11. ITER VII_Romanorum mores_L

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CARMINE DI GIUSEPPE, Carpe linguam
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ITER VII
Romanorum mores L’organizzazione politica a Roma
Nel brano introduttivo a questo Iter, Tito Livio ci presenta
l‟istituzione del Senato a Roma, che fu dettata dal bisogno di
dare un‟impronta politica ben definita alla città. La politica
nella Città eterna fu primariamente ed essenzialmente un
fatto concreto, una realtà viva, in quanto si identificò con
la crescente affermazione del suo potere di città, di repubblica e di impero. L‟organizzazione politica fu quindi ben
strutturata in modo da poter rispondere alle esigenze di una
città che divenne col tempo la dominatrice di tutto il mondo
conosciuto.
Il Senato
Il Senato, secondo la tradizione, fu istituito da Romolo con
cento membri anziani (senes) scelti tra le famiglie più illustri
della tribù Ramnenses, per affiancarlo nell‟amministrazione
dello Stato. Con l‟ingresso poi dei Tities e dei Luceres, il numero dei membri fu triplicato, arrivando dunque a trecento. Il
Senato esprimeva il proprio parere (senatusconsultum) ogni
volta che il re lo richiedeva, dopo averlo convocato, su qualche
importante e grave questione di politica interna o estera; ratificava, inoltre, o respingeva eventuali proposte presentate
dall‟assemblea popolare.
In epoca repubblicana il Senato divenne l‟organo politico
supremo dello Stato. Il numero dei senatori, in età sillana, fu
elevato a seicento, e verso la fine della repubblica, con Cesare, a novecento. Augusto, però, riportò il numero dei senatori
a seicento.
Verso la fine del II secolo a.C., furono ammessi in senato i
rappresentanti di nuovi gruppi familiari in ascesa, anche di
estrazione plebea, purché avessero ricoperto almeno una magistratura. I senatori patrizi erano detti “patres”, i nuovi iscritti
“conscripti”, quindi tutti i membri del corpo senatoriale furono
chiamati “patres conscripti”.
Le sedute del Senato, che duravano dall‟alba al tramonto,
erano presiedute da un senatore, chiamato “princeps senatus”,
e si tenevano solitamente nella Curia Hostilia o in un tempio o
in altro luogo, che però non doveva distare più di un miglio da
Roma.
I poteri del Senato erano vastissimi e spaziavano dalla
politica interna a quella estera.
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In politica interna:
esprimeva il suo parere su questioni sollevate da magistrati;
ratificava le deliberazioni delle assemblee e confermava la
nomina dei magistrati eletti;
approvava le decisioni in materia di culto;
controllava l‟amministrazione dei beni e delle finanze dello
Stato;
amministrava i rifornimenti alimentari alla popolazione e
assegnava ai cittadini i lotti di terreno confiscati ai popoli
vinti;
in caso di grave pericolo per lo Stato, concedeva poteri
straordinari ai consoli, nominandoli dittatori.
In politica estera invece:
- riceveva e inviava ambascerie;
- nominava i questori provinciali;
- ratificava l‟organizzazione di nuovi territori conquistati;
- decideva della pace e della guerra, condizionando le scelte
dei comizi in fatto di dichiarazioni di guerra.
I senatori erano eletti a vita e la provenienza dalle diverse
magistrature dava luogo a una gerarchia all‟interno del senato
stesso: i più importanti erano i consulares (ex dittatori, ex
consoli, ex censori), seguiti dai praetorii (ex pretori), dagli aedilicii curules (ex edili di origine patrizia), dagli aedilicii plebei
(ex edili di origine plebea), tribunicii (ex tribuni della plebe),
quaestorii (ex questori).
I senatori indossavano come segno distintivo l‟anello d’oro
e il laticlavio (latus clavus), una larga striscia di porpora applicata alla tunica, e il calceus senatorius, uno stivaletto
fermato da quattro stringhe (corrigiae) e ornato sul collo del
piede da una fibbia d‟avorio (lunula). Godevano di alto prestigio e in teatro avevano posti riservati.
Il prestigio e l‟autorità del Senato vennero meno in epoca
imperiale, poiché gli imperatori preferirono avere accanto un
gruppo fidato di consiglieri, il consilium principis, mentre il
Senato fu privato sempre più di ogni potere e si trovò spesso
in lotta con lo stesso imperatore.
