ANESTIT:ESIA-Italia Giugno (1/2) 2003

ESIA-Italia Giugno (1/2) 2003
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Numero in formato solo testo
ISSN 1080-3521
EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY
and
CRITICAL CARE MEDICINE - Italia Il giornale Italiano online di anestesia Vol 8 No 06 Giugno 2003
Pubblicato elettronicamente da
Vincenzo Lanza, MD
Servizio di Anestesia e Rianimazione
Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli
Palermo, Italy
E-mail: [email protected]
Keith J Ruskin, MD
Department of Anesthesiology Yale
University School of Medicine
333 Cedar Street, New Haven, CT 06520
USA
E-mail: [email protected]
Copyright (C) 1997 Educational Synopses in Anesthesiology and Critical Care Medicine.
All rights reserved. Questo rivista on-line può essere copiata e distribuita liberamente
curando che venga distribuita integralmente, e che siano riportati fedelmente tutti gli
autori ed il comitato editoriale. Informazioni sulla rivista sono riportate alla fine
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In questo numero:
ATTI CONGRESSUALI ONLINE XVII Congresso Nazionale della Società
Italiana di Terapia Intensiva S.I.T.I
dal corso "Tossicologia Clinica"
1 Gli Antagonisti degli Oppioidi
2 Gli Antagonisti delle Benzodiazepine
_______________________________________________________
ATTI CONGRESSUALI ONLINE
XVII Congresso Nazionale della Società Italiana di Terapia
Intensiva S.I.T.I.
La redazione di Esia-Italia dedica alcuni suoi numeri alla presentazione
online di una selezione degli atti del XVII Congresso Nazionale SITI
(Società Italiana di Terapia Intensiva), tenutosi nel Settembre 2003 a
Palermo.
Attraverso ESIA, i presidenti, il comitato organizzatore e il comitato
scientifico del congresso SITI hanno deciso di offrire il materiale
scientifico congressuale per la libera consultazione online, certi di
incontrare il bisogno di formazione e di aggiornamento dei lettori:
anestesisti-rianimatori, infermieri, chirurghi e altri addetti ai lavori
dell'area critica. La selezione degli articoli spazia tra le diverse aree di
interesse, valorizzando le competenze mediche e infermieristiche delle
tematiche trattate, a sottolineare che solo una crescita culturale di tutto
il gruppo di lavoro può garantire i migliori risultati di cura sui pazienti
critici. Pertanto Esia-Italia, perseguendo le proprie finalità costitutive di
strumento elettronico di formazione scientifica e tecnica, si offre come
canale di pubblicazione dei lavori congressuali; in ogni caso la redazione
di Esia-Italia non si riterrà responsabile di errori o di omissioni
ravvisabili nei testi prodotti nè dell'eventuale impropria utilizzazione
delle tecniche descritte.
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Gli antagonisti degli Oppiodi
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GLI ANTAGONISTI DEGLI OPPIOIDI
Carlo Locatelli, Valeria Petrolini, Raffaella Butera, Cristiano Gandini, Luigi Manzo*
Servizio di Tossicologia, Centro Nazionale di Informazione Tossicologica e Centro Antiveleni
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di Pavia, I.R.C.C.S. Fondazione Salvatore Maugeri Clinica del Lavoro e della Riabilitazione,
Pavia, e *Dipartimento di Medicina Interna e Terapia Medica, Sezione Medicina Interna e
Tossicologia Clinica, Università di Pavia
INTRODUZIONE
Gli agonisti oppioidi (peptidi naturali o composti di sintesi con azione morfino-simile)
svolgono il ruolo di modulatori nella trasmissione dell’informazione tra gli elementi del
sistema nervoso. Essi vengono ampiamente utilizzati nella pratica anestesiologica e medica,
principalmente per le ben note proprietà analgesiche e sedative.
Gli agonisti oppioidi determinano i caratteristici effetti farmaco-tossicologici per (a)
interazione con specifici recettori, presenti nel sistema nervoso e in altri organi e apparati,
mimando l’azione di una serie di peptidi endogeni, e per (b) attivazione dei sistemi endogeni
di modulazione della percezione dolorifica. A fronte di un meccanismo d'azione comune,
esistono notevoli differenze fra i vari agonisti per ciò che riguarda la diffusione tessutale, la
potenza relativa, l'affinità per i vari tipi di recettori e la durata d'azione. L'uso di tali farmaci è
tuttavia gravato da importanti effetti collaterali quali la depressione respiratoria, la tolleranza
e la dipendenza fisica e psichica. Alcuni farmaci oppioidi e un derivato illegale della morfina
(eroina), inoltre, vengono utilizzati anche a scopo voluttuario: la patologia che ne può
conseguire è estremamente varia, ma l'aspetto di maggior interesse per le caratteristiche
d'urgenza è rappresentato dalla sindrome nota come overdose.
Gli antagonisti degli oppioidi utilizzati nella pratica clinica agiscono sugli stessi recettori degli
agonisti, principalmente impedendo o bloccando l’azione di questi ultimi (antagonismo
competitivo).
I recettori per gli oppioidi
L'esistenza di specifici siti recettoriali per gli oppioidi è stata proposta numerosi anni fa, ma la
loro identificazione e caratterizzazione biochimica e farmacologica è iniziata solo a partire
dagli anni '70. Si definisce recettore oppioide un recettore cui il naloxone si lega
stereospecificamente e con alta affinità [1]. Negli ultimi venti anni sono stati identificati
numerosi tipi e sottotipi di recettori per gli oppioidi (Tabella 1), diversamente rappresentati
nei vari tessuti e in grado di mediare effetti differenti. Nel sistema nervoso centrale (SNC)
sono presenti tre principali tipi di recettori per gli oppioidi (recettori m, d e k), di ognuno dei
quali sembrano esistere due sottopopolazioni [1]. In particolare, i recettori m si suddividono a
loro volta in due sottotipi, denominati m e m , che presentano una diversa affinità per gli
1
2
agonisti e mediano effetti diversi [2, 3, 4, 5]. Da un punto di vista evolutivo i recettori
m sono apparsi a uno stadio dello sviluppo più recente rispetto ai recettori m , d e k: la
1
2
loro densità varia anche filogeneticamente, essendone state riscontrate concentrazioni più
elevate nelle specie viventi più evolute.
Altre classi di recettori non sono ancora state chiaramente caratterizzate (es. recettori e) [6];
sulla base di evidenze sperimentali, invece, i recettori s non vengono più considerati recettori
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oppioidi a tutti gli effetti [7].
Allo stato attuale delle conoscenze, non è inoltre sufficientemente chiarito se le tre principali
classi di recettori (m, d e k) siano indipendenti e prive di reciproche interazioni, oppure se
esistano interazioni allosteriche tra differenti recettori.
In Tabella 1 sono riportate, in modo schematico e alla luce delle attuali conoscenze, le azioni
mediate dalle diverse classi di recettori oppioidi. L'analgesia indotta dagli oppioidi, ad
esempio, è mediata da complesse interazioni tra gli effetti modulati dai recettori m, d e k. A
livello sopraspinale i recettori m sembrano i più importanti nell'esplicare questa azione,
mentre i k sembrano più coinvolti a livello spinale; il ruolo dei recettori d è invece ancora
controverso [1]. La caratterizzazione delle funzioni e delle proprietà delle singole classi di
recettori oppioidi, tuttavia, è notevolmente complicata dal fatto che i differenti tipi di recettori
e sottopopolazioni recettoriali possono coesistere nello stesso tessuto e persino su una
stessa cellula, e dal fatto che sia i peptidi oppioidi endogeni sinora identificati che i composti
di sintesi non sembrano avere una specificità farmacologica assoluta per una precisa classe
di recettori. I farmaci oppioidi interagiscono con un numero variabile di tutti e tre i tipi di
recettore, su ognuno dei quali possono avere effetto agonista, agonista parziale o
antagonista (Tabella 2) [1].
