CARMINE DI GIUSEPPE, Carpe linguam © Medusa Editrice 2016 - Espansioni on line ITER VII Romanorum mores L’organizzazione politica a Roma Nel brano introduttivo a questo Iter, Tito Livio ci presenta l‟istituzione del Senato a Roma, che fu dettata dal bisogno di dare un‟impronta politica ben definita alla città. La politica nella Città eterna fu primariamente ed essenzialmente un fatto concreto, una realtà viva, in quanto si identificò con la crescente affermazione del suo potere di città, di repubblica e di impero. L‟organizzazione politica fu quindi ben strutturata in modo da poter rispondere alle esigenze di una città che divenne col tempo la dominatrice di tutto il mondo conosciuto. Il Senato Il Senato, secondo la tradizione, fu istituito da Romolo con cento membri anziani (senes) scelti tra le famiglie più illustri della tribù Ramnenses, per affiancarlo nell‟amministrazione dello Stato. Con l‟ingresso poi dei Tities e dei Luceres, il numero dei membri fu triplicato, arrivando dunque a trecento. Il Senato esprimeva il proprio parere (senatusconsultum) ogni volta che il re lo richiedeva, dopo averlo convocato, su qualche importante e grave questione di politica interna o estera; ratificava, inoltre, o respingeva eventuali proposte presentate dall‟assemblea popolare. In epoca repubblicana il Senato divenne l‟organo politico supremo dello Stato. Il numero dei senatori, in età sillana, fu elevato a seicento, e verso la fine della repubblica, con Cesare, a novecento. Augusto, però, riportò il numero dei senatori a seicento. Verso la fine del II secolo a.C., furono ammessi in senato i rappresentanti di nuovi gruppi familiari in ascesa, anche di estrazione plebea, purché avessero ricoperto almeno una magistratura. I senatori patrizi erano detti “patres”, i nuovi iscritti “conscripti”, quindi tutti i membri del corpo senatoriale furono chiamati “patres conscripti”. Le sedute del Senato, che duravano dall‟alba al tramonto, erano presiedute da un senatore, chiamato “princeps senatus”, e si tenevano solitamente nella Curia Hostilia o in un tempio o in altro luogo, che però non doveva distare più di un miglio da Roma. I poteri del Senato erano vastissimi e spaziavano dalla politica interna a quella estera. CARMINE DI GIUSEPPE, Carpe linguam © Medusa Editrice 2016 - Espansioni on line - - In politica interna: esprimeva il suo parere su questioni sollevate da magistrati; ratificava le deliberazioni delle assemblee e confermava la nomina dei magistrati eletti; approvava le decisioni in materia di culto; controllava l‟amministrazione dei beni e delle finanze dello Stato; amministrava i rifornimenti alimentari alla popolazione e assegnava ai cittadini i lotti di terreno confiscati ai popoli vinti; in caso di grave pericolo per lo Stato, concedeva poteri straordinari ai consoli, nominandoli dittatori. In politica estera invece: - riceveva e inviava ambascerie; - nominava i questori provinciali; - ratificava l‟organizzazione di nuovi territori conquistati; - decideva della pace e della guerra, condizionando le scelte dei comizi in fatto di dichiarazioni di guerra. I senatori erano eletti a vita e la provenienza dalle diverse magistrature dava luogo a una gerarchia all‟interno del senato stesso: i più importanti erano i consulares (ex dittatori, ex consoli, ex censori), seguiti dai praetorii (ex pretori), dagli aedilicii curules (ex edili di origine patrizia), dagli aedilicii plebei (ex edili di origine plebea), tribunicii (ex tribuni della plebe), quaestorii (ex questori). I senatori indossavano come segno distintivo l‟anello d’oro e il laticlavio (latus clavus), una larga striscia di porpora applicata alla tunica, e il calceus senatorius, uno stivaletto fermato da quattro stringhe (corrigiae) e ornato sul collo del piede da una fibbia d‟avorio (lunula). Godevano di alto prestigio e in teatro avevano posti riservati. Il prestigio e l‟autorità del Senato vennero meno in epoca imperiale, poiché gli imperatori preferirono avere accanto un gruppo fidato di consiglieri, il consilium principis, mentre il Senato fu privato sempre più di ogni potere e si trovò spesso in lotta con lo stesso imperatore. I Comizi I comizi erano assemblee popolari costituite da cittadini con diritto di voto. Erano convocate