Un modello di circolazione - Istituto Comprensivo Spinea 1

PRATICA EDUCATIVA
Un modello di circolazione
Altre esperienze sul cuore e sugli scambi di ossigeno, anidride carbonica, cibo a livelli
di testi...
Come arricchire i termini scientifici di significati condivisi da tutti.
Quando il cuore si ferma
9 aprile Cerchiamo di discutere e generalizzare quello che ormai ci sembra di avere ben capito sullo scambio di
particelle tra intestino e sangue; e di andare ad analizzare meglio, usando gli stessi schemi, gli scambi di
ossigeno e di anidride carbonica, nei polmoni, gli scambi di cibo a livello di tessuti, lo scambio di scorie a livello
di tessuti, lo scambio di scorie a livello dei reni.
Dopo una discussione, propongo ai bambini di perfezionare ancora la nostra recita di quello che succede nel
corpo: questa volta vogliamo rappresentare le funzioni della circolazione. Il titolo che ci diamo è: «Quando il
cuore si ferma»; ma cominciamo subito ad avere delle difficoltà, anche quando il cuore funziona. (Io stessa sono
abbastanza incuriosita nel vedere in che modo i ragazzi sanno immaginare e realizzare questo tema.)
Disegno per terra, un circuito di circolazione, e i bambini si dispongono secondo il ruolo che vogliono interpretare. Uno assume il ruolo di cuore, una lunga fila è il sangue, uno è il cervello, altri sono l’intestino, due sono i
polmoni, due sono i reni, gli ultimi si mettono intorno, e fanno i muscoli. Tutti si forniscono di materiale vario
che vuole rappresentare i prodotti da scambiare a diversi livelli del corpo: i mattoncini Lego rappresentano le
particelle di cibo, quaderni indicano l’ossigeno, pezzetti di carta colorata sono scorie di vario genere, pezzetti di
carta bianca sono l’anidride carbonica. Tutti hanno un po’ di tutto, tranne il cuore.
Dopo una lunga fase di preparazione e organizzazione. cominciamo a giocare. Il cuore spinge il sangue carico
di mattoncini cibo e di quaderni ossigeno nel circuito, I muscoli e il cervello prendono particelle dicibo e di
ossigeno, danno scorie e anidride carbonica. Proseguendo il giro, il sangue cede le scorie, ma anche un po’ di
cibo e un ~,‘ dì ossigeno ai reni, riceve dall’intestino altri pezzi di carta cibo, dà gli ultimi pezzi di ossigeno e
ritorna al cuore. Il cuore spinge il sangue verso i polmoni, dove viene contemporaneamente lasciato poco cibo, e
tutta l’anidride carbonica ricevuta; il sangue fa rifornimento di enormi quantità di ossigeno (che io nel frattempo
ho radunato dai banchi), torna al cuore e il giro ricomincia. Ci accorgiamo
subito, analogamente, delle enonni quantità di cibo che l’intestino deve fornire al sangue, mentre l’anidride carbonica si accumula piano piano in tutto il giro, per essere scambiat, tutta in una volta con l’ossigeno nei poimoni; e l’ossigeno diminuisce progressivamente in tutto il viaggio, tanto che quando il sangue torna al cuore non
ne ha più neanche un pezzetto.
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La funzione del sangue
Nella, nostra recita, le quantità di materiale da scambiare non sono molto equilibrate, e restano vari problemi non
risolti; ad esempio quello dei muscoli, che dopo un po’ si ritrovano pieni di cibo e ossigeno, e non hanno più
anidride carbonica e scorie da dare indietro. Spingendo al massimo l’analogia della rappresentazione si
potrebbero inventare altri espedienti ed operazioni per mettere in evidenza il fatto che nel corpo avvengono anche diversi tipi di trasformazioni…Ma per questa volta possiamo affrontare solo a parole il problema di trasformare ossigeno e cibo in anidride carbonica e scorie. Puntualizziamo comunque il fatto che i polmoni
prendono dal loro esterno cibo, (dal sangue, per il loro mantenimento), e l’ossigeno (dall’aria, per farlo passare
nel sangue); e rimandano al loro esterno «fiato espirato» (nell’aria) e scorie (nei sangue).
