Fattori Di Rischio E Prevenzione Del Decadimento Cognitivo

ASSOCIAZIONE PER LA RICERCA SULLE DEMENZE - ONLUS
VI CONFERENZA DI NEUROLOGIA
“THE AGING BRAIN RISK FACTORS AND PREVENTION”
ATTI DEL CONVEGNO
Il 21 settembre 2007 si è tenuta a Milano, presso la Sala Alessi di Palazzo Marino, Piazza della
Scala 2, la VI Conferenza di Neurologia dal titolo “THE AGING BRAIN: RISK FACTORS AND PREVENTION” organizzata dalla Associazione per la Ricerca sulle Demenze Onlus in collaborazione
con l’Assessorato alla Salute del Comune di Milano e con le Rappresentanze a Milano della Commissione Europea e del Parlamento Europeo. Hanno patrocinato l’iniziativa l’Università degli Studi
di Milano, la Società Italiana di Neurologia Demenze e l’Ospedale “Luigi Sacco”.
Il Prof. Claudio Mariani, Presidente dell’ARD e Direttore della I Clinica Neurologica dell’Ospedale
L. Sacco, ha aperto i lavori, ringraziando e cedendo la parola alle autorità presenti in Sala.
Manfredi Palmeri, Presidente del Consiglio Comunale, ha dato il benvenuto ai partecipanti e ha
portato il saluto dell’Assessore alla Salute del Comune di Milano, Carla De Albertis, che purtroppo
non è potuta intervenire all’iniziativa. Il Presidente ha posto l’accento sulla rilevanza della problematica dell’invecchiamento e del declino cognitivo nel nostro paese. Infatti, secondo l’ONU, l’Italia è il
paese più vecchio del mondo, con una percentuale di popolazione anziana (over 60) del 24.5%
(questa percentuale va confrontata con la percentuale mondiale stimata nel 2000: 7%).
Poiché l’invecchiamento è il principale fattore di rischio per decadimento cognitivo, ne consegue
che il problema del declino mentale è rilevante nel nostro paese.
In Lombardia nel 2000 erano stimati 2 milioni di ultrasessantenni e 120.000 casi di demenza.
Il Presidente ha sottolineato l’impegno dell’Assessorato alla Salute nel combattere i fattori di rischio
del declino cognitivo legati all’invecchiamento, con importanti iniziative di prevenzione quali “Milano
sfida l’ipertensione”.
L’On. Guido Podestà, Presidente dell’Intergruppo III e IV età al Parlamento Europeo, ha posto
l’accento sulle dimensione europee del problema dell’invecchiamento e sull’impegno di molti stati
europei nella ricerca scientifica. L’Europa, infatti, è al secondo posto nelle stime epidemiologiche.
Si calcola che nel mondo il 3.9% della popolazione ultrasessantenne sia affetta da demenza, con la
seguente distribuzione:
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6.4% Nord America
5.4% Europa Occidentale
4.6% America Latina
4% Cina
3.9% Europa Orientale
1.6% Africa
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E’ stato stimato che nel 2001 vi fossero 24 milioni di dementi nel mondo:
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6 milioni: Cina
5 milioni: Unione Europea
2.9 milioni: USA
1.5 milioni India
Le proiezioni sono allarmanti: si stima che nel mondo la popolazione ultrasessantacinquenne passerà dal 7% (nel 2000) al 12% (nel 2030), ovvero da 420 milioni Æ a un bilione.
Tuttavia a fare le spese di questo incremento percentuale saranno soprattutto le popolazioni in via
di sviluppo dove è atteso un incremento maggiore di invecchiamento.
L’Europa è in prima linea nella ricerca sui fattori che possono aumentare (fattori di rischio) o ridurre
(fattori protettivi) l’insorgenza del decadimento cognitivo.
In particolare, all’equipe dell’Aging Research Center del Karolinska Institute di Stoccolma, diretto
dalla Prof.ssa Fratiglioni si devono importanti studi di popolazione, quali il Kungsholmen (ormai concluso, dando origine ad una enorme mole di dati) e lo SNAC (The Swedish National Study on Aging
and Care), tuttora in corso.
Lo studio Kungsholmen ha messo in luce come alcuni fattori, come l’esercizio fisico in età avanzata,
proteggano dal decadimento cognitivo, mentre altri, quali la solitudine o la bassa scolarizzazione,
espongano maggiormente al rischio di sviluppare demenza.
