Dipartimento di Matematica – Università di Torino GRUPPI DI LIE E. Abbena – S. Console – S. Garbiero A.A. 2006–2007 Indice Introduzione v Capitolo 1. Gruppi e algebre di Lie, generalità 1.1. Definizioni ed esempi 1.2. Algebra di Lie di un gruppo di Lie 1.3. L’applicazione esponenziale 1.4. Relazioni tra un gruppo di Lie e la sua algebra di Lie 1.5. Forme differenziali invarianti ed equazioni di struttura 1.6. Sottogruppi di Lie 1.7. Rivestimenti di gruppi di Lie 1.8. Rappresentazione aggiunta 1.9. Algebre e gruppi di Lie semisemplici e risolubili 1.10. Classificazione delle algebre di Lie reali di dimensione 3 1.11. Gruppi di Lie di dimensione 4 1 1 6 11 17 21 28 38 42 46 54 60 Capitolo 2. Richiami di geometria Riemanniana 2.1. Varietà Riemanniane ed isometrie 2.2. Connessioni su varietà Riemanniane 2.3. Tensori di curvatura 2.4. Equazioni di struttura di Cartan 2.5. Geodetiche e teorema di Myers 61 61 67 72 77 81 Capitolo 3. Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie 3.1. Metriche invarianti a sinistra e metriche biinvarianti 3.2. Metriche invarianti sui gruppi di Lie di dimensione 3 3.3. Curvatura sezionale di una metrica invariante 3.4. Curvature di Ricci e scalare di una metrica invariante 83 83 93 98 105 Appendice A. Spazi proiettivi e gruppi classici 109 Appendice B. Omotopia e gruppo fondamentale 113 Appendice C. Rivestimenti 117 Bibliografia 121 iii Introduzione Queste note sono relative al Corso di “Gruppi di Lie” tenuto, nell’ambito del VI Ciclo di Dottorato in Matematica, presso il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino, nell’Anno Accademico 1990/91. Lo scopo del Corso è stato quello di fornire un’introduzione alla teoria dei gruppi di Lie e delle metriche Riemanniane invarianti. Dato il prevalente fine didattico, si è cercato di ridurre al minimo i prerequisiti, che consistono in una conoscenza delle nozioni principali sulle varietà differenziabili e sui campi vettoriali. In ogni caso, le definizioni e le proprietà richieste si possono trovare nel testo di W. Boothby [5], le cui notazioni sono state ampiamente adottate nel corso dell’esposizione. Si è deciso, inoltre, di limitare il numero delle dimostrazioni riportate integralmente, preferendo sviluppare maggiormente gli aspetti più “pratici” come, ad esempio, calcoli dettagliati su esempi significativi. Desideriamo ringraziare, in modo particolare, i Proff. Franco TRICERRI, dell’Università di Firenze, che tenne il Corso di Gruppi di Lie a Cortona nel 1983, a cui queste note si sono largamente ispirate, e Alfred GRAY dell’Università di Maryland, per aver messo a nostra disposizione le sue note dei Corsi di Ph.D. Torino, febbraio 2007 v CAPITOLO 1 Gruppi e algebre di Lie, generalità In questo capitolo vengono presentate le proprietà principali dei gruppi e delle algebre di Lie. 1.1. Definizioni ed esempi Le varietà differenziabili considerate in queste note sono spazi di Hausdorff che verificano il secondo assioma di numerabilità (esiste una base numerabile per la famiglia degli aperti). Definizione 1.1.1. Un gruppo di Lie (reale) è una varietà differenziabile analitica reale G tale che i) G ha la struttura di gruppo, ii) le applicazioni G × G −→ G, (a, b) 7−→ ab, a 7−→ a−1 G −→ G, sono analitiche (G × G è dotato della struttura differenziabile prodotto). Osservazioni. 1) La condizione ii) è equivalente alla seguente: ii’) l’applicazione G × G −→ G, (a, b) 7−→ ab−1 , è analitica. 2) Se nella definizione precedente si suppone che G sia una varietà complessa, si ottiene un gruppo di Lie complesso. Si noti che, essendo ogni varietà complessa una varietà reale, un gruppo di Lie complesso è anche un gruppo di Lie reale. 3) Se, invece, si suppone che G sia soltanto uno spazio topologico di Hausdorff e che le applicazioni considerate nel punto ii) siano continue, si ha la definizione di gruppo topologico. È evidente che ogni gruppo di Lie è un gruppo topologico. Un famoso problema, proposto da Hilbert (V problema), consiste nel provare che un gruppo topologico localmente euclideo (tale cioè che ogni punto abbia un intorno omeomorfo ad un aperto di Rn ) ammette sempre un’unica struttura di varietà analitica rispetto alla quale diventa un gruppo di Lie. La dimostrazione di tale affermazione si deve a Von Neumann (1933), nel caso compatto, ed a Gleason, Montgomery e Zippin (1952) nel caso generale. Questo risultato implica, tra l’altro, che l’ipotesi di analiticità per i gruppi di Lie non è affatto restrittiva. 1 2 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Esempi. (1) Rn è un gruppo di Lie reale abeliano, rispetto alla struttura differenziabile ordinaria. Analogamente, Cn è un gruppo di Lie complesso abeliano. (2) Indichiamo con GL(n, R) il gruppo lineare generale, ossia l’insieme delle matrici reali di ordine n con determinante diverso da zero. Iden2 tificando una matrice di ordine n con un punto di Rn , si vede che la funzione det : M(n, R) −→ R, A 7−→ det A (M(n, R) denota l’insieme di tutte le matrici di ordine n) è continua; l’insieme det−1 (0) è chiuso e, quindi, GL(n, R) = M(n, R) − det−1 (0) è 2 aperto in Rn . Pertanto, GL(n, R) ha la struttura di varietà analitica reale aperta, indotta da quella di M(n, R). Ricordando le espressioni del prodotto di due matrici e della matrice inversa, si ha che GL(n, R) è un gruppo di Lie di dimensione n2 . In generale, se V è uno spazio vettoriale reale di dimensione n, GL(V ), il gruppo degli isomorfismi lineari di V , è un gruppo di Lie, isomorfo a GL(n, R) (fissata una base in V ). (3) Consideriamo la circonferenza unitaria S 1 nel piano {z ∈ C / |z| = 1} = {z ∈ C / z = eiθ = cos θ + i sin θ, θ ∈ R}. S 1 ha una struttura naturale di varietà analitica di dimensione 1 (le funzioni sin e cos sono omeomorfismi locali su opportuni aperti che ricoprono S 1 ). Inoltre, S 1 è un gruppo abeliano rispetto al prodotto di numeri complessi. S 1 è isomorfo ai seguenti gruppi cos θ − sin θ i) SO(2) = A ∈ M(2, R) / A = , θ∈R ; sin θ cos θ ii) R/Z, gruppo quoziente rispetto alla congruenza modulo Z. Mediante gli isomorfismi precedenti, non è difficile verificare che S 1 è un gruppo di Lie. Introduciamo ora la nozione di omomorfismo tra gruppi di Lie. Definizione 1.1.2. Siano G e H due gruppi di Lie. Si dice omomorfismo analitico ogni applicazione analitica φ : G −→ H che sia anche un omomorfismo di gruppi. Se φ è un isomorfismo di gruppi e un diffeomorfismo, φ prende il nome di isomorfismo analitico. Dati due gruppi di Lie G e H, è possibile costruire altri gruppi di Lie nel modo seguente. Supponiamo che per ogni a ∈ G esista un automorfismo αa di H in sè tale che: (1) per ogni a, b ∈ G αab = αa ◦ αb , (2) l’applicazione G × H −→ H, sia analitica. (a, h) 7−→ αa (h) Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 3 In tal caso, si verifica che la varietà analitica H × G, dotata dell’operazione (h, a)(h0 , b) = (hαa (h0 ), ab), h, h0 ∈ H, a, b, ∈ G, è un gruppo di Lie, detto prodotto semidiretto di H e G rispetto ad α ed indicato con H oα G. Se αa = idH , per ogni a ∈ G, si ha il prodotto diretto e si scrive H ×G. Si noti che H è un sottogruppo normale di H oα G. Esempi. (1) Siano G = GL(n, R), H = Rn , A ∈ GL(n, R), αA : H −→ H, u 7−→ Au. Allora H oα G non è altro che il gruppo delle affinità di Rn . Si osservi che si può identificare H oα G con il gruppo K di matrici A tu B ∈ GL(n + 1, R) / B = , A ∈ GL(n, R), u ∈ Rn . 0 1 (2) Se G = S 1 , il prodotto diretto 1 Tn = S · · × S }1 | × ·{z n volte si dice toro reale di dimensione n. Si noti che T n è analiticamente isomorfo a Rn /Zn , gruppo quoziente di Rn rispetto alla relazione di congruenza modulo Zn . Introduciamo ora delle particolari algebre che, come vedremo, sono strettamente collegate ai gruppi di Lie. Definizione 1.1.3. Un’algebra di Lie reale è uno spazio vettoriale reale g dotato di un’applicazione bilineare (detta parentesi di Lie o semplicemente “bracket”) [ , ] : g × g −→ g, che verifica le seguenti proprietà: (X, Y ) 7−→ [X, Y ], (1) [X, Y ] = −[Y, X], (2) SX,Y,Z [[X, Y ], Z] = [[X, Y ], Z] + [[Y, Z], X] + [[Z, X], Y ] = 0, def. per ogni X, Y, Z ∈ g (SX,Y,Z denota la somma sulle permutazioni cicliche di X, Y, Z). La (2) è detta identità di Jacobi. Definizione 1.1.4. Un omomorfismo di algebre di Lie è un’applicazione lineare φ : g −→ g0 tale che φ([X, Y ]) = [φ(X), φ(Y )], per ogni X, Y ∈ g. I monomorfismi, gli epimorfismi e gli isomorfismi di algebre di Lie si definiscono in modo ovvio. Siano a, b due sottospazi vettoriali di un’algebra di Lie g. Poniamo ( ) X [a, b] = ai [Xi , Yi ], Xi ∈ a, Yi ∈ b, ai ∈ R . i 4 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Definizione 1.1.5. Un sottospazio vettoriale h di g si dice sottoalgebra di Lie se [h, h] ⊆ h. h è un ideale di g se [h, g] ⊆ h. Vale la seguente proprietà, la cui dimostrazione consiste in una semplice verifica. Proprietà 1.1.6. Sia φ : g −→ g0 un omomorfismo di algebre di Lie. Allora: (1) ker φ è un ideale di g e im φ è una sottoalgebra di g0 ; (2) se h è un ideale di g, g/h è ancora un’algebra di Lie con parentesi di Lie data da [X + h, Y + h] = [X, Y ] + h, X, Y, ∈ g. Esempi. (1) g = Rn , con parentesi di Lie definita da [u, v] = 0 per ogni u, v ∈ Rn , è un’algebra di Lie abeliana. In generale, si dice abeliana un’algebra di Lie la cui parentesi di Lie è identicamente nulla. (2) Sia g = gl(n, R) lo spazio vettoriale delle matrici reali di ordine n (come insieme coincide con M(n, R)) dotato dell’operazione [A, B] = AB − BA, per ogni A, B ∈ gl(n, R). Si verifica che gl(n, R) è un’algebra di Lie. Più in generale, se V è uno spazio vettoriale reale, indichiamo con gl(V ) l’algebra di Lie degli endomorfismi lineari di V . La parentesi di Lie è data da [f, g] = f ◦ g − g ◦ f, per ogni f, g ∈ gl(V ). Se V ha dimensione n, scelta una base di V , gl(V ) è isomorfa, come algebra di Lie, a gl(n, R). Definizione 1.1.7. Sia g un’algebra di Lie. Un endomorfismo (di spazi vettoriali) φ di g si dice derivazione di g se: φ([X, Y ]) = [φ(X), Y ] + [X, φ(Y )], per ogni X, Y ∈ g. Indicato con Der(g) l’insieme delle derivazioni di g, si verifica che: (1) se φ, ψ ∈ Der(g) e a ∈ R, allora: φ + ψ ∈ Der(g), aφ ∈ Der(g) e [φ, ψ] = φ ◦ ψ − ψ ◦ φ ∈ Der(g). (2) Der(g) è una sottoalgebra di Lie di gl(g), detta algebra di Lie delle derivazioni di g. Si noti che, se X ∈ g, l’endomorfismo lineare adX : g −→ g, Y 7−→ adX Y = [X, Y ] è una derivazione di g, detta derivazione interna. Si prova che: (1) [adX , adY ] = ad[X,Y ] , per ogni X, Y ∈ g. (2) ad(g) = {φ ∈ Der(g) / φ = adX , X ∈ g} è un’algebra di Lie, sottoalgebra di Der(g), detta algebra di Lie delle derivazioni interne. Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 5 Definizione 1.1.8. Siano g e h due algebre di Lie e δ : g −→ Der(h) un omomorfismo di algebre di Lie. Si consideri h × g dotato della struttura di spazio vettoriale somma diretta e si definisca il prodotto in h × g nel modo seguente [(U, X), (V, Y )] = ([U, V ] + δ(X)V − δ(Y )U, [X, Y ]), per ogni U, V ∈ h e X, Y ∈ g. Si ottiene cosı̀ un’algebra di Lie, denotata con h ⊕δ g, detta somma semidiretta di h e g (rispetto a δ). Si noti che h è un ideale di h ⊕δ g. Se δ(X) = 0, per ogni X ∈ g, si parla di somma diretta di algebre di Lie e si scrive semplicemente h ⊕ g. Esercizi. 1.1.1 Descrivere esplicitamente la struttura analitica di S 1 (atlante delle carte locali e funzioni di transizione) e verificare che S 1 è un gruppo di Lie. Ripetere lo stesso esercizio nel caso di GL(n, R). 1.1.2 Provare che il prodotto semidiretto H oα G di due gruppi di Lie è un gruppo di Lie. Verificare che H è un sottogruppo normale di H oα G. 1.1.3 Verificare che: a) Der(g) è una sottoalgebra di gl(g); b) adX ∈ Der(g), per ogni X ∈ g; c) ad(g) è una sottoalgebra di Lie di Der(g). 1.1.4 Provare che la somma semidiretta h ⊕δ g di due algebre di Lie è effettivamente un’algebra di Lie e che h è un ideale di h ⊕δ g. 1.1.5 Supponiamo che l’algebra di Lie g sia la somma diretta, come spazio vettoriale, di due sottoalgebre h e k. a) Stabilire che g = h ⊕ k è somma diretta di algebre di Lie se e solo se h e k sono due ideali. b) Provare che g è somma semidiretta di h e k se h è un ideale di g (suggerimento: g = h ⊕δ k dove δ(X) = adX , X ∈ k). 6 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie 1.2. Algebra di Lie di un gruppo di Lie Sia G un gruppo di Lie. Per ogni a ∈ G consideriamo le seguenti applicazioni: La : G −→ G, Ra : G −→ G, Ia : G −→ G, b 7−→ ab, b 7−→ ba, b 7−→ aba−1 . La e Ra sono diffeomorfismi analitici (ma non omomorfismi di gruppi), detti traslazione sinistra e traslazione destra, rispettivamente. Ia è un automorfismo analitico di G, detto automorfismo interno corrispondente all’elemento a di G. Si ricordi che se φ : M −→ N è una funzione differenziabile tra due varietà differenziabili, il differenziale di φ nel punto p ∈ M è un’applicazione lineare tra gli spazi tangenti Tp M e Tφ(p) N , indicata con φ∗|p . Definizione 1.2.1. Sia X un campo vettoriale analitico su G. X si dice invariante a sinistra (a destra) se (La )∗ b Xb = Xab , ((Ra )∗ b Xb = Xba ) per ogni a, b ∈ G. Vale la seguente Proprietà 1.2.2. Se X e Y sono due campi invarianti a sinistra (a destra), anche i campi X + Y , λX, con λ ∈ R, e [X, Y ] sono invarianti a sinistra (a destra). Dimostrazione. Le prime due affermazioni sono conseguenza del fatto che il differenziale è un’applicazione lineare. Per provare la terza, si osservi che, se φ è un diffeomorfismo di G in G, dato un campo vettoriale X, si definisce il campo φ∗ X nel modo seguente: (φ∗ X)a = φ∗ φ−1 (a) Xφ−1 (a) , per ogni a ∈ G. In tal caso, vale la relazione φ∗ [X, Y ] = [φ∗ X, φ∗ Y ] e la tesi segue dal fatto che un campo X è invariante a sinistra (a destra) se e solo se (La )∗ X = X (oppure (Ra )∗ X = X), per ogni a ∈ G. Dalla proprietà precedente si vede che l’insieme dei campi vettoriali invarianti a sinistra ha la struttura di algebra di Lie, detta algebra di Lie del gruppo di Lie G. Teorema 1.2.3. Sia G un gruppo di Lie di dimensione n. La sua algebra di Lie g è isomorfa (come spazio vettoriale) a Te G, spazio tangente a G nell’elemento neutro e ∈ G. Di conseguenza, anche g ha dimensione n. Dimostrazione. Iniziamo col provare che, dato un vettore x ∈ Te G, esiste un unico campo vettoriale invariante a sinistra X ∈ g tale che Xe = x. Si definisce X nel modo seguente: per ogni a ∈ G, Xa = (La )∗ e x. Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 7 i) X è invariante a sinistra poichè Xab = (Lab )∗|e x = (La )∗ b (Lb )∗ e x = (La )∗ b Xb , a, b ∈ G. ii) X è un campo analitico. Dato che X è invariante a sinistra, è sufficiente verificare che X è analitico in un intorno di e. A tal fine consideriamo una carta locale (U, φ) centrata in e (cioè φ(e) = 0 ∈ Rn ). Indicate con x1 , x2 , . . . , xn le funzioni (analitiche) coordinate locali su U , vale l’espressione n X ∂ XU= Xi i ∂x i=1 e, quindi, il campo X è analitico se e solo se le funzioni X i sono analitiche. Poichè X è invariante a sinistra, si ha X i (a) = Xa (xi ) = ((La )∗ e Xe )(xi ) = Xe (xi ◦ La ) e, pertanto, basta provare che le funzioni U −→ R, a 7−→ Xe (xi ◦ La ), i = 1, . . . , n, sono analitiche. Dato che l’applicazione G × G −→ G, (a, b) 7−→ ab, è analitica (in particolare è continua), esiste un intorno aperto V di e, contenuto in U , tale che V · V ⊆ U , dove V · V = {c ∈ G / c = ab, a, b ∈ V }. Introdotte le funzioni analitiche F i : V × V −→ R, (a, b) 7−→ F i (a, b) = xi (ab), i = 1, . . . , n, dal diagramma Fi V × VC C CC CC CC ! φ×φ /R {= { {{ {{ ψ { {{ φ(V ) × φ(V ) si deduce che le funzioni ψ i =F i ◦ (φ × φ)−1 : φ(V ) × φ(V ) −→ R (y 1 , . . ., y n , z 1 , . . . , z n ) 7−→ ψ i (y 1 , . . . , y n , z 1 , . . . , z n ) sono analitiche nelle 2n variabili e che F i (a, b) = ψ i (x1 (a), . . . , xn (a), x1 (b), . . . , xn (b)). Di conseguenza, anche le funzioni (xi ◦ La ◦ φ−1 )(z 1 , z 2 , . . . , z n ) = xi (aφ−1 (z 1 , z 2 , . . . , z n )) = F i (a, φ−1 (z 1 , z 2 , . . . , z n )) = ψ i (x1 (a), . . . , xn (a), z 1 , . . . , z n ) 8 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie sono analitiche. Infine, l’analiticità delle X i (a) in un intorno di e si ricava dalle seguenti espressioni i i X (a) = Xe (x ◦ La ) = n X X h (e) h=1 = = n X h=1 n X ∂ (xi ◦ La ) ∂xh X h (e) ∂ (xi ◦ La ◦ φ−1 ) ∂z h X h (e) ∂ψ i ∂z h h=1 e (0,...,0) (x1 (a),...,xn (a),0,...,0) . Da (i) e (ii) risulta che il campo X, univocamente determinato a partire da x ∈ Te G, appartiene a g. Non è difficile verificare che l’applicazione g −→ Te G, X 7−→ Xe , è un isomorfismo di spazi vettoriali. In base al risultato precedente, si può introdurre su Te G una struttura di algebra di Lie definendo, per ogni x, y ∈ Te G, [x, y] = [X, Y ]e , dove X e Y sono gli unici campi invarianti a sinistra tali che Xe = x, Ye = y. In tal modo, Te G risulta isomorfo, come algebra di Lie, a g. In seguito, spesso, le due algebre di Lie saranno identificate. Esempio. Siano G = GL(n, R) ed I la matrice unità. Allo scopo di determinare esplicitamente l’algebra di Lie di GL(n, R), si può introdurre un sistema di coordinate globali su GL(n, R) ponendo xij (a) = aij , i, j = 1, . . . , n, dove a = (aij ) ∈ GL(n, R). Ogni vettore tangente in I a GL(n, R) si può scrivere nel modo seguente n ∂ X , Aij ∈ R. x= Aij ∂xij I i,j=1 Di conseguenza, l’applicazione TI (GL(n, R)) −→ gl(n, R), x 7−→ (Aij ) = A, è un isomorfismo di spazi vettoriali. Verifichiamo che è anche un isomorfismo di algebre di Lie. Sia x ∈ TI (GL(n, R)); per determinare il campo invariante a sinistra X tale che XI = x, si consideri la curva γ(t) = I + tA, t ∈ (−, ) ⊂ R. A causa della continuità della funzione determinante, det(I + tA) = 6 0, se t è sufficientemente piccolo, e quindi γ è una curva in GL(n, R) per la quale γ(0) = I, γ̇(0) = dγ dt t=0 = x. Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 9 Sia a ∈ GL(n, R), dalla definizione di differenziale segue che (La )∗|I x = de γ dt t=0 , dove γ e(t) = (La ◦ γ)(t) = a + taA. Quindi ij γ eij (t) = x (e γ (t)) = aij + t n X aik Akj k=1 e n X de γij (La )∗ I x = dt = i,j=1 n X t=0 aik Akj i,j,k=1 ∂ ∂xij ∂ ∂xij a a = n X xik (a)Akj i,j,k=1 ∂ . ∂xij a Dall’espressione precedente, si vede che il campo invariante a sinistra X tale che XI = x è dato da n X ∂ . X= xik Akj ∂xij i,j,k=1 Analogamente, considerato un secondo vettore y ∈ TI (GL(n, R)) del tipo y= n X Bij i,j=1 ∂ , ∂xij I Bij ∈ R, il campo invariante a sinistra Y tale che YI = y è dato da: n X ∂ Y = xik Bkj . ∂xij i,j,k=1 Pertanto [X, Y ] = = = = n X n X ∂ ∂ ik lr x Akj , x Brs ls ∂xij ∂x i,j,k=1 l,r,s=1 n X ik x Akj Brs i,j,k,l,r,s=1 n X ik x Akj Bjs i,j,k,s=1 n X i,j,k,s=1 ∂xlr ∂ − ∂xij ∂xls ∂ − ∂xis n X n X xlr Brs Akj i,j,k,l,r,s=1 xlr Brs Asj j,l,r,s=1 ∂xik ∂ ∂xls ∂xij ∂ ∂xlj n X ∂ ∂ x (Akj Bjs − Bkj Ajs ) is = xik [A, B]ks is . ∂x ∂x ik i,k,s=1 In conclusione, [X, Y ]I = n X i,s=1 [A, B]is ∂ ∂xis I e TI (GL(n, R)) è isomorfo, come algebra di Lie, a gl(n, R). 10 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Esercizi. 1.2.1 Siano G un gruppo di Lie e φ : G −→ G un diffeomorfismo. Dato un campo vettoriale X su G, si definisca il campo vettoriale φ∗ X nel modo seguente (φ∗ X)b = φ∗|φ−1 (b) Xφ−1 (b) , per ogni b ∈ G. a) Provare che X è invariante a sinistra se e solo se (La )∗ X = X, per ogni a ∈ G. b) Verificare che se X e Y sono campi vettoriali su G, allora φ∗ [X, Y ] = [φ∗ X, φ∗ Y ]. 1.2.2 Dimostrare che, a meno di isomorfismi, esistono solo due algebre di Lie, reali di dimensione due. Più precisamente, data un’algebra di Lie reale g di dimensione due, provare che o g è abeliana (il “bracket”è identicamente nullo) oppure g è isomorfa alla seguente sottoalgebra di gl(2, R) a b , a, b ∈ R . h= 0 −a Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 11 1.3. L’applicazione esponenziale Sia g un’algebra di Lie. Dato un campo X ∈ g, indichiamo con φX la curva integrale di X passante per l’elemento neutro e di G, cioè tale che φX (0) = e, φ̇X (t) = XφX (t) , t ∈ (−, ) ⊂ R. In generale, una curva integrale è definita solo per t sufficientemente piccolo. Tuttavia, poichè X è invariante a sinistra, si può provare che la curva φX è definita su tutto R. Supposto, infatti, che φX sia definita per |t| ≤ , si consideri la curva ψ(t) = φX ()φX (t − ), ≤ t ≤ 2. ψ è una curva integrale di X dato che d dψ = (LφX () )∗ φX (t−) φX (t − ) dt t dt = (LφX () )∗ XφX (t−) t φX (t−) = XφX ()φX (t−) = Xψ(t) . Di conseguenza ψX (t) = ( φX (t), |t| ≤ ψ(t), < t ≤ 2 è una curva integrale di X che estende φX all’intervallo reale − ≤ t ≤ 2. Per induzione, si estende φX a tutto R. Proprietà 1.3.1. (1) φX (t + s) = φX (t)φX (s), per ogni t, s ∈ R. (2) φX (ts) = φtX (s), per ogni t, s ∈ R. (3) La curva integrale di X passante per a ∈ G è data da γ(t) = aφX (t) = (La ◦ φX )(t). Dimostrazione. (1) Fissiamo t ∈ R. Allora γ(s) = φX (t + s) è una curva integrale di X passante per γ(0) = φX (t). Dato che anche γ e(s) = φX (t)φX (s) è una curva integrale di X passante per γ e(0) = φX (t)φX (0) = φX (t), dall’unicità delle soluzioni di un sistema di equazioni differenziali ordinarie, assegnate le condizioni iniziali, si può concludere che γ(s) = γ e(s). (2) Si prova in modo analogo in quanto γ(s) = φX (ts) e γ̃(s) = φtX (s) sono curve integrali di tX passanti per e. (3) È sufficiente verificare che d (aφX (t)) = (La )∗ φX (t) φ̇X (t) = (La )∗ φX (t) XφX (t) = XaφX (t) . t dt Si noti che, a causa della proprietà precedente, l’applicazione φX : R → G, t 7−→ φX (t), 12 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie è un omomorfismo di gruppi di Lie. Per questo motivo, φX (R) prende il nome di sottogruppo ad un parametro di G. Allo scopo di determinare esplicitamente i sottogruppi ad un parametro di GL(n, R), si consideri la seguente serie di matrici: ∞ X e X Xk 1 1 = I + X + X 2 + X 3 + ... = , 2! 3! k! k=0 dove X ∈ gl(n, R). Teorema 1.3.2. (1) La serie eX converge assolutamente per ogni X ∈ gl(n, R). La convergenza è uniforme sui sottoinsiemi compatti di gl(n, R). (2) La funzione gl(n, R) → gl(n, R), X 7−→ eX , è analitica. (3) Se X, Y ∈ gl(n, R) e XY = Y X, allora eX+Y = eX eY . (4) eX ∈ GL(n, R), per ogni X ∈ gl(n, R). (5) det(eX ) = etr X , per ogni X ∈ gl(n, R) (tr X è la traccia della matrice X). (6) Se X ∈ gl(n, R), φX (t) = etX . Dimostrazione. (1) Sia X = (Xij ) ∈ gl(n, R). Posto λ = sup1≤i,j≤n |Xij |, si prova per induzione che |(X k )ij | ≤ (nλ)k , k ∈ N, da cui segue la tesi. (2) Poichè la convergenza è uniforme sui sottoinsiemi compatti di gl(n, R) e le somme parziali sono polinomi nelle variabili Xij , si ha che la funzione X 7−→ eX è analitica. (3) Se X, Y ∈ gl(n, R) e XY = Y X, si prova per induzione che m (X + Y )m X X r Y m−r = . m! r! (m − r)! r=0 La tesi segue dalle proprietà del prodotto di due serie assolutamente convergenti. (4) Per la (3) si ha I = e0 = eX−X = eX e−X , quindi (eX )−1 = e−X , ossia eX ∈ GL(n, R). (5) Siano λ1 , .., λr gli autovalori distinti (eventualmente complessi) di X con molteplicità m1 , .., mr rispettivamente. Dato che X è simile ad una matrice triangolare superiore (forma canonica di Jordan), gli autovalori di X k sono λk1 , .., λkr con le stesse molteplicità. Pertanto gli autovalori di eX saranno eλ1 , .., eλr , da cui la (5). Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 13 (6) Consideriamo X = (Xij ) ∈ gl(n, R) come un campo vettoriale invariante a sinistra su GL(n, R), cioè (cfr. l’Esempio di pag. 8) n X X= xik Xkj i,j,k=1 ∂ . ∂xij La curva integrale φX di X passante per I soddisfa il sistema di equazioni differenziali ordinarie dφ = XφX (t) dt φ (0) = I. X Posto φX (t) = (φij (t)), in coordinate locali il sistema precedente si riscrive come P dφij = nk=1 φik Xkj dt φ (0) = δ . ij ij P∞ 1 k k tX Anche la curva ψ(t) = e = k=0 k! t X verifica lo stesso sistema con le medesime condizioni iniziali. Quindi φX (t) = etX . Osservazioni. 1) La funzione analitica e : gl(n, R) −→ GL(n, R), X 7−→ eX , si dice applicazione esponenziale per le matrici. 2) Se V è uno spazio vettoriale di dimensione finita (reale o complesso), si definisce in modo del tutto analogo un’applicazione esponenziale e : gl(V ) −→ GL(V ), ∞ X 1 k f− 7 →e = f , k! f k=0 per la quale valgono le stesse proprietà del Teorema 1.3.2. Sia ora G un gruppo di Lie con algebra di Lie g. Tenuto conto della (6) del Teorema 1.3.2, è naturale introdurre la seguente Definizione 1.3.3. L’applicazione esponenziale di un gruppo di Lie G è la funzione exp : g −→ G, X 7−→ exp X = φX (1), dove φX è il sottogruppo ad un parametro generato da X. Vale il Teorema 1.3.4. (1) exp(tX) = φX (t), exp(t + s)X = (exp tX)(exp sX), per ogni X ∈ g e t, s ∈ R. (2) L’applicazione exp : g −→ G è analitica. 14 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie (3) Se f è una funzione a valori reali definita su G, analitica in un intorno di a ∈ G, si ha ∞ X tk k f (a exp tX) = X (f )(a), k! |t| < . k=0 (4) exp è un diffeomorfismo di un intorno di 0 ∈ g in un intorno di e ∈ G. (5) Per ogni X, Y ∈ g si ha t2 exp(tX) exp(tY ) = exp t(X + Y ) + [X, Y ] + O(t3 ) , 2 exp(tX) exp(tY )(exp(−tX)) = exp tY + t2 [X, Y ] + O(t3 ) , dove O(t3 ) indica una funzione analitica di t, a valori in g, tale che il vettore t13 O(t3 ) sia limitato per t → 0. (6) Se G = GL(n, R) e g = gl(n, R), allora exp X = eX , X ∈ gl(n, R). Dimostrazione. (1) Segue dalla Proprietà 1.3.1, punti (1) e (2). (2) Sia (U, x1 , . . . , xn ) una carta locale analitica di G centrata in e. I vettori (∂x1 |e , . . . , ∂xn |e ) formano una base di Te G. I corrispondenti campi invarianti a sinistra E1 , . . . , En sono dati da Ei = n X j=1 θij ∂ , ∂xj dove le funzioni θij sono analitiche nell’intorno U . Se X è un campo P ∂ αi ∈ R), si ha: invariante a sinistra tale che Xe = ni=1 αi ∂x i e X= n X i=1 α i Ei = n X i,j=1 αi θij ∂ . ∂xj Sia φX la curva integrale di X passante per e. Posto φi (t) = xi (φX (t)), t ∈ R, le funzioni φi sono soluzioni del sistema i P dφ = nj=1 αi θij (φX (t)) dt φi (0) = 0. Si tratta di un sistema di equazioni differenziali ordinarie che dipendono dai parametri (α1 , .., αn ). Dalla teoria generale di tali sistemi (cfr. [5], pag. 130), è noto che esiste un intorno W di 0 ∈ Rn , tale che le soluzioni dipendono analiticamente dai parametri (α1 , .., αn ) ∈ W . Pertanto anche φX (t) dipende analiticamente da X se X appartiene ad un opportuno intorno V di 0 ∈ g. Quindi, exp è analitica su V . In generale, se X ∈ g, si consideri un numero reale p tale che p1 X ∈ V . Dalla (1), si deduce che 1 exp X = (exp X)p p e, quindi, exp è analitica anche in un intorno di X. In conclusione, exp è una funzione analitica su tutto g. Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 15 (3) Se f è analitica in un intorno di a ∈ G, f (a exp tX) è analitica per |t| < e quindi ∞ k X t dk f (a exp tX). f (a exp tX) = k! dtk k=0 Dato che d f (a exp tX) = (La )∗ exp tX (Xexp tX )(f ) dt = Xa exp tX (f ) = (Xf )(a exp tX), per induzione si prova che dk f (a exp tX) = X k (f )(a exp tX). dtk Per t = 0 si ha la formula cercata. (4) È sufficiente dimostrare che il differenziale di exp in 0 ∈ g non è singolare. Poichè g è uno spazio vettoriale, T0 g è isomorfo a g mediante l’isomorfismo dγ g −→ T0 g, Y 7−→ , dt t=0 dove γ(t) = tY . Posto ψ = exp, se Y ∈ g si ha: d d ψ(tY ) exp(tY ) = = Ye t=0 t=0 dt dt e, quindi, ψ∗ 0 : g(' T0 g) −→ Te G, Y 7−→ Ye , è un isomorfismo. ψ∗ 0 (Y ) = (5) Si pone (exp tX)(exp tY ) = exp Z(t), con Z(t) funzione analitica. Allora Z(t) = tZ1 + t2 Z2 + O(t3 ), Z1 , Z2 ∈ g. Mediante alcuni calcoli in cui interviene la (3), si trova Z1 = X + Y, 1 Z2 = [X, Y ]. 