Domanda e offerta di lavoro
1. Assumere (e licenziare) lavoratori
Anche la decisione di assumere o licenziare lavoratori dipende dai costi che si devono sostenere e dai
ricavi che si possono ottenere. In particolare, continueremo a ipotizzare che chi compie questa scelta,
cioè una “impresa”, spinga il livello della stessa (cioè della domanda di lavoro) sino al punto in cui il
suo costo marginale è uguale al suo beneficio, o ricavo, marginale.
Il discorso più tradizionale che l’economia sa fare al proposito non è per nulla complesso, perché si
considera una situazione semplificata in cui l’impresa può scegliere liberamente quanto lavoro assumere
ogni volta che debba decidere la quantità da produrre. Tuttavia, la scelta di assumere un lavoratore può
dare luogo a conseguenze incerte, per esempio perché l’impresa non conosce perfettamente le capacità
del lavoratore. Infatti, non tutti i lavoratori offrono lo stesso tipo di lavoro, per cui può darsi che il
salario orario influenzi non solo i costi ma anche i ricavi dell’impresa.
Il modello standard
Supponiamo che Rossi debba gestire un’impresa senza potere di mercato. Ogni giorno egli deve
decidere quanto produrre, considerando i prezzi che deve pagare per i fattori della produzione e il prezzo
al quale può vendere il suo prodotto. Ogni giorno, quindi, Rossi segue questa strana routine. La mattina,
dopo aver letto sul sito web dell’Associazione Industriali tutti i prezzi, si reca all’agenzia del lavoro e a
quella che affitta le macchine, dove ottiene i lavoratori e le macchine che gli servono per fare la
produzione. Durante il giorno produce e la sera vende la produzione, licenzia i lavoratori e restituisce le
macchine. Cosa succede se aumenta il prezzo che Rossi deve pagare per il lavoro, cioè il salario orario?
I costi che Rossi deve sostenere dipendono dai prezzi dei fattori, oltre che dalla tecnologia. Dati i prezzi
dei fattori, per ogni quantità che vuole produrre Rossi sceglierà la combinazione di macchine e lavoro
che gli consente di produrre al costo più basso. Come si può intuire, se aumenta il salario orario Rossi
potrebbe decidere di modificare il mix dei fattori utilizzati a favore del fattore che ora costa
relativamente meno, cioè le macchine. Dunque potremmo attenderci che un aumento del salario induca
Rossi a usare meno lavoro.
Non sempre, però, Rossi può scegliere quante macchine usare: per lui le macchine possono essere un
cosiddetto “fattore fisso”, e anche se il salario aumenta egli non può variarne la quantità. L’unico fattore
variabile è allora il lavoro. Per semplificare ulteriormente le cose, qui assumeremo che per produrre
Rossi usi solo lavoro.
Cosa succede in questo caso se aumenta il salario? Il criterio di scelta è spingere il livello di attività sino
al punto in cui il costo marginale dell’attività è pari al beneficio marginale; nel caso di un’impresa il
beneficio marginale equivale al ricavo marginale. Concentriamoci dunque nell’attività di “usare lavoro”
per la produzione, indicando con N la quantità di lavoro che si intende utilizzare1.
Innanzitutto, il costo marginale di una unità aggiuntiva di lavoro è dato dal salario unitario (per
esempio, salario per ora di lavoro) che occorre pagare per assumere lavoro: ogni ora di lavoro deve
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A lezione avevo spiegato anche una versione del presente racconto basata su un modo alternativo, ma equivalente di vedere le cose,
dove l’attività svolta è “produrre quantità di un certo bene”. Supponiamo che per ottenere una unità aggiuntiva di prodotto occorra
una certa quantità aggiuntiva di lavoro, che chiamiamo ∆N. Allora, se si vuole vendere una unità in più di prodotto si ottiene un
ricavo aggiuntivo, o ricavo marginale, esattamente pari al prezzo P del prodotto. Supponendo concorrenza perfetta, o assenza di
potere di mercato dell’impresa, il prezzo di vendita rimane costante, e dunque tale è anche il ricavo marginale RMa. Il costo
aggiuntivo da sopportare per produrre una unità in più, ovvero il costo marginale CMa, è invece dato dalla moltiplicazione fra la
quantità aggiuntiva di lavoro necessaria per produrre una unità in più, ∆N, e il prezzo unitario del lavoro, ovvero il salario W: quindi
il costo marginale di una unità aggiuntiva di prodotto è ∆N⋅W. Si ipotizza di solito che produrre unità aggiuntive sia via via sempre
più difficoltoso, cioè ∆N deve aumentare per ogni nuova unità di prodotto: dunque, anche se il salario W è costante, il costo
marginale ∆N⋅W deve aumentare, cioè è rappresentato da una curva crescente (dove in ascissa sta la quantità prodotta Q).