I Comizi
I comizi erano assemblee popolari costituite da cittadini con
diritto di voto. Erano convocate e presiedute da un magistrato
e in esse si svolgeva il dibattito politico e si prendevano importanti decisioni relative a questioni di politica interna ed
estera. La tradizione ricorda tre assemblee: i comizi curiati,
i comizi centuriati, i comizi tributi. La funzione legislativa
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dei comizi non prevedeva una discussione o eventuali proposte
di modifica delle leggi presentate, bensì l‟assemblea poteva
solo approvare o respingere in toto la legge stessa. A partire
dal 287 a.C., con la lex Hortensia, fu conferito alle deliberazioni dei concilia plebis (dette plebis scita, plebisciti) valore di
legge vincolante anche il patriziato. Quando furono istituiti a
Roma i tribunali permanenti, la funzione giudiziaria dei comizi
si ridusse progressivamente.
I comizi curiati erano i più antichi e risalivano al periodo
regio. Il nome deriva dall‟originario raggruppamento della popolazione in 30 curie, dieci per ciascuna delle tre tribù gentilizie, i Ramnes, i Tities, i Luceres. Sede delle assemblee era il
comitium, uno spazio di forma quadrangolare nel Foro alle
pendici del Campidoglio. Erano convocati da un console o da
un pretore o dal dittatore; se assistevano ad atti religiosi, erano presieduti dal Pontifex Maximus. Ai comizi curiati spettava il
compito di attribuire l‟imperium ai magistrati cui spettava tale
prerogativa. Col tempo la maggior parte dei loro poteri passò
ai comizi centuriati.
I comizi centuriati, attribuiti dalla tradizione a Servio Tullio,
risalgono in realtà ai primi decenni della Repubblica in seguito alle lotte tra patrizi e plebei per la parità tra i diritti civili e politici.
Il popolo fu quindi diviso in cinque classi in base al censo di
ogni cittadino. Ogni classe era organizzata in gruppi chiamati
centurie, ciascuno dei quali doveva fornire all‟esercito un contingente (centuria, 100 uomini) di fanti e cavalieri armati a proprie spese. Su un totale di 193 centurie (18 di cavalieri e 175 di
fanti), la prima classe, costituita dai patrizi e dai plebei più ricchi,
disponeva di 98 centurie, il che consentiva sempre la maggioranza assoluta in caso di voto (ogni centuria esprimeva un solo
voto) e il controllo dell‟amministrazione dello Stato.
I comizi centuriati potevano essere convocati da un console,
da un pretore o dal dittatore e si svolgevano nel Campo Marzio. Avevano il compito di eleggere i censori, i consoli e i pretori; approvavano inoltre proposte di legge, ratificavano trattati e dichiarazioni di guerra, infliggevano la pena capitale. Fungevano anche come una sorta di “corte d‟appello”, allorché un
cittadino romano, avvalendosi della provocatio ad populum, ricorreva ad essi contro una sentenza capitale (di esilio o di fustigazione) inflitta da un magistrato.
I comizi tributi si formarono nel corso del IV secolo a.C, in
seguito a una nuova suddivisione della popolazione in tribù.
L‟iscrizione a una tribù avveniva sulla base del distretto in cui
si aveva il domicilio, cosicché ciascuna tribù era costituita da
patrizi e plebei, ricchi e poveri. Le tribù in tutto erano 35: 4
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urbane e 31 rurali, che comprendevano i cittadini residenti
nelle campagne e nei villaggi. I comizi tributi erano convocati e
presieduti da un console o dal pretore urbano (talvolta un edile
curule) ed eleggevano i magistrati minori (edili curuli e questori, mentre i tribuni della plebe e gli edili plebei erano eletti dai
concilia plebis, assemblee della plebe). I comizi tributi potevano votare proposte di legge, e in ambito giudiziario, emettevano sentenze in cause che comportavano pene in denaro.
Il cursus honorum
L‟accesso alle varie magistrature (termine con cui i Romani indicavano le cariche politiche, non quelle giudiziarie) avveniva
gradualmente. Secondo un ordine prestabilito, detto cursus
honorum: prima nell‟ordine la questura, poi la pretura, il
consolato, la censura. L‟edilità e il tribunato della plebe
erano tappe non obbligatorie del cursus honorum e comunque
si collocavano dopo la questura. L‟edilità era molto ambita per
la popolarità che si poteva acquistare, dal momento ch erano
gli edili a organizzare i giochi pubblici.
