ECONOMIA AZIENDALE - LEZIONE 7 Dott. Fabio Monteduro, Dott.ssa Sonia Moi, Dott.ssa Irene Salerno Cultura organizzativa, innovazione e cambiamento La presente dispensa, con rielaborazioni ed integrazioni, è tratta dai capitoli 9 e 10 del testo di Richard L. Daft., Organizzazione aziendale, Apogeo, Milano, 2001 Cultura organizzativa: definizione e componenti La cultura organizzativa può essere definita come un insieme di assunti di base – inventati, scoperti o sviluppati da un gruppo determinato quando impara ad affrontare i propri problemi di adattamento con il mondo esterno e di integrazione al suo interno – che si è rivelato così funzionale da essere considerato valido e, quindi, da essere indicato a quanti entrano nell’organizzazione come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a quei problemi 1. Da questa definizione risultano evidenti le funzioni della cultura organizzativa: consentire l’adattamento all’ambiente esterno e rispondere ai problemi di sopravvivenza; favorire l’integrazione interna; fornire modelli di comportamento. In particolare, con riferimento alla terza funzione su esposta, Gagliardi e Monaci sottolineano che la cultura organizzativa tende a: generare modelli cognitivi che consentono di categorizzare e interpretare degli eventi; suscitare modelli di risposta emotiva e affettiva, che influenzano il grado di coinvolgimento dei membri e i suo senso di organizzazione; erigere e mantenere confini intangibili, consentendo la fondamentale discriminazione – membro/non membro, dentro/fuori, amico/nemico – sulla quale si fonda la percezione dell’identità collettiva. La cultura organizzativa esiste su due livelli: un livello visibile e un livello nascosto. 1 Tale definizione è quella proposta da Schein nel 1990. Il livello visibile comprende tutti i manufatti visibili e i comportamenti osservabili, quindi gli edifici, l’arredamento, il modo in cui ci si veste, le storie e le cerimonie. Tali elementi visibili sono però espressione e conseguenza di valori più profondi, radicati nell’organizzazione e condivisi dai suoi membri. In particolare, il livello nascosto della cultura organizzativa è composto da: valori: convinzioni e giudizi di preferibilità che riguardano la sfera morale e che permettono di distinguere ciò che è buono e desiderabile da ciò che non lo è; credenze: codici contenenti informazioni e affermazioni attinenti la sfera cognitiva; ideologie: combinazioni di valori e credenze che forniscono ai membri dell’organizzazione spiegazioni della realtà sociale e forniscono le ragioni alla base di determinate azioni svolte per il perseguimento di un determinato fine. assunti di base: convinzioni di fondo, valori non discutibili e dati per scontati. Box 1 I valori: esemplificazioni GRUPPO ZURICH (società che opera nel settore assicurativo) I valori a cui Zurich si ispira non sono solo dichiarazioni di intenti, ma valori messi in pratica da tutti i membri dell’organizzazione durante l’attività quotidiana Dedizione al cliente Mettere sempre il cliente al centro di tutte le attività di Zurich Innovazione costante Come pionieri, esplorare sempre nuove opportunità con un approccio creativo per crescere nella capacità di dare risposte Eccellenza nell’azione In tutto ciò che si fa, cercare di ottenere il massimo livello di qualità e di emergere in un mercato competitivo e difficile Partecipazione Incoraggiare tutti a dare il proprio contributo per sentirsi team in ogni circostanza Integrità ed eticità Operare con integrità, rispettando le regole, perché ogni azione sia corretta e coerente, a tal punto da andarne fieri. Cercare di dare sempre la massima attenzione all’interlocutore, sia esso un cliente, un agente o un collaboratore. ZÈTEMA (società in house del Comune di Roma che opera nel settore della Cultura) Per il raggiungimento dei propri obiettivi, la Società si ispira ai seguenti valori : - rispetto di tutte le leggi e regolamenti vigenti nazionali; - rispetto delle persone; - eguaglianza ed imparzialità; - onestà, trasparenza ed affidabilità; - lealtà, correttezza e buona fede; - riservatezza dei dati; - tutela dell'ambiente e sicurezza, anche nei luoghi di lavoro; - protezione della salute. LILLY (società che opera nel settore farmaceutico) Nell´attuare le strategie e nel perseguire gli obiettivi, alcuni valori fondamentali, che rispettiamo da lungo tempo, ci guidano in tutto ciò che facciamo: - il rispetto delle persone, che prevede l´attenzione agli interessi di tutti coloro che, entrano in contatto con l´azienda: clienti, dipendenti, partner, fornitori e la comunità; - l´integrità , che abbraccia le norme più rigorose di onestà, comportamento etico e condotta morale esemplare; - l´eccellenza, che si riflette nella costante ricerca di nuove soluzioni per perfezionare i risultati delle nostre attività, allo scopo di diventare i migliori del settore. Da tali elementi di base della cultura organizzativa discendono gli elementi osservabili della stessa. Tra questi si annoverano. i riti le cerimonie: attività elaborate e pianificate che costituiscono un evento speciale e sono spesso svolte a beneficio di un pubblico; tali occasioni consentono di rafforzare i valori dell’organizzazione, di condividere concetti importanti o di celebrare membri dell’organizzazione assunti ad “eroi”. Esistono varie tipologie di riti a ciascuno dei quali corrispondono delle differenti conseguenze sociali. Di seguito se ne propone una classificazione. Box 2 Tipologie di riti organizzativi e delle loro conseguenze sociali TIPO DI RITO ESEMPIO CONSEGUENZE SOCIALI Di passaggio - Reclutamento nell’esercito e primo addestramento - Cerimonie di presentazione di nuovi dipendenti Facilitare la transizione delle persone verso ruoli sociali e status per loro nuovi Di rinforzo - Serata di premiazione Rinforzare l’identità sociale e lo status dei dipendenti Di rinnovo - Attività di supporto organizzativo - Lancio di programmi di rinnovamento ambiente e/o lavoro Rinnovare le strutture sociali e migliorare il funzionamento organizzativo Di integrazione - Festa di Natale dell’ufficio Cene sociali Viaggio aziendale Torneo di calcio Incoraggiare sentimenti comuni che uniscono i membri e sviluppano in loro un senso di impegno nei confronti dell’organizzazione Di degradazione - Sostituzione di alti dirigenti Ridimensionare le identità sociali e il potere dei soggetti coinvolti e riaffermare pubblicamente l’importanza dei ruoli sociali compromessi dalla condotta dei degradati Di ricomposizione o contenimento dei conflitti - La contrattazione collettiva