Per passare da questa versione a quella rappresentata nel testo, basta osservare che la quantità di prodotto aggiuntivo, ∆Q, che si può
ottenere con una unità addizionale di lavoro è semplicemente il reciproco di ∆N: infatti, se per produrre una unità aggiuntiva di
prodotto occorrono 3 unità in più di lavoro (∆N = 3), allora se si usa una unità aggiuntiva di lavoro il prodotto aggiuntivo che si può
ottenere è 1/3 (∆Q = 1/3). Questa quantità aggiuntiva di prodotto, che si ottiene usando una unità in più di lavoro, si chiama prodotto
marginale del lavoro, e si indica con PMaN. Si noti infine che se ∆N è crescente al crescere di Q e N, allora ∆Q è decrescente.
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essere pagata una certa somma, che indichiamo con W. Supponiamo che l’impresa sia ‘piccola’ sul
mercato del lavoro (concorrenza perfetta), e che dunque il salario unitario rimanga invariato per
qualsiasi quantità di lavoro che l’impresa voglia domandare. Ne segue che il costo marginale del lavoro
è costante per l’impresa.
Qual è invece il beneficio (o ricavo) marginale dell’uso di lavoro? Esso consiste nel fatto che usando
un’unità aggiuntiva di lavoro si ottiene una certa quantità aggiuntiva di prodotto, che chiamiamo ∆Q,
che poi viene venduta per ottenerne un ricavo. Supponiamo che l’impresa operi in concorrenza perfetta
anche sul mercato del prodotto, cioè che il prezzo del suo prodotto rimanga costante al variare della
quantità venduta dello stesso; dunque il ricavo derivante dall’uso di una unità aggiuntiva di lavoro si
può calcolare moltiplicando la quantità aggiuntiva di prodotto così ottenuto per il prezzo del prodotto.
La quantità di prodotto ottenuta da una unità aggiuntiva di lavoro si chiama “prodotto marginale del
lavoro”, in simboli PMaN; indichiamo con P il prezzo di vendita del prodotto: possiamo dunque dire che
il ricavo aggiuntivo è P⋅PMaN. Questa grandezza viene chiamata “valore del prodotto marginale del
lavoro”, in simboli VPMaN. Ora, una delle ipotesi più frequenti in microeconomia è che il prodotto
marginale del lavoro sia decrescente al crescere della quantità di lavoro utilizzata: ogni successiva dose
di lavoro diviene sempre meno produttiva, in quanto applicare dosi di lavoro aggiuntive ad un impianto
fisso rende sempre meno. Dunque, benché il prezzo di vendita del prodotto rimanga costante quando si
usa più lavoro, il VPMaN diminuisce in seguito al fatto che PMaN diminuisce all’aumentare di N.
Consideriamo, allora, la Fig. 1.
Figura 1
L’impresa riduce la domanda di lavoro quando il salario aumenta
salario
W2
CMa2
W1
CMa1
VPMaN
0
B
A
N
Quando aumenta l’uso di lavoro, N, il suo costo marginale rimane costante: se per esempio il salario è
W1, il costo marginale del lavoro è CMa1. Invece, quando aumenta l’uso di lavoro il valore del suo
prodotto marginale, VPMAN, diminuisce, come abbiamo argomentato sopra. Per ottenere il profitto più
alto Rossi deve produrre la quantità in corrispondenza della quale il suo beneficio marginale, cioè il
valore del prodotto marginale, è uguale al suo costo marginale. Allora, quando il salario è W1, e dunque
il costo marginale è CMa1, l’impresa vuole utilizzare una quantità di lavoro pari a OB; se invece il
salario diventa quando il salario diventa W2, l’impresa vuole utilizzare una quantità di lavoro pari a OA.