Gli equites o cavalieri (cioè gli appartenenti all‟ordo equester, il ceto dei ricchi uomini d‟affari non facenti parte
dell‟antica nobiltà) potevano accedere al cursus honorum solo
dopo aver prestato servizio militare per almeno dieci anni.
La censura
I censori furono istituiti intorno al 443 a.C. con il compito
(prima assolto dai consoli) di censire i cittadini in vista
dell‟imposizione dei carichi tributari e del reclutamento
dell‟esercito. Scelti tra gli ex consoli, erano eletti in numero di
due dai comizi centuriati ogni cinque anni in occasione del
censimento, ma restavano in carica solo diciotto mesi.
Fino al 351 a.C. solo i patrizi potevano accedere alla censura, ma soltanto nel 131 a.C. entrambi i censori furono plebei.
Una legge del 256 a.C. stabiliva che si poteva ricoprire la censura una sola volta nella vita.
I censori erano magistrati privi di imperium, ma avevano
diritto alla toga praetexta (toga con una banda di porpora al
fondo) e alla sella curulis (particolare tipo di sgabello
d‟avorio) ed erano inviolabili per tutta la durata dl loro mandato. I compiti principali dei censori erano: il censimento di cittadini, al quale erano legate la revisione delle liste dei senatori
e l‟ispezione dei cavalieri; il controllo della condotta morale
dei cittadini; l‟amministrazione dei beni dello Stato (in
particolare la concessione in affitto dell‟ager publicus);
l‟organizzazione degli appalti per la realizzazione e la cura
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delle opere pubbliche, come vie, acquedotti, ecc.; la possibilità
di decidere alcune spese pubbliche, purché non superiori a
una certa cifra messa a disposizione dal Senato.
Il controllo sulla morale dei cittadini consentiva ai censori di
bollare con la «nota di ignominia» quanti fossero venuti meno
in modo grave alle norme e al decoro civile. Per questo i censori erano temuti: potevano, infatti, comminare pene nei confronti dei trasgressori, rimuovere dalla carica i magistrati incapaci, espellere dal Senato i membri indegni.
A partire da Silla, la censura perse a poco a poco tutto il suo
prestigio, fino a scomparire completamente al tempo dell‟imperatore Domiziano.
Le magistrature maggiori
Il consolato
Il consolato, istituito dopo la cacciata di Tarquinio il Superbo,
ultimo re di Roma (509 a.C.), rappresentava la più alta carica
della Repubblica ed era ricoperta da due consoli, eletti annualmente dai comizi centuriati.
I consoli eletti, detti consules designati, non assumevano
subito la carica, ma alcuni mesi dopo l‟elezione (dal 153 a.C.,
regolarmente il primo gennaio). L‟età per accedere al consolato era di 42 anni compiuti. All‟inizio esso era riservato ai patrizi, ma presto i plebei rivendicarono il diritto di ricoprire la carica, finché nel 367 a.C., con le leggi Liciniae Sextiae, si ottenne
che uno dei consoli fosse plebeo; soltanto nel 172 a.C. entrambi i consoli furono plebei.
Simboli del potere dei consoli erano la toga praetexta, la
sella curulis e dodici littori. Questi ultimi erano una scorta
costituita da uomini salariati, spesso liberti, che precedevano i
magistrati dotati di imperium portando fasci (rami di olmo o
betulla legati con nastri rissi) simbolo dell‟imperium, e
all‟esterno della città le scuri, simbolo del potere di vita e di
morte (il dittatore aveva diritto a ventiquattro littori, il pretore
e il magister equitum a sei).
I consoli amministravano lo Stato e detenevano il potere militare (imperium) e civile (potestas): comandavano l‟esercito;
convocavano il Senato; convocavano e presiedevano le assemblee popolari (comitia); presentavano proposte di legge;
svolgevano le funzioni dei censori quando questi non erano in
carica; avevano la facoltà di arrestare e di infliggere punizioni
(con il solo limite della provocatio ad populum, cioè l‟appello ai
comizi); potevano imporre tasse, usare il tesoro pubblico.
Quando l‟amministrazione ordinaria della giustizia passò ai
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pretori, ai consoli restò la giurisdizione criminale nei giudizi
privi di appello.
