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Da Torino, ottobre 2008
La pratica filosofica nella formazione dei nuovi insegnanti
Anche nell’a.s. 2008/2009 le studentesse di Scienze della Formazione Primaria dell’Università di Torino
sono entrate nelle scuole dell’infanzia e nelle scuole primarie della provincia di Cuneo per continuare e
rinnovare il progetto di filosofia con i bambini denominato “Il setaccio dell’esperienza” che l’anno scorso
ha visto coinvolte 10 tirocinanti e che quest’anno conta già a settembre su un numero superiore, il doppio:
segno che il passaparola e la positiva esperienza hanno portato già dei piccoli frutti.
Ma non solo. Il progetto conferma ancora di più come all’interno del percorso di tirocinio possa trovare
spazio un modus operandi educativo trasversale rispetto alle discipline e ai campi di esperienza ai quali le
studentesse hanno l’opportunità di avvicinarsi attraverso l’osservazione partecipata e l’azione didattica
guidata dall’insegnante accogliente. Il Tirocinio, infatti, è concepito e vissuto come luogo di pratica riflessa
e di circolarità pratica-teoria-pratica: la realtà educativa concreta, nelle sue molteplici connotazioni, si
configura come oggetto privilegiato di osservazione, di analisi, di ricerca e di riflessione; un testo tutto da
leggere e da interpretare e, come ogni testo, oggetto di elaborazione di processi cognitivi, critici e metacognitivi. L’ambiente educativo, nella totalità dei suoi elementi, oggettivi e soggettivi e tutto quanto in esso
accade e si produce, nella dinamica delle relazioni, è anche luogo dal quale partire per interrogare la teoria
e i suoi modelli, accostarsi alla cultura, anche filosofica, con atteggiamento motivato, critico e
problematizzante, ricavare, dalle teorie, criteri di interpretazione e di spiegazione alla luce dei quali
ritornare alla pratica per ri-leggerla e reinterpretarla. Ogni ritorno alla pratica sarà, dunque un ritorno
mediato dalla riflessione e dalla rielaborazione personale e di gruppo, un ritorno, però ad un livello di
concettualizzazione più avanzato.
Ciò premesso, e alla luce dell’esperienza di filosofia con i bambini intrapresa lo scorso anno scolastico, già
oggi alcune studentesse hanno espresso il desiderio di scrivere la tesi di laurea proprio sulla filosofia con i
bambini, affrontando argomenti specifici che richiederanno non solo uno sforzo di riflessione teorica ma
anche l’impegno a sperimentare sul campo la pratica del filosofare, grazie alla collaborazione sempre
preziosa delle insegnanti accoglienti che da poco si sono avvicinate alla nostra Associazione. La ricerca
delle studentesse si occuperà di molteplici aspetti della filosofia con i bambini: le competenze dialogiche e
filosofiche degli insegnanti in Italia e all’estero (Francia, Spagna), i metodi e le pratiche filosofiche da
Lipman a Nelson, da Cosentino e Santi a quelle di Amica Sofia, i contenuti del vero, del bello e del bene, la
ricaduta educativa e didattica all’interno della scuola sempre più secondarizzata attraverso la
frammentazione in discipline a sé stanti, ecc…
Nell’attesa di nuove relazioni che testimonieranno le future esperienze e delle prime tesi, riporto alcune
riflessioni di studentesse che si sono letteralmente “buttate” con le loro insegnanti accoglienti in questa
rischiosa avventura pedagogica (molte di queste insegnanti continueranno a filosofare con i bambini anche
quest’anno, condividendo lo scopo dell’azione educativa in corso!).
Scrive Michela: «La relazione è un caposaldo della metodologia filosofica poiché la filosofia è anche un
sapere di relazione. All’interno di questa pratica di relazione non si trasmettono ai bambini le condizioni per
spiegare le cose che accadono ma si è nell’ottica di promuovere discorsi per cambiare le relazioni tra le
cose che accadono».
Così Manuela: «Ho sentito la metodologia come parte del mio essere e la considero utile per la funzione
docente, anche se ritengo che non tutti gli insegnanti possano ricorrere a questo metodo: credo che sia
necessario possedere una predisposizione naturale alla riflessione e la salda volontà di mettere in
discussione se stessi, la propria professione, di andare oltre la corazza fatta di consuetudini e certezze per
scoprire quanto labile sia la verità, quanto mutevole e transitoria la realtà, quanto fuggevole la vita
umana.»
Maria Luisa: «La discussione filosofica diventa quasi un gioco nel quale, insieme bambini e insegnanti, non
manipoliamo materiali, ma idee, parole con le quali creare nuova conoscenza». Infine Matilde, prossima
tesista sull’argomento: «Ho avuto la fortuna di incontrare durante il mio percorso di tirocinio e provare in
prima persona il risultato di trent’anni di sperimentazioni sull’argomento. Sono certa, non si può parlare di
semplice curricolo, programma o metodo, ma di vero e proprio movimento educativo. Una riforma
dell’educazione che trova nell’originaria attitudine alla meraviglia e nell’eterno interrogarsi i suoi principi
fondamentali.»
Le parole riportate sono solo alcuni stralci delle relazioni che le studentesse hanno scritto al termine della
loro esperienza.
Ecco le sintesi delle relazioni.
ALBERTO GALVAGNO
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Da Torino, ottobre 2008
Il Piccolo Principe: scoprire di essere unici
di Lorena Mollo
INTRODUZIONE
Il progetto “Setaccio dell’esperienza” prende avvio nel corso del mese di dicembre dell’anno 2007
con la presentazione da parte del promotore, il dott. Alberto Galvagno.
Dopo alcuni incontri formativi si procede alla sperimentazione. In questo caso la realtà scolastica
coinvolta è la Direzione Didattica II circolo di Alba, in particolare il plesso della Scuola Primaria di
Monticello d’Alba. L’intervento della scrivente è stato realizzato con i ragazzi della classe terza con
la collaborazione dell’insegnante Maria Luisa Ercole.
Nel complesso sono stati realizzati una decina di incontri. Alcuni più colloquiali, altri con una
maggior componente pratico-espressva. (attività con pasta di sale, grafico-pittoriche).
Lo sfondo e l’input delle conversazioni è stato rappresentato dalla lettura di alcuni capitoli di Il
Piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry.
SITUAZIONE INIZIALE
L’avvio del progetto è stato fortemente carico di entusiasmo, quanto di timori.
L’entusiasmo era legato alla consapevolezza delle potenzialità di tale proposta. Strumento per
aiutare i ragazzi a compiere una distinzione tra ciò che è conoscenza da ciò che è autocoscienza,
autoconsapevolezza. Percorso nel quale offrire la possibilità di andare al di là della lettura come
analisi del testo, ma come principio per un confronto e un di stanziamento da se stessi.
I timori erano legati alla consapevolezza del non facile ruolo di mediatore svolto dall’insegnante.
L’ideal-tipo, il “dover essere” di tale figura comprendeva diversi ruoli:
- facilitatore dell’espressione di se stessi,
- sostenitore del confronto
- aiuto nel mettersi in discussione
- trascendere il livello empirico della lettura dei fatti per compiere un’analisi “meta”
Per usare le parole di L. Guast,i “la qualità dell’intervento didattico di tipo socratico dipende,
essenzialmente dalla qualità delle domande poste dal docente facilitatore”.
Tuttavia ero anche consapevole che qualsiasi tipologia di studio non avrebbe potuto formarmi in
modo così specifico se non sperimentandomi con la pratica.
OBIETTIVI E METODOLOGIA
L. Lavelle attraverso una distinzione di pensiero e parola riassume significativamente l’obiettivo
della filosofia per bambini: “Il linguaggio non è, come spesso si crede, il vestito del pensiero, ma il
suo vero corpo […]. Il pensiero non sarebbe nulla senza parola.”
L’obiettivo trasversale a tutto il progetto è “pensare meglio e in modo autonomo”. Tale esperienza
vuole offrire la possibilità di comprensione perché va alla radice delle questioni e non da nulla per
scontato. Aiuta a tessere le cornici concettuali che permettono di agli studenti di dotare di
significato la loro esperienza aiutandoli a capire. Inaspettatamente il progetto si è rivelato anche
un esercizio di pratica democratica. Infatti numerose sono state le situazioni in cui sono sorte
diatribe legate a chi dovesse svolgere un determinato incarico (leggere/fare il diario, leggere le
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frasi significative o per le difficoltà create da ragazzi che disturbavano l’attività). Anche tali
situazioni sono state oggetto della nostra conversazione ascoltando diverse proposte e
individuando quella preferibile.
Dal punto di vista metodologico l’attività ipotizzata in collaborazione con l’insegnante accogliente
è stata organizzata ne seguente modo:
- familiarizzazione dei bambini con la storia
- individuazione dei temi e delle questioni che si ritengono più significative
- anali e discussione dei temi individuati, cercando di progredire nella profondità delle
discussioni
SETTING
Gli incontri con i ragazzi sono stati realizzati presso l’aula polifunzionale del plesso della Scuola
Primaria di Monticello d’Alba. Si tratta di un ampio locale, per metà occupato da tavoli e sgabelli e
per metà libero. Quando i ragazzi, accompagnati dalla loro insegnante, arrivavano, trovano le
sedie disposte a forma circolare.
Al centro venivano collocati oggetti simbolici attinenti al tema trattato nella lettura del giorno.
All’interno del cerchio un posto veniva sempre riservato ad un pannello, su cui, di volta in volta,
venivano applicati le frasi più significative.
La scansione temporale degli incontri, che avvenivano solitamente nel pomeriggio, s è
progressivamente consolidata secondo la seguente scaletta:
- arrivo dei ragazzi
- accoglienza/saluto dei ragazzi
- disposizione nel cerchio
- lettura del diario e delle frasi significative
- analisi e ipotesi degli oggetti presenti
- lettura del “piccolo principe”
- confronto-analisi-collegamenti
- attività distensive (es. grafico-pittoriche)
- saluto
Il fatto che i ragazzi all’inizio fossero muniti di un cartoncino su cui era scritto il loro nome e che
tenevano di fronte a loro mi è stato di grande aiuto poiché mi ha consentito un “riconoscimento”
immediato e ha facilitato la fluidità della conversazione.
FARE FILOSOFIA CON I RAGAZZI: tra teoria e pratica
Cogliere, suscitare domande…e le risposte?
L’insegnante, o meglio, chiunque intenda impostare un’attività di questo tipo, svolge una funzione
importante che va al di là dell’ascolto, pur fondamentale, e aiuta le domande a farsi meno
generiche, più precise, più logiche , più utili.
Innanzitutto è importante come viene accolta e capita la domanda del bambino; al suo possibile
significato, all’opportunità di non fermarsi ad una interpretazione letterale. La questione non
riguarda soltanto che cosa mi chiede il ragazzo , ma, piuttosto, il perché, in quel momento il
ragazzo mi chiede una determinata cosa. Il come me lo chiede segnala, in molti casi, il grado di
importanza che la domanda può assumere nel suo percorso evolutivo.
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Ne consegue che le nostre risposte possono muoversi su un doppio binario: quello del contenuto e
del suo significato. Difficile risulta per tale ragione cogliere e considerare sia il significato
esperienziale che la domanda riveste per il ragazzo sia la valenza che la stessa domanda assume
per l’adulto.