2 (6) È una conseguenza del Teorema 1.3.2, punto (6), e della definizione di esponenziale. Sia G un gruppo di Lie con algebra di Lie g. Denotiamo con G0 la componente connessa dell’elemento neutro e di G, vale a dire il più grande sottoinsieme connesso che contiene e. Essendo g connessa e l’applicazione esponenziale analitica, l’immagine exp(g) è contenuta in G0 . In generale, exp non è suriettiva su G0 ; tuttavia si può provare che exp : g −→ G è suriettiva nei casi seguenti (vedi [13], p. 135 e p. 147): i) G è connesso e compatto; ii) G è connesso e nilpotente. Notiamo, infine, che G0 è sia un sottoinsieme chiuso sia un sottogruppo di G (cfr. § 1.6). Si verifica che G0 è un gruppo di Lie rispetto alla struttura analitica indotta. Inoltre, dato che G0 è aperto in G, Te G è isomorfo a Te G0 e, di conseguenza, G e G0 hanno la stessa algebra di Lie. 16 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Esercizi. 1.3.1 a) Verificare che l’insieme 0 a b n = A ∈ gl(3, R) / A = 0 0 c , a, b, c ∈ R 0 0 0 è una sottoalgebra di gl(3, R). È un ideale? b) Determinare etA , per ogni A ∈ n, t ∈ R. c) Verificare che n è isomorfa (come algebra di Lie) alla somma semidiretta 0 t 2 R ⊕δ R, con δ(t) = , t ∈ R. 0 0 1.3.2 Siano G = GL(2, R) e g = gl(2, R). a) Verificare che G0 = {a ∈ G / det a > 0} è la componente connessa dell’identità di G. −1 1 b) Data la matrice a = ∈ G, provare che a ∈ / exp(g) (sug0 −1 gerimento: supposto che a = exp X, X ∈ g, che cosa si può dire degli autovalori di X?). 1.3.3 Si dia per scontato che SL(n, R) = {a ∈ GL(n, R) / det a = 1} sia un gruppo di Lie avente come algebra di Lie sl(n, R) = {X ∈ gl(n, R) / tr X = 0} (tr X indica la traccia della matrice X). Sia λ 0 a= ∈ SL(2, R), λ 6= 0, 1. 0 λ−1 Considerati uguali due sottogruppi ad un parametro se essi sono generati da vettori proporzionali, verificare che se λ > 0, a appartiene ad un unico sottogruppo ad un parametro; se λ = −1, a appartiene ad infiniti sottogruppi ad un parametro; se λ < 0, λ 6= −1, a non appartiene ad alcun sottogruppo ad un parametro. Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 17 1.4. Relazioni tra un gruppo di Lie e la sua algebra di Lie Sia φ : G −→ G0 un omomorfismo analitico tra due gruppi di Lie G e G0 ; si indichino con g e g0 le loro algebre di Lie, rispettivamente. Dato X ∈ g, il vettore φ∗ e Xe ∈ Te0 G0 , dove e ed e0 sono gli elementi neutri di G e di G0 , rispettivamente. Consideriamo pertanto l’unico elemento X 0 di g0 tale che Xe0 0 = φ∗ e Xe . Si noti che, per ogni a ∈ G, si ha 0 = (Lφ(a) )∗ e0 Xe0 0 Xφ(a) = (Lφ(a) )∗ e0 φ∗ e Xe = (Lφ(a) ◦ φ)∗ e Xe = (φ ◦ La )∗ e Xe = φ∗ a Xa . In altri termini, i campi X e X 0 sono φ-riferiti (cfr. [5], pag. 119). Posto: X 0 = φ∗ X, si ha il Teorema 1.4.1. φ∗ : g −→ g0 , X 7−→ φ∗ X, è un omomorfismo di algebre di Lie ed il diagramma φ∗ g expG / g0 0 G φ expG / G0 0 commuta, cioè φ(expG X) = expG (φ∗ X), X ∈ g. Dimostrazione. φ∗ è lineare; inoltre, se X 0 e Y 0 sono φ-riferiti a X e Y , allora [X 0 , Y 0 ] è φ-riferito a [X, Y ] (cfr. [5], Teorema 7.9). Quindi, φ∗ è un omomorfismo di algebre di Lie. La commutatività del diagramma segue dalla definizione stessa di applicazione esponenziale. Si osservi che il teorema precedente è ancora vero anche se φ è un omomorfismo locale, cioè se φ : U −→ U 0 è una funzione analitica (dove U e U 0 sono intorni di e ∈ G ed e0 ∈ G0 , rispettivamente) per la quale si ha φ(ab) = φ(a)φ(b), per ogni a, b ∈ U tali che ab ∈ U e φ(ab) ∈ U 0 . Infatti, per costruire φ∗ si utilizza solo il differenziale di φ in e e, quindi, è sufficiente conoscere il valore di φ in un intorno dell’elemento neutro. Un isomorfismo locale tra due gruppi di Lie G e G0 è un omomorfismo locale φ : U −→ U 0 che è anche un diffeomorfismo analitico. In tal caso, φ∗ è un isomorfismo di algebre di Lie. Si possono provare i seguenti risultati. Teorema 1.4.2 (Primo Teorema di Lie). Se due gruppi di Lie G e G0 sono localmente isomorfi, le loro algebre di Lie g e g0 sono isomorfe. Teorema 1.4.3 (Secondo Teorema di Lie). Due gruppi di Lie G e G0 , le cui algebre di Lie g e g0 siano isomorfe, sono localmente isomorfi. 18 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Dimostrazione. (cenno) È basata sulla formula di Campbell–Hausdorff. Se X, Y ∈ g, si può scrivere exp X · exp Y = exp f (X, Y ), P∞ dove f (X, Y ) = n=1 cn (X, Y ) è una serie che converge in un intorno di (0, 0) ∈ g × g. Con alcuni calcoli, si trova che 1 c1 (X, Y ) =X + Y, c2 (X, Y ) = [X, Y ], 2 1 c3 (X, Y ) = {[X, [X, Y ]] + [Y, [Y, X]]}, ecc. 12 La formula di Campbell–Hausdorff esprime induttivamente il termine generale cn in funzione di “brackets” iterati (cfr. [22], pag. 134). Perciò, se ψ è un isomorfismo di algebre di Lie, si ha che ψ(f (X, Y )) = f (ψ(X), ψ(Y )), X, Y ∈ g. Supponiamo allora che ψ : g −→ g0 sia un isomorfismo tra le algebre di Lie di G e G0 . Consideriamo un intorno U di e ∈ G tale che expG : W −→ U, (W intorno di 0 ∈ g), sia un diffeomorfismo analitico. Scegliendo W sufficientemente piccolo, si può supporre che W 0 = ψ(W ) abbia la stessa proprietà, cioè 0 expG : W 0 −→ U 0 sia un diffeomorfismo analitico. Si ha il diagramma seguente: g⊃W expG ψ / W 0 ⊂ g0 0 G⊃U φ expG / U ⊂ G0 0 0 dove φ = expG ◦ψ ◦ exp−1 G : U −→ U è un diffeomorfismo analitico. Verifichiamo che φ è un isomorfismo locale. Siano X, Y ∈ W ; allora 0 φ(expG X expG Y ) = φ{expG f (X, Y )} = expG {ψf (X, Y )} 0 0 = expG {f (ψ(X), ψ(Y ))} = expG ψ(X) expG0 ψ(Y ) = φ(expG X)φ(expG Y ). Una seconda dimostrazione di questo teorema verrà data nel § 1.7. In certi casi un isomorfismo locale si può estendere ad un isomorfismo globale (in modo unico). Per esaminare questa situazione sono necessarie alcune premesse. Sia U un intorno aperto dell’elemento neutro e ∈ G. Poichè il prodotto in G è una funzione continua, esistono due intorni V1 , V2 di e tali che V1 V2 ⊂ U . Poniamo V = V1 ∩V2 e W = V ∩V −1 dove V −1 = {a−1 /a ∈ V }. E’ evidente che W è un intorno aperto di e ∈ G tale che 1) W ⊂ U, 2) W 2 = W W ⊂ U, 3) W = W −1 . Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 19 W si dice intorno simmetrico di e. Pertanto, ogni intorno U di e contiene un intorno simmetrico. Si ha il Teorema 1.4.4. Sia G un gruppo di Lie e U un intorno aperto di e ∈ G. S n è un sottogruppo aperto e (1) Se U è simmetrico, allora H = ∞ n=1 U n chiuso di G (dove U = U . . U}). Inoltre, se U è connesso anche H è | .{z n volte connesso. S n (2) Se G è connesso, G = ∞ n=1 U . In altri termini: ogni intorno aperto dell’elemento neutro genera G. Dimostrazione. (1) Se U è simmetrico si controlla immediatamente che H è un sottogruppo di G. Inoltre [ U2 = aU a∈U è un aperto perchè ogni aU, a ∈ U , è aperto. Ma se H è aperto anche [ K= aU a∈U / è aperto e, pertanto, H = G − K è chiuso. (2) Sia W un intorno simmetrico di e contenuto in U . Allora H= ∞ [ n W ⊆ n=1 ∞ [ Un ⊆ G n=1 e H è contemporaneamente aperto e chiuso in G. Poichè G è connesso S n. U si ha G = H = ∞ n=1 Sia G0 la componente connessa dell’elemento neutro di G (cfr. § 1.3). (1) (2) (3) (4) Teorema 1.4.5. G0 è un sottogruppo normale chiuso di G. Se a ∈ G, la componente connessa di a è aG0 . G/G0 è discreto. Se U è un intorno di e ∈ G, allora 0 G =( ∞ [ U n) \ G0 . n=1 Dimostrazione. (1) Dato che ogni La è un omeomorfismo, se a ∈ G0 , a−1 G0 è un connesso che contiene e. Quindi a−1 G0 ⊆ G0 e, pertanto, G0 è un sottogruppo. Analogamente, se x ∈ G, x−1 G0 x è un connesso che contiene l’elemento neutro e da cui x−1 G0 x ⊆ G0 , 20 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie 0 cioè G0 è normale in G. Infine, se G0 è connesso anche G è connesso, 0 0 dove G indica la chiusura di G0 in G. Ciò implica che G0 = G è chiuso. (2) Se a ∈ G, aG0 è un connesso che contiene a. Sia C(a) la componente connessa di a. Allora aG0 ⊆ C(a). Anche a−1 C(a) è connesso e contiene e, quindi a−1 C(a) ⊆ G0 , ossia C(a) ⊆ aG0 , da cui la tesi. (3) Indichiamo con π : G −→ G/G0 la proiezione canonica. Introdotta in G/G0 la topologia quoziente, si ha che π è una funzione aperta e quindi, se U è un intorno aperto dell’elemento neutro e, π(U ) è un intorno aperto di eG0 ∈ G/G0 . Se U è connesso, U ⊆ G0 e π(U ) = {eG0 } è un aperto. Di conseguenza, G/G0 è dotato della topologia discreta. Supponiamo ora che φ : U ⊆ G −→ G0 sia un omomorfismo locale. Se G è connesso, in base al Teorema 1.4.4, punto (2), un’eventuale estensione di φ ad un omomorfismo globale è unica. La condizione topologica che assicura l’esistenza di tale estensione è che G sia semplicemente connesso (cfr. Definizione 6, §A.2). Vale infatti il seguente risultato che verrà dimostrato nel § 1.7 (cfr. Teorema 1.7.4). Teorema 1.4.6 (Principio di monodromia). Se G è connesso e semplicemente connesso, ogni omomorfismo locale φ : U ⊆ G −→ G0 si può estendere in modo unico ad un omomorfismo analitico globale ψ : G −→ G0 . Pertanto si può concludere che Teorema 1.4.7. Due gruppi di Lie connessi e semplicemente connessi sono analiticamente isomorfi se e solo se le loro algebre di Lie sono isomorfe. Per completezza ricordiamo, infine, il Teorema 1.4.8 (Terzo Teorema di Lie). Data un’algebra di Lie g esiste sempre un gruppo di Lie G la cui algebra di Lie è g. Un cenno della dimostrazione verrà dato nel § 1.6. Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 21 1.5. Forme differenziali invarianti ed equazioni di struttura Sia G un gruppo di Lie con algebra di Lie g. Una 1–forma differenziale ω su G si dice invariante a sinistra se, per ogni a ∈ G, (La )∗ ω = ω, dove, per definizione, (La )∗ ω è la 1–forma data da ((La )∗ ω)b Xb = ωab ((La )∗ b Xb ), per ogni b ∈ G e X ∈ g. Quindi, ω è invariante a sinistra se e solo se ωab ((La )∗ b Xb ) = ωb (Xb ), cioè se e solo se ωa ((La )∗ e Xe ) = ωe (Xe ), per ogni a, b ∈ G e X ∈ g. Segue che, se X è un campo invariante a sinistra e ω è una 1–forma invariante a sinistra, allora la funzione ω(X)(a) = ωa (Xa ) = ωa ((La )∗ e )Xe = ωe (Xe ) è costante (non dipende da a ∈ G). Pertanto, vale la Proprietà 1.5.1. ω è una 1–forma invariante a sinistra se e solo se ω(X) = ωe (Xe ) per ogni X ∈ g. Esempio. Determiniamo le 1–forme invarianti a sinistra su G = GL(n, R). Considerato X ∈ g, algebra di Lie di GL(n, R), è noto che (cfr. pag. 9) n X X= xih Ahj i,j,h=1 ∂ , ∂xij dove A = (Ahj ) ∈ gl(n, R). Una base per le 1–forme su G è data da (dx11 , . . . , dxnn ) e una 1–forma ω su G si può scrivere nel modo seguente ω= n X λij (x) dxij i,j=1 dove le λij : GL(n, R) −→ R sono funzioni analitiche. Poichè ω(X) = n X λij (x)xim Amj , i,j,m=1 ω è invariante a sinistra se e solo se (cfr. Proprietà 1.5.1) ω(X) = ωI (XI ), X ∈ g (I : matrice unità), cioè se e solo se n n X X λij (x)xim Amj = λij (I)xim (I)Amj i,j,m=1 = i,j,m=1 n X i,j,m=1 λij (I)δim Amj = n X i,j=1 λij (I)Aij . 22 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Tale relazione deve essere verificata per ogni X ∈ g, vale a dire per ogni A ∈ gl(n, R). Quindi n X λij (x)xim = λmj (I) = costante, i=1 da cui si deduce λij (x) = n X µhj (x−1 )hi , h=1 dove si è posto: µhj = λhj (I) = costante e (x−1 )hi denota l’elemento di posto (h, i) nella matrice x−1 , inversa di x ∈ GL(n, R). Pertanto ω= n X µhj (x−1 )hi dxij i,j,h=1 e, quindi, ogni 1–forma invariante a sinistra è una combinazione lineare, a coefficienti costanti, delle 1–forme ωij = n X (x−1 )ih dxhj h=1 che individuano la base duale di g, rispetto alla base dei campi invarianti a sinistra data da n X ∂ Xij = xmi mj , i, j = 1, . . . , n. ∂x m=1 Ritornando al caso generale, se (E1 , . . . , En ) è una base di g, indicata con (ω 1 , . . . , ω n ) la base duale, poniamo: [Ei , Ej ] = n X ckij Ek , ckij ∈ R. k=1 ckij Le si dicono costanti di struttura dell’algebra di Lie g e verificano le seguenti relazioni: i) ckij = −ckji , ii) n X k m k m k cm ij cmh + cjh cmi + chi cmj = 0, (identità di Jacobi). m=1 Viceversa, assegnate n3 costanti ckij che verifichino le condizioni i) e ii), esiste una sola algebra di Lie le cui costanti di struttura siano proprio le ckij date. Se ω è una 1–forma differenziale, il differenziale di ω è la 2-forma dω definita da (cfr. pag. 77): 2dω(X, Y ) = Xω(Y ) − Y ω(X) − ω([X, Y ]), per ogni coppia di campi vettoriali X e Y . In particolare, se X, Y sono campi invarianti a sinistra e ω è una 1–forma invariante e sinistra, l’espressione Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 23 precedente si riduce a 2dω(X, Y ) = −ω([X, Y ]). Quindi, se (ω 1 , . . . , ω n ) è la base duale di (E1 , . . . , En ), si ha 2dω k (Ei , Ej ) = −ω k ([Ei , Ej ]) = − n X clij ω k (El ) = −ckij , l=1 da cui si ricava (vedi a pag. 77 la definizione di prodotto esterno di due forme) n 1 X k i cij ω ∧ ω j . dω = − 2 k (∗) i,j=1 Queste espressioni prendono il nome di equazioni di Maurer–Cartan. Osservazione. La condizione d2 = 0 (cfr. Teorema 2.4.1) equivale all’identità di Jacobi (Esercizio 1.5.2). Vedremo che le equazioni di Maurer–Cartan determinano (localmente) l’operazione prodotto in G. A tal fine è opportuno considerare un particolare sistema di coordinate valido in un intorno di e ∈ G. Sia n n X X i V = {X ∈ g / X = a Ei , (ai )2 < r2 , r ≥ 0} i=1 i=1 un intorno sferico di 0 ∈ g. Se r è sufficientemente piccolo, exp è un diffeomorfismo su V . Allora U = exp(V ) è un intorno aperto di e ∈ G. Introduciamo un sistema di coordinate analitiche su U : se a ∈ U , si definisce xi (a) = ai , dove X= n X ai ∈ R, i = 1, . . . , n, ai Ei = exp−1 (a) ∈ V. i=1 Le (x1 , . . . , xn ) si dicono coordinate canoniche di prima specie e si ha i i x (exp tX) = ta , X= n X ai Ei ∈ V. i=1 Teorema P 1.5.2. Sia (ω 1 , . . . , ω n ) la base duale della base (E1 , . . . , En ) di i g. Posto ω = nj=1 ωji dxj , i = 1, . . . , n ((x1 , . . . , xn ) coordinate canoniche), si consideri la matrice di funzioni ω = (ωji ). Allora ∞ X 1 m−1 ω= B , m! (**) m=1 dove B = (Bij ) e le funzioni Bij sono definite da adX (Ei ) = [X, Ei ] = n X j,l=1 al cjli Ej =− n X j=1 Bij Ej . 24 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Identificando adX con la sua matrice rispetto alla base (E1 , . . . , En ), si può anche scrivere ∞ X 1 (− adX )m−1 . ω= m! m=1 Dimostrazione. Poichè xi (exp tX) = tai , dove X = Xexp tX = n X i=1 ai ∂ ∂xi exp tX Pn i i=1 a Ei , si ha , e quindi ω i (X) = ai . Consideriamo la funzione ψ : R × Rn −→ G (t, a1 , . . . , an ) 7−→ ψ(t, a1 , . . . , an ) = exp t n X ! ai Ei i=1 e poniamo ω e i = ψ ∗ ω i . Dato che ψ ∗ commuta con il differenziale esterno, dalle equazioni di Maurer–Cartan (*) si ricava n de ωi = − 1X i j e ∧ω ek. cjk ω 2 j,k Le 1–forme ω e i si possono anche calcolare direttamente nel modo seguente ω e i = ψ∗ωi = n X (ωki ◦ ψ)d(xk ◦ ψ), k=1 dove (xk ◦ ψ)(t, a1 , . . . , an ) = tak e d(xk ◦ ψ) = ak dt + tdak . Pn Inoltre, detto a = exp t k=1 ak Ek il corrispondente punto di G, si ha n n n n X X X X aj Ej ωki (a)ak = ωki (a)ω k ωki (ψ(t, a1 , . . . , an ))ak = k=1 k=1 k=1 = ωi a n X j=1 ! ak Ek = ai k=1 e, pertanto, ω e i = ai dt ∧ dai + n X t(ωki ◦ ψ)dak . k=1 Posto φeij (t, a1 , ..., an ) = tωji (a), differenziando l’espressione precedente di ω ei si ottiene n X ∂ φeij i i de ω = −dt ∧ da + dt ∧ daj + . . . (termini senza dt). ∂t j=1 Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 25 D’altra parte n n X 1 X i j k j cjk ω e ∧e ω =− de ωi = − cilm al φem j dt∧da +. . . (termini senza dt). 2 j,k=1 l,m,j=1 Uguagliando le ultime due espressioni, si ricava n X ∂ φeij = δji − al cilm φem j ∂t m,l=1 φeij (0) = 0. P Considerate le matrici φe = (φeij ) e B = (Bji ) dove Bji = − nl=1 al clj , il sistema precedente si riscrive come segue: ∂ φe = I + B φe ∂t e φ(0) = 0. P m e = ∞ t B m−1 è l’unica soluzione. E’ evidente che φ(t) m=1 m! Osservazione. Il teorema precedente prova che le costanti di struttura determinano univocamente una base di 1–forme invarianti a sinistra, dette forme di Maurer–Cartan. Teorema 1.5.3. Si considerino valide le ipotesi del teorema precedente. Sia ψ : U −→ Rn , a 7−→ (x1 (a), . . . , xn (a)). Allora le funzioni F i = xi ◦ La ◦ ψ −1 sono soluzioni del sistema di equazioni differenziali n X ∂F i = (A−1 )ih (F 1 (x), . . . , F n (x))Ahj (x) ∂xj h=1 F i (0, . . . , 0) = xi (a), dove si è posto x = (x1 , . . . , xn ) e Aij (x1 , . . . , xn ) = ωji (ψ −1 (x1 , . . . , xn )). Dimostrazione. Sia ω una qualsiasi 1–forma invariante a sinistra. Se n X ω= ηi dxi , ηi ∈ C ∞ (U ), i=1 per ogni a, b ∈ G si ha: (La )∗ ωb = = = n X ηi (ab)d(xi ◦ La ) b i=1 n X i,j=1 n X (ηi ◦ La ◦ ψ −1 ) ψ(b) (ηj ◦ ψ −1 ) ψ(b) dxj b , j=1 ∂(xi ◦ La ◦ ψ −1 ) ∂xj ψ(b) dxjb 26 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie in quanto (La )∗ ω = ω. 1 n In particolare, se Pn(ω , .i. . , jω ) è una base delle 1–forme invarianti a i sinistra, posto ω = j=1 ωj dx , i = 1, . . . , n, si trova n X (ωki ◦ La ◦ ψ −1 ) k=1 ∂(xk ◦ La ◦ ψ −1 ) = ωji ◦ ψ −1 . ∂xj Definite le funzioni Aij = ωji ◦ ψ −1 , si ha che Aij (0) = δji e, quindi, la matrice delle funzioni A = (Aij ) è invertibile in un intorno di O ∈ Rn . Da ciò si deduce il teorema. Osservazione. Il sistema di equazioni differenziali che compare nel teorema precedente è completamente integrabile. Infatti le condizioni di integrabilità coincidono con le equazioni di Maurer-Cartan e con l’identità di Jacobi per le costanti di struttura. Le soluzioni del sistema individuano la legge di composizione del gruppo, nell’intorno dell’identità. Si noti che le funzioni F i dipendono solo dalle forme di Maurer–Cartan, le quali, a loro volta, sono completamente determinate dalle costanti di struttura. Di conseguenza, algebre di Lie isomorfe danno origine a gruppi di Lie localmente isomorfi e, in tal modo, si ha un’altra dimostrazione del Secondo Teorema di Lie (Teorema 1.4.3). Esempio. Sia g uno spazio vettoriale reale di dimensione 3 riferito ad una base (E1 , E2 , E3 ). Posto [E1 , E2 ] = 0, [E1 , E3 ] = 0, g ha la struttura di algebra di Lie. Se 0 adX = 0 0 [E2 , E3 ] = E1 , P3 X = i=1 xi Ei ∈ g, si trova −x3 x2 0 0 0 0 e, quindi, (adX )2 = 0. Allora ∞ 1 X 1 1 (− adX )m−1 = I − adX = 0 ω= m! 2 m=1 0 1 − 12 x3 12 x2 ω −1 = 0 1 0 . 0 0 1 e 1 3 2x 1 0 − 12 x2 0 1 Dunque 1 − 21 F 3 (x) 12 F 2 (x) A−1 (F (x)) = A−1 (F 1 (x), F 2 (x), F 3 (x)) = 0 1 0 0 0 1 1 21 x3 − 21 F 3 (x) − 12 x2 + 12 F 2 (x) . A−1 (F (x))A(x) = 0 1 0 0 0 1 e Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 27 Il sistema del teorema precedente, scritto in modo esplicito, è dato da: ∂F 1 1 3 1 3 ∂F 1 1 1 ∂F 1 = 1, = x − F (x), = − x2 + F 2 (x) 1 2 3 ∂x ∂x 2 2 ∂x 2 2 ∂F 2 ∂F 2 ∂F 2 = 0, = 1, =0 ∂x1 ∂x2 ∂x3 3 3 3 ∂F = 0, ∂F = 0, ∂F = 1. ∂x1 ∂x2 ∂x3 Dalle ultime due righe, si ha subito che F 2 (x) = x2 + a2 , F 3 (x) = x3 + a3 , con a2 , a3 costanti di integrazione. Sostituendo nella prima riga e integrando, si trova la soluzione 1 1 F 1 (x1 , x2 , x3 ) = x1 − a3 x2 + a2 x3 + a1 2 2 2 1 2 3 F (x , x , x ) = x2 + a2 F 3 (x1 , x2 , x3 ) = x3 + a3 i F (0, 0, 0) = ai , i = 1, 2, 3. Ne segue che la legge di composizione del gruppo è data da 1 2 3 3 2 1 1 1 x (ab) = a + b + 2 (a b − a b ) x2 (ab) = a2 + b2 x3 (ab) = a3 + b3 . Tali funzioni sono definite su tutto R3 e sono analitiche. Esiste un unico gruppo di Lie connesso e semplicemente connesso che ha g come algebra di Lie. Si può provare che tale gruppo è isomorfo al gruppo di Heisenberg 1 x z He = 0 1 y , x, y, z ∈ R . 0 0 1 Esercizio. 1.5.1 Si consideri il gruppo di Lie G = R3 dotato dell’operazione ∗ cosı̀ definita: 1 (a, b, c) ∗ (a0 , b0 , c0 ) = (a + a0 + (bc0 − b0 c), b + b0 , c + c0 ). 2 Provare che G è isomorfo al gruppo di Heisenberg He. 1.5.2 Verificare che se (ω1 , . . . ωn ) sono le forme di Maurer–Cartan, le condizioni d2 (ωi ) = 0, i = 1, . . . , n, equivalgono alle equazioni di Jacobi. 28 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie 1.6. Sottogruppi di Lie Iniziamo con alcuni richiami sulle sottovarietà di una varietà differenziabile, rinviando al Capitolo III di [5] per maggiori dettagli e per le relative dimostrazioni. Definizione 1.6.1. (1) Una funzione differenziabile f : M −→ N tra due varietà differenziabili si dice immersione se, per ogni p ∈ M , f∗|p : Tp M −→ Tf (p) N è iniettivo. e = f (M ), (2) Sia f : M −→ N un’immersione iniettiva. Il sottoinsieme N e un diffeodotato della struttura differenziabile che rende f : M −→ N morfismo, si dice sottovarietà immersa di N . e = f (M ) è una sottovarietà immersa e la topologia di N e è la (3) Se N e si dice sottovarietà regolare di N . topologia indotta, N Esempi. (1) f : R −→ R2 , t 7−→ (2 cos(t − π2 ), sin 2(t − π2 )) è un’immersione non iniettiva. f (R) in questo caso è la “figura otto”. In base alla definizione precedente, f (R) non è una sottovarietà di R2 . (2) g : R −→ R2 , t 7−→ (2 cos(h(t) − π2 ), sin 2(h(t) − π2 )) dove h(t) = π + 2 arctg g(t). Si noti che h è crescente, h(0) = π, limt→−∞ h(t) = 0 e limt→∞ h(t) = 2π. L’immagine di g(R) è la “figura otto aperta”(vedi la figura successiva). La funzione g è un’immersione iniettiva e, pertanto, g(R) è una sottovarietà immersa. Tuttavia la topologia di g(R) che rende g : R −→ g(R) un diffeomorfismo non è la topologia indotta da R2 ma è più fine di quest’ultima. Ad esempio, nella topologia indotta, −∞ e +∞ sono “vicini”in g(R). In conclusione, g(R) non è una sottovarietà regolare di R2 . (3) f : R −→ R3 , t 7−→ (cos 2πt, sin 2πt, t) è un’immersione iniettiva. L’immagine f (R) è l’elica cilindrica. La sua topologia coincide con quella indotta e, pertanto, f (R) è una sottovarietà regolare di R3 . Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 29 In seguito, col termine sottovarietà si intenderà sia una sottovarietà immersa sia una sottovarietà regolare. I teoremi seguenti sono molto utili per provare che certi sottoinsiemi sono sottovarietà. Teorema 1.6.2. Siano M e N due varietà differenziabili di dimensione m ed n, rispettivamente. Sia f : M −→ N una funzione differenziabile tale che f abbia rango costante k su M . Allora, per ogni q ∈ f (M ), f −1 (q) è una sottovarietà regolare chiusa di M , avente dimensione m − k. Teorema 1.6.3. Sia f : M −→ N una funzione differenziabile tra due varietà tali che i) dim N = n ≤ m = dim M , ii) f ha rango n in ogni punto dell’insieme A = f −1 (a), a ∈ N . Allora A è una sottovarietà regolare chiusa di M di dimensione m − n. Esempi. P (1) f : Rn −→ R, (x1 , .., xn ) 7−→ ni=1 (xi )2 , ha rango 1 in ogni punto di f −1 (1). Quindi S n−1 = f −1 (1) è una sottovarietà regolare di dimensione n − 1. 2 (2) f : R3 −→ R, (x1 , x2 , x3 ) 7−→ a − ((x1 )2 + (x2 )2 )1/2 + (x3 )2 , a > 0, f ha rango 1 in ogni punto di f −1 (b2 ), per ogni b tale che a > b > 0. f −1 (b2 ) è il toro di R3 . Rivediamo le nozioni precedenti nel caso dei gruppi di Lie. Teorema 1.6.4. Sia G un gruppo di Lie e sia H un sottogruppo (in senso algebrico) di G. H si dice sottogruppo di Lie se: i) H è una sottovarietà analitica di G, ii) H ha la struttura di gruppo di Lie (rispetto alla struttura analitica del punto precedente). In generale, la topologia di un sottogruppo di Lie è più fine della topologia indotta. Quindi, un sottogruppo di Lie non è necessariamente un sottogruppo topologico, in quanto, per definizione, un sottogruppo topologico deve necessariamente avere la topologia indotta. 30 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Esempio. Sia T 2 = S 1 × S 1 il toro bidimensionale. Poichè S 1 ' SO(2) (cfr. § 1.1), si può identificare T 2 con il seguente insieme di matrici cos θ1 sin θ1 − sin θ1 cos θ1 T2 = 0 0 0 0 0 0 0 0 , θ , θ ∈ R . cos θ2 sin θ2 1 2 − sin θ2 cos θ2 Se α e β sono due interi non contemporaneamente nulli, consideriamo i sottoinsiemi Hα,β di T 2 cosı̀ definiti Hα,β cos(αt) sin(αt) 0 0 − sin(αt) cos αt 0 0 = , t ∈ R, . 0 0 cos(βt) sin(βt) 0 0 − sin(βt) cos(βt) Si prova che: (1) T 2 è un sottogruppo di Lie di GL(4, R); (2) per ogni α, β ∈ Z, Hα,β è un sottogruppo di Lie di T 2 ; (3) se α/β è razionale, Hα,β è una curva chiusa su T 2 e, quindi, una sottovarietà regolare di T 2 ; (4) se α/β è irrazionale, Hα,β è una curva densa in T 2 e, quindi, Hα,β non ha la topologia indotta. Ritornando al caso generale, sono importanti le seguenti proprietà dei sottogruppi di Lie. Teorema 1.6.5. Sia G un gruppo di Lie con algebra di Lie g. (1) Se H è un sottogruppo di Lie con algebra di Lie h, allora h è una sottoalgebra di Lie di g e inoltre expH = expG h . (2) Sia h una sottoalgebra di Lie di g. Esiste un unico sottogruppo di Lie connesso H di G, la cui algebra di Lie è h. Dimostrazione. (1) Poichè H è un sottogruppo di Lie di G, l’immersione canonica i : H −→ G è un omomorfismo iniettivo di gruppi di Lie. Pertanto i∗ h = h è una sottoalgebra di Lie di g (cfr. Proprietà 1.1.6). Inoltre, per ogni X ∈ h, expH X = i(expH X) = expG (i∗ X) = expG X. (2) (Cenno; per i dettagli si veda [13]). Sia H il sottogruppo astratto generato da exp(h). Consideriamo un intorno V di 0 ∈ g tale che exp : V −→ U ⊆ G sia un diffeomorfismo. Vogliamo definire una topologia su H. Iniziamo con il richiedere che exp(V ∩ h) sia aperto e, poi, mediante le traslazioni sinistre, definiamo gli intorni aperti di ogni punto di H. In modo analogo, si introduce una struttura analitica su H richiedendo che l’applicazione V ∩ h 7−→ exp(V ∩ h) sia analitica. Resta Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 31 da provare che H è sia un gruppo di Lie sia una sottovarietà analitica di G. Osservazione. Dal teorema precedente segue il Terzo Teorema di Lie (cfr. Teorema 1.4.8). Infatti, Ado ha dimostrato che se g è un’algebra di Lie reale, g è isomorfa ad una sottoalgebra di gl(n, R), con n opportuno; quindi, esiste un sottogruppo di Lie di GL(n, R) la cui algebra di Lie è isomorfa a g. Vale il seguente risultato concernente la topologia dei sottogruppi di Lie (cfr. [25], Teorema 2.5.4). Teorema 1.6.6. Un sottogruppo di Lie H di G è una sottovarietà regolare se e solo se H è chiuso in G. Infine, per completezza, citiamo le seguenti proprietà, la cui dimostrazione si può trovare in [13]. Teorema 1.6.7. Sia G un gruppo di Lie con algebra di Lie g. Se H è un sottogruppo (astratto) chiuso di G, esiste un’unica struttura analitica tale che H sia un sottogruppo di Lie di G. Teorema 1.6.8. Se H è un sottogruppo di Lie di G, allora la sua algebra di Lie è data da h = {X ∈ g / exp(tX) ∈ H, per ogni t ∈ R}. Esempi. (1) G = GL(n, R), H = SL(n, R) = {a ∈ GL(n, R) / det a = 1}. Si verifica facilmente che SL(n, R) è un sottogruppo di GL(n, R) detto gruppo speciale lineare. Poichè SL(n, R) = det−1 (1), esso è chiuso in GL(n, R) e, quindi, per il Teorema 1.6.7 è un sottogruppo di Lie di GL(n, R). (2) Si può trovare lo stesso risultato usando il Teorema 1.6.2. Consideriamo la funzione f : GL(n, R) −→ R∗ = R − {0} = GL(1, R), a 7−→ det a. f è un omomorfismo analitico suriettivo. Verifichiamo che il rango di f è costante su tutto GL(n, R). Fissiamo a ∈ GL(n, R) e poniamo α = det a ∈ GL(1, R) = R∗ . Per ogni x ∈ GL(n, R), si ha f (x) = det x = (det a)(det a−1 x) = (Lα ◦ f ◦ La−1 )(x). Quindi (f∗ )x = (Lα )∗ det(a−1 x) ◦ (f∗ )a−1 x ◦ (La−1 )∗ x . Dato che (Lα )∗ det(a−1 x) e (La−1 )∗ x sono isomorfismi, si ha rg(f∗ )x = rg(f∗ )a−1 x . 32 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Se a = x, si trova rg(f∗ )x = rg(f∗ )e , ossia il rango di f è costante. Quindi, per il Teorema 1.6.2, SL(n, R) = f −1 (1) è una sottovarietà regolare di GL(n, R). Si controlla direttamente che SL(n, R) è un gruppo di Lie. (3) In modo analogo, si vede che O(n) = {a ∈ GL(n, R) / t aa = I} è un sottogruppo di Lie, detto gruppo ortogonale (t a indica la trasposta della matrice a). In questo caso, si considera la funzione a 7−→ t aa. f : GL(n, R) −→ GL(n, R), 2 O(n) è compatto (è un chiuso limitato di Rn ) ma non è connesso; le sue due componenti connesse sono SO(n) = {a ∈ O(n) / det a = 1} = O(n) ∩ SL(n, R), O− (n) = {a ∈ O(n) / det a = −1}. SO(n) è un sottogruppo di Lie di O(n) (coincide con la componente connessa dell’elemento neutro), detto gruppo speciale ortogonale. (4) Determiniamo le algebre di Lie di SL(n, R) e O(n) (e, quindi, anche di SO(n)). Sia sl(n, R) l’algebra di Lie di SL(n, R). Dal Teorema 1.6.8 si ha sl(n, R) = {X ∈ gl(n, R) / etX ∈ SL(n, R), t ∈ R}. Ma etX ∈ SL(n, R) se e solo se 1 = det etX = et tr X , cioè se e solo se tr X = 0. Quindi sl(n, R) = {X ∈ gl(n, R) / tr X = 0} e dim SL(n, R) = dim sl(n, R) = n2 − 1. Indichiamo con so(n, R) l’algebra di Lie di O(n). Dato che so(n, R) = {X ∈ gl(n, R) / esX es tX = I, s ∈ R}, derivando rispetto a s, si ha XesX es tX + t XesX es tX = 0. In particolare, se s = 0, si trova X + t X = 0, ossia so(n, R) = {X ∈ gl(n, R) / X + t X = 0} e dim O(n) = dim SO(n) = dim so(n, R) = n(n − 1) . 