e presiedute da un magistrato e in esse si svolgeva il dibattito politico e si prendevano importanti decisioni relative a questioni di politica interna ed estera. La tradizione ricorda tre assemblee: i comizi curiati, i comizi centuriati, i comizi tributi. La funzione legislativa CARMINE DI GIUSEPPE, Carpe linguam © Medusa Editrice 2016 - Espansioni on line dei comizi non prevedeva una discussione o eventuali proposte di modifica delle leggi presentate, bensì l‟assemblea poteva solo approvare o respingere in toto la legge stessa. A partire dal 287 a.C., con la lex Hortensia, fu conferito alle deliberazioni dei concilia plebis (dette plebis scita, plebisciti) valore di legge vincolante anche il patriziato. Quando furono istituiti a Roma i tribunali permanenti, la funzione giudiziaria dei comizi si ridusse progressivamente. I comizi curiati erano i più antichi e risalivano al periodo regio. Il nome deriva dall‟originario raggruppamento della popolazione in 30 curie, dieci per ciascuna delle tre tribù gentilizie, i Ramnes, i Tities, i Luceres. Sede delle assemblee era il comitium, uno spazio di forma quadrangolare nel Foro alle pendici del Campidoglio. Erano convocati da un console o da un pretore o dal dittatore; se assistevano ad atti religiosi, erano presieduti dal Pontifex Maximus. Ai comizi curiati spettava il compito di attribuire l‟imperium ai magistrati cui spettava tale prerogativa. Col tempo la maggior parte dei loro poteri passò ai comizi centuriati. I comizi centuriati, attribuiti dalla tradizione a Servio Tullio, risalgono in realtà ai primi decenni della Repubblica in seguito alle lotte tra patrizi e plebei per la parità tra i diritti civili e politici. Il popolo fu quindi diviso in cinque classi in base al censo di ogni cittadino. Ogni classe era organizzata in gruppi chiamati centurie, ciascuno dei quali doveva fornire all‟esercito un contingente (centuria, 100 uomini) di fanti e cavalieri armati a proprie spese. Su un totale di 193 centurie (18 di cavalieri e 175 di fanti), la prima classe, costituita dai patrizi e dai plebei più ricchi, disponeva di 98 centurie, il che consentiva sempre la maggioranza assoluta in caso di voto (ogni centuria esprimeva un solo voto) e il controllo dell‟amministrazione dello Stato. I comizi centuriati potevano essere convocati da un console, da un pretore o dal dittatore e si svolgevano nel Campo Marzio. Avevano il compito di eleggere i censori, i consoli e i pretori; approvavano inoltre proposte di legge, ratificavano trattati e dichiarazioni di guerra, infliggevano la pena capitale. Fungevano anche come una sorta di “corte d‟appello”, allorché un cittadino romano, avvalendosi della provocatio ad populum, ricorreva ad essi contro una sentenza capitale (di esilio o di fustigazione) inflitta da un magistrato. I comizi tributi si formarono nel corso del IV secolo a.C, in seguito a una nuova suddivisione della popolazione in tribù. L‟iscrizione a una tribù avveniva sulla base del distretto in cui si aveva il domicilio, cosicché ciascuna tribù era costituita da patrizi e plebei, ricchi e poveri. Le tribù in tutto erano 35: 4 CARMINE DI GIUSEPPE, Carpe linguam © Medusa Editrice 2016 - Espansioni on line urbane e 31 rurali, che comprendevano i cittadini residenti nelle campagne e nei villaggi. I comizi tributi erano convocati e presieduti da un console o dal pretore urbano (talvolta un edile curule) ed eleggevano i magistrati minori (edili curuli e questori, mentre i tribuni della plebe e gli edili plebei erano eletti dai concilia plebis, assemblee della plebe). I comizi tributi potevano votare proposte di legge, e in ambito giudiziario, emettevano sentenze in cause che comportavano pene in denaro. Il cursus honorum L‟accesso alle varie magistrature (termine con cui i Romani indicavano le cariche politiche, non quelle giudiziarie) avveniva gradualmente. Secondo un ordine prestabilito, detto cursus honorum: prima nell‟ordine la questura, poi la pretura, il consolato, la censura. L‟edilità e il tribunato della plebe erano tappe non obbligatorie del cursus honorum e comunque si collocavano dopo la questura. L‟edilità era molto ambita per la popolarità che si poteva acquistare, dal momento ch erano gli edili a organizzare i giochi