Ogni decisione era presa collegialmente, ciascuno dei consoli
aveva il diritto di veto, che gli consentiva di bloccare eventuali
iniziative del collega. Di solito si alternavano nelle loro funzioni
ogni mese e in tempo di guerra, a meno che ciascuno dei consoli non avesse un esercito a sua disposizione. A volte, invece,
si ripartivano le diverse competenze, fatta eccezione per alcune (come le proposte di legge).
In caso di grave pericolo per lo Stato, il Senato poteva ricorrere al senatusconsultum ultimum, conferendo ai consoli poteri
eccezionali di tipo dittatoriale. In caso di morte di uno dei due,
era subito eletto un nuovo collega, detto consul suffectus. I
consoli erano detti “eponimi”, perché con i loro nomi, registrati nei Fasti consulares (elenchi tenuti ed aggiornati dal collegio dei pontefici), si designavano gli anni. Alla scadenza del
mandato i consoli avevano diritto di governare per un anno
una provincia, assegnata per sorteggio, col titolo di proconsules.
Con la riforma costituzionale operata da Augusto, a partire
dal 29 a.C., le principali cariche dello Stato divennero prerogativa dell‟imperatore. Il consolato perse gradualmente tutto il
suo prestigio: la nomina dei consoli con Tiberio fu conferita dal
Senato e con Domiziano direttamente dagli imperatori; i consoli restavano in carica prima per un semestre, poi per un
quadrimestre e anche solo per un bimestre, in quanto la carica
era divenuta puramente onorifica.
La pretura
Il praetor urbanus era dotato di imperium e aveva il compito
di amministrare la giustizia a Roma; inoltre, sostituiva i consoli
in caso di loro assenza dalla città.
In origine la carica era accessibile solo ai patrizi, i plebei vi
furono ammessi a partire dal 337 a.C. con l‟espansione
dell‟impero e il contatto con i popoli stranieri; al praetor urbanus fu affiancato , nel 242 a.C., il praetor peregrinus; il primo si occupava di amministrazione della giustizia tra cittadini
romani, il secondo delle controversie tra cittadini romani e
stranieri o fra stranieri. Con la creazione delle province della
Sicilia e della Sardegna, il numero dei pretori fu portato a
quattro e due di essi furono inviati come governatori di quelle
province, dove, in quanto magistrati cum imperio, ebbero anche il comando di un esercito. Il numero dei pretori fu portato
poi a otto al tempo della dittatura di Silla, il quale affidò loro
l‟incarico di presiedere le quaestiones perpetuae, tribunali
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permanenti con giurisdizione in materia criminale, composti da
senatori o cavalieri; con Cesare il numero fu portato a sedici.
I pretori erano eletti dai comizi centuriati con mandato annuale, alla scadenza del quale, in qualità di propraetores, potevano governare una provincia dell‟impero che era stata assegnata o dal Senato o per sorteggio.
All‟inizio del suo mandato annuale, il praetor ubanus emanava un editto , detto edictum perpetuum, che conteneva i criteri secondo cui intendeva esercitare il suo mandato; la serie
degli edicta perpetua costituisce di fatto la base del diritto romano.
La dittatura
La dittatura era una carica straordinaria, conferita a un ex
console da un console in carica o dal Senato in caso di grave
pericolo per lo Stato.
Il mandato durava sei mesi e tale brevità aveva l‟intento
preciso di evitare che la carica degenerasse gradualmente in
monarchia. Il dittatore assumeva gli stessi poteri dei consoli,
che per quei sei mesi deponevano il loro mandato. Le sue sentenze di morte erano inappellabili e le sue decisioni non richiedevano l‟approvazione né del Senato né delle assemblee popolari.
Una volta eletto, il dittatore sceglieva, come suo assistente,
il magister equitum, il comandante della cavalleria, che aveva le stesse prerogative del dittatore e una certa indipendenza, anche se era subordinato a questo. Il mandato del magister equitum scadeva insieme a quello del dittatore.
Le magistrature minori
La questura
La questura, priva di imperium, risale all‟inizio della Repubblica, e i due magistrati erano eletti direttamente dai consoli con
l‟incarico di occuparsi della sicurezza pubblica con compiti di
giurisdizione in materia penale.
In seguito furono eletti annualmente dai comizi tributi e
col tempo poterono essere scelti anche tra i plebei; dal tempo
di Silla, essi furono ammessi a far parte del Senato.