e gli incontri fra la direzione e i dipendenti Ridurre i rischi di aggressione e conflitti aperti e ristabilire l’equilibrio in relazioni sociali turbate, spesso senza una effettiva risoluzione dei problemi ma soltanto simboleggiando la disponibilità del sistema ad affrontarli Fonte: rielaborazione da Richard L. Daft, 2001, p. 332 e Gagliardi e Monaci, 2002, p. 63. le storie: costituiscono degli aneddoti, dei racconti di eventi reali accaduti nella vita quotidiana delle organizzazioni che vengono spesso ricordati dai membri di un’organizzazione e illustrati ai nuovi arrivati al fine di fornirgli informazioni sull’organizzazione. Le storie spesso hanno ad oggetto le gesta di alcuni membri che vengono considerati come eroi in quanto hanno dimostrato la coerenza tra le loro azioni e i valori dell’organizzazione. Nel raccontare una storia, si può verificare che ad eventi realmente accaduti siano aggiunti dei dettagli immaginari. In quest’ultimo caso si parlerà di leggende. In altri casi le storie raccontate, pur essendo coerenti con i valori dell’organizzazione, non sono supportate da fatti in grado di provarne il reale accadimento. In questo caso si parla di miti. Box 3. Storie: esemplificazioni Storia 1. Valore: persistere in ciò che si crede In un’impresa viene raccontata la storia di un manager che fu licenziato agli inizi della sua carriera per aver insistito su un nuovo prodotto anche dopo che il suo capo gli aveva detto di fermarsi perché pensava che fosse un’idea stupida. Dopo che il lavoratore fu licenziato, egli rimase nel proprio ufficio, continuando a lavorare sulla nuova idea di prodotto senza percepire alcuno stipendio. Alla fine venne riassunto, il prodotto si rilevò un successo ed egli fu promosso a vicepresidente. Storia 2. Valore: il cliente al primo posto In un’impresa un addetto alle consegne che aveva smarrito la chiave di una casella postale dell’impresa stessa, piuttosto che lasciare che la corrispondenza arrivasse in ritardo, il dipendente ha staccato la casella dal muro, l’ha messa nel suo camioncino per le consegne e l’ha portata alla stazione di smistamento dove i suoi colleghi sono stati in grado di forzarla, aprirla e far arrivare il contenuto a destinazione il giorno seguente Storia 3. Valore: svolgere bene il proprio lavoro Molti anni fa, un addetto alla sicurezza della IBM fermo l’allora presidente della compagnia Thomas Watson Jr perché era entrato nell’edificio senza il proprio badge di identificazione. Watson svelò la sua identità ma l’addetto alla sicurezza ribadì che senza il badge è vietato l’accesso all’edificio. Piuttosto che intraprendere un’azione disciplinare, Watson premiò il dipendente il linguaggio: il linguaggio di una organizzazione è dato dall’insieme di detti particolari, slogan, metafore o altri elementi linguistici utili per comunicare specifici significati ai dipendenti e fare in modo che questi li percepiscano e si sentano identificati in essi. Box 4. Il linguaggio: esemplificazioni GENERAL ELECTRIC Il presidente della General Electric, Jack Welch, spesso usa il termine grocery store (drogheria) per riferirsi alla compagnia che presiede. Fa ciò perché vorrebbe che tutti i membri dell’organizzazione pensassero la GE non come un colosso dell’industria elettrica, ma come una piccola impresa nella quale il servizio al cliente e la continua ricerca di nuove opportunità facciano del “negozio” un business. MONSANTO E AMERICAN HOME PRODUCT Il presidente della Monsanto, Robert Shapiro, e il presidente dell’American Home Product, John Stafford hanno tenuto un incontro, alla presenza dei componenti dei rispettivi direttivi, al fine di valutare una possibile fusione. Mentre i membri della Monsanto facevano riferimento al proprio presidente indicandolo come “Bob”, i membri della American Home Product si rivolgevano al proprio presidente chiamandolo “Mr. Stafford”. La cultura egualitaria della Monsanto e quella gerarchica della American Home Product furono evidenti per tutti i partecipanti dell’incontro. IBM Thomas Watson Jr, figlio del fondatore dell’IBM e anch’esso presidente della compagnia, ha utilizzato la metafora delle “oche selvatiche” per descrivere il tipo di dipendenti di cui l’IBM aveva bisogno. Egli sottolineava che “è possibile addomesticare le oche selvatiche ma non sarà mai possibile far ritornare selvatiche le oche addomesticate”. Le oche selvatiche hanno così simboleggiato la libertà e le opportunità di cui devono poter disporre i dipendenti creativi dell’IBM per far sì che non diventino addomesticati. i simboli: un simbolo è qualcosa che ne rappresenta un’altra. Potremmo dire che tutti gli elementi finora analizzati – i miti, le cerimonie, il linguaggio, etc – rappresentano dei simboli ai quali vanno ad aggiungersi gli elementi fisici e tangibili dell’organizzazione – la forma degli edifici, la disposizione dei locali, il design, le decorazioni interne, etc. Ciascuno di questi elementi, tangibili ed intangibili, è un simbolo che rimanda a qualcos’altro ed in particolare ai valori di fondo che guidano l’ organizzazione. Box 5. I simboli: esemplificazioni BRITISH AIRWAYS La compagnia aerea inglese ha cambiato la propria cultura attraverso il cambiamento dell’edificio che ospita il suo centro direzionale. Il vecchio edificio a più livelli situato all’interno dell’aeroporto di Heathrow confermava e rafforzava valori gerarchici e burocratici che la compagnia aerea aveva deciso di abbandonare. Il nuovo centro direzionale è stato progettato con una grande piazza centrale dalla quale si diramano tutte le unità di lavoro, compresi gli uffici dei membri del direttivo. Nelle parole del presidente della BA, Bob Ayling, “move the office, change the culture” St. LUKE (agenzia pubblicitaria londinese) In questa società il layout degli uffici simboleggia l’impegno delle azienda rispetto ai valori di apertura, uguaglianza, flessibilità e creatività. Non esistono scrivanie individuali e spazi di lavoro personali: i gruppi si riuniscono in grandi stanze dedicate a singoli clienti o marchi per generare idee per nuove commesse e conservare il materiale di quelle in corso La formazione della cultura organizzativa Secondo Gagliardi e Schein la formazione della cultura organizzativa può essere intesa come il processo di formazione di una identità collettiva specifica all’interno di una organizzazione. Tale processo è articolato in tre fasi. Nella prima fase un ruolo cruciale è svolto dalla visione del mondo del fondatore e dei primi dirigenti. Infatti, in questa fase iniziale la definizione degli obiettivi