pubblici. Gli equites o cavalieri (cioè gli appartenenti all‟ordo equester, il ceto dei ricchi uomini d‟affari non facenti parte dell‟antica nobiltà) potevano accedere al cursus honorum solo dopo aver prestato servizio militare per almeno dieci anni. La censura I censori furono istituiti intorno al 443 a.C. con il compito (prima assolto dai consoli) di censire i cittadini in vista dell‟imposizione dei carichi tributari e del reclutamento dell‟esercito. Scelti tra gli ex consoli, erano eletti in numero di due dai comizi centuriati ogni cinque anni in occasione del censimento, ma restavano in carica solo diciotto mesi. Fino al 351 a.C. solo i patrizi potevano accedere alla censura, ma soltanto nel 131 a.C. entrambi i censori furono plebei. Una legge del 256 a.C. stabiliva che si poteva ricoprire la censura una sola volta nella vita. I censori erano magistrati privi di imperium, ma avevano diritto alla toga praetexta (toga con una banda di porpora al fondo) e alla sella curulis (particolare tipo di sgabello d‟avorio) ed erano inviolabili per tutta la durata dl loro mandato. I compiti principali dei censori erano: il censimento di cittadini, al quale erano legate la revisione delle liste dei senatori e l‟ispezione dei cavalieri; il controllo della condotta morale dei cittadini; l‟amministrazione dei beni dello Stato (in particolare la concessione in affitto dell‟ager publicus); l‟organizzazione degli appalti per la realizzazione e la cura CARMINE DI GIUSEPPE, Carpe linguam © Medusa Editrice 2016 - Espansioni on line delle opere pubbliche, come vie, acquedotti, ecc.; la possibilità di decidere alcune spese pubbliche, purché non superiori a una certa cifra messa a disposizione dal Senato. Il controllo sulla morale dei cittadini consentiva ai censori di bollare con la «nota di ignominia» quanti fossero venuti meno in modo grave alle norme e al decoro civile. Per questo i censori erano temuti: potevano, infatti, comminare pene nei confronti dei trasgressori, rimuovere dalla carica i magistrati incapaci, espellere dal Senato i membri indegni. A partire da Silla, la censura perse a poco a poco tutto il suo prestigio, fino a scomparire completamente al tempo dell‟imperatore Domiziano. Le magistrature maggiori Il consolato Il consolato, istituito dopo la cacciata di Tarquinio il Superbo, ultimo re di Roma (509 a.C.), rappresentava la più alta carica della Repubblica ed era ricoperta da due consoli, eletti annualmente dai comizi centuriati. I consoli eletti, detti consules designati, non assumevano subito la carica, ma alcuni mesi dopo l‟elezione (dal 153 a.C., regolarmente il primo gennaio). L‟età per accedere al consolato era di 42 anni compiuti. All‟inizio esso era riservato ai patrizi, ma presto i plebei rivendicarono il diritto di ricoprire la carica, finché nel 367 a.C., con le leggi Liciniae Sextiae, si ottenne che uno dei consoli fosse plebeo; soltanto nel 172 a.C. entrambi i consoli furono plebei. Simboli del potere dei consoli erano la toga praetexta, la sella curulis e dodici littori. Questi ultimi erano una scorta costituita da uomini salariati, spesso liberti, che precedevano i magistrati dotati di imperium portando fasci (rami di olmo o betulla legati con nastri rissi) simbolo dell‟imperium, e all‟esterno della città le scuri, simbolo del potere di vita e di morte (il dittatore aveva diritto a ventiquattro littori, il pretore e il magister equitum a sei). I consoli amministravano lo Stato e detenevano il potere militare (imperium) e civile (potestas): comandavano l‟esercito; convocavano il Senato; convocavano e presiedevano le assemblee popolari (comitia); presentavano proposte di legge; svolgevano le funzioni dei censori quando questi non erano in carica; avevano la facoltà di arrestare e di infliggere punizioni (con il solo limite della provocatio ad populum, cioè l‟appello ai comizi); potevano imporre tasse, usare il tesoro pubblico. Quando l‟amministrazione ordinaria della giustizia passò ai CARMINE DI GIUSEPPE, Carpe linguam © Medusa Editrice 2016 - Espansioni on line pretori, ai consoli restò la giurisdizione criminale nei giudizi privi di appello. Ogni decisione era presa collegialmente, ciascuno dei consoli aveva il diritto di veto, che gli consentiva di bloccare eventuali