Il profilo delle interazioni dei farmaci oppioidi con i recettori nell’uomo viene dedotto sia
dall’osservazione clinica che dall’estrapolazione delle proprietà farmacologiche rilevate negli
studi sperimentali. Attraverso studi di tipo radiorecettoriale è stato possibile caratterizzare la
capacità di legame di singole sostanze con una o più classi specifiche di recettori (Tabella 3)
[7, 8, 9, 10]. In particolare si è osservato che la morfina è dotata di una notevole affinità per i
recettori m mentre meno specifici, ma comunque dotati di affinità maggiore per i m, sono il
metadone e la meperidina. Le encefaline e le dinorfine, invece, si legano in maniera
prevalente rispettivamente ai recettori d e k [2, 11, 12, 13, 14]. Fra gli agonisti non peptidici,
l’etorfina è il prototipo di ligando generale dei recettori oppioidi dato che possiede un’alta
affinità per tutti e tre i tipi di recettori. Tra gli agonisti parziali, la buprenorfina è dotata di
affinità simile per i tre tipi di recettori, mentre nalorfina e pentazocina hanno maggiore affinità
per i recettori m rispetto ai k e ai d [8]. Tra gli antagonisti puri, il naloxone e il naltrexone
interagiscono con tutti e tre i tipi di recettore, ma hanno affinità circa 10 volte superiore per i
m rispetto ai k e ai d. Le differenti affinità degli agonisti e antagonisti per i vari tipi di recettori
possono spiegare la variabilità degli effetti farmacologici riscontrabili nella pratica clinica
utilizzando alte o basse dosi di uno stesso farmaco [1].
Lo sviluppo di altri antagonisti reversibili e selettivi per ogni singolo tipo di recettore, utili nella
pratica clinica, è oggi a uno stadio meno avanzato di quello degli agonisti e degli antagonisti
irreversibili (sostanze in grado di alchilare il sito di riconoscimento del recettore oppioide)
utilizzabili nella ricerca sperimentale.
Gli antagonisti degli oppioidi nella pratica clinica
Numerose sostanze esercitano effetto antagonista sui recettori oppioidi. Fra queste, sono
oggi utilizzate nella pratica clinica tre molecole che agiscono con meccanismo competitivo e
che determinano un effetto antagonista puro: il naloxone, il naltrexone e il nalmefene, non
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ancora in commercio in Italia. In normali condizioni questi farmaci hanno effetti scarsi o nulli
se non sono stati precedentemente somministrati degli agonisti [1]. Quando invece il sistema
degli oppioidi endogeni è abnormemente attivato, come nello shock o in alcune forme di
stress, la somministrazione di un antagonista oppioide può determinare la comparsa di effetti.
Questi farmaci trovano il loro massimo utilizzo nel trattamento dell'overdose da oppioidi, nel
trattamento della tossicodipendenza e, in campo anestesiologico e rianimatorio, per
l’antagonismo della sedazione e depressione respiratoria indotta da oppioidi. Le crescenti
evidenze e ipotesi sul ruolo dell’aumentato tono del sistema dei peptidi oppioidi endogeni in
numerosi stati patologici, inoltre, ha portato in tempi recenti alla sperimentazione di questi
farmaci in altre patologie.
Vengono trattati in questo capitolo gli antagonisti puri attualmente disponibili per uso clinico.
Non vengono trattati, invece, i farmaci ad azione mista agonista-antagonista (es. nalorfina,
pentazocina, buprenorfina), gli antagonisti non competitivi e gli antagonisti selettivi per singoli
recettori (es. cypridime, m-selettivo; naltrindolo, d-selettivo; nor-binaltorphimina, k-selettivo) o
per sottopopolazioni recettoriali (es. naloxonazina, m -selettivo) utilizzati nella ricerca di base
1
ma non utilizzabili in campo clinico in quanto irreversibili o con effetti non ancora noti
sull’uomo [1, 15, 16].
NALOXONE
Il naloxone, N-allil-derivato dell’ossimorfone, è un antagonista puro che, pur con affinità
diversa, si lega a tutti i recettori oppioidi (Tabella 2) [17]. Il suo peso molecolare è di 327,37
daltons, è solubile in acqua sotto forma di cloridrato ed è altamente liposolibile, con un
coefficiente di partizione ottanolo/acqua più elevato di quello della morfina [18].
Il naloxone viene commercializzato in Italia sotto forma di cloridrato in fiale da 0,4 mg in 1 mL
®
®
(Narcan , Crinos) e in fiale da 0,04 mg in 2 mL (Narcan Neonatal , Crinos). Esso può
essere diluito in soluzione glucosata al 5% o di cloruro di sodio allo 0,9% fino a
concentrazioni di 4 mg/L (diluizione 1:100); la soluzione è stabile per un range di pH
compreso tra 2,5 e 5. Tale preparazione può essere conservata per 24 ore se protetta dalla
luce [19, 20]. Nella preparazione delle soluzioni, il naloxone non deve essere miscelato con
soluzioni alcaline, bisolfito, metabisolfito, anioni ad elevato peso molecolare o a lunga catena
[20].
Farmacocinetica
Il naloxone, molto liposolubile, attraversa rapidamente la barriera ematoencefalica, e mostra
una farmacocinetica di tipo bicompartimentale. I parametri cinetici non differiscono nei
bambini e negli adulti, mentre si osservano differenze nei neonati, prevalentemente per
immaturità dei processi metabolici.
Il farmaco può essere somministrato sia per os che per via parenterale. Benché assorbito
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rapidamente attraverso il tratto gastroenterico, la biodisponibilità risulta scarsa a causa della
rapida e pressoché completa inattivazione metabolica al primo passaggio epatico [21]; ciò
determina la necessità di somministrare dosi molto più elevate per raggiungere gli stessi
effetti ottenibili per via parenterale con dosi molto più basse [22].
Il volume di distribuzione è di 2,9-3,5 L/Kg, pari a circa 200 litri negli adulti [21] e di 1,8-3,5 L/
Kg nei neonati e nei bambini prematuri [23, 24]. La percentuale di legame con le proteine
plasmatiche è del 54% circa [25].
La comparsa dell’effetto si ha a 2-3 minuti dalla somministrazione endovenosa [20] e dopo
circa 15 minuti dalla somministrazione per via intramuscolare o sottocutanea [26]. Per
somministrazione parenterale, la durata dell'effetto è in genere di circa 45 minuti, con un
massimo di 3-4 ore in alcuni casi [27, 28].
Negli adulti l'emivita di distribuzione è in media di 4,7 minuti [29], mentre quella di
eliminazione è di 30-100 minuti [21] con un valore medio di 65 minuti [29]. Nei neonati,
invece, l’immaturità dei sistemi metabolici di glucuronazione e N-dealchilazione è
responsabile di un prolungamento dell’emivita del farmaco fino a 2,5-3,5 ore [20, 23, 30]. Nei
prematuri è stata osservata un'emivita media di 70,5 minuti con una clearance sistemica di
39,13 mL/Kg/minuto [24]. Negli adulti la clearance sistemica è compresa tra 14 e 30 mL/Kg/
minuto [21, 29].
Il naloxone viene rapidamente metabolizzato a livello epatico, prevalentemente per Ndealchilazione e glucuronoconiugazione [21, 31, 32]. I metaboliti urinari principali sono il
naloxone-3-glucuronide, la N-allil-7,8-diidro-14-idrossinormorfina (naloxone ridotto), e il 7,8diidro-14-idrossinormorfinone (naloxone dealchilato) [31]. Il 65% di una dose somministrata
per via endovenosa viene escreta come metabolita coniugato con le urine in 48-72 ore [21,
31] e una dose di 1 g di naloxone per os viene quasi completamente metabolizzata nell'arco
di 24 ore [1].
