∂xn
lo svantaggio non essere quasi mai un riferimento ortonormale.
(7) Sia (M, g) una varietà Riemanniana connessa. A partire dalla metrica g è possibile introdurre la nozione di distanza di due punti di M .
Considerata una curva γ su M
γ : [a, b] ⊂ R −→ M,
64
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
differenziabile a tratti, di classe almeno C 1 , la sua lunghezza è data da
Z b
Z bq
gγ(t) (γ̇(t), γ̇(t))dt =
kγ̇(t)kdt.
Lγ =
a
a
Si può dimostrare che Lγ non dipende dalla parametrizzazione scelta.
Consideriamo la funzione
Z tq
s(t) = Lγ (t) =
gγ(t) (γ̇(t), γ̇(t))dt,
a
che, da un punto di vista geometrico, rappresenta la lunghezza dell’arco di curva compreso tra i punti γ(a) e γ(t). Se (U, x1 , x2 , . . . , xn ) è
una carta locale, le coordinate di γ(t) sono (x1 (t), x2 (t), . . . , xn (t)), dove
xi (t) = (xi ◦ γ)(t). Quindi
1

2
Z t X
n
dxi dxj 

dt.
s(t) = Lγ (t) =
gij (x(t))
dt dt
a
i,j=1
Questa espressione giustifica sia la denominazione di elemento d’arco
per la forma quadratica (**) sia la notazione ds2 .
Dati due punti p, q ∈ M , si definisce la distanza d(p, q) tra p e q
come l’estremo inferiore delle lunghezze di ogni curva γ, differenziabile
a tratti, di classe almeno C 1 , che unisce p a q. Si verifica che (M, d) è
uno spazio metrico e che la topologia di M coincide con la topologia di
spazio metrico indotta dalla distanza.
Definizione 2.1.4. Siano (M, g) e (M 0 , g 0 ) due varietà Riemanniane.
Un diffeomorfismo f : M −→ M 0 si dice isometria se
f ∗ g 0 = g,
ossia se
(f ∗ g 0 )p (x, y) = gf0 (p) (f∗|p x, f∗|p y) = gp (x, y),
per ogni p ∈ M e x, y ∈ Tp M . In altri termini, per ogni p ∈ M , il differenziale f∗|p : Tp M −→ Tf (p) M 0 è un’isometria lineare tra gli spazi vettoriali
euclidei (Tp M, gp ) e (Tf (p) M 0 , gf0 (p) ).
Si possono dimostrare le seguenti proprietà.
(1) Un’isometria tra due varietà Riemanniane (M, g) e (M 0 , g 0 ) induce un’isometria, nel senso degli spazi metrici, tra (M, d) e (M 0 , d0 ) e viceversa.
(2) L’insieme I(M ) di tutte le isometrie di una varietà Riemanniana in sè è
un gruppo rispetto alla composizione di isometrie. Si può, inoltre, considerare su I(M ) la topologia compatta aperta e definire una struttura
di varietà differenziabile in modo tale che I(M ) risulti essere un gruppo
di Lie. In tal caso,
n(n + 1)
2
Questo importante risultato si deve a Myers e
dim I(M ) ≤
dove n = dim M .
Steenrood, [20].
Capitolo 2 – Richiami di geometria Riemanniana
65
È possibile dimostrare che se dimI(M ) = n(n+1)
, allora (M, g) ha
2
curvatura sezionale costante (per la definizione si veda il successivo
§II.3).
L’algebra di Lie di I(M ) coincide con l’algebra di Lie dei campi di
Killing completi su M (per i dettagli si veda, per esempio, ([17], Vol. I,
pag. 236).
Si noti che il gruppo dei diffeomorfismi di M non è un gruppo di Lie.
Definizione 2.1.5. Siano (M, g) e (M 0 , g 0 ) due varietà Riemanniane.
Una funzione differenziabile f : M −→ M 0 si dice isometria locale se, per
ogni p ∈ M ,
f∗|p : Tp M −→ Tf (p) M
è un’isometria lineare di spazi vettoriali euclidei.
Come diretta conseguenza del teorema della funzione inversa, si ha che
se f è un’isometria locale,per ogni punto p di M , esistono un intorno U di
p e un intorno U 0 di f (p) tali che
f |U : U −→ U 0
sia un diffeomorfismo. Ad esempio, la sfera S n e lo spazio proiettivo reale
RPn sono localmente (ma non globalmente) isometrici.
Un problema importante in geometria Riemanniana è quello di capire
quando due varietà Riemanniane sono isometriche, almeno localmente. In
molti casi, una risposta soddisfaciente si ottiene mediante il confronto di particolari campi tensoriali che sono invarianti per isometrie, detti invarianti
Riemanniani.
Nei prossimi paragrafi saranno introdotti alcuni importanti invarianti
Riemanniani.
Esempi.
(1) M = Rn con la metrica euclidea gE è un esempio di varietà Riemanniana.
Se (x1 , x2 , . . . , xn ) è il sistema di coordinate globali standard su Rn , si
ha
gE = dx1 ⊗ dx1 + dx2 ⊗ dx2 + · · · + dxn ⊗ dxn .
∂
∂
∂
,
, . . . , n è un riferimento
Si osservi che, in questo caso,
∂x1 ∂x2
∂x
ortonormale globale.
Si può verificare facilmente che il gruppo delle isometrie di Rn ,
rispetto alla metrica euclidea, è dato da
I(Rn ) = {f : Rn −→ Rn /f (x) = Ax + a, A ∈ O(n), a ∈ Rn },
con il prodotto (si identifica f ∈ I(Rn ) con la coppia (a, A))
(a, A)(a0 , A0 ) = (Aa0 + a, AA0 ), A, A0 ∈ O(n), a, a0 ∈ Rn .
Pertanto, I(Rn ) è il prodotto semidiretto di O(n) e Rn .
(2) Siano (M, g) e (M 0 , g 0 ) due varietà Riemanniane di dimensione n ed m,
rispettivamente. La varietà differenziabile prodotto M × M 0 può essere
dotata, in modo naturale, di una metrica prodotto ge definita su ogni
66
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
spazio tangente T(p,p0 ) (M × M 0 ) ∼
= Tp M ⊕ Tp0 M 0 , p ∈ M, p0 ∈ M 0 , nel
modo seguente
ge(p,p0 ) (v + v0 , w + w0 ) = gp (v, w) + gp0 0 (v0 , w0 ),
per ogni v, w ∈ Tp M e v0 , w0 ∈ Tp0 M 0 . Se (U, x1 , . . . , xn ) è una carta
locale di M tale che
n
X
g=
gij dxi ⊗ dxj
i,j=1
e se
(V, y 1 , . . . , y m )
è carta locale di M 0 rispetto alla quale
m
X
g0 =
gab dy a ⊗ dy b ,
a,b=1
l’espressione locale di ge, rispetto alla carta (U ×V, x1 , . . . , xn , y 1 , . . . , y m )
di M × M 0 , è
n
m
X
X
i
j
gab dy a ⊗ dy b .
ge =
gij dx ⊗ dx +
i,j=1
a,b=1
(3) Siano M ed M 0 due varietà differenziabili e f : M −→ M 0 un’immersione
(cfr. Definizione 1.6.1). Data una metrica Riemanniana g 0 su M 0 , la
metrica g = f ∗ g 0 è una metrica Riemanniana su M , detta metrica
indotta. Se M è una sottovarietà di M 0 , ossia f è iniettiva, la coppia
(M, g) prende il nome di sottovarietà Riemanniana di (M 0 , g 0 ).
Per esempio, la sfera
n
X
n
1
n
n
S (r) = {(x , . . . , x ) ∈ R /
(xi )2 = r2 },
i=1
Rn+1
di raggio r ≥ 0, è una sottovarietà di
e la metrica standard su
S n (r) è la metrica indotta dalla metrica euclidea di Rn+1 (cfr. punto
(1)). Si può dimostrare che il gruppo delle isometrie di S n coincide col
gruppo ortogonale O(n + 1).
(4) Sul toro T n = |S 1 × ·{z
· · × S }1 si può considerare la metrica Riemanniana
n volte
prodotto della metrica standard di S 1 (indotta dalla metrica euclidea di
R2 ). In questo caso, T n prende il nome di toro piatto.
Esercizio.
2.1.1 Si consideri la sfera S n (r) come sottovarietà di Rn+1 . Si dia l’espressione in coordinate locali della metrica di S n (r), indotta dalla metrica
euclidea di Rn+1 .
Capitolo 2 – Richiami di geometria Riemanniana
67
2.2. Connessioni su varietà Riemanniane
È noto che in Rn ha senso parlare di derivata direzionale di un campo
tensoriale rispetto ad un campo vettoriale. Per poter estendere tale concetto
ad una varietà differenziabile qualsiasi è necessario considerare dei particolari
operatori, detti connessioni lineari, che hanno le stesse proprietà formali
della derivata direzionale.
Definizione 2.2.1. Una connessione lineare ∇ su una varietà differenziabile M è un’applicazione
∇ : X(M ) × X(M ) −→ X(M ), (X, Y ) 7→ ∇X Y,
per cui valgono le seguenti proprietà
(1) ∇ è F(M )–lineare rispetto ad X, ossia
∇f X Y = f ∇X Y,
X, Y ∈ X(M ),
f ∈ F(M ).
(2) ∇ è una F(M )–derivazione rispetto ad Y , ossia
∇X f Y = X(f )Y + f ∇X Y,
X, Y ∈ X(M ),
f ∈ F(M ).
L’operatore ∇X prende il nome di derivata covariante rispetto al campo
vettoriale X.
Esempi.
Pn
P
∂
j ∂
(1) Sia M = Rn . Dati i campi vettoriali X = ni=1 X i ∂x
i, Y =
j=1 Y ∂xj ,
X i , Y j ∈ F(Rn ), l’applicazione ∇ definita da
∇X Y =
n
X
i=1
n
X
∂Y i ∂
∂
Xj j
X(Y ) i =
∂x
∂x ∂xi
i
i,j=1
è una connessione lineare che, in questo caso, coincide con la derivata
direzionale di Y rispetto ad X.
(2) Siano G un gruppo di Lie e g la sua algebra di Lie. Data un’applicazione
bilineare ψ : g × g −→ g, poniamo
∇X Y = ψ(X, Y ),
per ogni X, Y ∈ g, ed estendiamo la definizione di ∇ a tutti i campi
vettoriali su G mediante gli assiomi (1) e (2) della Definizione 2.2.1. In
questo modo si ottiene una connessione lineare su G. Scelte particolari
di ψ individuano alcune importanti connessioni; ad esempio, se ψ è
identicamente nulla si ha la cosiddetta (−)connessione di CartanSchouten (cfr. [17], Vol. I, pag. 198).
Ritornando al caso generale, data una connessione lineare ∇ su una
varietà differenziabile M , si dimostrano i seguenti fatti.
(1) Se U ⊆ M è un aperto, la restrizione di ∇X Y ad U dipende solo dalle
restrizioni ad U di X e Y , vale a dire: considerati altri campi vettoriali
X 0 , Y 0 ∈ X(M ) tali che X 0 |U = X|U e Y 0 |U = Y |U , allora (∇X Y )|U =
(∇X 0 Y 0 )|U .
68
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
(2) Assegnare una connessione lineare su M equivale ad assegnare una
connessione su ogni aperto di un ricoprimento R di M , rispettando
opportune condizioni di compatibilità sull’intersezione degli aperti.
(3) Mediante la partizione dell’unità, si prova che ogni varietà differenziabile
ammette sempre infinite connessioni lineari.
Determiniamo l’espressione in coordinate locali del campo
Pnvettoriale
∂
1
n
∇X Y . Se (U, x , . . . , x ) è una carta locale su M , allora X = i=1 X i ∂x
i,
Pn
Y = j=1 Y j ∂x∂ j , dove X i , Y j ∈ F(U ). Tenuto conto della Definizione 2.1,
si ha


n
n X
X
∂
∂
∂
j
j
j
=
∇X Y = ∇X 
Y
X(Y ) j + Y ∇X j .
∂xj
∂x
∂x
j=1
j=1
Dato che
n
∇X
X
∂
∂
=
,
X i∇ ∂
j
∂xj
∂xi ∂x
i=1
il campo vettoriale ∇X Y |U è noto quando sono noti i campi ∇
∂
∂xi
∂
.
∂xj
Posto
n
∇
dove
Γkij
∂
∂xi
X
∂
∂
=
Γkij k ,
j
∂x
∂x
k=1
∈ F(U ), l’espressione in coordinate locali della connessione ∇ è