e l’allocazione dei compiti è guidata dai valori e dalle credenze dei suddetti soggetti oltre che dal senso comune di tutti gli altri attori interni dell’organizzazione e dalle specificità dell’ambiente esterno. Nella seconda fase tali valori e credenze iniziali si trasformano in assunti di base, ossia elementi della cultura aziendale indiscutibili e dati per scontati. Tale trasformazione si verifica a seguito della constatazione che le azioni ispirate da tali valori e credenze hanno saputo efficacemente affrontare i problemi. Nella terza fase gli assunti si trasformano nell’identità collettiva dell’organizzazione. Pertanto, in questa ultima fase si forma il carattere distintivo di un’organizzazione che in genere tende a perpetuarsi. Come presto sarà approfondito, tale tendenza non deve essere interpretata come una cristallizzazione della cultura. La cultura organizzativa e l’identità collettiva si ricollegano ad un altro concetto, quello di coesione culturale. Per essa si intende la misura in cui i membri di una organizzazione sono d’accordo sull’importanza di specifici valori. Quando il consenso sull’importanza di determinati valori è alta si è in presenza di una cultura coesa; al contrario quando il consenso sull’importanza di determinati valori è bassa la cultura non è coesa. Oltre alla cultura dominante in un’organizzazione possono venire a formarsi anche subculture organizzative. Esse in genere sono costituite dai valori fondamentali della cultura dominante ai quali si aggiungo altri valori propri della visione del mondo dei membri della subcultura. In alcuni casi, le differenze tra cultura e subcultura possono dar vita a dei conflitti all’interno dell’organizzazione soprattutto nei casi in cui le seconde sono talmente forti da prendere il sopravvento sulle prime o quando la culture dominante non è abbastanza forte per far fronte alle spinte delle subculture. Tipologie di cultura organizzativa La cultura organizzativa, l’identità collettiva, la coesione culturale sono tutti elementi che hanno una forte influenza sulle performance delle organizzazioni. In particolare risulta interessante analizzare la relazione esistente tra la cultura, la strategia e la struttura di una organizzazione. Un rapporto corretto e coerente tra cultura, strategia, struttura e ambiente può far migliorare considerevolmente l’efficacia organizzativa. Inoltre dalla combinazione di questi elementi è possibile individuare quattro diverse tipologie di cultura. I fattori da considerare sono due: il grado di flessibilità o stabilità richiesto dall’ambiente esterno e la misura in cui il focus strategico e i punti di forza sono interni o esterni. Fonte: Richard L. Daft, 2001, p. 336 Le tipologie di cultura che ne derivano sono quattro: Cultura adattiva/imprenditoriale – in essa il focus strategico è rivolto verso l’esterno e la necessità di soddisfare i clienti prevede la flessibilità. Tale cultura consente alle organizzazioni di cogliere e interpretare in maniera immediata i segnali che vengono dall’esterno e a volte di anticiparli. Nelle organizzazioni nelle quali prevale una cultura di questi tipo comportamenti orientati alla innovazione, alla creatività e all’assunzione del rischio sono incoraggiati, valutati positivamente e ricompensati. Cultura della missione – in essa il focus strategico è rivolto verso l’esterno ma in un contesto ambientale che non richiede cambiamenti repentini. In genere le organizzazione nelle quali prevale tale cultura hanno una visione molto chiara di quello che è lo scopo dell’organizzazione stessa e degli obiettivi da raggiungere per perseguire lo scopo. La stabilità dell’ambiente esterno consente ai membri dell’organizzazione di tradurre la missione dell’organizzazione in obiettivi misurabili e di valutare e premiare i dipendenti in base alla capacità di raggiungerli. Cultura di clan – in essa il focus strategico è ricolto verso l’interno in un ambiente che richiede una continua capacità di adattamento. In essa il coinvolgimento e la partecipazione dei membri dell’organizzazione giocano un ruolo fondamentale in quanto creano un senso di responsabilità e di appartenenza. Nelle organizzazioni caratterizzate da questa tipologia di cultura il miglioramento delle performance va perseguito attraverso il soddisfacimento delle necessità dei dipendenti. Cultura burocratica – in essa il focus strategico è rivolto verso l’interno in un ambiente che richiede stabilità. Tale cultura prevede un approccio metodico alle attività dell’organizzazione le quali vengono svolte con efficienza e alti livelli di integrazione. Nelle organizzazioni caratterizzate da tale cultura prevale la cooperazione, la coerenza e la conformità per la messa in atto di politiche e prassi consolidate. Le diverse tipologie di cultura possono coesistere all’interno di una stessa organizzazione sottoforma di subculture senza presupporre necessariamente il verificarsi di tensioni o conflittualità. In particolare va rilevata l’affinità tra alcune unità organizzative e la cultura organizzativa. Ad esempio mentre per un’unità manifatturiera una cultura organizzativa di tipo burocratico risponde alla necessità di efficienza ed ordine in un’unità che si dedica alla ricerca e sviluppo sarà preferibile una cultura adattiva/imprenditoriale orientata all’innovazione, alla creatività. Box 6. Tipologie di cultura organizzativa: esemplificazioni CULTURA ADATTIVA/IMPRENDITORIALE Alla 3M, multinazionale americana attiva nel settore degli adesivi, abrasivi e farmaceutici, tutti i nuovi assunti frequentano un corso sull’assunzione dei rischi, in cui viene detto loro di perseguire le proprie idee anche a costo di sfidare il superiore. CULTURA DELLA MISSIONE Alla Pepsi, impresa con l’aspirazione di diventare la migliore azienda nel mondo nel settore dei prodotti di consumo, i manager che raggiungono alti standard di performance vengono ricompensati generosamente con viaggi aerei in prima classe, automobili aziendali, bonus e rapide carriere, I rendiconti annuali dei risultati si concentrano specificatamente sul raggiungimento degli obiettivi di performance, come target di vendita o di marketing CULTURA DI CLAN Al SAS Institute, impresa che opera nel settore hight-tech, il valore più importante è la cura del dipendente. I dipendenti godono di ampie libertà e vengono forniti di qualunque cosa abbiano bisogno per aiutarli ad essere soddisfatti, produttivi e creativi. In questo modo il SAS Institute riesce ad essere competitivo sul mercato e ad adattarsi a contesti mutevoli in tempi rapidi. CULTURA