In altri termini, quando aumenta il salario Rossi vuole utilizzar meno lavoro. La relazione appena
nominata, che è una relazione decrescente fra salario e uso di lavoro, è detta curva di domanda di
lavoro. Essa è decrescente come la curva D tracciata nella Fig. 2: se il salario aumenta da W1 a W2
l’impresa domanda meno lavoro, OA anziché OB.
Ciò sicuramente non rende felici coloro che perdono il posto di lavoro, ma in queste circostanze la
risposta di Rossi potrebbe essere: “i prezzi dei fattori non dipendono da me: non assumo altri lavoratori
perché i salari sono alti, ma darei lavoro a qualche disoccupato se fossero più bassi”.
Questo è quanto possiamo concludere quando supponiamo che si possa comprare il lavoro come si
acquista un bene di consumo, un hamburger appunto, andando al mercato ogni giorno e acquistandone
quanto ne serve.
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Figura 2
Una curva domanda di lavoro
Salario
W2
DN
W1
0
A
B
Lavoro
Si rammenti che la curva di domanda di lavoro, ricavata da quella del VPMaN, è definita per un dato
prezzo di vendita del prodotto dell’impresa. Cosa accadrebbe se il prezzo di vendita dovesse, per
esempio, aumentare? Si rammenti che il VPMaN è dato dalla moltiplicazione del prodotto marginale del
lavoro, PMaN, per il prezzo di vendita P: dunque se il prezzo di vendita aumenta, il VPMaN aumenta, a
parità di lavoro utilizzato e dunque di prodotto marginale fisico. Ne segue che se il prezzo aumenta
(diminuisce) la curva del VPMaN, ovvero la curva di domanda di lavoro, si sposta verso l’alto (basso).
Per ottenere di più può essere necessario pagare di più
Non tutti i lavoratori sono uguali: alcuni sono più preparati, oppure più motivati o anche più onesti degli
altri. Poiché i lavoratori sono diversi tra loro, non tutti sono disposti ad accettare il medesimo salario per
lavorare. Chi è consapevole di non avere buone capacità sarà più disposto ad accettare un salario basso,
ma chi è consapevole di avere buone capacità può decidere di attendere per qualche tempo un’occasione
migliore. È probabile, dunque, che quando un’impresa paga un salario alto possa avere una maggior
quota di dipendenti con prestazioni elevate. Questo è un argomento che più oltre chiameremo di
“informazione nascosta”.
Quando aumenta la quota dei lavoratori con capacità elevate, è probabile che aumenti la produttività o
efficienza del lavoro, cioè diminuisca la quantità di lavoro necessaria per ottenere un’unità aggiuntiva
di prodotto. Possiamo quindi modificare quanto abbiamo affermato nel paragrafo precedente, dove
avevamo sostenuto che la quantità di lavoro necessaria per ottenere un’unità aggiuntiva di prodotto
dipende solo dal numero dei lavoratori già impiegati, e aumenta quando cresce tale numero. In altri
termini, la produttività del lavoro aumenta solo se diminuisce il numero di lavoratori, cioè se diminuisce
la quantità prodotta. Ora possiamo invece supporre che l’efficienza del lavoro dipenda anche dal salario,
e in particolare che essa aumenti quando il salario aumenta, per via del maggior incentivo a lavorare per
i lavoratori con capacità elevate.
Riconsideriamo dunque il caso di un’impresa che sceglie quanto lavoro impiegare per ottenere il profitto
più alto. La condizione che deve essere rispettata per ottenere il massimo profitto è che il prezzo sia pari
al costo marginale, ma il costo marginale è il prodotto fra il salario unitario e la quantità di lavoro
aggiuntiva che serve per produrre una unità addizionale. Dato il prezzo, quando aumenta il salario quella
condizione può essere rispettata solo se diminuisce la quantità di lavoro necessaria per produrre un’unità
addizionale, cioè se aumenta la produttività del lavoro. Se la produttività del lavoro dipende solo dal
numero di lavoratori occupati, l’impresa otterrà questo risultato riducendo l’uso del lavoro: questo era il
senso delle precedenti Fig. 1 e 2.