Su questa linea i dubbi non risultano ancora finiti. Infatti di fronte ad alcune domande ci si chiede
se esista una risposta più giusta…e ciò vale sia per l’insegnante che per i ragazzi. Risulta quindi
evidente che le diverse idee, ipotesi non possono essere trascurate, ma, al contrario vanno
esplicitate discusse e confrontate.
Interessante è vedere come l’esplicitazione di alcune domande rappresentino solo la parte
emergente dell’iceberg, a cui soggiace un groviglio di interrogativi. La formulazione di ipotesi di
spiegazione a interrogativi emersi delinea la propria personale visione della realtà, la quale nel
momento stesso in cui viene condivisa e confrontata può essere precisata, cambiata, riformulata.
Quindi se ne deduce che il fine non è trovare una risposta, ma imparare a interrogarsi sulle cose, a
cercare spiegazioni, ad usare il pensiero in maniera più rigorosa, a superare a facile risposta del
“perché sì” per cominciare a distinguere la casualità dalle causalità, il probabile e il necessario: ci si
propone di aiutare i bambini a “pensare sul pensiero”.
Significativa a tal proposito mi sembra il pensiero di Cartesio: “Non c’è nulla che sia interamente in
nostro potere tranne i nostri pensieri; ne segue che ci si debba sforzare di cambiare e vincere se
stessi piuttosto che l’ordine del mondo.”
ASPETTI CRITICI
Le difficoltà maggiori sono state registrate a livello metodologico. Infatti il dubbio su cui
tirocinante e insegnante accogliente hanno riservato le maggiori riserve riguarda la scelta
compiuta nel momento in cui la prosecuzione dell’attività arrivava ad un bivio. Le possibilità di
scelta sembravano limitarsi a:
- proseguire la discussione che coinvolgeva pochi ragazzi ma che riguardava una questione
piuttosto profonda
- continuare il confronto rimanendo ad un livello di profondità minore ma in grado di
coinvolgere tutto il gruppo
Tale dubbio è stato risolto di volta in volta considerando anche altri fattori: livello di stanchezza,
tempo a disposizione, possibilità di continuare il discorso con il piccolo gruppo offrendo la
possibilità a chi non fosse interessato di fate un altro tipo di attività (es. disegno)…
Per quel che concerne l’uso del Piccolo Principe, si è trattato per alcuni versi di una risorsa, per
altri di un limite. Alcuni ragazzi spesso facevano difficoltà a slegarsi dalla narrazione per giungere
ad un livello di pensiero superiore. Inoltre, devo ammettere, che all’inizio personalmente è stato
fonte di rassicurazione. Tuttavia, dovessi ripercorre un’esperienza simile, penso che non mi
limiterei all’uso di un unico supporto cartaceo (il libro e la storia) se non come pretesto iniziale, ma
di più risorse (quadri, poesie, spezzoni di film).
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ANALISI DI ALCUNE CONVERSAZIONI DEI RAGAZZI
Magritte, “Pensiero che vede”
“Le domande orientano la ricerca delle risposte: collocano il problema in un orizzonte di senso che lo
include e lo trascende e suppongono l’assunzione di ipotesi almeno possibili. Ma la capacità di porre
domande richiede, come condizione previa, la libertà dell’impedimento delle opinioni e dei pregiudizi” (L.
Guasti, Apprendimento e insegnamento)
L’immagine e la frase citata sono stati gli elementi che a livello simbolico rappresentano la mia
esperienza vissuta. Qui di seguito analizzerò alcuni brani tratti dalle conversazioni con i ragazzi.
Maestra: Ma cosa significa per voi “essere come un naufrago in mezzo al mare?”
Amin: su una macchina in coda in città
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Stefano: come se esistesse solo lui al mondo
Chiara: nel bosco perché ti perdi non c’è nessuno…non so dove sei…e ho paura
Simona: nel deserto, nella foresta
La versatilità del pensiero, l’interpretazione che ognuno da alla realtà è diversa e si lega ad uno
specifico significato esistenziale.
Ogni bambino è riuscito a capire quale tipo d sentimento provasse il Piccolo Principe con le parole
“mi sentivo solo come un naufrago in mezzo al mare” e hanno individuato delle immagini
rappresentative.
Interessante è la versione offerta da Amin; in questo caso fa riferimento ad una situazione di
solitudine che però non esclude la vicinanza fisica. La città presuppone la presenza di molte
persone e la macchina è guidata da qualcuno. Spesso la presenza delle persone può essere così
poco significativa da non essere percepita.
Marco: Noi capiamo tutto e i grandi no
Alberto: è così!…senza offesa ( rivolgendosi alle insegnanti)
Maestra: !?!?
Marco: non capiscono perché tribulano, non capiscono
Chiara: i grandi non capiscono le cose perché non hanno tempo per fermarsi un attimo e non possono
pensare alle cose fantastiche
Si corre sempre… non si sa bene perché, ma si è in perenne lotta con il tempo per impedirgli, con
il suo fluire, di sottrarci qualcosa di importante, qualcosa che avremmo dovuto fare e che
avvertiamo come irrimediabilmente perduto. Ciò fa riflettere anche sull’uso del tempo nella
scuola. Diventa difficile conciliare l’attenzione al pensiero e alla riflessione in un contesto spesso
caratterizzato da una rincorsa del tempo. Un’attività di tal genere presuppone una riconciliazione
con il tempo. Imparare a stare nel tempo senza sentirci fuori è un esercizio difficile, è una sorta di
negoziazione con se stessi.
Un elemento che dovrebbe indurci a riflettere è che tale modo di essere viene percepito e
trasmesso, inconsciamente, ai ragazzi.
Fondamentale è quindi imparare a vivere il tempo, non a vivere nel tempo.
Soprattutto per un insegnante dovrebbe essere chiara l’importanza delle dimensioni temporali.
Esiste un tempo per pensare, per agire, per sperare. Spesso, purtroppo, sembra esistere solo la
dimensione dell’agire… forse perché il compiuto è la parte più visibile in termini di produttività.
Quindi obbedendo ad una logica piuttosto materialista-economicista potrebbe sembrare poco
produttivo riflettere e pensare.
Negando tale dimensione viene meno il rapporto dialettico che consente ad ogni persona di
potersi confrontare, migliorare e quindi sperare in un futuro migliore. Ancora…
Maestra: conosci qualcuno che si lamenta che ha poco tempo libero?
Aurora: mia mamma, perché dice che gli danno pochi giorni di ferie
Maestra: e per fare cosa?
Aurora: per riposarsi
Milena: il fiore è amico, il re lo trattiene. Per esempio faccio amico a Simona e non voglio che va con
qualcun altro…devi lasciarla andare... come ha fatto il fiore!
Voler bene a una persona significa volere il bene di quella persona, che può anche significare
lasciare che se ne vada. Quando Milena ha fatto questa affermazione mi sono stupita della sua
sensibilità. Sicuramente il fatto di essere straniera e di essersi trasferita da poco in Italia, lasciando
persone per lei molto significative nella sua terra di origine ha contribuito a farle compiere una
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maturazione emotivo-affettiva precoce. Sarebbe stato interessante approfondire tale tematica
con tutti i suoi sinonimi: abbandono, distacco, elaborazione del lutto, possesso. Tale argomento
riguarda anche il discorso più generale del rispetto della persona e quindi del modo si stare con gli
altri. A tal proposito…
Marco: no, perché così non è trattare un amico, lo fa solo per non stare da solo per avere compagnia
In alcuni casi i rapporti che stabiliamo con altre persone sono, più o meno consciamente, volti
all’appagamento di un bisogno personale. Si tratta di una questione di onestà, sia nei confronti
degli altri che di sé stessi….
Miriam: non devi dire le bugie e devi continuare a non dirle altrimenti la perdi…
Simona: e quando ci si affeziona a una persona si ha paura di perderla
I rapporti tra le persone visti sotto il duplice aspetto di legame e dono e la difficoltà di raggiungere
un equilibrio. Per i ragazzi una dimensione relazionale vissuta intensamente in questa fase è
l’amicizia. Quest’ultima è un legame indispensabile tra due persone e ha bisogno di equilibrio. È
un pezzo del puzzle che compone una persona. I veri amici trovano i tuoi difetti e te li fanno
notare, invece i nemici trovano i nostri difetti e li fanno notare agli altri. La scelta, spesso
inconsapevole, è tra lasciare liberi anche di fronte ai pericoli o chiudere sotto una campana di
vetro, con l’intento o il pretesto di proteggere. Spesso la difficoltà nel creare legami stà proprio nel
timore di perderli. Questo timore è giustificato dalla consapevolezza del percorso di ogni
esperienza umana: la nascita, l’attaccamento/legame, la morte/fine dell’esperienza. Il legame
implica un’intensa attività emotiva: “Tu sarai per me unico al mondo e io sarò per te unica a
mondo” spiega la volpe al Piccolo Principe.
Usando le parole di Ricoeur: «Gli atti privati o pubblici di generosità, sempre sospettati di
conformarsi segretamente alla logica commerciale, non troveranno la loro legittimazione ultima se
non nella ricostruzione di un legame di reciprocità, al di là della rinuncia alla riconoscenza e alla
restituzione».
Ne consegue l’importanza del valore della gratuità, intesa come incondizionalità del dono di sé e
non come indifferenza alla risposta. Per usare le parole di P. Sequeri, il dono rappresenta
l’intreccio, nella offerta e nella risposta, tra la dimensione affettiva della relazione donante (la
libertà e la gratuità come la stoffa e la qualità della relazione) e la preoccupazione per il legame
responsabile (i vincoli della relazione) in vista della durata, stabilità e solidità del rapporto. Infatti il
dono è sempre una forma di scambio e di corrispondenza il cui fondamento è la qualità umana dei
rapporti.
Maestra: quando il PP dice che gli uomini non sono originali, cosa vuol dire?
Davide: originale vuol dire normale
Maestra: tu sei originale?
Stefano: è il primo esempio, perché se c’è una tecnica di moltiplicazione del corpo queste non sono più
originali
Ivan: è quello vero
Enrico: il libro è una copia
Maestra: forse vuoi dire che non è la prima copia, è una fotocopia di un primo modello
Alessia:un vestito che ho appena finito è originale, se lo metto tante volte non lo è più
Maestra. Voi vi sentiti originali?
Alessia: siamo tutti originali, ma i più originali sono i bambini piccoli perché sono appena usciti dalla
pancia e non si sono fatti male
Enrico. Anche adesso siamo originali, mica cambiano le persone quando crescono
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Alessia: una persona se si fa le unghie finte, le labbra gonfie non è più originale
Maestra: Alessia dice che chi si gonfia le labbra non è più originale, ma invece io penso che alcuni si
“gonfiano” per essere più originali..
Matteo: il primo che hai davanti è quello più originale di tutti
Maestra: quindi la prima versione, insomma
Maestra: ma chi è che si sente originale?
Alessia: io sono originale, per il cervello! Nella matematica tutti facciamo i dati uguali, ma le risposte no!
Milena: io non so se mi distinguo dagli altri perché vengo dall’argentina
Aurora: Originale vuol dire che ha una sua personalità..mia cugina Viviana che è molto bassa perché fa la
quarta elementare e ha 9 anni
Milena: c’è una cosa che ci contraddistingue e ognuno ha una cosa diversa dagli altri
Alessia: E La statura non conta!
