Le guerre persiane
La sequenza di conflitti combattuti tra le pòleis greche e l'Impero Persiano, iniziati intorno al 499 a.C. e
continuati a più riprese fino al 479 a.C., è comunemente nota come guerre persiane. Esse hanno un rilievo
particolare nella storia antica perché vedono affermarsi i valori di libertà e di democrazia propri in modo
diverso della civiltà greca su quelli del grande impero persiano.
Alla fine del VI secolo a.C., Dario I, "Gran Re" dei Persiani, regnava su un impero immenso che si
estendeva dall'India alle sponde orientali dell'Europa (nello specifico le zone orientali della Tracia). Nel 546
a.C. infatti, il suo predecessore Ciro il Grande, fondatore dell'impero, aveva sconfitto il re della Lidia, Creso,
e i suoi territori, comprendenti le colonie greche della Ionia, che furono incorporate all'Impero Achemenide.
Le città-stato ancora governate da sistemi tirannici condussero ognuna per proprio conto l'annessione
all'impero persiano, la sola Mileto riuscì a imporre le proprie pretese. Questa situazione di frammentazione
aveva comportato la perdita definitiva da parte delle colonie di ogni indipendenza (prima godevano
comunque di ampie autonomie) e una drastica riduzione della loro importanza commerciale, a causa del
controllo totale che i Persiani esercitavano sugli stretti di accesso al Mar Nero.
Quando Dario I decise di invadere l'Occidente nel 515 a.C. impiegò le navi della flotta ionica per
costruire un ponte di barche sul Bosforo utilizzando le qualità di un ingegnere greco, e conquistò così la
Tracia; fatto poi edificare un ponte sul Danubio, si avventurò in Scizia. Qui gli esiti degli scontri non furono
molto propizi e giunte le prime indiscrezioni sul fallimento dell'invasione, Milziade, tiranno del Chersoneso
(presso Gallipoli), cercò di convincere i Greci messi a protezione del ponte di distruggerlo, lasciando il Re dei
Re al suo destino. Quando le notizie divennero tragiche il ponte fu distrutto per impedire una controffensiva.
A costo di grandi sacrifici, Dario rientrò nei suoi territori e come primo provvedimento scalzò Milziade dal suo
incarico, lasciandovi il suo luogotenente Megabazo con il compito di controllare la nuova regione dell'impero
e di preparare il terreno per l'espansione in Grecia.
Nel 499 a.C., istigati da Aristagora, tiranno di Mileto, le colonie ioniche si unirono in una lega chiamata
"simmachia panellenica", più conosciuta come lega ionia, ribellandosi ai satrapi locali. Le colonie chiesero
rinforzi alle poleis greche, ma alla fine solo Atene ed Eretria inviarono 25 trireme (20 Atene e 5 Eretria) in
aiuto. Aristagora, l'anno seguente, guidò una vittoriosa spedizione contro la città di Sardi e la fece
incendiare.
Galvanizzati dal successo, ai ribelli si unirono allora le città dell'Ellesponto, della Caria e di Cipro. La
reazione dei Persiani fu a questo punto durissima: a una a una costrinsero alla resa le città greche, finché
nel 494 a.C. soffocarono definitivamente la rivolta (nella Battaglia di Lade), alla quale seguì la distruzione di
Mileto e la deportazione dei suoi abitanti.
Alla base dello scontro tra la Grecia e la Persia c'erano forti interessi economici e commerciali, relativi
soprattutto al controllo dei traffici che passavano per il Mar Nero, ma non solo. I due contendenti avevano
due diverse concezioni di dominio politico, che inevitabilmente si scontravano tra loro.
I Persiani avevano una concezione territoriale dello stato e ammettevano la possibilità di dominare un
territorio indipendentemente dai popoli che lo abitavano. Perciò ritenevano che i Greci non avessero avuto
alcun diritto a intervenire in un conflitto che non era avvenuto sul loro territorio.
I Greci invece avevano una concezione etnica dello stato: a prescindere dalla collocazione geografica,
qualsiasi territorio, se era abitato da Greci, era considerato greco.