BUROCRATICA Nella Safeco Insurance i dipendenti fanno la pausa caffè in degli orari stabiliti ed esistono convenzioni per l’abbigliamento da indossare che prescrivono per gli uomini camicia bianca, giacca e cravatta e rasatura accurata. I potenziali limiti di una cultura organizzativa forte e le learning organization Una cultura organizzativa molto forte non sempre si traduce in un vantaggio o in un elemento positivo. In alcuni casi, il radicamento e la sedimentazione di una cultura potrebbe compromettere la capacità dell’organizzazione di rispondere all’evoluzione del contesto esterno od interno ed innescare meccanismi di resistenza al cambiamenti, aspetti che saranno approfonditi nel testo che segue. Occorre qui evidenziare un caso particolare quello delle learning organization, ossia organizzazioni che hanno una forte cultura organizzativa che si caratterizza per l’incoraggiamento dato al cambiamento e all’adattamento. I valori sottostanti alla cultura di una learning organization sono: il tutto è più importante delle singole parti e i confini tra le parti sono ridotti al minimo – ciascun membro dell’organizzazione ha una visione d’insieme della stessa ed è pienamente consapevole delle interrelazioni esistenti tra le diversi parti dell’organizzazione e delle ricadute delle sue azioni su ciascuna di esse; le persone e le informazioni circolano all’interno dell’organizzazione in maniera libera ma coordinata, modalità che prevede l’innescarsi di processi di apprendimento continuo; l’uguaglianza come valore di primo piano – il senso di comunità è molto forte e con esso il rifiuto di aspetti che creano differenze di status (come ad esempio i posti auto riservati o le sale mense per i dirigenti); tale clima organizzativo infonde sicurezza e fiducia che consentono ai membri dell’organizzazione di non temere la sperimentazione e di apprendere dai propri errori; la cultura incoraggia l’assunzione del rischio, il cambiamento e il miglioramento – gli assunti base dell’organizzazione vengono continuamente messi in discussione in favore dell’innovazione e della creatività; l’assunzione del rischio e il posizionamento in un’ottica di apprendimento sono premiati anche a fronte di fallimenti. Il cambiamento organizzativo: minaccia o opportunità 2 Nel Rinascimento Niccolò Machiavelli scriveva che “non c’è niente di più difficile da condurre né più dannoso da gestire, dell’iniziare un nuovo ordine di cose”. Infatti, da sempre il cambiamento rappresenta un qualcosa di negativo, da cui preservarsi, spesso anche quando è lo status quo a causare le più grandi difficoltà. Se la questione del cambiamento è critica per i singoli individui, anche per le aziende rappresenta un fattore ad elevata criticità. Eppure, in un momento storico in cui la globalizzazione dei mercati impone dei ritmi sempre più veloci, una competizione sempre più pressante, il cambiamento diviene un imperativo, un fattore di sopravvivenza stesso dell’azienda: maggiore è la capacità di adattamento al mutare delle condizioni dettate dal mercato, più probabilità ha l’azienda di durare nel tempo. In tal senso, cambiamento ed innovazione vanno di pari passo, e la capacità di innovazione dell’azienda diviene una componente indispensabile. In particolare, riconoscere le minacce e le opportunità che emergono dal contesto esterno, diviene l’elemento chiave per gestire e guidare il cambiamento. Infatti, l’organizzazione delle aziende tende a mutare ed evolvere nel tempo. Tale cambiamento è fisiologico, sintomo di una nuova maturità acquisita dall’organizzazione e differisce dal concetto di cambiamento organizzativo che ci apprestiamo ad analizzare. In generale, possiamo definire che il cambiamento organizzativo attiene ad un “passaggio di stato” dell’organizzazione, in cui lo stato iniziale evidenzia un determinato problema, la cui presenza mina da una parte la stabilità dell’organizzazione, dall’altra i livelli di prestazione attesa, mentre lo stato cui tende l’organizzazione rappresenta la possibilità di riacquisire la stabilità perduta o divenuta critica in seguito all’insorgenza della situazione problema. Il cambiamento, pertanto, si esplica attraverso un’azione mirata di risoluzione del problema in essere, con l’introduzione di una innovazione rispetto agli elementi organizzativi che ne rappresentano il contenuto: l’azione, quindi, è direttamente proporzionale alla molteplicità degli aspetti potenzialmente problematici. Tuttavia, la questione del cambiamento è tutt’altro che semplice, può riguardare diversi aspetti e, pertanto, può essere affrontata dalle organizzazioni in diversi modi, che possono presupporre un cambiamento incrementale o radicale, a seconda dell’entità dello stesso. Il cambiamento incrementale può essere sintetizzato dall’introduzione di una serie continua di miglioramenti che, in generale, mantengono inalterato l’equilibrio dell’organizzazione, influenzandone una parte per volta. Il cambiamento radicale, invece, opera una rottura con il precedente modello organizzativo operando, spesso una totale trasformazione della stessa organizzazione. L’organizzazione, in genere, opera un cambiamento incrementale quando vuole introdurre dei miglioramenti nella struttura e nei processi di gestione attraverso, ad esempio, l’introduzione di sistemi computerizzati per la gestione dei processi o miglioramenti di prodotto. Viene operato, invece, un cambiamento radicale nel momento in cui è necessario individuare una nuova struttura e nuovi processi di gestione. I cambiamenti su cui il management può puntare, possono essere schematizzati in quattro tipologie: Cambiamenti tecnologici, che attengono alla variazione delle tecniche di realizzazione dei prodotti e servizi. Cambiamenti di prodotto e di servizio, che riguardano le variazioni di prodotti e servizi (da piccole modifiche all’introduzione di linee di prodotto completamente nuove); Cambiamenti strategici e strutturali, che si sostanziano nella modifica della struttura organizzativa, le gestione della strategia e/o delle risorse umane, ecc. 2 La seconda parte della dispensa con rielaborazioni ed integrazioni, è tratta e dai capitoli 14, 15 e 16 del testo di Rebora G., Organizzazione aziendale, Carocci, Roma, 1998. Cambiamenti culturali, che attengono al comportamento degli attori organizzativi all’interno della struttura, i valori, le attitudini e le aspettative degli stessi nei confronti dell’organizzazione. Queste quattro tipologie, distinte per semplicità di analisi sono, tuttavia, da considerarsi come interdipendenti, nel senso