L’argomento offre molteplici spunti di riflessione. Ognuno è originale per il fatto stesso di essere
unico. Scoprire di essere originale significa avere una buona autoconsapevolezza e buona stima di
sé. Presuppone la capacità di farsi oggetto a se stessi, vedersi dal di fuori. Rappresenta anche
l’immagine che il contesto in cui viviamo ci rimanda, riflette. Quotidianamente modelliamo la
nostra identità sulla base dei feed-back che le interazioni con le persone ci restituiscono. Tuttavia
tali feed-back non sempre riflettono correttamente e ciò può creare non poche difficoltà. Se
pensiamo alla teoria della profezia che si auto-adempie, ognuno è condizionato dai modi in cui
viene definito. Problemi non indifferenti si possono creare per una personalità in via di sviluppo
sia in termini di sopravvalutazione che di sottovalutazione .
Sarebbe interessante provare a chiedere ai ragazzi di dipingere se stessi in due versioni: come vi
vedete e come vi vedono gli altri e successivamente analizzare le differenze.
“Per liberarci basta aiutarci l’un l’altro a prendere coscienza di un fine che ci lega gli uni agli altri,
tanto vale cercarlo laddove ci unisce tutti. Il chirurgo che visita il paziente non ne ascolta solo i
lamenti, attraverso costui cerca di guarire l’uomo. Lo stesso fa il fisico quando medita sulle
equazioni quasi divine per mezzo delle quali afferra al tempo stesso e l’atomo e la nebulosa. E così
via sino al semplice pastore. Poiché questi, vegliando modestamente alcuni montoni sotto le stelle,
se diviene conscio della parte che svolge, scopre di essere qualcosa di più di un servo. E’ una
sentinella. E ogni sentinella è responsabile di tutto l’impero” ( Saint-Exupéry)
CONCLUSIONI
Mi piace pensare l’esperienza di filosofia per bambini come una comunità di ricerca. In cui le
proposto vengono condivise e la forma di realizzazione non deve essere per forza prevista
anticipatamente. Solo In tale dimensioni i ragazzi hanno la possibilità di esprimere se stessi, di
esplicitare perplessità e dubbi, pur sapendo che questo non è il contesto in cui si trovano le
risposte ma una dimensione in cui è possibile rendersi conto delle risorse racchiuse in un contesto
comunitario in cui ognuno mette a disposizione se stesso.
Tale esperienza mi ha reso consapevole del fatto che spesso alcune dimensioni della realtà,
nonostante siano percepibili ai nostri sensi, non giungano alla nostra mente, alla nostra
consapevolezza. Tali limiti possono essere paragonati a una sorta di para-occhi che ci impediscono
di vedere altri aspetti del reale. Una strada percorribile per giungere a una maggior
consapevolezza è rappresentata dal confronto, dalla conversazione attraverso il sentimento
dell’umiltà e della disponibilità.
Al termine del progetto mi sono anche resa conto che tale “modo di essere” risulta riduttivo se
circoscritto a specifici progetti finalizzati. In realtà penso debba diventare una forma mentis con
cui rapportarsi in un contesto educativo. prossimità con gli altri.
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QUANDO MAI CI è CAPITATO DI PENSARE AL PENSIERO?
di Matilde Donfrancesco
“La scuola insegna risposte, spesso a domande che non ci siamo mai poste, ma è la domanda e non
la risposta il vero motore della ricerca e della costruzione del sapere. Amiche della domanda sono
sia la curiosità infantile sia la condotta filosofica. E se l’infanzia genera l’interrogazione nella sua
radicalità, la filosofia insegna a mantenersi nell’interrogazione, per non seppellire il cervello tra le
opinioni diffuse, che rispondono non tanto alle nostre domande, quanto al desiderio di evitare il più
possibile la fatica del pensiero” Umberto Galimberti
Il curricolo “Philosphy for Children” (spesso abbreviato in P4C) nasce negli Stati Uniti all'inizio
degli anni Settanta grazie a Matthew Lipman, allievo di J. Dewey e professore di logica alla
Columbia University. Durante i suoi anni di insegnamento, Lipman aveva constatato come per i
suoi allievi la logica risultasse disciplina piuttosto complicata. Mancavano infatti di capacità
critiche e argomentative, prerequisiti importanti per affrontare non solo gli studi filosofici, ma ogni
processo di formazione individuale.Il motivo per cui gli studenti evidenziavano queste carenze era
indubbiamente da rintracciare nel fatto che, nel loro curricolo formativo, c’era stato poco spazio per
un esercizio critico e riflessivo del pensiero.La sua missione fu quella di recuperare il senso della
filosofia coma pratica quotidiana di ricerca. Egli prese le distanze dall’insegnamento tradizionale
facendo leva sull’insoddisfazione crescente di quegli anni culminata, come noto, nella rivolta
studentesca del 1968. In realtà ciò che più colpì il professore della grande battaglia libertina fu lo
scarso ricorso alla ragione delle parti in lotta, motivo che lo portò a nutrire seri dubbi sull’utilità
dell’insegnamento della filosofia rispetto ad aspettative come la criticità del pensiero, l’autonomia
del giudizio e la ragionevolezza della prassi. Se l’educazione aveva come finalità quella di
insegnare ai giovani a pensare, come mai produceva tanta irrazionalità nei comportamenti?
La risposta era semplice (e lo è tuttora!):la scuola si occupava della sfera del pensiero quando ormai
era troppo tardi, quando lo sviluppo mentale già volgeva al termine.
La parola chiave divenne ATTIVISMO PEDAGOGICO. Lipman pensò di costruire strumenti e
materiali al fine di favorire l'incontro dei giovanissimi con temi che stimolassero la ricerca, il
confronto, l'apertura alla dimensione filosofica. Cominciò a scrivere dei racconti in forma dialogica
che inducessero i lettori a porsi delle domande, a discutere, ad argomentare, a dialogare. Il primo
racconto pubblicato fu Harry Stottlesmeier's Discovery adatto ai ragazzi della scuola media e, dopo
una sperimentazione condotta con successo, Lipman compose, man mano, racconti rivolti ai
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bambini della scuola materna, elementare, media e per i ragazzi di scuola superiore. Tutto ciò lo
portò a fondare negli anni Settanta, con alcuni collaboratori tra cui ricordiamo Ann Margaret Sharp
e Frederick Oscanyan, l'Institute for the Advancement of Philosophy for children.
Ho avuto la fortuna di incontrare durante il mio
percorso di tirocinio e provare in prima persona il
risultato di trent’anni di sperimentazioni
sull’argomento. Sono certa, non si può parlare di
semplice curricolo programma o metodo, ma di
vero e proprio movimento educativo. Una riforma
dell’educazione che trova nella originaria attitudine
alla meraviglia e nell’eterno interrogarsi i suoi
principi fondamentali.
Mi sono chiesta quale fosse il suo principale punto
di forza arrivando a ritrovarlo nel concetto di
Comunità di Ricerca. I componenti di questa
comunità partono dal dubbio, attivando una ricerca
soggettiva ed intersoggettiva. I risultati non sono il
frutto di chiacchiere banali, ma di un dialogo disciplinato e logico.
Ma vediamo in sintesi i punti essenziali per portare i bambini a “filosofare”:
Contesto: lo spazio comunicativo va curato con particolare attenzione. Si propone una disposizione
a struttura circolare, senza cattedra e senza banchi, al fine di permettere un registro colloquiale di
tipo confidenziale e rendere possibile un'azione comune. In questo modo il numero dei partecipanti
risulta armonicamente collocato secondo postazioni equidistanti e ravvicinate; lo spazio interno a
questo cerchio è quello del dialogo intersoggettivo di ognuno e di tutti.Agli incontri presenziano
anche uno o due osservatori, con il compito di verbalizzare l'intersa sessione, gli interventi del
docente-facilitatore e dei bambini.
Ogni territorio narrativo ha bisogno di un suo ambiente, per cui la prima cura è dedicata
all'ideazione e alla costruzione del setting, alla cornice in cui sono attivate le logiche narrative e i
pensieri dei bambini.
Momento introduttivo: le attività di riscaldamento sono utili per creare un clima emotivamente
caldo, per unire il gruppo e far sì che i bambini si sentano a proprio agio nello scambiarsi le idee e
nel prendere parte alle attività dialogiche. Giochi di ascolto e di relazione, rituali importanti, che,
immediatamente riconosciuti dai bambini, segnano l'inizio ludico degli incontri.
Lettura: Svolte le azioni di tipo organizzativo, il facilitatore presenta il materiale su cui la comunità
andrà sviluppando la ricerca. Il programma prospetta diversi testi in forma narrativa. Le storie
propongono situazioni problematiche emergenti dall'esperienza di tutti i giorni, che i protagonisti
(adolescenti, adulti, bambini, animali) tentano di interpretare attraverso la riflessione e la
discussione in comune, partendo dall'episodio circostanziato fino a raggiungere questioni di natura
filosofica.
Mappa: Dopo aver ascoltato la lettura del testo e aver partecipato ad essa come gli altri, il
facilitatore svolge la sua specifica funzione di stimolo ponendo domande per acquisire le prime
reazioni dei lettori, la prima risposta della comunità di ricerca al testo. I membri della comunità
porranno delle questioni, muoveranno delle convinzioni, giungeranno alla formulazione di alcuni
quesiti. La raccolta dei quesiti, l'insieme delle domande dei soggetti coinvolti costituiranno la
mappa. Il facilitatore scrive su di un cartellone/lavagna le domande: è la mappa delle aree di
interesse degli studenti.
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Siamo così giunti alla fase rappresentata dall'esame di gruppo delle reazioni individuali mediante
discussione guidata. Si tratta di un momento particolarmente importante. L'intera comunità di
ricerca osserva la mappa e attraverso gli stimoli del facilitatore svolge un'analisi tematica delle
domande presenti. A questo punto è possibile che il facilitatore inviti la comunità a domandarsi se
all'interno della mappa esista un prevalente tema d'indagine. Se esistono queste prevalenze ecco che
si possono formulare nuove domande in grado di coniugare i temi più indagati con la posizione
euristica più ricorrente. In questo modo la comunità prosegue nel suo cammino tenendo insieme il
percorso di ognuno ma al tempo stesso valorizzando il sentire collettivo.
Problematizzazione: Non è facile sollecitare a pensare, è più un'arte che una tecnica. Si tratta di far
emergere le questioni esponendole sotto forma di domanda. Lo scopo fondamentale del domandare
è quello di presentare punti di vista differenti. Le possibili risposte o gli approdi raggiunti è bene
che non abbiano la caratteristica della assoluta perentorietà. Importante è la coerenza della
discussione, e la sua profondità filosofica che la differenzia da una semplice chiacchierata.
Valutazione e conclusioni. Credo che il progetto vada adattato alla situazione e soprattutto debba
essere confezionato a misura dei bambini che si hanno di fronte. È per questa ragione che vedo nelle
tappe sopra elencate una sorta di traccia da seguire e modellare piuttosto che una rigida sequenza di
azioni.
