Schopenhauer da: “Il mondo come volontà e

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Brani ripresi da “Il mondo come volontà e rappresentazione” ed. Mursia
Schopenhauer da: “Il mondo come volontà e rappresentazione”.
Velo di Maya
Chi, avendo letto la dissertazione che serve da introduzione alla presente opera, abbia
chiaramente compreso la piena identità del contenuto del principio di ragione, nonostante tutta la
varietà delle sue forme, riconoscerà quanto importi, per penetrare l'intima essenza di tale
principio, conoscere dapprima la più semplice delle sue forme come tali: e cioè il tempo. Come nel
tempo nessun istante esiste se non a condizione di annientare il precedente che lo ha generato,
per essere a sua volta annientato con la stessa rapidità; come il passato e il futuro, facendo
astrazione dalle conseguenze del loro contenuto, sono illusori al pari del più vano dei sogni,
proprio così allora riconosceremo lo stesso carattere illusorio anche in tutte le altre forme del
principio di ragione. E ci accorgeremo che sia lo spazio che il tempo, come tutto ciò che a sua
volta esiste nello spazio e nel tempo, insomma tutto ciò che trae la propria esistenza da cause e
da motivi, non possiede che una esistenza relativa, ovvero esiste solo per mezzo o in funzione di
un'altra cosa della stessa natura, è cioè sottoposta alle identiche condizioni. È il punto di vista in
cui si collocarono Eraclito, quando constatava con tristezza l'eterno fluire delle cose, Platone,
quando abbassava la dignità dell'oggetto, che sempre diviene, senza mai possedere stabile realtà,
Spinoza quando riduceva le cose a puri accidenti di un'unica sostanza, che sola esiste e permane
costante; Kant, quando opponeva, sotto il nome di puro fenomeno, l'oggetto della conoscenza
alla cosa in sé; infine l'antica saggezza indiana, quando affermava:<<E' Maya, il velo
dell'illusione, che ottenebra le pupille dei mortali e fa loro vedere un mondo di cui non si può dire
né che esista né che non esista, poiché è simile al sogno, allo scintillio della luce solare sulla
sabbia, che il viaggiatore scambia da lontano per acqua, oppure ad una corda buttata per terra
che egli prende per un serpente>>.(queste similitudini si trovano ripetute in innumerevoli passi
dei Veda e dei Purana). Ma tali idee di tutti questi filosofi altro non sono che quello intorno a cui
ora noi andiamo discutendo: il mondo come rappresentazione, sottomesso al principio di ragione.
(Il mondo pag 43- 44)
Arte
Abbiamo nel primo libro considerato il mondo come semplice rappresentazione, come oggetto per
il soggetto: nel secondo poi l'abbiamo studiato secondo un altro punto di vista, e abbiamo
scoperto che esso è la volontà, la sola cosa che resti nel mondo quando si astragga dalla
rappresentazione.... Abbiamo dato al mondo, sia nel suo insieme sia nelle sue parti, il nome di
oggettività della volontà; il che significa, in altre parole, volontà divenuta oggetto, ossia
rappresentazione. Ricordiamoci ora che tale oggettiva azione della volontà si traduce nella
rappresentazione stessa, ossia si manifesta nell'oggetto. In tali gradi abbiamo già riconosciuto le
idee di Platone,.... Tutte queste idee si manifestano in un'infinità di individui, di esistenze
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particolari, che sono semplici copie degli originali.... Tale pluralità non è concepibile che in virtù del
tempo e dello spazio: il loro sorgere e il loro perire non si comprendono senza la causalità. ....
