Elementi
di
Geometria
Lezione 01
Capitolo 1 - Entità geometriche elementari
La geometria piana, pur trovando applicazione pratica in tanti problemi reali della vita
di ogni giorno, è una materia astratta che si riferisce ad oggetti logici che non possono
esistere nella realtà: oggetti a due dimensioni, cioè oggetti forniti di larghezza e profondità ma assolutamente privi di altezza. È difficile pensare a oggetti di questo tipo, anche
se un fantasioso scrittore del secolo scorso è riuscito a descrivere in un gustoso racconto
un mondo in cui vivono esseri a due dimensioni1.
La geometria però, come la matematica, è una disciplina basata su una logica ferrea. Essa si basa su alcune assunzioni considerate vere anche se non sono dimostrabili, dette
“postulati”, e su affermazioni, dette “teoremi”, la cui veridicità è dimostrata sulla base
dei postulati.
Il punto e la retta
L’elemento di base più semplice della geometria è il “punto” (∙) che è un’entità geometrica priva di dimensioni. Un punto cioè non si può misurare perché non ha né larghezza, né profondità né altezza, eppure esiste (questo è un primo postulato).
Se consideriamo due punti distinti, cioè non coincidenti, esiste una sola posizione da cui
traguardando uno si traguarda anche l’altro (Figura 1), cioè i due punti sembrano sovrapposti. Se in questa stessa direzione poniamo infiniti punti continua ad esistere una
sola posizione, la stessa di prima, in cui traguardando tutti questi punti si ha
l’impressione di vederne uno solo. Naturalmente da una posizione diversa i punti si vedono distintamente. Una serie di punti allineati in questo modo formano quella che si
chiama una “retta”.
La retta dunque è un insieme di infiniti punti allineati ed è essa stessa infinita. Una retta
si presenta come una riga, di cui evidentemente possiamo disegnare solo una parte, ma
dobbiamo pensare che essa si estende all’infinito sia in un verso che nell’altro 2.
Da quanto detto finora risulta evidente che per due punti3, A e B, passa una sola retta,
mentre per un punto, A, possono passare infinite rette (Figura 2). L’insieme di tutte le
rette di un piano che passano per un punto si chiama “fascio di rette”.
1
“Flatlandia” di Edwin A. Abbott (1882-1926), scrittore inglese
Una retta si indica normalmente con una lettera minuscola
3
Un punto si indica normalmente con una lettera maiuscola
2
1
Punto: entità geometrica senza dimensioni
Punti allineati.
La retta è un insieme di infiniti punti
allineati ed è essa stessa infinita
Minuscola
r
Figura 1 – Il punto e la retta
Per due punti passa una ed una sola retta
Maiuscola
B
A
Per un punto passano infinite rette
A
Figura 2 – Proprietà del punto e della retta 2
La semiretta e il segmento
Un punto A di una retta la divide in due parti, ciascuna delle quali prende il nome di
“semiretta” che ha origine nel punto A e si estende all’infinito dall’altra parte.
Una parte di retta compresa fra due punti, come il tratto AB nella (Figura 3), si chiama
segmento. I due punti A e B si chiamano gli estremi del segmento.
Il segmento ha quindi una dimensione finita che può essere misurata. Questo permette
anche di stabilire un confronto fra due segmenti e verificare se sono uguali o quale è
maggiore o minore dell’altro.
Per effettuare il confronto i due segmenti AB e A’B’ (Figura 4) si sovrappongono in
modo che un estremo del secondo sia sovrapposto sul primo, A’ su A, e si osserva la
posizione di B’. Se questo cade all’interno del primo segmento, AB è maggiore di A’B’
(AB > A’B’). Se cade proprio su B, i due segmenti sono uguali (AB = A’B’). Se cade
all’esterno del segmento, AB è minore di A’B’ (AB < A’B’).
Il piano
Un altro degli elementi di base della geometria è il piano di cui peraltro non esiste una
definizione precisa.
Il concetto di piano (Figura 5) si ricava pensando ad una superficie omogenea e continua come potrebbe essere la superficie tranquilla di un lago in assenza di vento, non limitata dalle sponde ma estesa all’infinito. La caratteristica principale di un piano infatti
è proprio la sua estensione senza limiti, così come estesa senza limiti è la retta.