L’esperienza vissuta è stata condotta in due classi Quarte della Scuola Primaria di Monticello
d’Alba : 28 testoline diverse, ma tutte ben disposte a condividere i pensieri con il gruppo. Le porte
erano già state aperte dalle due insegnanti delle classi che hanno condiviso con Paola e me
l’avventura: Marida e Laura. È stato facile per noi inserirci in un contesto già aperto al dialogo ed
abituato a porsi domande senza lasciarle cadere nel vuoto.
Abbiamo lavorato, attraverso sessioni di quattro ore settimanali, partendo dal “Mito della Caverna”
di Platone e, successivamente, prendendo spunti dal progetto che la classe stava seguendo in vista
dello spettacolo di fine anno: Agorafonia. Si trattava di lavorare principalmente sui quattro elementi
(acqua, aria, terra, fuoco) che, con i giusti adattamenti, si sono prestati ugualmente alla conduzione
dell’ultima parte della nostra esperienza.
Inizialmente scettica sulla possibilità di lavorare attraverso l’opera si Platone (che consideravo
troppo complicata e linguisticamente difficile), ho dovuto ben presto ricredermi. Posso ora
affermare che nel Mito si concentrano i pensieri più profondi dell’animo umano. Il Mito è pieno si
sottili metafore e aperto ad una pluralità di interpretazioni. Tra gli argomenti più interessanti su cui
ci siamo soffermati con i bambini troviamo: la possibilità di sentirsi insoddisfatti/curiosi e liberarsi
dalle catene, il potere della televisione che inganna, il sottile gioco dell’apparenza, la difficoltà nel
cercare di essere creduti…
Particolare attenzione è stata rivolta all’introduzione degli argomenti al fine di creare il clima adatto
all’incontro.
Rivedendo a posteriori il lavoro fatto penso sia mancato un importante momento valutativo ed
autovalutativo. (Ex:utilizzo di simboli per manifestare gradimento o meno). Penso che invitare i
bambini ad elaborare concetti conclusivi sulle tematiche affrontate sia importante. Attenzione, non
si parla di concetti che chiudano la discussione in modo rigido e definitivo. La necessità non sarà
mai quella di arrivare ad un punto fermo, ma il tentare sempre di trovare nuove soluzioni.
Avevo sottovalutato, all’inizio del lavoro con la classe la componente emotivo-affettiva che sarebbe
inevitabilmente scaturita dal vissuto dei bambini. Ammetto di essermi trovata in difficoltà
nell’affrontare, in alcuni momenti la loro completa sincerità. Attraverso la valorizzazione del
dialogo i bambini mettono a nudo se stessi e spesso portano nel gruppo paure, idee, emozioni,
sentimenti, vissuti in prima persona. Un’opportunità unica che l’insegnante non può farsi scappare:
nella comunità si impara insieme a gestire i propri ed altrui processi emozionali, imparando a
conoscere se stessi.
Da Torino, ottobre 2008
12
Ma quale è stato il nostro ruolo?
“Non si tratta tanto di aiutare l’interlocutore a generare una verità che in qualche modo già possiede
implicitamente, bensì di un generare insieme, in cui l’educatore si fa discente con l’educando in un
processo di ricerca comune, rispetto al quale egli non si segnala per la capacità di prevedere in
anticipo i risultati, ma per il solo vantaggio di conoscere meglio la via attraverso la quale
conseguirli” (L.Guasti, Apprendimento e insegnamento)
In questa prospettiva l’insegnante cessa di
essere colui che intende trasmettere nozioni e
competenze a chi non le possiede e diviene
parte integrante della comunità di ricerca , con
un ruolo paritario, capace di porsi in modo
confidenziale, mostrandosi in grado si
riconoscere le varie identità e di valorizzare i
talenti di ogni partecipante. Senza imporsi o
imporre regole, non emette giudizi di valore.
Ascolta, non fornisce risposte, sollecita e
facilita il dialogo. Deve saper utilizzare in modo
consapevole le domande rinviando la
responsabilità di trovar da soli le risposte.
Diventa, insomma, un compagno di ricerca.
“Alla domanda del discepolo che gli chiedeva: “Puoi guidarmi?”, Socrate risponde: “Sì. Però
dobbiamo cercare insieme il mondo in cui si diventa migliori il più possibile. Ciò che affermo sulla
necessità dell’educazione, infatti, non si applica soltanto a te e non a me.” (Platone, Apologia di
Socrate)
Necessario, per una simile “missione”, una formazione adeguata. Quest’ultima diventa essenziale al
fine della buona riuscita della pratica didattica.
Quella da noi seguita, per quanto breve, ha avuto come obiettivo primario la promozione di
competenze riflessive contrapponendosi in maniera netta ad una formazione “utilitaristica” (che
mira all’incremento di competenze cognitive finalizzate al raggiungimento di determinati scopi).
Certo è che in un’epoca affetta (o afflitta?) dall’arte dell’utilitarismo, dove tutto deve mirare ad un
prodotto immediatamente spendibile, fatica a trovar posto quel pensare non strumentale che
trasforma il vissuto in significato.
Quali sono gli obiettivi della P4C?
L’obiettivo generale è quello di fornire un arricchimento culturale e concettuale , ma soprattutto
quello di migliorare le abilità specifiche della comprensione, dell’analisi, della soluzione dei
problemi, della valutazione critica delle situazioni. Nello stesso tempo, trasformando la classe in
“comunità di ricerca” favorisce lo sviluppo in senso democratico della dinamica di gruppo e orienta
in senso positivo lo sviluppo socio-affettivo.
-Educazione all’ascolto,
-educazione del pensiero,
-educazione alla prassi democratica,
-miglioramento del curricolo e della didattica,
-miglioramento processi logico-argomentativi,
-transfer positivo di atteggiamenti critici e riflessivi,
-miglioramento sfera affettiva ed emotiva.
Da Torino, ottobre 2008
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La P4C può (ed è quello che speriamo) avere una ricaduta sull’insegnamento ordinario. Si presenta
come base per innestare qualsiasi contenuto disciplinare. Immaginare, ascoltare, fare domande sono
inclinazioni naturali talvolta bloccate dall’avanzare della scolarizzazione. È naturale ed auspicabile
che i bambini (diventati comunità di ricerca) vogliano continuare ad interrogarsi anche al di fuori
delle sessioni sperimentali.
CHI è AMICA SOFIA? Nel 1992-1993 un
gruppo di nostri connazionali, tra cui Antonio
Casentino, Marina Santi e Maura Striano,
portarono in Italia la Philosophy for Children.
L'associazione "Amica Sofia" fondata a Perugia
nel 2002 riuniva insegnanti e studiosi che, nella
maggior parte dei casi, non avvertiva il bisogno
di fare riferimento al
modello rappresentato
dalla Philosophy for
Children (o, in ipotesi,
dalla Philosophy for
Kids), ma si dedicava
piuttosto all'esplorazione di "altre strade".
Questa associazione,
ormai confluita nella
nuova AMICA SOFIA,
era nata da una costola
della Società filosofica Italiana, sezione di
Perugia,
ha
espresso
una
Newsletter
promuovendo (nel 2005) il primo convegno
nazionale dedicato alla "filosofia con i bambini
e i ragazzi". Ha dato vita a una sezione campana e ha preparato il terreno per la nascita della
"nuova" AMICA SOFIA.
La molteplicità delle voci ha fatto percepire sempre più acutamente il bisogno di un punto di
raccordo e di una CASA COMUNE di tutti coloro che provano a "filosofare" con i minori: ed ecco
la "nuova" AMICA SOFIA, che si prefigge di costituire appunto questa casa comune di tutti coloro
che "fanno filosofia" con i bambini e i ragazzi, a prescindere dal modello al quale si fa riferimento.
PER SAPERNE DI PIU’
SITI INTERESSANTI:
● www.filosofare.org/index.htm : Filosofare: P4C - Sezione del sito Filosofare dedicata alla Philosophy
For Children. E' espressione del C.R.I.F., del quale ospita anche il bollettino, con interessanti articoli in
libera consultazione.
•
Austrian Center of Philosophy with Children (Austria) - Il sito, in tedesco, ha la traduzione inglese
di tutte le pagine. Le finalità del Centro (cui si affianca un Istituto di ricerca) riguardano da un lato
lo sviluppo cognitivo, dall'altro lato l'educazione multiculturale alla tolleranza e alla comprensione
reciproca. Logica e etica, nelle loro applicazioni formative e educative, sono gli ambiti tradizionali
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Da Torino, ottobre 2008
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della maggior parte dei programmi di P4C. Il Centro è impegnato anche nella realizzazione di
alcuni progetti nel quadro dei programmi della Unione Europea Socrates e Comenius.
www.cbfc.org.br/ : Centro Brasileiro de Filosofia para Crianças - Il Centro promuove la P4C
mediante una serie di iniziative illustrate nel sito. Offre anche un'ampia rassegna degli organismi
presenti in Brasile e una serie di links a siti sullo stesso argomento.
www.izar.net/fpn-argentina/ : C.I.Fi.N. (Argentina) - Centro de Investigaciones en el prográma
internacional Filosofía para Niños. Il sito è per adesso composto di un'unica pagina, anche se
molto lunga e ricca di contenuto informativo. Presenta informazioni generali sulla "filosofía para
niños" e sull'attività del Centro. E' interessante la descrizione, dettagliata, del curriculum proposto,
dai 3 ai 18 anni. Una tabella riassume i racconti proposti da Lipman, indicandone i contenuti e
mettendoli in relazione con l'età degli allievi e con gli ambiti filosofici trattati.
Filòpoli ( Spagna) - Un sito "operativo": non fornisce informazioni su centri o attività, ma presenta
un ricco materiale direttamente utilizzabile. E' orientato più ai ragazzi che ai bambini e alcune
pagine di logica, ad esempio il Paradosso di Protagora, o quella sulla "Lògica binària i lògica
borrosa", possono essere utili anche per l'insegnamento liceale. Particolarmente interessante è la
sezione "FiloNavegar": presentano dei temi (Il platonico Mito della caverna o un approccio alla
epistemologia kantiana, sviluppati in modo semplice e arricchiti da links di approfondimento a siti
più impegnativi.
Paideia (USA) - Contiene gli Atti del XX Congresso mondiale di filosofia. Una sezione è dedicata
alla Philosophy of Education, con numerosi articoli e brevi saggi (disponibili i testi integrali). Un
settore specifico è dedicato a Philosophy and Children, con numerosi articoli, in inglese e in
spagnolo.
www.sapere.net : Sapere (Gran Bretagna) - Sito a cura della Society for the Advancement of
Philosophical Enquiry and Reflection in Education. Presenta un programma di corsi di
"Philosophy for Children" e una rivista dedicata all'argomento (If ... then), con alcuni articoli che è
possibile prelevare in edizione integrale.
W3PC4 - Philosophy for Children in the World Wide Web. Il sito offre links a gruppi di discussione
on line e materiale didattico.
EHI, MI SENTITE?
di Paola Bonardo
È il punto numero 6 del manifesto diffuso dall’Unicef nel settembre del 2001 in cui si riferisce che
tutti i bambini e i giovani hanno il diritto di esprimere le proprie opinioni e di partecipare alle
decisioni che li riguardano. Gli adulti hanno il dovere di ascoltare e di agire di conseguenza.
Ma davvero siamo in grado di ascoltarli?