Se un aumento del salario, invece, provoca un aumento dell’efficienza perché cresce la quota di
lavoratori con elevate prestazioni che l’impresa può assumere, i due effetti tendono a compensarsi, e il
costo marginale tende a variare di poco a parità della quantità prodotta. In termini della Fig. 1, la curva
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CMA2 si sposta solo di poco verso l’alto, e l’impresa deve ridurre di poco la sua produzione, e dunque
l’utilizzo di lavoro.
Consideriamo la Fig. 3. Quando la produttività del lavoro dipende solo dal numero dei lavoratori
occupati, la curva di domanda di lavoro è quella indicata con DN, che è uguale alla curva DN della
precedente Fig. 2. Quando l’efficienza del lavoro, invece, dipende anche dal salario, la curva di
domanda è quella indicata con DE. Se un aumento del salario provoca un aumento dell’efficienza, la
curva di domanda di lavoro è più verticale o, come si dice, più rigida: se il salario aumenta l’impresa
riduce l’uso del lavoro in misura meno consistente. Per esempio, se il salario aumenta da W1 a W2, la
quantità di lavoro domandata diminuisce di AD quando il salario non ha alcun effetto sulla produttività,
ma diminuisce solo di un ammontare pari a BC quando ha questo effetto. Se questo effetto, poi, fosse
davvero molto forte, potremmo osservare una curva di domanda DE verticale o quasi.
Figura 3
Due possibili curve di domanda di lavoro
Salario
DE
DN
W2
W1
0
A
B
C
D
Lavoro
Questa osservazione può spiegare perché in molti casi, specie laddove la qualità del lavoro è rilevante,
in seguito ad aumenti del salario le imprese non reagiscono come previsto dalla teoria semplice descritta
nel paragrafo precedente, e mantengono piuttosto stabile il numero di lavoratori assunti.
Si segnala, in chiusura, una ulteriore ipotesi implicita nel modello standard studiato all’inizio: si ipotizza
che, una volta assunti, i lavoratori si impegnino nel loro lavoro in modo del tutto consono con quanto
loro richiesto dal contratto. Nel modello iniziale, infatti, la produttività (il prodotto marginale) del
lavoro varia al variare della quantità di lavoro utilizzata (ovvero della quantità di prodotto ottenuto) per
ragioni dipendenti dalla tecnologia, non dall’impegno maggiore o minore dei lavoratori. In altri termini,
qualsiasi lavoratore, se impiegato p. es. come centesimo lavoratore, avrebbe la medesima produttività
marginale. Che il prodotto marginale del lavoro diminuisca all’aumentare dell’uso di lavoro dipende da
ragioni esterne, per esempio dal fatto che si sta usando un impianto dato e dunque ogni successiva dose
di lavoro rende sempre meno.
Nel modello studiato appena dopo, quello con lavoratori di diversa efficienza, si supponeva che la
diversa efficienza dei lavoratori fosse una loro caratteristica, per così dire, “intrinseca”: già prima di
essere assunti alcuni erano più efficienti di altri.
Non si deve confondere questo fenomeno con un altro: potrebbe darsi che, anche a parità di efficienza
“intrinseca”, una volta messi al posto di lavoro alcuni lavorino meglio di altri, a causa del modo in cui il
loro lavoro può essere controllato. Come vedremo più avanti, questo è un problema di “azione
nascosta”.
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2. L’offerta di lavoro
Come su tutti i mercati che si studiano in economia, se esiste una curva di domanda di lavoro esiste
anche una curva di offerta. Si noti che il linguaggio ordinario può creare una certa confusione: mentre
nel linguaggio ordinario si dice che un soggetto “cerca lavoro”, noi diremo che un lavoratore offre
lavoro. Infatti, nel mercato del lavoro chi domanda lavoro sono le imprese, mentre chi lo offre sono i
lavoratori.
Qui di seguito daremo una rappresentazione molto semplice dell’offerta di lavoro. Innanzitutto, offrire
lavoro è un’attività che costa sacrificio o pena: quindi occorre remunerare, con il salario W, chi decide
di offrire lavoro; si rammenta che W è il salario per unità di lavoro (per esempio un’ora), non la paga
complessiva.
In secondo luogo, è ragionevole supporre che ogni successiva ora di lavoro offerta (lavorata) da un
lavoratore costituisca una sacrificio sempre maggiore. Dunque, per indurre un lavoratore a offrire
ulteriori ore di lavoro occorre offrire un salario orario maggiore.