iniziative del collega. Di solito si alternavano nelle loro funzioni ogni mese e in tempo di guerra, a meno che ciascuno dei consoli non avesse un esercito a sua disposizione. A volte, invece, si ripartivano le diverse competenze, fatta eccezione per alcune (come le proposte di legge). In caso di grave pericolo per lo Stato, il Senato poteva ricorrere al senatusconsultum ultimum, conferendo ai consoli poteri eccezionali di tipo dittatoriale. In caso di morte di uno dei due, era subito eletto un nuovo collega, detto consul suffectus. I consoli erano detti “eponimi”, perché con i loro nomi, registrati nei Fasti consulares (elenchi tenuti ed aggiornati dal collegio dei pontefici), si designavano gli anni. Alla scadenza del mandato i consoli avevano diritto di governare per un anno una provincia, assegnata per sorteggio, col titolo di proconsules. Con la riforma costituzionale operata da Augusto, a partire dal 29 a.C., le principali cariche dello Stato divennero prerogativa dell‟imperatore. Il consolato perse gradualmente tutto il suo prestigio: la nomina dei consoli con Tiberio fu conferita dal Senato e con Domiziano direttamente dagli imperatori; i consoli restavano in carica prima per un semestre, poi per un quadrimestre e anche solo per un bimestre, in quanto la carica era divenuta puramente onorifica. La pretura Il praetor urbanus era dotato di imperium e aveva il compito di amministrare la giustizia a Roma; inoltre, sostituiva i consoli in caso di loro assenza dalla città. In origine la carica era accessibile solo ai patrizi, i plebei vi furono ammessi a partire dal 337 a.C. con l‟espansione dell‟impero e il contatto con i popoli stranieri; al praetor urbanus fu affiancato , nel 242 a.C., il praetor peregrinus; il primo si occupava di amministrazione della giustizia tra cittadini romani, il secondo delle controversie tra cittadini romani e stranieri o fra stranieri. Con la creazione delle province della Sicilia e della Sardegna, il numero dei pretori fu portato a quattro e due di essi furono inviati come governatori di quelle province, dove, in quanto magistrati cum imperio, ebbero anche il comando di un esercito. Il numero dei pretori fu portato poi a otto al tempo della dittatura di Silla, il quale affidò loro l‟incarico di presiedere le quaestiones perpetuae, tribunali CARMINE DI GIUSEPPE, Carpe linguam © Medusa Editrice 2016 - Espansioni on line permanenti con giurisdizione in materia criminale, composti da senatori o cavalieri; con Cesare il numero fu portato a sedici. I pretori erano eletti dai comizi centuriati con mandato annuale, alla scadenza del quale, in qualità di propraetores, potevano governare una provincia dell‟impero che era stata assegnata o dal Senato o per sorteggio. All‟inizio del suo mandato annuale, il praetor ubanus emanava un editto , detto edictum perpetuum, che conteneva i criteri secondo cui intendeva esercitare il suo mandato; la serie degli edicta perpetua costituisce di fatto la base del diritto romano. La dittatura La dittatura era una carica straordinaria, conferita a un ex console da un console in carica o dal Senato in caso di grave pericolo per lo Stato. Il mandato durava sei mesi e tale brevità aveva l‟intento preciso di evitare che la carica degenerasse gradualmente in monarchia. Il dittatore assumeva gli stessi poteri dei consoli, che per quei sei mesi deponevano il loro mandato. Le sue sentenze di morte erano inappellabili e le sue decisioni non richiedevano l‟approvazione né del Senato né delle assemblee popolari. Una volta eletto, il dittatore sceglieva, come suo assistente, il magister equitum, il comandante della cavalleria, che aveva le stesse prerogative del dittatore e una certa indipendenza, anche se era subordinato a questo. Il mandato del magister equitum scadeva insieme a quello del dittatore. Le magistrature minori La questura La questura, priva di imperium, risale all‟inizio della Repubblica, e i due magistrati erano eletti direttamente dai consoli con l‟incarico di occuparsi della sicurezza pubblica con compiti di giurisdizione in materia penale. In seguito furono eletti annualmente dai comizi tributi e col tempo poterono essere scelti anche tra i plebei; dal tempo di Silla, essi furono ammessi a far parte del Senato. Da