che si influenzano a vicenda. Poiché, infatti, l’azienda è un sistema aperto, con molta probabilità, attuare una sola di tali tipologia di cambiamento, avrà delle ricadute anche sugli altri aspetti dell’organizzazione. Spesso, si utilizzano i concetti di cambiamento ed innovazione come sinonimi. Se consideriamo come cambiamento organizzativo l’adozione di un nuovo comportamento o concetto da parte dell’organizzazione e come innovazione si intende l’adozione di un comportamento o concetto, nuovo nel settore, si comprende come la differenza tra i due sia molto sottile. Per semplificare, possiamo riconoscere come innovatore, l’organizzazione che, per prima, adotta un cambiamento, mentre le organizzazioni che imitano tale comportamento sono quelle che, in generale, adottano il cambiamento. Tuttavia, per ogni singola organizzazione, i due termini sono sinonimi, in quanto comportano, per entrambe, un identico processo di cambiamento. Non esiste uno schema di riferimento, un modello preciso che consente di interpretare puntualmente il processi di cambiamento organizzativo che le aziende possono realizzare, tuttavia, verrà analizzato il modello proposto da Rebora, che permette di individuare la complessità dell’argomento, attraverso l’esplicitazione delle variabili che influenzano il processo di cambiamento organizzativo. Il modello di Rebora Nelle pagine che seguono verranno individuate delle linee generali che guidano il processo di cambiamento organizzativo, attraverso l’esplicitazione del modello di Rebora, i cui tratti salienti possono essere individuati nelle seguenti variabili: Spinte al cambiamento; Inerzia organizzativa; Agenti del cambiamento; Processi di cambiamento; Leve di attivazione dei processi di cambiamento; Forme dell’evoluzione organizzativa. Tra queste variabili possono essere identificati dei flussi di interdipendenza e di influenza che Rebora (1998) definisce così: le spinte al cambiamento non bastano di per sé ad attivare un percorso evolutivo, ma trovano ostacolo nel fattore di inerzia; gli agenti possono raccogliere le spinte, mettendo in atto opportune strategie e strumenti rivolti a rompere l’inerzia e attivare processi di cambiamento; questi ultimi processi, una volta avviati, e quando opportunamente curati e gestiti, possono assumere un andamento che si autoalimenta e amplifica progressivamente, manifestandosi anche in un rafforzamento delle spinte e degli agenti stessi; le forme e i profili evolutivi, che via via emergono come risultati del processo, hanno anch’essi un effetto che si può tradurre nel rafforzamento delle spinte iniziali e quindi nella possibilità che il processo continui ad autoalimentarsi e riprodursi. Qual è, quindi, il principale motore del cambiamento? Secondo quanto appena definito, esisterebbero delle forze motivanti (le spinte al cambiamento) che, per semplicità, distinguiamo in due gruppi che causano una tensione strategica ed una tensione sulle risorse. In particolare, la tensione strategica attiene a tutte quelle condizioni di variabilità e incertezza che possono presentarsi nell’ambiente di riferimento, e che possono generare opportunità e minacce per l’azienda, mentre la tensione sulle risorse attiene alla presenza di vincoli e restrizioni che limitano la disponibilità di risorse, siano esse finanziarie, tecnologiche e umane, in grado di alimentare il funzionamento del sistema. La tensione strategica, in particolare, è determinata da: Le tendenze macroambientali e della domanda di beni e servizi: in particolare, questo fattore, concerne il carattere della dinamicità e della continua evoluzione dell’ambiente in cui operano le imprese. Si tratta degli andamenti demografici, economici, del territorio, che tendono a modificare le esigenze delle imprese, causando variazioni nella struttura della domanda e dell’offerta di beni e servizi. Inoltre, le variazioni della domanda, causano degli stimoli per l’andamento dell’organizzazione, innescando dei meccanismi di modificazione degli assetti organizzativi. La cultura e i valori sociali espressi da consumatori, clienti e cittadini: questo fattore attiene alle modificazioni culturali e al sistema dei valori che interessano la comunità di riferimento. Tali modificazioni possono implicare la necessità di definizione di nuove scale di priorità tra i bisogni da soddisfare, oppure l’emergere di differenti esigenze per la qualità di prodotti e servizi. La cultura e i valori professionali: oltre alle modificazioni che attengono ai fattori culturali e sociali, è importante considerare l’impatto che hanno le concezioni o impostazioni che maturano negli ambiti lavorativi e professionali. Da ciò emerge che, spesso, la necessità di affrontare un cambiamento deriva da un fattore interno all’organizzazione, da una nuova consapevolezza da cui discende una forte spinta al mutamento nelle strategie e nell’organizzazione La concorrenza: rappresenta un fattore fondamentale capace di generare una forte spinta al cambiamento. Soprattutto in tempi recenti, le organizzazioni si trovano a dover affrontare cambiamenti mai considerati prima, che riguardano sia le competenze e gli atteggiamenti da porre in essere che i processi decisionali e modelli economici propri delle organizzazioni. I clienti dispongono, oggi, di una vasta possibilità di scelta tali da condizionare il sistema economico di riferimento. Pertanto, solo chi diventerà capace di rispondere in modo efficace alle variazioni della domanda, sarà in grado di sopravvivere più a lungo. La tecnologia: rappresenta, anch’essa come la concorrenza, una delle più importanti forze trainanti del cambiamento dell’organizzazione. In tal senso, queste spinte riguardano sia i nuovi prodotti e servizi offerti che un rinnovamento di metodi e processi operativi. La tensione sulle risorse, invece, è determinata da: La scarsità: quando le risorse necessarie per il funzionamento del’organizzazione (specie le risorse finanziarie) non sono sufficienti, si può creare una pressione tale da determinare in certe situazioni l’abbandono dei modi di operare all’origine della crisi aziendale e la ricerca di nuove soluzioni; questo accade anche in ambito pubblico quando si parla di tagli al bilancio. Le situazioni di emergenza o crisi acuta: talvolta il cambiamento ha origine da situazioni di crisi acute o di emergenze, che si ritiene necessario affrontare in tempi rapidi, al di fuori dei ritmi normali di azione. Vi sarà una forte tensione sulle risorse, in quanto dovranno affrontare in tempo breve un impegno di dimensioni spropositate