Dopo un paio di giri, i bambini vorrebbero anche disegnare per il sangue dei percorsi più complicati, che permettano di «ossigenare e nutrire» tanti punti diversi del corpo. Purtroppo lo spazio a disposizione è insufficiente:
abbiamo già fatto anche così parecchia confusione, e non si può proprio complicare ancora il gioco. Continuiamo
però a ripeterlo con una modifica: quando dico «stop» il cuore si ferma, si ferma anche il sangue che non riceve
più alcuna spinta, e perciò anche gli altri organi, che non possono più effettuare alcuno scambio, smettono di
funzionare.
Dopo aver ripetuto più volte l’intera «rappresentazione» parliamo ancora della funzione del sangue. I bambini
dicono che il sangue serve per trasportare il cibo, l’ossigeno, le vitamine e per far muovere gli altri organismi. Il
termine «vitamine» è quasi magico: con esso alcuni bambini intendono ciò che di «buono» è contenuto nel cibo,
altri le immaginano come sostanze che andranno a nutrire specificamente i diversi organi cioè le vitamine che
servono al fegato vanno al fegato, quelle che servono al cuore vanno al cuore, quelle per le ossa si chiamano
calcio.
Emerge di nuovo il problema degli scambi tra il sangue e le altre parti del corpo. Antonello osserva che questa
volta le particelle di cibo sono «di più» nel sangue che non nei vari “pezzetti di carne” per cui passano dal primo
ai secondi (mentre nel passaggio intestino-sangue era il sangue ad averne di meno); infatti nei «pezzetti di carne»
le particelle sono continuamente consumate.
Se tutto il cibo si trasformasse in sangue
Ancora non sappiamo come avviene il “consumo” del cibo, cioè come le varie parti del corpo usano le diverse
particelle: si dovrebbe affrontare in seguito anche questo problema. La discussione torna però sul problema della
circolazione del sangue.
Marco: Volevo dire: come mai quando ci tagliamo esce il sangue, anche se non ci sta nessuna vena? lo penso
così: dalla vena principale partono i capillari. però stanno più sotto della pelle, perché se ci tagliamo più sotto il
sangue esce di più.
Fabio: Volevo dire che di sangue ne esce di più perché se uno si taglia poco, rompe pochi capillari si taglia di più
ne rompe di più.
Francesco: Se un taglio è più profondo taglia la vena, perché le vene non stanno sotto a questo strato, stanno più
sotto: se uno si taglia di più, taglia le vene più grosse.
Marco illustra il suo schema in cui i capillari sboccano nella carne, poco più sotto della pelle.
Vorrei cercare di far capire che il sangue circola in un sistema chiuso, che ci sono sempre delle strade per cui
può tornare indietro (dai capillari arteriosi ai capillari venosi alle vene, e poi al cuore) e che non si disperde
all’esterno dei vasi, nella carne, come alcuni sembrano credere. Disegno allora due schemi alla lavagna: in uno
dell’acqua circola in tubi e canali che la riconducono al punto di partenza e non si disperde mai; nell’altro va
invece ad innaffiare una piantina posta in un vaso, cioè si disperde, e prima o poi ci si aspetta che finisca. Ma
questi schemi vengono immediatamente fraintesi.
Senza assolutamente prendere in considerazione il primo, Francesco dice che nel secondo caso bisogna aggiungere sempre dell’acqua per mantenere la stessa quantità di annaffiamento.
M.Elena: Se allora il sangue è sempre lo stesso, e si può disperdere,. alla fine non ne abbiamo più. Se invece si
può disperdere, ma il cibo si trasforma in sangue alla fine ce ne è sempre.
Roberta: Sono d’accordò con lei perché noi non possiamo avere sempre lo stesso sangue: se noi mangiamo se ne
fa di più, e alla fine scoppiamo.
Ins: Ma prima avevamo detto che il cibo si trasforma completamente e diventa sangue, oppure che si divide in
particelle che possano nei capillari e vanno dove il sangue le trasporta?
M.Elena: Noi prima abbiamo risposto che il cibo passa nei capillari: allora è dopo, che si trasforma, in sangue.
Francesco: Si trasforma in sangue: e allora se il sangue si disperde se ne fa sempre di nuovo.
Ins.: Stefano, ti ricordi quando parlavamo del calcio? Allora non capivamo se il cibo si trasforma in calcio per le
ossa, o contiene il calcio che poi viene portato dal sangue alle ossa.
Stefano: È il calcio che è contenuto nel cibo e passa nel sangue.
Ins: E per le altre cose come lo zucchero, i pezzetti di carne...?