2 Consideriamo ora il gruppo degli automorfismi Aut(g) di un’algebra di Lie g. Aut(g) è un sottogruppo di Gl(g), chiuso perchè definito da un numero finito di equazioni algebriche. Per il Teorema 1.6.7, Aut(g) è un sottogruppo di Lie di Gl(g). Proprietà 1.6.9. L’algebra di Lie di Aut(g) è Der(g), algebra di Lie delle derivazioni di g. Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 33 Dimostrazione. Sia h l’algebra di Lie di Aut(g). Dal Teorema 1.6.8 si ha Sostituiamo etA h = {A ∈ gl(g) / exp tA ∈ Aut(g), t ∈ R}. a exp(tA); allora, se A ∈ h etA [X, Y ] = etA X, etA Y , X, Y ∈ g. Derivando rispetto a t, si ha AetA [X, Y ] = AetA X, etA Y + etA X, AetA Y . Per t = 0, dato che e0 = I, si ottiene A[X, Y ] = [AX, Y ] + [X, AY ], X, Y ∈ g, ossia A ∈ Der(g). P 1 m m Viceversa, sia A ∈ Der(g). Proviamo che etA = ∞ sta in m=0 m! t A Aut(g), per ogni t ∈ R. Per induzione, si dimostra che m h i X m m A [X, Y ] = Am−k (X), Ak (Y ) X, Y ∈ g, k k=0 quindi ∞ X m X h i tm Am−k (X), Ak (Y ) k!(m − k)! m=0 k=0 ∞ ∞ l i X X tl+n h l t l tn n n = A (X), A (Y ) = A (X), A (Y ) l!n! l! n! l,n=0 l,n=0 = etA (X), etA (Y ) , etA [X, Y ] = per ogni X, Y ∈ g e t ∈ R. Come applicazione dei risultati precedenti, determiniamo l’algebra di Lie del prodotto semidiretto G = H oα K, dove α : K −→ Aut(H). Proprietà 1.6.10. L’algebra di Lie di H oα K è la somma semidiretta delle algebre di Lie h e k, di H e K, rispettivamente. Dimostrazione. Sappiamo che per ogni a ∈ K, α(a) : H −→ H è un automorfismo e quindi α(a)∗ : h −→ h è un automorfismo dell’algebra di Lie h. L’applicazione ψ : K −→ Aut(h), a 7−→ α(a)∗ , è un omomorfismo di gruppi; verifichiamo che ψ è pure analitica. Per ogni Y ∈ h, si ha α(a)(expH Y ) = expH (α(a)∗ Y ), da cui si deduce che α(a)∗ dipende analiticamente da a ∈ K. Posto δ = ψ∗ : k −→ Der(h), si prova che δ è un omomorfismo di algebre di Lie e l’algebra di Lie di H oα K è isomorfa a h ⊕δ k (per i dettagli, cfr. [21]). Infine, come applicazione dei Teoremi 1.6.5 e 1.6.7, abbiamo il 34 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Teorema 1.6.11. Sia φ : G −→ G0 un omomorfismo analitico di gruppi di Lie. (1) H = ker φ è un sottogruppo di Lie di G la cui algebra di Lie è h = ker φ∗ . (2) Se G è connesso, K = φ(G) è un sottogruppo di Lie connesso di G0 la cui algebra di Lie è k = im φ∗ . Dimostrazione. (1) ker φ è un sottogruppo normale e chiuso di G; allora, per il Teorema 1.6.7, è un sottogruppo di Lie di G. Inoltre, X ∈ h se e solo se expG (tX) ∈ H, per ogni t ∈ R, ossia se e solo se φ[expG (tX)] = e0 , elemento neutro di G0 . Ma 0 φ[expG (tX)] = expG [tφ∗ (X)] = e0 , t ∈ R, g0 . se e solo se φ∗ (X) = 0 ∈ Quindi h = ker φ∗ . (2) Sia K l’unico sottogruppo di Lie connesso di G0 la cui algebra di Lie è kn= im φ∗ (cfr. Teorema o 1.6.5). Si è visto che K è generato dall’insieme 0 G exp φ∗ (X), X ∈ g . Per ipotesi, G è connesso e, quindi, è generato da elementi del tipo expG X, X ∈ g. Di conseguenza, φ(G) sarà generato da elementi del tipo 0 φ(expG X) = expG φ∗ (X), X ∈ g. Poichè K e φ(G) sono gruppi connessi aventi gli stessi generatori, si può concludere che K = φ(G). Osservazione. Nel Teorema 2.7.3 di [25], si prova che φ(G) è un sottogruppo di Lie di G, senza richiedere che G sia connesso. Se G non è connesso, allora φ(G0 ) = φ(G)0 = K, dove K è l’unico sottogruppo di Lie connesso la cui algebra di Lie è im φ∗ (si noti che G0 e φ(G)0 sono le componenti connesse degli elementi neutri di G e φ(G), rispettivamente). Esercizi. 1.6.1 Si identifichi Cn con lo spazio vettoriale reale R2n mediante l’isomorfismo R-lineare α : Cn −→ R2n , definito da: α(z 1 , . . . , z n ) = (Re(z 1 ), . . . , Re(z n ), Im(z 1 ), . . . , Im(z n )). a) Verificare che α si estende ad un monomorfismo di algebre di Lie α : M(n, C) −→ M(2n, R) A −B A + iB 7−→ B A detto rappresentazione reale di M(n, C) (M(n, K) è lo spazio vettoriale delle matrici quadrate di ordine n ad elementi nel corpo K). Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 35 b) Provare che α induce un monomorfismo α e tra i gruppi di Lie GL(n, C) e GL(2n, R) tale che α e (GL(n, C)) = {a ∈ GL(2n, R) / aJ = Ja}, 0 −In dove J = ∈ GL(2n, R). In 0 1.6.2 Considerare i seguenti insiemi di matrici U (n) = {a ∈ GL(n, C) / t aa = I}, SU (n) = {a ∈ U (n) / det(a) = 1}, Sp(n, R) = {a ∈ GL(2n, R) / t aJa = J}. a) Provare che sono gruppi di Lie reali. b) Verificare che le loro algebre di Lie sono, rispettivamente: u(n) = {X ∈ gl(n, C) / t X + X = 0}, su(n) = {X ∈ u(n) / tr X = 0}, sp(n, R) = {X ∈ gl(2n, R) / J t X + XJ = 0}. Calcolare le loro dimensioni determinandone esplicitamente una base. c) Considerato il prodotto scalare Hermitiano su Cn , hz, wi = n X z i wi , i=1 dove z = (z 1 , . . . , z n ) e w = (w1 , . . . , wn ), verificare che U (n) = {a ∈ GL(n, C) / haz, awi = hz, wi}. d) Scrivere esplicitamente gli elementi di SU (2) e provare che SU (2) P è omeomorfo a S 3 = {(x1 , x2 , x3 , x4 ) ∈ R4 / 4i=1 (xi )2 = 1}. 1.6.3 Sia {1, i, j, k} la base standard di R4 . Posto: 1i = i, 2 2 1j = j, 2 i = j = k = −1, 1k = k, ij = −ji = k, si estenda per linearità tale prodotto a tutti gli elementi di R4 . a) Verificare che, con tale prodotto, R4 ha la struttura di corpo detto corpo dei quaternioni e lo si indichi con H. Verificare, inoltre, che H è un’algebra associativa su R, non commutativa. b) Se q = a + bi + cj + dk ∈ H, si indichi con q = a − bi − cj − dk il coniugato di q. Verificare che, per ogni q, q 0 ∈ H, si ha: i) q + q 0 = q + q 0 , ii) qq 0 = q 0 q, iii) qq è un numero reale non negativo, 1 iv) |q| = (qq) 2 è una norma su H, v) se u = a + bi ∈ C allora uj = ju e uk = ku. 1.6.4 Se q = a + bi + cj + dk ∈ H, si ponga q = u + jv, con u = a + ib e v = c − id numeri complessi. In tal modo, H viene identificato con C2 . 36 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie a) Si consideri Hn come uno spazio vettoriale a destra su C. Verificare che l’applicazione β : Hn −→ C2n definita da: β(q 1 , . . . , q n ) = (u1 , . . . , un , v 1 , . . . , v n ), dove q h = uh + jv h , h = 1, . . . , n, è un isomorfismo tra spazi vettoriali complessi. b) Sia A ∈ M(n, H) una matrice ad elementi quaternionici. Provare che β induce un monomorfismo R-lineare β : M(n, H) −→ M(2n, C) A −B A + jB 7−→ B A che rende commutativo il diagramma Hn β C2n A β(A) / Hn β / C2n (ogni matrice viene identificata con il corrispondente endomorfismo). c) Verificare che β induce un monomorfismo βe tra i gruppi di Lie GL(n, H) e GL(2n, C). 1.6.5 Si consideri Hn come spazio vettoriale su H a destra. Il prodotto scalare quaternionico è definito da: n X q i q 0i hq, q 0 i = (q 1 , .., q n ) Hn q0 i=1 (q 01 , .., q 0n ) dove q = ∈ e = 0 00 0 i) hq, q + q i = hq, q i + hq, q 00 i; ∈ Hn . Verificare che: ii) hq, q 0 i = hq 0 , qi; iii) hqλ, q 0 i = λhq, q 0 i, hq, q 0 λi = hq, q 0 iλ; iv) hq, qi ≥ 0 e hq, qi = 0 se e solo se q = 0; v) hAq, q 0 i = hq, t Aq 0 i; per ogni q, q 0 , q 00 ∈ Hn e per ogni λ ∈ H. 1.6.6 a) Stabilire che Sp(n) = {a ∈ GL(n, H) / t aa = I} è un gruppo di Lie reale la cui algebra di Lie è sp(n) = {X ∈ gl(n, R) / t X + X = 0}. 1 b) Posto kqk = hq, qi 2 , verificare che: Sp(n) = {a ∈ GL(n, H) / kaqk = kqk, per ogni q ∈ Hn }. c) Sia β̃ l’applicazione definita nell’Esercizio 1.6.4, punto c). Dopo e aver verificato che β(Sp(1)) = SU (2), provare che βe : Sp(1) −→ SU (2) è un isomorfismo di gruppi di Lie. Dato che Sp(1) = S 3 si ha un altra verifica dell’Esercizio 1.6.2, punto d). Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 37 d) Posto Sp(n, C) = {a ∈ GL(2n, C) / t aJa = J}, e verificare che β(Sp(n)) = Sp(n, C) ∩ U (2n) e che βe : Sp(n) −→ Sp(n, C) ∩ U (2n) è un isomorfismo di gruppi di Lie. 1.6.7 Sia q ∈ Sp(1) = S 3 un quaternione unitario. a) Verificare che l’applicazione A(q) : H −→ H, x 7−→ qxq −1 è una isometria di H (identificato con con lo spazio vettoriale reale R4 , dotato del prodotto scalare standard). b) Posto H = R ⊕ R3 , dove R = L(1) e R3 = L(i, j, k), verificare che A(q) lascia fisso R e induce una isometria di R3 in sè, cioè A(q) 3 ∈ O(3). R c) Provare che A : Sp(1) −→ SO(3) è un omomorfismo suriettivo di gruppi tale che ker A = {−I, I}. Quindi Sp(1)/{−I, I} ' SO(3) e Sp(1) è il rivestimento universale di SO(3) (cfr. l’Appendice C). 1.6.8 Sia F : S 3 × S 3 −→ gl(H) l’applicazione definita nel modo seguente: se p, q ∈ S 3 (considerato come gruppo dei quaternioni di norma 1), allora F (p, q) : H −→ H, w 7−→ pwq −1 . Si verifichi che: i) F (p, q) ∈ SO(4), per ogni p, q ∈ S 3 . ii) F è un omomorfismo continuo. iii) ker F = {(1, 1), (−1, −1)}. iv) L’applicazione F : S 3 × S 3 −→ SO(4) è suriettiva. 38 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie 1.7. Rivestimenti di gruppi di Lie Per le nozioni ed i risultati usati in questo paragrafo, si rinvia all’Appendice C. Ricordiamo che ogni rivestimento di un gruppo di Lie è esso stesso un gruppo di Lie e ogni gruppo di Lie ammette un rivestimento universale (unico, a meno di isomorfismi). In questo paragrafo si determineranno il gruppo fondamentale di alcuni gruppi classici e il loro rivestimento universale. Innanzi tutto si osservi che lo studio dal punto di vista topologico di GL(n, R) (rispettivamente GL(n, C)) può essere ricondotto a quello di SO(n) (rispettivamente SU (n)), per maggiori dettagli si veda l’Appendice A. Tenuto conto che alcuni gruppi di matrici come SL(n, R), oppure SL(n, C), sono riducibili a meno di omotopia a SO(n) (oppure SU (n)), si riconosce che la descrizione delle proprietà topologiche di SO(n) e di SU (n) serve a caratterizzare anche la maggior parte dei gruppi classici. Determiniamo il gruppo fondamentale di SO(n). Teorema 1.7.1. 0 ∼ π1 (SO(n)) = Z Z2 se n = 1 se n = 2 se n > 2. Dimostrazione. Si propongono due dimostrazioni diverse. I Metodo: SO(n) è un CW–complesso e SO(k) per k < n è uno scheledi SO(n). Per avere un’idea di questo fatto, si pensi tro di dimensione k(k−1) 2 1 che SO(2) è S e che SO(3) è isomorfo al gruppo quoziente di S 3 modulo il sottogruppo discreto {−1, 1} (cfr. Proprietà A.2) e, quindi, è omeomorfo a RP3 . Ne segue che RP3 ha come 0–scheletro SO(1), come 1–scheletro SO(2) e come 2–scheletro uno spazio omeomorfo a RP2 . Questa situazione si ripete, in generale, per SO(n). Allora la tesi segue dal Teorema B.8. II Metodo: Se n = 1, 2, 3 il teorema è ovvio. Sia, allora, n > 3 e supponiamo che π1 (SO(n − 1)) ∼ = Z2 . Considerati N = (0, . . . , 0, 1) ∈ S n−1 , n−1 n−1 U =S − {−N }, V = S − {N } e l’applicazione q : SO(n) −→ S n−1 cosı̀ definita: α 7−→ α(N ), indichiamo con s l’applicazione continua di U in SO(n) che ad ogni x = (x1 , . . . , xn ) ∈ U associa la rotazione nel piano orientato, generato dalla coppia (N, x), che manda N in x. Si ha x1 xi xj δij − 1+x ... . n s(x) = xn−1 −x1 ... −xn−1 xn Posto ρ = (s(0, 0, . . . , 1, 0)), segue ρ2 = 1. Si definiscono le applicazioni Φ1 : U × SO(n − 1) −→ SO(n), (x, α) 7−→ s(x)α, Φ2 : V × SO(n − 1) −→ SO(n), (x, α) 7−→ ρs(ρx)α, dove si pensa SO(n − 1) immerso in SO(n) mediante le applicazioni ortogonali che lasciano fisso N . Si osservi che qΦ1 (x, α) = x, qΦ2 (x, α) = x Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 39 e Φ1 e Φ2 sono omeomorfismi su q −1 (U ) e q −1 (V ), rispettivamente. Le applicazioni inverse sono date da: −1 Φ−1 1 (α) = (q(α), s(q(α)) α), −1 Φ−1 2 (α) = (q(α), s(ρq(α)) ρα). Per n > 3, S n−1 − {−N, N } ha lo stesso tipo di omotopia di En−1 − {punto} e quindi di S n−2 (che è semplicemente connesso). Dunque le applicazioni, definite in modo naturale, (U ∩ V ) × SO(n − 1) −→ U × SO(n − 1) e (U ∩ V ) × SO(n − 1) −→ V × SO(n − 1) inducono isomorfismi tra i gruppi fondamentali. Ne segue che le inclusioni corrispondenti (mediante Φ1 e Φ2 ) q −1 (U ) ∩ q −1 (V ) = q −1 (U ∩ V ) −→ q −1 (U ) e q −1 (U ) ∩ q −1 (V ) = q −1 (U ∩ V ) −→ q −1 (V ) inducono isomorfismi e, per il Corollario B.10, si ha che π1 (SO(n)) ' π1 (q −1 (U )). Poichè anche l’inclusione di SO(n − 1) in q −1 (U ) = Φ1 (U ) × SO(n − 1) induce un isomorfismo a livello di gruppi fondamentali, segue che π1 (SO(n)) ∼ = π1 (SO(n − 1)) e dall’ipotesi induttiva si ha la tesi. Corollario 1.7.2. 0 ∼ π1 (GL(n, R)) = Z Z2 se n = 1 se n = 2 se n > 2. Per quanto concerne SU (n) si può provare, con metodi analoghi al Teorema 1.7.1 (cfr. [10], pag. 102) il seguente Teorema 1.7.3. SU (n) è semplicemente connesso. Come applicazione dei teoremi precedenti, diamo ora un’idea di quali siano i rivestimenti universali dei gruppi classici. Per quanto osservato, è sufficiente considerare SO(n). Per n = 2, SO(n) ∼ = S 1 , dunque il suo rivestimento universale è R. Se n > 2, SO(n) è un gruppo compatto avente gruppo fondamentale isomorfo a Z2 . Come semplice conseguenza del punto (iii) dell’Esercizio 2 dell’Appendice C, si vede che il rivestimento universale di SO(n) è un rivestimento a due fogli, che viene indicato con Spin(n). Si osservi che Spin(3) è isomorfo a S 3 . Teorema 1.7.4. Siano G un gruppo di Lie connesso e semplicemente connesso, H un gruppo di Lie arbitrario e g, h le loro algebre di Lie. Dato ϕ : g −→ h, omomorfismo di algebre di Lie, esiste un unico omomorfismo analitico f : G −→ H tale che f∗ = ϕ. 40 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Dimostrazione. Il gruppo prodotto G×H ha come algebra di Lie g⊕h e k = {X ⊕ϕ(X) / X ∈ g} e è una sottoalgebra di Lie di g⊕h. Per il Teorema 1.6.5, esiste un sottogruppo di Lie K di G × H che ha k come algebra di Lie. Consideriamo i seguenti omomorfismi w1 : K incl. /G × H proi. / G, w2 : K incl. /G × H proi. /H Poichè (w1 )∗ (X ⊕ϕ(X)) = X, si ha ker(w1 )∗ = {0}. Ma ker(w1 )∗ è l’algebra di Lie di ker w1 e, quindi, ker w1 ha dimensione zero, cioè è un sottogruppo discreto di G × H. Dall’Esercizio 1, §A.3, segue che w1 : K −→ G è un rivestimento. Siccome G è semplicemente connesso, w1 è un isomorfismo. Si definisce f : G −→ H come w2 ◦ w1−1 . Se X ∈ g, si trova infine f∗ (X) = (w2 )∗ ◦ (w1 )−1 ∗ = (w2 )∗ (X ⊕ ϕ(X)) = ϕ(X). Si osservi che dal Teorema 1.7.4 segue il Principio di Monodromia (Teorema 1.4.6). Per concludere questo paragrafo osserviamo che ogni gruppo di Lie compatto ha caratteristica di Eulero–Poincaré nulla. Ricordiamo che cosa si intende per caratteristica di Eulero–Poincaré di un CW-complesso finito, osservando che ogni varietà compatta ha il tipo di omotopia di un CW– complesso finito (cfr. [18], pag. 36). Definizione 1.7.5. Se X è un CW–complesso n-dimensionale con i−celle αi (αj = 0, ∀j > n), la caratteristica di Eulero–Poincaré χ(X) di X è data da n X χ(X) = (−1)i αi . i=0 Ad esempio, la caratteristica di Eulero–Poincaré di S n è 2, per n pari, e 0, per n dispari. Si può verificare (per la dimostrazione si rimanda ad un testo di Topologia Algebrica, ad esempio [11]) che la definizione della caratteristica di Eulero–Poincaré dipende solo dal tipo di omotopia del CW–complesso e non dalla scelta della decomposizione cellulare. Si può vedere con metodi sufficientemente elementari (ad esempio in [11]) che esistono campi vettoriali mai nulli su S n se e solo se n è dispari (cioè se e solo se la caratteristica di Eulero–Poincaré è nulla). Questo è un caso particolare del seguente risultato più generale (cfr. [24], pag. 201). Teorema 1.7.6. Sia X è una varietà compatta e connessa. Esiste un campo vettoriale mai nullo su X se e solo se χ(X) = 0. Esercizi. 1.7.1 Sia p : Spin(n) −→ SO(n) il rivestimento universale di SO(n), per n ≥ 3. Esiste una funzione continua g : SO(n) −→ Spin(n) tale che p ◦ g = id? Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 41 1.7.2 Determinare i gruppi fondamentali ed i rivestimenti universali di O(n), GL(n, R), GL(n, C), SL(n, R), SL(n, C). 1.7.3 Sia f : SO(3) −→ SO(2) una funzione continua. Stabilire se f è necessariamente omotopa a zero. 42 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie 1.8. Rappresentazione aggiunta Sia V uno spazio vettoriale reale di dimensione n e sia g un’algebra di Lie reale. Una rappresentazione di g su V di rango n è un omomorfismo di algebre di Lie ψ : g −→ gl(V ). Se G è un gruppo di Lie, una rappresentazione di G su V è un omomorfismo analitico φ : G −→ GL(V ). Nel caso in cui V = Rn , la rappresentazione si dice matriciale. Definizione 1.8.1. Se g è un’algebra di Lie, la rappresentazione aggiunta di g su g è definita da ad : g −→ gl(g), X 7−→ adX , dove adX : g −→ g è dato da adX (Y ) = [X, Y ]. Il centro di g è il nucleo di ad e si indica con z(g) (oppure, semplicemente, con z), quindi: z(g) = {X ∈ g / [X, Y ] = 0, Y ∈ g}. Si noti che ad(g) ⊆ Der(g) ⊆ gl(g), e che z(g) è un ideale di g. Ogni gruppo di Lie ammette una rappresentazione molto importante sulla sua algebra di Lie, costruita nel modo seguente. Se a ∈ G, Ia : G −→ G, b 7−→ aba−1 , è un automorfismo di G (cfr. § 1.2) e, quindi, (Ia )∗ è un automorfismo dell’algebra di Lie g di G. Si può, pertanto, definire l’applicazione Ad : G −→ GL(g), a 7−→ Ad(a) = (Ia )∗ e provare il Teorema 1.8.2. Ad è una rappresentazione di G in g, detta rappresentazione aggiunta del gruppo di Lie G in g. Dimostrazione. Verifichiamo che Ad è un omomorfismo di gruppi. Si noti che, per ogni X ∈ g ed ogni a ∈ G, si ha exp Ad(a)X = exp(Ia )∗ X = Ia (exp X) = a(exp X)a−1 e exp tAd(ab)X = ab(exp tX)b−1 a−1 = a(exp tAd(b)X)a−1 = exp tAd(a)Ad(b)X, per ogni a, b ∈ G e t ∈ R. Se |t| < , con numero reale positivo opportuno, l’applicazione esponenziale è biiettiva (cfr. Teorema 1.3.4, punto (4)) ossia tAd(ab)X = tAd(a)Ad(b)X, e, quindi: Ad(ab) = Ad(a)Ad(b), per ogni a, b ∈ G. Vediamo ora che Ad è analitica. Data una base (E1 , . . . , En ) di g, siano (x1 , . . . , xn ) le coordinate canoniche associate (cfr. pag. 23). Se a ∈ G, Ad(a)Ei = (Ia )∗ (Ei ) = n X j=1 aji (a)Ej . Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 43 Per provare che Ad è analitica basta verificare che le funzioni aji (a) sono analitiche in un intorno di e P ∈ G. Si può allora supporre che a = exp X, per un certo X ∈ g. Se X = ni=1 ai Ei , ai ∈ R, si ha xi (a) = ai . Poniamo bi = exp Ei . Allora n X Ia bi = Ia (exp Ei ) = exp((Ia )∗ Ei ) = exp( aji (a)Ej ), j=1 ed anche (Teorema 1.3.4, punto (5)) Ia bi = abi a−1 = (exp X)(exp Ei )(exp(−X)) = exp(Ei + [X, Ei ] + . . . ) (i termini non scritti sono costituiti da “brackets” iterati). Tenuto conto della biiettività di exp, se X appartiene ad un intorno piccolo di 0 ∈ g, dalle due espressioni precedenti si deduce aji (a) = δij + n X xh (a)cjhi + . . . , h=1 (cjhi sono le costanti di struttura) da cui si vede che le funzioni aji dipendono analiticamente dalle coordinate canoniche di a. Teorema 1.8.3. (1) Ad∗ |e = ad (e: elemento neutro di G), (2) Ad(expG X) = eadX , per ogni X ∈ g. Dimostrazione. (1) Siano X, Y ∈ g. Dai Teoremi 1.4.1 e 1.3.4, si ha exp(Ad(exp tX)tY ) = I(exp tX) (exp tY ) = (exp tX)(exp tY )(exp(−tX)) = exp{tY + t2 [X, Y ] + O(t3 )}. Se |t| < , exp è biettiva, quindi Ad(exp tX)Y = Y + t[X, Y ] + O(t3 ) , t cioè Ad(exp tX) = I + t adX +O(t2 ). In definitiva, dAd(exp tX) dt Ad∗ (X)|e = t=0 = adX . (2) Si verifica facilmente che il diagramma g ad expG G Ad / / gl(g) expGL(g) GL(g) è commutativo, ossia Ad(expG X) = expGL(g) (adX ) = eadX . 44 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Il teorema seguente è molto utile per determinare la rappresentazione aggiunta dei sottogruppi di Lie di GL(V ), dove V è uno spazio vettoriale reale. In particolare, il risultato vale per i sottogruppi di GL(n, R). Teorema 1.8.4. Sia H un sottogruppo di Lie di GL(V ) con algebra di Lie h. Allora, per ogni a ∈ H e per ogni X ∈ h, si ha Ad(a)X = aXa−1 . Dimostrazione. Tenuto conto che expH = expGL(V ) H , si −1 ottiene expH (tAd(a)X) = Ia (expH tX) = a(expH tX)a = aetX a−1 = etaXa −1 = expH (taXa−1 ), t ∈ R. Se |t| < , allora tAd(a)X = taXa−1 , cioè Ad(a)X = aXa−1 . Definizione 1.8.5. Sia g un’algebra di Lie. Il gruppo aggiunto è il sottogruppo di Lie connesso di Aut(g) la cui algebra di Lie è ad(g) (che è una sottoalgebra di Der(g)). Tale gruppo viene indicato con Int(g). Proprietà 1.8.6. Int(g) è un sottogruppo normale di Aut(g). Dimostrazione. Se X ∈ g, adX ∈ ad(g) e quindi eadX ∈ Int(g). Inoltre, se ϕ ∈ Aut(g), allora ϕeadX ϕ−1 = eϕ adX ϕ −1 = eadϕ(X) . Poichè Int(g) è connesso, ogni elemento di Int(g) è generato da elementi del tipo eadX . Pertanto, Int(g) è normale in Aut(g). Sia G un gruppo di Lie connesso. Per il Teorema 1.6.11, si sa che Ad(G) è un sottogruppo di Lie la cui algebra di Lie è im Ad∗ e = im(ad) = ad(g). Quindi Ad(G) e Int(g) sono gruppi di Lie connessi che hanno la stessa algebra di Lie. Poichè i gruppi di Lie connessi sono generati dagli intorni dell’elemento neutro (cfr. Teorema 1.4.4), si ha Ad(G) = Int(g). Se G non è connesso, allora Int(g) = Ad(G)0 , componente connessa dell’elemento neutro di Ad(G) (cfr. l’Osservazione di pag. 34). Vediamo ora di caratterizzare le sottoalgebre di Lie dei sottogruppi di Lie normali. Teorema 1.8.7. Sia G un gruppo di Lie con algebra di Lie g. Consideriamo un suo sottogruppo di Lie connesso H con algebra di Lie h. (1) Se H è normale in G, allora h è un ideale di g. (2) Supponiamo che anche G sia connesso. Se h è un ideale di g, allora H è un sottogruppo normale di G. Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 45 Dimostrazione. (1) Sia H normale in G. Per ogni a ∈ G, se X ∈ h, si ha: a exp tXa−1 = exp tAd(a)X ∈ H, t ∈ R. Dal Teorema 1.6.8 si deduce che Ad(a)X ∈ h. Fissato un Y ∈ g, posto a = exp tY , tenuto conto del Teorema 1.8.3, si ha: Ad(exp tY )X = et adY (X) ∈ h, t ∈ R. Di conseguenza [Y, X] = d t adY e (X) t=0 ∈ h, dt ossia: [h, g] ⊆ h. (2) Consideriamo due elementi a ∈ G, h ∈ H e supponiamo, per il momento, che a = exp Y , h = exp X con Y ∈ g e X ∈ h. Dato che h è un ideale, (adY )n (X) ∈ h, per ogni n ∈ N e quindi: Ad(exp Y )X = eadY (X) ∈ h, da cui si ricava che aha−1 = (exp Y )(exp X)(exp Y )−1 = exp Ad(exp Y )(X) ∈ H. Dato che i gruppi di Lie G e H sono connessi, essi sono generati da un intorno dei rispettivi elementi neutri (cfr. Teorema 1.4.4) e, pertanto, i loro elementi generici sono il prodotto di elementi del tipo precedente. Esercizi. 1.8.1 Sia G un gruppo di Lie connesso e semplicemente connesso. Provare che ogni sottogruppo di Lie di G normale e connesso è necessariamente chiuso. 1.8.2 Sia G = C×C×R il gruppo di Lie reale di dimensione 5 con il prodotto definito da (c1 , c2 , r)(c01 , c02 , r0 ) = (c1 + e2πir c01 , c2 + e2πihr c02 , r + r0 ), dove h è un numero irrazionale fissato e c1 , c2 , c01 , c02 ∈ C, r, r0 ∈ R. Siano s, t ∈ R. Poniamo αs,t : G −→ G (c1 , c2 , r) 7−→ (e2πis c1 , e2πit c2 , r). (a) Provare che αs,t è un isomorfismo analitico. (b) Se t = hs+hn, con n ∈ Z, αs,t coincide con l’automorfismo interno I((0, 0, s + n)). (c) Sia g l’algebra di Lie di G. Poniamo As,t = (αs,t )∗ ∈ Aut(g). Provare che se sn → s0 , tn → t0 , allora Asn ,tn → As0 ,t0 in Aut(g). (d) Verificare che A0, 1 ∈ / Int(g). Dedurre dal punto (c) che Int(g) 3 non è chiuso in Aut(g). 46 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie 1.9. Algebre e gruppi di Lie semisemplici e risolubili Sia g un’algebra di Lie. Si verifica facilmente che l’applicazione B : g × g −→ R, (X, Y ) 7−→ B(X, Y ) = tr(adX ◦ adY ) è una forma bilineare simmetrica, detta forma di Killing di g. Un’importante proprietà della forma di Killing è che è invariante rispetto agli automorfismi di g e, pertanto, dipende solo dalla classe di isomorfismo di g. Valgono le seguenti Proprietà 1.9.1. (1) Se ϕ ∈ Aut(g), allora B(ϕX, ϕY ) = B(X, Y ), per ogni X, Y ∈ g. (2) Se D ∈ Der(g), allora B(DX, Y ) + B(X, DY ) = 0. In particolare, B(adZ X, Y ) + B(X, adZ Y ) = 0, per ogni X, Y, Z ∈ g. (3) Se h è un ideale di g, allora h⊥ = {X ∈ g/B(X, Y ) = 0, Y ∈ h} è ancora un ideale di g. In particolare, ker B = g⊥ = {X ∈ g/B(X, Y ) = 0, Y ∈ g} è un ideale di g. (4) Se h è un ideale di g, la forma di Killing di h coincide con la restrizione di B ad h × h. Dimostrazione. (1) Se ϕ è un automorfismo di g, si ha adϕ(X) (Y ) = [ϕ(X), Y ] = ϕ X, ϕ−1 (Y ) = ϕ ◦ adX ϕ−1 Y, ossia adϕ(X) = ϕ ◦ adX ◦ϕ−1 . Dunque B(ϕ(X), ϕ(Y )) = tr(adϕ(X) ◦ adϕ(Y ) ) = tr(ϕ ◦ adX ◦ϕ−1 ◦ ϕ ◦ adY ◦ϕ−1 ) = tr(ϕ ◦ adX ◦ adY ◦ϕ−1 ) = tr(ϕ ◦ ϕ−1 ◦ adX ◦ adY ) = tr(adX ◦ adY ) = B(X, Y ). Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 47 (2) Sia D ∈ Der(g), allora etD ∈ Aut(g), per ogni t ∈ R, e B(etD X, etD Y ) = B(X, Y ), X, Y ∈ g. Derivando rispetto a t l’espressione precedente, per t = 0 si ottiene infine B(DX, Y ) + B(X, DY ) = 0, X, Y ∈ g. (3) Siano X ∈ h⊥ e Y ∈ g. Per ogni Z ∈ h, si ha B([X, Y ], Z) = −B(adY X, Z) = B(X, adY Z) = 0, in quanto adY Z ∈ h e X ∈ h⊥ . Quindi [X, Y ] ∈ g, cioè h⊥ è un ideale. (4) Siano dim h = r, dim g = n, (E1 , . . . , Er ) una base di h, (E1 , . . . , Er , Er+1 , . . . , En ) una base di g. Se X ∈ h, adX Ei ∈ h, i = 1, . . . , n, perchè h è un ideale. Quindi, la matrice di adX è del tipo A1 A2 A= . 0 0 B1 B2 Sia B = la matrice di adY , Y ∈ h. Allora 0 0. A1 B1 A1 B2 AB = . 0 0 Osservato che A1 ed A2 sono, rispettivamente, le matrici di adX e adY , pensate come endomorfismi di h in h, segue che, per la forma di Killing Bh di h, si ha Bh (X, Y ) = tr(A1 B1 ) = tr(AB) = B(X, Y ), per ogni X, Y ∈ g, ossia Bh = B|h×h . Introduciamo ora una classe molto importante di algebre di Lie. Definizione 1.9.2. Un’algebra di Lie g si dice semisemplice se B è non degenere, ossia ker B = {0}. g si dice semplice se è semisemplice e non contiene ideali propri. Proprietà 1.9.3. (1) Se g è semisemplice, z(g) = {0}. (2) Sia h un ideale di un’algebra di Lie semisemplice g. Allora anche h e h⊥ sono ideali semisemplici e g = h ⊕ h⊥ (somma diretta di algebre di Lie). Dimostrazione. (1) Basta osservare che, in generale, z(g) ⊆ ker B. (2) Supponiamo che dim h = r. Poichè B è non degenere, h⊥ ha dimensione n−r, dove n = dim g. Infatti, considerata una base (E1 , . . . , Er , . . . , En ) di g tale che (E1 , . . . , Er ) sia una base di h, si ha che X ∈ h⊥ se e solo se B(X, Eα ) = 0, 1 ≤ α ≤ r, 48 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie ossia se e solo se, posto X = n X Pn i=1 X X i Biα = 0, iE i, valgono le relazioni 1 ≤ α ≤ r, i=1 dove Biα = B(Ei , Eα ). Dato che la matrice (Biα ) ha rango r, si deduce che dim h⊥ = n − r. Sappiamo che h ∩ h⊥ è un ideale. Proviamo ora che h ∩ h⊥ è abeliano. Siano X, Y ∈ h ∩ h⊥ e Z ∈ g. Allora, B([X, Y ], Z) = −B(Y, [X, Z]) = 0, poichè Y ∈ h⊥ e [X, Z] ∈ h. Siccome B è non degenere, si ha [X, Y ] = 0. Sia ora X ∈ h ∩ h⊥ . Per ogni Y ∈ g, si trova (adX ◦ adY )(Z) = [X, [Y, Z]] ∈ h ∩ h⊥ , Z ∈ g. Se Z ∈ h ∩ h⊥ anche [Y, Z] ∈ h ∩ h⊥ e, quindi, (adX ◦ adY )(Z) = 0. Sia 0 (E10 , . . . , Ep0 , Ep+1 , . . . , En0 ) una base di g tale che (E10 , . . . , Ep0 ) sia una base di h ∩ h⊥ . Per quanto visto in precedenza, la matrice di adX ◦ adY è del tipo 0 ∗ 0 0 dove ∗ denota una matrice di p righe e (n−p) colonne. Quindi, B(X, Y ) = 0, se X ∈ h ∩ h⊥ e Y ∈ g. Dato che B è non degenere, X = o, cioè h ∩ h⊥ = {0} e g = h ⊕ h⊥ . Dalla Proprietà 1.9.1, punto (4), si ricava che ogni ideale di un’algebra di Lie semisemplice è semisemplice. La principale proprietà delle algebre di Lie semisemplici è illustrata dal seguente Teorema 1.9.4. Se g è semisemplice allora g è somma diretta di ideali semplici, cioè g = g1 ⊕ ... ⊕ gr dove ogni gi è un ideale semplice di g. Se h è un qualsiasi ideale di g, h è somma diretta di un certo numero di ideali gi . Dimostrazione. Se g non è semplice, per definizione esiste un ideale h di g non banale. Allora h⊥ è un ideale semisemplice e g = h ⊕ h⊥ . Ripetendo il ragionamento per h e h⊥ , si arriva, dopo un numero finito di passi, a scrivere g come somma diretta di ideali che non contengono ideali non banali, cioè di ideali semplici. Sia h un ideale qualsiasi di g. Per ogni i = 1, .., r, gi ∩ h è un ideale di gi e, quindi, gi ∩ h = {0} oppure gi ∩ h = gi , poichè gi è semplice. Di conseguenza, h è somma diretta di un certo numero di ideali gi . Osservazione. Vale anche l’affermazione reciproca: se g = g1 ⊕ ... ⊕ gr è somma diretta di ideali semplici, allora g è semisemplice. Infatti ker B è un ideale di g e se fosse ker B 6= {o}, esisterebbe un ideale gi tale che ker B ∩ gi = gi . Ma allora B|gi ×gi sarebbe nulla, in contrasto con l’ipotesi che gi sia semplice. Quindi, ker B = {0}. Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 49 Proprietà 1.9.5. (1) Se g è semisemplice ogni derivazione di g è interna, ossia ad(g) = Der(g). (2) Int(g) = Aut(g)0 , se g è semisemplice. Dimostrazione. (1) Poichè g è semisemplice, z(g) = ker(ad) = {0} e g è isomorfa ad ad(g), cioè ad(g) è semisemplice. Sia D ∈ Der(g), allora, se X ∈ g, [D, adX ] = D adX − adX D = adD(X) ∈ ad(g), ossia ad(g) è un ideale di Der(g). Per la Proprietà 1.9.1, ad(g)⊥ è un ideale di Der(g) e, quindi, anche ad(g) ∩ ad(g)⊥ è un ideale di Der(g). Dato che ad(g) è semisemplice, si ha che ad(g)∩ad(g)⊥ = {0} (Proprietà 1.9.3). Sia ora D ∈ ad(g)⊥ . Per ogni X ∈ g si ha adD(X) = [D, adX ] ∈ ad(g) ∩ ad(g)⊥ , ossia adD(X) = 0. Quindi D(X) ∈ ker(ad) = z(g), per ogni X ∈ g. Ma z(g) = {0}, cioè D(X) = 0, per ogni X ∈ g. In conclusione, D = 0, ad(g)⊥ = {0} e ad(g) = Der(g). (2) Basta ricordare che Int(g) e Aut(g) hanno la stessa algebra di Lie. Definizione 1.9.6. Un gruppo di Lie si dice semisemplice (semplice) se la sua algebra di Lie g è semisemplice (semplice). Osservazioni. Da quanto si è visto, la classificazione delle algebre di Lie semisemplici reali si riconduce alla classificazione delle algebre di Lie semplici reali. D’altro canto, le algebre di Lie semplici reali ricadono in uno dei due tipi seguenti (cfr. [13], pag. 443): (A) g è un’algebra di Lie complessa semplice pensata come algebra di Lie reale; (B) la complessificata gC di g (cfr. Esercizio 1.9.2) è un’algebra di Lie complessa semplice. In questo caso si dice che g è una forma reale di un’algebra di Lie complessa. In conclusione, basta classificare le algebre di Lie complesse semplici e le loro forme reali. Esempio. sl(2, C) è un’algebra di Lie complessa semplice. Poichè sl(2, C) = sl(2, R)C , sl(2, R) è una forma reale di sl(2, C); tale forma reale non è unica dato che anche su(2) = {A ∈ gl(2, C)/ t Ā + A = 0, tr A = 0} è una forma reale di sl(2, C). 50 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Algebre di Lie complesse semplici Gruppi di Lie complessi semplici Forma reale compatta Gruppi di Lie semplici compatti connessi An : sl(n + 1, C), n≥1 SL(n + 1, C) su(n + 1) SU (n + 1) Bn : so(2n + 1, C), n≥2 SO(2n + 1, C) so(2n + 1) SO(2n + 1) Sp(n, C) sp(n) Sp(n) SO(2n, C) so(2n) SO(2n) Cn : sp(n, C), n≥3 Dn : so(2n, C), n≥4 g2 GC2 G2 f4 F4C F4 e6 E6C E6 e7 E7C E7 e8 E8C E8 Si può dimostrare che ogni algebra di Lie semplice complessa ammette un’unica forma reale compatta, cioè è l’algebra di Lie di un gruppo compatto. Per esempio, su(2) è la forma reale compatta di sl(2, C) perchè su(2) è l’algebra di Lie di SU (2) che è compatto (infatti è omeomorfo a S 3 ). L’elenco delle algebre di Lie complesse e delle loro forme reali compatte è riportato nella tabella precedente. Gli ultimi cinque gruppi (reali) che compaiono nella tabella prendono il nome di gruppi eccezionali. Essi hanno dimensione: 14, 52, 78, 133, 248, rispettivamente. Consideriamo ora un’altra importante classe di algebre di Lie. Sia g un’algebra di Lie. E’ facile verificare che D1 g = [g, g] è un ideale di g, detto algebra derivata o derivato primo di g. I derivati successivi si definiscono per induzione Dn g = D(Dn−1 g) = Dn−1 g, Dn−1 g . Si ottiene che . . . Dn g ⊆ . . . D2 g ⊆ D1 g ⊆ g e ogni Dn g è un ideale di Dn+1 g. Definizione 1.9.7. Un’algebra di Lie g è risolubile se esiste un intero n tale che Dn g = {0}. Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 51 Esempio. Sia t2 l’algebra di Lie delle matrici triangolari superiori a b t2 = , a, b, c ∈ R . 0 c Dato che 0 0 a b a b 0 ab0 + bc0 − a0 b − b0 c , = , 0 c 0 c0 0 0 si trova 0 α D t2 = , α∈R 0 0 e 0 0 2 D t2 = , 0 0 ossia t2 è risolubile. In modo analogo, si verifica che a11 a22 . . . a1n 0 a . . . a 22 2n tn = , a ∈ R 0 0 . . . . . . ij 0 0 0 ann 1 è risolubile. Sia g un’algebra di Lie. Poniamo g1 = D1 g, g2 = [g, g1 ], . . . , gn = [g, gn−1 ]. Si ha · · · ⊆ g2 ⊆ g1 ⊆ g e ogni gn è un ideale di gn−1 . Definizione 1.9.8. Un’algebra di Lie g si dice nilpotente se esiste un intero n tale che gn = {0}. Si noti che, essendo Dn g ⊆ gn , ogni algebra di Lie nilpotente è anche risolubile. Tuttavia non è vera l’affermazione reciproca. Per esempio, nel caso di g = t2 si ha 0 α 1 1 g =D t2 = , α∈R , 0 0 g2 =[g, g1 ] = [t2 , D1 t2 ] = g1 e, quindi, g1 = g2 = · · · 6= {0}, ossia t2 è risolubile ma non è nilpotente. Invece, l’algebra di Lie delle matrici strettamente triangolari superiori 0 a12 . . . a1n 0 0 . . . . . . , a ∈ R n= ij 0 0 0 an−1n 0 0 0 0 è nilpotente. 52 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Definizione 1.9.9. Un gruppo di Lie è risolubile (nilpotente) se la sua algebra di Lie è risolubile (nilpotente). Valgono le seguenti proprietà. Per le dimostrazioni, si veda [13], oppure [22]. (1) (2) (3) (4) (5) Proprietà 1.9.10. Sia h una sottoalgebra di g. Se g è risolubile (nilpotente) anche h è risolubile (nilpotente). Se g è risolubile (nilpotente) e h è un ideale di g, g/h è risolubile (nilpotente). Se h è un ideale risolubile di g tale che g/h sia risolubile, allora g è risolubile. g è risolubile se e solo se D1 g è nilpotente. (Teorema di Engel). g è nilpotente se e solo se adX è un endomorfismo nilpotente, per ogni X ∈ g (cioè, se esiste un intero n tale che (adX )n = 0). Definizione 1.9.11. Sia g un’algebra di Lie. (1) Il radicale (risolubile) di g è l’unico ideale risolubile massimale r contenuto in g (r è massimale nel senso che contiene ogni ideale risolubile proprio di g). (2) Il radicale nilpotente (o nilradicale) di g è l’unico ideale massimale nilpotente. Si provano i seguenti risultati fondamentali (cfr. [25]). Teorema 1.9.12 (Criterio di Cartan). g è semisemplice se e solo se r = {0}. Teorema 1.9.13 (Levi–Malčev). Ogni algebra di Lie g ammette una decomposizione del tipo g=r+s (somma diretta di spazi vettoriali) dove r è il radicale risolubile e s è una sottoalgebra semisemplice di g. Si noti che, nel teorema precedente, la somma non è diretta rispetto alle algebre di Lie. Però g = r ⊕δ s, dove δ(X) = adX , X ∈ s. Esercizi. 1.9.1 (a) Considerata la seguente base di sl(2, R) 0 1 1 0 0 0 A= , B= , C= , 0 0 0 −1 1 0 calcolare la matrice della forma di Killing e verificare che sl(2, R) è semisemplice. (b) Provare che sl(2, R) è semplice (usare la base precedente per dimostrare che se h 6= {o} è un ideale allora h = sl(2, R)). Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 53 (c) Provare che, in generale, se g è un’algebra di Lie semisemplice di dimensione 3 allora g è semplice. 1.9.2 Sia g un’algebra di Lie reale. Si consideri su g×g la seguente struttura di spazio vettoriale complesso: (X, Y ) + (X 0 , Y 0 ) = (X + X 0 , Y + Y 0 ), (a + ib)(X, Y ) = (aX − bY, bX + aY ), a + ib ∈ C, X, Y, X 0 , Y 0 ∈ g. (a) Verificare che lo spazio vettoriale g × g, dotato del prodotto [(X, Y ), (X 0 , Y 0 )] = ([X, X 0 ] − [Y, Y 0 ], [X, Y 0 ] + [Y, X 0 ]), ha la struttura di algebra di Lie complessa, che si indica con gC e prende il nome di complessificata di g. Identificate le coppie (X, 0) con X e (0, Y ) con iY , gli elementi di gC si scrivono nella forma X + iY , X, Y ∈ g. (b) Provare che su(2) è una forma reale di sl(2, C), ossia che su(2)C = sl(2, C). 1.9.3 Sia G un gruppo di Lie di dimensione 4 e sia (ω 1 , ω 2 , ω 3 , ω 4 ) una base delle 1–forme invarianti a sinistra tale che 1 2 dω = dω = 0 dω 3 = ω 1 ∧ ω 2 4 dω = ω 1 ∧ ω 3 . Verificare che le ω i , i = 1, . . . , 4, soddisfano le equazioni di Maurer– Cartan e che G è nilpotente. 54 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie 1.10. Classificazione delle algebre di Lie reali di dimensione 3 In questo paragrafo, seguendo l’articolo di J. Milnor [19], ci proponiamo di esporre la classificazione completa, a meno di isomorfismi, delle algebre di Lie di dimensione 3. Verranno dati solo i punti essenziali delle dimostrazioni, lasciando i dettagli per esercizio. Sia g un’algebra di Lie reale. Considerata la funzione ϕ : g −→ R, X 7−→ tr(adX ) e tenuto conto che tr ad[X,Y ] = tr[adX , adY ] = 0, si ha ϕ([X, Y ]) = 0, per ogni X, Y ∈ g, in altri termini ϕ è un omomorfismo di algebre di Lie. Di conseguenza, u = ker ϕ è un ideale di g, detto nucleo unimodulare. g si dice unimodulare se g = ker ϕ, ossia se tr(adX ) = 0, per ogni X ∈ g. Supponiamo che dim g = 3 e consideriamo un prodotto scalare < , > : g × g −→ R. Scelto un orientamento su g, si può identificare g con R3 e definire un prodotto vettoriale su g ∧ : g × g −→ g, (X, Y ) 7−→ X ∧ Y. Si noti che ∧ dipende dall’orientamento scelto su g. Proprietà 1.10.1. (1) Esiste un’unica applicazione lineare L : g −→ g tale che L(X ∧ Y ) = [X, Y ], per ogni X, Y ∈ g. (2) g è unimodulare se e solo se L è simmetrica, ossia se < LX, Y >=< X, LY >, per ogni X, Y ∈ g. (3) Se g è unimodulare, esiste una base ortonormale (E1 , E2 , E3 ) di g tale che [E2 , E3 ] = λ1 E1 , [E3 , E1 ] = λ2 E2 , [E1 , E2 ] = λ3 E3 . P P Inoltre, se X = 3i=1 X i Ei , Y = 3i=1 Y i Ei , la forma di Killing B di g assume la seguente espressione B(X, Y ) = −2{λ2 λ3 X 1 Y 1 + λ1 λ3 X 2 Y 2 + λ1 λ2 X 3 Y 3 }. Dimostrazione. (1) Sia (e1 , e2 , e3 ) una base ortonormale positiva di g. Definiamo L(e1 ) = [e2 , e3 ], L(e2 ) = [e3 , e1 ], L(e3 ) = [e1 , e2 ]. Poichè e1 ∧ e2 = e3 , e1 ∧ e3 = −e2 , e2 ∧ e3 = e1 , si vede che L(ei ∧ ej ) = [ei , ej ], i, j = 1, 2, 3 e, quindi, L(X ∧ Y ) = [X, Y ], per ogni X, Y ∈ g. Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, (2) Poniamo L(ei ) = P3 j=1 aji ej . 55 Allora tr adX = X 1 (a23 − a32 ) + X 2 (a31 − a13 ) + X 3 (a12 − a21 ). Dunque tr adX = 0, per ogni X, Y ∈ g se e solo se L è simmetrica. (3) Basta considerare una base ortonormale positiva (E1 , E2 , E3 ) che diagonalizzi L (tale base esiste perchè L è simmetrica). La classificazione cercata verrà suddivisa in due casi, a seconda che g sia o meno unimodulare. Supponiamo che g sia unimodulare. Considerata una base ortonormale positiva (E1 , E2 , E3 ) che diagonalizza L e indicati con λ1 , λ2 , λ3 gli autovalori di L, si presentano le seguenti possibilità: 1) λ1 λ2 λ3 6= 0; 2) λ1 λ2 6= 0, λ3 = 0; 3) λ1 6= 0, λ2 = λ3 = 0; 4) λ1 = λ2 = λ3 = 0. Osservazioni. Si hanno, nei vari casi, le seguenti situazioni. 1) B è non degenere, cioè g è semisemplice. Dato che dim g = 3, g è semplice (cfr. Esercizio 1.9.1). 2) Poichè [E2 , E3 ] = λ1 E1 , [E3 , E1 ] = λ2 E2 , [E1 , E2 ] = 0, si ha D1 g =L(E1 , E2 ), D2 g ={0} cioè g è risolubile. Ma g2 = [g, D1 g] = L(E1 , E2 ) = g1 e, quindi, g non può essere nilpotente. 3) Si ha [E2 , E3 ] = λ1 E1 , [E3 , E1 ] = [E1 , E2 ] = 0. Quindi D1 g = L(E1 ) e g2 = [g, D1 g] = {0}, ossia g è nilpotente. 4) g è abeliana ed è isomorfa a R3 . Esaminiamo, ora, più in dettaglio i singoli casi. Caso 1. Le segnature possibili di B sono (0, 3) e (1, 2). Poichè B è invariante per isomorfismi, ci sono almeno due algebre di Lie non isomorfe. Consideriamo, allora, i seguenti sottocasi. 56 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie 1.a) λ1 > 0, λ2 > 0, λ3 > 0. Considerata la nuova base 1 1 1 E1 , U2 = √ E2 , U 3 = √ E3 , U1 = √ λ2 λ3 λ1 λ3 λ1 λ2 si ha [U2 , U3 ] = U1 , [U3 , U1 ] = U2 , [U1 , U2 ] = U3 e si trova un’algebra di Lie isomorfa a su(2). 1.b) λ1 > 0, λ2 > 0, λ3 < 0. Si pone 1 1 1 U1 = √ E1 , U2 = √ E2 , U3 = √ E3 , −λ2 λ3 −λ1 λ3 λ1 λ2 da cui si ricava [U2 , U3 ] = U1 , [U3 , U1 ] = U2 , [U1 , U2 ] = −U3 . Le corrispondenti algebre di Lie sono isomorfe a sl(2, R). Caso 2. Si presentano due sottocasi: λ1 > 0, λ2 > 0 oppure λ1 > 0, λ2 < 0. 2.a) λ1 > 0, λ2 > 0 implicano B(X, X) ≥ 0. Come prima, si può costruire una base (U1 , U2 , U3 ) tale che [U2 , U3 ] = U1 , [U3 , U1 ] = U2 , [U1 , U2 ] = 0. Si noti che h = L(U1 , U2 ) è un ideale abeliano, quindi, g è isomorfa alla somma semidiretta R2 ⊕δ R di R2 con R, dove 0 −1 δ(U3 ) = 1 0 (R2 ∼ = h = L(U1 , U2 ), R ∼ = k = L(U3 )). g è isomorfa all’algebra di Lie di E(2), gruppo dei movimenti rigidi del piano. 2.b) λ1 > 0, λ2 < 0 implicano B(X, X) ≤ 0. Le corrispondenti algebre di Lie non sono isomorfe alle precedenti. In questo caso, in una base opportuna, si ha [U2 , U3 ] = U1 , [U3 , U1 ] = −U2 , [U1 , U2 ] = 0. Anche qui h = L(U1 , U2 ) è un ideale abeliano e g è isomorfa all’algebra di Lie dei movimenti rigidi del piano di Minkowski E(1, 1) = R2 oα R dove t e 0 α(t) = . 0 e−t Caso 3. Posto U1 = λ1 E1 , U2 = E2 , U3 = E3 , si ha [U2 , U3 ] = U1 , [U3 , U1 ] = [U1 , U2 ] = 0. Allora h = L(U1 , U2 ) è un ideale abeliano e g è isomorfa alla somma semidiretta R2 ⊕δ R, dove 0 t δ(t) = . 0 0 Si tratta dell’algebra di Lie del gruppo di Heisenberg He. Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 57 Riassumendo, nel caso unimodulare, si ha la seguente tabella (la tilde significa: ricoprimento universale). Segnatura di B Algebra di Lie Tipo Gruppi di Lie semplicemente connessi +++ su(2) semplice SU (2) ∼ = Sp(1) ++− sl(2, R) semplice ^R) SL(2, ++0 R2 ⊕ δ R risolubile ] = R2 oα R E(2) +−0 R2 ⊕ δ R risolubile E(1, 1) = R2 oα R +00 R2 ⊕ δ R nilpotente He 000 R abeliana R3 Nel caso non unimodulare, si prova il Teorema 1.10.2. Sia g un’algebra di Lie di dimensione 3 non unimodulare. Allora esiste una base (U1 , U2 , U3 ) di g tale che [U1 , U2 ] = αU2 + βU3 , [U1 , U3 ] = γU2 + δU3 , [U2 , U3 ] = 0, dove α, β, γ, δ ∈ R e α + δ = 2. Se α γ A= 6= I, β δ allora det(A) è un invariante per isomorfismi, cioè due algebre di Lie g e h sono isomorfe se e solo se det(A) = det(A0 ). Tutte le algebre di Lie di questo tipo sono risolubili ma non nilpotenti; u = L(U2 , U3 ) è un ideale abeliano e g è isomorfa alla somma semidiretta di u ∼ = R2 e R. Dimostrazione. Sia u il nucleo unimodulare di g. Dato che g non è unimodulare, ϕ : g −→ R, X 7−→ tr adX è una forma lineare non nulla e dim u = 2. Si verifica che u è abeliano. Sia (U2 , U3 ) una base di u. Allora [U2 , U3 ] = 0. 58 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Consideriamo un elemento U1 ∈ g che non appartenga ad u. Dato che tr adU1 6= 0, si può supporre tr adU1 = 2. Introdotto il seguente endomorfismo ψ : u −→ u, X 7−→ [U1 , X] = adU1 (X). si presentano due possibilità 1) ψ(X) = λX, per ogni X ∈ u; 2) esiste un Y ∈ u tale che Y e ψ(Y ) sono linearmente indipendenti. I due casi danno luogo ad algebre di Lie non isomorfe. Caso 1) Dato che adU1 (X) = ψ(X) = λX e tr adU1 = 2, deve essere λ = 1, quindi [U1 , U2 ] = U2 , [U1 , U3 ] = U3 , cioè A= [U2 , U3 ] = 0, 1 0 . 0 1 Caso 2) Poichè u è un ideale [U1 , U2 ] = αU2 + βU3 , [U1 , U3 ] = γU2 + δU3 , [U2 , U3 ] = 0, vale a dire adU1 0 0 0 = 0 α γ 0 β δ e tr adU1 = α + δ = 2. Resta da provare che det(A) determina completamente la classe di isomorfismo. Ciò si ottiene costruendo una base di g che dipende solo da det(A). Consideriamo V2 , V3 ∈ u tali che V3 = ψ(V2 ) e V2 siano linearmente indipendenti. Posto V1 = U1 , (V1 , V2 , V3 ) è una base di g tale che [V1 , V2 ] = ψ(V2 ) = V3 , [V1 , V3 ] = ψ(V3 ) = hV2 + kV3 , [V2 , V3 ] = 0. 0 h Poichè ψ = adU1 |u , le matrici A e B = sono simili. Quindi 1 k k = tr B = tr A = 2 e −h = det B = det A, cioè [V1 , V2 ] = ψ(V2 ) = V3 , [V1 , V3 ] = ψ(V3 ) = − det(A)V2 + 2V3 , [V2 , V3 ] = 0. Se g e g0 sono tali che det(A) = det(A0 ), scegliendo basi del tipo precedente, si individua un isomorfismo tra g e g0 . Esercizi. Capitolo 1 – Gruppi e algebre di Lie, 59 1.10.1 Sia g un’algebra di Lie di dimensione 3 non unimodulare. Provare che il nucleo unimodulare di g è un ideale abeliano. 1.10.2 Sia g un’algebra di Lie reale di dimensione 3 e sia (E1 , E2 , E3 ) una sua base. (a) provare che se [E1 , E2 ] = ±E3 , [E1 , E3 ] = −E2 , [E2 , E3 ] = E1 , allora g è isomorfa a su(2) (nel caso del segno +), oppure a sl(2, R) (nel caso del segno –). (b) Trovare l’algebra di Lie g0 del ricoprimento universale gruppo ] = R2 oα R, dove delle isometrie del piano E(2) cos t − sin t α(t) = . sin t cos t Verificare che se [E1 , E2 ] = 0, [E1 , E3 ] = −E2 , [E2 , E3 ] = E1 , g0 . g è isomorfa a (c) Trovare l’algebra di Lie g0 del ricoprimento universale del gruppo ^ delle isometrie del piano di Minkowski E(1, 1) = R2 oα R, dove t e 0 α(t) = . 0 e−t Verificare che se [E1 , E2 ] = 0, g è isomorfa a g0 . [E1 , E3 ] = E2 , [E2 , E3 ] = E1 , 60 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie 1.11. Gruppi di Lie di dimensione 4 I risultati riportati in questo paragrafo, tratti dall’articolo di L. Bèrard Bergery [3], sono una rilettura in chiave moderna dell’articolo di S. Ishihara, [14]. Si rimanda ad [14] per le dimostrazioni. Lo scopo è quello di dare la classificazione dei gruppi di Lie, connessi e semplicemente connessi, di dimensione 4. I risultati principali sono i seguenti. Teorema 1.11.1. Un gruppo di Lie, di dimensione 4, connesso e semplicemente connesso, è isomorfo ad uno dei seguenti gruppi (1) G gruppo di Lie risolubile, (2) SU (2) × R, ^R) × R, (SL(2, ^R) indica il rivestimento universale di SL(2, R), (3) SL(2, che è diffeomorfo a R3 ). Teorema 1.11.2. Sia G un gruppo di Lie risolubile, connesso e semplicemente connesso, di dimensione 4. Allora esiste un sottogruppo G0 di G, di dimensione 3, risolubile, unimodulare, semplicemente connesso, tale che G = G0 oφ R, dove φ(R) è un gruppo ad un parametro di automorfismi di G0 . Dal teorema precedente segue che, per classificare tutti i gruppi di Lie risolubili di dimensione 4, è sufficiente considerare i sottogruppi di dimensione 3, risolubili, unimodulari, semplicemente connessi, e i loro gruppi di automorfismi. Più precisamente, facendo riferimento alla classificazione riportata nel paragrafo precedente, si ha Teorema 1.11.3. I gruppi di Lie risolubili, connessi e semplicemente connessi, di dimensione 4 sono isomorfi ad uno dei gruppi seguenti: ] oα R, con E(2) ] rivestimento universale del gruppo dei movimenti (1) E(2) rigidi del piano euclideo; (2) E(1, 1) oα R, con E(1, 1) gruppo dei movimenti rigidi del piano di Minkowski; (3) He oα R, con He gruppo di Heisenberg; (4) R3 oα R. CAPITOLO 2 Richiami di geometria Riemanniana In questo capitolo si intendono riassumere le nozioni di geometria Riemanniana che, nel prossimo capitolo, saranno applicate ai gruppi di Lie. Per maggiori dettagli, dimostrazioni ed esempi, si consiglia la consultazione dei testi [5], [23], [17], indicati in Bibliografia. 2.1. Varietà Riemanniane ed isometrie Nel corso di tutto il Capitolo si indicherá con M una varietá differenziabile C ∞ , paracompatta, di dimensione n. Inoltre, X(M ) e F(M ) saranno, rispettivamente, l’algebra di Lie dei campi vettoriali C ∞ su M e l’anello delle funzioni C ∞ su M a valori reali. Si ricordi che una varietà differenziabile M si dice paracompatta se ogni suo ricoprimento aperto ammette un raffinamento localmente finito. È noto che ogni varietà differenziabile, di Hausdorff e con base numerabile, è paracompatta e, per questo motivo, ammette sempre una partizione dell’unità subordinata ad ogni ricoprimento aperto. Definizione 2.1.1. Una metrica Riemanniana g su M è una funzione che ad ogni punto p di M associa un prodotto scalare gp , definito sullo spazio tangente Tp M , che dipende differenziabilmente da p. Più precisamente, per ogni coppia X, Y di campi vettoriali C ∞ su M , l’applicazione p 7−→ gp (Xp , Yp ), X, Y ∈ X(M ) è differenziabile di classe C ∞ . La Definizione 2.1.1 è equivalente alla seguente Definizione 2.1.2. Una metrica Riemanniana g su M è un campo tensoriale due volte covariante, simmetrico, definito positivo. In altri termini, una metrica Riemanniana è un’applicazione g : X(M ) × X(M ) −→ F(M ) F(M )–bilineare, simmetrica g(X, Y ) = g(Y, X), X, Y ∈ X(M ), e definita positiva, ossia gp (x, x) ≥ 0 e gp (x, x) = 0 ⇔ x = 0, p ∈ M, x ∈ Tp M. Osservazioni. p 1) Se x ∈ Tp M , la norma del vettore x è il numero reale kxk = gp (x, x). 61 62 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie 2) Se si richiede che g sia solamente non degenere, ma non necessariamente definita positiva, g prende il nome di metrica Riemanniana indefinita o metrica pseudo–Riemanniana. Definizione 2.1.3. La coppia (M, g) si dice varietà Riemanniana. Si possono dimostrare le seguenti proprietà. (1) Se U è un aperto di M , la restrizione ad U della funzione g(X, Y ) dipende solo dalle restrizioni dei campi vettoriali X e Y a U . Pertanto ogni metrica Riemanniana su M induce una metrica Riemanniana su ogni aperto U di M. (2) Viceversa, dato un ricoprimento aperto R di M, se per ogni U ∈ R è assegnata una metrica Riemanniana gU tale che per ogni V di R, con U ∩ V 6= ∅, si abbia gU = gV su U ∩ V , allora esiste un’unica metrica Riemanniana g definita globalmente su M tale che g |U = gU . (3) Dalle osservazioni precedenti segue che per assegnare una metrica Riemanniana g su M è sufficiente considerare un atlante di M e definire g su ogni carta locale, rispettando certe condizioni di compatibilità che ora saranno precisate. Sia (U, x1 , x2 , . . . , xn ) una carta locale; considerati due campi vettoriali locali X= n X i=1 ∂ , X ∂xi i Y = n X Yj j=1 ∂ , ∂xj X i , Y j ∈ F(U ) (F(U ) indica l’anello delle funzioni C ∞ su U a valori reali), si ha la seguente espressione n X g(X, Y ) = X i Y j gij , i,j=1 ∂ ∂ , j . Le funzioni gij prendono il nome di compoi ∂x ∂x nenti locali di g rispetto alle coordinate (x1 , x2 , . . . , xn ). Sia (V, y 1 , y 2 , . . . , y n ) un’altra locale tale che U ∩ V 6= ∅. Tenuto conto che n X ∂ ∂xi ∂ = , ∂y α ∂y α ∂xi i=1 ∂ ∂ le componenti locali gαβ = g , nei punti di U ∩ V verificano ∂y α ∂y β le seguenti condizioni di compatibilità dove gij = g (∗) gαβ = n X ∂xi ∂xj gij . ∂y α ∂y β i,j=1 (4) Da quanto si è visto, dare una metrica Riemanniana su M equivale ad assegnare, per ogni aperto di un ricoprimento di M , n(n+1) funzioni gij 2 tali che la matrice (gij ) sia in ogni punto simmetrica, definita positiva Capitolo 2 – Richiami di geometria Riemanniana 63 e valgano le condizioni di compatibilità (∗). Il tensore metrico assume, quindi, la seguente espressione locale g= n X gij dxi ⊗ dxj . i,j=1 La forma quadratica associata a tale forma bilineare si indica solitamente con (∗, ∗) n X 2 ds = gij dxi dxj , i,j=1 dove dxi dxj è il prodotto simmetrico di due tensori, dato da 1 dxi dxj = (dxi ⊗ dxj + dxj ⊗ dxi ). 2 ds2 prende il nome di elemento d’arco; tale denominazione è collegata alla nozione di distanza tra due punti (cfr. punto (7)). (5) Usando la partizione dell’unità, è possibile provare che ogni varietà differenziabile ammette sempre una metrica Riemanniana. Si noti che questa proprietà non vale nel caso delle metriche Riemanniane indefinite; infatti non è sempre possibile costruire metriche di assegnata segnatura su una varietà differenziabile qualsiasi. Per esempio, sulle varietà compatte non esistono metriche di segnatura (1, n − 1) (le cosiddette metriche di Lorentz). (6) Data una carta locale (U, x1 , x2 , . . . , xn ), applicando il procedimento di ∂ ∂ ∂ , 2,..., , si ortogonalizzazione di Gram-Schmidt ai campi 1 ∂x ∂x ∂xn possono costruire n campi vettoriali locali E1 , E2 , ..., En tali che g(Ei , Ej ) = δij . In altri termini, su ogni aperto di M esistono sempre dei riferimenti ortonormali locali che, in generale, non si estendono a dei riferimenti globali. Se (θ1 , θ2 , . . . , θn ) è il riferimanto duale di (E1 , E2 , . . . , En ), allora il tensore metrico g assume la seguente semplice espressione g= n X θi ⊗ θi . i=1 Tuttavia, in certi casi usare è più opportuno il riferimento coordinato ∂ ∂ ∂ ∂ ∂ , , . . . , n dato che , = 0, in contrasto col fatto ∂x1 ∂x2 ∂x ∂xi ∂xj ∂ ∂ ∂ che, in generale, [Ei , Ej ] 6= 0. D’altra parte, , ,... , ha ∂x1 ∂x2 ∂xn lo svantaggio non essere quasi mai un riferimento ortonormale. (7) Sia (M, g) una varietà Riemanniana connessa. A partire dalla metrica g è possibile introdurre la nozione di distanza di due punti di M . Considerata una curva γ su M γ : [a, b] ⊂ R −→ M, 64 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie differenziabile a tratti, di classe almeno C 1 , la sua lunghezza è data da Z b Z bq gγ(t) (γ̇(t), γ̇(t))dt = kγ̇(t)kdt. Lγ = a a Si può dimostrare che Lγ non dipende dalla parametrizzazione scelta. Consideriamo la funzione Z tq s(t) = Lγ (t) = gγ(t) (γ̇(t), γ̇(t))dt, a che, da un punto di vista geometrico, rappresenta la lunghezza dell’arco di curva compreso tra i punti γ(a) e γ(t). Se (U, x1 , x2 , . . . , xn ) è una carta locale, le coordinate di γ(t) sono (x1 (t), x2 (t), . . . , xn (t)), dove xi (t) = (xi ◦ γ)(t). Quindi 1 2 Z t X n dxi dxj dt. s(t) = Lγ (t) = gij (x(t)) dt dt a i,j=1 Questa espressione giustifica sia la denominazione di elemento d’arco per la forma quadratica (**) sia la notazione ds2 . Dati due punti p, q ∈ M , si definisce la distanza d(p, q) tra p e q come l’estremo inferiore delle lunghezze di ogni curva γ, differenziabile a tratti, di classe almeno C 1 , che unisce p a q. Si verifica che (M, d) è uno spazio metrico e che la topologia di M coincide con la topologia di spazio metrico indotta dalla distanza. Definizione 2.1.4. Siano (M, g) e (M 0 , g 0 ) due varietà Riemanniane. Un diffeomorfismo f : M −→ M 0 si dice isometria se f ∗ g 0 = g, ossia se (f ∗ g 0 )p (x, y) = gf0 (p) (f∗|p x, f∗|p y) = gp (x, y), per ogni p ∈ M e x, y ∈ Tp M . In altri termini, per ogni p ∈ M , il differenziale f∗|p : Tp M −→ Tf (p) M 0 è un’isometria lineare tra gli spazi vettoriali euclidei (Tp M, gp ) e (Tf (p) M 0 , gf0 (p) ). Si possono dimostrare le seguenti proprietà. (1) Un’isometria tra due varietà Riemanniane (M, g) e (M 0 , g 0 ) induce un’isometria, nel senso degli spazi metrici, tra (M, d) e (M 0 , d0 ) e viceversa. (2) L’insieme I(M ) di tutte le isometrie di una varietà Riemanniana in sè è un gruppo rispetto alla composizione di isometrie. Si può, inoltre, considerare su I(M ) la topologia compatta aperta e definire una struttura di varietà differenziabile in modo tale che I(M ) risulti essere un gruppo di Lie. In tal caso, n(n + 1) 2 Questo importante risultato si deve a Myers e dim I(M ) ≤ dove n = dim M . Steenrood, [20]. Capitolo 2 – Richiami di geometria Riemanniana 65 È possibile dimostrare che se dimI(M ) = n(n+1) , allora (M, g) ha 2 curvatura sezionale costante (per la definizione si veda il successivo §II.3). L’algebra di Lie di I(M ) coincide con l’algebra di Lie dei campi di Killing completi su M (per i dettagli si veda, per esempio, ([17], Vol. I, pag. 236). Si noti che il gruppo dei diffeomorfismi di M non è un gruppo di Lie. Definizione 2.1.5. Siano (M, g) e (M 0 , g 0 ) due varietà Riemanniane. Una funzione differenziabile f : M −→ M 0 si dice isometria locale se, per ogni p ∈ M , f∗|p : Tp M −→ Tf (p) M è un’isometria lineare di spazi vettoriali euclidei. Come diretta conseguenza del teorema della funzione inversa, si ha che se f è un’isometria locale,per ogni punto p di M , esistono un intorno U di p e un intorno U 0 di f (p) tali che f |U : U −→ U 0 sia un diffeomorfismo. Ad esempio, la sfera S n e lo spazio proiettivo reale RPn sono localmente (ma non globalmente) isometrici. Un problema importante in geometria Riemanniana è quello di capire quando due varietà Riemanniane sono isometriche, almeno localmente. In molti casi, una risposta soddisfaciente si ottiene mediante il confronto di particolari campi tensoriali che sono invarianti per isometrie, detti invarianti Riemanniani. Nei prossimi paragrafi saranno introdotti alcuni importanti invarianti Riemanniani. Esempi. (1) M = Rn con la metrica euclidea gE è un esempio di varietà Riemanniana. Se (x1 , x2 , . . . , xn ) è il sistema di coordinate globali standard su Rn , si ha gE = dx1 ⊗ dx1 + dx2 ⊗ dx2 + · · · + dxn ⊗ dxn . ∂ ∂ ∂ , , . . . , n è un riferimento Si osservi che, in questo caso, ∂x1 ∂x2 ∂x ortonormale globale. Si può verificare facilmente che il gruppo delle isometrie di Rn , rispetto alla metrica euclidea, è dato da I(Rn ) = {f : Rn −→ Rn /f (x) = Ax + a, A ∈ O(n), a ∈ Rn }, con il prodotto (si identifica f ∈ I(Rn ) con la coppia (a, A)) (a, A)(a0 , A0 ) = (Aa0 + a, AA0 ), A, A0 ∈ O(n), a, a0 ∈ Rn . Pertanto, I(Rn ) è il prodotto semidiretto di O(n) e Rn . (2) Siano (M, g) e (M 0 , g 0 ) due varietà Riemanniane di dimensione n ed m, rispettivamente. La varietà differenziabile prodotto M × M 0 può essere dotata, in modo naturale, di una metrica prodotto ge definita su ogni 66 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie spazio tangente T(p,p0 ) (M × M 0 ) ∼ = Tp M ⊕ Tp0 M 0 , p ∈ M, p0 ∈ M 0 , nel modo seguente ge(p,p0 ) (v + v0 , w + w0 ) = gp (v, w) + gp0 0 (v0 , w0 ), per ogni v, w ∈ Tp M e v0 , w0 ∈ Tp0 M 0 . Se (U, x1 , . . . , xn ) è una carta locale di M tale che n X g= gij dxi ⊗ dxj i,j=1 e se (V, y 1 , . . . , y m ) è carta locale di M 0 rispetto alla quale m X g0 = gab dy a ⊗ dy b , a,b=1 l’espressione locale di ge, rispetto alla carta (U ×V, x1 , . . . , xn , y 1 , . . . , y m ) di M × M 0 , è n m X X i j gab dy a ⊗ dy b . ge = gij dx ⊗ dx + i,j=1 a,b=1 (3) Siano M ed M 0 due varietà differenziabili e f : M −→ M 0 un’immersione (cfr. Definizione 1.6.1). Data una metrica Riemanniana g 0 su M 0 , la metrica g = f ∗ g 0 è una metrica Riemanniana su M , detta metrica indotta. Se M è una sottovarietà di M 0 , ossia f è iniettiva, la coppia (M, g) prende il nome di sottovarietà Riemanniana di (M 0 , g 0 ). Per esempio, la sfera n X n 1 n n S (r) = {(x , . . . , x ) ∈ R / (xi )2 = r2 }, i=1 Rn+1 di raggio r ≥ 0, è una sottovarietà di e la metrica standard su S n (r) è la metrica indotta dalla metrica euclidea di Rn+1 (cfr. punto (1)). Si può dimostrare che il gruppo delle isometrie di S n coincide col gruppo ortogonale O(n + 1). (4) Sul toro T n = |S 1 × ·{z · · × S }1 si può considerare la metrica Riemanniana n volte prodotto della metrica standard di S 1 (indotta dalla metrica euclidea di R2 ). In questo caso, T n prende il nome di toro piatto. Esercizio. 