Da due questori si passò a quattro fino a raggiungere il
numero i venti al tempo di Silla; Cesare li portò a quaranta,
ma Augusto li riportò nuovamente a venti.
Ai due quaestores urbani, con compiti di polizia e di carattere amministrativo e finanziario, si rese necessario aggiungere
numerosi quaestores provinciales, che seguivano i governatori
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nelle province con l‟incarico di riscuotere le tasse, dare la paga
ai soldati, vendere il bottino o assumere anche funzioni di governo in qualità di propretori. I quaestores classici provvedevano alla flotta, al controllo delle coste e al commercio delle
derrate alimentari che servivano ad approvvigionare Roma. I
quaestores militares, infine, accompagnavano i consoli in guerra, provvedevano ai viveri per le truppe e al pagamento dei
soldati. Nel periodo dell‟impero le loro funzioni furono ridotte
all‟organizzazione dei giochi pubblici.
L’edilità
Eletti in numero di due come assistenti dei tribuni della plebe,
gli edili inizialmente furono scelti tra i plebei (aedilia plebis).
Nel 367 a.C., ai due edili plebei furono affiancati due aediles
curules (cioè con diritto alla sella curulis) patrizi, eletti dai
comizi tributi, con l‟incarico di gestire i compiti sempre più vasti e urgenti in una società con esigenze nuove di ordine pubblico.
Agli edili fu affidato il compito di polizia urbana e di manutenzione di strade, acquedotti, fognature e bagni pubblici; inoltre sorvegliavano nei mercati i pesi e le misure. Avevano anche l‟incarico di occuparsi della cura dei templi, del vettovagliamento della città, del controllo delle costruzioni di opere
pubbliche, dell‟organizzazione dei giochi e degli spettacoli pubblici. L„edilità non costituiva una tappa necessaria nel cursus
honorum, tuttavia, in quanto connessa con l‟allestimento di
spettacoli pubblici, era una magistratura molto ambita. L‟edile,
infatti, in questo modo, si procurava fama e popolarità, di cui
si sarebbe poi servito ai fini della carriera politica.
Il tribunato della plebe
Il tribunato della plebe è una tappa fondamentale nella lunga lotta tra patrizi e plebei. Questi ultimi, infatti, pur essendo
cittadini romani e prestando servizio militare, non potevano
accedere a nessun magistratura, non avevano diritto alla spartizione del bottino di guerra e dell‟ager publicus, non potevano
commerciare o contrarre matrimonio con membri del patriziato. Nel 494 a.C., i plebei, stanchi per i continui soprusi, decisi
a mettere in crisi ogni settore della vita pubblica, si ritirarono
sul Monte Sacro, a circa 10 km a nord est di Roma. Il ritorno
in città e alle loro mansioni si ebbe solo quando il Senato riconobbe le loro richieste formulate nelle leges sacratae, che
contemplavano, oltre alla cancellazione dei debiti e alla liberazione dalla schiavitù per insolvenza, anche l‟istituzione di due
magistrati plebei, che presero il nome di tribuni della plebe.
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A partire dal 457 a.C., i tribuni della plebe furono dieci e questo numero restò praticamente invariato nel tempo. Requisito
fondamentale per diventare tribuno era l‟appartenenza alla
plebe; se un patrizio aspirava a tale carica, doveva rinunciare
al suo ordine di nascita.
Le leges sacratae riconoscevano ai tribuni della plebe i seguenti diritti:
- ius auxilii, diritto di proteggere la loro classe contro
eventuali abusi di leggi o magistrati;
- ius intercessionis, diritto di veto su iniziative e leggi che
potessero ledere i diritti della plebe;
- ius coercitionis, diritto di agire in sede penale nei confronti
di chi avesse attentato alle leges sacratae.
I tribuni della plebe erano sacrosancti, cioè inviolabili:
quanti avessero tentato di impedire l‟esercizio delle loro funzioni o di trascinarli in giudizio per il loro atti pubblici sarebbero stati puniti con la morte. Eletti in un primo tempo dai comizi
centuriati e, dopo il 470 a.C., dai comizi tributi con elezioni
annuali, i tribuni della plebe convocavano e presiedevano le
assemblee della plebe e i comizi tributi. Il tribunato della plebe
garantiva l‟accesso al Senato; Augusto lo inserì nel cursus honorum allo stesso livello dell‟edilità.
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