n
n
X
X
∂
X(Y k ) +
∇X Y =
Γkij X i Y j  k .
∂x
i,j=1
k=1
Le funzioni Γkij sono le componenti locali della connessione sull’aperto U e
prendono il nome di simboli di Christoffel. Se (V, y 1 , . . . , y n ) è un’altra
carta locale di M tale che U ∩ V 6= ∅, posto
n
∇
∂
∂y a
X
∂
ec ∂ ,
=
Γ
ab
b
∂y c
∂y
c=1
e c nei punti di
la relazione che intercorre tra le componenti locali Γkij e Γ
ab
U ∩ V è
n
n
2 k
i
j
k
X
X
k ∂x ∂x
e c ∂x = ∂ x +
Γ
Γ
.
ij
ab
∂y c
∂y a ∂y b
∂y a ∂y b
c=1
ij=1
Introduciamo ora due importanti campi tensoriali associati ad una connessione lineare.
Definizione 2.2.2. Sia ∇ una connessione lineare su una varietà differenziabile M . La torsione di ∇ è il campo tensoriale T di tipo (1, 2)
definito da
T : X(M ) × X(M ) −→ X(M ),
(X, Y ) 7→ T (X, Y ) = ∇X Y − ∇Y X − [X, Y ].
Capitolo 2 – Richiami di geometria Riemanniana
69
La curvatura di ∇ è il campo tensoriale R di tipo (1, 3) dato da
R : X(M ) × X(M ) × X(M ) −→ X(M ),
(X, Y, Z) 7→ RXY Z = ∇[X,Y ] Z − [∇X , ∇Y ]Z.
Osservazioni.
(1) T ed R sono campi tensoriali per i quali valgono le seguenti proprietà di
antisimmetria
T (X, Y ) = −T (Y, X),
RXY Z = −RY X Z,
per ogni X, Y, Z ∈ X(M ).
(2) Il segno della curvatura nella Definizione 2.2.2 è quello adottato da J.
Milnor ([19]) ed è opposto a quello scelto da S. Kobayashi e K. Nomizu
([17]).
L’operazione di derivazione covariante può essere estesa a campi tensoriali di tipo qualsiasi. Tuttavia, per semplicità daremo la definizione solo
nel caso dei campi tensoriali che verranno usati in seguito.
Definizione 2.2.3. La derivata covariante di un campo tensoriale,
rispetto ad un campo vettoriale X, è definita nel modo seguente
− se f ∈ F(M ),
∇X f = X(f ) = df (X);
− se α è un campo tensoriale di tipo (0, k), vale a dire un’applicazione
F(M )–multilineare
α : X(M ) × · · · × X(M ) −→ F(M ),
{z
}
|
k volte
allora
(∇X α)(X1 , . . . , Xk ) = X(α(X1 , . . . , Xk )) −
k
X
α(X1 , . . . , ∇X Xi , . . . , Xk );
i=1
− se A è un campo tensoriale di tipo (1, k), cioè un’applicazione F(M )–
multilineare
A : X(M ) × · · · × X(M ) −→ X(M )
|
{z
}
k volte
allora
(∇X A)(X1 , . . . , Xk ) = ∇X (A(X1 , . . . , Xk ))
−
k
X
A(X1 , . . . , ∇X Xi , . . . , Xk ),
i=1
dove X, X1 , . . . , Xk ∈ X(M ).
Il differenziale covariante di un campo tensoriale è dato da
∇α(X; X1 , . . . , Xk ) = (∇X α)(X1 , . . . , Xk ),
se α è un campo tensoriale di tipo (0, k), e da
∇A(X; X1 , . . . , Xk ) = (∇X A)(X1 , . . . , Xk ),
se A è un campo tensoriale di tipo (1, k).
70
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Osservazioni.
(1) Se α è un campo tensoriale di tipo (0, k), ∇α è un campo tensoriale di
tipo (0, k+1).
(2) Se A è un campo tensoriale di tipo (1, k), ∇A è un campo tensoriale di
tipo (1, k+1).
Le dimostrazioni di queste proprietà sono lasciate per esercizio (Esercizio
2.2.3).
Una connessione ∇ su una varietà Riemanniana (M, g) si dice metrica
se ∇g = 0. In base alla definizione precedente, ciò equivale alla condizione
Xg(Y, Z) = g(∇X Y, Z) + g(Y, ∇X Z),
per ogni X, Y, Z ∈ X(M ).
Teorema 2.2.4 (Lemma fondamentale della geometria Riemanniana).
Su una varietà Riemanniana (M, g) esiste ed unica una connessione lineare
∇ che sia
(1) priva di torsione (T = 0, ovvero ∇X Y −∇Y X = [X, Y ], per ogni X, Y ∈
X(M )),
(2) metrica.
Tale connessione prende il nome di connessione di Levi Civita o connessione Riemanniana.
Dimostrazione. Cenno di dimostrazione Siano X, Y ∈ X(M ). Definiamo ∇X Y come l’unico campo vettoriale tale che
(∗)
2g(∇X Y, Z) = Xg(Y, Z) + Y g(Z, X) − Zg(X, Y )
+ g([X, Y ], Z) − g([Y, Z], X) + g([Z, X], Y ),
per ogni Z ∈ X(M ).
Si noti che, essendo gp un prodotto scalare su ogni spazio tangente Tp M ,
la definizione (*) è una buona definizione. Infatti, se gp (x, y) = gp (x0 , y),
per ogni y ∈ Tp M , si ha gp (x − x0 , y) = 0 e, poichè gp è non degenere, si
deduce x − x0 = o, cioè x = x0 . Si lascia per esercizio (Esercizio 2.2.4) il
provare che la (*) definisce un’unica connessione lineare priva di torsione e
metrica.
Osservazioni.
(1) I simboli di Christoffel di una connessione di Levi Civita verificano la
condizione
Γkij = Γkji
in quanto la torsione è nulla.
Mediante la relazione (*), è possibile esprimere i simboli di Christoffel in funzione delle componenti locali della metrica
n
X
1 ∂gjk
∂gki ∂gij
l
+
−
.
Γij glk =
2 ∂xi
∂xj
∂xk
l=1
Capitolo 2 – Richiami di geometria Riemanniana
71
(2) È immediato verificare che la connessione lineare ∇X Y , definita nell’esempio (1) di pag. 67, coincide con la connessione di Levi Civita della
metrica euclidea gE di Rn . In questo caso, i simboli di Christoffel sono
tutti nulli.
(3) Se ∇ è la connessione di Levi Civita di (M, g) e se f è un’isometria,
allora
f∗ (∇X Y ) = ∇f∗ X f∗ Y, X, Y ∈ X(M ).
In altri termini, ∇ è invariante per isometrie.
Esercizi.
2.2.1 Siano (U, x1 , . . . , xn ) e (V, y 1 , . . . , y n ) due carte locali, ad intersezione
non vuota, di un atlante di una varietà differenziabile M . Si determini
la relazione intercorrente tra le componenti locali di una connessione
lineare ∇, definita su M , nei punti di U ∩ V .
2.2.2 Sia ∇ una connessione lineare su una varietà differenziabile M .
(1) Verificare che la torsione T di ∇ è un campo tensoriale di tipo
(1, 2), antisimmetrico.
(2) Verificare che la curvatura R di ∇ è un campo tensoriale di tipo
(1, 3), antisimmetrico rispetto ai primi due argomenti.
2.2.3 Sia α un campo tensoriale di tipo (0, k) definito su di una varietà
differenziabile M e sia ∇ una connessione lineare su M . Si provi che
∇α è un campo tensoriale di tipo (0, k + 1). Si verifichi che, nel caso
di un campo tensoriale A di tipo (1, k), ∇A è un campo tensoriale di
tipo (1, k + 1).
2.2.4 Si completi la dimostrazione del Teorema 2.2.4.
72
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
2.3. Tensori di curvatura
Siano (M, g) una varietà Riemanniana e ∇ la sua connessione di Levi
Civita.
Definizione 2.3.1. Il tensore di curvatura Riemanniano è il campo
tensoriale di tipo (0, 4), denotato ancora con R, definito da
RXY ZW = g(RXY Z, W ),
per ogni X, Y, Z, W ∈ X (M ) (il tensore R che compare a secondo membro è
la curvatura di ∇, cfr. Definizione 2.2.2).
Proprietà 2.3.2. Il tensore di curvatura Riemanniano verifica le seguenti proprietà:
(1) RXY ZW = −RY XZW ,
(2) RXY ZW = −RXY W Z ,
(3) RXY ZW = RZW XY ,
(4) SXY Z RXY ZW = 0, (Prima identità di Bianchi),
(5) SXY Z (∇X R)Y ZW U = 0, (Seconda identità di Bianchi),
per ogni X, Y, Z, W, U ∈ X (M ) (SXY Z denota la somma rispetto alle permutazioni cicliche di X, Y, Z).
La dimostrazione viene lasciata come esercizio (Esercizio 2.3.1).
Osservazioni.
(1) Il tensore di curvatura R della connessione di Levi Civita è invariante
per isometrie, vale a dire
f∗ (RXY Z) = Rf∗ Xf∗ Y f∗ Z,
per ogni X, Y, Z ∈ X (M ) e per ogni isometria f di (M, g). Se M ha
dimensione 2, questo risultato è noto come Teorema Egregium di Gauss.
(2) Le derivate covarianti successive ∇m R del tensore di curvatura sono
anch’esse invarianti per isometrie.
(3) Il fatto che R sia un campo tensoriale implica che R individua un tensore
su ogni spazio tangente Tp M, p ∈ M . Infatti, se x, y, z, w ∈ Tp M , posto
Rxyzw = (RXY ZW )p ,
dove X, Y, Z, W ∈ X (M ) sono campi qualsiasi tali che Xp = x, Yp = y,
Zp = z, Wp = w, si controlla che il valore di Rxyzw non dipende dalla
scelta dei campi X, Y, Z, W .
Definizione 2.3.3. Siano (M, g) una varietà Riemanniana e p un suo
punto. Si consideri un sottospazio π di dimensione 2 dello spazio tangente
Tp M . La curvatura sezionale K del piano π è definita da
Rxyxy
,
Kxy =
2
kxk kyk2 − g(x, y)2
dove (x, y) è un base di π.
Capitolo 2 – Richiami di geometria Riemanniana
73
Osservazioni.
(1) Per la disuguglianza di Cauchy–Schwartz, il denominatore di Kxy non è
mai nullo. Questo non è più vero per le metriche pseudo–Riemanniane.
In tal caso, nella definizione di curvatura sezionale si considerano solo
basi per le quali il denominatore non è nullo.
(2) La curvatura sezionale non dipende dalla base scelta. Infatti, se π è un
piano vettoriale di Tp M e se (x, y) e (u, v) sono due basi qualsiasi di π,
allora
Kxy = Kuv
(cfr. Esercizio 2.3.3). Si noti che se (x, y) è una base ortonormale di π,
allora Kxy = Rxyxy .
(3) La curvatura sezionale determina completamente il tensore di curvatura
Riemanniano. Più precisamente, posto K(X, Y ) = RXY XY , si ha
1
RXY ZW = [K(X + Z, Y + W ) − K(X + W, Y + Z)
6
− K(X, Y + W ) − K(Z, Y + W ) − K(Y, X + Z)
+ K(X, Y + Z) − K(W, X + Z) + K(W, Y + Z)
+ K(Y, X + W ) + K(Z, X + W ) + K(Y, Z)
+ K(X, W ) − K(Y, W ) − K(X, Z)],
per ogni X, Y, Z, W ∈ X(M ). Si noti che, conosciuto il valore della
curvatura sezionale K in ogni punto di M , allora è noto K(X, Y ), per
ogni X, Y ∈ X(M ).
Definizione 2.3.4. Sia (M, g) una varietà Riemanniana e sia R il tensore di curvatura Riemanniano. La curvatura di Ricci ρ e la curvatura
scalare τ sono definite nel modo seguente
ρ(X, Y ) =
τ=
n
X
i=1
n
X
RXEi Y Ei ,
X, Y ∈ X (M ),
ρ(Ei , Ei ),
i=1
dove (E1 , E2 , . . . , En ) è un riferimento ortonormale locale.
Osservazioni.
(1) Non è difficile verificare che le definizioni di ρ e τ non dipendono dal
riferimento ortonormale locale.
(2) La curvatura di Ricci è un campo tensoriale di tipo (0, 2) simmetrico,
vale a dire
ρ(X, Y ) = ρ(Y, X),
X, Y ∈ X (M ).
La curvatura scalare è una funzione differenziabile a valori reali, ossia
τ ∈ F(M ).
74
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Esempi.
∂
∂
sia costante per
1) Se g è una qualsiasi metrica su Rn tale che g ∂x
i , ∂xj
ogni i, j = 1, . . . , n (si ricordi che (x1 , . . . , xn ) è un sistema di coordinate
gobali su Rn ), la curvatura Riemanniana di g è nulla.
2) La curvatura di una varietà Riemanniana di dimensione 1 è sempre
identicamente nulla.
3) Se M è una varietà Riemanniana di dimensione 2, in ogni punto p ∈ M vi
è una sola curvatura sezionale, che coincide con la curvatura Gaussiana
nel caso delle superfici di R3 . Più precisamente, si può pensare alla curvatura sezionale come ad una funzione K : M −→ R, p 7→ K(p) = Ruvuv ,
dove (u, v) è una base ortonormale di Tp M . Determiniamo l’espressione
Rxyzw con x, y, z, w ∈ Tp M . Posto
x = au + bv,
y = cu + dv,
z = eu + f v,
w = gu + hv,
con a, b, c, d, e, f, g, h ∈ R, si ha
Rxyzw = (ad − bc)(eh − f g)K(p)
= [(ae + bf )(cg + dh) − (ag + bh)(ce + df )]K(p)
= K(p)[g(x, z)g(y, w) − g(x, w)g(y, z)],
ossia, in termini di campi vettoriali
RXY ZW = K[g(X, Z)g(Y, W ) − g(X, W )g(Y, Z)],
per ogni X, Y, Z, W ∈ X (M ). Si noti che la curvatura sezionale determina
completamente la curvatura, come è già stato osservato in precedenza.
Consideriamo, ora, una classe particolarmente importante di varietà
Riemanniane.
Definizione 2.3.5. Una varietà Riemanniana M ha curvatura sezionale
puntualmente costante se, in ogni punto p ∈ M , K(π1 ) = K(π2 ), per ogni
coppia di piani π1 e π2 di Tp M . Questo valore della curvatura sezionale (che
dipende solo da p) sarà indicato con K(p).
Se M ha curvatura sezionale puntualmente costante e se la funzione
K : M −→ R, p 7−→ K(p), è costante, si dice che M è a curvatura
sezionale costante, oppure a curvatura costante.
Contrariamente al caso delle superfici, le due definizioni precedenti coincidono per le varietà Riemanniane aventi dimensione maggiore di 2. Infatti
vale il
Teorema 2.3.6 (Schur). Sia M una varietà Riemanniana di dimensione
n con n ≥ 3. Se M è a curvatura sezionale puntualmente costante allora è
a curvatura sezionale costante.
Osservazioni.
(A) Le varietà Riemanniane (M, g) a curvatura sezionale costante K,
connesse, semplicemente connesse e complete (nel senso che M è uno spazio
metrico completo rispetto alla distanza indotta da g), sono classificate in tre
classi. Più precisamente:
Capitolo 2 – Richiami di geometria Riemanniana
75
(1) se K > 0, (M, g) è isometrica alle sfera S n (r), di raggio r = √1K , dotata
della metrica indotta dalla metrica euclidea di Rn+1 .
(2) Se K = 0, (M, g) è isometrica ad Rn con la metrica euclidea.
(3) Se K < 0, (M, g) è isometrica al semispazio di Poincaré
H n (r) = {(u1 , . . . , un ) ∈ Rn / u1 > 0},
con metrica
g=
dove r =
r2
((du1 )2 + ... + (dun )2 ),
(u1 )2
√1 .
−K
Se vengono omesse le ipotesi topologiche (semplice connessione e completezza) la classificazione è solo locale.
(B) Il semispazio di Poincaré H n ha anche la struttura di gruppo di Lie
dove il prodotto è dato da
(x1 , . . . , xn )(y 1 , . . . , y n ) = (x1 y 1 , x1 y 2 + x2 , . . . , x1 y n + xn ).
Si osservi che H n è un gruppo di Lie risolubile ed è prodotto semidiretto di
R − {0} e Rn−1 .
Una caratteristica notevole delle varietà Riemanniane a curvatura costante è quella di avere lo stesso tensore di curvatura delle varietà bidimensionali.
Proprietà 2.3.7. Sia M una varietà Riemanniana a curvatura sezionale costante K. Allora il tensore di curvatura Riemanniano è dato
da
RXY ZW = K[g(X, Z)g(Y, W ) − g(X, W )g(Y, Z)].
per ogni X, Y, Z, W ∈ X (M ).
Definizione 2.3.8. Una varietà Riemanniana (M, g) si dice varietà di
Einstein se il tensore di Ricci ρ è multiplo di g, ossia se esiste una funzione
λ ∈ F(M ) tale che
ρ(X, Y ) = λg(X, Y ),
per ogni X, Y ∈ X (M ).
Anche in questo caso, si dimostra che
Proprietà 2.3.9. Sia (M, g) una varietà di Einstein. Se dimM ≥ 3
allora λ è una funzione costante.
Si osservi che ogni varietà Riemanniana di dimensione 2 è di Einstein,
ma λ non è necessariamente costante.
Lo studio delle varietà di Einstein riveste una grande importanza nell’ambito della geometria Riemanniana. Per un’esposizione dettagliata dei
principali risultati si veda la monografia di A. L. Besse [4].
Nel caso particolare delle metriche di Lorentz, le varietà di Einstein
hanno un ruolo fondamentale nella teoria della Relatività Generale.
76
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Proprietà 2.3.10. Se (M, g) è una varietà Riemanniana di dimensione
n, a curvatura sezionale costante K, il tensore di Ricci ρ e la curvatura
scalare τ hanno le seguenti espressioni
ρ(X, Y ) = (n − 1)Kg(X, Y ),
X, Y ∈ X (M ),
τ = n(n − 1)K.
In particolare, ogni varietà a curvatura sezionale costante è di Einstein.
Osservazione. Si può provare ([17] vol. I, pag. 293) che se una varietà
Riemanniana (M, g) ha dimensione 3 ed è di Einstein allora è a curvatura
sezionale costante. Infatti, si dimostra che
RXY ZW = g(X, Z)ρ(Y, W ) + g(Y, W )ρ(X, Z) − g(X, W )ρ(Y, Z)
τ
− g(Y, Z)ρ(X, W ) − {g(X, Z)g(Y, W ) − g(X, W )g(Y, Z)}
2
e, quindi, il tensore di Ricci determina completamente la curvatura. Pertanto, la ricerca delle varietà di Einstein diventa interessante solo quando la
dimensione è almeno 4.
Esercizi.
2.3.1 Dimostrare la Proprietà 2.3.2.
2.3.2 Siano ρ il tensore di Ricci e τ la curvatura scalare di una varietà
Riemanniana (M, g). Si provi che
(i) ρ è un campo tensoriale di tipo (0, 2) simmetrico;
(ii) le definizioni di ρ e τ non dipendono dalla scelta del riferimento
ortonormale locale.
2.3.3 Dimostrare l’affermazione contenuta nell’osservazione (2) di pag. 73.
2.3.4 Siano (M1 , g1 ) e (M2 , g2 ) due varietà Riemanniane. Considerata la
varietà M = M1 × M2 dotata della metrica prodotto g = g1 × g2 (cfr.
l’esempio (2) di pag. 65), determinare la relazione che intercorre tra la
connessione di Levi Civita di g e le connessioni di Levi Civita di g1 e g2 .
Trovare le analoghe relazioni tra i tensori di curvatura Riemanniani,
le curvature di Ricci e le curvature scalari.
Capitolo 2 – Richiami di geometria Riemanniana
77
2.4. Equazioni di struttura di Cartan
Ricordiamo che una p–forma differenziale è una applicazione F(M )–
lineare
θ : X (M ) × · · · × X (M ) −→ F(M )
|
{z
}
p volte
che è anche antisimmetrica rispetto a tutti i suoi argomenti, cioè
θ(X1 , . . . , Xi , . . . , Xj , . . . , Xp ) = −θ(X1 , . . . , Xj , . . . , Xi , . . . , Xp ).
Lo spazio vettoriale delle p–forme differenziali su M viene solitamente indicato con Λp (M ). Si noti che Λ0 (M ) = F(M ) e Λ1 (M ) = X (M ).
Se θ ∈ Λp (M ) e ω ∈ Λs (M ), il prodotto esterno di θ e ω è la (p+s)–
forma θ ∧ ω definita da
(θ ∧ ω)(X1 , . . . , Xp+s ) =
X
1
(σ)θ(Xσ(1) , ..., Xσ(p) )ω(Xσ(p+1) , . . . , Xσ(p+s) ),
(p + s)!
σ∈P
dove P denota l’insieme delle permutazioni di {1, . . . , p + s} e (σ) è il segno
della permutazione σ.
In particolare, se θ, ω ∈ Λ1 (M ), allora
1
(θ ∧ ω)(X, Y ) = (θ(X)ω(Y ) − θ(Y )ω(X)), X, Y ∈ X (M ).
2
Il differenziale esterno è l’applicazione
d : Λp (M ) −→ Λp+1 (M ),
definita da
1
dα(X1 , . . . , Xp+1 ) =
p+1
+
X
1≤i<j≤p+1
( p+1
X
(−1)i+1 Xi α(X1 , . . . , X̂i , . . . , Xp+1 )
i=1