2.1.1 Si consideri la sfera S n (r) come sottovarietà di Rn+1 . Si dia l’espressione in coordinate locali della metrica di S n (r), indotta dalla metrica euclidea di Rn+1 . Capitolo 2 – Richiami di geometria Riemanniana 67 2.2. Connessioni su varietà Riemanniane È noto che in Rn ha senso parlare di derivata direzionale di un campo tensoriale rispetto ad un campo vettoriale. Per poter estendere tale concetto ad una varietà differenziabile qualsiasi è necessario considerare dei particolari operatori, detti connessioni lineari, che hanno le stesse proprietà formali della derivata direzionale. Definizione 2.2.1. Una connessione lineare ∇ su una varietà differenziabile M è un’applicazione ∇ : X(M ) × X(M ) −→ X(M ), (X, Y ) 7→ ∇X Y, per cui valgono le seguenti proprietà (1) ∇ è F(M )–lineare rispetto ad X, ossia ∇f X Y = f ∇X Y, X, Y ∈ X(M ), f ∈ F(M ). (2) ∇ è una F(M )–derivazione rispetto ad Y , ossia ∇X f Y = X(f )Y + f ∇X Y, X, Y ∈ X(M ), f ∈ F(M ). L’operatore ∇X prende il nome di derivata covariante rispetto al campo vettoriale X. Esempi. Pn P ∂ j ∂ (1) Sia M = Rn . Dati i campi vettoriali X = ni=1 X i ∂x i, Y = j=1 Y ∂xj , X i , Y j ∈ F(Rn ), l’applicazione ∇ definita da ∇X Y = n X i=1 n X ∂Y i ∂ ∂ Xj j X(Y ) i = ∂x ∂x ∂xi i i,j=1 è una connessione lineare che, in questo caso, coincide con la derivata direzionale di Y rispetto ad X. (2) Siano G un gruppo di Lie e g la sua algebra di Lie. Data un’applicazione bilineare ψ : g × g −→ g, poniamo ∇X Y = ψ(X, Y ), per ogni X, Y ∈ g, ed estendiamo la definizione di ∇ a tutti i campi vettoriali su G mediante gli assiomi (1) e (2) della Definizione 2.2.1. In questo modo si ottiene una connessione lineare su G. Scelte particolari di ψ individuano alcune importanti connessioni; ad esempio, se ψ è identicamente nulla si ha la cosiddetta (−)connessione di CartanSchouten (cfr. [17], Vol. I, pag. 198). Ritornando al caso generale, data una connessione lineare ∇ su una varietà differenziabile M , si dimostrano i seguenti fatti. (1) Se U ⊆ M è un aperto, la restrizione di ∇X Y ad U dipende solo dalle restrizioni ad U di X e Y , vale a dire: considerati altri campi vettoriali X 0 , Y 0 ∈ X(M ) tali che X 0 |U = X|U e Y 0 |U = Y |U , allora (∇X Y )|U = (∇X 0 Y 0 )|U . 68 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie (2) Assegnare una connessione lineare su M equivale ad assegnare una connessione su ogni aperto di un ricoprimento R di M , rispettando opportune condizioni di compatibilità sull’intersezione degli aperti. (3) Mediante la partizione dell’unità, si prova che ogni varietà differenziabile ammette sempre infinite connessioni lineari. Determiniamo l’espressione in coordinate locali del campo Pnvettoriale ∂ 1 n ∇X Y . Se (U, x , . . . , x ) è una carta locale su M , allora X = i=1 X i ∂x i, Pn Y = j=1 Y j ∂x∂ j , dove X i , Y j ∈ F(U ). Tenuto conto della Definizione 2.1, si ha n n X X ∂ ∂ ∂ j j j = ∇X Y = ∇X Y X(Y ) j + Y ∇X j . ∂xj ∂x ∂x j=1 j=1 Dato che n ∇X X ∂ ∂ = , X i∇ ∂ j ∂xj ∂xi ∂x i=1 il campo vettoriale ∇X Y |U è noto quando sono noti i campi ∇ ∂ ∂xi ∂ . ∂xj Posto n ∇ dove Γkij ∂ ∂xi X ∂ ∂ = Γkij k , j ∂x ∂x k=1 ∈ F(U ), l’espressione in coordinate locali della connessione ∇ è n n X X ∂ X(Y k ) + ∇X Y = Γkij X i Y j k . ∂x i,j=1 k=1 Le funzioni Γkij sono le componenti locali della connessione sull’aperto U e prendono il nome di simboli di Christoffel. Se (V, y 1 , . . . , y n ) è un’altra carta locale di M tale che U ∩ V 6= ∅, posto n ∇ ∂ ∂y a X ∂ ec ∂ , = Γ ab b ∂y c ∂y c=1 e c nei punti di la relazione che intercorre tra le componenti locali Γkij e Γ ab U ∩ V è n n 2 k i j k X X k ∂x ∂x e c ∂x = ∂ x + Γ Γ . ij ab ∂y c ∂y a ∂y b ∂y a ∂y b c=1 ij=1 Introduciamo ora due importanti campi tensoriali associati ad una connessione lineare. Definizione 2.2.2. Sia ∇ una connessione lineare su una varietà differenziabile M . La torsione di ∇ è il campo tensoriale T di tipo (1, 2) definito da T : X(M ) × X(M ) −→ X(M ), (X, Y ) 7→ T (X, Y ) = ∇X Y − ∇Y X − [X, Y ]. Capitolo 2 – Richiami di geometria Riemanniana 69 La curvatura di ∇ è il campo tensoriale R di tipo (1, 3) dato da R : X(M ) × X(M ) × X(M ) −→ X(M ), (X, Y, Z) 7→ RXY Z = ∇[X,Y ] Z − [∇X , ∇Y ]Z. Osservazioni. (1) T ed R sono campi tensoriali per i quali valgono le seguenti proprietà di antisimmetria T (X, Y ) = −T (Y, X), RXY Z = −RY X Z, per ogni X, Y, Z ∈ X(M ). (2) Il segno della curvatura nella Definizione 2.2.2 è quello adottato da J. Milnor ([19]) ed è opposto a quello scelto da S. Kobayashi e K. Nomizu ([17]). L’operazione di derivazione covariante può essere estesa a campi tensoriali di tipo qualsiasi. Tuttavia, per semplicità daremo la definizione solo nel caso dei campi tensoriali che verranno usati in seguito. Definizione 2.2.3. La derivata covariante di un campo tensoriale, rispetto ad un campo vettoriale X, è definita nel modo seguente − se f ∈ F(M ), ∇X f = X(f ) = df (X); − se α è un campo tensoriale di tipo (0, k), vale a dire un’applicazione F(M )–multilineare α : X(M ) × · · · × X(M ) −→ F(M ), {z } | k volte allora (∇X α)(X1 , . . . , Xk ) = X(α(X1 , . . . , Xk )) − k X α(X1 , . . . , ∇X Xi , . . . , Xk ); i=1 − se A è un campo tensoriale di tipo (1, k), cioè un’applicazione F(M )– multilineare A : X(M ) × · · · × X(M ) −→ X(M ) | {z } k volte allora (∇X A)(X1 , . . . , Xk ) = ∇X (A(X1 , . . . , Xk )) − k X A(X1 , . . . , ∇X Xi , . . . , Xk ), i=1 dove X, X1 , . . . , Xk ∈ X(M ). Il differenziale covariante di un campo tensoriale è dato da ∇α(X; X1 , . . . , Xk ) = (∇X α)(X1 , . . . , Xk ), se α è un campo tensoriale di tipo (0, k), e da ∇A(X; X1 , . . . , Xk ) = (∇X A)(X1 , . . . , Xk ), se A è un campo tensoriale di tipo (1, k). 70 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Osservazioni. (1) Se α è un campo tensoriale di tipo (0, k), ∇α è un campo tensoriale di tipo (0, k+1). (2) Se A è un campo tensoriale di tipo (1, k), ∇A è un campo tensoriale di tipo (1, k+1). Le dimostrazioni di queste proprietà sono lasciate per esercizio (Esercizio 2.2.3). Una connessione ∇ su una varietà Riemanniana (M, g) si dice metrica se ∇g = 0. In base alla definizione precedente, ciò equivale alla condizione Xg(Y, Z) = g(∇X Y, Z) + g(Y, ∇X Z), per ogni X, Y, Z ∈ X(M ). Teorema 2.2.4 (Lemma fondamentale della geometria Riemanniana). Su una varietà Riemanniana (M, g) esiste ed unica una connessione lineare ∇ che sia (1) priva di torsione (T = 0, ovvero ∇X Y −∇Y X = [X, Y ], per ogni X, Y ∈ X(M )), (2) metrica. Tale connessione prende il nome di connessione di Levi Civita o connessione Riemanniana. Dimostrazione. Cenno di dimostrazione Siano X, Y ∈ X(M ). Definiamo ∇X Y come l’unico campo vettoriale tale che (∗) 2g(∇X Y, Z) = Xg(Y, Z) + Y g(Z, X) − Zg(X, Y ) + g([X, Y ], Z) − g([Y, Z], X) + g([Z, X], Y ), per ogni Z ∈ X(M ). Si noti che, essendo gp un prodotto scalare su ogni spazio tangente Tp M , la definizione (*) è una buona definizione. Infatti, se gp (x, y) = gp (x0 , y), per ogni y ∈ Tp M , si ha gp (x − x0 , y) = 0 e, poichè gp è non degenere, si deduce x − x0 = o, cioè x = x0 . Si lascia per esercizio (Esercizio 2.2.4) il provare che la (*) definisce un’unica connessione lineare priva di torsione e metrica. Osservazioni. (1) I simboli di Christoffel di una connessione di Levi Civita verificano la condizione Γkij = Γkji in quanto la torsione è nulla. Mediante la relazione (*), è possibile esprimere i simboli di Christoffel in funzione delle componenti locali della metrica n X 1 ∂gjk ∂gki ∂gij l + − . Γij glk = 2 ∂xi ∂xj ∂xk l=1 Capitolo 2 – Richiami di geometria Riemanniana 71 (2) È immediato verificare che la connessione lineare ∇X Y , definita nell’esempio (1) di pag. 67, coincide con la connessione di Levi Civita della metrica euclidea gE di Rn . In questo caso, i simboli di Christoffel sono tutti nulli. (3) Se ∇ è la connessione di Levi Civita di (M, g) e se f è un’isometria, allora f∗ (∇X Y ) = ∇f∗ X f∗ Y, X, Y ∈ X(M ). In altri termini, ∇ è invariante per isometrie. Esercizi. 2.2.1 Siano (U, x1 , . . . , xn ) e (V, y 1 , . . . , y n ) due carte locali, ad intersezione non vuota, di un atlante di una varietà differenziabile M . Si determini la relazione intercorrente tra le componenti locali di una connessione lineare ∇, definita su M , nei punti di U ∩ V . 2.2.2 Sia ∇ una connessione lineare su una varietà differenziabile M . (1) Verificare che la torsione T di ∇ è un campo tensoriale di tipo (1, 2), antisimmetrico. (2) Verificare che la curvatura R di ∇ è un campo tensoriale di tipo (1, 3), antisimmetrico rispetto ai primi due argomenti. 2.2.3 Sia α un campo tensoriale di tipo (0, k) definito su di una varietà differenziabile M e sia ∇ una connessione lineare su M . Si provi che ∇α è un campo tensoriale di tipo (0, k + 1). Si verifichi che, nel caso di un campo tensoriale A di tipo (1, k), ∇A è un campo tensoriale di tipo (1, k + 1). 2.2.4 Si completi la dimostrazione del Teorema 2.2.4. 72 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie 2.3. Tensori di curvatura Siano (M, g) una varietà Riemanniana e ∇ la sua connessione di Levi Civita. Definizione 2.3.1. Il tensore di curvatura Riemanniano è il campo tensoriale di tipo (0, 4), denotato ancora con R, definito da RXY ZW = g(RXY Z, W ), per ogni X, Y, Z, W ∈ X (M ) (il tensore R che compare a secondo membro è la curvatura di ∇, cfr. Definizione 2.2.2). Proprietà 2.3.2. Il tensore di curvatura Riemanniano verifica le seguenti proprietà: (1) RXY ZW = −RY XZW , (2) RXY ZW = −RXY W Z , (3) RXY ZW = RZW XY , (4) SXY Z RXY ZW = 0, (Prima identità di Bianchi), (5) SXY Z (∇X R)Y ZW U = 0, (Seconda identità di Bianchi), per ogni X, Y, Z, W, U ∈ X (M ) (SXY Z denota la somma rispetto alle permutazioni cicliche di X, Y, Z). La dimostrazione viene lasciata come esercizio (Esercizio 2.3.1). Osservazioni. (1) Il tensore di curvatura R della connessione di Levi Civita è invariante per isometrie, vale a dire f∗ (RXY Z) = Rf∗ Xf∗ Y f∗ Z, per ogni X, Y, Z ∈ X (M ) e per ogni isometria f di (M, g). Se M ha dimensione 2, questo risultato è noto come Teorema Egregium di Gauss. (2) Le derivate covarianti successive ∇m R del tensore di curvatura sono anch’esse invarianti per isometrie. (3) Il fatto che R sia un campo tensoriale implica che R individua un tensore su ogni spazio tangente Tp M, p ∈ M . Infatti, se x, y, z, w ∈ Tp M , posto Rxyzw = (RXY ZW )p , dove X, Y, Z, W ∈ X (M ) sono campi qualsiasi tali che Xp = x, Yp = y, Zp = z, Wp = w, si controlla che il valore di Rxyzw non dipende dalla scelta dei campi X, Y, Z, W . Definizione 2.3.3. Siano (M, g) una varietà Riemanniana e p un suo punto. Si consideri un sottospazio π di dimensione 2 dello spazio tangente Tp M . La curvatura sezionale K del piano π è definita da Rxyxy , Kxy = 2 kxk kyk2 − g(x, y)2 dove (x, y) è un base di π. Capitolo 2 – Richiami di geometria Riemanniana 73 Osservazioni. (1) Per la disuguglianza di Cauchy–Schwartz, il denominatore di Kxy non è mai nullo. Questo non è più vero per le metriche pseudo–Riemanniane. In tal caso, nella definizione di curvatura sezionale si considerano solo basi per le quali il denominatore non è nullo. (2) La curvatura sezionale non dipende dalla base scelta. Infatti, se π è un piano vettoriale di Tp M e se (x, y) e (u, v) sono due basi qualsiasi di π, allora Kxy = Kuv (cfr. Esercizio 2.3.3). Si noti che se (x, y) è una base ortonormale di π, allora Kxy = Rxyxy . (3) La curvatura sezionale determina completamente il tensore di curvatura Riemanniano. Più precisamente, posto K(X, Y ) = RXY XY , si ha 1 RXY ZW = [K(X + Z, Y + W ) − K(X + W, Y + Z) 6 − K(X, Y + W ) − K(Z, Y + W ) − K(Y, X + Z) + K(X, Y + Z) − K(W, X + Z) + K(W, Y + Z) + K(Y, X + W ) + K(Z, X + W ) + K(Y, Z) + K(X, W ) − K(Y, W ) − K(X, Z)], per ogni X, Y, Z, W ∈ X(M ). Si noti che, conosciuto il valore della curvatura sezionale K in ogni punto di M , allora è noto K(X, Y ), per ogni X, Y ∈ X(M ). Definizione 2.3.4. Sia (M, g) una varietà Riemanniana e sia R il tensore di curvatura Riemanniano. La curvatura di Ricci ρ e la curvatura scalare τ sono definite nel modo seguente ρ(X, Y ) = τ= n X i=1 n X RXEi Y Ei , X, Y ∈ X (M ), ρ(Ei , Ei ), i=1 dove (E1 , E2 , . . . , En ) è un riferimento ortonormale locale. Osservazioni. (1) Non è difficile verificare che le definizioni di ρ e τ non dipendono dal riferimento ortonormale locale. (2) La curvatura di Ricci è un campo tensoriale di tipo (0, 2) simmetrico, vale a dire ρ(X, Y ) = ρ(Y, X), X, Y ∈ X (M ). La curvatura scalare è una funzione differenziabile a valori reali, ossia τ ∈ F(M ). 74 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Esempi. ∂ ∂ sia costante per 1) Se g è una qualsiasi metrica su Rn tale che g ∂x i , ∂xj ogni i, j = 1, . . . , n (si ricordi che (x1 , . . . , xn ) è un sistema di coordinate gobali su Rn ), la curvatura Riemanniana di g è nulla. 2) La curvatura di una varietà Riemanniana di dimensione 1 è sempre identicamente nulla. 3) Se M è una varietà Riemanniana di dimensione 2, in ogni punto p ∈ M vi è una sola curvatura sezionale, che coincide con la curvatura Gaussiana nel caso delle superfici di R3 . Più precisamente, si può pensare alla curvatura sezionale come ad una funzione K : M −→ R, p 7→ K(p) = Ruvuv , dove (u, v) è una base ortonormale di Tp M . Determiniamo l’espressione Rxyzw con x, y, z, w ∈ Tp M . Posto x = au + bv, y = cu + dv, z = eu + f v, w = gu + hv, con a, b, c, d, e, f, g, h ∈ R, si ha Rxyzw = (ad − bc)(eh − f g)K(p) = [(ae + bf )(cg + dh) − (ag + bh)(ce + df )]K(p) = K(p)[g(x, z)g(y, w) − g(x, w)g(y, z)], ossia, in termini di campi vettoriali RXY ZW = K[g(X, Z)g(Y, W ) − g(X, W )g(Y, Z)], per ogni X, Y, Z, W ∈ X (M ). Si noti che la curvatura sezionale determina completamente la curvatura, come è già stato osservato in precedenza. Consideriamo, ora, una classe particolarmente importante di varietà Riemanniane. Definizione 2.3.5. Una varietà Riemanniana M ha curvatura sezionale puntualmente costante se, in ogni punto p ∈ M , K(π1 ) = K(π2 ), per ogni coppia di piani π1 e π2 di Tp M . Questo valore della curvatura sezionale (che dipende solo da p) sarà indicato con K(p). Se M ha curvatura sezionale puntualmente costante e se la funzione K : M −→ R, p 7−→ K(p), è costante, si dice che M è a curvatura sezionale costante, oppure a curvatura costante. Contrariamente al caso delle superfici, le due definizioni precedenti coincidono per le varietà Riemanniane aventi dimensione maggiore di 2. Infatti vale il Teorema 2.3.6 (Schur). Sia M una varietà Riemanniana di dimensione n con n ≥ 3. Se M è a curvatura sezionale puntualmente costante allora è a curvatura sezionale costante. Osservazioni. (A) Le varietà Riemanniane (M, g) a curvatura sezionale costante K, connesse, semplicemente connesse e complete (nel senso che M è uno spazio metrico completo rispetto alla distanza indotta da g), sono classificate in tre classi. Più precisamente: Capitolo 2 – Richiami di geometria Riemanniana 75 (1) se K > 0, (M, g) è isometrica alle sfera S n (r), di raggio r = √1K , dotata della metrica indotta dalla metrica euclidea di Rn+1 . (2) Se K = 0, (M, g) è isometrica ad Rn con la metrica euclidea. (3) Se K < 0, (M, g) è isometrica al semispazio di Poincaré H n (r) = {(u1 , . . . , un ) ∈ Rn / u1 > 0}, con metrica g= dove r = r2 ((du1 )2 + ... + (dun )2 ), (u1 )2 √1 . −K Se vengono omesse le ipotesi topologiche (semplice connessione e completezza) la classificazione è solo locale. (B) Il semispazio di Poincaré H n ha anche la struttura di gruppo di Lie dove il prodotto è dato da (x1 , . . . , xn )(y 1 , . . . , y n ) = (x1 y 1 , x1 y 2 + x2 , . . . , x1 y n + xn ). Si osservi che H n è un gruppo di Lie risolubile ed è prodotto semidiretto di R − {0} e Rn−1 . Una caratteristica notevole delle varietà Riemanniane a curvatura costante è quella di avere lo stesso tensore di curvatura delle varietà bidimensionali. Proprietà 2.3.7. Sia M una varietà Riemanniana a curvatura sezionale costante K. Allora il tensore di curvatura Riemanniano è dato da RXY ZW = K[g(X, Z)g(Y, W ) − g(X, W )g(Y, Z)]. per ogni X, Y, Z, W ∈ X (M ). Definizione 2.3.8. Una varietà Riemanniana (M, g) si dice varietà di Einstein se il tensore di Ricci ρ è multiplo di g, ossia se esiste una funzione λ ∈ F(M ) tale che ρ(X, Y ) = λg(X, Y ), per ogni X, Y ∈ X (M ). Anche in questo caso, si dimostra che Proprietà 2.3.9. Sia (M, g) una varietà di Einstein. Se dimM ≥ 3 allora λ è una funzione costante. Si osservi che ogni varietà Riemanniana di dimensione 2 è di Einstein, ma λ non è necessariamente costante. Lo studio delle varietà di Einstein riveste una grande importanza nell’ambito della geometria Riemanniana. Per un’esposizione dettagliata dei principali risultati si veda la monografia di A. L. Besse [4]. Nel caso particolare delle metriche di Lorentz, le varietà di Einstein hanno un ruolo fondamentale nella teoria della Relatività Generale. 76 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Proprietà 2.3.10. Se (M, g) è una varietà Riemanniana di dimensione n, a curvatura sezionale costante K, il tensore di Ricci ρ e la curvatura scalare τ hanno le seguenti espressioni ρ(X, Y ) = (n − 1)Kg(X, Y ), X, Y ∈ X (M ), τ = n(n − 1)K. In particolare, ogni varietà a curvatura sezionale costante è di Einstein. Osservazione. Si può provare ([17] vol. I, pag. 293) che se una varietà Riemanniana (M, g) ha dimensione 3 ed è di Einstein allora è a curvatura sezionale costante. Infatti, si dimostra che RXY ZW = g(X, Z)ρ(Y, W ) + g(Y, W )ρ(X, Z) − g(X, W )ρ(Y, Z) τ − g(Y, Z)ρ(X, W ) − {g(X, Z)g(Y, W ) − g(X, W )g(Y, Z)} 2 e, quindi, il tensore di Ricci determina completamente la curvatura. Pertanto, la ricerca delle varietà di Einstein diventa interessante solo quando la dimensione è almeno 4. Esercizi. 2.3.1 Dimostrare la Proprietà 2.3.2. 2.3.2 Siano ρ il tensore di Ricci e τ la curvatura scalare di una varietà Riemanniana (M, g). Si provi che (i) ρ è un campo tensoriale di tipo (0, 2) simmetrico; (ii) le definizioni di ρ e τ non dipendono dalla scelta del riferimento ortonormale locale. 2.3.3 Dimostrare l’affermazione contenuta nell’osservazione (2) di pag. 73. 2.3.4 Siano (M1 , g1 ) e (M2 , g2 ) due varietà Riemanniane. Considerata la varietà M = M1 × M2 dotata della metrica prodotto g = g1 × g2 (cfr. l’esempio (2) di pag. 65), determinare la relazione che intercorre tra la connessione di Levi Civita di g e le connessioni di Levi Civita di g1 e g2 . Trovare le analoghe relazioni tra i tensori di curvatura Riemanniani, le curvature di Ricci e le curvature scalari. Capitolo 2 – Richiami di geometria Riemanniana 77 2.4. Equazioni di struttura di Cartan Ricordiamo che una p–forma differenziale è una applicazione F(M )– lineare θ : X (M ) × · · · × X (M ) −→ F(M ) | {z } p volte che è anche antisimmetrica rispetto a tutti i suoi argomenti, cioè θ(X1 , . . . , Xi , . . . , Xj , . . . , Xp ) = −θ(X1 , . . . , Xj , . . . , Xi , . . . , Xp ). Lo spazio vettoriale delle p–forme differenziali su M viene solitamente indicato con Λp (M ). Si noti che Λ0 (M ) = F(M ) e Λ1 (M ) = X (M ). Se θ ∈ Λp (M ) e ω ∈ Λs (M ), il prodotto esterno di θ e ω è la (p+s)– forma θ ∧ ω definita da (θ ∧ ω)(X1 , . . . , Xp+s ) = X 1 (σ)θ(Xσ(1) , ..., Xσ(p) )ω(Xσ(p+1) , . . . , Xσ(p+s) ), (p + s)! σ∈P dove P denota l’insieme delle permutazioni di {1, . . . , p + s} e (σ) è il segno della permutazione σ. In particolare, se θ, ω ∈ Λ1 (M ), allora 1 (θ ∧ ω)(X, Y ) = (θ(X)ω(Y ) − θ(Y )ω(X)), X, Y ∈ X (M ). 2 Il differenziale esterno è l’applicazione d : Λp (M ) −→ Λp+1 (M ), definita da 1 dα(X1 , . . . , Xp+1 ) = p+1 + X 1≤i<j≤p+1 ( p+1 X (−1)i+1 Xi α(X1 , . . . , X̂i , . . . , Xp+1 ) i=1 (−1)i+j α([Xi , Xj ], X1 , . . . , X̂i , . . . , X̂j , . . . , Xp+1 ) , dove ˆ significa che il relativo campo vettoriale deve essere omesso. In particolare, se α ∈ Λ1 (M ) e β ∈ Λ2 (M ), si ha: 1 dα(X, Y ) = {Xα(Y ) − Y α(X) − α([X, Y ])} , 2 1 dβ(X, Y, Z) = SXY Z {Xβ(Y, Z) − β([X, Y ], Z)} , 3 per ogni X, Y, Z ∈ X (M ) (SXY Z denota la somma rispetto alle permutazioni cicliche di X, Y, Z). Il differenziale esterno è caratterizzato dalle seguenti proprietà (per la dimostrazione si veda [5], pag. 218). Teorema 2.4.1. Il differenziale esterno è l’unica applicazione R–lineare d : Λp (M ) −→ Λp+1 (M ) che verifica le seguenti proprietà: (1) df (X) = X(f ), per ogni f ∈ Λ0 (M ) e X ∈ Λ1 (M ); (2) d2 = d ◦ d = 0; 78 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie (3) se θ ∈ Λp (M ) e ω ∈ Λs (M ), allora d(θ ∧ ω) = dθ ∧ ω + (−1)p θ ∧ dω. Osservazione. Nel caso in cui f, g ∈ Λ0 (M ), la terza proprietà del Teorema 2.4.1 corrisponde esattamente alla regola di Leibnitz per la derivazione del prodotto di funzioni. Il seguente risultato di algebra multilineare è necessario per alcune dimostrazioni successive. Lemma 2.4.2 (di Cartan). Sia V uno spazio vettoriale di dimensione n su un campo K e siano ω 1 , . . . , ω p ∈ V ∗ (spazio vettoriale duale di V ) delle 1–forme linearmente indipendenti. Se ϕ1 , . . . , ϕp ∈ V ∗ sono 1-forme tali che p X ϕα ∧ ω α = 0, α=1 allora esistono degli scalari aαβ ∈ K per cui ( P ϕα = pβ=1 aαβ ω β . aαβ = aβα Dimostrazione. Completiamo l’insieme (ω 1 , . . . , ω p ) in modo P da ottenere una base (ω 1 , . . . , ω p , ω p+1 , . . . , ω n ) di V ∗ e poniamo ϕα = ni=1 aαi ω i . Dato che le 2–forme (ω i ∧ ω j , 1 ≤ i < j ≤ n) individuano una base di Λ2 V ∗ , dalla relazione p p n X X X X α β α 0= ϕα ∧ ω = (aαβ − aβα )ω ∧ ω + aαi ω i ∧ ω α , α=1 1≤α<β≤p α=1 i=p+1 si deduce aαβ = aβα e aαi = 0. Sia (M, g) una varietà Riemanniana di dimensione n. Si consideri un riferimento ortonormale locale (E1 , . . . , En ) definito su un aperto U ⊆ M . In altre parole, (E1 |p , . . . , En |p ) è una base ortonormale di Tp M , per ogni p ∈ U . Sia (θ1 , . . . , θn ) il riferimento duale, ossia tale che θi (Ej ) = δij . In tal caso, θi (X) = P g(X, Ei ) è l’i-esima componente locale del campo X e si può scrivere X = ni=1 g(X, Ei )Ei . P Sia ∇ la connessione di Levi Civita. Posto ∇Ei Ej = nk=1 Γkij Ek , dove Γkij sono le componenti locali di ∇ rispetto al riferimento scelto (le Γkij non sono, in generale, simmetriche rispetto agli indici inferiori), consideriamo le 1–forme n X ωji = Γikj θk , i, j = 1, . . . , n. k=1 Si noti che, per ogni campo vettoriale X ∈ X (U ), n X i ωj (X) = Γikj θk (X) = θi (∇X Ej ) = g(∇X Ej , Ei ). k=1 ωji Le sono dette 1−forme locali della connessione ∇. E’ chiaro che le i ωj determinano completamente la connessione ∇. Capitolo 2 – Richiami di geometria Riemanniana 79 Le 2−forme locali di curvatura Ωij , i, j = 1, . . . , n, sono definite nel modo seguente 2Ωij (X, Y ) = −θi (RXY Ej ), X, Y ∈ X (U ). A questo punto, possiamo enunciare il seguente Teorema che rappresenta la versione in termini di forme differenziali del Teorema 2.1. Teorema 2.4.3 (Cartan). Sia (E1 , . . . , En ) un riferimento ortonormale locale su una varietà Riemanniana (M, g) di dimensione n e sia (θ1 , . . . , θn ) il riferimento duale. Valgono le seguenti equazioni di struttura di Cartan: ( P dθi = − nj=1 ωji ∧ θj (1) ωji + ωij = 0, ( P Ωij = dωji + nk=1 ωki ∧ ωjk (2) Ωij + Ωji = 0. Inoltre, le 1–forme ωji che verificano le equazioni (1) sono uniche. La dimostrazione di questo teorema consiste in una semplice verifica ed è lasciata come esercizio (Esercizio 2.4.1). Si noti che, per provare l’unicità delle forme di connessione, è necessario usare il lemma di Cartan (cfr. Lemma 2.4.2). Nel seguito, ci si riferirà al sistema (1) (rispettivamente, al sistema (2)) col nome collettivo di prima (rispettivamente, di seconda) equazione di struttura. Come si vedrà nell’esempio seguente, le equazioni di struttura forniscono il metodo più comodo per determinare il tensore di curvatura di una varietà Riemanniana. Esempio. Sia S 2 (r) la sfera, di centro l’origine e raggio r, in R3 . Consideriamo la carta locale (S 2 (r) − S, ϕ) = (S 2 (r) − S, u1 , u2 ), costruita mediante la proiezione stereografica dal “polo sud S. Rispetto alle coordinate ui , la metrica g, indotta dalla metrica euclidea di R3 , ha l’espressione g= 4r4 (du1 ⊗ du1 + du2 ⊗ du2 ), (r2 + kuk2 )2 dove kuk2 = (u1 )2 + (u2 )2 . Una base ortonormale locale per le 1–forme su S 2 (r) è data da θ1 = 2r2 du1 , r2 + kuk2 θ2 = 2r2 du2 . r2 + kuk2 Poichè d(kuk2 ) = 2(u1 du1 + u2 du2 ), si trova dθ1 = 2r2 − 1 1 1 2 2 (2u du + 2u du ) ∧ du1 (r2 + kuk2 )2 4r2 1 =− 2 u2 du2 ∧ du1 = − 2 u2 θ2 ∧ θ1 . 2 2 (r + kuk ) r 80 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Analogamente, si ottiene 1 1 1 u θ ∧ θ2 . r2 Allo scopo di determinare le 1–forme di connessione, si ponga ω21 = aθ1 +bθ2 . Dalla prima equazione di struttura, si deduce 1 − 2 u2 θ2 ∧ θ1 = (−aθ1 − bθ2 ) ∧ θ2 r 1 − u1 θ1 ∧ θ2 = (aθ1 + bθ2 ) ∧ θ1 , r2 da cui si ottiene 1 1 b = 2 u1 a = − 2 u2 , r r e quindi 1 1 1 ω21 = − 2 u2 θ1 + 2 u1 θ2 = 2 (u1 θ2 − u2 θ1 ). r r r Calcolato il differenziale di ω21 , dalla seconda equazione di struttura si ricava 1 Ω12 = 2 θ1 ∧ θ2 , r da cui si vede che la curvatura Gaussiana di S 2 (r) vale proprio r12 , come ci si aspettava. dθ2 = − Esercizi. 2.4.1 Dimostrare il Teorema 2.4.3. 