DEDICATO ai suonatori un po` sballati ai balordi

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DEDICATO ai suonatori un po'
sballati ai balordi
DEDICATO ai suonatori un po’ sballati ai balordi
come me a chi non sono mai piaciuta a chi non ho incontrato
chissa’ mai perche’ ai dimenticati, ai playboy finiti e anche
per me a chi si guarda nello specchio e da tempo non si vede
piu’, dedicato ai cattivi che poi cosi’ cattivi non sono mai
ai miei pensieri, a come ero ieri, dedicato a chi capisce
quando il gioco finisce e non si butta giu’….e questo schifo
di canzone non puo’ mica finire qui manca giusto un’emozione
etc,etc. (di Ivano Fossati) "
Noi stiamo qua, fieri custodi della nostra civiltà e
della nostra storia, a tutti coloro che volessero capire chi
siamo, rivolgiamo il civile invito a rileggersi la nostra
storia, non quella degli ultimi 150 anni ma, partendo da
almeno due millenni fa. Antonio Guttoriello"
Lo accontento subito con un telegrafico promemoria: I
Sidicini si irradiarono in un territorio fertile e adatto alla
coltivazione della terra. Territorio già frequentato in età
preistorica da cospicui nuclei di cacciatori-raccoglitori . Da
qui l’esigenza e la necessità di passare da una struttura di
villaggi a connotazione cantonale più o meno estesi alla
formazione di una città stato, fulcro dei vari nuclei tribali,
spesso in fiero antagonismo tra loro. La città centro
politico, religioso, artigianale, industriale doveva essere
necessariamente difesa strategicamente ed ecco il costituirsi
di una casta guerriera, di una consorteria politica che ne
costituisse la mente dirigente e il braccio armato a difesa
degli eventuali aggressori, attratti dalla prosperità
economica e dal fulgore dello sviluppo culturale in senso
ampio. E così per un processo aggregativo articolato, chiamato
sinecismo, nasce per Teano e altri centri antichi l’impellenza
del divenire città fortificata da un ampio e poderoso circuito
murario, efficiente manufatto di architettura difensiva
collettiva.
Risulta strano o perlomeno atipico che gli Ausones e
gli Opici che usavano due termini vetusti per indicare la
parola casa, kuna tirrenico, trebos osco, durante l’età
preistorica e le prime fasi dell’età del ferro mancavano del
vocabolo che determinasse il concetto di città o di polis.
Questo collante difensivo rinsaldò i vari villaggi col vincolo
religioso , di modo che ogni comunità sociale identificò le
divinità con i Padri fondatori, garanti di leggi ,consuetudini
, costumi. Da qui i santuari assunsero il carattere di centro
ideale di aggregazione. Di conseguenza questi centri poliadi
avvertirono la necessità di costituire leghe a valenza di
consulta religiosa, politica, bellica nel significato più
ampio del termine. I maggiorenti dei pagi già costituiti in
vari centri poliadi si riunivano in un posto fornito di un
bosco consacrato a qualche nume comune. In modo che le diverse
comuni deliberazioni fossero sacralizzate e ritualizzate da un
sacrificio mutuo. Gli Ausones usavano per esprimere il
sacrificio la parola ligure-tirrenica esunu (vedi le Tabula
Iguvine) connessa alla radice ves, alias fuoco sacro punto
focale dei riti indirizzati alla dea Ausone Vesuna, in seguito
la romana Vesta, tutelare del sacro fuoco. Riferimenti ad
ancestrali culti quando i Tirreni e gli arii affidavano alla
protezione e alla tutela di Dei arcaici dei prodotti agricoli,
nati dalla madre Terra. L’animale totemico prepoliade degli
Ausones fu il bue, trasposizione simbolica del sole.