Non sono noti dati su possibili modificazioni della farmacocinetica del naloxone
nell'insufficienza epatica. In caso di insufficienza renale non sono necessari aggiustamenti
dei dosaggi [33]. È invece possibile una comparsa ritardata dell'effetto in pazienti ipotesi o
con diminuita circolazione periferica, così come è possibile un ritardo di molte ore
nell’eliminazione del farmaco in pazienti in shock settico [34].
Impiego clinico del naloxone in medicina d'urgenza e in anestesia
Il farmaco è privo di attività intrinseca e quindi non causa effetti morfino-simili [35] o effetti
collaterali se somministrato in assenza di agonisti: esso non produce depressione
respiratoria anche per somministrazioni endovenose di 30 mg in soggetti sani [36, 37, 38]. Il
naloxone è efficace nell'antagonizzare non solo la depressione respiratoria [39], l'analgesia e
gli effetti euforici, ma anche la disforia, le allucinazioni e gli effetti delusionali caratteristici
degli oppioidi di sintesi [40, 41]. Esso rappresenta oggi il trattamento farmacologico di scelta
per tutte le overdose da oppioidi, specie se associate a depressione respiratoria, coma e/o
convulsioni (Tabella 4).
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Oltre che per via endovenosa, il naloxone può essere somministrato per altre vie, specie
quando si abbiano difficoltà nel reperire un accesso venoso adeguato [42, 43] come in caso
di shock [44]. La via intramuscolare può risultare efficace se non è presente ipoperfusione
[43]. Tuttavia, in caso di paziente ipoteso e di impossibilità di incannulare rapidamente una
vena centrale, l'iniezione sottolinguale risulta la via preferenziale e salvavita [43]. Nel caso di
somministrazione endotracheale si raggiungono livelli serici e una cinetica del farmaco
sovrapponibili a quelle ottenibili per via endovenosa [45]. La somministrazione per via
endonasale determina un assorbimento livemente più lento rispetto a quella endovenosa ma
più rapido di quella intramuscolare [46, 47]. La somministrazione endonasale e quella
sublinguale vengono utilizzate a scopo diagnostico, essendo in grado di scatenare una
sindrome di astinenza (Tabella 5) in soggetti tossicodipendenti [47, 48], ma possono risultare
utili anche in urgenza nel trattamento dell'overdose. Nella diagnosi di tossicodipendenza il
naloxone viene utilizzato sia per somministrazione intramuscolare [49, 50, 51] che per
instillazione congiuntivale: questa permette di distinguere il consumatore occasionale dal
tossicodipendente, in quanto provoca midriasi solo in questi ultimi [52].
La mancanza di effetti del naloxone lo rende un farmaco di grande utilità nella diagnosi ex
adjuvantibus di overdose pura o mista da oppiodi [53].
Intossicazione da oppioidi (overdose)
Benché il trattamento antidotico non sostituisca le manovre rianimatorie indicate nel singolo
caso e le manovre di decontaminazione del tratto gastroenterico nelle intossicazioni per
ingestione, il naloxone rappresenta oggi il trattamento farmacologico di scelta per la terapia
delle overdose da oppioidi. La somministrazione di dosi elevate (singole o ripetute) non
causa effetti tossici, dato che il farmaco è privo di attività intrinseca. Singole dosi di 24 mg in
volontari sani e in tossicodipendenti da eroina [38], oppure di 2,4-3 grammi/die per os nel
trattamento della dipendenza da oppioidi [22, 54], infatti, non hanno determinato la comparsa
di effetti tossici o avversi.
Indipendentemente dalla via di somministrazione, il naloxone deve essere somministrato in
dose sufficiente per ottenere una risposta clinica efficace che consiste nell'antagonismo
completo sia del coma che della depressione cardiorespiratoria. La dose efficace di naloxone
è funzione della quantità dell'oppioide coinvolto e della sua affinità recettoriale: nelle
intossicazioni da propossifene, pentazocina e farmaci correlati sono necessarie dosi più
elevate che non nelle overdose da morfina o eroina [35, 55].
Per il trattamento delle overdose da oppioidi è consigliabile utilizzare una dose bolo per via
endovenosa di 0,4-2 mg seguita, se necessario, da successive somministrazioni di 2 mg
ogni 2-3 minuti fino al miglioramento della funzionalità respiratoria oppure fino ad un
massimo di 10 mg; la mancata risposta clinica dopo tale dose totale rende dubbia la diagnosi
di overdose da oppioidi e dovrebbe far prendere in considerazione altre cause di malattia
[20].
La breve emivita del naloxone, tuttavia, è causa di possibili rebound dei sintomi di overdose
che si possono ripresentare in modo drammatico a distanza di 20-60 minuti dalla
somministrazione dell'antagonista [56]. La durata dell'effetto del farmaco per
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somministrazione endovenosa non è dose-dipendente [28]: per ottenere un prolungamento
dell'effetto nel tempo è possibile somministrare boli ripetuti a brevi intervalli di tempo,
associare la somministrazione intramuscolare a quella del bolo per via endovenosa, oppure
somministrare il naloxone per via endovenosa continua. Più precisamente:
• la contemporanea somministrazione per via endovenosa e intramuscolare [28] consente
di prolungare l'effetto del naloxone a circa 3 ore, e risulta particolarmente indicata per
prevenire ricadute nei pazienti che non possono essere mantenuti sotto controllo in ambienti
ad assistenza diretta e continua
• nei casi di intossicazione grave con ricomparsa di insufficienza cerebrale e/o respiratoria
dopo breve tempo dalla dose bolo efficace, occorre ripetere la somministrazione
dell'antagonista a boli ogni 20-60 minuti.
• la somministrazione per infusione endovenosa continua deve essere iniziata
immediatamente dopo il bolo, a una dose/ora pari a 2/3 della dose bolo risultata efficace.
Nella maggior parte dei casi sono necessarie dosi comprese fra 0,4 e 4 mg/ora [41]. Per
prevenire una diminuzione dei livelli ematici di naloxone può essere opportuno somministrare
una seconda dose bolo, pari a metà della prima, 15 minuti dopo l'inizio dell'infusione [57].
Questo trattamento può essere utilizzato in tutte le overdose, ma è particolarmente indicato
nelle intossicazioni da oppioidi a lunga emivita (es. metadone) e nei casi di assorbimento
prolungato (es. concrezioni di compresse nell'intestino, diminuzione della peristalsi, farmaci a
rilascio prolungato e pacchetti intestinali nei body-packers) [41, 58]. Durante la
somministrazione per via endovenosa continua si possono verificare effetti collaterali (es.
sindrome d'astinenza) o situazioni di ipodosaggio che richiedono stretta osservazione del
paziente e continui aggiustamenti dell'infusione (Figura 1). Dopo 10 ore di infusione, il
trattamento deve essere interrotto per la valutazione della funzionalità respiratoria, che va
effettuata un'ora dopo la sospensione del farmaco: nel caso di intossicazioni da farmaci a
rilascio ritardato è in genere necessario proseguire l'infusione anche oltre la decima ora [43].
Nelle overdose da oppioidi in età pediatrica, la dose di naloxone da somministrare per via
endovenosa o endotracheale è di 0,1 mg/Kg/dose nei neonati (anche prematuri) e nei
bambini fino a 5 anni di età o a 20 Kg di peso, oppure di 2 mg/dose nei bambini con più di 5
anni o di peso superiore a 20 Kg [59]. Le dosi possono essere ripetute al bisogno per
mantenere un adeguato effetto antagonista [60]. In caso di overdose da sostanze a lunga
emivita è consigliabile utilizzare la somministrazione endovenosa continua alla dose di 0,01
mg/Kg/ora [61, 62, 63].