rispetto all’andamento normale, che fa emergere l’esigenza di una programmazione ad hoc della risposta da porre in essere per far fronte all’evento inatteso. Le forme di presa di parola o di protesta: si tratta di iniziative individuali o collettive che hanno l’obiettivo di modificare gli orientamenti e/o la logica operativa dell’organizzazione (si pensi agli studi di Hirshman, 1970). In qualche modo, possono essere assimilate all’emergenza; I vincoli normativi: un altro fattore importante è quello degli obblighi normativi. Infatti una legge, imponendo l’osservanza di particolari precetti, obbliga l’organizzazione ad adeguarsi in tempi brevi. Pertanto, considerando il punto di vista delle organizzazioni, l’impatto della nuova normativa, comporta un utilizzo delle risorse, le cui caratteristiche sono analoghe a quelle dell’emergenza o della crisi acuta. È importante sottolineare che, di per sé, i fattori appena esaminati non comportano necessariamente un cambiamento organizzativo, ma questo dipende dalla capacità degli attori organizzativi di accogliere e rispondere a tali stimoli. Tali spinte, infatti, attraverso la forte tensione che immettono nell’organizzazione, determinano un divario tra quelle che sono le esigenze percepite dagli attori e, invece, la realtà esistente. Considerati i due gruppi di spinte, perché si realizzi il cambiamento, non è necessario che la tensione che si viene a creare sia troppo elevata, né troppo bassa. Nel primo caso, infatti, può accadere che la capacità di adattamento dell’organizzazione si blocchi per l’eccessiva tensione, così come la mancanza di risorse può rendere impossibile un qualsiasi tentativo di cambiamento. Un altro fattore è quello relativo all’inerzia organizzativa. Secondo Rumelt (1995), per inerzia si intende la tendenza delle forme e delle funzioni organizzative esistenti a permanere, anche quando inefficienti e non funzionali rispetto agli scopi ufficiali dell’organizzazione. La prassi dimostra, infatti, l’esistenza di un numero elevato di forme inefficienti pur in presenza di forti pressioni al cambiamento. L’inerzia al cambiamento implica, quindi sia impermeabilità che resistenza al cambiamento, pur in presenza di spinte che legittimano e fanno emergere la necessità dello stesso. Ma non solo, infatti, può accadere che sia soggetta ad inerzia la stessa logica del cambiamento: in tal senso, il processo di cambiamento stesso può deviare da istanze e fini diversi da quelli istituzionali (si pensi in tal senso alle organizzazioni complesse, in cui possono celarsi forme di incertezza ed opacità che, a loro volta, creano incentivi e coperture a svariate forme di opportunismo). L’inerzia organizzativa può essere causata da due grandi ordini di fattori, ossia: Fattori comportamentali, che si riferiscono al modo in cui gli individui o gruppi di individui, agiscono all’interno dell’organizzazione, e sono legate ad elementi di tipo: o cognitivo: relativo, cioè alla sfera della formazione specifica degli individui e alla loro socializzazione organizzativa; o organizzativo: relativo alle soluzioni organizzative adottate e al ruolo che gli individui hanno al loro interno; o di stile relazionale: relativo alle relazioni interpersonali che si instaurano all’interno dell’organizzazione; o politico: dipendente dagli interessi in gioco (sia interni che esterni all’organizzazione); o di valori: che riguardano i significati che i diversi soggetti organizzativi attribuiscono ai fenomeni aziendali. Fattori sistemici, che, al di là della sfera dei comportamenti degli individui, si riferiscono alle relazioni di interdipendenza tra gli stessi, tra le risorse e relativamente agli ambiti di attività. In particolare, si manifestano quando, a causa di elementi strutturali, l’organizzazione non riesce ad attuare il cambiamento necessario per la stessa. Tra le situazioni ricorrenti di inerzia causata da fattori sistemici, vi è il sovraccarico strategico, l’effetto di soffocamento della strategia da parte della routine operativa, il divario tra risorse e capacità richieste dal cambiamento ed effettivamente disponibili. Le spinte al cambiamento precedentemente analizzate, non necessariamente implicano il cambiamento ma possono potenzialmente determinarlo. Perché il cambiamento, da potenziale diventi reale, è necessario che le forze analizzate vengano incanalate nel contesto di una visione strategica, in una serie di azioni e di processi razionalmente orientati da parte dei soggetti che vanno a costituire l’organizzazione. Tali soggetti devono, quindi, porsi come agenti del cambiamento e che possiamo sintetizzare in quattro gruppi: la leadership, i ruoli organizzativi critici, le costellazioni di ruoli e i circuiti o reti emergenti. Il più importante agente del cambiamento è la leadership. Questa, non necessariamente coincide con i soggetti che guidano formalmente l’azienda, ma si tratta di soggetti in grado di indirizzare ed influenzare altri soggetti ad agire per il raggiungimento degli scopi (ossia valori, aspettative, ecc.) condivisi dai leader e dai loro “seguaci”. Per semplicità d’analisi, è possibile riconoscere due tipi di leadership: la leadership di scambio, avviene nel momento in cui un soggetto assume le funzioni di leader per guidare i soggetti aziendali nella realizzazione di un interesse comune. Si tratta di una relazione che ha una durata breve ed è, perlopiù, assimilabile ad una contrattazione; la leadership trasformatrice, che presuppone un impegno più elevato, in cui leader e altri soggetti aziendali si uniscono e “trascendono le loro motivazioni iniziali per innalzare il livello dei loro scopi fino a perseguire valori dotati di rilievo etico superiore”. Tale forma, talvolta, diviene una forza propulsiva che produce importanti innovazioni sociali. Il ruolo della leadership è, quindi, rilevante in quanto permette di elaborare e formulare le strategie, che poi possono (o no) portare al cambiamento. La leadership, da sola, non è sufficiente a garantire il cambiamento delle organizzazioni, ma è fondamentale l’apporto di altri soggetti che, come abbiamo precedentemente definito, sono: i ruoli organizzativi critici, che attengono a quei soggetti che detengono un ruolo decisivo per l’esito di un intervento perché, ad esempio, le azioni di tali individui sono in grado di influenzare i comportamenti di una larga porzione dei soggetti aziendali. Tali ruoli divengono fondamentali quando la leadership riesce a coinvolgerli attivamente per diffondere i valori e gli interessi di questi ultimi per vincere l’inerzia