INTRODUZIONE E MOTIVAZIONE
Cosa mi ha spinto ad inserirmi in questo progetto? La frase espressa dal dott. Galvagno che bene
sintetizza il progetto “Il setaccio dell’esperienza”. E’ un progetto che serve per “Areare la mente” e
da questa ipotesi di partenza si potrà parlare anche di una “scuola al congiuntivo!!!”.
Un altro aspetto che ho ritenuto interessante riguarda la formazione prevista per poter avviare
tale progetto: una formazione che coinvolge sia gli insegnanti accoglienti, sia le studentesse. E
infine e non ultimi, i protagonisti dell’esperienza: i bambini e i loro pensieri.
Da Torino, ottobre 2008
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METODOLOGIA e RUOLO DELL’INSEGNANTE
Attraverso una capacità filosofica particolare di tipo socratico – dialogica o di tipo orientativa
l’insegnante deve porre le domande affinché il bambino possa specificare meglio le idee, i
concetti, i pensieri.
L’insegnante assume il ruolo di facilitatore e mediatore della discussione ed ha il compito di
favorire la partecipazione di tutti i bambini riconoscendo il valore di ciascuno, assume un
atteggiamento non direttivo, ma partecipativo e collaborativo, accoglie il pensiero di ognuno,
alimenta fiducia nelle possibilità di cambiamenti presenti in ogni bambino.
Il progetto “Il setaccio dell’esperienza” prevede l’osservazione partecipata in cui l’insegnante
accogliente e/o la studentessa sono impegnate ad annotare con registratore o su carta i pensieri
dei bambini, inoltre l’azione in aula ovvero gestire e condurre il laboratorio filosofico.
Il tirocinio svolto a Monticello nelle classi quarte A e B ha coinvolto le insegnanti Annucci Marida,
Dastrù Laura, le tirocinanti Bonardo Paola e Donfrancesco Matilde. Le classi sono composte da un
totale di 28 bambini e il tirocinio si è svolto sempre con il gruppo grande. La motivazione di questa
scelta è dettata da ragioni organizzative (compresenze, facilità a stimolare la discussione…)
Il mio percorso di tirocinio ha preso il via a partire dal mese di marzo e mi sono inserita nella fase
di lettura degli ultimi tre capitoli (la montagna, la notte, il cappello) del testo “C’è nessuno?” di
Jostein Gaarder e nel progetto di Agorafonia. Quest’ultimo è un progetto che nasce nell’ambito
delle iniziative previste dall’ex ministro Fioroni (in carica ancora nel momento di avvio del
progetto) che recepisce le indicazioni del Comitato Nazionale per l’apprendimento pratico della
musica, secondo il quale il ruolo educativo della pratica musicale scaturisce dalla constatazione
che l’essenza dell’apprendimento musicale risieda nella creazione e non nella replicazione. Tra gli
obiettivi del progetto cito: la creazione di un laboratorio musicale, sviluppare la musicalità di
ognuno, fare musica d’insieme, imparare ad ascoltare nella prospettiva dell’affinamento
dell’orecchio musicale e ad ascoltarsi, che è il presupposto di ogni relazione e di qualunque
processo educativo, la trasformazione di narrazioni mitologiche che riguardano la cosmogonia in
forma musicale e infine la produzione di lavori di espressione artistica.
Le insegnanti accoglienti e in parte le tirocinanti hanno lavorato sul progetto Agorafonia in
particolare sui quattro elementi: fuoco, acqua, terra, aria.
Il progetto “Il setaccio dell’esperienza” prevede l’utilizzo della seguente metodologia:
Circle time;
La proposta del testo per avviare la discussione;
Scelta dei temi da discutere;
Discussione;
Valutazione del percorso.
Analizzo le vari fasi della metodologia.
Il tempo del cerchio consente a tutti gli alunni di sentirsi membri partecipativi ed efficaci del
gruppo, poter vivere la realtà scolastica in una condizione di Benessere, gratificare i bisogni
fondamentali del bambino. Il tempo del cerchio è inoltre il luogo privilegiato di comunicazione,
luogo di parola e di ascolto dell’altro; spazio per la parola di ognuno e di tutti, nella sicurezza e
nella fiducia di essere ascoltati e soprattutto non giudicati.
Da Torino, ottobre 2008
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Ci si incontra sedendosi in cerchio in modo da poter vedere tutti in volto e senza posizioni
dominanti: laddove è stato possibile, durante il percorso del tirocinio, è stata utilizzata la
disposizione del cerchio. Diversamente le due classi si strutturano nell’aula più grande e i bambini
siedono al loro posto nei banchi.
Nella consulenza filosofica è previsto il pensiero, ovvero la possibilità di offrire ai pensieri un
posto: la dimensione del pensare per scoprire ciò che già si sa, che è insito dentro di noi, e
concederne la voce. Per la filosofia è centrale la passione e l’amore per le idee e non offrire
necessariamente le soluzioni: le domande filosofiche sono “cos’è?, com’è?, perché?”, termini ben
noti e usuali nel mondo infantile.
L’approccio filosofico parte da domande che innescano un processo e conducono ad ampliare il
concetto di partenza.
La lettura del capitolo “la notte” del testo “C’è nessuno?” ha favorito e condotto al confronto delle
tematiche dell’amicizia e dell’amore.
L’argomento sull’amicizia ha coinvolto e animato la discussione tra i bambini: attraverso l’utilizzo
di un’immagine di un fumetto i bambini hanno commentato il legame che unisce Lucy e Charlie
Brown.( La lettura di un testo in cui si evince la loro amicizia, complicità e la loro felicità).
L’insegnante chiede ai bambini se l’amicizia può finire e attraverso questa provocazione i bambini
raccontano esperienze e pensieri della vita quotidiana (l’amicizia vera può finire solo se ti
trasferisci, ma l’amico ti rimane nel cuore, gli amici non criticano, sanno mantenere i segreti, ci
aiutano nei momenti di difficoltà). Inoltre si chiede ai bambini di esprimere le emozioni e i
sentimenti che sostengono l’amicizia: anche in questo caso i bambini riferiscono il loro parere
(amore, fiducia, la forza e il coraggio di chiedere scusa, la generosità, riappacificarsi dopo aver
bisticciato, mantenere un segreto).
Dalla discussione del 12 marzo si sono aperte possibilità per ulteriori discussioni senza che i
bambini andassero fuori tema. Talvolta è venuta meno l’attenzione da parte loro, in quanto non
sempre hanno manifestato una metodologia di ragionamento.
E’ stato un piacere vedere i bambini argomentare sul tema, nonostante alcuni approfondimenti
possano aver creato un calo di attenzione da parte loro. L’esperienza della condivisione,
opportunamente condotta, può avere effetti positivi e arricchire immensamente chi ne è
coinvolto. Aprirsi con i coetanei permette un’esperienza di grande autenticità e conoscenza
profonda di sé e delle persone con cui si è in contatto. La conoscenza personale di ogni alunno
sarebbe stato un pretesto per ampliare la discussione in aula e sviluppare ulteriori dialoghi: una
conoscenza basata sul riconoscimento positivo delle qualità di ciascun bambino è ciò che di bello
gli altri vedono in lui.
Un passaggio importante della comunicazione riguarda la fase della condivisione, ovvero non si
creano solo più delle cose insieme, ma si condivide, si parla di ciò che si è fatto e di ciò che si è
vissuto realizzandolo. Questa modalità di lavoro ha favorito la realizzazione dei testi utili per lo
spettacolo di “Agorafonia”, la produzione di lavori artistici e ciò ha fatto emergere criticità sui
termini di uso quotidiano, che comunemente vengono dati per scontati.
Da Torino, ottobre 2008
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Il filosofare non ha in sé obiettivi o l’ansia di raggiungere risultati e/o proporre soluzioni: avviene
attraverso una libera associazione mentale, attraverso i pensieri diversi di ogni singolo alunno e
per mezzo di percorsi mentali sempre differenti. E’ necessario non omettere nulla, tener conto di
tutti gli aspetti, giustificare le associazioni mentali qualora siano possibili.
Il “filosofare” porta a nuovi interrogativi e si ha la possibilità di rafforzare le proprie opinioni
attraverso la ricerca del vero, del bello, del bene, che rende ragione a tutti i punti di vista.
“Il metodo della cura socratica dell’anima consiste nel dialogos, ossia nel discorso che
procedendo per domanda e risposta, coinvolge fattivamente maestro e discepolo in un
esperienza spirituale unica di ricerca in comune della verità”.
La comunicazione è strumento della relazione umana: quando l’obiettivo è lo sviluppo e la crescita
dell’individuo, perseguendo un’intenzionalità educativa, “maestro e discepolo” concorrono alla
ricerca del “vero”. Cosa differenzia le due persone: il maestro ha in sé l’intenzionalità in cui è
previsto, proprio come lo intendeva Socrate, un approccio maieutico per facilitare l’esplorazione e
la conoscenza del “discepolo”. D’altro canto il discepolo sentendosi libero e valorizzato nel suo
percorso, qualunque esso sia, giungerà ad una maggiore consapevolezza della conoscenza.
L’insegnante deve quindi porsi in modo non valutativo: solo in questo modo aumentano le
possibilità di accompagnare la trasformazione della personalità del bambino in crescita in maniera
positiva. (Carl Rogers parlava di accettazione positiva incondizionata).
“Il processo educativo inventato da Socrate è dialogico non solo nella forma, ma anche nello
scopo: tende, cioè, alla co-educazione, alla trasformazione di entrambi gli interlocutori, alla
ricerca comune e condivisa di una verità intersoggettiva”.
Durante il percorso svolto ho potuto sperimentare questa citazione: di fronte ad alcune
affermazioni dei bambini ho provato stupore e meraviglia ed il loro contributo ha favorito
ulteriormente i miei pensieri e mi ha aperta a nuove dimensioni da esplorare.
Mi hanno colpita in modo favorevole i pensieri dei bambini riguardo la visione di Dio: “Dio
abbraccia il mondo, Dio è una donna con il pancione che è l’universo: il mondo simboleggia la
pancia e dà origine ad ogni cosa, Dio vive dentro noi, Dio entra dentro chi governa”.
Attraverso il ragionamento collettivo in cui si sono toccati diversi argomenti quali: caratteristiche
di Dio, sembianze umane di Dio, i simboli della nostra religione, quale aspetto possiede un enigma,
si è giunti ad una comune conclusione.
L’atteggiamento di apertura da parte delle insegnanti e delle studentesse ha favorito l’interazione
in uno scambio relazionale, filosofico, fluido e armonico.
La metodologia utilizzata durante il percorso di tirocinio è stata una metodologia attiva che ha
permesso una crescita tra gli interlocutori. Ritengo che questa esperienza sia stata un momento di
crescita professionale, che mi permetterà di essere più performante e duttile nelle prossime
esperienze lavorative.
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Da Torino, ottobre 2008
“Suscitar discorsi nella scuola primaria”
di Michela Tolosano
PREMESSA
“L’arte dialettica consiste, secondo la metafora agricola adoperata da Platone, nel piantare e
seminare nelle anime discorsi “che siano capaci di venire in soccorso a sé e a chi li ha piantati, che
non restino privi di frutto, ma portino seme, dal quale nascano anche in altri uomini altri discorsi”
(Cfr. Platone, Fedro, 275 A-B), ovvero che permettano di pensare e a far pensare) (L. Guasti,
Apprendimento ed insegnamento, Milano 2002, pag 244).
