A003176, 1 A003176 FONDAZIONE INSIEME onlus. Da MENTE & CERVELLO del 15/5/2015, <<LA MUSICA CHE CURA>>, di Emmanuel Brigand e Barbara Tillmann, autori (vedi nota a fine pezzo). Per la lettura completa del pezzo si rinvia al mensile citato. Come mezzo per trasmettere emozioni intense la forza della musica rimane ineguagliata, ma al tempo stesso crescono anche gli studi per il suo potenziale terapeutico di numerose patologie. Tra musica e salute i rapporti sono sempre stati stretti. Sulle piramidi in Egitto ci sono disegni che indicano come la musica servisse a contrastare l’effetto dei morsi di serpente, mentre certe forme musicali, come la tarantella, illustrano l’effetto della musica sulla puntura della tarantola. Nel corso dei secoli alla musica sono state attribuite le virtù più disparate. Ma siamo nel campo del pensiero magico oppure davvero la musica può fare da «cerotto» per i neuroni? Con la sua forza emotiva la musica consente di comunicare con gli altri, compresi quelli che hanno perso gli abituali codici di comunicazione. È impossibile negare che a volte la musica sia in grado di facilitare l’approccio dello psicologo verso il paziente, soprattutto in alcuni di autismo. Eppure la validazione scientifica di questi metodi rimane imperfetta quanto difficile da realizzare. Oggi però numerose ricerche mostrano che la musica ha effettivamente la capacità di alleviare diverse patologie: il suo potere relazionale ha un ruolo determinante nell’impegnare i malati in un approccio terapeutico. Di solito nei laboratori musicali in istituti che accolgono persone affette da morbo di Alzheimer in fase avanzata il nostro arrivo non suscita alcuna reazione. E quando cominciamo a suonare non succede niente. Poi notiamo piccoli movimenti, un progressivo risveglio dei volti. Di seduta in seduta, i corpi si rianimano, e qualcuno si alza addirittura per accennare un passo di valzer. Questo potere della musica si conosce da tempo, ed è impiegato per diverse patologie. La novità che oggi ci svelano le neuroscienze è quella di lasciarci intravedere gli effetti fondamentali della musica sul funzionamento del cervello. La musica è un’attività complessa, la cui importanza sullo sviluppo psicoaffettivo e cognitivo del bambino e stata confermata a più riprese. L’attrazione per la musica sarebbe un’attitudine cognitiva arcaica, assai più resistente rispetto ad altre capacità acquisite A003176, 2 più di recente nel corso dell’evoluzione, in particolare il linguaggio. Ciò spiegherebbe come mai possa conservarsi in caso di danno cerebrale, cosa che a sua volta la rende preziosa per la rieducazione e il recupero dai disturbi neurologici. È noto per esempio che gli stimoli musicali proposti dagli approcci terapeutici all’afasia che si valgono dell’intonazione melodica contribuiscono a restaurare le competenze linguistiche dei soggetti afasici, che arrivano a cantare ciò che non riescono a dire. UN LEGAME SORPRENDENTE. Terapie simili hanno effetto sui processi di riorganizzazione che si verificano dopo una lesione cerebrale. Di regola l’elaborazione del linguaggio è assicurata soprattutto dall’emisfero sinistro, ma quando si presenta un’afasia, sotto l’influenza della musica, certi aspetti della competenza linguistica sono trasferiti all’emisfero destro. In queste situazioni la musica non si limita ad agire sull’umore del paziente, ma contribuisce alla riorganizzazione funzionale del cervello. Anche per chi è vittima di un ictus con successive difficoltà motorie, imparare a suonare il pianoforte è una strategia terapeutica efficace perché stimola la corteccia uditiva e quella motoria, e questa associazione sembra contribuire alla riorganizzazione della corteccia cerebrale. Numerosi lavori suggeriscono anche che la sollecitazione delle regioni cerebrali implicate nei trattamenti musicoterapeutici possa avere un effetto positivo sulle funzioni cognitive (attenzione, memoria, elaborazione del linguaggio) e sulle abilità motorie di chi ha subito lesioni. Alcuni ricercatori usano determinati aspetti della musica (per esempio il ritmo) per studiarne gli effetti sull’elaborazione cognitiva, come nel trattamento del linguaggio dei bambini con difficoltà di sviluppo linguistico (dislessia, disfasie), e sulle attività motorie delle persone colpite, per esempio, dalla malattia di Parkinson. I risultati mostrano che la musica non si limita a offrire un sostegno comunicativo nel quadro dei disturbi di personalità, ma dà un contributo alla plasticità del cervello, e dunque alla cura del cervello malato. Plasticità ben chiara nei soggetti sani musicisti; scoprire che è all’opera in pazienti con lesioni cerebrali o colpiti da malattie neurodegenerative o dello sviluppo neurale è una novità. Le ricerche nel campo delle neuroscienze cercano di identificare le caratteristiche della musica responsabili dei suoi effetti benefici e di capire i meccanismi neurobiologici sottostanti. Per farlo, gli scienziati usano brani conosciuti, ma anche materiali musicali appositamente costruiti per la ricerca. Alcuni concentrano l’attenzione sulle strutture ritmiche; altri puntano a identificare le associazioni con il linguaggio. A003176, 3 Quando capiremo meglio i meccanismi sottostanti si potranno migliorare i programmi di recupero e sostegno e concepirne di più mirati. L’impatto della musica sul cervello e il suo funzionamento cognitivo va al di là dei malati, ed è stato osservato praticamente su tutti. In effetti, la musica è associata a un insieme di reti neuronali che riesce a sincronizzare, e ciò ha effetti specifici: per esempio le regioni cerebrali sollecitate insieme rinforzano le proprie connessioni sinaptiche. Questo tipo di incremento della connettività ha conseguenze molteplici: gli scambi di informazioni si fanno più rapidi, e aumenta il numero dei neuroni impegnati in esso. I cambiamenti indotti dall’attività musicale hanno effetti positivi sul funzionamento cognitivo globale. Grazie al suo impatto sul cervello, la pratica della musica può forse accrescere le risorse neuronali e contribuire a combattere l’invecchiamento cognitivo. Insomma, giocare con i suoni è un’attività che fa bene al cervello, e per di più suscita emozioni positive. Se ne raccomanda il consumo senza moderazione! GLI AUTORI. EMMANUEL BRIGAND, insegna psicologia cognitiva e dirige il Laboratorio di studio dell’apprendimento e dello sviluppo all’Università della Borgogna a Digione. BARBARA TILLMANN, direttrice di ricerca del CNRS dirige il Gruppo di cognizione uditiva e psicoacustica del Centro di ricerca sulle neuroscienze di Lione, all’Università di Lione-1.