Francesco: È come per il calcio. Sono abbastanza scoraggiata.
DUE SPIEGAZIONI CONTRASTANTI
Il modello dell’acqua canalizzata o dispersa è stato dunque interpretato in una chiave del tutto diversa da quella
che io avevo previsto. Resta sempre nei ragazzi, come bisogno di fondo non ancora soddisfatto, quello di capire
come i diversi organi si formano, come crescono e come mantengono la loro individualità (sangue compreso),
pur funzionando nel corpo in maniera casi intrecciata e coordinata. Adesso però, tanto i bambini convinti che il
sangue trasporti le pasticche di cibo che provengono dall’intestino, quanto quelli convinti che, sia pure dopo il
passaggio nei capillari, il cibo si trasformi completamente in sangue, sono come travolti dall’immagine di questo
sangue che aumenta spaventosamente dopo ogni pasto: incoraggiati tra l’altro dal ricordo di frasi, sentite dire
chissà quante volte, sul bisogno di mangiare per “fare sangue”.
Dobbiamo proseguire il nostro lavoro facendo dunque una scelta tra due spiegazioni che sono in contrasto
(sangue nelle vene-arterie-capillari, oppure sangue nella carne), e dobbiamo farlo in modo da non dover contraddire quanto già sappiamo o crediamo vero: altrimenti dobbiamo cercare dove abbiamo sbagliato, e rivedere
le spiegazioni date in precedenza.
Purtroppo i bambini a questo punto non provano neppure a suggerire da soli esperienze che potrebbero convalidare o dimostrare le loro ipotesi, oppure falsificarle. A questo livello del discorso, infatti, le loro spiegazioni
sono solo ipotesi generali di funzionamento ancora lontane dalla concretezza di verifiche sperimenta- bili.
Sarebbe importante per loro imparare a pensare o a progettare modi adatti a verificare le loro aspettative e
Supposizioni trasformandole in «realtà» sperimentabili; imparando anche a modificare le iniziali schematizzazioni man mano che si trovano nuove corrispondenze tra l’ipotesi e l’esperimento, tra l’esperimento e i diversi
aspetti individuati nella realtà. Con maggior tempo a disposizione per sviluppare questo lavoro, i ragazzi
avrebbero potuto porre altre domande concrete ai fatti reali: agendo anche sperimentalmente sulla realtà per
trovare conferme ai loro personali modi di interpretarla; soprattutto non dovendo avere a che fare. sempre, con
esperimenti proposti da altri, e imposti quasi come magiche prove di una verità molto lontana dal filo dei loro
ragionamenti.
Probabilmente per poterli aiutare ad operare più concretamente sarebbero serviti anche materiali che stimolessero la Loro fantasia e la loro progettualità nei confronti dell’argomento che stavamo studiando; mentre in
classe avevamo pochissimo a disposizione, e quel poco sostanzialmente materiale scritto sembr,va fatto più
per chiudete che per aprire interessi.
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Il sangue è come la corrente elettrica
22 aprile Ormai il mio intervento in classe è giunto alla fine: ho pochissimo tempo per concludere, pochissimo
tempo per dare una risposta ai numerosi interrogativi già aperti e agli altri che, ne sono sicura, si apriranno negli
ultimi momenti. Comunque affronto la mia ultima «lezione» portando in classe un cuore di vitello.
Lo abbiamo innanzitutto guardato e toccato, poi lo abbiamo confrontato con un cuore fotografato sul libro,
cercando anche di dare un nome ad ogni parte che ci sembrava importante. Abbiamo infilato una penna nei vari
buchi per trovare le strade del sangue; abbiamo visto dove non poteva passare; poi, seguendo la penna, abbiamo
tagliato il cuore in vari modi. Lo abbiamo osservato ancora tutti insieme, e molti si sono stupiti di trovarlo così
«spesso» e vuoto: mentre si aspettavano di trovarlo di consistenza da spugna, che si imbevesse aspirando il
sangue e si svuotasse schiacciandosi e premendo il sangue nelle vene vicine. Alcuni bambini sono andati a
riprendere i tubi e le bottiglie di plastica per confrontarli con il vero cuore.