(−1)i+j α([Xi , Xj ], X1 , . . . , X̂i , . . . , X̂j , . . . , Xp+1 ) ,

dove ˆ significa che il relativo campo vettoriale deve essere omesso.
In particolare, se α ∈ Λ1 (M ) e β ∈ Λ2 (M ), si ha:
1
dα(X, Y ) = {Xα(Y ) − Y α(X) − α([X, Y ])} ,
2
1
dβ(X, Y, Z) = SXY Z {Xβ(Y, Z) − β([X, Y ], Z)} ,
3
per ogni X, Y, Z ∈ X (M ) (SXY Z denota la somma rispetto alle permutazioni
cicliche di X, Y, Z).
Il differenziale esterno è caratterizzato dalle seguenti proprietà (per la
dimostrazione si veda [5], pag. 218).
Teorema 2.4.1. Il differenziale esterno è l’unica applicazione R–lineare
d : Λp (M ) −→ Λp+1 (M ) che verifica le seguenti proprietà:
(1) df (X) = X(f ), per ogni f ∈ Λ0 (M ) e X ∈ Λ1 (M );
(2) d2 = d ◦ d = 0;
78
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
(3) se θ ∈ Λp (M ) e ω ∈ Λs (M ), allora d(θ ∧ ω) = dθ ∧ ω + (−1)p θ ∧ dω.
Osservazione. Nel caso in cui f, g ∈ Λ0 (M ), la terza proprietà del Teorema 2.4.1 corrisponde esattamente alla regola di Leibnitz per la derivazione
del prodotto di funzioni.
Il seguente risultato di algebra multilineare è necessario per alcune dimostrazioni successive.
Lemma 2.4.2 (di Cartan). Sia V uno spazio vettoriale di dimensione n
su un campo K e siano ω 1 , . . . , ω p ∈ V ∗ (spazio vettoriale duale di V ) delle
1–forme linearmente indipendenti. Se ϕ1 , . . . , ϕp ∈ V ∗ sono 1-forme tali che
p
X
ϕα ∧ ω α = 0,
α=1
allora esistono degli scalari aαβ ∈ K per cui
(
P
ϕα = pβ=1 aαβ ω β
.
aαβ = aβα
Dimostrazione. Completiamo l’insieme (ω 1 , . . . , ω p ) in modo
P da ottenere una base (ω 1 , . . . , ω p , ω p+1 , . . . , ω n ) di V ∗ e poniamo ϕα = ni=1 aαi ω i .
Dato che le 2–forme (ω i ∧ ω j , 1 ≤ i < j ≤ n) individuano una base di Λ2 V ∗ ,
dalla relazione
p
p
n
X
X
X
X
α
β
α
0=
ϕα ∧ ω =
(aαβ − aβα )ω ∧ ω +
aαi ω i ∧ ω α ,
α=1
1≤α<β≤p
α=1 i=p+1
si deduce aαβ = aβα e aαi = 0.
Sia (M, g) una varietà Riemanniana di dimensione n. Si consideri un
riferimento ortonormale locale (E1 , . . . , En ) definito su un aperto U ⊆ M .
In altre parole, (E1 |p , . . . , En |p ) è una base ortonormale di Tp M , per ogni
p ∈ U . Sia (θ1 , . . . , θn ) il riferimento duale, ossia tale che θi (Ej ) = δij . In
tal caso, θi (X) = P
g(X, Ei ) è l’i-esima componente locale del campo X e si
può scrivere X = ni=1 g(X, Ei )Ei .
P
Sia ∇ la connessione di Levi Civita. Posto ∇Ei Ej = nk=1 Γkij Ek , dove
Γkij sono le componenti locali di ∇ rispetto al riferimento scelto (le Γkij non
sono, in generale, simmetriche rispetto agli indici inferiori), consideriamo le
1–forme
n
X
ωji =
Γikj θk , i, j = 1, . . . , n.
k=1
Si noti che, per ogni campo vettoriale X ∈ X (U ),
n
X
i
ωj (X) =
Γikj θk (X) = θi (∇X Ej ) = g(∇X Ej , Ei ).
k=1
ωji
Le
sono dette 1−forme locali della connessione ∇. E’ chiaro che le
i
ωj determinano completamente la connessione ∇.
Capitolo 2 – Richiami di geometria Riemanniana
79
Le 2−forme locali di curvatura Ωij , i, j = 1, . . . , n, sono definite nel
modo seguente
2Ωij (X, Y ) = −θi (RXY Ej ),
X, Y ∈ X (U ).
A questo punto, possiamo enunciare il seguente Teorema che rappresenta la
versione in termini di forme differenziali del Teorema 2.1.
Teorema 2.4.3 (Cartan). Sia (E1 , . . . , En ) un riferimento ortonormale
locale su una varietà Riemanniana (M, g) di dimensione n e sia (θ1 , . . . , θn )
il riferimento duale. Valgono le seguenti equazioni di struttura di Cartan:
(
P
dθi = − nj=1 ωji ∧ θj
(1)
ωji + ωij = 0,
(
P
Ωij = dωji + nk=1 ωki ∧ ωjk
(2)
Ωij + Ωji = 0.
Inoltre, le 1–forme ωji che verificano le equazioni (1) sono uniche.
La dimostrazione di questo teorema consiste in una semplice verifica ed
è lasciata come esercizio (Esercizio 2.4.1). Si noti che, per provare l’unicità delle forme di connessione, è necessario usare il lemma di Cartan (cfr.
Lemma 2.4.2).
Nel seguito, ci si riferirà al sistema (1) (rispettivamente, al sistema (2))
col nome collettivo di prima (rispettivamente, di seconda) equazione di
struttura.
Come si vedrà nell’esempio seguente, le equazioni di struttura forniscono
il metodo più comodo per determinare il tensore di curvatura di una varietà
Riemanniana.
Esempio.
Sia S 2 (r) la sfera, di centro l’origine e raggio r, in R3 . Consideriamo
la carta locale (S 2 (r) − S, ϕ) = (S 2 (r) − S, u1 , u2 ), costruita mediante la
proiezione stereografica dal “polo sud S. Rispetto alle coordinate ui , la
metrica g, indotta dalla metrica euclidea di R3 , ha l’espressione
g=
4r4
(du1 ⊗ du1 + du2 ⊗ du2 ),
(r2 + kuk2 )2
dove kuk2 = (u1 )2 + (u2 )2 . Una base ortonormale locale per le 1–forme su
S 2 (r) è data da
θ1 =
2r2
du1 ,
r2 + kuk2
θ2 =
2r2
du2 .
r2 + kuk2
Poichè
d(kuk2 ) = 2(u1 du1 + u2 du2 ),
si trova
dθ1 = 2r2 −
1
1
1
2
2
(2u
du
+
2u
du
)
∧ du1
(r2 + kuk2 )2
4r2
1
=− 2
u2 du2 ∧ du1 = − 2 u2 θ2 ∧ θ1 .
2
2
(r + kuk )
r
80
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Analogamente, si ottiene
1 1 1
u θ ∧ θ2 .
r2
Allo scopo di determinare le 1–forme di connessione, si ponga ω21 = aθ1 +bθ2 .
Dalla prima equazione di struttura, si deduce

1


− 2 u2 θ2 ∧ θ1 = (−aθ1 − bθ2 ) ∧ θ2
r

1

− u1 θ1 ∧ θ2 = (aθ1 + bθ2 ) ∧ θ1 ,
r2
da cui si ottiene
1
1
b = 2 u1
a = − 2 u2 ,
r
r
e quindi
1
1
1
ω21 = − 2 u2 θ1 + 2 u1 θ2 = 2 (u1 θ2 − u2 θ1 ).
r
r
r
Calcolato il differenziale di ω21 , dalla seconda equazione di struttura si ricava
1
Ω12 = 2 θ1 ∧ θ2 ,
r
da cui si vede che la curvatura Gaussiana di S 2 (r) vale proprio r12 , come ci
si aspettava.
dθ2 = −
Esercizi.
2.4.1 Dimostrare il Teorema 2.4.3.
2.4.2 Determinare la curvatura sezionale della metrica
dx2 + dy 2
ds2 =
,
y2
definita sul semipiano di Poincaré
R2+ = {(x, y) ∈ R2 /y > 0}.
2.4.3 Si consideri la famiglia di metriche Riemanniane su R3
ds2 = Adx2 + Bdy 2 + C(dz − ydx)2 ,
A, B, C ∈ R+ .
((x, y, z): coordinate standard di R3 ). Determinare il tensore di curvatura Riemanniana, la curvatura di Ricci e la curvatura scalare per
ciascuna di tali metriche.
+
2.4.4 Si consideri la seguente metrica Riemanniana su R4 = {(x1 , x2 , x3 , x4 ) ∈
R4 / x1 > 0} (detta metrica di Willmore):
2
ds2 = (x1 )4 (dx21 + dx22 + dx23 ) + x−2
1 dx4 .
Dimostrare che tale metrica è Ricci–piatta (ossia ρ = 0), nonostante
che il tensore di curvatura Riemanniano non sia nullo.
Capitolo 2 – Richiami di geometria Riemanniana
81
2.5. Geodetiche e teorema di Myers
Sia M una varietà differenziabile dotata di una connessione lineare ∇.
Si può provare che, dati i campi vettoriali X, Y ∈ X (M ) e fissato un punto
p ∈ M , il vettore (∇X Y )p dipende solo da Xp e dai valori del campo Y in
un intorno di p. Più precisamente, vale la
Proprietà 2.5.1. Siano X ∈ X (M ) e α : (a, b) ⊆ R −→ M la sua
curva integrale passante per p ∈ M . Se Y, Y 0 ∈ X (M ) sono due campi che
0
coincidono lungo α, ossia tali che Yα(t) = Yα(t)
per ogni t ∈ (a, b), allora
(∇X Y )p = (∇X Y 0 )p .
In altri termini, (∇X Y )p dipende solo dal valore di Y lungo la curva α.
In base alla proprietà precedente, si può introdurre la nozione di derivata covariante di un campo vettoriale lungo una curva. Data una curva
α : (a, b) ⊆ R −→ M e un campo vettoriale Y lungo α, si definisce
∇α̇(t) Y = (∇X Ye )α(t) ,
dove X, Ye sono campi qualsiasi tali che Xα(t) = α̇(t) e Yeα(t) = Yα(t) . Ha
senso, quindi, la seguente
Definizione 2.5.2. Un campo vettoriale X si dice parallelo (rispetto a
∇) lungo una curva α : (a, b) ⊆ R −→ M se
∇α̇(t) X = 0,
per ogni
t ∈ (a, b).
Mediante questa definizione si perviene al concetto di geodetica.
Definizione 2.5.3. Una curva α : (a, b) −→ M si dice autoparallela
se il campo tangente α̇(t) è parallelo lungo α, vale a dire se
∇α̇(t) α̇(t) = 0
per ogni
t ∈ (a, b).
Le geodetiche di una varietà Riemanniana sono le curve autoparallele rispetto alla connessione di Levi Civita.
Elenchiamo, ora, alcune proprietà delle geodetiche.
(1) Siano M e N due varietà Riemanniane, f : M −→ N un’isometria e
α : (a, b) ⊆ R −→ M una geodetica. Anche la curva γ = f ◦ α è una
geodetica di N .
(2) Se una curva ω : [a, b] ⊆ R −→ M è parametrizzata mediante l’ascissa
curvilinea (cfr. pag. 64) e ha lunghezza minore di ogni curva che unisce
ω(a) con ω(b), allora ω è una geodetica. Per esempio, le geodetiche di
Rn e S n sono, rispettivamente, le rette ed i cerchi massimi.
(3) Sia M una varietà differenziabile dotata di una connessione lineare ∇. Le
curve autoparallele sono soluzioni di un sistema di equazioni differenziali
ordinarie del secondo ordine. Poichè tali soluzioni sono uniche, una volta
fissate le condizioni iniziali, per ogni vettore v ∈ Tp M , esiste una sola
curva autoparallela γU : I −→ M (I ⊆ R intervallo aperto contenente 0)
tale che:
82
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
i) γU (0) = p, γ˙U (0) = v;
ii) γU è massimale, ossia non è la restrizione ad I di un’altra autoparallela definita su un’intervallo contenente propriamente I.
Definizione 2.5.4. Una varietà Riemanniana (M, g) si dice completa se è possibile estendere ogni geodetica α : (a, b) ⊆ R −→ M ad una
applicazione α : R −→ M .
Osservazione. Si prova che questa definizione di completezza è equivalente all’usuale concetto di completezza per gli spazi metrici, vale a dire
che ogni successione di Cauchy è convergente.
La completezza di una varietà Riemanniana è legata alla sua topologia,
infatti vale il
Teorema 2.5.5. Ogni varietà Riemanniana compatta è completa.
D’altra parte, vi sono molte varietà Riemanniane complete ma non compatte. Tuttavia, mediante opportune ipotesi sulla curvatura, si può, in un
certo senso, invertire il teorema 5.2.
Teorema 2.5.6 (Myers). Sia (M, g) una varietà Riemanniana completa.
Supponiamo che esista un numero reale positivo δ tale che, per ogni p ∈ M
e per ogni vettore unitario x ∈ Tp M , si abbia
ρ(x, x) > δ
(ossia la curvatura di Ricci è “sufficientemente positiva”). Allora M è
compatta ed il suo gruppo fondamentale π1 (M ) è finito.
Osservazione. Il fatto che π1 (M ) sia finito è una conseguenza della
f −→ M può
compattezza di M . Infatti, il rivestimento universale π : M
essere dotato (usando le trivializzazioni di π) di una metrica che rende π
f, si ottiene che M
f
un’isometria locale. Applicando il Teorema di Myers a M
−1
è compatto. La fibra π (p) di un punto p ∈ M è un sottospazio discreto e,
f. Infine, è noto che π −1 (p) è in biiezione con π1 (M ) (cfr.
quindi, finito di M
§A.3).
In seguito vedremo, come importante conseguenza del teorema di Myers,
che il rivestimento universale di un gruppo di Lie semisemplice e compatto
è compatto.
CAPITOLO 3
Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie
Lo scopo di questo capitolo è lo studio delle metriche invarianti a sinistra
sui gruppi di Lie e delle loro principali proprietà.
La Bibliografia su tali argomenti non è molto estesa. A parer nostro,
l’articolo che, meglio di ogni altro, ne riassume i principali risultati è quello
di J. Milnor [19], a cui si farà costantemente riferimento nel corso di tutto
il capitolo.
3.1. Metriche invarianti a sinistra e metriche biinvarianti
Tra tutte le metriche Riemanniane che possono essere definite su di un
gruppo di Lie, hanno una particolare importanza quelle che sono collegate
al prodotto del gruppo.
Definizione 3.1.1. Una metrica Riemanniana g su un gruppo di Lie G
si dice invariante a sinistra se, per ogni a ∈ G, la traslazione sinistra La
è un’isometria di (G, g).
Osservazioni.
(1) Dalla definizione precedente segue che g è invariante a sinistra se e solo
se
ga (Xa , Ya ) = ga ((La )∗|e Xe , (La )∗|e Ye )
= (La )∗ ge (Xe , Ye ) = ge (Xe , Ye ),
per ogni a ∈ G e per ogni X, Y ∈ g, algebra di Lie di G. In altri termini,
g è invariante a sinistra se e solo se la funzione g(X, Y ) è costante, per
ogni coppia di campi invarianti a sinistra X e Y .
(2) Per quanto si è appena visto, non è difficile provare che esiste una corrispondenza biunivoca tra l’insieme delle metriche invarianti a sinistra su
G e l’insieme dei prodotti scalari di g.
(3) Si possono definire, in modo ovvio, le metriche invarianti a destra: esse
hanno proprietà del tutto speculari a quelle invarianti a sinistra.
Esempio. Consideriamo il gruppo di Heisenberg



 1 x z

He = 0 1 y  , x, y, z ∈ R ⊆ GL(3, R),


0 0 1
la cui algebra di Lie è



 0 α γ

he = 0 0 β  , α, β, γ ∈ R ⊆ gl(3, R).


0 0 0
83
84
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Determiniamo una base per lo spazio vettoriale
sinistra su He. Considerati due elementi



1 a12 a13
1
A = 0 1 a23  , B = 0
0 0
1
0
delle 1–forme invarianti a

b12 b13
1 b23 
0
1
di He, si ha


1 a12 + b12 b13 + a12 b23 + a13
.
1
a23 + b23
LA B = AB = 0
0
0
1
Se (x, y, z) sono le funzioni coordinate globali su He, si trova
x(LA B) =a12 + b12 = x(B) + a12 ,
y(LA B) =a23 + b23 = y(B) + a23 ,
z(LA B) =b13 + a12 b23 + a13 = z(B) + y(B)a12 + a13 ,
ossia
x ◦ LA =x + a12 ,
y ◦ LA =y + a23 ,
z ◦ LA =z + ya12 + a13 .
Dalle espressioni precedenti si deduce
L∗A (dx) = d(x ◦ LA ) = dx,
L∗A (dy) = d(y ◦ LA ) = dy,
L∗A (dz) = d(z ◦ LA ) = dz + a12 dy.
Di conseguenza, le 1–forme dx e dy sono invarianti a sinistra su He, mentre
questo non succede per dz. Ma
L∗A (dz − xdy) = L∗A (dz) − (x ◦ LA )L∗A (dy)
= dz + a12 dy − (x + a12 )dy = dz − xdy
e, quindi, dz−xdy è una 1–forma invariante a sinistra. Si vede facilmente che
(dx, dy, dz − xdy) è una base dello spazio vettoriale delle 1–forme invarianti
a sinistra sul gruppo di Heisenberg. Un semplice calcolo mostra che la base
duale è data da
E1 =
∂
,
∂x
E2 =
∂
∂
+x ,
∂y
∂z
E3 =
∂
.
∂z
È evidente che
ds2 = dx2 + dy 2 + (dz − xdy)2
è una metrica invariante a sinistra su He e che (E1 , E2 , E3 ) è un riferimento
ortonormale globale. Usando le equazioni di struttura di Cartan (cfr. § 2.4),
determiniamo la curvatura del gruppo di Heisenberg. Posto
θ1 = dx,
θ2 = dy,
θ3 = dz − xdy,
Capitolo 3 – Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie
la prima equazione di struttura