Lo studio SNAC produrrà altre preziose evidenze poiché ha progettato di fotografare non solo lo
stato di salute della popolazione anziana, ma anche i suoi bisogni assistenziali. Ciò consentirà di
pianificare ed adeguare gli interventi, modulandoli sui reali bisogni della popolazione, per arginare
fenomeni quali isolamento, sedentarietà, scorrette abitudini alimentari.
Un’attenta politica sanitaria deve, infatti, essere rivolta alla prevenzione. Attualmente, poiché sono
stati mossi i primi passi nella conoscenza dei fattori di rischio e dei fattori protettivi del decadimento
mentale, è possibile pensare anche in termini di “prevenzione”, ad esempio promuovendo campagne educazionali ed iniziative quali quella dell’odierno convegno.
Il Dott. Luigi Corradini, Direttore Generale dell’Ospedale L. Sacco, ha sottolineato l’importanza di
iniziative formative e culturali quali quelle promosse dalla Associazione per la Ricerca sulle Demenze nella divulgazione di temi scientifici di rilevante interesse sia per gli addetti ai lavori che per la
popolazione.
Il Prof. Mariani ha ripreso la parola presentando il libretto “CERVELLO E STILI DI VITA: COME
INVECCHIARE CON SUCCESSO” frutto della collaborazione tra Associazione per la Ricerca sulle
Demenze e Assessorato alla Salute del Comune di Milano.
Il decadimento cognitivo è il risultato di una complessa interazione tra fattori genetici (non modificabili) e fattori ambientali (alcuni dei quali modificabili con adeguati stili di vita). Ogni individuo possiede una “riserva cognitiva” e cioè un meccanismo di difesa contro l’invecchiamento patologico del
cervello. La finalità del libretto è quello di divulgare le conoscenze attualmente disponibili sui fattori
di rischio modificabili e sugli stili di vita preferibili da adottare. Il libretto sarà distribuito ai cittadini
nelle farmacie comunali e nelle ASL.
Il Prof. Mariani ha ceduto quindi la parola ai relatori .
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Il Prof. Claudio Franceschi (Università di Bologna):
LA NEUROBIOLOGIA DELL’INVECCHIAMENTO CEREBRALE
Per un processo denominato apoptosi (cioè morte cellulare programmata) le cellule del cervello
(neuroni) a partire dall’età di 30 anni circa cominciano a degenerare: ecco perché dai 30 ai 75 anni
il cervello arriva a perdere fino al 10% del suo peso e fino al 20% del suo rifornimento di sangue.
Non solo, ma con l’invecchiamento si osserva anche una riduzione delle sinapsi (cioè delle connessioni tra i neuroni) e la comparsa di alcune alterazioni della struttura cerebrale: le placche senili e i
grovigli neurofibrillari.
Il cervello possiede, tuttavia, delle strategie per “difendersi” dai processi che caratterizzano l’invecchiamento:
la ridondanza: il numero delle cellule cerebrali è di gran lunga superiore a quello necessario allo
svolgimento delle sue diverse funzioni. Molte cellule sono “di riserva” e possono prendere il posto di
quelle che muoiono, lasciando immodificata la funzione. Maggiori sono le cellule di scorta, maggiore è il danno che il cervello riesce a sopportare senza che compaiano manifestazioni cliniche. In altre parole, maggiori sono le dimensioni del cervello e la quantità di neuroni e di sinapsi, maggiore è
la riserva cerebrale.
la plasticità: fino a tempi relativamente recenti si riteneva che alla fine dell’età dello sviluppo il cervello diventasse una struttura rigida e immodificabile. Oggi, al contrario, sappiamo che gli stimoli
ambientali sono determinanti nel continuare a modellare il cervello, che conserva la capacità di modificarsi. Pertanto, a qualsiasi età, l’esercizio e gli stimoli cognitivi, come una vera e propria ginnastica, possono “rimodellare” il cervello creando nuovi circuiti grazie alla possibilità di stabilire nuove
connessioni tra di essi (sinaptogenesi). Questo continuo rimodellamento consente di ottimizzare le
prestazioni del cervello con un processo attivo che prende il nome di riserva cognitiva.
la neurogenesi: è il 1999 quando due scienziati dell’Università di Princeton (USA) pubblicano sulla
rivista “Science” la loro rivoluzionaria scoperta: anche se in misura limitata, il cervello continua a rigenerarsi anche nella vita adulta. Alcune cellule “neonate” vengono generate in zone profonde del
cervello e migrano verso la superficie, cioè verso la corteccia sede delle funzioni intellettive. Nel
viaggio maturano e, giunte a destinazione, creano nuove connessioni. La scoperta smentisce la
convinzione che il cervello si sviluppi solo nell’infanzia e fornisce un ulteriore supporto ai concetti di
riserva cognitiva e cerebrale.