Marco ha ripreso il discorso della volta precedente: anche ponendo l’ipotesi che il sangue si disperda in mezzo
alla cane, si può immaginare un sistema che riporti poi il sangue alle vene. Penso che si riferisse a ciò che aveva
studiato sul suo libro di testo a proposito della linfa. in cui è forse possibile rintracciare le origini delle sue ipotesi:
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« Una parte del plasma, senza portare con sé i globuli rossi trasuda, cioè passa attraverso le pareti dei
capillari con il nutrimento che esso contiene, e va ad impregnare tutto il nostro corpo, negli spazi esistenti tra
cellula e cellula. Questa parte di plasma si chiama linfa (…). Le cellule assorbono della linfa il loro nutrimento.
Quando la linfa non ha più sostanze nutritive, va a finire in altre tubature che si chiamano vasi linfatici. Questi
vasi si raccolgono in tubi sempre più grandi che vanno anch’essi a finire nel cuore. Divenuta di nuovo plasma
sanguigno, la linfa ritorna all’intestino a rifornirsi di nutrimento per poi trasudare ancora attraverso i
capillari».(1)
Questa spiegazione viene però riferita da Marco all’osservazione fatta a proposito del sangue che, quando uno si
taglia, si vede uscire dalla carne senza che si vedano i capillari.
Altri bambini, riflettendo sulle discussioni fatte, si domandano ancora: «Come può il sangue tornare alle vene,
dopo che è uscito dai capillari?» oppure: «Come può cambiare (diventare venoso) pur non uscendo dai
capillari?» oppure: «Dai capillari esce il sangue o solo le particelle di cibo?». Chiedo loro se immaginano che,
per esempio, all’interno di un dito, ci sia solo una vena o un’arteria oppure molte vene, molte arterie, molti capillari. Ricordando i nostri disegni di ramificazioni, rispondono che ne immaginano tanti perché così il sangue
può più facilmente arrivare dappertutto. Pur mancando il tempo per discutere a fondo, arriviamo infine a questa
conclusione:
Forse i capillari sono talmente tanti che sono in contatto con tutti i pezzetti di carne per cui, in ogni punto, si
possono verificare 1i scambi di cui abbiamo già parlato. Le arterie grosse potrebbero diramarsi in vasi sempre
più piccoli e questi, poi, potrebbero riunirsi formando vasi sempre più rossi.
Guardiamo una figura su cui è disegnato il sistema venoso-arterioso della grande circolazione: Roberta nota che
anche lì sembra che le vene e le arterie finiscano in mezzo alla carne; comunque, l’ipotesi di un’arteria che si
sfiocca in una rete di capillari la quale a sua volta si riunisce in una vena grossa sembra accettabile e adatta a
rispondere meglio a molte domande che ci eravamo poste.
I bambini che giocano con le bottiglie propongono un nuovo problema generale sulla circolazione del sangue in
generale: due di loro sostengono che il sangue «può» andare dal cuore ai polmoni e da qui direttamente a tutto il
resto del corpo, perché ormai è ossigenato, e non c’è quindi bisogno che torni al cuore. Disegnano uno schema
alla lavagna per spiegarsi medio: da questo risulta un cuore che è formato da una sola cavità, al massimo da due
cavità comunicanti. Questo cuore è collegato con i polmoni, da cui parte una «circolazione» che dopo essere
passata nel resto del corpo, torna al cuore. Le bambine fanno notare che non è giusto descrivere il cuore in
questo modo, perché quello di vitello che hanno in mano è diverso: dentro ci si vedono bene due cavità, ciascuna
delle quali è a sua volta distinta in due parti, separate da delle specie di filamenti. Ricostruiamo perciò un
modello di circolazione che renda conto anche di queste osservazioni; il circolo descritto questa volta è: cuore
sinistro-resto del corpo-cuore destro- polmoni-cuore sinistro. Il ritorno del sangue dai polmoni al cuore sinistro è
allora giustificato con la necessità di ricevere una forte spinta per facilitare il suo giro in tutto il corpo. A questo
punto, Fabio ripropone la sua analogia tra il trasporto di particelle nutritive effettuato dal sangue e la corrente
elettrica.
Fabio: il sangue circola sempre, come la corrente elettrica nell’impianto, e quando le particelle di cibo servono
alla carne escono: ne escono quante ne servono. Come se una lampadina è da 60 ci va la corrente per 60, e se è
da 100 ci va la corrente per 100, così per le particelle che stanno nel sangue: ne escono quante ne servono.