Tutti i pazienti che sono stati trattati con naloxone per contrastare l’insufficienza cerebrale e/
o respiratoria, i casi di tentativo di suicidio da oppioidi e i bambini vittime di abuso devono
essere ricoverati in ambiente ospedaliero [43]. Il naloxone antagonizza gli effetti acuti
dell’overdose ma non ha effetti sulle patologie di accompagnamento che frequentemente
sono riscontrabili nel paziente tossicodipendente, né tanto meno sulle possibili patologie che
possono complicare l’episodio dell’overdose (es. rabdomiolisi, edema polmonare, polmoniti)
[64, 65, 66].
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Intossicazioni da oppioidi a lunga emivita o ad alta affinità recettoriale
Nelle overdose da oppioidi a lunga emivita o ad alta affinità recettoriale quali metadone [67,
68, 69, 70], propossifene [71, 72, 73], codeina [62], pentazocina [74], buprenorfina [65],
fentanyl e derivati [75], difenossilato [37, 76, 77], butorfanolo [65], destrometorfano [78]
(Tabella 6), così come nelle intossicazioni molto gravi (es. body-packers), possono essere
necessarie dosi di naloxone particolarmente elevate oppure l'infusione continua protratta nel
tempo. Come dose bolo si somministrano, sia nei bambini che negli adulti, 2 mg di naloxone
per via endovenosa seguiti, in caso di mancata risposta clinica, da ulteriori dosi di 2-4 mg
fino alla dose totale di 10-20 mg [43]. Se l’overdose è causata da un oppioide a lunga
emivita, la dose efficace deve essere risomministrata ogni 20-60 minuti [41] oppure seguita
dall’infusione continua per alcuni giorni [61, 79].
Il naloxone ad alte dosi (5-10 mg o più) per via endovenosa è in grado di antagonizzare la
depressione respiratoria indotta da buprenorfina, ma con una latenza maggiore che per gli
altri oppioidi (3 ore): ciò è probabilmente dovuto all'elevata affinità recettoriale della
buprenorfina [80].
Diagnostica differenziale delle cause di insufficienza cerebrale
L’assenza di attività intrinseca e di effetti collaterali per somministrazione in pazienti che non
abbiano assunto oppioidi, ad esclusione di una possibile miosi [81], rendono il farmaco
estremamente utile nella diagnosi differenziale delle cause di insufficienza cerebrale, così
come delle overdose miste da farmaci [38].
Per tale ragione alcuni protocolli prevedono la somministrazione routinaria di naloxone anche
nel soccorso preospedaliero ove sia presente una condizione di depressione dello stato di
coscienza, riportando un'efficacia del farmaco nel 7,4% dei pazienti trattati [82].
Sedazione e insufficienza respiratoria da oppioidi in anestesia e in analgesia
Studi controllati hanno dimostrato che il naloxone è in grado di diminuire gli effetti collaterali
indotti dalla morfina (es. prurito) [12, 83, 84, 85] così come di migliorare la performance
respiratoria [12], ma al tempo stesso il farmaco ne antagonizza anche l'effetto analgesico
[86].
Basandosi su studi animali, Hensel et al [2] hanno postulato che la depressione respiratoria
sia mediata dall'interazione degli oppioidi con i recettori m , per i quali hanno elevata affinità,
2
mentre l'analgesia deriverebbe dall’interazione con i recettori k, per i quali gli oppioidi hanno
minore affinità. A basse dosi, il naloxone è in grado di antagonizzare la depressione
respiratoria e non l'analgesia. Tuttavia, quando utilizzato nell’immediato post-operatorio per
ottenere un rapido risveglio e una soppressione della depressione respiratoria, il farmaco
può causare anche una non desiderata soppressione dell'effetto analgesico se utilizzato a
dosi troppo alte [87, 88]. Nella letteratura scientifica sono riportate differenti dosi e modalità
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di somministrazione con le quali è possibile ottenere il rapido risveglio e una buona
funzionalità respiratoria con persistenza dell'effetto analgesico. La dose iniziale di 0,1-0,2 mg
per via endovenosa può essere ripetuta a distanza di 2-3 minuti fino al raggiungimento di un
adeguato grado di ventilazione e stato di vigilanza; in alcuni casi possono essere necessarie
ulteriori somministrazioni a 1-2 ore di intervallo [20, 89]. La somministrazione troppo rapida
può causare nausea, vomito, sudorazione o tachicardia, mentre dosi più elevate possono
provocare scomparsa dell'effetto analgesico e aumento della pressione arteriosa. Poiché tali
effetti sono stati riscontrati anche per dosi di 0,1 mg [90], per ottenere un buon antagonismo
degli effetti depressivi degli oppioidi senza interrompere l'effetto analgesico sembra
preferibile utilizzare dosi ancora inferiori (1 g/Kg oppure 0,05 mg come dose totale) [91, 92].
Il naloxone risulta efficace anche nell'antagonizzare la depressione circolatoria e respiratoria
indotta da neuroleptoanalgesia con fentanyl (da solo o associato a droperidolo) [93, 94].
In letteratura vengono riportate sporadiche segnalazioni di singoli casi di gravi reazioni
avverse associate all'utilizzo di naloxone per antagonizzare gli effetti degli oppioidi nel postoperatorio: edema polmonare acuto [95, 96, 97, 98, 99, 100], fibrillazione ventricolare [90],
arresto cardiaco [101, 102], aumento della pressione arteriosa [103, 104, 105, 106],
ipertensione grave associata a tachicardia parossistica [107], a battiti ectopici
sopraventricolari [108] oppure a rottura di aneurisma cerebrale [91]. Questi effetti potrebbero
essere correlabili a un rilascio sistemico di catecolamine [103, 109, 110] e all’iperattività
simpatica risultante dalla brusca sospensione dell’analgesia e dal risveglio brutale indotti dal
naloxone [111, 112]. L’arresto cardiaco, la tachicardia e la fibrillazione ventricolare si sono
sviluppati in pazienti con malattie cardiache preesistenti e sottoposti a by-pass coronarico
[102] e non sono stati riscontrati in studi su animali [90]. I pazienti più predisposti a
sviluppare aumenti pressori risultano quelli con preesistente ipertensione e, tra questi, quelli
in terapia con beta2-stimolanti: un rischio molto aumentato è possibile per i pazienti in
trattamento con clonidina o metildopa [106].
Tali osservazioni sporadiche non supportano in modo inequivocabile un ruolo scatenante del
naloxone [41], e contrastano con le evidenze di studi su larga scala sulla somministrazione di
naloxone ad alte dosi in pazienti con shock ipovolemico [113] o settico [34, 114], lesioni
midollari [115], nonché in volontari sani e in pazienti ricoverati per overdose massiva (bodypackers) [41].
In uno studio randomizzato e controllato non sono state riscontrate differenze
endocrinologiche (aumenti di adrenalina, noradrenalina, ormone antidiuretico, ormone
adrenocorticotropo, cortisolo, glucosio e lattato) né emodinamiche (pressione arteriosa,
frequenza cardiaca, saturazione arteriosa di ossigeno) fra il gruppo trattato con naloxone e il
gruppo controllo dopo neuroleptoanestesia modificata [116]. Gli autori concludono che dopo
neuroleptoanalgesia piccole dosi di naloxone non alterano la risposta endocrina ed
emodinamica allo stress.