2.4.2 Determinare la curvatura sezionale della metrica dx2 + dy 2 ds2 = , y2 definita sul semipiano di Poincaré R2+ = {(x, y) ∈ R2 /y > 0}. 2.4.3 Si consideri la famiglia di metriche Riemanniane su R3 ds2 = Adx2 + Bdy 2 + C(dz − ydx)2 , A, B, C ∈ R+ . ((x, y, z): coordinate standard di R3 ). Determinare il tensore di curvatura Riemanniana, la curvatura di Ricci e la curvatura scalare per ciascuna di tali metriche. + 2.4.4 Si consideri la seguente metrica Riemanniana su R4 = {(x1 , x2 , x3 , x4 ) ∈ R4 / x1 > 0} (detta metrica di Willmore): 2 ds2 = (x1 )4 (dx21 + dx22 + dx23 ) + x−2 1 dx4 . Dimostrare che tale metrica è Ricci–piatta (ossia ρ = 0), nonostante che il tensore di curvatura Riemanniano non sia nullo. Capitolo 2 – Richiami di geometria Riemanniana 81 2.5. Geodetiche e teorema di Myers Sia M una varietà differenziabile dotata di una connessione lineare ∇. Si può provare che, dati i campi vettoriali X, Y ∈ X (M ) e fissato un punto p ∈ M , il vettore (∇X Y )p dipende solo da Xp e dai valori del campo Y in un intorno di p. Più precisamente, vale la Proprietà 2.5.1. Siano X ∈ X (M ) e α : (a, b) ⊆ R −→ M la sua curva integrale passante per p ∈ M . Se Y, Y 0 ∈ X (M ) sono due campi che 0 coincidono lungo α, ossia tali che Yα(t) = Yα(t) per ogni t ∈ (a, b), allora (∇X Y )p = (∇X Y 0 )p . In altri termini, (∇X Y )p dipende solo dal valore di Y lungo la curva α. In base alla proprietà precedente, si può introdurre la nozione di derivata covariante di un campo vettoriale lungo una curva. Data una curva α : (a, b) ⊆ R −→ M e un campo vettoriale Y lungo α, si definisce ∇α̇(t) Y = (∇X Ye )α(t) , dove X, Ye sono campi qualsiasi tali che Xα(t) = α̇(t) e Yeα(t) = Yα(t) . Ha senso, quindi, la seguente Definizione 2.5.2. Un campo vettoriale X si dice parallelo (rispetto a ∇) lungo una curva α : (a, b) ⊆ R −→ M se ∇α̇(t) X = 0, per ogni t ∈ (a, b). Mediante questa definizione si perviene al concetto di geodetica. Definizione 2.5.3. Una curva α : (a, b) −→ M si dice autoparallela se il campo tangente α̇(t) è parallelo lungo α, vale a dire se ∇α̇(t) α̇(t) = 0 per ogni t ∈ (a, b). Le geodetiche di una varietà Riemanniana sono le curve autoparallele rispetto alla connessione di Levi Civita. Elenchiamo, ora, alcune proprietà delle geodetiche. (1) Siano M e N due varietà Riemanniane, f : M −→ N un’isometria e α : (a, b) ⊆ R −→ M una geodetica. Anche la curva γ = f ◦ α è una geodetica di N . (2) Se una curva ω : [a, b] ⊆ R −→ M è parametrizzata mediante l’ascissa curvilinea (cfr. pag. 64) e ha lunghezza minore di ogni curva che unisce ω(a) con ω(b), allora ω è una geodetica. Per esempio, le geodetiche di Rn e S n sono, rispettivamente, le rette ed i cerchi massimi. (3) Sia M una varietà differenziabile dotata di una connessione lineare ∇. Le curve autoparallele sono soluzioni di un sistema di equazioni differenziali ordinarie del secondo ordine. Poichè tali soluzioni sono uniche, una volta fissate le condizioni iniziali, per ogni vettore v ∈ Tp M , esiste una sola curva autoparallela γU : I −→ M (I ⊆ R intervallo aperto contenente 0) tale che: 82 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie i) γU (0) = p, γ˙U (0) = v; ii) γU è massimale, ossia non è la restrizione ad I di un’altra autoparallela definita su un’intervallo contenente propriamente I. Definizione 2.5.4. Una varietà Riemanniana (M, g) si dice completa se è possibile estendere ogni geodetica α : (a, b) ⊆ R −→ M ad una applicazione α : R −→ M . Osservazione. Si prova che questa definizione di completezza è equivalente all’usuale concetto di completezza per gli spazi metrici, vale a dire che ogni successione di Cauchy è convergente. La completezza di una varietà Riemanniana è legata alla sua topologia, infatti vale il Teorema 2.5.5. Ogni varietà Riemanniana compatta è completa. D’altra parte, vi sono molte varietà Riemanniane complete ma non compatte. Tuttavia, mediante opportune ipotesi sulla curvatura, si può, in un certo senso, invertire il teorema 5.2. Teorema 2.5.6 (Myers). Sia (M, g) una varietà Riemanniana completa. Supponiamo che esista un numero reale positivo δ tale che, per ogni p ∈ M e per ogni vettore unitario x ∈ Tp M , si abbia ρ(x, x) > δ (ossia la curvatura di Ricci è “sufficientemente positiva”). Allora M è compatta ed il suo gruppo fondamentale π1 (M ) è finito. Osservazione. Il fatto che π1 (M ) sia finito è una conseguenza della f −→ M può compattezza di M . Infatti, il rivestimento universale π : M essere dotato (usando le trivializzazioni di π) di una metrica che rende π f, si ottiene che M f un’isometria locale. Applicando il Teorema di Myers a M −1 è compatto. La fibra π (p) di un punto p ∈ M è un sottospazio discreto e, f. Infine, è noto che π −1 (p) è in biiezione con π1 (M ) (cfr. quindi, finito di M §A.3). In seguito vedremo, come importante conseguenza del teorema di Myers, che il rivestimento universale di un gruppo di Lie semisemplice e compatto è compatto. CAPITOLO 3 Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie Lo scopo di questo capitolo è lo studio delle metriche invarianti a sinistra sui gruppi di Lie e delle loro principali proprietà. La Bibliografia su tali argomenti non è molto estesa. A parer nostro, l’articolo che, meglio di ogni altro, ne riassume i principali risultati è quello di J. Milnor [19], a cui si farà costantemente riferimento nel corso di tutto il capitolo. 3.1. Metriche invarianti a sinistra e metriche biinvarianti Tra tutte le metriche Riemanniane che possono essere definite su di un gruppo di Lie, hanno una particolare importanza quelle che sono collegate al prodotto del gruppo. Definizione 3.1.1. Una metrica Riemanniana g su un gruppo di Lie G si dice invariante a sinistra se, per ogni a ∈ G, la traslazione sinistra La è un’isometria di (G, g). Osservazioni. (1) Dalla definizione precedente segue che g è invariante a sinistra se e solo se ga (Xa , Ya ) = ga ((La )∗|e Xe , (La )∗|e Ye ) = (La )∗ ge (Xe , Ye ) = ge (Xe , Ye ), per ogni a ∈ G e per ogni X, Y ∈ g, algebra di Lie di G. In altri termini, g è invariante a sinistra se e solo se la funzione g(X, Y ) è costante, per ogni coppia di campi invarianti a sinistra X e Y . (2) Per quanto si è appena visto, non è difficile provare che esiste una corrispondenza biunivoca tra l’insieme delle metriche invarianti a sinistra su G e l’insieme dei prodotti scalari di g. (3) Si possono definire, in modo ovvio, le metriche invarianti a destra: esse hanno proprietà del tutto speculari a quelle invarianti a sinistra. Esempio. Consideriamo il gruppo di Heisenberg 1 x z He = 0 1 y , x, y, z ∈ R ⊆ GL(3, R), 0 0 1 la cui algebra di Lie è 0 α γ he = 0 0 β , α, β, γ ∈ R ⊆ gl(3, R). 0 0 0 83 84 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Determiniamo una base per lo spazio vettoriale sinistra su He. Considerati due elementi 1 a12 a13 1 A = 0 1 a23 , B = 0 0 0 1 0 delle 1–forme invarianti a b12 b13 1 b23 0 1 di He, si ha 1 a12 + b12 b13 + a12 b23 + a13 . 1 a23 + b23 LA B = AB = 0 0 0 1 Se (x, y, z) sono le funzioni coordinate globali su He, si trova x(LA B) =a12 + b12 = x(B) + a12 , y(LA B) =a23 + b23 = y(B) + a23 , z(LA B) =b13 + a12 b23 + a13 = z(B) + y(B)a12 + a13 , ossia x ◦ LA =x + a12 , y ◦ LA =y + a23 , z ◦ LA =z + ya12 + a13 . Dalle espressioni precedenti si deduce L∗A (dx) = d(x ◦ LA ) = dx, L∗A (dy) = d(y ◦ LA ) = dy, L∗A (dz) = d(z ◦ LA ) = dz + a12 dy. Di conseguenza, le 1–forme dx e dy sono invarianti a sinistra su He, mentre questo non succede per dz. Ma L∗A (dz − xdy) = L∗A (dz) − (x ◦ LA )L∗A (dy) = dz + a12 dy − (x + a12 )dy = dz − xdy e, quindi, dz−xdy è una 1–forma invariante a sinistra. Si vede facilmente che (dx, dy, dz − xdy) è una base dello spazio vettoriale delle 1–forme invarianti a sinistra sul gruppo di Heisenberg. Un semplice calcolo mostra che la base duale è data da E1 = ∂ , ∂x E2 = ∂ ∂ +x , ∂y ∂z E3 = ∂ . ∂z È evidente che ds2 = dx2 + dy 2 + (dz − xdy)2 è una metrica invariante a sinistra su He e che (E1 , E2 , E3 ) è un riferimento ortonormale globale. Usando le equazioni di struttura di Cartan (cfr. § 2.4), determiniamo la curvatura del gruppo di Heisenberg. Posto θ1 = dx, θ2 = dy, θ3 = dz − xdy, Capitolo 3 – Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie la prima equazione di struttura 0 0 1 −θ ∧ θ2 85 di Cartan si traduce nel sistema = −ω21 ∧ θ2 − ω31 ∧ θ3 = ω21 ∧ θ1 − ω32 ∧ θ3 = ω31 ∧ θ1 − ω32 ∧ θ2 , le cui soluzioni (necessariamente uniche) sono date da 1 1 1 ω31 = θ2 , ω32 = − θ1 . ω21 = θ3 , 2 2 2 Dalla seconda equazione di struttura si ricavano le forme di curvatura 3 1 1 Ω12 = − θ1 ∧ θ2 , Ω13 = θ1 ∧ θ3 , Ω23 = θ2 ∧ θ3 , 4 4 4 da cui si ottiene che le componenti non nulle del tensore di curvatura Riemanniano sono date da 3 1 1 R1212 = − , R1313 = , R2323 = , 4 4 4 dove si è posto Rijhk = REi Ej Eh Ek . La curvatura di Ricci di He è data da (ρij = ρ(Ei , Ej )) 1 ρ11 = − , ρ12 = ρ23 = ρ13 = 0, 2 La curvatura scalare vale τ = − 12 . 1 ρ22 = − , 2 1 ρ33 = . 2 La connessione di Levi Civita ed il tensore di curvatura di una metrica Riemanniana invariante a sinistra hanno delle espressioni particolarmente semplici. Proprietà 3.1.2. Sia G un gruppo di Lie dotato di una metrica invariante a sinistra g. La connessione di Levi Civita ∇ su G è univocamente determinata da 2g(∇X Y, Z) = g([X, Y ], Z) − g([Y, Z], X) + g([Z, X], Y ), X, Y, Z ∈ g. Dimostrazione. Dalla definizione di connessione di Levi Civita (cfr. Teorema 2.2.4), si ha 2g(∇X Y, Z) = Xg(Y, Z) + Y g(Z, X) − Zg(X, Y ) + g([X, Y ], Z) − g([Y, Z], X) + g([Z, X], Y ), X, Y, Z ∈ g. Essendo g invariante a sinistra, g(X, Y ) è costante in ogni punto, per ogni X, Y ∈ g, quindi Xg(Y, Z) = Y g(Z, X) = Zg(X, Y ) = 0, da cui la tesi. Si osservi che la Proprietà 3.1.2 determina completamente il valore di ∇ in corrispondenza a campi vettoriali qualsiasi. Introduciamo l’applicazione bilineare simmetrica U : g × g −→ g cosı̀ definita: 2g(U (X, Y ), Z) = g([Z, Y ], X) + g([Z, X], Y ), X, Y ∈ g. 86 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Dalla Proprietà 3.1.2 si deduce che 1 ∇X Y = [X, Y ] + U (X, Y ) 2 e RXY Z = ∇[X,Y ] Z − [∇X , ∇Y ]Z, per ogni X, Y, Z ∈ g. Con semplici calcoli si trova 3 1 (∗) RXY XY = − k[X, Y ]k2 − g([X, [X, Y ]], Y ) 4 2 1 − g([Y, [Y, X]], X) + kU (X, Y )k2 − g(U (X, X), U (Y, Y )), 2 per ogni X, Y ∈ g. In generale, le traslazioni destre non sono isometrie rispetto ad una metrica invariante a sinistra. Le metriche che godono anche di questa proprietà sono particolarmente importanti. Definizione 3.1.3. Una metrica Riemanniana su un gruppo di Lie si dice biinvariante se le traslazioni destre e sinistre sono isometrie. Vediamo di trovare delle condizioni equivalenti alla definizione precedente. Sia g una metrica invariante a sinistra su un gruppo di Lie G. Allora, per ogni a ∈ G, si ha (Ra−1 )∗ g = (Ra−1 )∗ (La )∗ g = (Ra−1 ◦ La )∗ g = (Ia )∗ g dove (Ia ) è l’automorfismo interno corrispondente all’elemento a ∈ G (cfr. pag. 6). Pertanto, le traslazioni destre sono isometrie se e solo se, per ogni a ∈ G, (Ia )∗ g(X, Y ) = g((Ia )∗ X, (Ia )∗ Y ) = g(X, Y ), X, Y ∈ g. Tenuto conto che (Ia )∗ = Ad(a) (cfr. § 1.8), si può concludere che una metrica Riemanniana g è biinvariante se e solo se g(Ad(a)X, Ad(a)Y ) = g(X, Y ), X, Y ∈ g, per ogni a ∈ G. In altri termini, g deve essere invariante rispetto alla rappresentazione aggiunta. Sia g una metrica biivariante su un gruppo di Lie G. Ricordato che Ad∗ = ad e Ad(expG tX) = etadX , t ∈ R (Teorema 1.8.3), si ha g(Y, Z) = g(Ad(expG tX)Y, Ad(expG tX)Z) = g(etadX Y, etadX Z), X, Y, Z ∈ g, t ∈ R, ovvero, per definizione di esponenziale di un’applicazione lineare (vedi pag. 13) g(Y, Z) = g(Y + tadX Y + O(t2 ), Z + tadX Z + O(t2 )) = g(Y, Z) + t{g([X, Y ], Z) + g(Y, [X, Z])} + O(t2 ). Quindi, se g è biivariante, vale la condizione g([X, Y ], Z) + g(Y, [X, Z]) = 0, Capitolo 3 – Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie 87 per ogni X, Y, Z ∈ g, che equivale a g(adX Y, Z) + g(Y, adX Z) = 0, X, Y, Z ∈ g. Se G è connesso, è noto che G è generato da ogni intorno dell’elemento neutro (cfr. Teorema 1.4.4) e, pertanto, la condizione precedente è anche sufficiente affinchè g sia una metrica biinvariante. Abbiamo cosı̀ provato il Teorema 3.1.4. Sia G un gruppo di Lie connesso. Una metrica g su G è biinvariante se e solo se g(adX Y, Z) + g(Y, adX Z) = 0, per ogni X, Y, Z ∈ g. Determiniamo, ora, la connessione di Levi Civita e le varie curvature, nel caso di una metrica biinvariante. Teorema 3.1.5. Sia G un gruppo di Lie dotato di metrica biinvariante g. Allora (1) ∇X Y = 21 [X, Y ], (2) RXY Z = 1 4 ad[X,Y ] (Z) = 1 4 [X, Y ], Z , (3) RXY ZW = 41 g([X, Y ], [Z, W ]), (4) KXY = k[X,Y ]k2 1 4 kXk2 kY k2 −g(X,Y )2 , = − 41 B(X, Y ), (5) ρ(X, Y ) (6) ∇X R = 0, per ogni X, Y, Z, W ∈ g. ∇ indica la connessione di Levi Civita, R il tensore di curvatura Riemanniana, K la curvatura sezionale, ρ il tensore di Ricci e B la forma di Killing dell’algebra di Lie g. La dimostrazione consiste in semplici calcoli e viene lasciata per esercizio (Esercizio 3.1.3). Esaminiamo alcune conseguenze immediate, ma importanti, del Teorema 3.1.5. Teorema 3.1.6. Sia G un gruppo di Lie dotato di metrica biinvariante g. Allora la curvatura sezionale di g è non negativa, vale a dire KXY ≥ 0, X, Y ∈ g. Teorema 3.1.7. Il tensore di Ricci di un gruppo di Lie G dotato di metrica biinvariante g non dipende dalla particolare metrica scelta ma solo dalla classe di isomorfismo dell’algebra di Lie g. Dimostrazione. Dal Teorema 3.1.5, si vede che il tensore di Ricci è proporzionale alla forma di Killing che, a sua volta, è invariante rispetto agli automorfismi di g (cfr. Proprietà 1.9.1). 88 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Osservazione. Il punto (6) del Teorema 3.1.5 mostra che ogni gruppo di Lie, dotato di una metrica biinvariante, è uno spazio localmente simmetrico. Per una dettagliata trattazione di questa importante classe di varietà Riemanniane, si rinvia al testo di S. Helgason [13]. Com’è prevedibile, non tutti i gruppi di Lie ammettono metriche biinvarianti. Tuttavia dimostreremo che su ogni gruppo di Lie compatto può essere definita una metrica biinvariante. Sono necessarie alcune premesse sui gruppi di Lie unimodulari. Dato un gruppo di Lie G, con algebra di Lie g, consideriamo una base (E1 , E2 , . . . , En ) di g e la sua base duale (ω 1 , ω 2 , . . . , ω n ). La n–forma differenziale Ω = ω 1 ∧ ω 2 ∧ ... ∧ ω n è non nulla in ogni punto di G ed è invariante rispetto alle traslazioni sinistre, vale a dire (La )∗ Ω = Ω, per ogni a ∈ G. In particolare, ciò implica che ogni gruppo di Lie è orientabile (cfr. [5], pag 213). Un’altra importante conseguenza, è la possibilità di estendere ai gruppi di Lie la nozione di integrale. Più precisamente, si dimostra che esiste un’unica funzione (a meno di un fattore costante), detta misura di Haar, Z µ : FC (G) −→ R, f 7−→ µ(f ) = f G (FC (G) denota l’anello delle funzioni continue su G, a valori reali ed a supporto compatto) avente le seguenti proprietà (1) è R–lineare: µ(af + bh) = aµ(f ) + bµ(h), per ogni f, h ∈ FC (G) e a, b ∈ R; (2) è positiva: se f ∈ FC (G) e f ≥ 0, allora µ(f ) ≥ 0; (3) è invariante rispetto alle traslazioni sinistre: µ(f ◦ La ) = µ(f ), per ogni f ∈ FC (G) e a ∈ G. Definizione 3.1.8. Un gruppo di Lie G si dice unimodulare se la sua misura di Haar (invariante a sinistra per definizione) è anche invariante a destra. Una condizione equivalente, utile per verificare se un gruppo di Lie è unimodulare, è la seguente. Teorema 3.1.9. Un gruppo di Lie G è unimodulare se e solo se | det Ad(a)| = 1 per ogni a ∈ G. Dimostrazione. Ricordiamo che, se F è un diffeomorfismo di G in sè, allora per ogni f ∈ FC (G) si ha Z Z (f ◦ F )Ω = ± f (F ∗ Ω), G G dove il segno ± dipende dal fatto che F conservi o meno l’orientamento (cfr. [5], Teorema 2.2, Capitolo VI). Pertanto, se la misura di Haar µ è anche Capitolo 3 – Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie 89 invariante a destra, si ha Z Z (f ◦ Ra−1 )Ω = ± µ(f ◦ Ra−1 ) = f (Ra∗ Ω) G G per ogni f ∈ FC (G) e a ∈ G. Dato che Ra∗ Ω = Ra∗ (L∗a−1 )Ω = (Ra ◦ La−1 )∗ Ω = (Ia−1 )∗ Ω, se X1 , X2 , . . . , Xn sono elementi di g, si trova (Ia−1 )∗ Ω(X1 , X2 , . . . , Xn ) = Ω((Ia−1 )∗ X1 , X2 , . . . , (Ia−1 )∗ Xn ) = Ω(Ad(a−1 )X1 , Ad(a−1 )X2 , . . . , Ad(a−1 )Xn ) = (det Ad(a−1 ))Ω(X1 , X2 , . . . , Xn ), dove det Ad(a−1 ) > 0 se Ra conserva l’orientamento e det Ad(a−1 ) < 0 se Ra inverte l’orientamento. In conclusione Z Z ∗ f (det Ad(a−1 ))Ω f (Ra Ω) = ± µ(f ◦ Ra−1 ) = ± G G Z = ±(det Ad(a−1 )) f Ω = ±(det Ad(a−1 ))µ(f ), G da cui la tesi. Dimostriamo ora un risultato che mette in relazione il concetto di algebra di Lie unimodulare (vedi pag. 54) con quello di gruppo di Lie unimodulare. Proprietà 3.1.10. Siano G un gruppo di Lie connesso e g la sua algebra di Lie. Le seguenti affermazioni sono equivalenti (1) G è unimodulare, (2) g è unimodulare, cioè tr(adX ) = 0, per ogni X ∈ g. Dimostrazione. Siccome G è connesso, dal teorema precedente si ha che G è unimodulare se e solo se | det(Ad(exp X))| = 1, per ogni X ∈ g. La tesi segue dal fatto che det(Ad(exp X)) = det eadX = etr adX . Teorema 3.1.11. Un gruppo di Lie G è unimodulare nei seguenti casi: (1) G è compatto, (2) G è semisemplice, (3) G è connesso e nilpotente. Dimostrazione. (1) Sia G un gruppo di Lie compatto. La funzione α : G −→ R+ , data da a 7−→ | det(Ad(exp X))| (R+ è pensato come gruppo moltiplicativo), è analitica ed è anche un morfismo di gruppi, grazie al fatto che Ad(ab) = Ad(a)Ad(b), a, b ∈ G (cfr. § 1.8). Di conseguenza, α(G) è un sottogruppo compatto di R+ , da cui α(G) = {+1}. (2) Se G è semisemplice, la forma di Killing B è non degenere ed è invariante rispetto agli automorfismi di g (Proprietà 1.9.1). In particolare, identificando le varie applicazioni con le rispettive matrici, si trova t Ad(a)BAd(a) = B, per ogni a ∈ G. Dato che detB 6= 0, si conclude che | det(Ad(exp X))| = 1, per ogni a ∈ G. 90 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie (3) Se G è nilpotente, per il Teorema di Engel (cfr. Proprietà 1.9.10), anche la sua algebra di Lie g è nilpotente e pure adX è nilpotente (cioè esiste un intero k tale che (adX )k = 0, per ogni X ∈ g). Allora esiste una base opportuna rispetto alla quale ogni endomorfismo adX è rappresentato da una matrice triangolare superiore, il che implica tr(adX ) = 0, per ogni X ∈ g. Possiamo ora provare il Teorema 3.1.12. Ogni gruppo di Lie G compatto ammette una metrica biinvariante. Dimostrazione. Dal teorema precedente si ha che se G è compatto allora è unimodulare. Si sfrutta tale proprietà per costruire esplicitamente una metrica biinvariante. Tenuto conto delle osservazioni che seguono la Definizione 3.1.3, è sufficiente definire un prodotto scalare su g, invariante rispetto alla rappresentazione aggiunta di G in g. Fissati X, Y ∈ g ed una qualsiasi metrica invariante a sinistra g, consideriamo la funzione analitica fXY : G −→ R, a 7−→ g(Ad(a)X, Ad(a)Y ) e poniamo Z g̃(X, Y ) = fXY Ω = µ(fXY ). G Per le proprietà della misura di Haar, g̃ è un forma bilineare simmetrica, definita positiva. Resta solo da verificare che è invariante rispetto alla rappresentazione aggiunta. Per ogni a, b ∈ G, si ha fAd(b)XAd(b)Y (a) = g(Ad(a)Ad(b)X, Ad(a)Ad(b)Y ) = g(Ad(ab)X, Ad(ab)Y ) = fXY (ab) = (fXY ◦ Rb )(a). Poichè la misura di Haar, per ipotesi, è anche invariante rispetto alle traslazioni destre, si può concludere che g̃(Ad(b)X, Ad(b)Y ) = µ(fAd(b)XAd(b)Y ) = µ(fXY ◦ Rb ) = µ(fXY ) = g̃(X, Y ), per ogni b ∈ G ed ogni X, Y ∈ g. Una proprietà notevole delle metriche biinvarianti è che le geodetiche sono completamente determinate dai sottogruppi ad un parametro. Teorema 3.1.13. Sia g una metrica biinvariante su un gruppo di Lie G. Ogni sottogruppo ad un parametro di G è una geodetica di g. Viceversa, ogni geodetica passante per l’elemento neutro e ∈ G coincide con un sottogruppo ad un parametro. Dimostrazione. Sia X ∈ g, algebra di Lie di G, e sia ϕX il sottogruppo ad un parametro individuato da X. Dal Teorema 3.1.5 si ottiene 1 ∇ϕ˙X (t) ϕ˙X (t) = (∇X X)ϕX (t) = [X, X]ϕX (t) = 0, 2 ossia ϕX è una geodetica. Capitolo 3 – Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie 91 Viceversa, sia γ : I −→ G, t 7→ γ(t), una geodetica tale che γ(0) = e e γ̇(0) = X ∈ Te G ∼ = g. Il sottogruppo ad un parametro ϕX è una geodetica soddisfaciente le stesse condizioni iniziali di γ. Per la proprietà (3) di pag. 81, γ coincide con ϕX . Osservazioni. (1) Dato che le traslazioni sinistre sono isometrie, le geodetiche in un generico punto di G coincidono con le traslate dei sottogruppi ad un parametro. (2) Se G è compatto, i Teoremi 3.1.12 e 3.1.13 implicano che G è completo (cfr. Definizione 2.5.4). Questo risultato, peraltro già noto, (cfr. Teorema 2.5.5), può essere esteso a tutti i gruppi di Lie, e questo sarà provato nel teorema seguente. Inoltre, se G è anche connesso, l’applicazione esponenziale è suriettiva (cfr. pag. 15). Teorema 3.1.14. Un gruppo di Lie è completo rispetto ad ogni metrica Riemanniana invariante a sinistra. Dimostrazione. Si applica lo stesso procedimento usato per estendere ogni sottogruppo ad un parametro a tutto R (cfr. l’inizio del § 1.3). Sia γ : (−, ) ⊂ R −→ G, una geodetica di una metrica invariante a sinistra su G. La curva ψ : (, 2) ⊂ R −→ G definita da ψ(t) = γ()γ(t − ) = Lγ() γ(t − ), è una geodetica che estende γ all’intervallo reale (−, 2). Infatti, se ∇ denota la connessione di Levi Civita di g, si ha ∇(Lγ() )∗ γ̇(t−) (Lγ() )∗ γ̇(t − ) = (Lγ() )∗ ∇γ̇(t−) γ̇(t − ) = 0, in quanto le traslazioni sinistre sono isometrie. Per concludere questo paragrafo, vogliamo determinare la relazione intercorrente tra il tensore di curvatura di un gruppo di Lie, dotato di metrica invariante a sinistra, e le costanti di struttura del gruppo stesso. Sia G un gruppo di Lie g dotato di una metrica invariante a sinistra g. Fissata una base ortonormale (θ1 , θ2 , . . . , θn ) di g, algebra di Lie di G, confrontiamo le equazioni di Maurer–Cartan dθk = − n 1 X k i cij θ ∧ θj , 2 k = 1, . . . n, i,j=1 (ckij denotano le costanti di struttura) con la prima equazione di struttura (cfr. pag. 79) n X k dθ = − ωjk ∧ θj , k = 1, . . . n, j=1 P i θ k , si sosti(le sono le 1–forme di connessione). Posto ωji = nk=1 γjk tuiscano tali espressioni nella prima equazione di struttura. Applicando il ωjk 92 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie lemma di Cartan (Lemma 2.4.2) si trova n 1X ωji = (−cijk − cjki + ckij )θk . 2 k=1 Mediante la seconda equazione di struttura, si ottengono le 2–forme di curvatura n 1 X k {cml (−cijk − cjki + ckij ) Ωij = 4 + klm=1 (−cikl − ckli l m + clik )(−ckjm − cjmk + cm kj )} θ ∧ θ , da cui si vede che le componenti del tensore di curvatura sono funzioni delle costanti di struttura. Esercizi. 3.1.1 Si ricavi la formula (∗) di pag. 86. 3.1.2 Siano G un gruppo di Lie e g una metrica invariante a sinistra su G. Si provi che la (–)connessione di Cartan-Schouten (vedi pag. 67) è metrica ma non è la connessione di Levi Civita di g. 3.1.3 Si dimostri il Teorema 3.1.5. Capitolo 3 – Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie 93 3.2. Metriche invarianti sui gruppi di Lie di dimensione 3 Lo scopo di questo paragrafo è quello di ricavare le principali proprietà della curvatura delle metriche invarianti a sinistra sui gruppi di Lie di dimensione 3. È già stato osservato che, in questo caso, la curvatura di Ricci determina completamente il tensore di curvatura della varietà (cfr § 2.3). Basta, quindi, considerare solamente il tensore di Ricci. Come si è visto nella classificazione delle algebre di Lie di dimensione 3 data nel § 1.10, sono da distinguere due casi, a seconda che il gruppo di Lie sia o meno unimodulare. Iniziamo con il caso di un gruppo di Lie G unimodulare. Si è visto che l’algebra di Lie g di G ammette una base (E1 , E2 , E3 ) tale che [E2 , E3 ] = λ1 E1 , [E3 , E1 ] = λ2 E2 , [E1 , E2 ] = λ3 E3 , λ1 , λ2 , λ3 ∈ R. Se (θ1 , θ2 , θ3 ) denota la base duale, dalle equazioni di Maurer–Cartan (cfr. §I.5), si ricava dθ1 = −λ1 θ2 ∧ θ3 , dθ2 = λ2 θ1 ∧ θ3 , dθ3 = −λ3 θ1 ∧ θ2 . Considerata la metrica invariante a sinistra ds2 = (θ1 )2 + (θ2 )2 + (θ3 )2 , rispetto alla quale la base (E1 , E2 , E3 ) è ortonormale, dalla prima equazione di struttura di Cartan (cfr. Teorema 4.2, Capitolo II) si ottengono le 1–forme di connessione 1 1 1 ω21 = (−λ1 − λ2 + λ3 )θ3 , ω31 = (λ1 − λ2 + λ3 )θ2 , ω32 = (λ1 − λ2 − λ3 )θ1 . 2 2 2 Introdotti i numeri reali 1 µi = (λ1 + λ2 + λ3 ) − λi , i = 1, 2, 3, 2 le forme di connessione assumono la semplice espressione ω21 = −µ3 θ3 , ω31 = µ2 θ2 , ω32 = −µ1 θ1 . Dalla seconda equazione di struttura di Cartan si ricavano le 2–forme di curvatura Ω12 = [µ3 (µ1 + µ2 ) − µ1 µ2 ] θ1 ∧ θ2 , Ω13 = [µ2 (µ1 + µ3 ) − µ1 µ3 ] θ1 ∧ θ3 , Ω23 = [µ1 (µ2 + µ3 ) − µ2 µ3 ] θ2 ∧ θ3 . Il tensore di Ricci, che per definizione è dato da ρ=2 3 X Ωij (Ek , Ej ) θi ⊗ θk , ijk=1 assume, in questo caso, la seguente espressione (∗) ρ = 2(µ2 µ3 θ1 ⊗ θ1 + µ1 µ3 θ2 ⊗ θ2 + µ1 µ2 θ3 ⊗ θ3 ), da cui si vede che la base (E1 , E2 , E3 ) diagonalizza anche ρ. Il valore della curvatura scalare τ si trova facilmente dalla formula precedente. In base alla classificazione delle algebre di Lie di dimensione 3 che, come si è visto, dipende dal segno degli scalari λ1 , λ2 , λ3 , si ottengono le possibili 94 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie segnature della forma quadratica associata al tensore di Ricci e il segno della curvatura scalare. I dettagli sono lasciati per esercizio. La tabella seguente riepiloga questi risultati. Gruppo connesso Segnatura della forma di Ricci Curvatura scalare SU (2) + + +, + 0 0 , + − − τ > 0, τ = 0, τ < 0 SL(2, R) + − −, 0 0 − τ <0 E(2) 0 0 0, + − − τ = 0, τ < 0 E(1, 1) + − −, 0 0 − τ <0 He +−− τ <0 Osservazioni. 1) Come è già stato ottenuto nell’esempio del § 3.1, ogni metrica invariante a sinistra sul gruppo di Heisenberg He ha segnatura (+, −, −). 2) Il gruppo dei movimenti rigidi del piano E(2), pur non essendo commutativo, ammette una metrica invariante a sinistra piatta. 3) Il determinante della forma quadratica di Ricci, dato dal prodotto delle curvature principali di Ricci ρ(E1 , E1 ), ρ(E2 , E2 ), ρ(E3 , E3 ), è sempre non negativo. Se si annulla, almeno due curvature principali di Ricci sono nulle. Determiniamo i gruppi di Lie unimodulari, di dimensione 3, che ammettono una metrica a curvatura sezionale costante (cfr. Definizione 2.3.5). Ciò equivale a richiedere che tale metrica sia di Einstein (cfr. Definizione 2.3.8). Nel nostro caso, in base all’espressione del tensore di Ricci, tale condizione implica µ1 µ3 = µ1 µ2 = µ2 µ3 . Le soluzioni di queste equazioni sono (1) µ1 = µ2 = µ3 = 0, ossia λ1 = λ2 = λ3 = 0; (2) µi = µj = 0, µk 6= 0, i, j, k = 1, 2, 3, i 6= j 6= k, ossia λi = 0, λj = λk 6= 0, i, j, k = 1, 2, 3, i 6= j 6= k; (3) µ1 = µ2 = µ3 6= 0, ossia λ1 = λ2 = λ3 6= 0. In base alla classificazione delle algebre di Lie unimodulari di dimensione 3, si deduce il Teorema 3.2.1. Gli unici gruppi di Lie connessi e unimodulari, di dimensione 3, che ammettono metriche Riemanniane a curvatura sezionale costante sono: R3 , E(2) e SU (2) ∼ = S3. Capitolo 3 – Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie 95 Occupiamoci ora dei gruppi di Lie di dimensione 3, non unimodulari. Dal Teorema 1.10.2, mediante un opportuno cambiamento di base, si ricava il seguente Teorema 3.2.2. Sia G un gruppo di Lie non unimodulare di dimensione 3. Esiste una base (E1 , E2 , E3 ) della sua algebra di Lie g tale che [E1 , E2 ] = αE2 + βE3 , [E1 , E3 ] = γE2 + δE3 , [E2 , E3 ] = 0, dove i numeri reali α, β, γ, δ verificano le seguenti condizioni α ≥ δ, β ≥ γ, α + δ > 0, αγ + βδ = 0. Inoltre lo scalare αδ − βγ (α + δ)2 costituisce un sistema completo di invarianti per isomorfismi di algebre di Lie. In altri termini: due algebre di Lie, di dimensione 3, non unimodulari sono isomorfe se e solo esistono delle basi rispetto alle quali D assume lo stesso valore. D=4 Procedendo come nel caso unimodulare, determiniamo il tensore di Ricci. Fissata una metrica invariante a sinistra, sia (θ1 , θ2 , θ3 ) il riferimento duale della base ortonormale (E1 , E2 , E3 ) dell’algebra di Lie del gruppo. Dalle equazioni di Maurer–Cartan si deducono le espressioni dθ1 = 0, dθ2 = −α θ1 ∧ θ2 − γ θ1 ∧ θ3 , dθ3 = −β θ1 ∧ θ2 − δ θ1 ∧ θ3 , che, insieme con la prima equazione di struttura, permettono di trovare le forme di connessione 1 1 1 ω21 = α θ2 + (β + γ) θ3 , ω31 = (β + γ) θ2 + δθ3 , ω32 = (γ − β) θ1 . 