L'idea non è soggetta a questo principio; non conosce le pluralità di cambiamento. L'idea
invariabilmente .... permane unica e identica, sottratta al principio di ragione. (p.207)
... Se dunque la volontà è la cosa in sé, e l'idea è l'oggettività diretta della volontà in un
determinato grado, dobbiamo riconoscere che i due grandi ed oscuri paradossi dei due più grandi
filosofi dell'Occidente, la cosa in sé di Kant e l'idea di Platone sono, se non identici, tuttavia legati
da una stretta parentela….. (p. 208)
Quando elevandosi colla forza dell'intelligenza, l'uomo rinuncia alla maniera volgare di considerare
le cose: quando cessa di cercare, alla luce del principio di ragione, le sole relazioni degli oggetti fra
loro, relazioni che in ultima analisi non si risolvono che nella relazione di tali oggetti con la nostra
volontà; quando in tal modo non si preoccupa più del dove, del quando, del come e del perché
delle cose, ma unicamente e semplicemente di ciò che le cose sono; quando non permette più che
la sua coscienza sia invasa da pensieri astratti e da concetti di ragione, Ma consacra invece tutta la
sua forza del suo spirito all'intuizione, vi si sprofonda tutto; quando riempie tutta la sua coscienza
con la contemplazione tranquilla di qualche oggetto naturale presente, paesaggio, albero, roccia,
edificio, o di qualsiasi altra cosa e si perde completamente in quest'oggetto, dimentica cioè il suo
individuo, la sua volontà, e non sussiste più se non come soggetto puro, come il limpido specchio
dell'oggetto; quando infine l'oggetto viene in tal modo a spogliarsi da ogni relazione con altro, e il
soggetto da ogni relazione con la volontà, allora ciò che viene conosciuto non è più la cosa
particolare come tale, ma è invece l'idea, la forma eterna, l'oggettità immediata della volontà in
quel dato grado; e colui che è rapito in tale contemplazione, non è più individuo ma assurge a
soggetto conoscente puro, a soggetto che è di là dal dolore, di là dalla volontà, di là dal tempo....
(p. 216)
In una tale contemplazione la cosa particolare diviene ad un tratto l'idea della sua specie, e
l'individuo percipiente si eleva a soggetto conoscente puro...(p. 217)...... Poiché, se facciamo
astrazione completa dal mondo come rappresentazione, altro non resta che il mondo come
volontà. La volontà costituisce l'in sé dell'idea, ed è la sua perfetta oggettivazione.... (p.218)
È infine questa beatitudine della contemplazione esente da volontà, che diffonde un incanto
magico su tutte le cose passate e lontane, e che in virtù di un'illusione, che facciamo a noi stessi,
Ce le fa vedere in una luce così bella. Quando ci ricordiamo dei giorni d'un tempo trascorsi in
qualche luogo lontano, la nostra immaginazione rievoca soltanto gli oggetti, ma non il soggetto
della volontà, il quale, allora come oggi, portava la croce delle sue insanabili miserie; queste
vengono dimenticate, perché da allora in poi mille e mille altre vennero a prenderne il posto.
(p.236)
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Musica
.... La musica è totalmente isolata dalle altre sorelle. Nella musica non riconosciamo più la copia,
la ripetizione di qualche idea degli esseri di questo mondo. .... La musica è infatti, della volontà,
un’oggettivazione, una copia, tanto immediata quanto lo stesso mondo, quanto le stesse idee, il
cui fenomeno multiplo costituisce il mondo di oggetti individuali. La musica non è dunque, come le
altre arti, una riproduzione delle idee, ma una riproduzione della stessa volontà, una sua
oggettivazione allo stesso titolo che le idee. (p. 300)
Noia
Già nella natura incosciente, constatammo che la sua essenza è una costante aspirazione senza
scopo e senza posa; nel bruto e nell'uomo, questa verità si rende manifesta in modo ancora più
eloquente. Volere e aspirare questa è la loro essenza; una sete inestinguibile. Ogni volere si fonda
su di un bisogno, su di una mancanza, su di un dolore: quindi è in origine e per essenza votato al
dolore. Ma supponiamo per un momento che alla volontà venisse a mancare un oggetto, che una
troppo facile soddisfazione venisse a spengere ogni motivo di desiderio: subito la volontà cadrebbe
nel vuoto spaventoso della noia: la sua esistenza, la sua essenza, le diverrebbe un peso
insopportabile. Dunque la sua vita oscilla, come un pendolo, fra il dolore e la noia, suoi due
costitutivi essenziali. Da cui lo stranissimo fatto, che gli uomini, dopo ricacciati nell'inferno dolore
e supplizi, non trovarono che restasse, per il cielo, niente all’infuori della noia. (p. 353)
Schopenhauer Il mondo come volontà e rappresentazione” Pagina finale
Se si volesse tuttavia insistere nel pretendere in qualche modo una cognizione positiva di ciò, che
la filosofia può esprimere solo negativamente, come negazione della volontà, non potremmo far
altro che richiamarci allo stato di cui fecero esperienza tutti coloro, i quali pervennero alla
completa negazione della volontà; stato al quale si son dati i nomi di estasi, rapimento,
illuminazione, unione con Dio, e così via. Ma tale stato non può chiamarsi cognizione vera e
propria, perché non ha più la forma del soggetto e dell’oggetto[NOTA], e inoltre è accessibile solo
all’esperienza diretta, né può essere comunicato altrui.