Il naloxone è il farmaco di scelta anche nel trattamento della depressione respiratoria da
oppioidi nei neonati alla dose di 0,01 mg/Kg, ripetibile ogni 2-3 minuti fino al raggiungimento
dell'effetto desiderato [20, 117, 118]. In alcuni casi, tuttavia, si sono rese necessarie dosi
superiori (da 0,03 a 0,065 mg/Kg) per riuscire a neutralizzare gli effetti degli oppioidi
somministrati alla madre durante il travaglio [23, 27, 119, 120, 121, 122, 123]. La
somministrazione può essere fatta per via endovenosa, sottocutanea, intramuscolare,
attraverso il tubo endotracheale o nella vena ombelicale, e, se non sono necessari grandi
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volumi di liquidi, è preferibile utilizzare la più concentrata preparazione per adulti,
opportunamente dosata, anziché la preparazione "neonatale" [60].
Shock
Il naloxone antagonizza l’effetto ipotensivo degli oppioidi endogeni, le endorfine [124], e
numerosi lavori preliminari hanno riportato rilevanti aumenti pressori dopo somministrazione
dell’antagonista in pazienti con shock settico o ipovolemico [120, 121, 124, 125, 126, 127,
128, 129, 130, 131, 132, 133, 134, 135, 136].
È stato ipotizzato che nello shock settico e cardiogeno l’ipotalamo stimoli il rilascio da parte
dell’ipofisi di pro-opiocortina [125, 127] con formazione di ACTH e b-endorfine. Tali sostanze
sarebbero coinvolte nel determinismo delle complicanze emodinamiche dello shock quali
ipotensione e vasodilatazione [114, 137] attraverso l’inibizione dell'azione delle
prostaglandine e delle catecolamine sulla circolazione. Studi su animali hanno inoltre
evidenziato come uno dei siti d’azione delle b-endorfine a livello del sistema nervoso nello
shock settico sia il recettore d [138, 139, 140]; non è tuttavia noto se nello shock settico le ßendorfine agiscano a livello centrale, periferico o a entrambi i livelli.
I corticosteroidi potrebbero avere un effetto a feedback negativo inibendo l'ulteriore rilascio di
pro-opiocortina.
Il naloxone, mediante legame con i recettori d a livello di sistema nervoso centrale,
miocardio, rene, piccolo intestino e fegato [141, 142], sarebbe in grado di antagonizzare
l'effetto delle b-endorfine ristabilendo l'effetto di controllo sulla circolazione delle
prostaglandine e catecolamine, e determinando quindi sia aumento della pressione arteriosa
che miglioramento della contrattilità miocardica [143].
Benché alcuni Autori abbiano segnalato l'inefficacia del naloxone nell’aumentare la
pressione arteriosa [114, 144, 145], numerosi studi clinici indicano una temporanea risposta
pressoria dopo somministrazione di naloxone nello shock settico e cardiogeno [120, 121,
124, 125, 126, 127, 128, 129, 130, 131, 133, 134, 135, 136, 146, 147, 148]. Nello shock
settico le dosi efficaci sono più elevate (superiori a 1,2 mg) di quelle che vengono di norma
utilizzate nell’overdose da oppioidi [136, 148], e la somministrazione più idonea sembra
quella in infusione continua, talvolta associata a metilprednisolone [149, 150, 151]. La
contemporanea somministrazione dei due farmaci, infatti, sembra potenziarne l'effetto [152],
che appare invece attenuato in caso di somministrazione di metilprednisolone o
desametasone 30 minuti prima del naloxone [153].
I risultati dei trials clinici condotti per valutare il possibile ruolo del naloxone nello shock
hanno fornito finora risultati non conclusivi [154, 155], principalmente a causa delle
numerose variabili confondenti che devono essere prese in considerazione (condizioni
cliniche preesistenti, terapie concomitanti quali i corticosteroidi, tempo intercorso prima
dell'inizio del trattamento, stadio della malattia, dose) [156] e della mancanza di criteri
univoci e omogenei di definizione dello shock settico.
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Aumenti della pressione arteriosa dopo somministrazione di naloxone sono stati segnalati
anche in caso di shock anafilattico [132]. In un caso di overdose da diidrocodeina con
reazione anafilattoide, inoltre, il naloxone è risultato efficace nel ridurre il flushing
vasomotorio, il prurito e l'edema facciale; tali effetti sono stati messi in correlazione con il
blocco della degranulazione delle mastcellule causata dall'oppioide circolante [157].
Indicazioni cliniche obsolete del naloxone
Overdose da diazepam
Prima dell'immissione in commercio del flumazenil, alcune osservazioni sull'uomo [158, 159,
160] e su animali [161, 162] avevano suggerito che il naloxone potesse essere efficace nel
trattamento della depressione respiratoria indotta da diazepam. Tali dati non sono stati
confermati da uno studio controllato in doppio cieco [163] e da osservazioni sporadiche
[164]. L'attuale disponibilità di un antidoto specifico per le benzodiazepine priva di razionale
tale indicazione terapeutica.
Intossicazione acuta da etanolo
Sulla base di diverse ipotesi [165, 166, 167], il naloxone ad alte dosi è stato in passato
utilizzato per il trattamento dell’insufficienza cerebrale nell’intossicazione etanolica acuta. I
dati clinici al riguardo sono contrastanti. La descrizione di casi sporadici [158, 165, 168, 169,
170], uno studio controllato [171] e la dimostrazione che una dose di almeno 1,2 mg di
naloxone è in grado di rendere reversibile il coma da intossicazione etilica se somministrata
entro 10 minuti dall’ingestione di alcool [172], sembrano indicarne l’efficacia in tale
intossicazione. Questi dati, tuttavia, non sono stati confermati o sono stati confutati in altri
lavori clinici [173, 174], in studi controllati su soggetti sani [175] e su pazienti con
intossicazione acuta [176, 177, 178], nonché nella sperimentazione su animali [179, 180].
Pertanto allo stato attuale delle conoscenze, pur se in presenza di dati controversi, si ritiene
che l’uso del naloxone non sia di utilità clinica nel coma da intossicazione etanolica [65].
Indicazioni cliniche non accertate o sperimentali del naloxone
Intossicazione da clonidina e da captopril
La clonidina viene utilizzata per il controllo dei sintomi da astinenza nei pazienti
tossicodipendenti in terapia con metadone [181, 182]. Non si conoscono al riguardo, tuttavia,
effetti del farmaco sulla liberazione di oppioidi endogeni o sull'interazione con i loro recettori.
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Per contro, il naloxone è in grado di antagonizzare, sia nel ratto che nell'uomo, gli effetti
antiipertensivi della clonidina [183, 184, 185] e l'intossicazione da clonidina è in parte
caratterizzata da sintomi osservabili anche nell'overdose da oppioidi (compromissione della
coscienza e coma, depressione respiratoria e apnea, ipotensione, ipotermia, miosi
puntiforme, ipotonia, assenza dei riflessi osteo-tendinei, blocco atrio-ventricolare,
convulsioni) [186, 187, 188, 189, 190, 191, 192, 193].
Questi dati hanno suggerito che un antagonista degli oppioidi come il naloxone potesse
essere efficace nel trattamento delle overdose da clonidina. A tale riguardo esistono
segnalazioni contrastanti: in alcuni casi (quattro pazienti adulti) il naloxone si è rivelato
efficace nel risolvere il quadro dell'overdose da clonidina [194, 195, 196], mentre in casi di
intossicazione da clonidina in età pediatrica (52 casi) è stato riportato l'utilizzo senza
successo del naloxone [197, 198].
In un solo caso il naloxone si è dimostrato efficace nel risolvere l'ipotensione correlata ad
un'overdose da captopril [199].