0

0

 1
−θ ∧ θ2
85
di Cartan si traduce nel sistema
= −ω21 ∧ θ2 − ω31 ∧ θ3
= ω21 ∧ θ1 − ω32 ∧ θ3
= ω31 ∧ θ1 − ω32 ∧ θ2 ,
le cui soluzioni (necessariamente uniche) sono date da
1
1
1
ω31 = θ2 ,
ω32 = − θ1 .
ω21 = θ3 ,
2
2
2
Dalla seconda equazione di struttura si ricavano le forme di curvatura
3
1
1
Ω12 = − θ1 ∧ θ2 ,
Ω13 = θ1 ∧ θ3 ,
Ω23 = θ2 ∧ θ3 ,
4
4
4
da cui si ottiene che le componenti non nulle del tensore di curvatura Riemanniano sono date da
3
1
1
R1212 = − ,
R1313 = ,
R2323 = ,
4
4
4
dove si è posto Rijhk = REi Ej Eh Ek . La curvatura di Ricci di He è data da
(ρij = ρ(Ei , Ej ))
1
ρ11 = − ,
ρ12 = ρ23 = ρ13 = 0,
2
La curvatura scalare vale τ = − 12 .
1
ρ22 = − ,
2
1
ρ33 = .
2
La connessione di Levi Civita ed il tensore di curvatura di una metrica
Riemanniana invariante a sinistra hanno delle espressioni particolarmente
semplici.
Proprietà 3.1.2. Sia G un gruppo di Lie dotato di una metrica invariante a sinistra g. La connessione di Levi Civita ∇ su G è univocamente
determinata da
2g(∇X Y, Z) = g([X, Y ], Z) − g([Y, Z], X) + g([Z, X], Y ), X, Y, Z ∈ g.
Dimostrazione. Dalla definizione di connessione di Levi Civita (cfr.
Teorema 2.2.4), si ha
2g(∇X Y, Z) = Xg(Y, Z) + Y g(Z, X) − Zg(X, Y )
+ g([X, Y ], Z) − g([Y, Z], X) + g([Z, X], Y ), X, Y, Z ∈ g.
Essendo g invariante a sinistra, g(X, Y ) è costante in ogni punto, per ogni
X, Y ∈ g, quindi Xg(Y, Z) = Y g(Z, X) = Zg(X, Y ) = 0, da cui la tesi. Si osservi che la Proprietà 3.1.2 determina completamente il valore di ∇
in corrispondenza a campi vettoriali qualsiasi.
Introduciamo l’applicazione bilineare simmetrica
U : g × g −→ g
cosı̀ definita:
2g(U (X, Y ), Z) = g([Z, Y ], X) + g([Z, X], Y ),
X, Y ∈ g.
86
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Dalla Proprietà 3.1.2 si deduce che
1
∇X Y = [X, Y ] + U (X, Y )
2
e
RXY Z = ∇[X,Y ] Z − [∇X , ∇Y ]Z,
per ogni X, Y, Z ∈ g. Con semplici calcoli si trova
3
1
(∗) RXY XY = − k[X, Y ]k2 − g([X, [X, Y ]], Y )
4
2
1
− g([Y, [Y, X]], X) + kU (X, Y )k2 − g(U (X, X), U (Y, Y )),
2
per ogni X, Y ∈ g.
In generale, le traslazioni destre non sono isometrie rispetto ad una metrica invariante a sinistra. Le metriche che godono anche di questa proprietà
sono particolarmente importanti.
Definizione 3.1.3. Una metrica Riemanniana su un gruppo di Lie si
dice biinvariante se le traslazioni destre e sinistre sono isometrie.
Vediamo di trovare delle condizioni equivalenti alla definizione precedente. Sia g una metrica invariante a sinistra su un gruppo di Lie G. Allora,
per ogni a ∈ G, si ha
(Ra−1 )∗ g = (Ra−1 )∗ (La )∗ g = (Ra−1 ◦ La )∗ g = (Ia )∗ g
dove (Ia ) è l’automorfismo interno corrispondente all’elemento a ∈ G (cfr.
pag. 6). Pertanto, le traslazioni destre sono isometrie se e solo se, per ogni
a ∈ G,
(Ia )∗ g(X, Y ) = g((Ia )∗ X, (Ia )∗ Y ) = g(X, Y ), X, Y ∈ g.
Tenuto conto che (Ia )∗ = Ad(a) (cfr. § 1.8), si può concludere che una
metrica Riemanniana g è biinvariante se e solo se
g(Ad(a)X, Ad(a)Y ) = g(X, Y ),
X, Y ∈ g,
per ogni a ∈ G. In altri termini, g deve essere invariante rispetto alla
rappresentazione aggiunta.
Sia g una metrica biivariante su un gruppo di Lie G. Ricordato che
Ad∗ = ad e Ad(expG tX) = etadX , t ∈ R (Teorema 1.8.3), si ha
g(Y, Z) = g(Ad(expG tX)Y, Ad(expG tX)Z)
= g(etadX Y, etadX Z),
X, Y, Z ∈ g, t ∈ R,
ovvero, per definizione di esponenziale di un’applicazione lineare (vedi pag.
13)
g(Y, Z) = g(Y + tadX Y + O(t2 ), Z + tadX Z + O(t2 ))
= g(Y, Z) + t{g([X, Y ], Z) + g(Y, [X, Z])} + O(t2 ).
Quindi, se g è biivariante, vale la condizione
g([X, Y ], Z) + g(Y, [X, Z]) = 0,
Capitolo 3 – Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie
87
per ogni X, Y, Z ∈ g, che equivale a
g(adX Y, Z) + g(Y, adX Z) = 0,
X, Y, Z ∈ g.
Se G è connesso, è noto che G è generato da ogni intorno dell’elemento
neutro (cfr. Teorema 1.4.4) e, pertanto, la condizione precedente è anche
sufficiente affinchè g sia una metrica biinvariante. Abbiamo cosı̀ provato il
Teorema 3.1.4. Sia G un gruppo di Lie connesso. Una metrica g su G
è biinvariante se e solo se
g(adX Y, Z) + g(Y, adX Z) = 0,
per ogni X, Y, Z ∈ g.
Determiniamo, ora, la connessione di Levi Civita e le varie curvature,
nel caso di una metrica biinvariante.
Teorema 3.1.5. Sia G un gruppo di Lie dotato di metrica biinvariante
g. Allora
(1) ∇X Y = 21 [X, Y ],
(2) RXY Z =
1
4
ad[X,Y ] (Z) =
1
4
[X, Y ], Z ,
(3) RXY ZW = 41 g([X, Y ], [Z, W ]),
(4) KXY =
k[X,Y ]k2
1
4 kXk2 kY k2 −g(X,Y )2 ,
= − 41 B(X, Y ),
(5) ρ(X, Y )
(6) ∇X R = 0,
per ogni X, Y, Z, W ∈ g. ∇ indica la connessione di Levi Civita, R il tensore
di curvatura Riemanniana, K la curvatura sezionale, ρ il tensore di Ricci e
B la forma di Killing dell’algebra di Lie g.
La dimostrazione consiste in semplici calcoli e viene lasciata per esercizio
(Esercizio 3.1.3).
Esaminiamo alcune conseguenze immediate, ma importanti, del Teorema
3.1.5.
Teorema 3.1.6. Sia G un gruppo di Lie dotato di metrica biinvariante
g. Allora la curvatura sezionale di g è non negativa, vale a dire
KXY ≥ 0,
X, Y ∈ g.
Teorema 3.1.7. Il tensore di Ricci di un gruppo di Lie G dotato di
metrica biinvariante g non dipende dalla particolare metrica scelta ma solo
dalla classe di isomorfismo dell’algebra di Lie g.
Dimostrazione. Dal Teorema 3.1.5, si vede che il tensore di Ricci è
proporzionale alla forma di Killing che, a sua volta, è invariante rispetto
agli automorfismi di g (cfr. Proprietà 1.9.1).
88
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Osservazione. Il punto (6) del Teorema 3.1.5 mostra che ogni gruppo
di Lie, dotato di una metrica biinvariante, è uno spazio localmente simmetrico. Per una dettagliata trattazione di questa importante classe di varietà
Riemanniane, si rinvia al testo di S. Helgason [13].
Com’è prevedibile, non tutti i gruppi di Lie ammettono metriche biinvarianti. Tuttavia dimostreremo che su ogni gruppo di Lie compatto può
essere definita una metrica biinvariante. Sono necessarie alcune premesse
sui gruppi di Lie unimodulari.
Dato un gruppo di Lie G, con algebra di Lie g, consideriamo una base (E1 , E2 , . . . , En ) di g e la sua base duale (ω 1 , ω 2 , . . . , ω n ). La n–forma
differenziale
Ω = ω 1 ∧ ω 2 ∧ ... ∧ ω n
è non nulla in ogni punto di G ed è invariante rispetto alle traslazioni sinistre,
vale a dire (La )∗ Ω = Ω, per ogni a ∈ G. In particolare, ciò implica che
ogni gruppo di Lie è orientabile (cfr. [5], pag 213). Un’altra importante
conseguenza, è la possibilità di estendere ai gruppi di Lie la nozione di
integrale. Più precisamente, si dimostra che esiste un’unica funzione (a
meno di un fattore costante), detta misura di Haar,
Z
µ : FC (G) −→ R, f 7−→ µ(f ) =
f
G
(FC (G) denota l’anello delle funzioni continue su G, a valori reali ed a
supporto compatto) avente le seguenti proprietà
(1) è R–lineare: µ(af + bh) = aµ(f ) + bµ(h), per ogni f, h ∈ FC (G) e
a, b ∈ R;
(2) è positiva: se f ∈ FC (G) e f ≥ 0, allora µ(f ) ≥ 0;
(3) è invariante rispetto alle traslazioni sinistre: µ(f ◦ La ) = µ(f ), per ogni
f ∈ FC (G) e a ∈ G.
Definizione 3.1.8. Un gruppo di Lie G si dice unimodulare se la sua
misura di Haar (invariante a sinistra per definizione) è anche invariante a
destra.
Una condizione equivalente, utile per verificare se un gruppo di Lie è
unimodulare, è la seguente.
Teorema 3.1.9. Un gruppo di Lie G è unimodulare se e solo se
| det Ad(a)| = 1
per ogni a ∈ G.
Dimostrazione. Ricordiamo che, se F è un diffeomorfismo di G in sè,
allora per ogni f ∈ FC (G) si ha
Z
Z
(f ◦ F )Ω = ±
f (F ∗ Ω),
G
G
dove il segno ± dipende dal fatto che F conservi o meno l’orientamento (cfr.
[5], Teorema 2.2, Capitolo VI). Pertanto, se la misura di Haar µ è anche
Capitolo 3 – Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie
89
invariante a destra, si ha
Z
Z
(f ◦ Ra−1 )Ω = ±
µ(f ◦ Ra−1 ) =
f (Ra∗ Ω)
G
G
per ogni f ∈ FC (G) e a ∈ G. Dato che
Ra∗ Ω = Ra∗ (L∗a−1 )Ω = (Ra ◦ La−1 )∗ Ω = (Ia−1 )∗ Ω,
se X1 , X2 , . . . , Xn sono elementi di g, si trova
(Ia−1 )∗ Ω(X1 , X2 , . . . , Xn ) = Ω((Ia−1 )∗ X1 , X2 , . . . , (Ia−1 )∗ Xn )
= Ω(Ad(a−1 )X1 , Ad(a−1 )X2 , . . . , Ad(a−1 )Xn )
= (det Ad(a−1 ))Ω(X1 , X2 , . . . , Xn ),
dove det Ad(a−1 ) > 0 se Ra conserva l’orientamento e det Ad(a−1 ) < 0 se
Ra inverte l’orientamento. In conclusione
Z
Z
∗
f (det Ad(a−1 ))Ω
f (Ra Ω) = ±
µ(f ◦ Ra−1 ) = ±
G
G
Z
= ±(det Ad(a−1 ))
f Ω = ±(det Ad(a−1 ))µ(f ),
G
da cui la tesi.
Dimostriamo ora un risultato che mette in relazione il concetto di algebra
di Lie unimodulare (vedi pag. 54) con quello di gruppo di Lie unimodulare.
Proprietà 3.1.10. Siano G un gruppo di Lie connesso e g la sua algebra
di Lie. Le seguenti affermazioni sono equivalenti
(1) G è unimodulare,
(2) g è unimodulare, cioè tr(adX ) = 0, per ogni X ∈ g.
Dimostrazione. Siccome G è connesso, dal teorema precedente si ha
che G è unimodulare se e solo se | det(Ad(exp X))| = 1, per ogni X ∈ g. La
tesi segue dal fatto che det(Ad(exp X)) = det eadX = etr adX .
Teorema 3.1.11. Un gruppo di Lie G è unimodulare nei seguenti casi:
(1) G è compatto,
(2) G è semisemplice,
(3) G è connesso e nilpotente.
Dimostrazione.
(1) Sia G un gruppo di Lie compatto. La funzione α : G −→ R+ , data
da a 7−→ | det(Ad(exp X))| (R+ è pensato come gruppo moltiplicativo), è analitica ed è anche un morfismo di gruppi, grazie al fatto che
Ad(ab) = Ad(a)Ad(b), a, b ∈ G (cfr. § 1.8). Di conseguenza, α(G) è un
sottogruppo compatto di R+ , da cui α(G) = {+1}.
(2) Se G è semisemplice, la forma di Killing B è non degenere ed è invariante rispetto agli automorfismi di g (Proprietà 1.9.1). In particolare, identificando le varie applicazioni con le rispettive matrici, si trova
t Ad(a)BAd(a) = B, per ogni a ∈ G. Dato che detB 6= 0, si conclude
che | det(Ad(exp X))| = 1, per ogni a ∈ G.
90
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
(3) Se G è nilpotente, per il Teorema di Engel (cfr. Proprietà 1.9.10), anche
la sua algebra di Lie g è nilpotente e pure adX è nilpotente (cioè esiste
un intero k tale che (adX )k = 0, per ogni X ∈ g). Allora esiste una base
opportuna rispetto alla quale ogni endomorfismo adX è rappresentato
da una matrice triangolare superiore, il che implica tr(adX ) = 0, per
ogni X ∈ g.
Possiamo ora provare il
Teorema 3.1.12. Ogni gruppo di Lie G compatto ammette una metrica
biinvariante.
Dimostrazione. Dal teorema precedente si ha che se G è compatto
allora è unimodulare. Si sfrutta tale proprietà per costruire esplicitamente
una metrica biinvariante. Tenuto conto delle osservazioni che seguono la
Definizione 3.1.3, è sufficiente definire un prodotto scalare su g, invariante
rispetto alla rappresentazione aggiunta di G in g. Fissati X, Y ∈ g ed una
qualsiasi metrica invariante a sinistra g, consideriamo la funzione analitica
fXY : G −→ R,
a 7−→ g(Ad(a)X, Ad(a)Y )
e poniamo
Z
g̃(X, Y ) =
fXY Ω = µ(fXY ).
G
Per le proprietà della misura di Haar, g̃ è un forma bilineare simmetrica, definita positiva. Resta solo da verificare che è invariante rispetto alla
rappresentazione aggiunta. Per ogni a, b ∈ G, si ha
fAd(b)XAd(b)Y (a) = g(Ad(a)Ad(b)X, Ad(a)Ad(b)Y )
= g(Ad(ab)X, Ad(ab)Y ) = fXY (ab) = (fXY ◦ Rb )(a).
Poichè la misura di Haar, per ipotesi, è anche invariante rispetto alle traslazioni destre, si può concludere che
g̃(Ad(b)X, Ad(b)Y ) = µ(fAd(b)XAd(b)Y ) = µ(fXY ◦ Rb )
= µ(fXY ) = g̃(X, Y ),
per ogni b ∈ G ed ogni X, Y ∈ g.
Una proprietà notevole delle metriche biinvarianti è che le geodetiche
sono completamente determinate dai sottogruppi ad un parametro.
Teorema 3.1.13. Sia g una metrica biinvariante su un gruppo di Lie G.
Ogni sottogruppo ad un parametro di G è una geodetica di g. Viceversa, ogni
geodetica passante per l’elemento neutro e ∈ G coincide con un sottogruppo
ad un parametro.
Dimostrazione. Sia X ∈ g, algebra di Lie di G, e sia ϕX il sottogruppo
ad un parametro individuato da X. Dal Teorema 3.1.5 si ottiene
1
∇ϕ˙X (t) ϕ˙X (t) = (∇X X)ϕX (t) = [X, X]ϕX (t) = 0,
2
ossia ϕX è una geodetica.
Capitolo 3 – Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie
91
Viceversa, sia γ : I −→ G, t 7→ γ(t), una geodetica tale che γ(0) = e e
γ̇(0) = X ∈ Te G ∼
= g. Il sottogruppo ad un parametro ϕX è una geodetica
soddisfaciente le stesse condizioni iniziali di γ. Per la proprietà (3) di pag.
81, γ coincide con ϕX .
Osservazioni.
(1) Dato che le traslazioni sinistre sono isometrie, le geodetiche in un generico punto di G coincidono con le traslate dei sottogruppi ad un
parametro.
(2) Se G è compatto, i Teoremi 3.1.12 e 3.1.13 implicano che G è completo
(cfr. Definizione 2.5.4). Questo risultato, peraltro già noto, (cfr. Teorema 2.5.5), può essere esteso a tutti i gruppi di Lie, e questo sarà provato
nel teorema seguente. Inoltre, se G è anche connesso, l’applicazione
esponenziale è suriettiva (cfr. pag. 15).
Teorema 3.1.14. Un gruppo di Lie è completo rispetto ad ogni metrica
Riemanniana invariante a sinistra.
Dimostrazione. Si applica lo stesso procedimento usato per estendere
ogni sottogruppo ad un parametro a tutto R (cfr. l’inizio del § 1.3). Sia
γ : (−, ) ⊂ R −→ G, una geodetica di una metrica invariante a sinistra su
G. La curva ψ : (, 2) ⊂ R −→ G definita da
ψ(t) = γ()γ(t − ) = Lγ() γ(t − ),
è una geodetica che estende γ all’intervallo reale (−, 2). Infatti, se ∇
denota la connessione di Levi Civita di g, si ha
∇(Lγ() )∗ γ̇(t−) (Lγ() )∗ γ̇(t − ) = (Lγ() )∗ ∇γ̇(t−) γ̇(t − ) = 0,
in quanto le traslazioni sinistre sono isometrie.
Per concludere questo paragrafo, vogliamo determinare la relazione intercorrente tra il tensore di curvatura di un gruppo di Lie, dotato di metrica
invariante a sinistra, e le costanti di struttura del gruppo stesso.
Sia G un gruppo di Lie g dotato di una metrica invariante a sinistra
g. Fissata una base ortonormale (θ1 , θ2 , . . . , θn ) di g, algebra di Lie di G,
confrontiamo le equazioni di Maurer–Cartan
dθk = −
n
1 X k i
cij θ ∧ θj ,
2
k = 1, . . . n,
i,j=1
(ckij denotano le costanti di struttura) con la prima equazione di struttura
(cfr. pag. 79)
n
X
k
dθ = −
ωjk ∧ θj , k = 1, . . . n,
j=1
P
i θ k , si sosti(le
sono le 1–forme di connessione). Posto ωji = nk=1 γjk
tuiscano tali espressioni nella prima equazione di struttura. Applicando il
ωjk
92
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
lemma di Cartan (Lemma 2.4.2) si trova
n
1X
ωji =
(−cijk − cjki + ckij )θk .
2
k=1
Mediante la seconda equazione di struttura, si ottengono le 2–forme di
curvatura
n
1 X k
{cml (−cijk − cjki + ckij )
Ωij =
4
+
klm=1