Mi sento di dover incominciare questa relazione conclusiva inerente il progetto universitario “IL
SETACCIO DELL’ESPERIENZA” proposto dalla Facoltà di Scienze della Formazione Primaria di
Torino nell’anno accademico 2007/08, con questa frase riflessiva, spulciata tra il vasto materiale
datoci a disposizione per percorrere questa nuova avventura.
Durante la presentazione del progetto del supervisore Galvagno, posso ammettere che non è stato
così semplice da parte mia cogliere nell’essenziale il mandato per noi tirocinanti e, a questo
proposito, ho scelto di aderire perché affascinata dal velo misterioso che avvolgeva la didattica
così com’era stata presentata.
Durante i primi incontri di tirocinio indiretto si è riflettuto insieme su quella che è la filosofia con i
bambini, sul modo di affrontarla, sui contenuti e sulle pratiche che sono alla base di questo
metodo, di questo movimento educativo.
Si è giunti a cogliere che la filosofia con i bambini si traduce nell’ imparare a pensare, dove
l’obiettivo principale è avere competenza filosofica cioè capacità di argomentare su un contenuto.
Per fare in modo che i bambini raggiungano l’obiettivo, che si può definire trasversale, cioè che
può interessare varie discipline, è necessario e fondamentale il ruolo dell’insegnante. La relazione
diventa un caposaldo della metodologia filosofica poiché la filosofia è anche un sapere di
relazione. All’interno di questa pratica di relazione non si trasmettono ai bambini le condizioni per
spiegare le cose che accadono ma si è nell’ottica di promuovere discorsi per cambiare le relazioni
tra le cose che accadono.
“L’ arte dialettica consiste, secondo la metafora agricola adoperata da Platone, nel piantare e
seminare nelle anime discorsi “che siano capaci di venire in soccorso a sé e a chi li ha piantati, che
non restino privi di frutto, ma portino seme, dal quale nascano anche in altri uomini altri discorsi”.
Questo a mio giudizio è in parte il presupposto filosofico di cui abbiamo parlato durante gli incontri
con il supervisore, ed emerge anche da queste righe l’importanza dell’educare all’uso del pensiero.
Attraverso il dialogo e la discussione si genera nel bambino e nell’adulto una continua ricerca ad
una verità che è quella che si sostiene, ma nello stesso tempo è quella della quale si dubita.
Attraverso il dialogo si cerca insieme, mostrandosi positivamente in cammino verso una verità più
ampia delle concezioni possedute, sempre parziali. L’insegnante deve cercare di sollecitare i
bambini al dialogo, al rispetto dell’altro, della sua opinione, che non vuol dire accettazione passiva
ma ascolto, domanda, confronto.
Concludendo questa prima parte, credo sia importante sottolineare quello che ha legato tutto il
nostro percorso di formazione iniziale come tirocinanti sperimentali, e cioè l’importanza di suscitare
nei bambini dei “perché” , ascoltandoli nelle loro domande, perché seminando si raccolgono poi i
frutti e questi a loro volta porteranno dei semi, susciteranno in altri uomini altri discorsi proprio
come sosteneva già Platone. Ecco allora che la filosofia è ricerca continua e l’utilizzo della sua
metodologia nell’attività didattica quotidiana offre ai discenti la possibilità di vivere non una
trasmissione passiva dei saperi, ma di essere protagonisti del proprio percorso, acquisendo una
padronanza operativa che si evidenzia poi in ogni momento e in ogni disciplina. Infine i bambini
Da Torino, ottobre 2008
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devono poter essere aiutati a riflettere su loro stessi, sul mondo che li circonda, sul senso dei tanti
perché e soprattutto a verbalizzare ciò che caratterizza il loro mondo interiore.
Ecco la mia avventura….
DESCRIZIONE DELL’ESPERIENZA
Il mio percorso di tirocinio in questa innovativa metodologia proposta nelle scuole, la filosofia con i
bambini, l’ho svolto e sperimentato all’interno di due classi quinte della Direzione Didattica di
Dronero (CN).
Le ore trascorse in classe sono state 50 suddivise tra la 5a e la 5b e di questa esperienza ne sono
rimasta molto soddisfatta e orgogliosa .
Per la prima volta mi sono trovata a relazionarmi per molte ore con i bambini, “alunni” che hanno
provato ad avvicinarsi, con me e con le loro insegnanti, alla filosofia. Il lavoro svolto nelle due
classi ha arricchito me in modo particolare, e ha entusiasmato i bambini che hanno sperimentato
una metodologia alternativa e coinvolgente. Prezioso è stato il ruolo delle due insegnanti che
hanno sempre cercato di valorizzare le mie proposte e sono state un appoggio significativo per la
progettazione del percorso di “Educazione al bene”. Seguendo le tracce e utilizzando il materiale
messo a disposizione dal supervisore Galvagno per la lettura di “Il piccolo principe” di A. de Sant
Exupéry, con le classi 5 abbiamo personalizzato i due percorsi, simili nei contenuti ma differenti
nella concreta realizzazione. Tale decisione è scaturita dall’osservazione iniziale fatta da me in
classe e dalla conferma che ho avuto dalle insegnanti sulle minime affinità dei due gruppi classe.
Ho ritenuto importante cercare di calibrare al contesto e al clima relazionale della classe quelli che
potevano essere i contenuti e in parte anche le strategie per coinvolgere almeno all’inizio i
bambini. In questo sono stata certamente facilitata da quella che è la mia attuale professione,
l’educatrice professionale in un contesto di comunità per minori. La preoccupazione maggiore,
però, era quella di faticare a scindere le modalità lavorative che ho acquisito con i ragazzi in un
contesto prettamente educativo da quelle che invece sono specifiche della scuola, dove è
importante la relazione ma si deve guardare oltre e cioè promuovere l’apprendimento degli alunni.
Ho attivato allora tutte quelle che erano le mie conoscenze inerenti al contesto scuola, andando ad
attingere da ciò che ho appreso io durante le ore del tirocinio in classe, dai modelli di insegnanti
che più mi hanno aiutata a crearmi un’idea di come potrei essere insegnante, dal materiale teorico
riguardante in specifico l’argomento da trattare, da testi visionati e dall’esperienza in parte già
coltivata.
Dopo la mia presentazione ai bambini, dove le insegnanti hanno chiesto loro di “intervistarmi”, ho
affrontato la mia prima “lezione” portando a scuola degli oggetti appartenenti alla lettura da
affrontare insieme. I bambini hanno incominciato così a formulare delle ipotesi, a fantasticare…
In generale la scansione del tempo dedicato a questo progetto, dove la lettura di “Il piccolo
principe” è stata la base per la discussione di tematiche importanti, era dettata da momenti
prefissati che aiutavano i bambini a orientarsi e a contestualizzare le diverse fasi dell’attività.
Inizialmente si riprendeva ciò di cui si era parlato la volta precedente, tramite un riepilogo da parte
di un portavoce oppure attraverso la lettura di parti del verbale redatto da un allievo o
dall’insegnante, o ancora ero io o l’insegnante della classe a riprendere discorsi significativi.
Successivamente si proseguiva con la lettura di uno o più capitoli a seconda degli stimoli di
discussione individuati a priori durante i momenti di progettazione o in certi casi in base alla
disponibilità del tempo da dedicare a questo lavoro. Si dava poi avvio alla discussione
sottoponendo i bambini a delle domande stimolo. Prima della lettura veniva individuato un alunno
che aveva il compito di redigere il verbale, cioè di registrare i pensieri esposti da tutta la classe e
dall’insegnante. È inoltre stato spiegato che a lavoro concluso sarebbe stata consegnata loro una
copia dei verbali e il libretto personale in modo che potessero avere un riscontro del lavoro svolto
Da Torino, ottobre 2008
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insieme e i bambini stessi possedessero un ricordo di questa nostra avventura, un po’ diversa e
particolare rispetto al quotidiano andamento scolastico.
In entrambe le classi il coinvolgimento è stato grande fin dal primo giorno, e credo che questo sia
avvenuto in parte per la novità metodologica proposta, in parte per la lettura coinvolgente scelta
come anello portante e infine anche per come è stato presentato giorno dopo giorno il lavoro.
Inizialmente le difficoltà a rapportarmi nelle classi, in particolare in una delle due, sono state
numerose e ho abbastanza faticato a “rodarmi”.
Fin dall’inizio avevo colto che il gruppo classe era fragile, quasi inesistente e numerosi erano i litigi
tra i bambini che trascorrevano la maggior parte del loro tempo a discutere e a parlottare senza
prestare attenzione al lavoro che si stava svolgendo con il resto della classe. Mi è servita un’intera
lezione perché potessi capire come meglio proseguire. Era mia intenzione cercare strategicamente
un intervento che in parte li responsabilizzasse ma nello stesso tempo dovevo conquistarmi la loro
fiducia. Pur non aspettandomelo, non è stata un’impresa titanica e ho colpito subito al centro, e per
fortuna!
Così il resto del lavoro è proseguito in modo proficuo, numerosi sono stati i momenti di
soddisfazione perché in entrambe le classi avevo dei rimandi positivi su come si stava esplorando
insieme il mondo del Piccolo Principe, con numerosi agganci al mondo di ciascuno di loro.
Di uso fondamentale è stata la dispensa consegnataci nel primo incontro di tirocinio indiretto dal
titolo “Il piccolo principe” (spunti per una discussione) perché da questa ho tratto numerose
schede pre-impostate per l’analisi critica del testo. Alcune di esse le ho proposte ai bambini e ho
anche seguito la traccia per svolgere altre attività sempre inerenti al progetto “ il Setaccio
dell’esperienza” in un percorso più approfondito di Educazione al bene. Numerosi sono stati i
momenti in cui i bambini erano protagonisti attivi di quello che si stava creando insieme, del
“discorso filosofico” che andava pian piano sviluppandosi. Io ero consapevole del lavoro che si
stava facendo in classe anche se mi sentivo su molti fronti impreparata ma nello stesso tempo
interessata e curiosa ad affrontare a tutti gli effetti questo tipo di approccio. Non mi sono arresa e
ho scelto di mettermi in gioco insieme ai bambini e alle insegnanti. A fine percorso non si può dire
che non ci siano stati esiti positivi.
Quando a casa progettavo e ipotizzavo come poter sviluppare una tematica, come proporre delle
domande stimolo e come inserire queste nel contesto che stavo affrontando nelle due classi, ho
ritenuto opportuno, e poi ho constatato che è stata una buona idea, leggere altri testi consigliati
durante gli incontri di tirocinio indiretto e cercare aderenze nelle dispense messe a disposizione dal
supervisore.
Mi sono state utili anche le simulate, attività nelle quali ogni studentessa che ha aderito al progetto,
si immedesimava nei bambini e il supervisore simulava ipotesi di intervento dell’insegnante in
classe durante gli incontri di percorso insieme.
RIFLESSIONI
Da questo progetto emergono sicuramente a mio avviso numerose riflessioni.
Posso innanzitutto ammettere che non c’è stata occasione in cui non mi sono soffermata su ciò
che era accaduto in classe durante la lezione, su quelli che erano stati per me gli interventi più
significativi, o curiosi, o esposti con una carica di ingenuità e di semplicità non indifferente da parte
dei bambini. Mi sembra opportuno, però, cercare di rendere l’idea di come sono stata io in classe e
di come ho vissuto , insieme a loro, questo “viaggio insieme al Piccolo Principe”, al di là degli
interventi singoli e delle riflessioni suscitate.