Demenza di Alzheimer
Il naloxone è stato utilizzato (a dosi comprese fra 1 e 10 mg per via endovenosa in singola
somministrazione) nel trattamento della demenza senile e della demenza su base
degenerativa associata a malattia di Alzheimer [200, 201, 202]. Ciò si basa sull’ipotesi,
verificata in studi su animali, che gli oppioidi endogeni giochino un ruolo
nell'immagazzinamento della memoria [203]. I risultati clinici riportati per somministrazione
endovenosa appaiono insufficienti per verificare l'efficacia degli antagonisti oppioidi in tali
patologie [204]. Effetti più sostanziali e duraturi di quelli ottenuti con il naloxone per unica
somministrazione endovenosa potrebbero, tuttavia, essere ottenibili utilizzando antagonisti
più potenti, somministrabili per os e per periodi di tempo prolungati (es. naltrexone).
Anoressia nervosa
In uno studio su pazienti affetti da anoressia nervosa, l'infusione endovenosa continua di
naloxone a dosi di 1-3,2 mg/12 ore per alcuni giorni ha determinato un aumento ponderale
significativamente maggiore rispetto al periodo precedente e a quello successivo
all'infusione; gli autori ipotizzano che ciò possa essere dovuto agli effetti antilipolitico e di
rallentamento del metabolismo del naloxone [205].
Obesità
Il sistema degli oppioidi endogeni sembra coinvolto nel controllo dell'assunzione del cibo sia
nell'animale che nell'uomo. Benché nel plasma dei soggetti studiati non risulti presente un
livello di endorfine abnormemente elevato [206], sia il naloxone che il naltrexone si sono
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dimostrati efficaci nel determinare la riduzione dell'apporto di cibo negli obesi [207, 208], e il
naloxone ha mostrato una durata dell'effetto più lunga della propria emivita. In altri studi il
naltrexone ha mostrato scarsa efficacia, più nelle donne che non negli uomini [209].
Deficit neurologici ischemici
Studi su animali hanno segnalato una diminuzione della mortalità per trattamento con
naloxone dopo ictus indotto sperimentalmente [210, 211].
Segnalazioni aneddotiche [212, 213] hanno riportato miglioramento dei deficit neurologici da
incidente ischemico dopo somministrazione di naloxone; studi controllati su campioni più
ampi riportano invece un'efficacia limitata [214] o del tutto assente in questo tipo di pazienti
[215, 216, 217, 218].
Altri studi suggeriscono che la somministrazione di naloxone possa essere utile per
discriminare fra pazienti con ischemia cerebrale reversibile o irreversibile, presentando i
primi un drammatico miglioramento [219].
Effetto del naloxone sulla risposta respiratoria nella broncopneumopatia cronica (BPCO)
Alcuni Autori hanno postulato che gli oppioidi endogeni giochino un ruolo nel diminuire la
risposta ventilatoria dei pazienti affetti da BPCO [220, 221] e che il naloxone possa
antagonizzare tali effetti.
Miglioramenti della performance respiratoria sono stati osservati dopo somministrazione di
naloxone o di naltrexone [220, 222]; tali effetti sono stati ottenuti con dosi elevate di naloxone
(2 mg/ora) per alcuni giorni, seguiti da somministrazione di naltrexone per os (50-200 mg/
die) [222]. I miglioramenti della funzionalità respiratoria sono stati osservati prevalentemente
in episodi acuti di riacutizzazione della pneumopatia cronica [223] o in casi di insufficienza
respiratoria acuta [224]. Per contro, altri studi non hanno riscontrato alcuna differenza dei
parametri respiratori in seguito a somministrazione di naloxone [225, 226, 227].
L'uso del naloxone nella BPCO rimane ancora controverso, ma l'interpretazione dei dati
risulta difficile per lo scarso numero di pazienti trattati: appare verosimile che esistano
sottogruppi di pazienti affetti da BPCO che possono trarre beneficio dal trattamento con
naloxone.
Stipsi
I pazienti sottoposti a terapia cronica con analgesici morfinici sviluppano spesso una stipsi
resistente ai lassativi [1, 228]. Tale effetto è mediato localmente dai recettori m e d del
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plesso mioenterico, anche se esistono evidenze sperimentali del coinvolgimento di cellule
neuronali ed endocrine, e di una modulazione a livello centrale [1, 229].
La somministrazione di naloxone per via endovenosa determina l'antagonismo sia della
costipazione [1, 230] che dell'analgesia [40, 54]. Migliori risultati sono ottenibili con la
somministrazione per os. È stato infatti dimostrato che il naloxone per os è in grado di
antagonizzare il rallentamento del transito oro-ciecale da loperamide (agonista oppioide
periferico) [231] e può provocare sintomi da astinenza a livello gastrointestinale nei
tossicodipendenti in terapia con metadone [232]. Nonostante la rilevante inattivazione
metabolica al primo passaggio epatico [32, 233, 234], la somministrazione di naloxone per
os a una dose corrispondente al 10% dell'oppioide agonista, ha dato buoni risultati nel
controllo della stipsi senza neutralizzare gli effetti analgesici [235, 236]. Il livello plasmatico
efficace in tale senso risulta pari a 3-6 ng/mL allo steady-state [237] e la somministrazione di
dosi ripetute [235, 238] risulta più efficace della somministrazione singola [239], data la breve
emivita del farmaco.
Il naloxone si è rivelato efficace anche nei casi di costipazione cronica idiopatica, sia per os
che per via endovenosa [229].
Prurito
L'attività degli agonisti oppioidi può contribuire alla genesi del prurito nella colestasi [240,
241] e il naloxone può risultare efficace nel controllo di tale sintomo [241], benché esistano al
riguardo dati contrastanti [242]. Il naloxone si è mostrato efficace anche nel controllo del
prurito presente in altre patologie [243] e di quello indotto da somministrazione epidurale di
morfina (con efficacia uguale a quella del propofol) [85, 244].
Comportamento autolesivo
Il razionale dell'uso degli antagonisti degli oppioidi endogeni (naloxone e naltrexone) si basa
sulle ipotesi di (a) un'insensibilità al dolore causata da una maggiore attività basale di
oppioidi endogeni, oppure di (b) un'aumentata produzione e rilascio di tali peptidi [245, 246].
I dati clinici sull'uso del naloxone o del naltrexone in tale patologia sono contrastanti [246,
247, 248, 249, 250, 251, 252, 253, 254, 255] e basati su singoli casi.
Disassuefazione dalla tossicodipendenza
La prevenzione dell'effetto euforizzante conseguente all'assunzione di eroina può ridurre i
rischi di dipendenza o contribuire ad attirare i soggetti verso un programma di riabilitazione
[256]. La somministrazione di naloxone per os abolisce gli effetti euforizzanti dell'eroina [22,
256] e, in combinazione con il trattamento metadonico [257] non precipita la sindrome
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d'astinenza. La somministrazione di 400 mg, 800-1200 mg, e di 1500 mg di naloxone per os
dopo assunzione di 25-50 mg di eroina determina assenza degli effetti dell'agonista
rispettivamente per più di 6, 18 e 24 ore [22].
Il naloxone è stato utilizzato anche per la rapida disassuefazione di pazienti
tossicodipendenti [41, 54, 258, 259, 260, 261, 262, 263]: la rapida precipitazione dei sintomi
di astinenza viene poi fatta seguire da una terapia di mantenimento con naltrexone [264].
Non è noto per quale meccanismo il methohexitone possa bloccare l'insorgenza acuta dei
sintomi di astinenza dopo somministrazione di naloxone [265].
Agli inizi degli anni ’90, la Food and Drug Administration (FDA) ha designato come "orphan
drug" l'uso della buprenorfina o della buprenorfina più naloxone per il trattamento della
dipendenza da oppioidi [266].
Discinesia tardiva
L'uso di naloxone ha migliorato, in alcuni casi, i sintomi da discinesia tardiva (forma
abitualmente provocata negli anziani dall'uso protratto di neurolettici) [267, 268]. Questo
effetto potrebbe essere correlato all'interazione tra l'attività dopaminergica cerebrale e il
sistema degli oppioidi endogeni.