(−cikl − ckli
l
m
+ clik )(−ckjm − cjmk + cm
kj )} θ ∧ θ ,
da cui si vede che le componenti del tensore di curvatura sono funzioni delle
costanti di struttura.
Esercizi. 3.1.1 Si ricavi la formula (∗) di pag. 86.
3.1.2 Siano G un gruppo di Lie e g una metrica invariante a sinistra su G.
Si provi che la (–)connessione di Cartan-Schouten (vedi pag. 67) è
metrica ma non è la connessione di Levi Civita di g.
3.1.3 Si dimostri il Teorema 3.1.5.
Capitolo 3 – Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie
93
3.2. Metriche invarianti sui gruppi di Lie di dimensione 3
Lo scopo di questo paragrafo è quello di ricavare le principali proprietà
della curvatura delle metriche invarianti a sinistra sui gruppi di Lie di dimensione 3. È già stato osservato che, in questo caso, la curvatura di Ricci
determina completamente il tensore di curvatura della varietà (cfr § 2.3).
Basta, quindi, considerare solamente il tensore di Ricci. Come si è visto nella classificazione delle algebre di Lie di dimensione 3 data nel § 1.10, sono da
distinguere due casi, a seconda che il gruppo di Lie sia o meno unimodulare.
Iniziamo con il caso di un gruppo di Lie G unimodulare. Si è visto che
l’algebra di Lie g di G ammette una base (E1 , E2 , E3 ) tale che
[E2 , E3 ] = λ1 E1 , [E3 , E1 ] = λ2 E2 , [E1 , E2 ] = λ3 E3 , λ1 , λ2 , λ3 ∈ R.
Se (θ1 , θ2 , θ3 ) denota la base duale, dalle equazioni di Maurer–Cartan (cfr.
§I.5), si ricava
dθ1 = −λ1 θ2 ∧ θ3 ,
dθ2 = λ2 θ1 ∧ θ3 ,
dθ3 = −λ3 θ1 ∧ θ2 .
Considerata la metrica invariante a sinistra
ds2 = (θ1 )2 + (θ2 )2 + (θ3 )2 ,
rispetto alla quale la base (E1 , E2 , E3 ) è ortonormale, dalla prima equazione
di struttura di Cartan (cfr. Teorema 4.2, Capitolo II) si ottengono le 1–forme
di connessione
1
1
1
ω21 = (−λ1 − λ2 + λ3 )θ3 , ω31 = (λ1 − λ2 + λ3 )θ2 , ω32 = (λ1 − λ2 − λ3 )θ1 .
2
2
2
Introdotti i numeri reali
1
µi = (λ1 + λ2 + λ3 ) − λi , i = 1, 2, 3,
2
le forme di connessione assumono la semplice espressione
ω21 = −µ3 θ3 ,
ω31 = µ2 θ2 ,
ω32 = −µ1 θ1 .
Dalla seconda equazione di struttura di Cartan si ricavano le 2–forme di
curvatura
Ω12 = [µ3 (µ1 + µ2 ) − µ1 µ2 ] θ1 ∧ θ2 ,
Ω13 = [µ2 (µ1 + µ3 ) − µ1 µ3 ] θ1 ∧ θ3 ,
Ω23 = [µ1 (µ2 + µ3 ) − µ2 µ3 ] θ2 ∧ θ3 .
Il tensore di Ricci, che per definizione è dato da
ρ=2
3
X
Ωij (Ek , Ej ) θi ⊗ θk ,
ijk=1
assume, in questo caso, la seguente espressione
(∗)
ρ = 2(µ2 µ3 θ1 ⊗ θ1 + µ1 µ3 θ2 ⊗ θ2 + µ1 µ2 θ3 ⊗ θ3 ),
da cui si vede che la base (E1 , E2 , E3 ) diagonalizza anche ρ. Il valore della
curvatura scalare τ si trova facilmente dalla formula precedente.
In base alla classificazione delle algebre di Lie di dimensione 3 che, come
si è visto, dipende dal segno degli scalari λ1 , λ2 , λ3 , si ottengono le possibili
94
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
segnature della forma quadratica associata al tensore di Ricci e il segno della
curvatura scalare. I dettagli sono lasciati per esercizio. La tabella seguente
riepiloga questi risultati.
Gruppo connesso
Segnatura della forma di Ricci
Curvatura scalare
SU (2)
+ + +, + 0 0 , + − −
τ > 0, τ = 0, τ < 0
SL(2, R)
+ − −, 0 0 −
τ <0
E(2)
0 0 0, + − −
τ = 0, τ < 0
E(1, 1)
+ − −, 0 0 −
τ <0
He
+−−
τ <0
Osservazioni.
1) Come è già stato ottenuto nell’esempio del § 3.1, ogni metrica invariante
a sinistra sul gruppo di Heisenberg He ha segnatura (+, −, −).
2) Il gruppo dei movimenti rigidi del piano E(2), pur non essendo commutativo, ammette una metrica invariante a sinistra piatta.
3) Il determinante della forma quadratica di Ricci, dato dal prodotto delle
curvature principali di Ricci ρ(E1 , E1 ), ρ(E2 , E2 ), ρ(E3 , E3 ), è sempre
non negativo. Se si annulla, almeno due curvature principali di Ricci
sono nulle.
Determiniamo i gruppi di Lie unimodulari, di dimensione 3, che ammettono una metrica a curvatura sezionale costante (cfr. Definizione 2.3.5). Ciò
equivale a richiedere che tale metrica sia di Einstein (cfr. Definizione 2.3.8).
Nel nostro caso, in base all’espressione del tensore di Ricci, tale condizione
implica
µ1 µ3 = µ1 µ2 = µ2 µ3 .
Le soluzioni di queste equazioni sono
(1) µ1 = µ2 = µ3 = 0, ossia λ1 = λ2 = λ3 = 0;
(2) µi = µj = 0, µk 6= 0, i, j, k = 1, 2, 3, i 6= j 6= k, ossia λi = 0,
λj = λk 6= 0, i, j, k = 1, 2, 3, i 6= j 6= k;
(3) µ1 = µ2 = µ3 6= 0, ossia λ1 = λ2 = λ3 6= 0.
In base alla classificazione delle algebre di Lie unimodulari di dimensione
3, si deduce il
Teorema 3.2.1. Gli unici gruppi di Lie connessi e unimodulari, di dimensione 3, che ammettono metriche Riemanniane a curvatura sezionale
costante sono: R3 , E(2) e SU (2) ∼
= S3.
Capitolo 3 – Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie
95
Occupiamoci ora dei gruppi di Lie di dimensione 3, non unimodulari.
Dal Teorema 1.10.2, mediante un opportuno cambiamento di base, si ricava
il seguente
Teorema 3.2.2. Sia G un gruppo di Lie non unimodulare di dimensione
3. Esiste una base (E1 , E2 , E3 ) della sua algebra di Lie g tale che
[E1 , E2 ] = αE2 + βE3 ,
[E1 , E3 ] = γE2 + δE3 ,
[E2 , E3 ] = 0,
dove i numeri reali α, β, γ, δ verificano le seguenti condizioni
α ≥ δ,
β ≥ γ,
α + δ > 0,
αγ + βδ = 0.
Inoltre lo scalare
αδ − βγ
(α + δ)2
costituisce un sistema completo di invarianti per isomorfismi di algebre di
Lie. In altri termini: due algebre di Lie, di dimensione 3, non unimodulari
sono isomorfe se e solo esistono delle basi rispetto alle quali D assume lo
stesso valore.
D=4
Procedendo come nel caso unimodulare, determiniamo il tensore di Ricci.
Fissata una metrica invariante a sinistra, sia (θ1 , θ2 , θ3 ) il riferimento duale
della base ortonormale (E1 , E2 , E3 ) dell’algebra di Lie del gruppo. Dalle
equazioni di Maurer–Cartan si deducono le espressioni
dθ1 = 0, dθ2 = −α θ1 ∧ θ2 − γ θ1 ∧ θ3 , dθ3 = −β θ1 ∧ θ2 − δ θ1 ∧ θ3 ,
che, insieme con la prima equazione di struttura, permettono di trovare le
forme di connessione
1
1
1
ω21 = α θ2 + (β + γ) θ3 , ω31 = (β + γ) θ2 + δθ3 , ω32 = (γ − β) θ1 .
2
2
2
Dalla seconda equazione di struttura di Cartan si ricavano le forme di
curvatura
1
Ω12 = (−4α2 − 3β 2 + γ 2 − 2βγ) θ1 ∧ θ2 ,
4
1
Ω13 = (β 2 − 3γ 2 − 4δ 2 − 2βγ) θ1 ∧ θ3 ,
4
1
2
Ω3 = [(β + γ)2 − 4αδ] θ2 ∧ θ3
4
e, successivamente, il tensore di Ricci
h
i
1
ρ = − α2 − δ 2 − β + γ)2 θ1 ⊗ θ1
2
h
i
1
+ − α(α + δ) + (γ 2 − β 2 ) θ2 ⊗ θ2
2
h
i
1 2
+ − δ(α + δ) + (β − γ 2 ) θ3 ⊗ θ3 .
2
Si osservi che, anche in questo caso, la base (E1 , E2 , E3 ) diagonalizza il
tensore di Ricci.
Dal Teorema 3.2.2 e dalle espressioni precedenti, si deducono le possibili
segnature della forma quadratica associata al tensore di Ricci e il segno della
96
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
curvatura scalare. I risultati a cui si perviene sono riassunti nella seguente
tabella.
Segno di D
Segnatura della forma di Ricci
Curvatura scalare
D<0
+−−
τ <0
D=0
+ − −, 0 − −
τ <0
D>0
+ − −, 0 − −, − − −
τ <0
Un’esame delle due tabelle precedenti permette di concludere che
Teorema 3.2.3. Non esistono gruppi di Lie di dimensione 3 che ammettono metriche invarianti a sinistra con forma quadratica del tensore di
Ricci di segnatura (+, +, −) oppure (±, ±, 0).
Osservazione. Milnor [19] afferma di non conoscere analoghe restrizioni per gruppi di Lie di dimensione maggiore di 3. Secondo Bèrard Bergery
[3], P. Nabonnand, nella Tesi di Dottorato discussa a Nancy nel 1978, ha
dimostrato che, nel caso di gruppi di Lie di dimensione 4, la forma quadratica del tensore di Ricci può avere qualsiasi segnatura, tranne (+, +, +, +)
e (+, +, 0, 0).
Come è stato fatto in precedenza, determiniamo i gruppi di Lie non
unimodulari, di dimensione 3, che ammettono metriche a curvatura costante.
Dalla condizione di Einstein e dall’espressione del tensore di Ricci della
pagina precedente, si ottengono le equazioni
1
1
1
−α2 − δ 2 − (β + γ)2 = −α(α + δ) + (γ 2 − β 2 ) = −δ(α + δ) + (β 2 − γ 2 ),
2
2
2
le cui soluzioni sono
α = δ, β = −γ ≥ 0.
Si ha cosı̀ il seguente
Teorema 3.2.4. Un gruppo di Lie G di dimensione 3, non unimodulare,
ammette una metrica invariante a sinistra con curvatura sezionale costante
se e solo se è possibile trovare una base ortonormale (E1 , E2 , E3 ) della sua
algebra di Lie g per cui valga una delle seguenti condizioni:
(1) [E1 , E2 ] = αE2 + βE3 , [E1 , E3 ] = −βE2 + αE3 , [E2 , E3 ] = 0, α > 0,
β > 0. In questo caso D > 1 ed esistono gruppi di Lie non isomorfi che
hanno metriche con curvatura sezionale costante negativa.
(2) [E1 , E2 ] = αE2 , [E1 , E3 ] = αE3 , [E2 , E3 ] = 0, α > 0. In questo caso
D = 1 ed esistono infiniti gruppi di Lie, con algebre di Lie isomorfe, che
ammettono infinite metriche a curvatura sezionale costante negativa,
non isometriche.
Capitolo 3 – Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie
97
Esercizi.
3.2.1 Sia G un gruppo di Lie unimodulare di dimensione 3 dotato di una
metrica invariante a sinistra.
(1) Si ricavi l’espressione (∗) del tensore di Ricci data a pagina 93.
(2) Si studi, nei vari casi, la segnatura della forma quadratica associata
al tensore di Ricci.
(3) Si trovino, infine, i gruppi di Lie di dimensione 3 unimidulari che
ammettono metriche invarianti a sinistra a curvatura sezionale
costante.
3.2.2 Si ripeta l’esercizio precedente nel caso di un gruppo di Lie G non
unimodulare.
98
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
3.3. Curvatura sezionale di una metrica invariante
In questo paragrafo si intende correlare il segno della curvatura sezionale
di una metrica invariante a sinistra su di un gruppo di Lie con le proprietà
topologiche del gruppo stesso.
Assegnata una metrica Riemanniana invariante a sinistra, K indicherà
sempre la sua curvatura sezionale. Iniziamo con il seguente risultato, dovuto
a J. Milnor [19].
Proprietà 3.3.1. Siano G un gruppo di Lie, g la sua algebra di Lie e g
una metrica Riemanniana invariante a sinistra. Supponiamo che esista un
campo X ∈ g tale che adX sia un endomorfismo antisimmetrico. Allora
KXY ≥ 0,
per ogni
Y ∈g
e KXY = 0 se e solo se X è ortogonale ad ogni campo del tipo [Y, Z], con
Z ∈ g.
Dimostrazione. Non è restrittivo supporre che kXk = kY k = 1 e
g(X, Y ) = 0. Nel paragrafo 3.1 si è visto che
1
3
(∗)
KXY = RXY XY = − k[X, Y ]k2 − g([X, [X, Y ]], Y )
4
2
1
− g([Y, [Y, X]], X) + kU (X, Y )k2 − g(U (X, X), U (Y, Y )),
2
dove U è definita da
2 g(U (X, Y ), Z) = g([Z, X], Y ) + g([Z, Y ], X), X, Y, Z ∈ g.
Poichè adX è antisimmetrico, si ha che g(U (X, X), Z) = 0, per ogni Z ∈ g.
Consideriamo una base ortonormale (E1 , E2 , . . . , En ) di g tale che E1 = X e
E2 = Y e determiniamo KXY = KE1 E2 . Dall’espressione (∗), tenuto conto
che l’antisimmetria di adX implica che
cj1i + ci1j = 0, i, j = 1, . . . , n,
dove ckij sono le costanti di struttura, con un po’ di calcoli, si ricava
KE1 E2
n
1X 1 2
=
(cm2 ) ,
4
m=1
da cui segue che KXY è positivo o nullo, per ogniPY ∈ g. Inoltre, KE1 E2 = 0
se e solo se c1m2 = 0, m = 1, . . . , n. Se Z = nm=1 am Em è un generico
elemento di g, allora
n
n X
n
X
X
m 1
[Y, Z] = [E2 , Z] =
a c2m E1 +
cl2m El ,
m=1
l=2 m=1
da cui segue la tesi.
Come immediata conseguenza della proprietà precedente, si ha il
Corollario 3.3.2. Siano G un gruppo di Lie, dotato di metrica invariante a sinistra g, e z il centro della sua algebra di Lie g. Se X ∈ z, allora
KXY ≥ 0 per ogni Y ∈ g.
Capitolo 3 – Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie
99
J. Milnor in [19] congettura che valga anche la proprietà reciproca del
Corollario 3.3.2. Una risposta affermativa è stata data da O. R. Abib, [1],
che, come conseguenza di questo fatto, prova il
Teorema 3.3.3. Un gruppo di Lie G, connesso, è abeliano se e solo se
KXY ≥ 0, per ogni X, Y ∈ g, dove g è l’algebra di Lie di G e K indica la
curvatura sezionale di una qualsiasi metrica invariante a sinistra su G.
In altri termini, se per qualche X, Y ∈ g si ha KXY < 0, l’algebra di Lie
g non è abeliana.
Si noti che il Teorema 3.1.6 è un’immediata conseguenza della Proprietà
3.3.1.
Occupiamoci, ora, più in dettaglio, delle proprietà di un gruppo di Lie
dotato di una metrica biinvariante.
Lemma 3.3.4. Sia G un gruppo di Lie con algebra di Lie g. Se g è
una metrica biinvariante su G, allora il complemento ortogonale h⊥ di ogni
ideale h di g è ancora un ideale di g.
Dimostrazione. h⊥ è un ideale di g se e solo se [h⊥ , g] ⊆ h⊥ , ossia se e
solo se g([X, Y ], Z) = 0, per ogni X ∈ h⊥ , Y ∈ g e Z ∈ h. Tale condizione è
certamente verificata se la metrica è biinvariante (cfr. Teorema 3.1.4). Teorema 3.3.5. Sia g una metrica biinvariante su di un gruppo di Lie
G. L’algebra di Lie g di G si decompone nella somma diretta ortogonale del
suo centro z e dell’algebra derivata [g, g], ossia
g = z ⊕ [g, g],
dove [g, g] è semisemplice.
Dimostrazione. Si presentano due possibilità.
(A) Se g è semplice (cfr. § 1.9), allora ker B = {0} e g non ha ideali proprii
(B è la forma di Killing). Poichè g non può essere abeliana, si deduce
che z = {0} e g = [g, g].
(B) Se g non è semplice, allora esiste un ideale h tale che g = h ⊕ h⊥ . Per
il lemma precedente, anche h⊥ è un ideale e si hanno nuovamente due
casi.
1) h è semplice, quindi non è decomponibile nella somma diretta di
ideali, mentre h⊥ può essere ulteriormente scomposto (eventualmente).
2) h non è semplice e quindi esiste un suo ideale proprio k tale che
h = k ⊕ k⊥ .
Comunque, dopo un numero finito di passi, si perviene ad una decomposizione del tipo
g = a1 ⊕ a2 ⊕ · · · ⊕ aq ,
dove ogni ideale ai o ha dimensione 1 oppure è semplice.
100
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Proviamo che ogni ideale ai di g, di dimensione 1, è contenuto nel centro
z. Dalla decomposizione precedente, segue che
[ai , g] = [ai , a1 ] + · · · + [ai , ai ] + · · · + [ai , aq ].
Se dim ai = 1, allora [ai , ai ] = {0} e [ai , aj ] ⊆ ai ∩ aj = {0} (ogni ai è un
ideale e la somma è diretta). In conclusione ai ⊆ z.
Se, invece, ai è semplice, allora z∩ai = {0}, in quanto z∩ai è un ideale di
ai . In altri termini, z non interseca gli ideali semplici e, pertanto, è somma
diretta degli ideali di dimensione 1. Allora
g = z ⊕ h1 ⊕ · · · ⊕ h p ,
dove gli hi sono ideali semplici. Infine si osserva che
[hi , hj ] ⊆ hi ∩ hj = {0}, i 6= j,
[hi , hi ] = hi ,
da cui h1 ⊕ · · · ⊕ hp = [g, g].
Il lemma seguente, riguardante la curvatura di Ricci, permette di dimostrare alcune importanti proprietà delle metriche biinvarianti.
Lemma 3.3.6. Siano G un gruppo di Lie, g la sua algebra di Lie e g una
metrica invariante a sinistra su G. Se esiste un campo unitario X ∈ g tale