Ho notato che è stato difficile cercare, da parte mia, di “stare dentro il tema“ argomentandolo
poiché credo di non possedere ancora un linguaggio specifico e mirato per sostenere delle
discussioni di una certo spessore e valore.
Da Torino, ottobre 2008
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È più facile sentirsi parte di ciò che si sta facendo e riuscire a coinvolgere il resto del gruppo
quando si conosce bene l’argomento e si sa dove “andare a parare” nel caso i discorsi sviassero e
scivolassero dalla tematica principale: in fondo non è calcolabile ciò che si può suscitare (ad
esempio il parlare di “solitudine”) e quali possono essere i vissuti propri di ognuno. Ecco allora che
ritengo di fondamentale importanza essere ben preparati, formati ad un lavoro di questo tipo dove
si creano e si rigenerano sempre nuove domande alle quali si prova a dare risposta che a sua
volta dà origine ad altre ulteriori domande. Con i bambini ho inoltre colto la loro “incapacità” di
rimanere legati al tema della discussione e a riferire loro un collegamento mirato. Non perché non
lo facciano ma perché non è così facile riuscire a sviscerare le diverse parti del discorso e delle
affermazioni precedenti cogliendole nel suo insieme. Ho osservato in generale la tendenza ad
“agganciarsi” all’argomento un po’ come quando si infilano le chiavi in un mazzo già formato,
senza pensare ad un ordine specifico ma inserendo queste ultime secondo un criterio personale.
Ho immaginato che il loro pensiero si costruisce e si modifica in base sì alle conoscenze già
possedute ma anche grazie a delle alleanze interpretative che sono personali e uniche, che
seguono un loro sviluppo e che in parte devono essere educate. Proprio a proposito di questo ho
incominciato a leggere “Educare al pensiero” di M. Lipman, per avere un riscontro di ciò che ho
immaginato e mi sono costruita questa idea che può anche essere messa in discussione. Questo
testo è sicuramente interessante da inserire nella bibliografia dei testi letti da ciascuna insegnante,
insieme a molti altri che abbelliscono e arricchiscono la formazione professionale e personale.
Ho notato inoltre come i bambini quando si tratta di riflettere e di esprimere il loro pensiero a
proposito di una sollecitazione datagli, fanno molta meno fatica se raccontano fatti o vissuti.
Facendo così credo che rivivano la stessa emozione o situazione che appartiene ormai al passato,
più o meno prossimo, e che per loro c’è uno stretto collegamento con quanto appena detto dal
compagno o dall’insegnante. E’ stato significativo però constatare che se spinti ulteriormente
dall’insegnante ad andare più a fondo, più nei dettagli, riescono a esprimere pensieri ricchi di una
profonda riflessività. Reputo che sia utile che i bambini abbiano la possibilità di esprimere ciò che
sentono e che credono, che abbiano lo spazio per conoscere forse anche delle parti più interiori di
sè e di avere la possibilità di parlare e raccontare a qualcuno, per accrescere le loro conoscenze e
rendere partecipi gli altri dei propri vissuti. Si colgono in questo modo anche le differenze
individuali e ci si appropria della consapevolezza dell’unicità dell’essere pensante.
Raccontare il pensiero è un compito arduo ma dopo questo lavoro penso che sia di vitale
importanza.
I bambini sono capaci di riflessività ma è importante che a promuoverla ci siano degli istruttori
competenti, esperti e una palestra attrezzata, dove potersi allenare e sperimentare con nuovi
strumenti in nuove situazioni.
E allora, come ci ha ripetuto il supervisore Galvagno, si deve essere propensi a pensare ad una
filosofia tra i bambini come a “che cosa fa la filosofia e non a che cosa è la filosofia”, cioè la
filosofia è quel qualcosa che accade ogni volta che ci si domanda se è vero quel qualcosa o quel
sentimento.
CONCLUSIONE
Al termine di questo meraviglioso progetto che ci è stato proposto come una buona opportunità
per allargare i nostri orizzonti formativi e professionali, posso solo concludere di essermi arricchita
e provo una sensazione di piacevolezza nel ripensare a tutto ciò che è stato.
In tutto questo includo il tempo speso per rendere al meglio ciò che io potevo portare a condividere
in classe, con un velo di nostalgia e forse un po’ di rimpianto per non essere stata sempre pronta a
rispondere alle esigenze e al “bisogno di sapere e di conoscenza” dei bambini. La formazione in un
percorso di questo genere è a mio parere il primissimo gradino di una scala che è protesa verso un
infinito multicolore, perché questa è l’immagine che mi ha accompagnata fin dall’inizio del mio
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Da Torino, ottobre 2008
nuovo viaggio. Non ho trovato una spiegazione o meglio, sto continuando a cercarla, perché più ci
rifletto e più si aggiungono o si diversificano verità….
Questo lavoro mi ha coinvolta molto inglobando non solo la professionalità che si sta incominciando a delineare ma anche quella che è la mia personalità.
Un ringraziamento particolare ai promotori del progetto “Il setaccio dell’esperienza” dell’Università
di Scienze della Formazione di Torino, alle insegnanti accoglienti della Direzione Didattica di
Dronero, la maestra Sarale G, Acchiardi B e Beltrando M.T. .
Con stima ringrazio inoltre il Dott Galvagno Alberto, supervisore dell’area tirocinio, che mi ha
trasmesso competenze, professionalità e passione accompagnandomi durante questa prima fase
di percorso formativo.
Il cerchio dei pensieri: un’esperienza di filosofia con i bambini all’Istituto Comprensivo
Oltrestura di Madonna dell’Olmo (CN)
di Manuela Avataneo
La partecipazione al progetto sperimentale di tirocinio “Il Setaccio dell’Esperienza”,
organizzato dalla Facoltà di Scienze della Formazione Primaria dell’Università degli Studi di
Torino, si è rivelata essere una preziosa occasione per avvicinarmi alla metodologia della P4C e
per conoscere il mondo scolastico e infantile attraverso una nuova prospettiva. L’esperienza
vuole, inoltre, essere una testimonianza del fatto che sia possibile intervenire con una valida
metodologia per educare i ragazzi all’ascolto, alla riflessione, ai valori democratici, per rafforzare
il senso critico e trasmettere loro un inedito modo di essere e di relazionarsi con il mondo.
Ho condotto la sperimentazione nelle classi prime dell’Istituto Comprensivo Oltrestura di
Madonna dell’Olmo (CN), accanto all’insegnante Maria Baudino. Abbiamo scelto di avviare le
discussioni filosofiche a partire dalla lettura di “Bandiera”, un coinvolgente racconto scritto da
Mario Lodi e ricco di spunti di riflessione per l’applicazione della metodologia.
Ricordo come, al primo incontro, i bambini fossero incuriositi dalla presentazione della
storia e un po’ disorientati trovando inaspettatamente la loro aula “diversa”, con le sedie disposte
a semicerchio intorno alla lavagna. Di norma ho proposto la lettura di un capitolo ad ogni
incontro, soffermandomi in prima istanza sul titolo e chiedendo ai “filosofi in erba” di dedurre
informazioni, senza rivelare loro se fossero corrette o errate. Non a caso un punto di forza della
metodologia è, a mio avviso, proprio quello di lasciare piena libertà di espressione, senza aver la
pretesa di giudicare l’esattezza di una risposta. Osservando attentamente i bambini, i loro volti
sorridenti, i loro occhi curiosi, ho percepito l’approvazione di questo principio democratico, che
all’inizio li ha lasciati un po’ sconcertati, ma a cui ben presto si sono avvezzi. Tradizionalmente
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l’insegnante si presenta come detentore di un sapere assoluto, quasi un’indiscutibile vestale che
da una risposta giusta a priori, senza lasciar adito ad alternative. In più occasioni i bambini sono
apparsi delusi dall’atteggiamento di non intervento di un’insegnante che non possiede una
risposta assolutamente certa, che non fa pendere la bilancia, ma la mantiene in equilibrio, per
non influenzare le loro plasmabili menti. Ma è proprio questo atteggiamento a responsabilizzare
i bambini e ad indurre lo stesso facilitatore a mettersi in discussione, a porsi quelle medesime
domande socratiche rivolte ai bambini, come spesso mi è accaduto di fare durante la
progettazione.
In tal senso la P4C scardina le basi del metodo tradizionale di insegnamento e presenta
l’insegnante sotto una nuova luce, un insegnante molto più umano nelle sue fattezze, che non si
erge a giudice della situazione, che non approva né disapprova, ma lascia spazi bianchi, che
vengono riempiti del tutto liberamente dalla fantasia e dai pensieri dei bambini.
Ritornando all’esperienza, una volta ascoltate le svariate ipotesi dei discenti, procedevo con
la lettura del capitolo scelto, a cui seguiva la domanda: «Qual è stato il momento più
emozionante di questa lettura?». I bambini rispondevano immediatamente, dotati di quella
qualità che noi adulti col tempo, inesorabilmente, abbiamo perso per timore del giudizio altrui:
la spontaneità della risposta, senza filtri, vestita della sua semplice e straordinaria nudità.
Dalle prime impressioni dei bambini sono emersi alcuni temi su cui si è focalizzata la
conversazione successiva, che venivano da me trascritti alla lavagna, costruendo una sorta di
agenda di discussione. L’ordine di discussione veniva scelto democraticamente con alzata di
mano, anche se l’ideale sarebbe stato quello di raggiungere un accordo unanime attraverso il
dialogo. Sono così state affrontate tematiche come la gioia, l’amore, l’amicizia, il dono, l’invidia,
la paura, la curiosità, la noia, la bellezza.
In più di un’occasione mi sono accorta di provare stupore di fronte alla naturalezza e
all’incredibile complessità del pensiero infantile, come mostrano gli interventi riportati di
seguito:
Manuela: «Ascoltate bimbi, io un po’ di tempo fa ho studiato un poeta che in una sua poesia
ha scritto questa frase: ( scrivo alla lavagna l’amore vince tutto)…secondo voi che cosa voleva
dire il poeta con questa frase? Che cosa vince l’amore?»
L.: «L’amore per me vince la cattiveria e la disperazione»
N.: «L’amore vince l’oscurità»
A.:«Che cos’è l’oscurità?»
L.: «E’ il buio»
E..: «L’amore vince la prepotenza. Quando mia sorella mi dice questo me lo tengo tutto io
perché è mio!»
Manuela: «Sì, l’egoismo..poi? altre idee?»
N.: «L’amore vince il male»
V.: «L’amore vince il buio e la tristezza»
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Manuela: «Ma, ascoltate, Solemio dice che ha paura che il sole non tornerà più, perché lei
ne era innamorata»
Rilettura del passaggio e della frase: “ nessuno può dire sempre, le cose iniziano e poi
finiscono”
Manuela: «Secondo voi cosa vuole dire Palla di fuoco con questa frase? Quali sono le cose
che iniziano e prima o poi finiscono?»
E.: «Già, le cose non durano per sempre, dopo un po’ finiscono…»
Manuela: «E quali sono queste cose?»
A.: «La vita!»