Guardiano, come lo furono gli Italici Ausones e Sidicini,
delle Porte del sole, della pianura fertile e rigogliosa,
dalla terra ricca disegnata da fiumi e torrenti dall’acqua
pura e cristallina. Il culto del Sole era vitale per gli
Ausones, popoli dell’Aurora e del Sole . Alcuni hanno creduto
di scorgervi comunanza con le terre centro-sudamericane che
hanno mostrato nei loro lineamenti etnici concordanze con i
residui orientali della mitica Atlantide. Fantasie, ubbie,
sogni? Chi può dirlo con balda sicumera. Nella terra degli
Ausones una tradizione atavica, condivisa e rilanciata da
Omero individua la luminosa dimora di Circe, immaginata e
filtrata da ricordi perduti nella notte dei tempi come
l’avvenente figlia del Sole che abita la fortunata Isola di
Eea [A(u)aia] in cui riposano le danze dell’Aurora. Circe
l’incantatrice , la maga, la magnetica seduttrice, dal nome di
derivazione semitico-pelasgica Kir-Kir. La venerazione per il
Sole, la Luna, l’Aurora e la Terra, la grande madre, Ma-Tar, e
relativi fenomeni si estese fino ai Romani stessi. Nelle
civiltà solari posto di assoluto rilievo occupano le DeeMadri, dispensatrici di vita e fertilità. La dea-madre dei
Russi settentrionali è Mat- Syra-Zmlya, nell’Egeo, nella Creta
preistorica e in Mesopotamia Ma o Mata equivale a " Donna di
ogni forma di vita e di fertilità". In Egitto Marca o Marica
significa vergine-madre e si potrebbe continuare ancora, ma si
uscirebbe fuori dall’argomento del capitolo. In effetti l’uomo
continua a rimpiangere una mitica età dell’oro.
Noi custodiamo a conti fatti
nella memoria i momenti nostalgici della gioventù, allo stesso
modo ogni generazione ha impressa la visione del paradiso
perduto. I nomi di Formiae, Pirae, Marica, Clanis, Ausona –
Aurunca, Falernus ager, Volturnum, Teanum, Cales riflettono
nei loro stessi nascosti significati di non semplice
decifrazione etimologica una storia mitica di fatti rilevanti
che la stessa storiografia greco-romana cristallizzò, non
senza solennità, negli scritti dei suoi storiografi e
annalisti , ora a giusta ragione criticamente valutati e
ridimensionati.Durante la guerra latina (340-338 a.C.),
Volsci, Sidicini e Aurunci, con Latini e Campani si
rivoltarono fieramente a Roma. Gli Italici infelicemente ci
rimisero le penne . Nei Fasti Trionfali si rammenta il trionfo
dei consoli Manlio Torquato e Decio Mure per il 340 a.C., anno
in cui il territorio a nord del Volturno si configurò in Ager
Falernus. Malgrado la raggiunta alleanza con i Romani, nel 337
a.C i Sidicini si scatenarono contro gli Aurunci
costringendoli a fuggire da un loro oppidum. Aurunca ,la
capitale, fu incendiata e rasa al suolo. I superstiti si
rifugiarono nel centro fortificato di Suessa, loro confederata
. E così si chiamò Suessa Aurunca per differenziarla da Suessa
Pometia, volsca. I Sidicini si insediarono nelle contrade
dell’alta Campania, dove in seguito edificheranno Teanum ,
loro grande centro di riferimento politico ,militare,
religioso, commerciale. Sempre conservando il peculiare
carattere distintivo di un popolo forte, agricolo e guerriero.
Si sovrapposero quindi agli Ausones in un processo di fusione
interattivo. Esplorazioni effettuate intorno al 1980 a
Torricelle hanno permesso infatti focalizzar in quest’area,
VIII – VII secolo a.C. elementi probatori dell’interessante
civiltà ausonica, dalla purtroppo infelice frammentarietà
conoscitiva .La disposizione dei due depositi , scoperti con
indagini scavatorie e la loro prossimità a impetuosi torrenti
, hanno fatto giungere alla conclusione dell’esistenza di un
santuario rurale , consacrato a una divinità femminile ,
connessa agli Ausones , il mitico popolo delle fonti. Durante
il secolo seguente il territorio assiste al progressivo e
graduale insediamento sidicino. Allo sviluppo della civiltà di
questi nostri antenati contribuirono elementi e cause di
diversa origine che si concretizzarono poi in monumenti,
edifici pubblici e privati, sterminate necropoli e manufatti
di meravigliosa lavorazione. Si organizzò Teano in forma
autonoma, amministrata da propri magistrati, ottenendo un
ammirevole progresso, coniando propria moneta. Autori
classici: Polibio, Cicerone, Tito Livio, Strabone, Virgilio,
Stazio, Plinio e altri ancora ne parlarono nei loro scritti in
termini esaltanti.