La posizione di un piano però non è necessariamente orizzontale come la superficie di
un lago. Un piano infatti può essere verticale come la parete esterna di un edificio o inclinato come un tetto spiovente, ma in ogni caso le superfici devono considerarsi idealmente estese all’infinito.
Quando si disegna un piano ovviamente bisogna limitarsi a mostrarne solo una parte,
così come quando si disegna una retta, ma non bisogna mai dimenticare che la sua estensione va oltre i limiti indicati dal disegno.
Per indicare un piano in geometria si usa generalmente una lettera minuscola
dell’alfabeto greco (a, b, g ecc. che si leggono rispettivamente alfa, beta, gamma).
Notiamo adesso alcune correlazioni (Figura 6) che intercorrono fra i tre elementi di base
che abbiamo fin qui incontrato, il punto, la retta e il piano:
1. Se una retta ha due punti in comune con un piano ha anche tutti gli altri punti in
comune con esso, e cioè la retta giace sul piano. Quest’affermazione è un postulato perché è vera ma non è dimostrabile logicamente. È però facilmente intuibile che se si appoggiano due punti di una verga perfettamente diritta (la retta) su
un pavimento perfettamente livellato (il piano) tutta la verga poggia sul piano.
2. Per tre punti non allineati passa un piano ed uno solo. Anche questo è un postulato cioè non è dimostrabile logicamente ma è vero. Del resto è esperienza comune che un tavolino a tre gambe non traballa mai anche se le gambe hanno
lunghezze diverse. Infatti per i tre punti estremi inferiori delle gambe passa un
3
Un punto A di una retta la divide in due “semirette”
A
La parte di retta compresa fra due punti di essa
A e B si chiama “segmento”
A
B
Il segmento ha una dimensione finita che può
essere misurata. Due segmenti possono essere
confrontati
Figura 3 – Semirette e segmenti
A
A A’
B
B’
A’
B’
B
AB > A’B’
A A’
B B’
AB = A’B’
A A’
B
B’
AB < A’B’
Figura 4 – Confronto di segmenti 4
g
b
a
Figura 5 – Il piano Se una retta ha due punti in comune con un piano, giace sul piano
Per tre punti non allineati passa un piano solo
Per una retta e un punto esterno ad essa passa un piano solo
Per due rette incidenti passa un piano solo
Per una retta passano infiniti piani
Figura 6 – Punti rette e piani 5
solo piano che combacia e si adagia sul piano del pavimento senza altre possibili
alternative. Forse il tavolino non resta perfettamente diritto, ma non traballa. Se
invece il tavolino ha quattro gambe di lunghezza diversa i possibili piani di appoggio formati dalle estremità delle gambe sono quattro4 e il tavolino può facilmente passare da uno all’altro di questi piani sotto l’azione di una leggera spinta,
ossia è traballante.
3. Per una retta e un punto esterno ad essa passa un piano ed uno solo. Questo non
è più un postulato ma un teorema perché è dimostrabile in base ai postulati dei
punti precedenti. Infatti consideriamo due punti qualsiasi della retta ed il punto
dato. I primi due sono allineati perché appartengono alla stessa retta ma non sono allineati col terzo, altrimenti questo non sarebbe esterno alla retta. Si tratta
quindi di tre punti non allineati per i quali per il postulato precedente passa un
solo piano. Questo piano poi (per il postulato del punto 1.) contiene anche tutta
la retta perché contiene due punti di essa.
4. Per due rette incidenti (cioè che hanno un punto comune) passa un solo piano.
Anche questo è un teorema, cioè un’affermazione che può essere dimostrata. Infatti il punto comune, un punto preso su una delle due rette e un punto preso
sull’altra sono tre punti non allineati per cui passa un solo piano (postulato2.), su
cui giacciono le due rette perché ognuna di esse ha due punti che giacciono sul
piano (postulato 1.).
5. Per una retta passano infiniti piani. Infatti i punti della retta sono tutti allineati e
quindi non ne esistono tre non allineati che sono necessari per definire un unico
piano.
Angoli
Due rette che si trovano sullo stesso piano possono avere in comune un solo punto, nessun punto o tutti i punti (Figura 7). Non possono avere in comune più di un punto senza
averli in comune tutti perché per due punti passa una sola retta e quindi se due rette
hanno due punti in comune hanno in comune anche tutti gli altri.