Encefalopatia nell'insufficienza renale
È riportato un solo caso che documenta l'efficacia del naloxone (infusione endovenosa
continua) nel trattamento dell'encefalopatia insorta in una paziente diabetica e in trattamento
dialitico per insufficienza renale cronica [269].
Ipotermia
La somministrazione di naloxone ha ridotto la gravità dell'ipotermia da shock spinale,
probabilmente per azione sui recettori centrali per gli oppioidi [140].
Emicrania
L'efficacia della somministrazione cronica del naloxone nell'emicrania senza aura in pazienti
refrattari alle terapie convenzionali sembra correlabile a una ipersensibilizzazione ad opera
del naloxone dei recettori per gli oppioidi [270].
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Disforia ed effetti psicotomimetici da oppioidi
Gli effetti disforici e psicotomimetici dell'eroina, di alcuni benzomorfinani e specialmente della
pentazocina non sono antagonizzabili dal naloxone e sembrano determinati dalla loro
interazione con almeno due distinti siti recettoriali nel sistema nervoso centrale [1, 271]. Il
primo (chiamato PCP- o fenciclidina-recettore) ha grande affinità per la fenciclidina e
determina inibizione del rilascio di glutammato e aspartato, mentre il secondo è un recettore
s che lega numerose sostanze quali fenilpiperidine e piperazine.
Altri usi del naloxone
Il naloxone è stato utilizzato senza successo o con peggioramento della sintomatologia in
pazienti affetti da depressione [272], schizofrenia [273, 274, 275], sindromi maniacali [276],
lesioni del midollo spinale [277, 278], sindrome di Tourette [279] e asfissia neonatale [280].
Controindicazioni, precauzioni, effetti collaterali e interazioni farmacologiche del
naloxone
Non esistono reali controindicazioni all’uso del naloxone. L'iniezione intramuscolare o
sottocutanea in pazienti ipotesi o con diminuita circolazione periferica comporta una
diminuzione dell'assorbimento e un ritardo nella comparsa dell'effetto.
La sindrome d'astinenza (vomito, agitazione, sudorazione, dolori addominali, piloerezione,
tachicardia, ecc.) rappresenta il più frequente effetto collaterale dopo somministrazione di
naloxone nei pazienti tossicodipendenti da oppioidi [40, 281], ivi compresa la buprenorfina
[282]; in rari casi può comparire comportamento violento [283]. Essa si può presentare
anche nei neonati di madri tossicodipendenti. Negli adulti tale sindrome è di breve durata e
non è mai pericolosa per la vita, mentre nei neonati può portare a convulsioni anche letali.
Tale evenienza, tuttavia, appare estremamente rara e non limita l’indicazione all’uso del
naloxone nelle overdose nei neonati [41].
Alcune segnalazioni isolate descrivono "reazioni avverse" al naloxone che includono edema
polmonare, ipertensione, ipotensione, aritmie e arresto cardiaco [90, 96, 97, 98, 101, 102,
107]. Tali effetti si sono generalmente verificati in pazienti sottoposti ad anestesie con agenti
multipli, trattati con altri farmaci potenzialmente cardiotossici, nonché portatori di patologie
che di per se stesse possono favorirne la comparsa, e sono in disaccordo con gli ampi studi
in cui alte dosi di naloxone sono state somministrate a pazienti con shock ipovolemico [113],
shock settico [34, 114], lesioni spinali [115], nonché nei numerosi casi di overdose nei "bodypackers" [41, 58]. Elevate dosi di naloxone sono state inoltre somministrate a volontari sani
senza significativi effetti collaterali acuti, benché alle dosi più alte siano stati notati alcuni
effetti comportamentali e ormonali [134].
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La formulazione commerciale di naloxone contiene un conservante, il metilparaben (pidrossibenzoato di metile) che, in studi in vitro ma non in vivo, ha mostrato la capacità di
spiazzare la bilirubina dall'albumina [284, 285, 286, 287]. Nei neonati e nei prematuri ciò
potrebbe aumentare la quota di bilirubina libera, aggravare l'ittero e costituire un fattore di
rischio per l'ittero nucleare.
La segnalazione di un allungamento del tempo di tromboplastina parziale dopo
somministrazione di dosi elevate di naloxone per più giorni consecutivi [22] non ha trovato
conferma in altri studi. Attualmente non esistono evidenze conclusive che indicano un
rapporto causa-effetto tra naloxone e alterazione di test ematologici.
Una singola dose di naloxone (0,03 mg/Kg) determina un decremento della conta dei Tlinfociti e della proliferazione linfocitaria senza influenzare l'espressione dell'interleuchina-2
[288]. Le cellule natural killer e l'interleuchina 2 aumentano lentamente dopo l'iniezione di
naloxone, mentre la maggior parte dei parametri alterati ritornarono ai valori basali dopo 150
minuti.
Con l'utilizzo di naloxone nel decorso postoperatorio sono stati associati rari effetti collaterali
a carico del sistema cardiovascolare ed edema polmonare (vedi paragrafo: Sedazione e
insufficienza respiratoria da oppioidi in anestesia e analgesia).
Un caso di convulsioni da grande male si è avuto 30 secondi dopo la somministrazione di 0,8
mg di naloxone per via endovenosa in paziente affetto da linfoma non-Hodgkin per
antagonizzare gli effetti della morfina somministrata a scopo antalgico [289].
Il solo episodio di laringospasmo dopo estubazione è stato descritto dopo somministrazione
di 0,4 mg di naloxone nel postoperatorio in una paziente che aveva già avuto precedenti
episodi di laringospasmo [290].
L'uso del naloxone in gravidanza non sembra correlabile, alla luce delle attuali conoscenze,
a rischi per il feto [63, 291, 292].
Interazioni farmacologiche
Il naloxone può bloccare gli effetti antiipertensivi del captopril [293, 294].
Un possibile blocco temporaneo degli effetti ipotensivi e della bradicardia osservabili per
assunzione cronica di clonidina [183] non è stato confermato da altri studi [295]. Nelle
overdose da clonidina, invece, la somministrazione di naloxone può provocare un aumento
della pressione arteriosa [296, 297].
La concomitante assunzione di eroina e cocaina riduce, sia nell'animale che nell'uomo, la
gravità dei sintomi d'astinenza indotti da naloxone [298].
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Efficacia del naloxone rispetto ad altri agenti terapeutici simili
Nalorfina e levallorfano sono oppioidi ad azione mista agonista-antagonista che hanno
significative proprietà agoniste se somministrati in assenza di altri oppioidi agonisti [38, 299],
e possono provocare una sindrome di astinenza dopo sospensione improvvisa [26]. La
nalorfina, inoltre, produce acidosi respiratoria nella madre e acidosi metabolica nel feto
quando somministrata a madri non tossicodipendenti a termine [300]. Tale farmaco non può
pertanto essere utilizzato al posto del naloxone, che risulta il farmaco di scelta anche per
neutralizzare la depressione respiratoria del neonato.
In uno studio in doppio cieco, il naloxone ha mostrato la stessa efficacia della nalbufina
nell'antagonizzare la depressione respiratoria indotta da oppioidi nel post-operatorio. La
nalbufina può pertanto rappresentare alternativa al naloxone per antagonizzare la
depressione respiratoria da oppioidi, e sembra da preferirsi nei pazienti che hanno ricevuto
elevate dosi di oppioidi durante l'intervento e nei quali è prevedibile la comparsa di dolore nel
decorso post-operatorio [301].
La nalbufina, inoltre, si è rivelata più efficace del naloxone nel ridurre gli effetti collaterali
della morfina (nausea, prurito, sedazione) somministrata per via epidurale in pazienti
sottoposte a taglio cesareo [302].