2 2 2 Dalla seconda equazione di struttura di Cartan si ricavano le forme di curvatura 1 Ω12 = (−4α2 − 3β 2 + γ 2 − 2βγ) θ1 ∧ θ2 , 4 1 Ω13 = (β 2 − 3γ 2 − 4δ 2 − 2βγ) θ1 ∧ θ3 , 4 1 2 Ω3 = [(β + γ)2 − 4αδ] θ2 ∧ θ3 4 e, successivamente, il tensore di Ricci h i 1 ρ = − α2 − δ 2 − β + γ)2 θ1 ⊗ θ1 2 h i 1 + − α(α + δ) + (γ 2 − β 2 ) θ2 ⊗ θ2 2 h i 1 2 + − δ(α + δ) + (β − γ 2 ) θ3 ⊗ θ3 . 2 Si osservi che, anche in questo caso, la base (E1 , E2 , E3 ) diagonalizza il tensore di Ricci. Dal Teorema 3.2.2 e dalle espressioni precedenti, si deducono le possibili segnature della forma quadratica associata al tensore di Ricci e il segno della 96 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie curvatura scalare. I risultati a cui si perviene sono riassunti nella seguente tabella. Segno di D Segnatura della forma di Ricci Curvatura scalare D<0 +−− τ <0 D=0 + − −, 0 − − τ <0 D>0 + − −, 0 − −, − − − τ <0 Un’esame delle due tabelle precedenti permette di concludere che Teorema 3.2.3. Non esistono gruppi di Lie di dimensione 3 che ammettono metriche invarianti a sinistra con forma quadratica del tensore di Ricci di segnatura (+, +, −) oppure (±, ±, 0). Osservazione. Milnor [19] afferma di non conoscere analoghe restrizioni per gruppi di Lie di dimensione maggiore di 3. Secondo Bèrard Bergery [3], P. Nabonnand, nella Tesi di Dottorato discussa a Nancy nel 1978, ha dimostrato che, nel caso di gruppi di Lie di dimensione 4, la forma quadratica del tensore di Ricci può avere qualsiasi segnatura, tranne (+, +, +, +) e (+, +, 0, 0). Come è stato fatto in precedenza, determiniamo i gruppi di Lie non unimodulari, di dimensione 3, che ammettono metriche a curvatura costante. Dalla condizione di Einstein e dall’espressione del tensore di Ricci della pagina precedente, si ottengono le equazioni 1 1 1 −α2 − δ 2 − (β + γ)2 = −α(α + δ) + (γ 2 − β 2 ) = −δ(α + δ) + (β 2 − γ 2 ), 2 2 2 le cui soluzioni sono α = δ, β = −γ ≥ 0. Si ha cosı̀ il seguente Teorema 3.2.4. Un gruppo di Lie G di dimensione 3, non unimodulare, ammette una metrica invariante a sinistra con curvatura sezionale costante se e solo se è possibile trovare una base ortonormale (E1 , E2 , E3 ) della sua algebra di Lie g per cui valga una delle seguenti condizioni: (1) [E1 , E2 ] = αE2 + βE3 , [E1 , E3 ] = −βE2 + αE3 , [E2 , E3 ] = 0, α > 0, β > 0. In questo caso D > 1 ed esistono gruppi di Lie non isomorfi che hanno metriche con curvatura sezionale costante negativa. (2) [E1 , E2 ] = αE2 , [E1 , E3 ] = αE3 , [E2 , E3 ] = 0, α > 0. In questo caso D = 1 ed esistono infiniti gruppi di Lie, con algebre di Lie isomorfe, che ammettono infinite metriche a curvatura sezionale costante negativa, non isometriche. Capitolo 3 – Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie 97 Esercizi. 3.2.1 Sia G un gruppo di Lie unimodulare di dimensione 3 dotato di una metrica invariante a sinistra. (1) Si ricavi l’espressione (∗) del tensore di Ricci data a pagina 93. (2) Si studi, nei vari casi, la segnatura della forma quadratica associata al tensore di Ricci. (3) Si trovino, infine, i gruppi di Lie di dimensione 3 unimidulari che ammettono metriche invarianti a sinistra a curvatura sezionale costante. 3.2.2 Si ripeta l’esercizio precedente nel caso di un gruppo di Lie G non unimodulare. 98 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie 3.3. Curvatura sezionale di una metrica invariante In questo paragrafo si intende correlare il segno della curvatura sezionale di una metrica invariante a sinistra su di un gruppo di Lie con le proprietà topologiche del gruppo stesso. Assegnata una metrica Riemanniana invariante a sinistra, K indicherà sempre la sua curvatura sezionale. Iniziamo con il seguente risultato, dovuto a J. Milnor [19]. Proprietà 3.3.1. Siano G un gruppo di Lie, g la sua algebra di Lie e g una metrica Riemanniana invariante a sinistra. Supponiamo che esista un campo X ∈ g tale che adX sia un endomorfismo antisimmetrico. Allora KXY ≥ 0, per ogni Y ∈g e KXY = 0 se e solo se X è ortogonale ad ogni campo del tipo [Y, Z], con Z ∈ g. Dimostrazione. Non è restrittivo supporre che kXk = kY k = 1 e g(X, Y ) = 0. Nel paragrafo 3.1 si è visto che 1 3 (∗) KXY = RXY XY = − k[X, Y ]k2 − g([X, [X, Y ]], Y ) 4 2 1 − g([Y, [Y, X]], X) + kU (X, Y )k2 − g(U (X, X), U (Y, Y )), 2 dove U è definita da 2 g(U (X, Y ), Z) = g([Z, X], Y ) + g([Z, Y ], X), X, Y, Z ∈ g. Poichè adX è antisimmetrico, si ha che g(U (X, X), Z) = 0, per ogni Z ∈ g. Consideriamo una base ortonormale (E1 , E2 , . . . , En ) di g tale che E1 = X e E2 = Y e determiniamo KXY = KE1 E2 . Dall’espressione (∗), tenuto conto che l’antisimmetria di adX implica che cj1i + ci1j = 0, i, j = 1, . . . , n, dove ckij sono le costanti di struttura, con un po’ di calcoli, si ricava KE1 E2 n 1X 1 2 = (cm2 ) , 4 m=1 da cui segue che KXY è positivo o nullo, per ogniPY ∈ g. Inoltre, KE1 E2 = 0 se e solo se c1m2 = 0, m = 1, . . . , n. Se Z = nm=1 am Em è un generico elemento di g, allora n n X n X X m 1 [Y, Z] = [E2 , Z] = a c2m E1 + cl2m El , m=1 l=2 m=1 da cui segue la tesi. Come immediata conseguenza della proprietà precedente, si ha il Corollario 3.3.2. Siano G un gruppo di Lie, dotato di metrica invariante a sinistra g, e z il centro della sua algebra di Lie g. Se X ∈ z, allora KXY ≥ 0 per ogni Y ∈ g. Capitolo 3 – Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie 99 J. Milnor in [19] congettura che valga anche la proprietà reciproca del Corollario 3.3.2. Una risposta affermativa è stata data da O. R. Abib, [1], che, come conseguenza di questo fatto, prova il Teorema 3.3.3. Un gruppo di Lie G, connesso, è abeliano se e solo se KXY ≥ 0, per ogni X, Y ∈ g, dove g è l’algebra di Lie di G e K indica la curvatura sezionale di una qualsiasi metrica invariante a sinistra su G. In altri termini, se per qualche X, Y ∈ g si ha KXY < 0, l’algebra di Lie g non è abeliana. Si noti che il Teorema 3.1.6 è un’immediata conseguenza della Proprietà 3.3.1. Occupiamoci, ora, più in dettaglio, delle proprietà di un gruppo di Lie dotato di una metrica biinvariante. Lemma 3.3.4. Sia G un gruppo di Lie con algebra di Lie g. Se g è una metrica biinvariante su G, allora il complemento ortogonale h⊥ di ogni ideale h di g è ancora un ideale di g. Dimostrazione. h⊥ è un ideale di g se e solo se [h⊥ , g] ⊆ h⊥ , ossia se e solo se g([X, Y ], Z) = 0, per ogni X ∈ h⊥ , Y ∈ g e Z ∈ h. Tale condizione è certamente verificata se la metrica è biinvariante (cfr. Teorema 3.1.4). Teorema 3.3.5. Sia g una metrica biinvariante su di un gruppo di Lie G. L’algebra di Lie g di G si decompone nella somma diretta ortogonale del suo centro z e dell’algebra derivata [g, g], ossia g = z ⊕ [g, g], dove [g, g] è semisemplice. Dimostrazione. Si presentano due possibilità. (A) Se g è semplice (cfr. § 1.9), allora ker B = {0} e g non ha ideali proprii (B è la forma di Killing). Poichè g non può essere abeliana, si deduce che z = {0} e g = [g, g]. (B) Se g non è semplice, allora esiste un ideale h tale che g = h ⊕ h⊥ . Per il lemma precedente, anche h⊥ è un ideale e si hanno nuovamente due casi. 1) h è semplice, quindi non è decomponibile nella somma diretta di ideali, mentre h⊥ può essere ulteriormente scomposto (eventualmente). 2) h non è semplice e quindi esiste un suo ideale proprio k tale che h = k ⊕ k⊥ . Comunque, dopo un numero finito di passi, si perviene ad una decomposizione del tipo g = a1 ⊕ a2 ⊕ · · · ⊕ aq , dove ogni ideale ai o ha dimensione 1 oppure è semplice. 100 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Proviamo che ogni ideale ai di g, di dimensione 1, è contenuto nel centro z. Dalla decomposizione precedente, segue che [ai , g] = [ai , a1 ] + · · · + [ai , ai ] + · · · + [ai , aq ]. Se dim ai = 1, allora [ai , ai ] = {0} e [ai , aj ] ⊆ ai ∩ aj = {0} (ogni ai è un ideale e la somma è diretta). In conclusione ai ⊆ z. Se, invece, ai è semplice, allora z∩ai = {0}, in quanto z∩ai è un ideale di ai . In altri termini, z non interseca gli ideali semplici e, pertanto, è somma diretta degli ideali di dimensione 1. Allora g = z ⊕ h1 ⊕ · · · ⊕ h p , dove gli hi sono ideali semplici. Infine si osserva che [hi , hj ] ⊆ hi ∩ hj = {0}, i 6= j, [hi , hi ] = hi , da cui h1 ⊕ · · · ⊕ hp = [g, g]. Il lemma seguente, riguardante la curvatura di Ricci, permette di dimostrare alcune importanti proprietà delle metriche biinvarianti. Lemma 3.3.6. Siano G un gruppo di Lie, g la sua algebra di Lie e g una metrica invariante a sinistra su G. Se esiste un campo unitario X ∈ g tale che adX sia antisimmetrico, allora ρ(X, X) ≥ 0 e ρ(X, X) = 0 se e solo se X è ortogonale a [g, g], dove ρ è il tensore di Ricci. Dimostrazione. Considerata la base ortonormale (E1 = X, E2 , . . . , En ) di g, si ha n n X X ρ(X, X) = RXEi XEi = KXEi , i=1 i=2 da cui ρ(X, X) ≥ 0, per la Proprietà 3.3.1. Inoltre ρ(X, X) = 0 se e solo se ogni curvatura sezionale KXEi si annulla, ossia se e solo se X è ortogonale a [Ei , g], i = 2, . . . , n. Teorema 3.3.7. Sia G un gruppo di Lie semisemplice. Allora il tensore di Ricci ρ, relativo ad una metrica biinvariante g, è definito positivo. Dimostrazione. Se g è una metrica biinvariante, adX è antisimmetrico per ogni X ∈ g. Dal teorema precedente si ha che ρ(X, X) = 0 se e solo se X è ortogonale a [g, g]. Ma g = z ⊕ [g, g], con [g, g] semisemplice (Teorema 3.3.5). Per ipotesi g è semisemplice, quindi g = [g, g], da cui la tesi. Osservazioni. 1) Si è visto che ρ = − 14 B, dove ρ è la curvatura di Ricci relativa ad una metrica biinvariante e B è la forma di Killing (Teorema 3.1.5). Questa proprietà ed il Teorema 3.3.7 provano che, se un gruppo di Lie semisemplice ammette una metrica biinvariante, allora la forma di Killing è definita negativa. 2) Nel § 3.2 abbiamo visto che la forma di Killing di SL(2, R) è non definita. Quindi SL(2, R), essendo un gruppo semplice, non ammette metriche biinvarianti. Capitolo 3 – Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie 101 Come annunciato al termine del § 2.5, siamo ora in grado di dimostrare un’importante conseguenza del Teorema di Myers (cfr. Teorema 2.5.6). Teorema 3.3.8. Se un gruppo di Lie semisemplice G ammette una metrica Riemanniana biinvariante, è compatto e il suo rivestimento universale e è anch’esso compatto. G Dimostrazione. Sia ρ il tensore di Ricci di una metrica biinvariante su G. Dal Teorema 3.3.7 si ricava che esiste una costante δ > 0 tale che ρe (Xe , Xe ) > (n − 1)δ > 0, per ogni campo unitario X ∈ g, dove g è l’algebra di Lie del gruppo G, n = dim G, ed e è l’elemento neutro di G. Dato che le traslazioni sinistre sono isometrie e ρ è invariante per isometrie, la disuguaglianza precedente è valida in ogni punto di G. Sono quindi verificate le ipotesi del Teorema 2.5.6 di Myers, da cui la tesi. Osservazione. Dai Teoremi 3.1.12 e 3.3.7 si vede che un gruppo di Lie semisemplice ammette una metrica biinvariante se e solo se è compatto. Il teorema seguente caratterizza i gruppi di Lie connessi che ammettono una metrica biinvariante. Teorema 3.3.9 ([19]). Un gruppo di Lie connesso G ammette una metrica Riemanniana biinvariante se e solo se G è isomorfo al prodotto diretto di Rk e di un gruppo di Lie compatto H. Dimostrazione. Supponiamo che G ∼ = Rk ×H. Considerate una metrik ca invariante a sinistra g1 su R (tale metrica è necessariamente biinvariante perchè Rk è abeliano) e una metrica biinvariante g2 su H (esiste in quanto, per ipotesi, H è compatto), la metrica prodotto g1 × g2 è una metrica biinvariante su G. Viceversa, supponiamo che g sia una metrica biinvariante sul gruppo di Lie G. L’algebra di Lie g di G si decompone nella somma diretta ortogonale (∗) g = z ⊕ h1 ⊕ · · · ⊕ h q , dove z è il centro di g e ogni hi è un ideale semplice di g (cfr. la dimostrazione del Teorema 3.3.5). Di conseguenza, il rivestimento universale di G sarà del tipo e = Rm × H f1 × · · · × H fq , G fi è l’unico gruppo di Lie semplice, dove Rm corrisponde al centro e ogni H connesso e semplicemente connesso con algebra di Lie hi . Inoltre, la proe −→ G è un isomorfismo locale e Γ = ker π è un sottogruppo iezione π : G e discreto e abeliano, isomorfo al gruppo fondamentale π1 (G). normale di G, e Γ e i gruppi di Lie G e G e hanno algebre di Lie Il gruppo G è isomorfo a G isomorfe. Poichè vale la (∗), la metrica biinvariante g si decompone nel prodotto delle metriche biinvarianti g0 = g|z×z , su z, e gi = g|hi ×hi , i = 1, . . . , q, 102 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie fi è compatto. Si noti che G e non è, in sugli hi . Per il Teorema 3.3.8, ogni H fi è compatto. generale, compatto anche se ogni H e f f e è compatto) Poniamo H = H1 ×· · ·× Hq (per il Teorema di Tychonoff, H e = Rm × H e −→ Rm . Essendo e consideriamo l’omomorfismo analitico p1 : G e Γ un sottogruppo discreto di G, si ha che p1 (Γ) = Γ1 è un sottogruppo discreto di Rm . Allora esiste un insieme di vettori linearmente indipendenti {e1 , e2 . . . , ep } in Γ1 tale che Γ1 = {m1 e1 + · · · + mp ep , mi ∈ Z}. Si completi {e1 , . . . , ep } in modo tale che (a1 , . . . , am−p , e1 , . . . , ep ) sia una base di Rm . Considerati i sottospazi vettoriali V = L(e1 , e2 . . . , ep ) e W = e = V ×W ×H e e G = (V × W × H) e Γ. È L(a1 , a2 . . . , am−p ), si ha G ∼ m−p e, quindi, abbastanza facile provare che Γ opera banalmente su W = R e Γ . Resta solo da dimostrare che (V × H) e Γ è G = Rm−p × (V × H) compatto. Si consideri il sottoinsieme compatto di V K = {α1 e1 + α2 e2 + · · · + αp ep 0 ≤ αi ≤ 1, i = 1, . . . , p} e = K × H. e Non è difficile verificare che K e è un compatto, la e si ponga K cui orbita, rispetto all’azione di Γ, coincide con V × H. Osservazione. Se un gruppo di Lie G è semisemplice e ammette una metrica biinvariante, allora la forma di Killing B è definita negativa (cfr. Osservazione (1), pag. 100). Quindi, posto g(X, Y ) = −B(X, Y ), per ogni X, Y ∈ g, algebra di Lie di G, g definisce una metrica biinvariante su G. Con questo sistema, si possono costruire, in modo standard, metriche biinvarianti sui gruppi semplici e compatti e per esempio su O(n) e U (n) (cfr. Esercizio 3.3.2). Riepilogando i risultati precedenti si ha il Teorema 3.3.10. Sia G un gruppo di Lie semisemplice. Le seguenti affermazioni sono equivalenti (1) G ammette una metrica biinvariante; (2) la forma di Killing B su G è definita negativa; (3) G è compatto. Il teorema precedente giustifica la seguente Definizione 3.3.11. Un’algebra di Lie g si dice compatta se esiste un gruppo di Lie compatto con algebra di Lie g. Alla luce di questa definizione, i risultati appena discussi possono essere riformulati come segue. Teorema 3.3.12. (1) Un’algebra di Lie semisemplice è compatta se e solo se la sua forma di Killing è definita negativa. Capitolo 3 – Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie 103 (2) Un’algebra di Lie g è compatta se e solo se g = z ⊕ [g, g], dove z è il centro di g e [g, g] è semisemplice e compatta. Per i gruppi semplici vale il seguente risultato dovuto a J. Milnor [19]. Teorema 3.3.13. Sia G un gruppo di Lie compatto e semplice. Allora G ammette una sola metrica biinvariante (unica a meno di un fattore costante). Inoltre tale metrica è di Einstein. Dimostrazione. Siano g e g 0 due metriche biinvarianti su G. Poichè entrambe individuano un prodotto scalare sullo spazio tangente Te G ∼ = g (e: elemento neutro di G), esiste un automorfismo di spazi vettoriali S : g −→ g tale che g 0 (X, Y ) = g(S(X), Y ), X, Y ∈ g. Inoltre, S è simmetrico, ossia g(S(X), Y ) = g(X, S(Y )). Essendo adX , X ∈ g, antisimmetrico rispetto ad entrambe le metriche, si ha adX ◦S = S ◦ adX . Se λ è un autovalore di S, allora l’autospazio Vλ è un ideale di g. Ma, per ipotesi, g è semplice, quindi Vλ = g, ossia S = λI, con I automorfismo identico su g e g 0 = λg. Il fatto che la metrica biinvariante sia di Einstein è una conseguenza della proporzionalità del tensore di Ricci e della forma di Killing. Osservazione. Dalla classificazione dei gruppi di Lie semplici (cfr. pag. 50 segue che SU (n), SO(n), Sp(n) e tutti i gruppi eccezionali ammettono un’unica metrica biinvariante del tipo descritto dal Teorema 3.3.13. Tenendo presente la Proprietà 3.3.1, ci si può chiedere in quali casi la curvatura sezionale di una metrica invariante a sinistra sia strettamente positiva. Una risposta sorprendente a tale questione è stata data da Wallach [26], con il seguente ∼ S 3 è l’unico gruppo di Lie semplicemenTeorema 3.3.14. SU (2) = te connesso che ammette una metrica invariante a sinistra con curvatura sezionale strettamente positiva. I gruppi di Lie che ammettono metriche Riemanniane con curvatura sezionale positiva o nulla sono stati caratterizzati da Berard Bergery, [2], nel modo seguente. Teorema 3.3.15. Sia G un gruppo di Lie connesso. Le tre affermazioni seguenti sono equivalenti: (1) G ammette una metrica Riemanniana invariante a sinistra con curvatura sezionale positiva o nulla, (2) G ammette una metrica Riemanniana invariante a sinistra con curvatura di Ricci positiva o nulla (cfr. Teorema 3.4.2), (3) Il rivestimento universale di G è dato dal prodotto semidiretto di un sottogruppo normale, che ammette una metrica invariante e sinistra a curvatura sezionale nulla, e di un sottogruppo semisemplice che opera sul precedente mediante isometrie, dotato di una metrica invariante a sinistra piatta. 104 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Per quanto riguarda la caratterizzazione dei gruppi di Lie G che ammettono una metrica invariante a sinistra a curvatura sezionale nulla, si può sicuramente affermare che se G è commutativo allora ogni metrica invariante a sinistra su G è piatta. D’altra parte, è già stato notato (cfr. § 3.2) che, per esempio, E(2) ammette una metrica piatta senza essere abeliano. Il risultato seguente, attribuito ad Hano, (vedi [19]), risolve tale problema. Teorema 3.3.16. Se un gruppo di Lie G ammette una metrica invariante a sinistra piatta allora G = H oϕ K, dove H è un sottogruppo normale abeliano e K è un sottogruppo abeliano di G che opera su H mediante isometrie. Per esercizio, si consiglia di verificare il teorema precedente nel caso di E(2) (cfr. Esercizio 1.10.2). Infine, nel caso della curvatura sezionale negativa, ci limitiamo al seguente teorema di Milnor [19], anche se esistono classificazioni complete date da Heintze (caso di K < 0) e da Azencott e Wilson (K ≤ 0). Esse richiedono alcune nozioni della teoria degli spazi omogenei e, pertanto, non possono essere riportate in queste note. Teorema 3.3.17. Se G è un gruppo di Lie connesso dotato di metrica invariante a sinistra con curvatura sezionale negativa o nulla allora G è risolubile. Se G è anche unimodulare, tale metrica è piatta. Per le dimostrazioni di tutti questi risultati si rimanda agli articoli man mano citati. Esercizi. 3.3.1 Sia G = H oα K il prodotto semidiretto di un sottogruppo H connesso e normale e di un sottogruppo K. Supponiamo che H e K siano dotati di metriche invarianti a sinistra tali che K operi su H mediante isometrie. Dimostrare che la metrica prodotto su G è invariante a sinistra. 3.3.2 Determinare i valori delle curvature sezionali di O(n) e di U (n) (cfr. Osservazione di pag. 102). Capitolo 3 – Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie 105 3.4. Curvature di Ricci e scalare di una metrica invariante In questo paragrafo, intendiamo proporre un “survey”sugli stretti legami che esistono tra le proprietà topologiche di un gruppo di Lie ed i segni delle curvature (di Ricci e scalare) delle metriche invarianti a sinistra. Iniziamo con il considerare il caso di metriche con tensore di Ricci definito positivo. Teorema 3.4.1 ([19]). Un gruppo di Lie G, connesso, ammette una metrica invariante a sinistra con tensore di Ricci definito positivo se e solo se G è compatto, con gruppo fondamentale finito. In tal caso, G possiede una metrica biinvariante di Einstein. Dimostrazione. Se il tensore di Ricci è definito positivo, allora la tesi segue dal Teorema 2.5.6 di Myers. Viceversa se G è compatto con gruppo fondamentale π1 (G) finito, anche e è compatto, in quanto G ∼ e π1 (G) (cfr. il suo rivestimento universale G =G l’Appendice C). In particolare, la sua algebra di Lie g è compatta (cfr. Definizione 3.3.11) e, per il Teorema 3.3.12, si ha g = z ⊕ [g, g], dove z è il centro di g mentre [g, g] è semisemplice e compatta. La proiezione ψ : g −→ z è un epimorfismo di algebre di Lie che individua un morfismo e −→ Rp tra i gruppi di Lie, connessi e semplicemente connessi, analitico φ : G e compatto, corrispondenti alle algebre di Lie g e z (Teorema 1.7.4). Essendo G p e anche φ(G) è un sottogruppo compatto di R , quindi φ(G̃) = {0}. Ciò implica che z = im ψ = {0}, ossia g = [g, g] è semisemplice. Il gruppo di Lie G è, dunque, semisemplice. Essendo compatto per ipotesi, G ammette una metrica biinvariante con curvatura di Ricci definita positiva (cfr. Teorema 3.3.7). Infine, si noti che la metrica data dall’opposto della forma di Killing è di Einstein (cfr. Osservazione a pag. 102). Osservazione. Si noti che nel caso della dimensione 3, che solo SU (2) ∼ = ammette metriche Riemanniane con tensore di Ricci definito positivo (cfr. § 3.2); infatti, per SU (2) risultano verificate le ipotesi del Teorema 3.4.1. S3 Il caso delle metriche con tensore di Ricci positivo o nullo è stato risolto da L. Bèrard Bergery (per la dimostrazione si veda [2]). Teorema 3.4.2. Un gruppo di Lie connesso ammette una metrica invariante a sinistra con tensore di Ricci positivo o nullo se e solo se ammette una metrica invariante a sinistra con curvatura sezionale positiva o nulla. Le metriche con tensore di Ricci nullo, dette Ricci–piatte, rivestono un particolare interesse, specialmente per le loro applicazioni in Fisica Matematica. Si noti che, nel caso di una generica varietà Riemanniana di dimensione superiore a 3, una metrica Ricci–piatta non è, necessariamente, una metrica piatta. Per quanto riguarda i gruppi di Lie vale, invece, il sorprendente 106 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Teorema 3.4.3 (D.V. Alekseewski, B.N. Kimelfeld). Sia G un gruppo di Lie connesso. Ogni metrica invariante a sinistra su G è Ricci–piatta se e solo se è piatta. Per la dimostrazione di questo risultato, valido per la più ampia classe degli spazi Riemanniani omogenei, si rinvia a [4], Teorema 7.61. La stessa proprietà non è più valida per le metriche indefinite (cfr. [8]). Se il gruppo di Lie è nilpotente, la curvatura di Ricci di ogni metrica invariante a sinistra ha autovalori sia positivi sia negativi. Infatti vale il Teorema 3.4.4 ([19]). Se G è un gruppo di Lie nilpotente, non commutativo, e g è una metrica invariante a sinistra su G, esistono due campi vettoriali V, W ∈ g (algebra di Lie di G) tali che ρ(V, V ) > 0 e ρ(W, W ) < 0, dove ρ è la curvatura di Ricci. In altri termini, esiste una direzione in cui la curvatura di Ricci è strettamente positiva ed una direzione in cui la curvatura di Ricci è strettamente negativa. Il teorema precedente è un caso particolare del Teorema 3.4.5. Se l’algebra di Lie g di un gruppo di Lie G contiene tre campi vettoriali V, W, Z linearmente indipendenti, tali che [V, W ] = Z, allora esiste una metrica invariante a sinistra la cui curvatura di Ricci ρ è tale che ρ(V, V ) < 0 e ρ(Z, Z) > 0. I Teoremi 3.4.4 e 3.4.5 hanno come conseguenza un interessante corollario, dovuto a G. Jensen [15]. Corollario 3.4.6. Un gruppo di Lie nilpotente è di Einstein se e solo se è commutativo. Osservazione. Si consiglia di controllare sul gruppo di Heisenberg He le conclusioni dei tre teoremi precedenti. Daremo solo la dimostrazione del Teorema 3.4.4; per le altre si rinvia agli articoli citati. È necessario premettere alcuni lemmi. Lemma 3.4.7. Sia G un gruppo di Lie dotato di metrica invariante a sinistra g. Supponiamo che la sua algebra di Lie g contenga un ideale h di codimensione 1. Fissato un campo vettoriale X appartenente al complemento ortogonale h⊥ , consideriamo l’applicazione L : h −→ h, Y 7−→ L(Y ) = adX Y , e la sua aggiunta L∗ : h −→ h definita da g(L∗ (Y ), Z) = g(Y, L(Z)), per ogni ¯ la sua restrizione Y, Z ∈ h. Siano ∇ la connessione di Levi Civita di g e ∇ a h × h. Allora (1) ∇X X = 0; (2) ∇W X = −S(W ); (3) ∇X W = 12 (L − L∗ )(W ); ¯ W V + g(S(W ), V ), (4) ∇W V = ∇ per ogni W, V ∈ h, dove si è posto S = 12 (L + L∗ ). Capitolo 3 – Geometria Riemanniana dei gruppi di Lie 107 Dimostrazione. Si tratta di un semplice calcolo, che viene lasciato per esercizio. In un certo senso, il Lemma 3.3.6 può essere invertito, almeno nel caso dei gruppi di Lie nilpotenti. Lemma 3.4.8. Siano G un gruppo di Lie nilpotente con algebra di Lie g. Data una metrica g invariante a sinistra, con tensore di Ricci ρ, supponiamo che esista un campo X ∈ g ortogonale a [g, g]. Allora ρ(X, X) ≤ 0 e ρ(X, X) = 0 se e solo se adX è antisimmetrica. Dimostrazione. Non è restrittivo supporre che kXk = 1. Allora h = L(X)⊥ è un ideale di codimensione 1 in g. Fissata una base ortonormale (E2 , . . . , En ) di h (n = dim g), si ha ρ(X, X) = n X KXEi , i=2 dove K indica la curvatura sezionale. Dal Lemma 3.4.7, si deduce che, per ogni campo invariante W ∈ h, L − L∗ S(W ), W . KXW = −g(SL(W ), W ) + g 2 Se (E2 , . . . , En ) è una base formata da autovettori di L, cioè L(Ei ) = λi Ei , i = 2, . . . , n, un facile calcolo mostra che KXEi = −λ2i , da cui ρ(X, X) = − n X λ2i = − tr(S 2 ) ≤ 0. i=2 Inoltre, ρ(X, X) = 0 se e solo se S = 0 ossia se e solo se L = −L∗ , vale a dire adX antisimmetrica. A questo punto siamo in grado di provare il Teorema 3.4.4. Dimostrazione. Per ipotesi, G è nilpotente ma non commutativo. Allora g ⊃ [g, g] ⊃ [g, [g, g]] ⊃ . . . gn = {0}. Se X ∈ gn−1 , dato che [g, gn−1 ] = gn = {0}, allora X appartiene centro z. L’endomorfismo adX è, quindi, antisimmetrico e, dal Lemma 3.6 segue che ρ(X, X) > 0. Si noti che ρ(X, X) 6= 0 in quanto X ∈ [g, g]. Proviamo, ora, che esiste un campo Y 6= o ortogonale a z + [g, g]. Se, per assurdo, fosse g = z + [g, g] si avrebbe g2 = [g, [g, g]] = [g, g] e g sarebbe nilpotente soltanto se [g, g] = {0} , in contrasto con l’ipotesi. Per il Lemma 3.4.8, ρ(Y, Y ) ≤ 0 e ρ(Y, Y ) = 0 se e solo se adY è antisimmetrico. In tal caso, adY , essendo nilpotente (cfr. Proprietà 1.9.10) risulterebbe identicamente nullo. Ciò è assurdo, poichè Y 6= o è ortogonale a z. In conclusione, deve essere necessariamente ρ(Y, Y ) < 0. 