Lo sbarco in Grecia voluto da Dario I rappresentò una svolta nella sua politica trentennale, basata sul
consolidamento dei confini del vasto Impero Achemenide. Può infatti a ragione essere indicato come il suo
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primo vero tentativo di espansione territoriale, ritenendo la conquista della Tracia più utile a rendere sicure
entrambe le sponde dell'Ellesponto. La campagna intrapresa contro la Grecia ebbe ragioni più profonde che
non delineavano apertamente l'obiettivo finale. Erodoto sostiene che il sovrano chiese a tutte le poleis
greche di fare atto di sottomissione, per poi intervenire contro quelle a lui ostiche. Infatti Atene giustiziò gli
ambasciatori quando seppe che ad Egina, la quale aveva ceduto alle pressioni persiane, era stata restaurata
la tirannide di Ippia. Sicuramente era intenzione di Dario vendicarsi contro coloro che avevano aiutato i
rivoltosi ionii: molte città vennero attaccate, benché le sue mire andassero più in là, oltre l'episodio di Sardi.
Dopo la cacciata di Ippia da Atene, questi trovò rifugio alla corte Achemenide chiedendovi aiuto per un suo
ritorno come tiranno in patria e fornendo in cambio una base di appoggio dalla quale conquistare l'intera
Ellade. Forse questo motivò l'ambizione di Dario, che avrebbe potuto con una guerra di espansione
competere con le figure dei suoi predecessori: Ciro il Grande e Cambise II. Da non sottovalutare che dopo la
rivolta ionia, si era aperta una ferita nel mondo greco: tenere una popolazione metà nelle strutture
dell'Impero e metà fuori non poteva che far esplodere nuove tensioni.
Nel 492 a.C. Mardonio tentò l'impresa della conquista greca, dopo aver eliminato tutti i tiranni nelle
poleis asiatiche e aver soggiogato il regno di Alessandro I di Macedonia; il tentativo tuttavia fallì a causa di
una terribile tempesta scatenatasi presso il monte Athos, nella penisola calcidica, che distrusse la flotta.
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Nonostante l'insuccesso, nel 490 a.C. la spedizione fu ritentata sotto il comando dei generali Dati e
Artaferne. La flotta persiana passò per Samo, espugnò Nasso, sottomise il resto delle isole Cicladi, proseguì
verso Eretria e la distrusse.
Atene a quel punto si ritrovò da sola a fronteggiare l'esercito persiano: l'unico aiuto che ricevette fu
quello della città beotica di Platea, che inviò un contingente di mille opliti. Grazie alle capacità militari di
Milziade riuscì a resistere alle truppe guidate da Dati e i Persiani furono sconfitti nella battaglia di Maratona
(settembre 490 a.C.) e respinti sulle navi. Secondo il mito, l'esito positivo di questo scontro fu riportato
direttamente dal campo di battaglia ad Atene da Fidippide: la sua impresa, che consistette nel ricoprire tale
distanza correndo, è ricordata ancora oggi con l'omonima gara atletica, la maratona. A quel punto, il resto
delle truppe persiane capitanato da Artaferne e pronto per un attacco via mare, pensò di sfruttare
l'occasione: la flotta mosse verso Atene, doppiando Capo Sunio, con la sicurezza di poter sbarcare
incontrastata al Pireo e trovare Atene indifesa, visto che tutto l'esercito si trovava a Maratona. Milziade, però,
intuito il piano nemico, ricondusse i suoi uomini a marce forzate verso la costa occidentale, cosicché,
quando i Persiani arrivarono in vista del Pireo, trovarono l'esercito ateniese già schierato e rinunciarono
all'impresa, tornando in Persia.
La polis decise allora di intraprendere nel 489 a.C. una spedizione per liberare le isole Cicladi dai
Persiani, ma con esito negativo, poiché l'isola di Paros, alleata dei Persiani, resistette all'attacco.
La sconfitta costò a Milziade la carriera; fu anche accusato di complicità con il nemico e di aspirare
alla tirannide, e subito dopo morì, a causa di una ferita alla gamba riportata durante la battaglia.
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Nel 485 a.C. succedette al trono di Persia Serse I, figlio di Dario, che su consiglio di Mardonio, dei
Pisistratidi superstiti e del satrapo Artabano, e intenzionato tra l'altro a vendicare la sconfitta subita da suo
padre nella prima guerra persiana, organizzò subito una nuova spedizione contro la Grecia. Se la guerra
condotta da Dario doveva configurarsi solamente come una spedizione punitiva nei confronti delle città che
avevano aiutato i rivoltosi ionii, l'impresa di Serse si poneva, invece, intenti di espansione e di conquista
territoriale del continente greco, al fine di ridurlo a satrapia dell'Impero.
