Iliade, A Assicurati di saper raccontare le vicende lette con parole tue. Sin dall’inizio del poema, si rende chiaro al lettore che l’argomento non sarà la guerra di Troia, ma un episodio di questa: l’ira di Achille. Si tratta di un episodio rilevante, dato che dal rifiuto del più forti degli eroi di combattere scaturisce una serie di conseguenze fondamentali per l’intera guerra: Patroclo viene ucciso da Ettore; Achille vendica l’amico uccidendo Ettore e, di conseguenza, Troia perde il suo più abile difensore, ritrovandosi destinata alla distruzione. La dea invocata all’inizio del poema è la musa della poesia epica. Le muse erano nove divinità che presiedevano alla memoria e alla composizione poetica, ispirando aédi e rapsòdi. L’ira di Achille ha radici lontane ed è preceduta da altre ire. In primo luogo, quella di Crise, sacerdote di Apollo e padre di Criseide, la fanciulla preda di guerra che Agamennone, capo dell’armata greca, si rifiuta di restituire, contro Agamennone, reo di aver rifiutato il riscatto per sua figlia. In secondo luogo, quella di Apollo, che prende le parti del suo sacerdote, nei confronti di Agamennone e che culmina con la terribile pestilenza che per nove giorni decima l’esercito acheo. Infine, quella di Achille contro Agamennone: pur essendo costui la causa di tutto, pretende di strappare ad Achille Briseide, la schiava avuta come premio, per vedersi risarcito di Criseide. L’ira di Achille culmina con la decisione di non schierare più le sue truppe a difesa dei Greci. Per quale motivo il bottino (Criseide e Briseide) sono tanto importanti e scatenano litigi che non possono che sembrare puerili, se considerati con la nostra mentalità? Iliade e Odissea sono testimonianze di una cultura di vergogna: è la comunità a determinare il valore di una persona e, di conseguenza, più proprietà possiede una persona, più è onorata. Strappare a qualcuno una sua proprietà significa, dunque, disprezarlo e avvilirlo: è a ciò che si oppongono Achille e Agamennone.