al cambiamento; la costellazioni di ruoli, che attiene alla commistione di una pluralità di ruoli che consentono di bilanciare i diversi apporti dei soggetti aziendali al processo (o potenziale processo) di cambiamento. Possono essere anche soggetti esterni, che possono diventare parte della costellazione di ruoli sotto l’egida del leader. I circuiti o le reti emergenti, che attengono ad un insieme di persone accomunate da un profilo simile (es. stessi modelli culturali di riferimento o esperienze operative simili e/o condivise). In tal senso, il leader deve puntare sul “legante” delle reti e dei circuiti in modo da attrarre non solo l’interesse degli individui, ma tale da identificare valori, una cultura condivisa e, d’altro canto anche una nuovo logica sul modus operandi dell’organizzazione. Tutti i soggetti considerati, hanno un ruolo decisivo nel processo di cambiamento organizzativo, tale da influenzare la riuscita o il fallimento dello stesso. Nelle pagine che seguono, verrà analizzato quando, ed in che modo, questo viene attuato. In particolare, per processo di cambiamento, intendiamo una sequenza di azioni e interazioni specifiche che rompono le condizioni di inerzia e consentono l’emergere di nuovi assetti organizzativi. Per semplificare ed indirizzare l’analisi, è possibile individuare tre possibili leve di attivazione del processo di cambiamento organizzativo: Il processo di apprendimento organizzativo; Il processo di sviluppo organizzativo; Il processo di gestione del potere. Il processo di apprendimento organizzativo, detto learning organization, è una delle condizioni attraverso cui è possibile attuare il cambiamento organizzativo. In particolare, non si deve pensare all’apprendimento organizzativo inteso solo come l’individuazione e lo sviluppo di nuove conoscenze ma, in senso più generale, come la capacità delle organizzazioni di adattarsi a nuove condizioni (siano esse conoscenze o comportamenti). Infatti, poiché attiene al mutamento delle conoscenze, degli stili relazionali e dei valori ne deriva che si tratta di un fenomeno attraverso il quale l’organizzazione, per mezzo della conoscenza diffusa al suo interno, è capace di modificare la sua conoscenza e le sue competenze, in un processo ciclico e ricorsivo. Il processo di apprendimento, in generale, attiene sia ai singoli che all’organizzazione, in quanto concerne la sfera comportamentale e relazionale degli individui. Tuttavia, l’apprendimento organizzativo è un fenomeno più complesso, in quanto non riconducibile alla sommatoria dei processi di apprendimento dei singoli, ma influenzato da una molteplicità di aspetti di carattere organizzativo che, in quanto tali, agiscono ed influiscono sui processi di apprendimento individuali. Esistono diversi tipi di apprendimento organizzativo. Il più semplice è quello di tipo conservativo, che consente all’organizzazione di adattarsi a mutamenti di bassa complessità (es. la perdita di quote di mercato cui l’azienda reagisce attraverso la riduzione dei propri prezzi). Un altro tipo di apprendimento organizzativo è quello definito per trauma, che avviene quando sopraggiunge la necessità di alterare il proprio modus operandi a seguito di un forte shock o crisi acuta. Un altro tipo ancora è quello innovativo per anticipazione, che attiene ad un comportamento organizzativo volto all’anticipazione dei problemi. Esistono, inoltre diverse leve e diversi strumenti che consentono l’attivazione di un processo di apprendimento; tra queste si citano la messa in atto di soluzioni organizzative funzionali all’apprendimento attraverso l’attivazione di momenti di interazione nell’organizzazione e di dinamiche che pongono al centro il cliente, la predisposizione di una memoria organizzativa o comunque di sistemi operativo volti a consentire l’accumulo di conoscenza e la formazione, che consente di rafforzare e diffondere le conoscenze e la cultura organizzativa. Il processo di sviluppo organizzativo, attiene alla gestione e l’utilizzo delle risorse al fine di porre in essere una serie di azioni tali da permettere il cambiamento organizzativo. Consiste, quindi in una riprogettazione dell’assetto organizzativo attraverso la rimodulazione delle risorse presenti in azienda. L’attivazione dei processi di sviluppo organizzativo può avvenire attraverso: La reimpostazione dei sistemi informativi sullo stato delle risorse disponibili, al fine di individuare i livelli di fabbisogno potenziali; La reimpostazione dei sistemi di programmazione e controllo, al fine di individuare una mappa di riferimento per lo sviluppo delle risorse; La riprogettazione della struttura organizzativa e formale e dei meccanismi operativi, al fine di rafforzare il percorso di cambiamento desiderato; Ridefinizione e l’arricchimento degli schemi contrattuali, attraverso cui rendere maggiormente flessibile il sistema di acquisizione delle risorse; La ridefinizione dei profili professionali degli operatori aziendali, connessi ai sistemi di compenso e incentivazione, al fine di veicolare l’attenzione dei soggetti aziendali sullo sviluppo di abilità e comportamenti richiesti dall’organizzazione per l’adozione del cambiamento; L’adozione di forme di ascolto e interazione con i clienti, al fine di operare il coinvolgimento tra i soggetti dell’organizzazione ed i clienti per migliorare il funzionamento dell’organizzazione. Il processo di trasformazione e gestione del potere, costituisce la terza leva per l’attivazione dei processi di cambiamento. In particolare, consiste nello sviluppo di una forza capace di influenzare i comportamenti verso la direzione organizzativa prefissata, affrontando eventuali dissensi e interessi contrastanti. Tale capacità d’influenza identifica il concetto di potere, ossia la capacità di un individuo di influenzare altre persone per conseguire i risultati desiderati. Tra le leve di attivazione del processo, si sottolineano la formazione e ridefinizione di alleanze tra i soggetti aziendali, la sostituzione di attori chiave all’interno dell’azienda e la contrattazione tra esponenti di interessi contrapposti. Tutti gli elementi finora considerati, sono in grado di influenzare, in diverso modo, il processo di cambiamento organizzativo. La gestione del cambiamento presuppone, quindi, la considerazione dei diversi fattori in gioco, ossia le leve analizzate, che devono essere ponderate sulla base del processo di cambiamento che si intende adottare, tenendo conto del forte intreccio che le unisce. Pertanto, nella gestione del cambiamento, si ritiene indispensabile