Prof.ssa Laura Fratiglioni ( Karolinska Institute, Stoccolma):
FATTORI DI RISCHIO E PREVENZIONE DEL DECADIMENTO COGNITIVO: LA RISERVA COGNITIVA
E’ esperienza comune constatare che non tutti invecchiamo allo stesso modo. In alcuni soggetti,
infatti, con l’avanzare dell’età compaiono disturbi intellettivi (a carico di linguaggio, memoria, orientamento) e comportamentali di gravità tale da determinare la perdita di autonomia anche negli atti
più semplici della vita quotidiana. In questi casi non si tratta più di invecchiamento normale, ma di
malattie del cervello, denominate demenze, che colpiscono il 6 % circa della popolazione mondiale
ultrasessantacinquenne (circa 25 milioni di persone). Di norma nella demenza le lesioni cerebrali
sono più numerose che nell’invecchiamento normale ma, sorprendentemente, non accade sempre
così. E’ del 1988, infatti, la dimostrazione che non c’è sempre una relazione diretta tra le lesioni e i
sintomi della demenza: vi sono soggetti dementi con poche lesioni del cervello e soggetti sani con
gravi lesioni. Come è stata interpretata questa scoperta che avrebbe in seguito rivoluzionato il concetto di invecchiamento cerebrale? Una possibile spiegazione è che il cervello possa utilizzare gli
stessi strumenti impiegati per fronteggiare i danni dell’invecchiamento (ridondanza, plasticità, neu-
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rogenesi) anche per difendersi dalle malattie cerebrali. A parità di lesioni, maggiori sono le risorse
del cervello, minori appaiono i sintomi.
Riserva cerebrale e riserva cognitiva sono dunque le risorse che il cervello ha a disposizione per
fronteggiare le malattie legate all’invecchiamento. La riserva cerebrale (dimensioni del cervello e
numero di neuroni e collegamenti tra neuroni) è influenzata soprattutto da fattori genetici e da fattori
ambientali che intervengono prima della nascita, durante lo sviluppo del cervello nel grembo materno. La riserva cognitiva, invece, è un processo attivo che può accrescersi grazie a stimoli ambientali
favorevoli (fattori protettivi) che intervengono durante tutto l’arco della vita.
Un cervello ricco di neuroni e connessioni è in grado di reagire in maniera più efficiente alla perdita
di cellule nervose dovuta al normale invecchiamento o alle aggressioni esterne. Tra queste vi sono
molte diverse fonti di danno cerebrale (traumatiche, degenerative, vascolari); per alcune di queste
si conoscono le condizioni che ne aumentano la probabilità di insorgenza: si parla allora di fattori di
rischio.
Nasce dunque l’idea di invecchiamento cerebrale non come un processo a senso unico, ma come il
risultato di un delicato equilibrio: su un piatto della bilancia la riserva cognitiva e i fattori protettivi
che le possono potenziare, sull’altro piatto le fonti di danno cerebrale e i relativi fattori di rischio.
L’invecchiamento normale deriva da una favorevole interazione tra questi fattori; quello associato a
decadimento cognitivo da una sfavorevole interazione tra i medesimi.
Prof.ssa Miia Kivipelto ( Karolinska Institute, Stoccolma):
FATTORI DI RISCHIO E PREVENZIONE DEL DECADIMENTO COGNITIVO: L’IPOTESI VASCOLARE.
E’ noto da tempo che l’ipertensione arteriosa, l’elevato tasso di colesterolo nel sangue, l’obesità, il
diabete, alcune malattie cardiache sono responsabili delle malattie vascolari come l’ictus e l’infarto
cardiaco. Tali condizioni sono denominate fattori di rischio vascolare poichè predispongono all’ischemia, ovvero alla graduale chiusura delle arterie che portano sangue ed ossigeno ai tessuti. In
questo modo le cellule, incluse quelle del cervello, vengono irreparabilmente danneggiate.