Lo scontro assunse anche una valenza ideologica, in quanto si espresse come contrapposizione
propagandistica di idee fra persiani e ateniesi: Serse rappresentava il difensore di una religione
monoteistica, contro il politeismo greco; i Greci, viceversa, si identificavano come i paladini della libertà
contro il dispotismo orientale. Serse affidò al generale Mardonio la costruzione di ponti di barche
sull'Ellesponto per traghettare l'esercito e l'apertura di un canale a nord del monte Athos per la flotta (il
cosiddetto Canale di Serse); curò inoltre l'organizzazione del vettovagliamento dell'esercito. Si trattava di
una spedizione più vasta e organizzata della precedente. Inoltre, il re persiano fece predisporre per la
campagna un possente esercito, che secondo le antiche stime annoverava oltre due milioni di uomini, cifra
certamente esagerata, dal momento che si ritiene più probabilmente che l'esercito persiano potesse contare
su una forza di circa 200.000 soldati, un numero imponente per l'epoca, e tra questi i famosi 10.000
"Immortali", specie di guardia scelta imperiale; inoltre poteva fare affidamento sull'appoggio di una flotta di
circa 750 triremi.
Di fronte al pericolo, i rappresentanti delle poleis greche si riunirono presso l'istmo di Corinto (481
a.C.) e decisero di costituire un'alleanza difensiva, conosciuta come lega panellenica, sotto il comando del re
Leonida di Sparta, ritenendo che fosse opportuno coordinare le operazioni militari e qualunque decisione di
carattere politico e strategico. All'accordo tuttavia non aderirono Argo, dichiarandosi neutrale per non dover
combattere al fianco dell'odiata Sparta, Corcira, Siracusa (a causa degli scontri che la vedevano impegnata
con i Cartaginesi, alleati dei Persiani) e neanche le città della Tessaglia, della Beozia, fuorché Platea e
Tespi, della Doride e della Locride Ozolia.
All'inizio del 480 a.C. gli ambasciatori di Serse I si recarono presso le città greche e chiesero che
offrissero “terra e acqua” al Gran Re, formula che stava a indicare la loro sottomissione formale. Le città
rifiutarono e rimandarono indietro i messaggeri, mentre a Sparta furono uccisi. Incominciarono le operazioni
belliche: mentre la flotta persiana navigava verso l'Attica, l'esercito passò l'Ellesponto con un ponte di barche
e penetrò prima in Tracia e poi in Tessaglia.
Peloponneso, presso l'istmo di Corinto, che nel frattempo veniva fortificato; gli Ateniesi ritenevano
invece che fosse preferibile opporsi con la flotta. Sui due diversi punti di vista pesava
soprattutto la considerazione dei rapporti di forza all'interno della Grecia, dato che la fanteria oplitica
spartana era di gran lunga la più forte e un'eventuale vittoria sulla terraferma avrebbe arrecato gloria e
potere soprattutto agli Spartani, mentre Atene avrebbe ricavato benefici da una vittoria navale, dato che le
sue navi costituivano il grosso della flotta della Lega.
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Nonostante i progetti di iniziativa comune, i Greci si presentarono dunque sostanzialmente divisi di
fronte all'invasione: prevalse il piano spartano, ma gli Ateniesi spinsero perché si cercasse di fermare il
nemico più a nord. A causa di questi contrasti, e giudicando erroneamente che Serse fosse ancora lontano,
solo un ristretto contingente si posizionò al passo delle Termopili, che era la strettoia obbligata verso la
Grecia centrale, per sbarrare la strada ai nemici. Nell'agosto del 480 a.C. avvenne lo scontro tra i due
eserciti. Dopo giorni di combattimento, mentre, poco distante, le forze navali nemiche si fronteggiavano
senza che l'una riuscisse a prevalere nettamente sull'altra presso Capo Artemisio, il grosso dell'esercito
greco si ritirò; soltanto i trecento Spartani di Leonida e settecento Tespiesi, circondati dai nemici per il
tradimento di Efialte, il quale aveva indicato ai Persiani un sentiero montano per aggirarli, si sacrificarono per
ritardare l'avanzata persiana e per dare tempo agli alleati di ripiegare. Superato il passo, i Persiani
dilagarono in Grecia.