adottare il seguente schema in cui: viene individuata una visione unitaria del processo, ed un set di azioni coerenti, da parte degli attori chiave vengono gestite in maniera coerente le leve del cambiamento vengono individuati in maniera puntuale i tempi e le fasi del processo. Le fasi della gestione del processo di cambiamento possono essere sintetizzate in: Fase 1: alimentazione di tensione, coscienza, impegno, in cui si apre la strada a nuovi orientamenti nei confronti della gestione del prodotto o del servizio erogato. In particolare, la leadership genera la tensione attraverso l’utilizzo delle leve e portando a conoscenza dei soggetti aziendali il problema (ad es. attraverso l’apprendimento). Fase 2: consolidamento, in cui, attraverso l’azione sulle leve del potere, emerge la coalizione che si è formata all’interno dell’organizzazione. È in questa fase che sono molto forti le resistenze al cambiamento. In generale, si creano dei meccanismi che portano ad una redistribuzione del potere, per fare in modo che vengano sostituiti i soggetti che contrastano il progetto. Fase 3: integrazione dei processi e dei soggetti, in cui le innovazioni devono tradursi in sistemi operativi che consentano una gestione accurata dell’azienda. È la fase in cui, avvenuta la rottura nelle precedenti fasi, è necessario compiere degli adattamenti e ricuciture della nuova struttura delineata. Queste fasi non sono lineari, ma rappresentano un ciclo che l’organizzazione si troverà a ripercorrere al fine di migliorare continuamente la propria gestione complessiva. Abbiamo, accennato più volte ai meccanismo di resistenza che spesso possono verificarsi, inficiando il processo di cambiamento. Tra i principali problemi che frenano la capacità di innovare (e quindi cambiare), vi è la tendenza all’autoconservazione delle organizzazioni. Questa tendenza è causata dalla cultura stessa dell’organizzazione di cui si è parlato nelle prime pagine. La cultura, quindi, è ciò che differenzia le organizzazioni l’una dall’altra e funge da “collante” interno. Tuttavia, spesso rappresenta un ostacolo all’apprendimento di nuovi modi di relazione, di nuove regole del gioco nel caso in cui i mutamenti della situazione lo richiedano. La resistenza al cambiamento può avere diverse nature. Può essere per esempio fisiologica, data dal timore dell’abbandono di tradizioni e di relazioni di gruppo, può derivare da carenze informative (la paura dell’ignoto), da problemi di adattamento o di potere (perdita di status o della sicurezza lavorativa), e può essere di due tipi: passiva o attiva. È passiva quando l’individuo adotta un comportamento regressivo, non si impegna abbastanza, spesso protesta e continua ad adottare i vecchi standard. È attiva, invece, quando l’individuo commette volutamente errori per rallentare la produzione, non si presenta a lavoro, cerca di sabotare la produzione. Da temere è, inoltre, l’indifferenza nei confronti del cambiamento. La gestione del cambiamento non implica esclusivamente il superamento delle resistenze: chi promuove il cambiamento deve anche attivarsi per costruire delle alleanze positive, per convincere gli altri individui che il cambiamento è necessario e apporterà benefici all’interno dell’organizzazione, sfruttando le politiche del personale per motivare i dipendenti (la leadership). Infine, è importante sottolineare che, data la complessità della gestione del processo di cambiamento organizzativo, seguire lo schema delineato in precedenza, potrebbe non garantire di per sé la perfetta riuscita del cambiamento, ma ne aumenta le probabilità di successo. Box 7. Gestire il cambiamento organizzativo: il caso della Hire Quality. La Hire Quality è una società che si occupa di recruitment. Poiché la gestione dei curriculum cartacei provocava diversi rallentamenti nelle attività dell’organizzazione, il top management decise di implementare un sistema informativo capace di gestire l’enorme flusso dei curriculum in formato digitale, eliminando totalmente il cartaceo dalla società. Tuttavia, in un primo momento, l’introduzione del sistema informativo non sortì gli effetti sperati, perché i dipendenti continuarono ad utilizzare il vecchio approccio. Per poter implementare il cambiamento, il top management introdusse delle tariffe sull’utilizzo di fax, fotocopiatrici, stampanti per disincentivarne l’uso senza, tuttavia, ottenere dei risultati. Così, per realizzare il cambiamento, l’ad della società entrò negli uffici con un cestino in mano, staccando ogni post-it dal monitor, accartocciando tutte le carte che si trovavano sulle scrivanie e, per ultimo, dando fuoco alla pila di carta che si era creata. La reazione dei dipendenti è stata molto forte, un dipendente, ad esempio, ha lasciato l’azienda. Si tratta, ovviamente, di un modo piuttosto bizzarro per implementare un cambiamento organizzativo. Nonostante questa bizzarria, il concetto che vuole descrivere è piuttosto emblematico: spesso il top management, pur nella consapevolezza della necessità del cambiamento, non riesce a far percepire all’esterno tale necessità, o a superare le resistenze al cambiamento dei dipendenti, di qui l’uso di un metodo drastico. In questo caso, l’errore del top management è stato quello di non aver formato in maniera opportuna il personale e di non essere riuscito a comunicare con loro in maniera adeguata. Il suo approccio aggressivo, quindi, non solo non ha prodotto risultati, ma è servito ad suscitare l'ostilità ed una maggiore resistenza dei dipendenti. Solo successivamente, il top management, ha capito che, una strategia efficace non è quella di costringere i propri dipendenti ad adottare il cambiamento, ma di coinvolgerli nello stesso processo, comunicare con loro, formarli, ma, soprattutto far sentire loro parte integrante del processo. È vero, quindi, che non esiste una modalità specifica di introduzione di un cambiamento, ma è altrettanto vero che esistono dei metodi più o meno buoni per la loro gestione, che influenzano in maniera determinante la riuscita dello stesso. Per questo motivo, a distanza di tempo il top management ha deciso di implementare il cambiamento in maniera graduale, riacquistando la fiducia dei dipendenti attraverso la loro collaborazione. Bibliografia GAGLIARDI P. , MONACI M. “ La Cultura”, in COSTA G. , NACAMULLI R.C.D. (a cura di), Strutture, Cultura e Comportamenti, Utet, Torino, 2002. DAFT R.L., , Apogeo, Milano 2001. REBORA G., Organizzazione aziendale, CAROCCI, ROMA, 1998. SCHEIN E., Cultura d’azienda e leadership, Guerini e Associati, Milano, 1990.