Se due rette non hanno nessun punto in comune vuol dire che non si incontrano mai 5. In
4
Se numeriamo le gambe del tavolo con i numeri 1, 2, 3, 4, le terne di punti possibili sono quattro e cioè
123, 124, 134, 234.
5
Si suole dire anche che si incontrano all’infinito
6
tal caso le due rette si chiamano “parallele”.
Due rette che hanno un punto in comune si chiamano “incidenti” mentre due rette che
hanno tutti i punti in comune si chiamano “coincidenti”.
Consideriamo ora due delle semirette che escono dal punto comune di due rette incidenti (Figura 8).
Le due semirette dividono il piano in due parti ciascuna delle quali si chiama “angolo” e
più precisamente si chiama “angolo convesso” quella parte di piano che non contiene i
prolungamenti delle due semirette, “angolo concavo” quella che li contiene. Nella figura
le due semirette sono disegnate con tratto pieno, i loro prolungamenti con linee tratteggiate.
Si noti che l’angolo non è solo quella parte disegnata con l’archetto ma tutta la porzione
di piano compresa fra le due semirette, fino all’infinito.
Gli angoli, pur se sono una porzione illimitata di piano, hanno una caratteristica che può
essere misurata: l’ampiezza.
Consideriamo due semirette (r, s) che hanno un punto in comune (A) e, per chiarezza di
esposizione, partiamo dal considerare l’angolo convesso che esse formano (Figura 9).
Se teniamo ferma una delle due semirette, r, e facciamo ruotare l’altra, s, intorno al punto A per esempio in senso antiorario, man mano che la retta ruota l’angolo che esse
formano diventa sempre maggiore. Partiamo da una posizione iniziale in cui le due semirette siano sovrapposte: l’angolo fra le due semirette è zero; man mano che s ruota
l’angolo aumenta fino a quando, compiuto un intero giro, la semiretta s si sovrappone
nuovamente alla semiretta r. L’angolo che si forma in questa posizione è l’angolo massimo che può formarsi fra le due semirette e si chiama “angolo giro”. A quest’angolo,
per convenzione si assegna la misura di 360° (gradi).
Quando le due semirette si trovano l’una sul prolungamento dell’altro, cioè quando la
semiretta s ha compiuto mezzo giro, l’angolo è la metà dell’angolo giro, misura cioè
180° e si chiama “angolo piatto”.
Quando la semiretta s ha compiuto un quarto di giro, l’angolo misura 90° e si chiama
“angolo retto”. In questo caso le due semirette e le intere rette a cui appartengono si dicono “perpendicolari” fra loro.
Infine gli angoli compresi fra 0° e 90° si chiamano “acuti”, quelli compresi fra 90° e
180° si chiamano “ottusi” e quelli superiori a 180° sono gli angoli concavi che, come
già descritto in precedenza, sono quelli in cui sono contenuti i prolungamenti delle due
semirette.
Esistono vari modi per indicare un angolo a seconda degli elementi di cui si dispone.
Nella Figura 10 sono indicati quelli di uso più comune.
Se si dispone soltanto della definizione del vertice dell’angolo, indicato con la lettera O,
si può indicare l’angolo usando la lettera che individua il vertice sovrapponendovi un
accento circonflesso “Ô” .
Quest’indicazione non è molto precisa perché due rette che si incontrano in un punto
formano quattro angoli non uno solo e l’indicazione non permette di distinguere quale
di questi quattro angoli si intende indicare.
Se si dispone dell’indicazione delle semirette che formano l’angolo, indicate con le lettere r, s, l’angolo può essere indicato con le lettere che indicano le semirette fra cui si
interpone la lettera che indica il vertice con l’accento circonflesso “rÔs”. Anche in questo caso l’indicazione non è molto precisa perché non permette di distinguere fra
l’angolo concavo e l’angolo convesso formati dalle due semirette.