che adX sia antisimmetrico, allora ρ(X, X) ≥ 0 e ρ(X, X) = 0 se e solo se
X è ortogonale a [g, g], dove ρ è il tensore di Ricci.
Dimostrazione. Considerata la base ortonormale (E1 = X, E2 , . . . , En )
di g, si ha
n
n
X
X
ρ(X, X) =
RXEi XEi =
KXEi ,
i=1
i=2
da cui ρ(X, X) ≥ 0, per la Proprietà 3.3.1. Inoltre ρ(X, X) = 0 se e solo se
ogni curvatura sezionale KXEi si annulla, ossia se e solo se X è ortogonale
a [Ei , g], i = 2, . . . , n.
Teorema 3.3.7. Sia G un gruppo di Lie semisemplice. Allora il tensore
di Ricci ρ, relativo ad una metrica biinvariante g, è definito positivo.
Dimostrazione. Se g è una metrica biinvariante, adX è antisimmetrico
per ogni X ∈ g. Dal teorema precedente si ha che ρ(X, X) = 0 se e solo se
X è ortogonale a [g, g]. Ma g = z ⊕ [g, g], con [g, g] semisemplice (Teorema
3.3.5). Per ipotesi g è semisemplice, quindi g = [g, g], da cui la tesi.
Osservazioni.
1) Si è visto che ρ = − 14 B, dove ρ è la curvatura di Ricci relativa ad una
metrica biinvariante e B è la forma di Killing (Teorema 3.1.5). Questa
proprietà ed il Teorema 3.3.7 provano che, se un gruppo di Lie semisemplice ammette una metrica biinvariante, allora la forma di Killing è
definita negativa.
2) Nel § 3.2 abbiamo visto che la forma di Killing di SL(2, R) è non definita.
Quindi SL(2, R), essendo un gruppo semplice, non ammette metriche
biinvarianti.
Capitolo 3 – Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie
101
Come annunciato al termine del § 2.5, siamo ora in grado di dimostrare
un’importante conseguenza del Teorema di Myers (cfr. Teorema 2.5.6).
Teorema 3.3.8. Se un gruppo di Lie semisemplice G ammette una metrica Riemanniana biinvariante, è compatto e il suo rivestimento universale
e è anch’esso compatto.
G
Dimostrazione. Sia ρ il tensore di Ricci di una metrica biinvariante
su G. Dal Teorema 3.3.7 si ricava che esiste una costante δ > 0 tale che
ρe (Xe , Xe ) > (n − 1)δ > 0,
per ogni campo unitario X ∈ g, dove g è l’algebra di Lie del gruppo G,
n = dim G, ed e è l’elemento neutro di G. Dato che le traslazioni sinistre
sono isometrie e ρ è invariante per isometrie, la disuguaglianza precedente
è valida in ogni punto di G. Sono quindi verificate le ipotesi del Teorema
2.5.6 di Myers, da cui la tesi.
Osservazione. Dai Teoremi 3.1.12 e 3.3.7 si vede che un gruppo di Lie
semisemplice ammette una metrica biinvariante se e solo se è compatto.
Il teorema seguente caratterizza i gruppi di Lie connessi che ammettono
una metrica biinvariante.
Teorema 3.3.9 ([19]). Un gruppo di Lie connesso G ammette una metrica Riemanniana biinvariante se e solo se G è isomorfo al prodotto diretto
di Rk e di un gruppo di Lie compatto H.
Dimostrazione. Supponiamo che G ∼
= Rk ×H. Considerate una metrik
ca invariante a sinistra g1 su R (tale metrica è necessariamente biinvariante
perchè Rk è abeliano) e una metrica biinvariante g2 su H (esiste in quanto, per ipotesi, H è compatto), la metrica prodotto g1 × g2 è una metrica
biinvariante su G.
Viceversa, supponiamo che g sia una metrica biinvariante sul gruppo di
Lie G. L’algebra di Lie g di G si decompone nella somma diretta ortogonale
(∗)
g = z ⊕ h1 ⊕ · · · ⊕ h q ,
dove z è il centro di g e ogni hi è un ideale semplice di g (cfr. la dimostrazione
del Teorema 3.3.5). Di conseguenza, il rivestimento universale di G sarà del
tipo
e = Rm × H
f1 × · · · × H
fq ,
G
fi è l’unico gruppo di Lie semplice,
dove Rm corrisponde al centro e ogni H
connesso e semplicemente connesso con algebra di Lie hi . Inoltre, la proe −→ G è un isomorfismo locale e Γ = ker π è un sottogruppo
iezione π : G
e discreto e abeliano, isomorfo al gruppo fondamentale π1 (G).
normale di G,
e Γ e i gruppi di Lie G e G
e hanno algebre di Lie
Il gruppo G è isomorfo a G
isomorfe.
Poichè vale la (∗), la metrica biinvariante g si decompone nel prodotto
delle metriche biinvarianti g0 = g|z×z , su z, e gi = g|hi ×hi , i = 1, . . . , q,
102
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
fi è compatto. Si noti che G
e non è, in
sugli hi . Per il Teorema 3.3.8, ogni H
fi è compatto.
generale, compatto anche se ogni H
e
f
f
e è compatto)
Poniamo H = H1 ×· · ·× Hq (per il Teorema di Tychonoff, H
e = Rm × H
e −→ Rm . Essendo
e consideriamo l’omomorfismo analitico p1 : G
e
Γ un sottogruppo discreto di G, si ha che p1 (Γ) = Γ1 è un sottogruppo
discreto di Rm . Allora esiste un insieme di vettori linearmente indipendenti
{e1 , e2 . . . , ep } in Γ1 tale che
Γ1 = {m1 e1 + · · · + mp ep , mi ∈ Z}.
Si completi {e1 , . . . , ep } in modo tale che (a1 , . . . , am−p , e1 , . . . , ep ) sia una
base di Rm . Considerati i sottospazi vettoriali V = L(e1 , e2 . . . , ep ) e W =
e = V ×W ×H
e e G = (V × W × H)
e Γ. È
L(a1 , a2 . . . , am−p ), si ha G
∼ m−p e, quindi,
abbastanza facile
provare che
Γ opera banalmente su W = R
e Γ . Resta solo da dimostrare che (V × H)
e Γ è
G = Rm−p × (V × H)
compatto. Si consideri il sottoinsieme compatto di V
K = {α1 e1 + α2 e2 + · · · + αp ep 0 ≤ αi ≤ 1, i = 1, . . . , p}
e = K × H.
e Non è difficile verificare che K
e è un compatto, la
e si ponga K
cui orbita, rispetto all’azione di Γ, coincide con V × H.
Osservazione. Se un gruppo di Lie G è semisemplice e ammette una
metrica biinvariante, allora la forma di Killing B è definita negativa (cfr.
Osservazione (1), pag. 100). Quindi, posto
g(X, Y ) = −B(X, Y ),
per ogni X, Y ∈ g, algebra di Lie di G, g definisce una metrica biinvariante
su G. Con questo sistema, si possono costruire, in modo standard, metriche
biinvarianti sui gruppi semplici e compatti e per esempio su O(n) e U (n)
(cfr. Esercizio 3.3.2).
Riepilogando i risultati precedenti si ha il
Teorema 3.3.10. Sia G un gruppo di Lie semisemplice. Le seguenti
affermazioni sono equivalenti
(1) G ammette una metrica biinvariante;
(2) la forma di Killing B su G è definita negativa;
(3) G è compatto.
Il teorema precedente giustifica la seguente
Definizione 3.3.11. Un’algebra di Lie g si dice compatta se esiste un
gruppo di Lie compatto con algebra di Lie g.
Alla luce di questa definizione, i risultati appena discussi possono essere
riformulati come segue.
Teorema 3.3.12. (1) Un’algebra di Lie semisemplice è compatta se e
solo se la sua forma di Killing è definita negativa.
Capitolo 3 – Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie
103
(2) Un’algebra di Lie g è compatta se e solo se
g = z ⊕ [g, g],
dove z è il centro di g e [g, g] è semisemplice e compatta.
Per i gruppi semplici vale il seguente risultato dovuto a J. Milnor [19].
Teorema 3.3.13. Sia G un gruppo di Lie compatto e semplice. Allora G ammette una sola metrica biinvariante (unica a meno di un fattore
costante). Inoltre tale metrica è di Einstein.
Dimostrazione. Siano g e g 0 due metriche biinvarianti su G. Poichè
entrambe individuano un prodotto scalare sullo spazio tangente Te G ∼
= g (e:
elemento neutro di G), esiste un automorfismo di spazi vettoriali S : g −→ g
tale che g 0 (X, Y ) = g(S(X), Y ), X, Y ∈ g. Inoltre, S è simmetrico, ossia
g(S(X), Y ) = g(X, S(Y )). Essendo adX , X ∈ g, antisimmetrico rispetto
ad entrambe le metriche, si ha adX ◦S = S ◦ adX . Se λ è un autovalore
di S, allora l’autospazio Vλ è un ideale di g. Ma, per ipotesi, g è semplice,
quindi Vλ = g, ossia S = λI, con I automorfismo identico su g e g 0 = λg.
Il fatto che la metrica biinvariante sia di Einstein è una conseguenza della
proporzionalità del tensore di Ricci e della forma di Killing.
Osservazione. Dalla classificazione dei gruppi di Lie semplici (cfr. pag.
50 segue che SU (n), SO(n), Sp(n) e tutti i gruppi eccezionali ammettono
un’unica metrica biinvariante del tipo descritto dal Teorema 3.3.13.
Tenendo presente la Proprietà 3.3.1, ci si può chiedere in quali casi la
curvatura sezionale di una metrica invariante a sinistra sia strettamente
positiva. Una risposta sorprendente a tale questione è stata data da Wallach
[26], con il seguente
∼ S 3 è l’unico gruppo di Lie semplicemenTeorema 3.3.14. SU (2) =
te connesso che ammette una metrica invariante a sinistra con curvatura
sezionale strettamente positiva.
I gruppi di Lie che ammettono metriche Riemanniane con curvatura
sezionale positiva o nulla sono stati caratterizzati da Berard Bergery, [2],
nel modo seguente.
Teorema 3.3.15. Sia G un gruppo di Lie connesso. Le tre affermazioni
seguenti sono equivalenti:
(1) G ammette una metrica Riemanniana invariante a sinistra con curvatura sezionale positiva o nulla,
(2) G ammette una metrica Riemanniana invariante a sinistra con curvatura di Ricci positiva o nulla (cfr. Teorema 3.4.2),
(3) Il rivestimento universale di G è dato dal prodotto semidiretto di un
sottogruppo normale, che ammette una metrica invariante e sinistra a
curvatura sezionale nulla, e di un sottogruppo semisemplice che opera
sul precedente mediante isometrie, dotato di una metrica invariante a
sinistra piatta.
104
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Per quanto riguarda la caratterizzazione dei gruppi di Lie G che ammettono una metrica invariante a sinistra a curvatura sezionale nulla, si può
sicuramente affermare che se G è commutativo allora ogni metrica invariante a sinistra su G è piatta. D’altra parte, è già stato notato (cfr. § 3.2)
che, per esempio, E(2) ammette una metrica piatta senza essere abeliano.
Il risultato seguente, attribuito ad Hano, (vedi [19]), risolve tale problema.
Teorema 3.3.16. Se un gruppo di Lie G ammette una metrica invariante a sinistra piatta allora G = H oϕ K, dove H è un sottogruppo normale abeliano e K è un sottogruppo abeliano di G che opera su H mediante
isometrie.
Per esercizio, si consiglia di verificare il teorema precedente nel caso di
E(2) (cfr. Esercizio 1.10.2).
Infine, nel caso della curvatura sezionale negativa, ci limitiamo al seguente teorema di Milnor [19], anche se esistono classificazioni complete date da
Heintze (caso di K < 0) e da Azencott e Wilson (K ≤ 0). Esse richiedono
alcune nozioni della teoria degli spazi omogenei e, pertanto, non possono
essere riportate in queste note.
Teorema 3.3.17. Se G è un gruppo di Lie connesso dotato di metrica
invariante a sinistra con curvatura sezionale negativa o nulla allora G è
risolubile. Se G è anche unimodulare, tale metrica è piatta.
Per le dimostrazioni di tutti questi risultati si rimanda agli articoli man
mano citati.
Esercizi.
3.3.1 Sia G = H oα K il prodotto semidiretto di un sottogruppo H connesso
e normale e di un sottogruppo K. Supponiamo che H e K siano
dotati di metriche invarianti a sinistra tali che K operi su H mediante
isometrie. Dimostrare che la metrica prodotto su G è invariante a
sinistra.
3.3.2 Determinare i valori delle curvature sezionali di O(n) e di U (n) (cfr.
Osservazione di pag. 102).
Capitolo 3 – Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie
105
3.4. Curvature di Ricci e scalare di una metrica invariante
In questo paragrafo, intendiamo proporre un “survey”sugli stretti legami
che esistono tra le proprietà topologiche di un gruppo di Lie ed i segni delle
curvature (di Ricci e scalare) delle metriche invarianti a sinistra.
Iniziamo con il considerare il caso di metriche con tensore di Ricci
definito positivo.
Teorema 3.4.1 ([19]). Un gruppo di Lie G, connesso, ammette una
metrica invariante a sinistra con tensore di Ricci definito positivo se e solo
se G è compatto, con gruppo fondamentale finito. In tal caso, G possiede
una metrica biinvariante di Einstein.
Dimostrazione. Se il tensore di Ricci è definito positivo, allora la tesi
segue dal Teorema 2.5.6 di Myers.
Viceversa se G è compatto con gruppo fondamentale π1 (G) finito, anche
e è compatto, in quanto G ∼
e π1 (G) (cfr.
il suo rivestimento universale G
=G
l’Appendice C). In particolare, la sua algebra di Lie g è compatta (cfr.
Definizione 3.3.11) e, per il Teorema 3.3.12, si ha
g = z ⊕ [g, g],
dove z è il centro di g mentre [g, g] è semisemplice e compatta. La proiezione
ψ : g −→ z è un epimorfismo di algebre di Lie che individua un morfismo
e −→ Rp tra i gruppi di Lie, connessi e semplicemente connessi,
analitico φ : G
e compatto,
corrispondenti alle algebre di Lie g e z (Teorema 1.7.4). Essendo G
p
e
anche φ(G) è un sottogruppo compatto di R , quindi φ(G̃) = {0}. Ciò
implica che z = im ψ = {0}, ossia g = [g, g] è semisemplice. Il gruppo di Lie
G è, dunque, semisemplice. Essendo compatto per ipotesi, G ammette una
metrica biinvariante con curvatura di Ricci definita positiva (cfr. Teorema
3.3.7). Infine, si noti che la metrica data dall’opposto della forma di Killing
è di Einstein (cfr. Osservazione a pag. 102).
Osservazione. Si noti che nel caso della dimensione 3, che solo SU (2) ∼
=
ammette metriche Riemanniane con tensore di Ricci definito positivo (cfr.
§ 3.2); infatti, per SU (2) risultano verificate le ipotesi del Teorema 3.4.1.
S3
Il caso delle metriche con tensore di Ricci positivo o nullo è stato risolto
da L. Bèrard Bergery (per la dimostrazione si veda [2]).
Teorema 3.4.2. Un gruppo di Lie connesso ammette una metrica invariante a sinistra con tensore di Ricci positivo o nullo se e solo se ammette
una metrica invariante a sinistra con curvatura sezionale positiva o nulla.
Le metriche con tensore di Ricci nullo, dette Ricci–piatte, rivestono un
particolare interesse, specialmente per le loro applicazioni in Fisica Matematica. Si noti che, nel caso di una generica varietà Riemanniana di dimensione
superiore a 3, una metrica Ricci–piatta non è, necessariamente, una metrica
piatta. Per quanto riguarda i gruppi di Lie vale, invece, il sorprendente
106
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Teorema 3.4.3 (D.V. Alekseewski, B.N. Kimelfeld). Sia G un gruppo
di Lie connesso. Ogni metrica invariante a sinistra su G è Ricci–piatta se
e solo se è piatta.
Per la dimostrazione di questo risultato, valido per la più ampia classe
degli spazi Riemanniani omogenei, si rinvia a [4], Teorema 7.61. La stessa
proprietà non è più valida per le metriche indefinite (cfr. [8]).
Se il gruppo di Lie è nilpotente, la curvatura di Ricci di ogni metrica
invariante a sinistra ha autovalori sia positivi sia negativi. Infatti vale il
Teorema 3.4.4 ([19]). Se G è un gruppo di Lie nilpotente, non commutativo, e g è una metrica invariante a sinistra su G, esistono due campi
vettoriali V, W ∈ g (algebra di Lie di G) tali che ρ(V, V ) > 0 e ρ(W, W ) < 0,
dove ρ è la curvatura di Ricci.