L'Attica fu devastata, Atene venne saccheggiata e data alle fiamme. Gli abitanti si salvarono solo
grazie all'insistenza dello stratega Temistocle, che riuscì a evacuare la città e a mettere la popolazione in
salvo sulle isole. La flotta greca, però, era ancora pressoché integra.
A questo punto prevalse la strategia della battaglia per mare dell'ateniese Temistocle, il quale, ancor
prima dell'inizio degli scontri, si era servito dell'interpretazione tendenziosa di un oracolo pronunciato dalla
Pizia, ove si alludeva enigmaticamente a un muro di legno inespugnabile, per convincere i concittadini della
bontà dei suoi disegni. Temistocle era persuaso che il muro dovesse essere interpretato non come l'invito a
barricarsi nelle città, ma in riferimento alle navi. A un mese dalla disfatta delle Termopili, in settembre,
avvenne la decisiva battaglia navale presso l'isola di Salamina, vinta dai Greci grazie a Temistocle, che
indicò la via per avere ragione della flotta persiana, più numerosa, ma che usava navi troppo grandi e
difficilmente maneggiabili in quel tratto così stretto di mare.
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Un contingente persiano si fermò in Tessaglia da dove, con il contributo dei Tebani, nell'agosto del
479 a.C., fece ripartire l'offensiva. Nella battaglia campale di Platea, in Beozia, fu registrata la sconfitta
definitiva, con l'esercito persiano messo in fuga da quello greco, guidato dallo spartano Pausania, mentre in
contemporanea sotto il comando di Leotichida avveniva la battaglia navale presso il capo Micàle, che si
risolse in un'altra sconfitta per i Persiani.
L'anno dopo (478 a.C.), le città ionie dell'Asia Minore furono liberate da una flotta greca guidata dallo
spartano Pausania (che da lì a poco fu richiamato in patria e accusato di dispotismo).
A questo punto Atene rimase la sola potenza ellenica interessata all'Egeo e alla Ionia, contro i
Persiani. Gli Spartani, infatti si dedicarono a ristabilire il loro predominio politico nel Peloponneso, minacciato
da "venti democratici", mentre Atene spostò il suo interesse nell'Egeo dove non dipendeva strategicamente
da Sparta.
Nel 477 a.C. gli Ioni fecero pressioni perché fossero gli Ateniesi a guidare la flotta ellenica e per
iniziativa di Aristide venne fondata la Lega Delio-Attica, una coalizione antipersiana con a capo Atene, che
divenne ben presto uno strumento di controllo sugli alleati e il contrappeso al potere spartano in Grecia.
Cimone, il nuovo stratega ateniese a capo della Lega di Delo, distrusse l'armata e la flotta persiane
nel 467 a.C. presso il fiume Eurimedonte, in Asia Minore.
Nel 456 a.C. Atene inviò 200 navi a sostenere una rivolta scoppiata in Egitto che era, fin dal 525 a.C.,
sotto il controllo persiano, ma fallì. Successivamente, nel 451 a.C. tentò di liberare Cipro, ancora con
Cimone, ma fallì nuovamente e Cimone trovò la morte nell'isola, anche se la flotta in questo caso non venne
distrutta: anzi, seppur priva della guida del suo ammiraglio, riuscì a forzare il blocco messo in atto dalle navi
fenicie, al servizio dei Persiani, aprendosi la strada alla ritirata e confermando di avere comunque pieno
controllo sul mare Egeo.
Alla fine nel 449 a.C., con il contributo di Pericle (di fatto capo di Atene) venne stipulata la pace di
Callia: si trattava in definitiva di un trattato di non-aggressione, che stabilì l'autonomia delle città greche
dell'Asia Minore, benché facenti parte dell'Impero Persiano, il controllo dei Persiani su Cipro e il divieto per le
navi da guerra persiane di entrare nel Mar Egeo.
I sovrani persiani non rinunciarono mai alle loro mire sulla Grecia e si occuparono sempre di seminare
discordia fra le varie poleis finanziandone ora l'una ora l'altra, o addirittura le fazioni politiche all'interno di
una stessa città.
Sparta ed Atene divennero così i poli intorno ai quali si organizzò la vita politica greca: intorno alla
prima si aggregarono i regimi oligarchici, intorno all'altra i regimi democratici. In generale la guerra aveva
cambiato gli equilibri interni delle poleis: da una parte i proprietari terrieri (filo-Spartani), dall'altra i mercanti e
gli artigiani legati al commercio marittimo (filo-Ateniesi).
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