Molti studi dimostrano che tali condizioni si associano anche ad un aumentato rischio di sviluppare
demenza, soprattutto di tipo vascolare, ma anche di tipo degenerativo come la malattia di Alzheimer. La condizione più studiata è l’ipertensione arteriosa: è stato dimostrato che l’ipertensione
arteriosa nella mezza età aumenta il rischio di demenza in età avanzata. Al contrario in età avanzata è la pressione bassa ad essere associata a rischio di decadimento cognitivo, verosimilmente per
la possibilità che insorga ipoperfusione cerebrale. Vi sono importanti evidenze scientifiche anche a
favore dell’associazione tra diabete mellito e rischio di decadimento cognitivo e tra quest’ultimo e
alcune patologie cardiache quali l’infarto, la fibrillazione atriale e lo scompenso cardiaco.
I fattori di rischio vascolare, molto frequenti nella popolazione, sono curabili e spesso prevenibili con
un adeguato stile di vita.
Dott. Nicola Vanacore (Istituto Superiore di Sanità):
FATTORI DI RISCHIO E PREVENZIONE DEL DECADIMENTO COGNITIVO: LA REALTA’ ITALIANA
Negli ultimi anni diverse evidenze di letteratura fanno ritenere che il fenomeno dell’insorgenza delle
demenze possa essere in parte prevenibile.
In particolare si è visto come una regolare attività fisica e una intensa attività sociale, produttiva e
mentale possano ridurre il rischio di insorgenza delle demenze in un arco temporale di 4-5 anni anche del 40% .
Un altro ambito che deve essere considerato è quello di valutare l’efficacia dell’attuazione di programmi di training cognitivo in una popolazione di anziani. Alcune specifiche sperimentazioni mostrano un interessante livello di efficacia di questo trattamento dopo due anni di follow-up .
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Una successiva riflessione merita l’insieme delle evidenze relative alla caratterizzazione dei fattori
di rischio cardiovascolari associati all’insorgenza sia della demenza di Alzheimer che della demenza vascolare .
In questa direzione si collocano i dati relativi alla frequenza della demenza in sperimentazioni sull’uso degli anti-ipertensivi. Si osserva dopo un follow-up medio di 4 anni una riduzione del 55% nell’incidenza della demenza per i pazienti ipertesi trattati con un farmaco attivo rispetto a quelli trattati
con placebo .
Per comprendere al meglio l’impatto di queste ultime riduzioni in una prospettiva di sanità pubblica
si sottolinea come solo il 30% della popolazione ipertesa è nella pratica clinica trattata in maniera
appropriata con i farmaci. Sui motivi e le ragioni di questo fenomeno si dovrebbero attuare opportune campagne di informazione.
Complessivamente appare necessario attuare strategie di prevenzione primaria e secondaria del
fenomeno delle demenze orientate verso la modifica di stili di vita e dei fattori di rischio cardiovascolari.
Prof. Giorgio Annoni (Università Bicocca, Milano):
IL RUOLO DELLA COMORBILITA’ NELL’INVECCHIAMENTO CEREBRALE
L’ormai stabile andamento demografico caratterizzato, in modo particolarmente evidente nel nostro
paese, da una continua espansione del segmento della popolazione anziana, soprattutto di genere
femminile, impone la promozione di ogni forma di strategia tesa a ritardare nel tempo le complicanze della patologia cronica degenerativa. In questo scenario, la neurodegenerazione, che ha nella
demenza la sua manifestazione clinica-sociale più rilevante, assume un ruolo di fondamentale
importanza.
Da anni sono noti i concetti di plasticità neuronale e riserva cognitiva, entrambe dipendenti dalla
interazione del singolo individuo con l’ambiente e quindi con le proprie abitudini (alimentazione,
attività fisica, tabagismo, etc.), ma anche con alcuni determinanti socio-economici (scolarità, reddito
economico, isolamento sociale, etc.). Negli anni più recenti queste informazioni si sono arricchite di
nuove conoscenze che hanno chiaramente dimostrato come alcune patologie ed in particolare i
meccanismi fisiopatologici ad esse sottese, svolgano un ruolo di promozione nei confronti della
neurodegenerazione. Un esempio paradigmatico è rappresentato dalla genetica di predisposizione
nei confronti dell’infiammazione (genotipo proinfiammatorio), lo sviluppo della sindrome metabolica,
e quindi dell’ipertensione arteriosa e del rischio cardiovascolare globale.