In altri termini, esiste una direzione in cui la curvatura di Ricci è strettamente positiva ed una direzione in cui la curvatura di Ricci è strettamente
negativa.
Il teorema precedente è un caso particolare del
Teorema 3.4.5. Se l’algebra di Lie g di un gruppo di Lie G contiene
tre campi vettoriali V, W, Z linearmente indipendenti, tali che [V, W ] = Z,
allora esiste una metrica invariante a sinistra la cui curvatura di Ricci ρ è
tale che ρ(V, V ) < 0 e ρ(Z, Z) > 0.
I Teoremi 3.4.4 e 3.4.5 hanno come conseguenza un interessante corollario, dovuto a G. Jensen [15].
Corollario 3.4.6. Un gruppo di Lie nilpotente è di Einstein se e solo
se è commutativo.
Osservazione. Si consiglia di controllare sul gruppo di Heisenberg He
le conclusioni dei tre teoremi precedenti.
Daremo solo la dimostrazione del Teorema 3.4.4; per le altre si rinvia
agli articoli citati. È necessario premettere alcuni lemmi.
Lemma 3.4.7. Sia G un gruppo di Lie dotato di metrica invariante a sinistra g. Supponiamo che la sua algebra di Lie g contenga un ideale h di codimensione 1. Fissato un campo vettoriale X appartenente al complemento ortogonale h⊥ , consideriamo l’applicazione L : h −→ h, Y 7−→ L(Y ) = adX Y ,
e la sua aggiunta L∗ : h −→ h definita da g(L∗ (Y ), Z) = g(Y, L(Z)), per ogni
¯ la sua restrizione
Y, Z ∈ h. Siano ∇ la connessione di Levi Civita di g e ∇
a h × h. Allora
(1) ∇X X = 0;
(2) ∇W X = −S(W );
(3) ∇X W = 12 (L − L∗ )(W );
¯ W V + g(S(W ), V ),
(4) ∇W V = ∇
per ogni W, V ∈ h, dove si è posto S = 12 (L + L∗ ).
Capitolo 3 – Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie
107
Dimostrazione. Si tratta di un semplice calcolo, che viene lasciato per
esercizio.
In un certo senso, il Lemma 3.3.6 può essere invertito, almeno nel caso
dei gruppi di Lie nilpotenti.
Lemma 3.4.8. Siano G un gruppo di Lie nilpotente con algebra di Lie
g. Data una metrica g invariante a sinistra, con tensore di Ricci ρ, supponiamo che esista un campo X ∈ g ortogonale a [g, g]. Allora ρ(X, X) ≤ 0 e
ρ(X, X) = 0 se e solo se adX è antisimmetrica.
Dimostrazione. Non è restrittivo supporre che kXk = 1. Allora h =
L(X)⊥ è un ideale di codimensione 1 in g. Fissata una base ortonormale
(E2 , . . . , En ) di h (n = dim g), si ha
ρ(X, X) =
n
X
KXEi ,
i=2
dove K indica la curvatura sezionale. Dal Lemma 3.4.7, si deduce che, per
ogni campo invariante W ∈ h,
L − L∗
S(W ), W .
KXW = −g(SL(W ), W ) + g
2
Se (E2 , . . . , En ) è una base formata da autovettori di L, cioè L(Ei ) =
λi Ei , i = 2, . . . , n, un facile calcolo mostra che
KXEi = −λ2i ,
da cui
ρ(X, X) = −
n
X
λ2i = − tr(S 2 ) ≤ 0.
i=2
Inoltre, ρ(X, X) = 0 se e solo se S = 0 ossia se e solo se L = −L∗ , vale a
dire adX antisimmetrica.
A questo punto siamo in grado di provare il Teorema 3.4.4.
Dimostrazione. Per ipotesi, G è nilpotente ma non commutativo. Allora
g ⊃ [g, g] ⊃ [g, [g, g]] ⊃ . . . gn = {0}.
Se X ∈ gn−1 , dato che [g, gn−1 ] = gn = {0}, allora X appartiene centro z.
L’endomorfismo adX è, quindi, antisimmetrico e, dal Lemma 3.6 segue che
ρ(X, X) > 0. Si noti che ρ(X, X) 6= 0 in quanto X ∈ [g, g].
Proviamo, ora, che esiste un campo Y 6= o ortogonale a z + [g, g]. Se,
per assurdo, fosse g = z + [g, g] si avrebbe g2 = [g, [g, g]] = [g, g] e g sarebbe
nilpotente soltanto se [g, g] = {0} , in contrasto con l’ipotesi. Per il Lemma
3.4.8, ρ(Y, Y ) ≤ 0 e ρ(Y, Y ) = 0 se e solo se adY è antisimmetrico. In tal caso,
adY , essendo nilpotente (cfr. Proprietà 1.9.10) risulterebbe identicamente
nullo. Ciò è assurdo, poichè Y 6= o è ortogonale a z. In conclusione, deve
essere necessariamente ρ(Y, Y ) < 0.
108
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Le proprietà seguenti prendono in considerazione la curvatura scalare di
un gruppo di Lie dotato di metrica invariante a sinistra. Le dimostrazioni
saranno quasi sempre omesse. Per maggiori dettagli si rimanda agli articoli
citati man mano.
Teorema 3.4.9 ([2]). Sia G un gruppo di Lie connesso. Il rivestimento
e di G è diffeomorfo ad uno spazio euclideo Rn se e solo se
universale G
ogni metrica invariante a sinistra su G è piatta oppure ha curvatura scalare
strettamente negativa.
Dimostrazione. (cenno) Consideriamo la decomposizione di Levi–
Malcev (cfr. Teorema 1.9.13) dell’algebra di Lie g di G
g = r + s,
dove r è il radicale risolubile di g, e s è una sottoalgebra semisemplice. Si
tratta di una somma di spazi vettoriali e di una somma semidiretta di algebre
di Lie, ossia
g = r ⊕δ s,
dove δ(X) = adX , X ∈ r. In base a tale decomposizione dell’algebra di
e di G è del tipo (cfr. la dimostrazione del
Lie, il rivestimento universale G
Teorema 3.3.9)
e=R
e oϕ (H
f1 × · · · × H
fp ),
G
e è risolubile e ogni H
fi , i = 1, . . . , p è semplice. È abbastanza chiadove R
e ∼
fi ∼
ro che R
= Rm , essendo risolubile, mentre ogni H
= Rk se e solo se
^R) ∼
fi ∼
H
= R3 , essendo semplice. La tesi segue dal fatto che la curva= SL(2,
tura scalare di ogni metrica invariante a sinistra su SL(2, R) è strettamente
negativa (cfr. § 3.2).
Si consiglia di controllare, a titolo di esercizio, la validità di questo
teorema nel caso dei gruppi di Lie di dimensione 3.
N. Wallach considera il caso opposto a quello preso in esame da Bèrard
Bergery e prova il
e di un
Teorema 3.4.10 (Wallach [26]). Se il rivestimento universale G
n
gruppo di Lie connesso G non è omeomorfo a R (ciò equivale a richiedere
che G contenga un sottogruppo compatto non commutativo) allora G ammette una metrica invariante a sinistra di curvatura sezionale strettamente
positiva.
Concludiamo, infine, con un risultato relativo alla curvatura scalare.
Teorema 3.4.11 (Milnor [19], Bèrard Bergery [2], Jensen [16]). Sia G
un gruppo di Lie connesso e risolubile. La curvatura scalare di ogni metrica
invariante a sinistra su G è negativa o nulla. Se la curvatura scalare è nulla
allora la metrica è piatta.
APPENDICE A
Spazi proiettivi e gruppi classici
Siano E n = {x ∈ Rn / kxk ≤ 1} il disco n–dimensionale, I l’intervallo
reale chiuso [0, 1] e S n−1 la sfera bordo di E n .
Iniziamo con alcune osservazioni sulla topologia dei gruppi lineari.
a) L’applicazione
α
α 7−→
, det(α)
det(α)
è un isomorfismo da U (n) in SU (n) × S 1 e da O(n) in SO(n) × {−1, 1}.
b) SO(2) e U (1) sono isomorfi a S 1 .
c) SU (n), U (n) e SO(n) sono connessi per archi (cfr. [10], pag. 37).
Proprietà A.1 (decomposizione polare di una matrice). GL(n, C) (ri2
spettivamente GL(n, R)) è omeomorfo a U (n)×Rn (rispettivamente a O(n)×
n(n+1)
2
).
In particolare, ogni matrice di GL(n, C) si può rappresentare univocamente come prodotto di una matrice unitaria e di una matrice hermitiana
con autovalori positivi.
R
Dimostrazione. (cenno; i dettagli vengono lasciati per esercizio). Se
∗ ) l’aggiunta di α, dove
α = (αij ) ∈ gl(n, C), indichiamo con α∗ = (αij
∗
αij = αji . Una matrice α si dice hermitiana se α = α∗ . Una tale matrice
è diagonalizzabile e ha autovalori reali. Indicheremo con H lo spazio delle
matrici hermitiane e con H + quello delle matrici hermitiane definite positive
(cioè con autovalori positivi). Si può verificare che
(i) L’applicazione esponenziale exp : H −→ H + è un omeomorfismo.
(ii) Esiste un unico omeomorfismo √
f di H + su se stesso tale che (f (α))2 =
α. In tal caso, si pone f (α) = α.
(iii) Per ogni α ∈ GL(n, C), α∗ α ∈ H + .
(iv) h : (α, β) 7→ αβ è un omeomorfismo da√ U (n) × √
H + su GL(n, C).
L’applicazione inversa è data da α 7→ (α( α∗ α)−1 , α∗ α). Inoltre, h
è pure un omeomorfismo di O(n) × (H + ∩ gl(n, R)) su GL(n, R).
Proprietà A.2. SO(3, R) è isomorfo (come gruppo topologico) al quoziente di S 3 (pensato come gruppo moltiplicativo dei quaternioni di norma
1) modulo {−I, I}.
Dimostrazione. Sia H il corpo dei quaternioni (si veda l’Esercizio
1.6.3). Ricordato che S 3 = {q = x0 + x1 i + x2 j + x3 k ∈ H / kqk = 1},
109
110
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
per ogni q ∈ S 3 l’applicazione A(q) : H −→ H, x 7−→ qxq −1 è una trasformazione ortogonale di H (considerato come spazio vettoriale e, quindi,
identificato con R4 ) tale che
A(R3 ) ⊆ R3 = {q ∈ H / q = x1 i + x2 j + x3 k}.
Viene dunque determinato, per ogni q ∈ S 3 , un elemento A(q) ∈ O(3); in
altri termini si ha un omomorfismo di gruppi A : S 3 −→ O(3). Essendo S 3
connesso, A(S 3 ) ⊆ SO(3). Un elemento del nucleo di A deve commutare
con i, j, k, perciò ker A = {−I, I}.
Resta da provare che A : S 3 −→ SO(3) è suriettiva. Se B ∈ SO(3), B
deve lasciare fisso almeno un vettore, cioè esiste un u 6= 0 in R3 , con kuk = 1,
tale che B(u) = u. Dato che B(u⊥ ) ⊆ u⊥ e dim u⊥ = 2, B|u⊥ : u⊥ −→ u⊥
è una rotazione di un certo angolo θ. Sia x ∈ u⊥ con kxk = 1; il prodotto
vettoriale u ∧ x è ortogonale sia ad u sia a x e, quindi, {x, u ∧ x} è una base
ortonormale di u⊥ e B(x) = cos θ x+sin θ u∧x. Posto q = cos( 2θ )+sin( 2θ )u ∈
H, u ∈ R3 , si ha A(q) = B (basta osservare che se u e x sono quaternioni
puri ux = u ∧ x), da cui segue la tesi.
Definizione A.3. Lo spazio proiettivo reale RPn è lo spazio quoziente di Rn+1 − {0} mediante la relazione di equivalenza che identifica il
vettore x ∈ Rn+1 − {0} con λx ∈ Rn+1 − {0}, dove λ ∈ R − {0}. In modo equivalente, RPn si può ottenere dalla sfera S n identificandone i punti
antipodali.
Definizione A.4. Lo spazio proiettivo complesso CPn è lo spazio
quoziente di Cn+1 − {0} mediante la relazione di equivalenza che identifica
x ∈ Cn+1 −{0} con λx ∈ Cn+1 −{0}, dove λ ∈ C−{0}. In modo equivalente,
CPn si può ottenere dalla sfera S 2n+1 identificando i punti x e λx, dove
λ ∈ S1.
Dati due spazi topologici X e Y , un sottospazio chiuso E di X e una
applicazione continua f : E −→ Y , si definisce lo spazio incollamento di
X e Y mediante f , denotato con X ∪f Y , nel modo seguente: si considera
l’unione disgiunta X t Y e si identificano x ∈ E e f (x) ∈ Y . In altri termini
X ∪f Y è il “push-out”
f
E
i
X
k
/Y
h
/ X ∪f Y
ed è caratterizzato dalla seguente proprietà universale: per ogni spazio topologico Z e per ogni coppia di applicazioni continue l : Y −→ Z e m : X −→ Z
tali che l ◦ f = m ◦ i, esiste un’unica applicazione continua q : X ∪f Y −→ Z
tale che q ◦ h = l e q ◦ k = m.
Esempi.
(1) Se X = E 2 , E = S 1 , Y è un punto qualsiasi e f : S −→ Y è l’applicazione
costante, allora X ∪f Y = S 2 .
Appendice A – Spazi proiettivi e gruppi classici
111
(2) Se X = E 1 , E è un punto qualsiasi, Y = S 1 ed è introdotta l’applicazione
continua f che manda E in y ∈ Y , allora X ∪f Y è dla “figura otto”(vedi
pag. 28).
Definizione A.5. Un CW–complesso n dimensionale è uno spazio
topologico X a cui è associata una filtrazione
X0 ⊆ X1 ⊆ · · · ⊆ Xn
(X i è detto i–scheletro di X) tale che:
(1) X 0 è uno spazio topologico discreto;
(2) X i è ottenuto da X i−1 incollando i–celle (una i–cella è uno spazio
omeomorfo al disco E i ). Più precisamente, se {Eλi }λ∈Λ è una collezione
di i-celle, si considerino le funzioni di incollamento (dette funzioni
caratteristiche) fλ : Sλi−1 −→ X i−1 e si costruisca, per ogni λ ∈ Λ,
lo spazio di incollamento X i−1 ∪fλ Eλi . X i è l’unione su λ degli spazi
topologici ottenuti in questo modo.
Si noti che la restrizione dell’applicazione Eλi −→ X i−1 ∪fλ Eλi all’interno
di Eλi è un omeomorfismo. Si può provare (cfr. [18]) che il tipo di omotopia
di X dipende solo dalla classe di omotopia delle funzioni caratteristiche.
(1)
(2)
(3)
(4)
Esempi.
Ogni grafo finito (cioè con un numero finito di vertici e di archi) è un
CW–complesso (per la definizione di grafo si veda, ad esempio, [10]).
Si parta, infatti, da un insieme finito X 0 di punti, si considerino delle
funzioni continue fλ da 0–sfere Sλ0 (cioè da una coppia di punti) in X 0 e
si incollino delle 1–celle Eλ2 mediante le fλ . Se fλ manda i due punti di
Sλ0 in punti distinti si ottengono dei segmenti. Se, invece, fλ manda i due
punti di Sλ0 nello stesso punto si ottengono degli archi chiusi, omeomorfi
a S1.
Ogni complesso simpliciale è un CW–complesso.
S n è un CW–complesso il cui 0–scheletro (che coincide con l’i–scheletro,
per ogni i ≥ n − 1) è un punto e l’n–scheletro è ottenuto dall’(n −
1)–scheletro incollando una n–cella.
RPn è un CW–complesso con filtrazione
RP0 ⊆ RP1 ⊆ · · · ⊆ RPn
e RPi è ottenuto da RPi−1 incollando una i-cella (cfr. Esercizio A.2).
(5) CPn è un CW–complesso con filtrazione
CP0 ⊆ CP1 ⊆ · · · ⊆ CPn ,
dove ogni CPi è il (2i)-scheletro e CPi è ottenuto da CPi−1 incollando
una (2i)-cella (cfr. Esercizio A.2).
Esercizi.
A.1 Si dimostri la Proprietà A.1.
112
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
A.2 Provare che RPn (rispettivamente CPn ) è omeomorfo allo spazio di incollamento E n ∪p RPn−1 (rispettivamente E 2n ∪p CPn−1 ), dove p è l’applicazione quoziente da S n−1 in RPn−1 (rispettivamente da S 2n−1 in
CPn−1 ).
APPENDICE B
Omotopia e gruppo fondamentale
In questa appendice verrano riportate alcune definizioni e proprietà dell’omotopia e del gruppo fondamentale. La trattazione sarà necessariamente
molto sintetica e non verrà data alcuna dimostrazione. Per le dimostrazioni
e per maggiori dettagli sull’argomento si rimanda, ad esempio, a [11] oppure
a [10].
Definizione B.1. Date due funzioni continue f, g : X −→ Y , si dice
che f è omotopa a g, e si scrive f ∼ g, se esiste una funzione continua
F : X × I −→ Y (I indica, al solito, l’intervallo reale chiuso [0, 1]) tale che
F|X×{0} = f,
F|X×{1} = g.
Geometricamente si può pensare che f ∼ g se esiste una deformazione
continua che manda f in g.
Non è difficile dimostrare che l’omotopia è una relazione di equivalenza
nell’insieme delle funzioni continue da X in Y e che la composizione di
funzioni omotope dà luogo a funzioni ancora omotope. Ha dunque senso
considerare classi di funzioni omotope ed operare su queste in luogo delle
singole funzioni.
Definizione B.2. Un’applicazione continua f : X −→ Y è una equivalenza omotopica se esiste una seconda applicazione continua g : Y −→ X
tale che f ◦ g ∼ idY e g ◦ f ∼ idX .
Due spazi topologici equivalenti, a meno di omotopia, si diranno avere lo
stesso tipo di omotopia e saranno, in quest’ambito, indistinguibili. Infatti,
si può introdurre una classe di oggetti che sono, in questa categoria “banali”.
Definizione B.3. Uno spazio topologico X si dice contrattile se esiste
un punto x0 ∈ X tale che l’identità di X e la funzione costante x0 siano
omotope (si dice che l’identità è omotopa a zero o inessenziale).
Si può provare che uno spazio topologico X è contrattile se e solo se,
per ogni spazio topologico Y ed ogni applicazione continua f : Y −→ X, si
ha che f è omotopa a zero (cioè ad una funzione costante).