NALTREXONE
Il naltrexone è un antagonista oppioide semisintetico (17-N-(ciclopropilmetil)-4,5-a-epoxy3,14-diidrossimorfinian-6-one cloridrato), N-ciclopropilmetil-congenere del naloxone.
Agisce come antagonista a lunga emivita degli oppioidi, sia spiazzandoli, sia impedendone
l'accesso ai recettori [291, 303, 304, 305].
Dati che necessitano di ulteriori conferme suggeriscono una modesta azione agonista del
naltrexone somministrato a soggetti sani [306, 307, 308].
Viene commercializzato in Italia con il nome di Antaxone - Zambon (flaconcini da 50 mg e
100 mg, capsule da 10 e 50 mg), Nalorex - Molteni (capsule da 50 mg) o Narcoral - Crinos
(capsule da 10 e 50 mg) ed è somministrabile solo per os.
Indicazioni
La disassuefazione dei tossicodipendenti costituisce la più importante indicazione all'uso del
naltrexone, che viene impiegato anche nella sindrome d’astinenza da metadone e come
terapia aggiuntiva nella dipendenza da alcool [309, 310, 311, 312]. Il farmaco si è dimostrato
in alcuni casi efficace anche in altre patologie quali l'amenorrea di origine ipotalamica, le crisi
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di apnea nei pazienti in età pediatrica, nel trattamento dell’impotenza [313, 314], del prurito
[315] e degli esiti di commozione cerebrale [316], nonché come anoressizzante [209, 317]:
tali applicazioni necessitano ulteriore approfondimento.
Dosi
Dosi di 50 o 100 mg di naltrexone per os inibiscono gli effetti di 25 mg di eroina
rispettivamente per 24 e 48 ore. La dose consigliata è di 50 mg per os/die e 100 mg il
sabato, oppure 100 mg il lunedì, 100 mg il mercoledì e 150 mg il venerdì [318].
Farmacocinetica
Dopo assunzione per os, il picco plasmatico si ha dopo un'ora. L'assorbimento nel tratto
gastroenterico è completo, e il farmaco viene metabolizzato a livello epatico con un
importante effetto di primo passaggio. Il volume apparente di distribuzione è 1350 litri [318]. Il
principale metabolita è il 6-b-naltrexolo, dotato di un ridotto effetto terapeutico.
Il naltrexone è scarsamente legato alle proteine plasmatiche (20,7%). Viene eliminato quasi
completamente attraverso le urine; l’emivita di eliminazione di una dose singola è di circa
10,3 ore e quella del metabolita attivo 6-b-naltrexolo di 12,7 ore.
Controindicazioni ed effetti avversi
L'uso del naltrexone è controindicato in pazienti in terapia con analgesici oppioidi, negli
epatopatici e nei soggetti in stato di astinenza. Negli soggetti con dipendenza da oppioidi
esistono precise linee guida per l'utilizzo del farmaco; l'uso del naltrexone può essere
iniziato, a dosi progressivamente crescenti, solo in soggetti che non abbiano utilizzato
oppioidi per almeno 7 - 10 giorni, nelle cui urine non siano presenti derivati morfinici e in cui
la somministrazione di naloxone non provochi la comparsa di sindrome astinenziale.
Il farmaco può provocare confusione, depressione, affaticamento, irritabilità, [307, 308],
anoressia, perdita di peso e inappetenza [319, 320]. Ansia, insonnia e mialgia si verificano
nel 10% dei pazienti [318]. Possono inoltre verificarsi nausea, dolore addominale [305, 321,
322], diarrea o costipazione [318]. In pazienti che assumevano elevate dosi giornaliere di
naltrexone (uguali o superiori a 300 mg) è stato rilevato l'aumento transitorio degli enzimi
indicativi di necrosi epatica con normalizzazione del quadro alla sospensione del trattamento
[209, 318, 323]; lo stesso effetto è stato notato per uso protratto [324].
Il naltrexone somministrato acutamente aumenta i livelli serici di gonadotropine, ACTH,
cortisolo e catecolamine; tale effetto non si verifica per somministrazione cronica [325].
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L'ingestione accidentale di naltrexone ha scatenato la sindrome d'astinenza in tre
tossicodipendenti 5 minuti dopo l'ingestione del farmaco [326].
NALMEFENE
Il nalmefene (17-(ciclopropilmetil)-4,5 alfa-epossi-6-metilenmorfinian-3,14 diolo) è un
antagonista oppioide derivato dal naltrexone: ha azione simile a quella del naloxone, ma con
una durata dell'effetto più prolungata. Il farmaco non è attualmente commercializzato in Italia.
L'emivita di eliminazione è di 8-9 ore dopo somministrazione endovenosa [327] e di 11 ore
circa dopo somministrazione orale [328].
Il nalmefene non provoca effetti simili a quelli dei morfinici quando somministrato a
tossicodipendenti [329]. È in grado di contrastare la depressione respiratoria e l'effetto
sedativo dei morfinici con una potenza maggiore rispetto a quella del naloxone. La
somministrazione endovenosa di 1 mg di nalmefene si è rivelata più efficace e più prolungata
della somministrazione di 1 mg di naloxone nel neutralizzare gli effetti sedativi della
meperidina [330]. Il farmaco è stato utilizzato nel trattamento dell’overdose da oppioidi, ma la
sua lunga durata d’azione (da 8 fino a 48 ore per una dose di 100 mg) si può associare a
manifestazioni astinenziali di lunga durata [331, 332].
La dose efficace per contrastare gli effetti sedativi del fentanyl (somministrato per via
endovenosa fino a raggiungere una concentrazione ematica stabile di 1,5 ng/mL) è pari a 1 g/
Kg; a questa dose la durata dell'effetto è di 105 minuti, ma dosi superiori sono risultate
equipotenti [333].
Dosi di 0,5 g/Kg non antagonizzano gli effetti analgesici del fentanyl somministrato per
via epidurale [334]. La somministrazione di 15-25 g di nalmefene nell’immediato postoperatorio consente di ridurre gli effetti collaterali della morfina impiegata a scopo antalgico
(prurito, nausea), senza ridurne l’effetto terapeutico [335].
Il farmaco inoltre si è rivelato efficace nel 60% dei casi nel dominare il prurito quando
somministrato a pazienti con ittero colestatico [336, 337], con orticaria cronica o affetti da
dermatite atopica [338]. Il nalmefene ha dimostrato una buona tollerabilità alle dosi impiegate
(10-20 mg); gli effetti collaterali rilevati sono stati nausea, affaticabilità e vertigini [338].
Gli impieghi del nalmefene in altre condizioni patologiche (es. dipendenza da alcool, stroke,
cistite interstiziale) necessitano di ulteriore validazione clinica [331, 339].
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TRATTAMENTO DEL PAZIENTE OPPIOIDO-DIPENDENTE RICOVERATO PER
PROBLEMI MEDICI, CHIRURGICI OD OSTETRICI
Alla presa in carico di pazienti oppioido-dipendenti (in trattamento metadonico o no), è
opportuno effettuare la determinazione di morfina e metadone urinari prima della
somministrazione di qualsiasi farmaco. Non devono essere effettuati tentativi di
disassuefazione nei pazienti in gravi condizioni cliniche.
Il paziente in trattamento metadonico dovrebbe continuare ad assumere la dose di
mantenimento, possibilmente suddivisa in due somministrazioni al giorno. In caso non sia
possibile l’assunzione di farmaci per os, il metadone può essere somministrato per via
intramuscolare (due volte al di), a una dose giornaliera totale pari a metà di quella abituale di
mantenimento.
Il paziente tossicodipendente non in trattamento metadonico dovrà essere messo in
trattamento metadonico per os o per via intramuscolare non appena compaiono i primi
sintomi della sindrome d’astinenza e dopo che questi saranno stati controllati con un
oppioide a breve durata d’azione [43].