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Il senso ellenico della “contemplazione” portato da Platone e da Plotino
alle sue estreme conseguenze
Uno dei concetti che Havelock ha amputato nella maniera più drastica è quello della
«contemplazione» (theoria), da lui connesso sempre a quella doxa di cui l’epos era
espressione paradigmatica. Invece, questo concetto per i Greci aveva una portata
assai più ampia, ben al di là della dimensione dell’opinione.
Poiché si tratta di un vero e proprio asse portante del pensiero greco in generale e di
Platone in particolare, dobbiamo cercare di illustrarlo in modo conveniente.
Leggiamo una pagina di Havelock, che servirà non poco per comprendere, proprio
per antitesi, la posizione storica che gli Elleni in generale e Platone in particolare
assunsero a questo riguardo.
Rifacendosi alla sua riduzione del processo «astrattivo» e alla dimensione
empiristica moderna, lo studioso così spiega il linguaggio di Platone relativo alla
visione delle Idee e delle Forme intelligibili:
«Ma possiamo dire che nella sua faticosa ricerca di un linguaggio che
descriva quel nuovo livello di attività mentale che noi chiamiamo astratto,
egli tende ripetutamente a ricorrere a metafore visive, quando sarebbe stato
meno fuorviante usare soltanto espressioni che sottolineano lo sforzo critico
dell’analisi e della sintesi. L’esempio cruciale è il suo impiego della parola
greca che significa “veduta” o “contemplazione” (theoria), che si è facilmente
trasformato, è vero, nella nostra parola “teoria”, indicante un livello di
ragionamento totalmente astratto, ma che tuttavia in Platone suggerisce
continuamente la “contemplazione” di realtà che, una volta acquisite, sono lì
per essere viste. È una condizione mentale di passività, forse di un nuovo
genere. Il tipo poetico di ricettività acquisita mediante l’imitazione era uno
stato di eccitazione emotivamente attivo. La nuova contemplazione deve
essere invece serena, calma, distaccata. Deve essere come l’“assistere” a un
mito religioso, contrapposto alla partecipazione a un dramma umano.
Platone ha modificato il carattere dell’esecuzione e ci ha ridotti a spettatori
silenziosi. Ma rimaniamo spettatori di immagini. Non saremo semplicemente
invitati a tralasciare il pensiero rigoroso e ad abbandonarci ad una nuova
forma di sogno, destinato ad essere religioso piuttosto che poetico?».
Havelock soggiunge che questo condurrebbe alla «contemplazione mistica della
verità, della bellezza e della bontà», ma, a suo avviso, sarebbe un errore. Riconosce
che qualche volta Platone ci invita a percorrere tale strada, giudica ì procedimenti
che si riscontrano nel Timeo addirittura un «tradimento della dialettica» e ritiene
che gli esiti raggiunti in questo scritto, fondati su concetti matematici, sia «una
specie di algebra, ma occultata dai panni onirici della mitologia».
In realtà, Havelock non ha compreso, proprio nell’ottica riduzionista scientistica in
cui si colloca, l’enorme portata assiologica e ontologica della «contemplazione»
(theoria) per i Greci, come subito vedremo.
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Ricordiamo, in primo luogo, la valenza morale, oltre che conoscitiva, del termine:
«contemplare» significa assumere, sulla base della conoscenza, un preciso
atteggiamento pratico nei confronti della vita, e quindi la theoria greca è ben lungi
dall’avere solo un carattere intellettuale e astratto, ma è sempre anche una dottrina
di vita. Cornelia de Vogel ha precisato:
«Dire che la filosofia per i Greci significava riflessione razionale sulla totalità
delle cose è abbastanza esatto se ci si limita a questo. Ma se vogliamo
completare la definizione, dobbiamo aggiungere che, in virtù dell’altezza del
suo oggetto, questa riflessione implicava un preciso atteggiamento morale e
uno stile di vita che erano ritenuti essenziali sia dagli stessi filosofi che dai
loro contemporanei. Questo, in altre parole, significa che la filosofia non era
mai un fatto puramente intellettuale».
Questo concetto, valido per tutti i filosofi greci, a partire dai primi, come vedremo
nel prossimo paragrafo, raggiunge vertici straordinari in Plotino, con la dottrina
della contemplazione creatrice:
La creazione ci si è chiaramente mostrata come «contemplazione»; essa è,
difatti, prodotto della contemplazione, di una contemplazione che resta pura
contemplazione e che non fa altro che creare perché è «contemplazione».
La vera forza creatrice non è la «prassi», ma la «teoria».
La spiegazione dettagliata di questa dottrina sarebbe piuttosto complessa e
rimandiamo chi desiderasse conoscerla nei dettagli ad altri lavori; qui basti
questo richiamo per comprendere la tesi che stiamo svolgendo.
Tratto dal libro: “PLATONE - Alla ricerca della sapienza segreta” di Giovanni
Reale, ed. BUR, pagg. 225-227