Alla luce delle tante nuove scoperte i Sidicini di
Teano, dovrebbero giustamente essere conosciuti di più, anche
magari per rivitalizzare una Storia, come la nostra, che ahimè
resta sempre nella dimenticanza e magari pubblicizzare cio’
che abbiamo sotto i piedi.Il problema principale quando si
parla di Sidicini, così come di tanti altri popoli italici,
citati quasi esclusivamente dalle fonti storiche in relazioni
a eventi bellici e in momenti storici circoscritti è che la
ricerca sul territorio (in particolare attraverso ricognizioni
topografiche sistematiche e scavi archeologici) è di
fondamentale importanza per la conoscenza e la comprensione di
dinamiche religiose, politiche, belliche, sociali, culturali,
economiche e insediamentali. altrimenti del tutto sconosciute
o note solo attraverso brevi e occasionali citazioni di autori
antichi vissuti molti anni dopo gli avvenimenti descritti. La
ricerca interdisciplinare (storica, archeologica, topografica,
numismatica, epigrafica e via di seguito.), purtroppo risultas
spesso di difficile comprensione per i non addetti ai lavori.
E’ l’unico strumento in grado di soddisfare la nostra sete di
conoscenza..la necessità di rendere comprensibile a tutti
attraverso un linguaggio agevole i risultati della ricerca ed
è altrettanto importante in funzione, oltre che della
conoscenza, della conservazione e della valorizzazione del
nostro incredibile patrimonio.Altrimenti continuerà a restare
una perla nascosta e sottovalutata, un raro scrigno della
memoria. C`è una particolarità che non va dimenticata di
questo popolo. I Sidicini sono uno dei pochi popoli italici
che riuscì a conservare la propria originaria identità
culturale e per lungo tempo la lingua madre ( L’Osco), anche
dopo la romanizzazione. In effetti anche gli aspetti religiosi
sembrano configurare l’impressione riscontrabile dai fatti
artigianali circa la connotazione di quest’area come gelosa
tutela della propria autonomia culturale e politica. La
comunità sidicina, infatti, pur avendo frequenti e proficui
rapporti con" l’estero", è stata in grado di rielaborare le
esperienze, le mode artigianali e artistiche esterne, le
modalità cultuali in forma propria, del tutto originale,
autonoma, pregiata. L’antico popolo dei Sidicini visse in pace
nel suo vasto e ameno territorio, esplicandosi
nell’agricoltura, nell’artigianato, nel commercio fino a
quando dagli alti monti si rovesciò rovinosamente sulla
Campania l’aspro esercito sannita dal quale Teano e i Sidicini
furono aspramente impegnati e duramente provati. I Romani,
poi, fecero il resto, sottomettendola e romanizzandola.
La romanizzazione determinò una smisurata espansione
della città, la sostituzione progressiva e quasi indolore
della lingua nazionale con il latino che coesistettero per un
certo periodo e l’assimilazione di abitudini e costumi propri
dei Romani. L’antica, gloriosa città stato del popolo italico
diventò così una proiezione in scala ridotta della Metropoli
con tutti gli agi e i lussi che la caratterizzavano, anche in
età tardo romana. Conservò dignitosamente lo splendore di un
tempo fino alla ricontrazione difensiva sul colle,
imperversando le invasioni di popoli forti desiderosi di terre
generose e lussureggianti.
Giulio De Monaco
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