Se sulle semirette sono individuati due punti A e B l’angolo può essere indicato con le
7
Due rette
possono
avere in
comune
Un punto
Incidenti
Nessun
punto
Parallele
Tutti i punti
Coincidenti
Figura 7 – Rette giacenti su un piano Lato
Angolo
concavo
Angolo
convesso
Vertice
Lato
Figura 8 – L’angolo 8
s
s
A
s
A
r
Angolo nullo = 0
r
A
Angolo acuto 0 – 90
r
Angolo retto = 90
s
A
r
A
A
s
Angolo ottuso 90 – 180
s
r
r
Angolo piatto = 180
Angolo giro = 360
Figura 9 – Ampiezza e denominazione degli angoli A
ô
r
rôs
O
a
AôB
B
s
a
Figura 10 – Indicazioni di un angolo 9
lettere che individuano i due punti ed il vertice “AÔB”, ma non si elimina comunque
l’imprecisione precedente.
L’angolo può infine essere indicato con una lettera minuscola, di solito dell’alfabeto
greco, ad esempio “a” (alfa) inserita fra le due semirette e in questo caso l’indicazione
è sufficiente per individuare univocamente l’angolo.
Angoli consecutivi e adiacenti
Due angoli si chiamano “consecutivi” se hanno in comune il vertice e un lato e gli altri
due lati giacciono nei semipiani opposti rispetto al lato comune.
Nella Figura 11 i due angoli a e b (alfa e beta) hanno in comune il vertice O e il lato r,
mentre gli altri due lati, s, t, sono nei semipiani opposti rispetto al lato comune r.
Due angoli si chiamano “adiacenti” se sono consecutivi ed hanno i due lati non comuni
s,t, disposti l’uno sul prolungamento dell’altro, come indicato nella stessa figura.
Confronto di angoli
Per confrontare due angoli a e b il primo formato dalle semirette a,b con vertice O, il
secondo dalle semirette a1, b1 con vertice O1, (Figura 12) si sovrappone il vertice
dell’uno al vertice dell’altro e una semiretta dell’uno ad una semiretta dell’altro, per esempio si sovrappone O1 ad O e a1 ad a, e si fa cadere la semiretta b1 dalla stessa parte
in cui si trova la semiretta b. Si possono avere tre casi:
1. la semiretta b1 cade all’interno dell’angolo a. In questo caso l’angolo a è maggiore dell’angolo b (a>b)
2. la semiretta b1 cade proprio sulla semiretta b. In questo caso l’angolo a è uguale
all’angolo b (a=b)
3. la semiretta b1 cade all’esterno dell’angolo a. In questo caso l’angolo a è minore dell’angolo b (a<b).
Somma e differenza di angoli
La somma di due angoli a e b si effettua disponendo i due angoli uno adiacente
all’altro. La somma dei due angoli è uguale all’angolo formato dai due lati non sovrapposti.
Più precisamente (Figura 13) se si devono sommare gli angoli aÔb e a1Ô1b1 si dispone il
vertice O1 sul vertice O, il lato a1 sul lato b e si fa cadere il lato b1 dalla parte opposta
del lato a. I due angoli risultano così adiacenti e la somma è l’angolo g formato dai lati
esterni aÔb1 e si ha:
g = a+b
10
La differenza fra due angoli a e b, supposto che a b (il simbolo significa maggiore o uguale) si effettua sovrapponendo l’angolo minore all’angolo maggiore e, più
precisamente (Figura 14), se l’angolo a è formato dalle semirette a,b con vertice O e
l’angolo b è formato dalle semirette a1,b1 con vertice O1, si sovrappone il vertice O1 al
vertice O, il lato a1 al lato a e si fa cadere il lato b1 dalla parte del lato b. Poiché si è
supposto che a b, b cade all’interno dell’angolo a. La differenza fra i due angoli è
allora l’angolo g formato dalle semirette b,b1, e si ha quindi:
g = a-b
11
t
r
r
t
b
b
a
O
a
O
s
s
Angoli consecutivi
Angoli adiacenti
Figura 11 – Angoli consecutivi e adiacenti b
a
O
b1
b
a
O1
a1
b1
b
b1
b
b
b1
O
a
O
a
O
a
O1
a1
O1
a1
O1
a1
a>b
a=b
Figura 12 – Confronto di angoli 12
a<b
b
b1
a
b
a
O
a1
O1
b1
b a1
g
O
g a+b
g=a+b
a
O1
Figura 13 – Somma di angoli b
b1
a
a
O
O1
b
a>b
b
b1
g
O
a
O1
a1
g=a-b
Figura 14 – Differenza di angoli 13
a1