Noi, che restiamo fermi sul terreno della filosofia, dobbiamo qui contentarci della conoscenza
negativa, paghi d’aver raggiunto il limite estremo della positiva.
Avendo riconosciuto nella volontà l’essenza in sé del mondo, e in tutti i fenomeni del mondo
null’altro che l’oggettità di lei; avendo quest’oggettità perseguito dall’inconsapevole impulso delle
oscure forze naturali fino alle più lucide azioni umane, non vogliamo affatto sfuggire alla
conseguenza: che con la libera negazione, con la soppressione della volontà, vengono anche
soppressi tutti quei fenomeni e quel perenne premere e spingere senza mèta e senza posa, per
tutti i gradi dell’oggettità, nel quale e mediante il quale il mondo consiste; soppressa la varietà
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delle forme succedentisi di grado in grado, soppresso, con la volontà, tutto intero il suo fenomeno;
poi finalmente anche le forme universali di quello, tempo e spazio; e da ultimo ancora la più
semplice forma
fondamentale di esso, soggetto e oggetto. Non più volontà: non
più
rappresentazione, non più mondo.
Davanti a noi non resta invero che il nulla. Ma quel che si ribella contro codesto dissolvimento nel
nulla, la nostra natura, è anch’essa nient’altro che la volontà di vivere. Volontà di vivere siamo noi
stessi, volontà di vivere è il nostro mondo. L’aver noi tanto orrore del nulla, non è se non un’altra
manifestazione del come avidamente vogliamo la vita, e niente siamo se non questa volontà, e
niente conosciamo se non lei. Ma rivolgiamo lo sguardo dalla nostra personale miseria e dal chiuso
orizzonte verso coloro, che superarono il mondo; coloro, in cui la volontà, giunta alla piena
conoscenza di sé, se medesima ritrovò in tutte le cose e quindi liberamente si rinnegò; coloro, che
attendono di vedere svanire ancor solamente l’ultima traccia della volontà col corpo, cui ella dà
vita. Allora, in luogo dell’incessante, agitato impulso; in luogo del perenne passar dal desiderio al
timore e dalla gioia al dolore; in luogo della speranza mai appagata e mai spenta, ond’è formato il
sogno di vita d’ogni uomo ancor volente: ci appare quella pace che sta più in alto di tutta la
ragione, quell’assoluta quiete dell’animo pari alla calma del mare, quel profondo riposo, incrollabile
fiducia e letizia, il cui semplice riflesso nel volto, come l’hanno rappresentato Raffaello e Correggio,
è un completo e certo Vangelo.
[...]
Quel che rimane dopo la soppressione completa della volontà è invero, per tutti coloro che della
volontà ancora son pieni, il nulla. Ma viceversa per gli altri, in cui la volontà si è rivolta da se
stessa e rinnegata, questo nostro universo tanto reale, con tutti i suoi soli e le sue vie lattee, è – il
nulla.