Come vedete, la valutazione che il lavoratore dà del lavoro da lui offerto può essere espressa in termini
di costo marginale, vale a dire il sacrificio aggiuntivo comportato da un’ora aggiuntiva di lavoro; e tale
costo marginale è crescente. Siccome il beneficio marginale del lavorare, per il lavoratore, è costituito
dalla paga ricevuta per ogni ora di lavoro, il salario W, la scelta ottima del lavoratore è il livello di
offerta di lavoro tale per cui il salario orario (beneficio marginale) è pari al costo (sacrificio) marginale.
Se il salario cresce anche l’offerta di lavoro N cresce, come espresso nella seguente figura
Figura 4
Una curva di offerta di lavoro
W
Offerta (costo marginale)
W1
N
N1
Se il salario è W1 il lavoratore offre N1 ore di lavoro; se il salario dovesse aumentare (diminuire)
l’offerta di lavoro aumenterebbe (diminuirebbe).
3. Il mercato del lavoro nella versione standard
Siccome tutti i lavoratori si comportano come appena descritto, allora anche l’offerta complessiva, o di
mercato, di lavoro aumenta all’aumentare del salario orario.
D’altra parte, siccome tutte le imprese si comportano come quella di Rossi analizzata nel primo
paragrafo, allora anche la domanda complessiva, o di mercato, di lavoro diminuisce all’aumentare del
salario.
Per studiare cosa succede sul mercato del lavoro, basta allora sovrapporre le curve di domanda e offerta
di mercato del lavoro, come nella seguente figura.
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Figura 5
Il mercato del lavoro
W
Offerta S
W1
W*
Domanda D
D1
S1
N*
N
Solo in corrispondenza del livello W* del salario la domanda è uguale all’offerta, e questa situazione si
chiama ovviamente equilibrio del mercato del lavoro. Per ogni altro livello del salario non vi sarebbe
equilibrio: per esempio, al livello W1 la domanda di lavoro sarebbe D1 e l’offerta sarebbe S1, e dunque
vi sarebbe un eccesso di offerta di lavoro (viceversa, per un salario inferiore a W* vi sarebbe un eccesso
di domanda).
Ora, un eccesso di offerta sul mercato del lavoro significa disoccupazione: non tutti coloro che
vorrebbero lavorare al salario dato riescono a trovare un posto di lavoro. Per esempio, in corrispondenza
del salario W1 la disoccupazione è misurata dal segmento D1S1. Viceversa, quando il mercato del lavoro
è in equilibrio si dice che c’è piena occupazione: ciò significa non che tutti i lavoratori lavorano, ma che
lavorano tutti quelli disposti a lavorare per il salario di W*.
Se una delle due (o entrambe le) curve rappresentate nel grafico cambia la propria posizione, le
condizioni di equilibrio (livello di occupazione e salario) si modificano. Come abbiamo già detto, la
curva di domanda si può spostare se si modifica il prezzo di vendita del prodotto delle imprese: se il
prezzo aumenta, allora la curva di domanda di lavoro si sposta verso l’alto, e dunque sia il numero di
occupati sia il salario di equilibrio aumentano. D’altra parte, supponiamo che questo sia il mercato del
lavoro dove operano le imprese di un settore molto specifico, per esempio le scarpe da basket. Se per
qualche ragione il prezzo del prodotto di un altro settore (es. le scarpe da tennis) aumenta, le imprese di
quell’altro settore domandano più lavoro, e il salario pagato in quel settore aumenta. Allora i lavoratori
nel settore delle scarpe da basket vorranno spostarsi verso le imprese dell’altro settore: ecco che la curva
di offerta di lavoro nel settore delle scarpe da basket si sposta verso sinistra (ovvero verso il basso).
Insomma, il modello standard prevede che in seguito alle oscillazioni di prezzo di un qualsiasi bene
(causate dai fenomeni più disparati, che sempre si verificano nella realtà) si dovrebbe assistere a
continui licenziamenti, assunzioni, variazioni di salario in tutti i settori dell’economia. Ma questo non
pare proprio accadere nel mondo reale. Anche per questa ragione il modello standard appare poco
appropriato a comprendere i fenomeni reali.
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