Esempi.
(1) Rn è contrattile; ogni funzione continua a valori in Rn è omotopa a zero.
(2) Il disco chiuso E n (cfr. l’Appendice A) è contrattile; in generale ogni
sottospazio convesso di Rn è contrattile (Esercizio B.3).
113
114
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Definizione B.4. Un sottospazio A di uno spazio topologico X si dice
retratto di X se esiste una funzione continua r : X −→ A tale che, indicata
con j l’inclusione di A in X, si abbia r ◦ j = idA . A prende il nome di
retratto di deformazione di X se, inoltre, j ◦ r è omotopa all’identità di
X, in particolare se A e X hanno lo stesso tipo di omotopia.
(1)
(2)
(3)
(4)
(5)
Esempi.
S n−1 è un retratto di deformazione di Rn − {0} (Esercizio B.4).
S 1 × {0} è un retratto di deformazione dei cilindri S 1 × R e S 1 × I.
La “figura otto è un retratto di deformazione del complementare di due
punti in R2 e del complementaren di un punto nel toro T 2 .
S 1 è un retratto di deformazione del nastro di Moebius.
S 1 non è un retratto di E 2 (Esercizio B.5).
Siano α, β : I −→ X due cammini con gli stessi punti iniziali e finali (cioè
α(0) = β(0) = x0 e α(1) = β(1) = x1 ).
Definizione B.5. Si dice che α ∼ β rel (0, 1) se esiste un’omotopia con
“estremi fissi” tra α e β, cioè se esiste un’omotopia F : I × I −→ X di α e
β tale che
F {0}×I = x0 , F {1}×I = x1 .
Se x0 = x1 allora α e β prendono il nome di cappi. In tal caso, si può
definire il cappio prodotto α ∗ β come
(
α(2t),
0 ≤ t ≤ 21
(α ∗ β)(t) =
β(2t − 1), 12 ≤ t ≤ 1.
Valgono le seguenti proprietà.
(1) L’omotopia è una relazione di equivalenza nell’insieme dei cappi centrati
in un punto x0 .
(2) Il prodotto di cappi è ben definito nell’insieme quoziente dei cappi rispetto alla relazione di omotopia con estremi fissi. Indicata con [α] una
classe di omotopia di cappi, si pone
[α ∗ β] = [α] ∗ [β].
(3) Sia π1 (X, x0 ) l’insieme delle classi di equivalenza dei cappi centrati in
x0 , modulo la relazione di omotopia estremi fissi. Si può provare che
π1 (X, x0 ) è un gruppo, detto gruppo fondamentale di X relativo al
punto base x0 .
(4) Se f : (X, x0 ) −→ (Y, y0 ) è una funzione continua di X in Y che manda
x0 in y0 , allora l’applicazione
π1 f : π1 (X, x0 ) −→ π1 (Y, y0 ),
[α] 7−→ [f ◦ α]
è ben definita ed è un morfismo di gruppi. Inoltre π1 è un funtore, cioè
π1 (id) = id,
π1 (g ◦ f ) = π1 g ◦ π1 f.
Appendice B – Omotopia e gruppo fondamentale
115
(5) Se X è connesso per cammini, il gruppo fondamentale di X non dipende dal punto base; più precisamente se x0 , x1 ∈ X, allora π1 (X, x0 ) è
isomorfo a π1 (X, x1 ).
(6) Il gruppo fondamentale di un gruppo topologico (in particolare di un
gruppo di Lie) è abeliano (Esercizio B.1).
(1)
(2)
(3)
(4)
Esempi.
Il gruppo fondamentale di Rn è banale.
Il gruppo fondamentale di E n è banale.
Si vedrà in seguito che il gruppo fondamentale di S 1 è isomorfo a Z.
Intuitivamente, si può pensare che il suo generatore sia il cappio “un
giro”.
Il gruppo fondamentale di S n , per n ≥ 2, è banale.
Definizione B.6. Uno spazio connesso per cammini X si dice semplicemente connesso se π1 (X) è banale.
Si prova (ma non è banale come potrebbe sembrare!) che uno spazio
topologico contrattile è semplicemente connesso. Inoltre, si può dimostrare
che il gruppo fondamentale di uno spazio topologico X dipende solo dal
tipo di omotopia di X. In altre parole, un’equivalenza omotopica induce un
isomorfismo tra i gruppi di omotopia. In particolare, se A è un retratto di
deformazione di X, A e X hanno gruppi fondamentali isomorfi.
Esempi.
(1) I complementari di un punto in Rn e in S n−1 hanno lo stesso gruppo
fondamentale.
(2) Il nastro di Moebius e S 1 hanno lo stesso gruppo di omotopia. Esiste
una retrazione che manda il nastro di Moebius nel suo bordo?
Alcuni teoremi permettono di calcolare il gruppo fondamentale di uno
spazio topologico riconducendosi al gruppo fondamentale di spazi topologici
“più semplici”.
Teorema B.7. π1 (X × Y, (x0 , y0 )) ∼
= π1 (X, x0 ) × π1 (Y, y0 ).
Da questo teorema si deduce, ad esempio, che il gruppo fondamentale
del toro è isomorfo a Z × Z.
Teorema B.8. Se X è un CW–complesso e X 2 è il suo 2–scheletro,
allora l’inclusione di X 2 in X induce un isomorfismo tra π1 (X 2 ) e π1 (X).
Esempi.
(1) Come conseguenza del Teorema B.8 si ha che S n è semplicemente connesso per n ≥ 3. (Anche S 2 è semplicemente connesso ma ciò è una
conseguenza del prossimo risultato).
(2) CPn è semplicemente connesso.
116
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
Teorema B.9 (di Seifert e Van Kampen). Se X = U ∪ V con U e V
aperti e U ∩ V non vuoto e connesso per cammini, allora il diagramma
π1 (U ∩ V )
π1 (i2 )
π1 (V )
π1 (i1 )
π1 (j2 )
/ π1 (U )
π1 (j1 )
/ π1 X
dove i1 , i2 , j1 , j2 sono le inclusioni, è un diagramma di “push out”(cfr.
l’Appendice A).
Corollario B.10. Si considerino valide le ipotesi del Teorema B.9.
(1) Se U ∩ V è semplicemente connesso allora π1 (X) è isomorfo al prodotto
libero di π1 (U ) e π1 (V ).
(2) Se π1 (i1 ) e π1 (i2 ) sono isomorfismi allora anche π1 j1 e π1 j2 lo sono.
Come conseguenza del Teorema B.9 si può dedurre che:
(1) S 2 è semplicemente connesso.
(2) π1 (RP2 ) ' Z2 . Che cosa si può dire di π1 (RPn )?
Esercizi.
B.1 Sia G un gruppo topologico con prodotto · ed elemento neutro e. Indicato con Ω(G, e) l’insieme dei cappi con punto base in e, se f, g ∈ Ω(G, e)
si definisca il cappio prodotto f ~ g come
(f ~ g)(s) = f (s) · g(s).
Si provi che:
i) (Ω(G, e), ~) è un gruppo.
ii) ~ induce una operazione ~ su π1 (G, e).
iii) L’operazione ~ e l’usuale prodotto di classi di cappi ∗ su π1 (G, e)
coincidono (suggerimento: calcolare (f ∗ ce ) ~ (ce ∗ g), dove ce è il
cappio costante in e).
iv) π1 (G, e) è abeliano. (Suggerimento: definire una nuova operazione
su Ω(G, e) tale che (f g)(s) = g(s) · f (s)).
B.2 Provare che CPn è semplicemente connesso.
B.3 Verificare che se X ⊆ Rn è un insieme convesso allora X è contrattile.
B.4 Dimostrare che il complementare di un punto in Rn ha S n−1 come
retratto di deformazione.
B.5 Provare che S 1 non è un retratto di E 2 .
APPENDICE C
Rivestimenti
In questa appendice si intende dare la definizione di rivestimento di
uno spazio topologico, che sarà, poi, particolarizzata al caso di un gruppo
topologico e di un gruppo di Lie.
Definizione C.1. Dati due spazi topologici E ed X e un’applicazione
continua p : E −→ X, p si dice rivestimento di X se, per ogni x ∈ X,
esiste un intorno aperto U di x tale che p−1 (U ) è l’unione disgiunta di
aperti Ui di E ognuno dei quali è omeomorfo ad U mediante p|Ui . L’intorno
U si dice “coperto regolarmente” o “intorno trivializzante”. Gli aperti Ui
sono i fogli; p−1 (x) è la fibra di x.
Come conseguenza immediata della Definizione C.1 si ha:
a) La fibra di ogni punto è discreta.
b) p è un omeomorfismo locale.
c) X è dotato della topologia quoziente.
Osservazioni.
1) Se X è una varietà differenziabile, si vede facilmente che E ha un’unica
struttura differenziabile per cui p è una applicazione differenziabile (cfr.
[10]).
2) Un rivestimento è un caso particolare di fibrato: infatti un rivestimento
è un fibrato localmente triviale con fibra discreta. Il gruppo fondamentale π1 (X) (cfr. l’Appendice B) può essere considerato come gruppo
strutturale del fibrato (pensato come gruppo di Lie discreto) e lo spazio
omogeneo π1 (X)/p∗ π1 (E) è la fibra. In quest’ottica, i fibrati principali
sono dei particolari rivestimenti detti rivestimenti regolari (o di Galois).
Per maggiori dettagli si veda, a questo proposito, [24].
Esempi.
(1) I rivestimenti della circonferenza S 1 sono:
a) id : S 1 −→ S 1 .
b) S 1 × (spazio discreto).
Questi due primi esempi sono, in un certo senso, “banali”.
c) p : R −→ S 1 , dove S 1 è identificato con l’insieme dei numeri complessi
di norma 1 (cfr. §I.1) e p : x 7→ e2πix .
d) pn : S 1 −→ S 1 con pn : e2πix 7−→ e2πinx , ed n è numero naturale
fissato.
117
118
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
(2) Per quanto riguarda i rivestimenti del toro, basta usare una proprietà
generale in cui si afferma che il prodotto cartesiano di rivestimenti è
ancora un rivestimento e utilizzare gli esempi precedenti.
(3) Un rivestimento di RPn è dato da p : S n −→ RPn , dove p è l’applicazione
quoziente.
Dati un rivestimento p : E −→ X, uno spazio topologico Y e un’applicazione continua f : Y −→ X, si intende stabilire quando è possibile
“sollevare”f ad un’applicazione continua fe: Y −→ E. A questo proposito
vale il
Teorema C.2 (Unicità del sollevamento). Siano p : E −→ X un rivestimento e f : Y −→ X una funzione continua arbitraria, con Y spazio
topologico connesso. Se esiste una funzione continua fe: Y −→ E (detta
sollevamento di f ) per cui p ◦ fe = f e se, dati e0 ∈ E, x0 ∈ X, y0 ∈ Y ,
si ha f (y0 ) = x0 e fe(y0 ) = e0 , allora, tale sollevamento è unico.
Sotto particolari ipotesi, il sollevamento di un’applicazione continua è
sempre possibile. Per esempio, vale il
Teorema C.3 (Sollevamento dei cammini). Sia p : E −→ X un rivestimento. Se σ è un cammino su X di punto iniziale x0 ∈ X, allora, per ogni
e0 ∈ p−1 (x0 ), esiste un unico cammino σe0 0 di E tale che p ◦ σe0 0 = σ.
Esempio.
Si prenda in considerazione il precedente Esempio (1) di pag. 117, punti
c) e d). Nel caso del rivestimento pn , un cappio “n giri di S 1 si solleva
ad un cappio, mentre un cappio “k giri”(k 6= n) si solleva soltanto ad un
cammino. Nel caso del rivestimento p nessun cappio si solleva ad un cappio.
Rivestimenti del tipo di p verranno chiamati universali; intuitivamente tali
rivestimenti “slegano tutti i cappi”.
Teorema C.4 (Sollevamento dell’omotopia). Siano p : E −→ X un rivestimento ed f : (Y, y0 ) −→ (X, x0 ) una funzione continua, dove f (y0 ) =
x0 , che ammette un sollevamento f 0 : (Y, y0 ) −→ (E, e0 ). Allora ogni omotopia F : Y × I −→ X con F (y, 0) = f (y), per ogni y ∈ Y , può essere
sollevata ad un’omotopia F 0 : Y × I −→ E con F 0 (y, 0) = f 0 (y), per ogni
y ∈ Y . Inoltre, se l’omotopia F lascia fisso un sottospazio W di Y , anche
F 0 fissa lo stesso sottospazio.
Corollario C.5. Sia p : E −→ X un rivestimento. Se σ e τ sono
cammini in X con lo stesso punto iniziale x0 e σ ∼ τ rel (0, 1), allora
σe0 0 ∼ τe0 0 rel (0, 1), per ogni e0 ∈ p−1 (x0 ). In particolare, σe0 0 e τe0 0 hanno lo
stesso punto finale.
Come applicazione dei “teoremi di sollevamento”ora enunciati, determiniamo il gruppo fondamentale della circonferenza S 1 . Utilizzando il rivestimento di S 1 p : R −→ S 1 (cfr. l’Esempio (1) di pag. 117, punto d)),
definiamo un omomorfismo
ψ : π1 (S 1 , 1) −→ Z,
[σ] 7→ σe0 0 (1),
Appendice C – Rivestimenti
119
dove σe0 0 è il sollevamento di σ a partire dal punto 0 ∈ R. Si può verificare
(cfr. [11]) che ψ è un isomorfismo.
In generale, se G è un gruppo topologico semplicemente connesso e H
un suo sottogruppo normale e discreto, si ha:
(i) p : G −→ G/H è un rivestimento.
(ii) π1 (G/H) ∼
= H = ker p.
(iii) H è contenuto nel centro di G.
Le proprietà (i) e (iii) non dipendono dalla semplice connessione di G.
Corollario C.6. Se p : (E, e0 ) −→ (X, x0 ) è un rivestimento, allora
π1 (p) : π1 (E, e0 ) −→ π1 (X, x0 ) è un monomorfismo.
Si può individuare una condizione necessaria e sufficiente affinchè una
funzione continua tra due spazi topologici possa essere sollevata. Vale il
Teorema C.7 (Criterio di sollevamento delle funzioni). Dati un rivestimento p : (E, e0 ) −→ (X, x0 ), uno spazio topologico Y connesso e localmente
connesso per archi, un’applicazione continua f : (Y, y0 ) −→ (X, x0 ) ammette
un (unico) sollevamento f 0 : (Y, y0 ) −→ (E, e0 ) se e solo se
π1 (f )π1 (Y, y0 ) ⊆ π1 (p)π1 (E, e0 ).
Definizione C.8. Un rivestimento p : U −→ X si dice universale se
lo spazio topologico U è semplicemente connesso.
Osservazione. Come conseguenza del Teorema C.7, il rivestimento universale è unico a meno di omeomorfismi. Inoltre, se p : U −→ X è il rivestimento universale di uno spazio topologico X, e q : E −→ X è un rivestimento di X, allora esiste una funzione continua f : E −→ U tale che p ◦ f = q
(f solleva q). In altre parole il rivestimento universale “riveste ogni altro
rivestimento”.
Tutti gli spazi topologici di cui ci si è occupati in questo corso sono
dotati di rivestimento universale. Infatti, se uno spazio topologico X è
“quasi localmente semplicemente connesso”allora ammette il rivestimento
universale. Tale condizione significa che, per ogni punto x ∈ X, esiste
un intorno aperto V di x tale che l’omomorfismo (indotto dall’inclusione)
π1 (V ) −→ π1 (X) sia il morfismo nullo. Chiaramente ogni varietà topologica
gode di questa proprietà.
Si può provare che ogni rivestimento di un gruppo topologico (rispettivamente, di Lie) è un gruppo topologico (di Lie). Questa è una conseguenza
del criterio di sollevamento dei cammini (Teorema C.3), che viene proposta
come esercizio.
Esercizi.
C.1 Dimostrare che CPn è semplicemente connesso.
120
E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie
C.2 Siano G un gruppo topologico semplicemente connesso e H un suo
sottogruppo normale e discreto. Si provi che
i) p : G −→ G/H è un rivestimento.
ii) π1 (G/H) ∼
= H = ker p.
iii) H è contenuto nel centro di G.
Le proprietà i) e iii) non dipendono dalla semplice connessione di G.
C.3 Siano p : E −→ X un rivestimento e x0 ∈ X. Si definisca un’azione di
π1 (X, x0 ) sulla fibra p−1 (x0 ) nel modo seguente:
p−1 (x0 ) × π1 (X, x0 ) −→ p−1 (x0 ),
(e, [σ]) 7−→ σe0 (1),
dove σe0 è il sollevamento di σ a partire dal punto e ∈ p−1 (x0 ). Verificare
che:
i) il sottogruppo di isotropia di un punto e0 ∈ p−1 (x0 ) è p∗ π1 (E, e0 ).
ii) Se E è connesso per archi, l’azione è transitiva (in particolare
i sottogruppi {p∗ π1 (E, e)} al variare di e in p−1 (x0 ) sono tutti
coniugati).
iii) p−1 (x0 ) è in biiezione con π1 (X, x0 )/p∗ π1 (E, e0 ).
C.4 Provare che π1 (RP2 ) ∼
= Z2 e dedurre da questo risultato che anche
n ∼
π1 (RP ) = Z2 per n ≥ 2.
C.5 Siano X un gruppo topologico connesso e localmente connesso per archi
e p : E −→ X un rivestimento di X. Indicato con x0 l’elemento neutro di
X e fissato un punto e0 ∈ p−1 (x0 ), provare che esiste un’unica struttura
di gruppo topologico su E rispetto alla quale e0 è l’elemento neutro e p è
un omomorfismo (suggerimento: si applichi il Teorema C.3 alle funzioni
(p × p) ◦ m e p ◦ i, dove m : X × X −→ X, (x, y) 7−→ xy, i : X −→ X,
x 7−→ x−1 ).
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