Il criterio secondo il quale le particelle passano da una parte all’altra è sempre quello della differenza di concentrazione: le particelle «passano da dove ce ne sono di più a dove ce ne sono di meno, finché non ce ne sono
tante uguali da tutte e due le parti»; con una immagine di serbatoio pieno, che vuotandosi, va a riempire tanti
piccoli serbatoi noti, fino a raggiungere un equilibrio.
La nostra discussione si conclude così, con questo modello elettrico di Fabio, e con delle idee stilla circolazione
del sangue solo formalmente simili a quelle esposte dai bambini nei primi giorni.
(1). Pettcr, li nuovo come, quando, perché. Giunti-Marzocco, 1916.
DARE SIGNIFICATO ALLE PAROLE
La differenza dopo tante giornate di lavoro sta proprio nel diverso significato che abbiamo imparato a dare alle
vecchie risposte. E’ stato possibile dunque aiutare i ragazzi ad organizzare in maniera non frammentaria le
proprie conoscenze: e in questo processo di maturazione anche tante parole, tante frasi, usate all’inizio come
stereotipi hanno acquistato un significato via via più preciso. Abbiamo fatto, con i ragazzi, molti sforzi per
superare una vernice di nozionismo, cercando problemi nascosti, a volte, proprio dietro l’uso delle parole:
andando cioè a discutere anche su quello che si sapeva dire, su quello che sembrava acquisito. Abbiamo potuto
cosi renderci conto che spesso termini già noti (ad esempio, quelli usati per indicare le diverse funzioni degli
organi, o la loro organizzazione reciproca) potevano nascondere strani modelli, o sostituirsi ad una consapevole
comprensione dei processi. Io stessa ho fatto molta fatica per capire che dietro frasi come «il cuore pompa il
sangue» ci può essere un’immagine di cuore—spugna: perché i ragazzi hanno visto come funziona una ponpa,
ma non sanno nulla della sua struttura, In casi come questo, un modello per analogia o una «metafora» come
quella della pompa può anche risultare dannoso per una comprensione approfondita del concreto che pure
potrebbe spiegare. Ancora: adesso so che dicendo «il cibo fornisce energia» alcuni possono pensare all’energia
nucleare...
Il fatto che i ragazzi si servissero di alcune parole «giuste» ha reso dunque più difficile per me adulta capire il
senso che ad esse veniva invece attribuito, ed intervenire di conseguenza in modo appropriato. D’altra parte, i
ragazzi, quando si accontentano di - ripetere mnemonicamente parole per definire processi che noti capiscono,
non solo non riescono ad immaginare una dinamica complessiva del concreto in questione, ma restano anche
bloccati verso una maggiore comprensione: poiché non sentono il bisogno di chiedere spiegazioni più esplicite e
soddisfacenti.
Ma dare significato alle parole vuol dire soprattutto imparare ad usarle, appropriatamente, in contesti diversi
compresi quelli metaforici. Questo può essere fatto soltanto usando le parole stesse in situazioni in cui sia importante essere capiti da altri e non soltanto per accontentare un insegnante. Nel confronto delle nostre discussioni abbiamo cercato dunque, secondo questa, linea, di arricchire i termini scientifici di significati condivisi
da tutti; d’altra parte abbiamo cercato anche di fare in modo che il linguaggio comune dei ragazzi, quello usato
per esprimere idee, convinzioni, modelli della vita di tutti i giorni venisse sviluppato e modificato. adattandosi
all’esigenza di parlare con i compagni di scienze.
Dal punto di vista dell’argomento trattato, molti problemi sono rimasti aperti: non abbiamo quasi neppure
risposto alla domanda iniziale sul come si cresce, non abbiamo, preso In considerazione i problemi riguardanti la
trasformazione del cibo in strutture del corpo, né abbiamo affrontato lo studio della respirazione, cui pure si è
accennato varie volte...
Questi ed altri temi sarebbe possibile sviluppare, continuando un’esperienza di questo tipo, con un metodo che
cerchi di sottolineare cor relazioni e continuità tra vari argomenti, tra vecchie e nuove acquisizioni.
Alla fine di questi pochi interventi di lavoro in classe, mi sembra importante che i bambini abbiano capito almeno l’importanza di affrontare «personalmente» i problemi, anche rimettendo in discussione ciò che da
principio sembra indiscutibile, o sostenendo con coraggio anche opinioni discordanti dal resto della classe; per
cercare e costruire, anche insieme agli altri, modi coerenti di spiegarsi ed interpretare i diversi aspetti della realtà.