108 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Le proprietà seguenti prendono in considerazione la curvatura scalare di un gruppo di Lie dotato di metrica invariante a sinistra. Le dimostrazioni saranno quasi sempre omesse. Per maggiori dettagli si rimanda agli articoli citati man mano. Teorema 3.4.9 ([2]). Sia G un gruppo di Lie connesso. Il rivestimento e di G è diffeomorfo ad uno spazio euclideo Rn se e solo se universale G ogni metrica invariante a sinistra su G è piatta oppure ha curvatura scalare strettamente negativa. Dimostrazione. (cenno) Consideriamo la decomposizione di Levi– Malcev (cfr. Teorema 1.9.13) dell’algebra di Lie g di G g = r + s, dove r è il radicale risolubile di g, e s è una sottoalgebra semisemplice. Si tratta di una somma di spazi vettoriali e di una somma semidiretta di algebre di Lie, ossia g = r ⊕δ s, dove δ(X) = adX , X ∈ r. In base a tale decomposizione dell’algebra di e di G è del tipo (cfr. la dimostrazione del Lie, il rivestimento universale G Teorema 3.3.9) e=R e oϕ (H f1 × · · · × H fp ), G e è risolubile e ogni H fi , i = 1, . . . , p è semplice. È abbastanza chiadove R e ∼ fi ∼ ro che R = Rm , essendo risolubile, mentre ogni H = Rk se e solo se ^R) ∼ fi ∼ H = R3 , essendo semplice. La tesi segue dal fatto che la curva= SL(2, tura scalare di ogni metrica invariante a sinistra su SL(2, R) è strettamente negativa (cfr. § 3.2). Si consiglia di controllare, a titolo di esercizio, la validità di questo teorema nel caso dei gruppi di Lie di dimensione 3. N. Wallach considera il caso opposto a quello preso in esame da Bèrard Bergery e prova il e di un Teorema 3.4.10 (Wallach [26]). Se il rivestimento universale G n gruppo di Lie connesso G non è omeomorfo a R (ciò equivale a richiedere che G contenga un sottogruppo compatto non commutativo) allora G ammette una metrica invariante a sinistra di curvatura sezionale strettamente positiva. Concludiamo, infine, con un risultato relativo alla curvatura scalare. Teorema 3.4.11 (Milnor [19], Bèrard Bergery [2], Jensen [16]). Sia G un gruppo di Lie connesso e risolubile. La curvatura scalare di ogni metrica invariante a sinistra su G è negativa o nulla. Se la curvatura scalare è nulla allora la metrica è piatta. APPENDICE A Spazi proiettivi e gruppi classici Siano E n = {x ∈ Rn / kxk ≤ 1} il disco n–dimensionale, I l’intervallo reale chiuso [0, 1] e S n−1 la sfera bordo di E n . Iniziamo con alcune osservazioni sulla topologia dei gruppi lineari. a) L’applicazione α α 7−→ , det(α) det(α) è un isomorfismo da U (n) in SU (n) × S 1 e da O(n) in SO(n) × {−1, 1}. b) SO(2) e U (1) sono isomorfi a S 1 . c) SU (n), U (n) e SO(n) sono connessi per archi (cfr. [10], pag. 37). Proprietà A.1 (decomposizione polare di una matrice). GL(n, C) (ri2 spettivamente GL(n, R)) è omeomorfo a U (n)×Rn (rispettivamente a O(n)× n(n+1) 2 ). In particolare, ogni matrice di GL(n, C) si può rappresentare univocamente come prodotto di una matrice unitaria e di una matrice hermitiana con autovalori positivi. R Dimostrazione. (cenno; i dettagli vengono lasciati per esercizio). Se ∗ ) l’aggiunta di α, dove α = (αij ) ∈ gl(n, C), indichiamo con α∗ = (αij ∗ αij = αji . Una matrice α si dice hermitiana se α = α∗ . Una tale matrice è diagonalizzabile e ha autovalori reali. Indicheremo con H lo spazio delle matrici hermitiane e con H + quello delle matrici hermitiane definite positive (cioè con autovalori positivi). Si può verificare che (i) L’applicazione esponenziale exp : H −→ H + è un omeomorfismo. (ii) Esiste un unico omeomorfismo √ f di H + su se stesso tale che (f (α))2 = α. In tal caso, si pone f (α) = α. (iii) Per ogni α ∈ GL(n, C), α∗ α ∈ H + . (iv) h : (α, β) 7→ αβ è un omeomorfismo da√ U (n) × √ H + su GL(n, C). L’applicazione inversa è data da α 7→ (α( α∗ α)−1 , α∗ α). Inoltre, h è pure un omeomorfismo di O(n) × (H + ∩ gl(n, R)) su GL(n, R). Proprietà A.2. SO(3, R) è isomorfo (come gruppo topologico) al quoziente di S 3 (pensato come gruppo moltiplicativo dei quaternioni di norma 1) modulo {−I, I}. Dimostrazione. Sia H il corpo dei quaternioni (si veda l’Esercizio 1.6.3). Ricordato che S 3 = {q = x0 + x1 i + x2 j + x3 k ∈ H / kqk = 1}, 109 110 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie per ogni q ∈ S 3 l’applicazione A(q) : H −→ H, x 7−→ qxq −1 è una trasformazione ortogonale di H (considerato come spazio vettoriale e, quindi, identificato con R4 ) tale che A(R3 ) ⊆ R3 = {q ∈ H / q = x1 i + x2 j + x3 k}. Viene dunque determinato, per ogni q ∈ S 3 , un elemento A(q) ∈ O(3); in altri termini si ha un omomorfismo di gruppi A : S 3 −→ O(3). Essendo S 3 connesso, A(S 3 ) ⊆ SO(3). Un elemento del nucleo di A deve commutare con i, j, k, perciò ker A = {−I, I}. Resta da provare che A : S 3 −→ SO(3) è suriettiva. Se B ∈ SO(3), B deve lasciare fisso almeno un vettore, cioè esiste un u 6= 0 in R3 , con kuk = 1, tale che B(u) = u. Dato che B(u⊥ ) ⊆ u⊥ e dim u⊥ = 2, B|u⊥ : u⊥ −→ u⊥ è una rotazione di un certo angolo θ. Sia x ∈ u⊥ con kxk = 1; il prodotto vettoriale u ∧ x è ortogonale sia ad u sia a x e, quindi, {x, u ∧ x} è una base ortonormale di u⊥ e B(x) = cos θ x+sin θ u∧x. Posto q = cos( 2θ )+sin( 2θ )u ∈ H, u ∈ R3 , si ha A(q) = B (basta osservare che se u e x sono quaternioni puri ux = u ∧ x), da cui segue la tesi. Definizione A.3. Lo spazio proiettivo reale RPn è lo spazio quoziente di Rn+1 − {0} mediante la relazione di equivalenza che identifica il vettore x ∈ Rn+1 − {0} con λx ∈ Rn+1 − {0}, dove λ ∈ R − {0}. In modo equivalente, RPn si può ottenere dalla sfera S n identificandone i punti antipodali. Definizione A.4. Lo spazio proiettivo complesso CPn è lo spazio quoziente di Cn+1 − {0} mediante la relazione di equivalenza che identifica x ∈ Cn+1 −{0} con λx ∈ Cn+1 −{0}, dove λ ∈ C−{0}. In modo equivalente, CPn si può ottenere dalla sfera S 2n+1 identificando i punti x e λx, dove λ ∈ S1. Dati due spazi topologici X e Y , un sottospazio chiuso E di X e una applicazione continua f : E −→ Y , si definisce lo spazio incollamento di X e Y mediante f , denotato con X ∪f Y , nel modo seguente: si considera l’unione disgiunta X t Y e si identificano x ∈ E e f (x) ∈ Y . In altri termini X ∪f Y è il “push-out” f E i X k /Y h / X ∪f Y ed è caratterizzato dalla seguente proprietà universale: per ogni spazio topologico Z e per ogni coppia di applicazioni continue l : Y −→ Z e m : X −→ Z tali che l ◦ f = m ◦ i, esiste un’unica applicazione continua q : X ∪f Y −→ Z tale che q ◦ h = l e q ◦ k = m. Esempi. (1) Se X = E 2 , E = S 1 , Y è un punto qualsiasi e f : S −→ Y è l’applicazione costante, allora X ∪f Y = S 2 . Appendice A – Spazi proiettivi e gruppi classici 111 (2) Se X = E 1 , E è un punto qualsiasi, Y = S 1 ed è introdotta l’applicazione continua f che manda E in y ∈ Y , allora X ∪f Y è dla “figura otto”(vedi pag. 28). Definizione A.5. Un CW–complesso n dimensionale è uno spazio topologico X a cui è associata una filtrazione X0 ⊆ X1 ⊆ · · · ⊆ Xn (X i è detto i–scheletro di X) tale che: (1) X 0 è uno spazio topologico discreto; (2) X i è ottenuto da X i−1 incollando i–celle (una i–cella è uno spazio omeomorfo al disco E i ). Più precisamente, se {Eλi }λ∈Λ è una collezione di i-celle, si considerino le funzioni di incollamento (dette funzioni caratteristiche) fλ : Sλi−1 −→ X i−1 e si costruisca, per ogni λ ∈ Λ, lo spazio di incollamento X i−1 ∪fλ Eλi . X i è l’unione su λ degli spazi topologici ottenuti in questo modo. Si noti che la restrizione dell’applicazione Eλi −→ X i−1 ∪fλ Eλi all’interno di Eλi è un omeomorfismo. Si può provare (cfr. [18]) che il tipo di omotopia di X dipende solo dalla classe di omotopia delle funzioni caratteristiche. (1) (2) (3) (4) Esempi. Ogni grafo finito (cioè con un numero finito di vertici e di archi) è un CW–complesso (per la definizione di grafo si veda, ad esempio, [10]). Si parta, infatti, da un insieme finito X 0 di punti, si considerino delle funzioni continue fλ da 0–sfere Sλ0 (cioè da una coppia di punti) in X 0 e si incollino delle 1–celle Eλ2 mediante le fλ . Se fλ manda i due punti di Sλ0 in punti distinti si ottengono dei segmenti. Se, invece, fλ manda i due punti di Sλ0 nello stesso punto si ottengono degli archi chiusi, omeomorfi a S1. Ogni complesso simpliciale è un CW–complesso. S n è un CW–complesso il cui 0–scheletro (che coincide con l’i–scheletro, per ogni i ≥ n − 1) è un punto e l’n–scheletro è ottenuto dall’(n − 1)–scheletro incollando una n–cella. RPn è un CW–complesso con filtrazione RP0 ⊆ RP1 ⊆ · · · ⊆ RPn e RPi è ottenuto da RPi−1 incollando una i-cella (cfr. Esercizio A.2). (5) CPn è un CW–complesso con filtrazione CP0 ⊆ CP1 ⊆ · · · ⊆ CPn , dove ogni CPi è il (2i)-scheletro e CPi è ottenuto da CPi−1 incollando una (2i)-cella (cfr. Esercizio A.2). Esercizi. A.1 Si dimostri la Proprietà A.1. 112 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie A.2 Provare che RPn (rispettivamente CPn ) è omeomorfo allo spazio di incollamento E n ∪p RPn−1 (rispettivamente E 2n ∪p CPn−1 ), dove p è l’applicazione quoziente da S n−1 in RPn−1 (rispettivamente da S 2n−1 in CPn−1 ). APPENDICE B Omotopia e gruppo fondamentale In questa appendice verrano riportate alcune definizioni e proprietà dell’omotopia e del gruppo fondamentale. La trattazione sarà necessariamente molto sintetica e non verrà data alcuna dimostrazione. Per le dimostrazioni e per maggiori dettagli sull’argomento si rimanda, ad esempio, a [11] oppure a [10]. Definizione B.1. Date due funzioni continue f, g : X −→ Y , si dice che f è omotopa a g, e si scrive f ∼ g, se esiste una funzione continua F : X × I −→ Y (I indica, al solito, l’intervallo reale chiuso [0, 1]) tale che F|X×{0} = f, F|X×{1} = g. Geometricamente si può pensare che f ∼ g se esiste una deformazione continua che manda f in g. Non è difficile dimostrare che l’omotopia è una relazione di equivalenza nell’insieme delle funzioni continue da X in Y e che la composizione di funzioni omotope dà luogo a funzioni ancora omotope. Ha dunque senso considerare classi di funzioni omotope ed operare su queste in luogo delle singole funzioni. Definizione B.2. Un’applicazione continua f : X −→ Y è una equivalenza omotopica se esiste una seconda applicazione continua g : Y −→ X tale che f ◦ g ∼ idY e g ◦ f ∼ idX . Due spazi topologici equivalenti, a meno di omotopia, si diranno avere lo stesso tipo di omotopia e saranno, in quest’ambito, indistinguibili. Infatti, si può introdurre una classe di oggetti che sono, in questa categoria “banali”. Definizione B.3. Uno spazio topologico X si dice contrattile se esiste un punto x0 ∈ X tale che l’identità di X e la funzione costante x0 siano omotope (si dice che l’identità è omotopa a zero o inessenziale). Si può provare che uno spazio topologico X è contrattile se e solo se, per ogni spazio topologico Y ed ogni applicazione continua f : Y −→ X, si ha che f è omotopa a zero (cioè ad una funzione costante). Esempi. (1) Rn è contrattile; ogni funzione continua a valori in Rn è omotopa a zero. (2) Il disco chiuso E n (cfr. l’Appendice A) è contrattile; in generale ogni sottospazio convesso di Rn è contrattile (Esercizio B.3). 113 114 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Definizione B.4. Un sottospazio A di uno spazio topologico X si dice retratto di X se esiste una funzione continua r : X −→ A tale che, indicata con j l’inclusione di A in X, si abbia r ◦ j = idA . A prende il nome di retratto di deformazione di X se, inoltre, j ◦ r è omotopa all’identità di X, in particolare se A e X hanno lo stesso tipo di omotopia. (1) (2) (3) (4) (5) Esempi. S n−1 è un retratto di deformazione di Rn − {0} (Esercizio B.4). S 1 × {0} è un retratto di deformazione dei cilindri S 1 × R e S 1 × I. La “figura otto è un retratto di deformazione del complementare di due punti in R2 e del complementaren di un punto nel toro T 2 . S 1 è un retratto di deformazione del nastro di Moebius. S 1 non è un retratto di E 2 (Esercizio B.5). Siano α, β : I −→ X due cammini con gli stessi punti iniziali e finali (cioè α(0) = β(0) = x0 e α(1) = β(1) = x1 ). Definizione B.5. Si dice che α ∼ β rel (0, 1) se esiste un’omotopia con “estremi fissi” tra α e β, cioè se esiste un’omotopia F : I × I −→ X di α e β tale che F {0}×I = x0 , F {1}×I = x1 . Se x0 = x1 allora α e β prendono il nome di cappi. In tal caso, si può definire il cappio prodotto α ∗ β come ( α(2t), 0 ≤ t ≤ 21 (α ∗ β)(t) = β(2t − 1), 12 ≤ t ≤ 1. Valgono le seguenti proprietà. (1) L’omotopia è una relazione di equivalenza nell’insieme dei cappi centrati in un punto x0 . (2) Il prodotto di cappi è ben definito nell’insieme quoziente dei cappi rispetto alla relazione di omotopia con estremi fissi. Indicata con [α] una classe di omotopia di cappi, si pone [α ∗ β] = [α] ∗ [β]. (3) Sia π1 (X, x0 ) l’insieme delle classi di equivalenza dei cappi centrati in x0 , modulo la relazione di omotopia estremi fissi. Si può provare che π1 (X, x0 ) è un gruppo, detto gruppo fondamentale di X relativo al punto base x0 . (4) Se f : (X, x0 ) −→ (Y, y0 ) è una funzione continua di X in Y che manda x0 in y0 , allora l’applicazione π1 f : π1 (X, x0 ) −→ π1 (Y, y0 ), [α] 7−→ [f ◦ α] è ben definita ed è un morfismo di gruppi. Inoltre π1 è un funtore, cioè π1 (id) = id, π1 (g ◦ f ) = π1 g ◦ π1 f. Appendice B – Omotopia e gruppo fondamentale 115 (5) Se X è connesso per cammini, il gruppo fondamentale di X non dipende dal punto base; più precisamente se x0 , x1 ∈ X, allora π1 (X, x0 ) è isomorfo a π1 (X, x1 ). (6) Il gruppo fondamentale di un gruppo topologico (in particolare di un gruppo di Lie) è abeliano (Esercizio B.1). (1) (2) (3) (4) Esempi. Il gruppo fondamentale di Rn è banale. Il gruppo fondamentale di E n è banale. Si vedrà in seguito che il gruppo fondamentale di S 1 è isomorfo a Z. Intuitivamente, si può pensare che il suo generatore sia il cappio “un giro”. Il gruppo fondamentale di S n , per n ≥ 2, è banale. Definizione B.6. Uno spazio connesso per cammini X si dice semplicemente connesso se π1 (X) è banale. Si prova (ma non è banale come potrebbe sembrare!) che uno spazio topologico contrattile è semplicemente connesso. Inoltre, si può dimostrare che il gruppo fondamentale di uno spazio topologico X dipende solo dal tipo di omotopia di X. In altre parole, un’equivalenza omotopica induce un isomorfismo tra i gruppi di omotopia. In particolare, se A è un retratto di deformazione di X, A e X hanno gruppi fondamentali isomorfi. Esempi. (1) I complementari di un punto in Rn e in S n−1 hanno lo stesso gruppo fondamentale. (2) Il nastro di Moebius e S 1 hanno lo stesso gruppo di omotopia. Esiste una retrazione che manda il nastro di Moebius nel suo bordo? Alcuni teoremi permettono di calcolare il gruppo fondamentale di uno spazio topologico riconducendosi al gruppo fondamentale di spazi topologici “più semplici”. Teorema B.7. π1 (X × Y, (x0 , y0 )) ∼ = π1 (X, x0 ) × π1 (Y, y0 ). Da questo teorema si deduce, ad esempio, che il gruppo fondamentale del toro è isomorfo a Z × Z. Teorema B.8. Se X è un CW–complesso e X 2 è il suo 2–scheletro, allora l’inclusione di X 2 in X induce un isomorfismo tra π1 (X 2 ) e π1 (X). Esempi. (1) Come conseguenza del Teorema B.8 si ha che S n è semplicemente connesso per n ≥ 3. (Anche S 2 è semplicemente connesso ma ciò è una conseguenza del prossimo risultato). (2) CPn è semplicemente connesso. 116 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie Teorema B.9 (di Seifert e Van Kampen). Se X = U ∪ V con U e V aperti e U ∩ V non vuoto e connesso per cammini, allora il diagramma π1 (U ∩ V ) π1 (i2 ) π1 (V ) π1 (i1 ) π1 (j2 ) / π1 (U ) π1 (j1 ) / π1 X dove i1 , i2 , j1 , j2 sono le inclusioni, è un diagramma di “push out”(cfr. l’Appendice A). Corollario B.10. Si considerino valide le ipotesi del Teorema B.9. (1) Se U ∩ V è semplicemente connesso allora π1 (X) è isomorfo al prodotto libero di π1 (U ) e π1 (V ). (2) Se π1 (i1 ) e π1 (i2 ) sono isomorfismi allora anche π1 j1 e π1 j2 lo sono. Come conseguenza del Teorema B.9 si può dedurre che: (1) S 2 è semplicemente connesso. (2) π1 (RP2 ) ' Z2 . Che cosa si può dire di π1 (RPn )? Esercizi. B.1 Sia G un gruppo topologico con prodotto · ed elemento neutro e. Indicato con Ω(G, e) l’insieme dei cappi con punto base in e, se f, g ∈ Ω(G, e) si definisca il cappio prodotto f ~ g come (f ~ g)(s) = f (s) · g(s). Si provi che: i) (Ω(G, e), ~) è un gruppo. ii) ~ induce una operazione ~ su π1 (G, e). iii) L’operazione ~ e l’usuale prodotto di classi di cappi ∗ su π1 (G, e) coincidono (suggerimento: calcolare (f ∗ ce ) ~ (ce ∗ g), dove ce è il cappio costante in e). iv) π1 (G, e) è abeliano. (Suggerimento: definire una nuova operazione su Ω(G, e) tale che (f g)(s) = g(s) · f (s)). B.2 Provare che CPn è semplicemente connesso. B.3 Verificare che se X ⊆ Rn è un insieme convesso allora X è contrattile. B.4 Dimostrare che il complementare di un punto in Rn ha S n−1 come retratto di deformazione. B.5 Provare che S 1 non è un retratto di E 2 . APPENDICE C Rivestimenti In questa appendice si intende dare la definizione di rivestimento di uno spazio topologico, che sarà, poi, particolarizzata al caso di un gruppo topologico e di un gruppo di Lie. Definizione C.1. Dati due spazi topologici E ed X e un’applicazione continua p : E −→ X, p si dice rivestimento di X se, per ogni x ∈ X, esiste un intorno aperto U di x tale che p−1 (U ) è l’unione disgiunta di aperti Ui di E ognuno dei quali è omeomorfo ad U mediante p|Ui . L’intorno U si dice “coperto regolarmente” o “intorno trivializzante”. Gli aperti Ui sono i fogli; p−1 (x) è la fibra di x. Come conseguenza immediata della Definizione C.1 si ha: a) La fibra di ogni punto è discreta. b) p è un omeomorfismo locale. c) X è dotato della topologia quoziente. Osservazioni. 1) Se X è una varietà differenziabile, si vede facilmente che E ha un’unica struttura differenziabile per cui p è una applicazione differenziabile (cfr. [10]). 2) Un rivestimento è un caso particolare di fibrato: infatti un rivestimento è un fibrato localmente triviale con fibra discreta. Il gruppo fondamentale π1 (X) (cfr. l’Appendice B) può essere considerato come gruppo strutturale del fibrato (pensato come gruppo di Lie discreto) e lo spazio omogeneo π1 (X)/p∗ π1 (E) è la fibra. In quest’ottica, i fibrati principali sono dei particolari rivestimenti detti rivestimenti regolari (o di Galois). Per maggiori dettagli si veda, a questo proposito, [24]. Esempi. (1) I rivestimenti della circonferenza S 1 sono: a) id : S 1 −→ S 1 . b) S 1 × (spazio discreto). Questi due primi esempi sono, in un certo senso, “banali”. c) p : R −→ S 1 , dove S 1 è identificato con l’insieme dei numeri complessi di norma 1 (cfr. §I.1) e p : x 7→ e2πix . d) pn : S 1 −→ S 1 con pn : e2πix 7−→ e2πinx , ed n è numero naturale fissato. 117 118 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie (2) Per quanto riguarda i rivestimenti del toro, basta usare una proprietà generale in cui si afferma che il prodotto cartesiano di rivestimenti è ancora un rivestimento e utilizzare gli esempi precedenti. (3) Un rivestimento di RPn è dato da p : S n −→ RPn , dove p è l’applicazione quoziente. Dati un rivestimento p : E −→ X, uno spazio topologico Y e un’applicazione continua f : Y −→ X, si intende stabilire quando è possibile “sollevare”f ad un’applicazione continua fe: Y −→ E. A questo proposito vale il Teorema C.2 (Unicità del sollevamento). Siano p : E −→ X un rivestimento e f : Y −→ X una funzione continua arbitraria, con Y spazio topologico connesso. Se esiste una funzione continua fe: Y −→ E (detta sollevamento di f ) per cui p ◦ fe = f e se, dati e0 ∈ E, x0 ∈ X, y0 ∈ Y , si ha f (y0 ) = x0 e fe(y0 ) = e0 , allora, tale sollevamento è unico. Sotto particolari ipotesi, il sollevamento di un’applicazione continua è sempre possibile. Per esempio, vale il Teorema C.3 (Sollevamento dei cammini). Sia p : E −→ X un rivestimento. Se σ è un cammino su X di punto iniziale x0 ∈ X, allora, per ogni e0 ∈ p−1 (x0 ), esiste un unico cammino σe0 0 di E tale che p ◦ σe0 0 = σ. Esempio. Si prenda in considerazione il precedente Esempio (1) di pag. 117, punti c) e d). Nel caso del rivestimento pn , un cappio “n giri di S 1 si solleva ad un cappio, mentre un cappio “k giri”(k 6= n) si solleva soltanto ad un cammino. Nel caso del rivestimento p nessun cappio si solleva ad un cappio. Rivestimenti del tipo di p verranno chiamati universali; intuitivamente tali rivestimenti “slegano tutti i cappi”. Teorema C.4 (Sollevamento dell’omotopia). Siano p : E −→ X un rivestimento ed f : (Y, y0 ) −→ (X, x0 ) una funzione continua, dove f (y0 ) = x0 , che ammette un sollevamento f 0 : (Y, y0 ) −→ (E, e0 ). Allora ogni omotopia F : Y × I −→ X con F (y, 0) = f (y), per ogni y ∈ Y , può essere sollevata ad un’omotopia F 0 : Y × I −→ E con F 0 (y, 0) = f 0 (y), per ogni y ∈ Y . Inoltre, se l’omotopia F lascia fisso un sottospazio W di Y , anche F 0 fissa lo stesso sottospazio. Corollario C.5. Sia p : E −→ X un rivestimento. Se σ e τ sono cammini in X con lo stesso punto iniziale x0 e σ ∼ τ rel (0, 1), allora σe0 0 ∼ τe0 0 rel (0, 1), per ogni e0 ∈ p−1 (x0 ). In particolare, σe0 0 e τe0 0 hanno lo stesso punto finale. Come applicazione dei “teoremi di sollevamento”ora enunciati, determiniamo il gruppo fondamentale della circonferenza S 1 . Utilizzando il rivestimento di S 1 p : R −→ S 1 (cfr. l’Esempio (1) di pag. 117, punto d)), definiamo un omomorfismo ψ : π1 (S 1 , 1) −→ Z, [σ] 7→ σe0 0 (1), Appendice C – Rivestimenti 119 dove σe0 0 è il sollevamento di σ a partire dal punto 0 ∈ R. Si può verificare (cfr. [11]) che ψ è un isomorfismo. In generale, se G è un gruppo topologico semplicemente connesso e H un suo sottogruppo normale e discreto, si ha: (i) p : G −→ G/H è un rivestimento. (ii) π1 (G/H) ∼ = H = ker p. (iii) H è contenuto nel centro di G. Le proprietà (i) e (iii) non dipendono dalla semplice connessione di G. Corollario C.6. Se p : (E, e0 ) −→ (X, x0 ) è un rivestimento, allora π1 (p) : π1 (E, e0 ) −→ π1 (X, x0 ) è un monomorfismo. Si può individuare una condizione necessaria e sufficiente affinchè una funzione continua tra due spazi topologici possa essere sollevata. Vale il Teorema C.7 (Criterio di sollevamento delle funzioni). Dati un rivestimento p : (E, e0 ) −→ (X, x0 ), uno spazio topologico Y connesso e localmente connesso per archi, un’applicazione continua f : (Y, y0 ) −→ (X, x0 ) ammette un (unico) sollevamento f 0 : (Y, y0 ) −→ (E, e0 ) se e solo se π1 (f )π1 (Y, y0 ) ⊆ π1 (p)π1 (E, e0 ). Definizione C.8. Un rivestimento p : U −→ X si dice universale se lo spazio topologico U è semplicemente connesso. Osservazione. Come conseguenza del Teorema C.7, il rivestimento universale è unico a meno di omeomorfismi. Inoltre, se p : U −→ X è il rivestimento universale di uno spazio topologico X, e q : E −→ X è un rivestimento di X, allora esiste una funzione continua f : E −→ U tale che p ◦ f = q (f solleva q). In altre parole il rivestimento universale “riveste ogni altro rivestimento”. Tutti gli spazi topologici di cui ci si è occupati in questo corso sono dotati di rivestimento universale. Infatti, se uno spazio topologico X è “quasi localmente semplicemente connesso”allora ammette il rivestimento universale. Tale condizione significa che, per ogni punto x ∈ X, esiste un intorno aperto V di x tale che l’omomorfismo (indotto dall’inclusione) π1 (V ) −→ π1 (X) sia il morfismo nullo. Chiaramente ogni varietà topologica gode di questa proprietà. Si può provare che ogni rivestimento di un gruppo topologico (rispettivamente, di Lie) è un gruppo topologico (di Lie). Questa è una conseguenza del criterio di sollevamento dei cammini (Teorema C.3), che viene proposta come esercizio. Esercizi. C.1 Dimostrare che CPn è semplicemente connesso. 120 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie C.2 Siano G un gruppo topologico semplicemente connesso e H un suo sottogruppo normale e discreto. Si provi che i) p : G −→ G/H è un rivestimento. ii) π1 (G/H) ∼ = H = ker p. iii) H è contenuto nel centro di G. Le proprietà i) e iii) non dipendono dalla semplice connessione di G. C.3 Siano p : E −→ X un rivestimento e x0 ∈ X. Si definisca un’azione di π1 (X, x0 ) sulla fibra p−1 (x0 ) nel modo seguente: p−1 (x0 ) × π1 (X, x0 ) −→ p−1 (x0 ), (e, [σ]) 7−→ σe0 (1), dove σe0 è il sollevamento di σ a partire dal punto e ∈ p−1 (x0 ). Verificare che: i) il sottogruppo di isotropia di un punto e0 ∈ p−1 (x0 ) è p∗ π1 (E, e0 ). ii) Se E è connesso per archi, l’azione è transitiva (in particolare i sottogruppi {p∗ π1 (E, e)} al variare di e in p−1 (x0 ) sono tutti coniugati). iii) p−1 (x0 ) è in biiezione con π1 (X, x0 )/p∗ π1 (E, e0 ). C.4 Provare che π1 (RP2 ) ∼ = Z2 e dedurre da questo risultato che anche n ∼ π1 (RP ) = Z2 per n ≥ 2. C.5 Siano X un gruppo topologico connesso e localmente connesso per archi e p : E −→ X un rivestimento di X. Indicato con x0 l’elemento neutro di X e fissato un punto e0 ∈ p−1 (x0 ), provare che esiste un’unica struttura di gruppo topologico su E rispetto alla quale e0 è l’elemento neutro e p è un omomorfismo (suggerimento: si applichi il Teorema C.3 alle funzioni (p × p) ◦ m e p ◦ i, dove m : X × X −→ X, (x, y) 7−→ xy, i : X −→ X, x 7−→ x−1 ). Bibliografia [1] Abib O., Métriques invariantes à gauche sur un groupe de Lie: sur une conjecture de Milnor, Hiroshima Math. J. 12(1982), 245–248. [2] Bérard Bergery L., Sur la courbure des métriques Riemanniennes invariantes des groupes de Lie et des espaces homogènes, 11(1978), Annales Sc. Éc. Norm. Sup., 543–576. [3] Bérard Bergery L., Les espaces homogènes riemanniennes de dimension 4, exposè III, in: A.L.Besse “Géometrié Riemannienne en Dimension 4”, Cedic–Fernand, Nathan, Paris 1981. [4] Besse A.L., Einstein Manifolds, Springer Verlag, Berlin 1980. [5] Boothby W. M., An Introduction to Differentiable Manifolds and Riemannian Geometry, Academic Press, New York 1986. [6] Brickell F., Clark R.S., Differential Manifolds, an Introduction, Van Nostrand Reinholds Company, London 1970. [7] Cheeger J., Ebin D., Comparison Theorems in Riemannian Geometry, North Holland, Amsterdam 1975. [8] De Andres L.C., Fernández M., Gray A., Mencia J.J., Compact manifolds with indefinite Kähler metrics, in: “Proceedings of the Sixth International Colloquium on Differential Geometry”, Santiago de Compostela 1988. [9] Fulton W., Harris J., Representation Theory, Graduate Texts in Mathematics 129, Springer Verlag, New York 1991. [10] Godbillon C., Elements de Topologie Algebrique, Hermann, Paris 1971. [11] Greenberg M., Harper J., Algebraic Topology: A First Course, Benjamin Cumming, Reading, Massachusetts 1981. [12] Hall B.C., Lie Groups, Lie Algebras, and Representations, Graduate Texts in Mathematics 222, Springer Verlag, New York 2003. [13] Helgason S., Differential Geometry, Lie groups and Symmetric Spaces, Academic Press, New York 1978; ristampato da American Mathematical Society, Providence, RI, 2001. [14] Ishihara S., Homogeneous Riemannian spaces of four dimensions, J. of the Math. Soc. of Japan 7(1955), 345–370. [15] Jensen G., Homogeneous Einstein spaces of dimension four, J. of Diff. Geometry 3(1969), 309–349. [16] Jensen G., The scalar curvature of left invariant Riemannian metrics, 1971 Indiana Math. J. 20(1971), 1125–1143. [17] Kobayashi S., Nomizu K. Foundations of Differential Geometry, Vol I, II, Interscience Publishers, New York 1969. [18] Milnor J., Morse Theory, Princeton Univ. Press, Princeton, New Jersey 1963. [19] Milnor J., Curvature of left invariant metrics on Lie groups, Adv. in Math. 21(1976), 293–329. [20] Myers S. B., Steenrod N., The group of isometries of a Riemannian manifold, Ann. of Math. 40(1939), 400–416. [21] Naimark M.A., Stern A.I., The Theory of Group Representations, Springer Verlag, Berlin 1982. Versione italiana: Ed. Riuniti, Roma. [22] Sagle A.A., Walde R.E., Introduction to Lie Groups and Lie Algebras, Academic Press, New York 1973. [23] Spivak M., A Compehensive Introduction to Differential Geometry, Vol I, V, Publish or Perish, Berkeley 1979. 121 122 E. Abbena, S. Console, S. Garbiero – Gruppi di Lie [24] Steenrod N., The Topology of Fibre Bundles, Princeton Univ. Press, Princeton, New Jersey 1951. [25] Varadarajan V., Lie Groups, Lie Algebras and their Representations, Springer Verlag, Berlin 1984. [26] Wallach N.R., Compact homogeneous Riemannian manifolds with strictly positive curvature, Ann. of Math. 96(1972), 277–295. [27] Warner F.W., Foundations of Differentiable Manifolds and Lie Groups, Springer Verlag, Berlin 1983.