due questori si passò a quattro fino a raggiungere il numero i venti al tempo di Silla; Cesare li portò a quaranta, ma Augusto li riportò nuovamente a venti. Ai due quaestores urbani, con compiti di polizia e di carattere amministrativo e finanziario, si rese necessario aggiungere numerosi quaestores provinciales, che seguivano i governatori CARMINE DI GIUSEPPE, Carpe linguam © Medusa Editrice 2016 - Espansioni on line nelle province con l‟incarico di riscuotere le tasse, dare la paga ai soldati, vendere il bottino o assumere anche funzioni di governo in qualità di propretori. I quaestores classici provvedevano alla flotta, al controllo delle coste e al commercio delle derrate alimentari che servivano ad approvvigionare Roma. I quaestores militares, infine, accompagnavano i consoli in guerra, provvedevano ai viveri per le truppe e al pagamento dei soldati. Nel periodo dell‟impero le loro funzioni furono ridotte all‟organizzazione dei giochi pubblici. L’edilità Eletti in numero di due come assistenti dei tribuni della plebe, gli edili inizialmente furono scelti tra i plebei (aedilia plebis). Nel 367 a.C., ai due edili plebei furono affiancati due aediles curules (cioè con diritto alla sella curulis) patrizi, eletti dai comizi tributi, con l‟incarico di gestire i compiti sempre più vasti e urgenti in una società con esigenze nuove di ordine pubblico. Agli edili fu affidato il compito di polizia urbana e di manutenzione di strade, acquedotti, fognature e bagni pubblici; inoltre sorvegliavano nei mercati i pesi e le misure. Avevano anche l‟incarico di occuparsi della cura dei templi, del vettovagliamento della città, del controllo delle costruzioni di opere pubbliche, dell‟organizzazione dei giochi e degli spettacoli pubblici. L„edilità non costituiva una tappa necessaria nel cursus honorum, tuttavia, in quanto connessa con l‟allestimento di spettacoli pubblici, era una magistratura molto ambita. L‟edile, infatti, in questo modo, si procurava fama e popolarità, di cui si sarebbe poi servito ai fini della carriera politica. Il tribunato della plebe Il tribunato della plebe è una tappa fondamentale nella lunga lotta tra patrizi e plebei. Questi ultimi, infatti, pur essendo cittadini romani e prestando servizio militare, non potevano accedere a nessun magistratura, non avevano diritto alla spartizione del bottino di guerra e dell‟ager publicus, non potevano commerciare o contrarre matrimonio con membri del patriziato. Nel 494 a.C., i plebei, stanchi per i continui soprusi, decisi a mettere in crisi ogni settore della vita pubblica, si ritirarono sul Monte Sacro, a circa 10 km a nord est di Roma. Il ritorno in città e alle loro mansioni si ebbe solo quando il Senato riconobbe le loro richieste formulate nelle leges sacratae, che contemplavano, oltre alla cancellazione dei debiti e alla liberazione dalla schiavitù per insolvenza, anche l‟istituzione di due magistrati plebei, che presero il nome di tribuni della plebe. CARMINE DI GIUSEPPE, Carpe linguam © Medusa Editrice 2016 - Espansioni on line A partire dal 457 a.C., i tribuni della plebe furono dieci e questo numero restò praticamente invariato nel tempo. Requisito fondamentale per diventare tribuno era l‟appartenenza alla plebe; se un patrizio aspirava a tale carica, doveva rinunciare al suo ordine di nascita. Le leges sacratae riconoscevano ai tribuni della plebe i seguenti diritti: - ius auxilii, diritto di proteggere la loro classe contro eventuali abusi di leggi o magistrati; - ius intercessionis, diritto di veto su iniziative e leggi che potessero ledere i diritti della plebe; - ius coercitionis, diritto di agire in sede penale nei confronti di chi avesse attentato alle leges sacratae. I tribuni della plebe erano sacrosancti, cioè inviolabili: quanti avessero tentato di impedire l‟esercizio delle loro funzioni o di trascinarli in giudizio per il loro atti pubblici sarebbero stati puniti con la morte. Eletti in un primo tempo dai comizi centuriati e, dopo il 470 a.C., dai comizi tributi con elezioni annuali, i tribuni della plebe convocavano e presiedevano le assemblee della plebe e i comizi tributi. Il tribunato della plebe garantiva l‟accesso al Senato; Augusto lo inserì nel cursus honorum allo stesso livello dell‟edilità.