Prof. Elio Scarpini (Università degli Studi di Milano):
PREVENZIONE: INTERVENTI FARMACOLOGICI
I trattamenti oggi proposti per la terapia della malattia di Alzheimer hanno azione sintomatica: il loro
obiettivo è infatti di migliorare le funzioni cognitive e di contrastare i disturbi comportamentali. La
progressiva diminuzione dell’autonomia funzionale del paziente causata dalla malattia compromette
non solo la sua qualità di vita ma anche quella dei familiari o di chi lo assiste. In questa presentazione verranno descritte le terapie attualmente disponibili per i disturbi cognitivi, con particolare attenzione al trattamento di deterioramento cognitivo lieve (MCI), malattia di Alzheimer, demenza frontotemporale e malattia a corpi di Lewy diffusi. Verranno innanzitutto considerati i trattamenti attualmente utilizzati (inibitori dell’acetilcolinesterasi, memantina, selegilina e vitamina E) alla luce dei parametri di pratica clinica per la gestione della demenza.
La rilevante disfunzione colinergica presente nella malattia di Alzheimer fu scoperta negli anni 70,
particolarmente a livello dell’ippocampo e della corteccia medio temporale, parietale e orbito frontale. Per quanto siano presenti disfunzioni a carico di svariati sistemi neurotrasmettitoriali, numerose
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evidenze hanno correlato i deficit colinergici alla compromissione cognitiva ed hanno condotto alla
ricerca di farmaci in grado di incrementare la funzione colinergica: il blocco della degradazione
enzimatica dell’acetilcolina rappresenta l’azione ottenuta dai farmaci oggi a disposizione, gli inibitori
centrali delle acetilcolinesterasi.
Altri farmaci studiati sono rappresentati dalle sostanze antiossidanti quali la vitamina E e la selegilina, che hanno dimostrato di ritardare di circa 6 mesi la progressione della malattia. Il razionale
dell’impiego di tali farmaci si basa sulla considerazione che con l’invecchiamento si riducono le
difese nei confronti dello stress ossidativo, con aumento del danno a carico di lipidi, proteine e
DNA. L’effetto in fase conclamata di malattia di antinfiammatori ed estrogeni, che avrebbero
un’azione protettiva nel ridurre l’incidenza della malattia, non è stato documentato.
Inoltre vengono illustrati i farmaci usati nel trattamento dei sintomi comportamentali e psichiatrici
nell’ambito della malattia di Alzheimer, che sono presenti nell’80% dei soggetti. In alcuni casi possono caratterizzare l’esordio della malattia e sono comunque sempre i sintomi che causano il maggior carico dell’assistenza ed il maggior stress per i familiari. La depressione è più frequente nelle
fasi iniziali di malattia ed è in grado di incidere negativamente sul quadro cognitivo del paziente, per
cui, anche ai fini della diagnosi differenziale, è sempre opportuno instaurare un trattamento in un
paziente anziano depresso con problemi cognitivi. Per questo tipo di trattamento sono preferibili ai
triciclici i farmaci SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina).
Infine, alla luce delle recenti evidenze, saranno presentate le nuove prospettive di trattamento, sia i
nuovi anticolinesterasici e i derivati dell’eparina che le strategie formulate per modulare o rimuovere
i depositi di proteina beta amiloide (forme di immunizzazione attiva e passiva ed inibitori enzimatici).
Prof. Stefano Cappa (Università Vita e Salute, S. Raffaele):
PREVENZIONE: INTERVENTI NON FARMACOLOGICI
La possibilità di prevenire, ritardare o comunque ridurre l’impatto dell’invecchiamento cerebrale sulle prestazioni cognitive mediante interventi non farmacologici, quali l’impegno in attività stimolanti il
funzionamento della mente o addirittura l’esercizio fisico, sta trasformandosi da generico concetto di
buon senso in ipotesi scientifica passibile di verifica mediante adeguati disegni sperimentali. Sono
di questi ultimi anni infatti una serie di studi su popolazioni estese di soggetti anziani normali, eseguiti con corrette metodologie, che hanno fornito sostanziali conferme a questa ipotesi. Di pari passo sono state anche formulate delle proposte sui possibili meccanismi neurobiologici responsabili di
questo effetto “protettivo”. Le evidenze sono invece molto più deboli per quanto riguarda la possibilità di influire, mediante programmi di stimolazione o di vera e propria riabilitazione cognitiva, in
soggetti che presentano disturbi clinicamente rilevanti della memoria, come nel caso delle fasi prodromiche ed iniziali della malattia di Alzheimer. L’interesse della ricerca si sta rivolgendo verso approcci combinati, farmacologici e non, finalizzati al mantenimento del massimo livello di autonomia
funzionale nell’invecchiamento cognitivo normale e patologico.
Il Prof Mariani ha concluso i lavori ringraziando gli organizzatori e invitando i presenti alla VII
Conferenza di Neurologia che si terrà il prossimo anno.
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