N.: «Io dico l’amore, perché magari un bambino è innamorato di una bambina e poi decide
di non sposarla più e non la vede più e allora l’amore finisce lì»
Manuela: «Avete sentito? Anche i sentimenti purtroppo possono finire…»
A.: «Anche la vita delle piante»
E.: «Magari c’è un fiore lì bellissimo e un bambino arriva e lo raccoglie e la vita del fiore
finisce!»
A.: «E’ il ciclo della vita! » […]
Manuela: «Ma allora il fatto di sapere che le cose iniziano e poi finiscono vi fa paura? Quali
sentimenti provate quando pensate al futuro?»
E..:« Io quando avevo un fidanzato pensavo sempre adesso finisce, adesso finisce, adesso
finisce…e avevo paura che non avevo più nessun fidanzato nella vita!»
C.: «Io ho avuto paura quando mio nonno è morto»
V.: «Io quando mio zio era malato»
Silenzio generale […]
Manuela: «Ma allora quando pensate al futuro, a quello che succederà, provate solo paura o
anche altro?»
A.: «Anche felicità»
Manuela: «Per quale motivo?»
A.: «Perché voglio sapere come sono le cose nuove»
E.: «Io voglio che da grande mi nasce un bambino, però se poi il bambino ha dei problemi e
non nasce io ho paura!»
È davvero stupefacente ascoltare bambini così piccoli affrontare argomenti “da grandi”,
sentirli discorrere con molta naturalezza della caducità della vita, della fragilità dei sentimenti,
dell’inevitabilità del male, con un’enorme consapevolezza che mi è giunta del tutto inaspettata.
Ho notato in più occasioni come i bambini urgano dalla necessità di narrare le loro
esperienze personali, gli episodi che più li hanno colpiti e di immetterli nel cerchio, per
condividerli con il gruppo. Non a caso gli studi bruneriani hanno evidenziato come il bambino
avverta precocemente il bisogno di raccontare e raccontarsi, spinto dalla necessità del tutto
naturale di interagire con i suoi simili, di condividere i propri vissuti. E proprio il cerchio,
simbolo di perfezione armonica sin dai tempi più antichi, diventa un sistema di specchi, lo
spazio in cui si incontra l’altro, così umanamente simile a noi, ma in fondo così dissimile nel suo
modo di pensare ed agire.
Da Torino, ottobre 2008
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Una peculiarità della metodologia è, inoltre, quella di registrare e trascrivere quanto detto
dai discenti, senza tralasciare nulla, dando forma sulla carta ai pensieri di tutti i bambini e
riportando i loro silenzi pensanti. Il momento della documentazione dell’esperienza di dialogo si
è rivelato particolarmente prezioso perché mi ha permesso di riflettere a posteriori sia sulle mie
modalità di interazione, dandomi la possibilità di autocorreggermi, sia di riascoltare e rivalutare
interventi che di primo acchito mi erano parsi privi di senso. Lungo il cammino, la metodologia
si è poi arricchita di svariate attività ludico - educative, allo scopo di coinvolgere i discenti e
rendere le riunioni ancora più dinamiche.
Nonostante alcune difficoltà nella gestione del gruppo, a nostro avviso troppo numeroso e
alcuni episodi di disinteresse e di mancato confronto dialogico, atteggiamenti del tutto consueti
per bambini ancora immaturi, io e Maria siamo convinte che, attraverso questa esperienza, i
bambini abbiano compiuto un primo piccolo passo verso una maggiore consapevolezza della
profondità dell’essere umano, anche se la strada è ancora lunga ed impervia. Inoltre la
sperimentazione ha confermato la pericolosità di una società fondata sul frenetico inseguimento
del mito del denaro, del successo, del piacere egoistico, un’impronta che viene assorbita
acriticamente dai nostri bambini attraverso spot, cinema e tv e che si esprime attraverso la
superficialità di molti interventi, la difficoltà a discernere tra valori e disvalori.
Credo che la finalità primaria della scuola, oggi, non sia più quella di veicolare labili
contenuti disciplinari, che verranno inesorabilmente corrosi dal tempo, bensì quella di
trasmettere ai bambini le competenze necessarie per divenire autonomi e critici, per sapersi
difendere dal conformismo e dalla manipolazione massmediatica. In questo senso sono convinta
che la P4C possa davvero rafforzare la capacità di giudizio ed imprimere nel loro animo una
modalità di relazionarsi con la realtà circostante che li accompagnerà sempre.
La sperimentazione si è conclusa con un incontro dedicato alla valutazione e
autovalutazione, con la proposta di alcune semplici domande a cui i bambini hanno risposto
colorando la faccina abbinata al loro stato d’animo.
Dalle risposte fornite dai bambini si evince che l’attività sia stata apprezzata e come la
maggioranza dei bambini non sia ancora in grado di autovalutarsi correttamente. L’aspetto più
interessante dell’autovalutazione riguarda una rappresentazione grafica, richiesta ai bambini
attraverso la seguente consegna: prova a rappresentare con un disegno le emozioni che hai
provato durante l’attività.
Come previsto, la maggioranza dei bambini ha rappresentato un momento particolare
dell’attività, solitamente se stessi, il facilitatore e i compagni preferiti disposti in cerchio. Solo
cinque bambini su quarantaquattro hanno espresso le loro emozioni attraverso il disegno,
accompagnandolo da fumetti o con un commento orale richiesto al momento della consegna,
come in questo caso:
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Da Torino, ottobre 2008
N: «Credo che in queste riunioni abbiamo detto delle cose molto interessanti e abbiamo
parlato di argomenti molto importanti, come l’amore, l’amicizia, la gioia… così ho deciso di
disegnare io e Matteo, che siamo molto amici e molto felici…perché la gioia è una cosa
meravigliosa!»
Specchi, riflessi, riflessioni
di Maria Luisa Roggero
Mi sono accostata al metodo della discussione filosofica durante un’esperienza di tirocinio nel corso
di laurea in Scienze della Formazione Primaria, all’Università di Torino; esperienza che si è tenuta
in due classi quarte, le quali, nell’anno scolastico 2007/08, per la prima volta, hanno sperimentato la
Philosophy for children. Insieme all’insegnante di classe è stata concordata la lettura del testo di
Antoine De Saint-Exupéry “Il Piccolo Principe”, dal quale i bambini hanno preso spunto per le loro
discussioni.
Al termine del progetto ho sintetizzato questa breve sperimentazione in un disegno nel quale sono
presenti alcuni elementi. Lo sfondo rappresenta il deserto dove il Piccolo Principe è apparso sulla
Terra. Questo paesaggio è stato fondamentale per il pilota-narratore, perché nella solitudine e nel
silenzio ha ritrovato una parte di se stesso: il pianeta della sua infanzia. In modo analogo anche per i
due gruppi che ho seguito, è stato fondamentale recuperare innanzitutto la dimensione del silenzio,
nella quale il pensiero trova spazio e permette ad adulti e bambini di scoprire aspetti nuovi di sé e
dei compagni e di condividerli insieme. Il deserto, senza strade o sentieri tracciati, diventa simbolo
di libertà, in questo caso libertà di pensiero ed espressione. Infatti nella discussione filosofica ogni
bambino ha potuto porre domande, esprimere il punto di vista personale senza dover ripercorrere
una traccia imposta dall’adulto.
In questa distesa di sabbia un bambino si vede riflesso in uno specchio, ma l’immagine che ne
risulta è il riflesso del suo occhio e di conseguenza della sua parte interiore, perché l’occhio diventa
strumento di riflessione, in quanto permette al bambino di guardarsi dentro, di ritornare a se stesso,
di prendere coscienza di se stesso. Infatti una parte del nostro percorso, arrivata inaspettatamente,
ha permesso agli alunni di esprimere tratti della loro personalità. Benché non fosse stata espressa
direttamente nelle discussioni, la domanda fondamentale è stata “chi sono io?”. I bambini hanno
analizzato alcune loro emozioni e hanno dato risposte con le discussioni, con le attività scritte e
grafiche che hanno permesso un’ ulteriore riflessione.
Ho scelto l’occhio anche come simbolo della meraviglia e dello stupore che proviamo di fronte alle
cose nuove. Già gli antichi greci consideravano questa emozione il principio della filosofia stessa,
in quanto dall’ammirazione nascono la curiosità e il dubbio, quindi il desiderio di esplorare, di
andare oltre, di riflettere sulla nostra esperienza. Nelle discussioni filosofiche i bambini si sono
posti in modo diverso gli uni verso gli altri e verso gli insegnanti, i testi proposti non sono stati
analizzati in modo abituale, ma sono stati utilizzati come spunto per porsi delle domande e cercare
insieme delle risposte. Tutto ciò ha stimolato la curiosità all’interno del gruppo, come se la
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discussione diventasse quasi un gioco di esplorazione, attraverso il quale con idee e parole, si crea
nuova conoscenza.
Ancora l’occhio può essere quello dell’insegnante che guarda in modo diverso gli allievi: non li
considera più come contenitori da riempire con saperi precostituiti, ma diventa un facilitatore, crea
le condizioni affinché ognuno possa diventare consapevole delle sue conoscenze e le possa
condividere con gli altri in una continua ricerca. L’insegnante dà un incipit, ascolta, stimola nuove
domande.
Questa esperienza mi ha permesso di scoprire l’influenza positiva del metodo della filosofia con i
bambini sulla classe e sull’atteggiamento dell’insegnante.
I bambini hanno interiorizzato un modo nuovo di relazionarsi con l’altro, cercando di superare
l’egocentrismo che ancora caratterizza questa età. Sono diventati consapevoli dei punti di vista
altrui, imparando a rispettarli, senza darne giudizi negativi. Hanno scoperto mondi esterni al sé e
diversi, altre visioni del mondo, ne sono diventati coscienti. Il dialogo è stato occasione di
confronto, nel quale ognuno ha trovato spazio per narrarsi, condividere le proprie esperienze di vita,
creare legami fra le conoscenze acquisite a scuola e nell’extrascuola. Grazie alla discussione i
bambini si sono avvicinati ad un pensiero critico e creativo che è sempre più necessario nella
società complessa in cui viviamo.
Inoltre i bambini si sono resi conto che anche nell’agire gli uni sono diversi dagli altri: alcuni sono
molto sicuri nel parlare o vogliono mettersi al centro dell’attenzione ad ogni costo, altri sono più
timidi e hanno maggiori difficoltà ad esprimersi in gruppo. Nel dialogo gli allievi hanno cercato
forme per superare questi inconvenienti: in particolare uno dei bambini, resosi conto delle difficoltà
di una compagna ad entrare nella discussione, ha richiesto espressamente che si facesse attenzione a
ciò che lei voleva dire.
È emerso che in generale i bambini hanno bisogno di trovare uno spazio di narrazione personale, di
condividere con gli altri il proprio pensiero, di utilizzare le loro esperienze concrete come
argomentazioni sui temi trattati. Trovano nella narrazione di sé e nella discussione quel filo che lega
le conoscenze a scuola, in famiglia, ai media. Grazie alla discussione filosofica sono riusciti a porre
numerose domande che altrimenti sarebbero rimaste nascoste e soprattutto a cercare insieme delle
risposte le quali rimandano sempre a nuove domande.
L’adulto ha scoperto sicuramente un’occasione di ulteriore crescita personale e professionale, in
quanto spesso le domande dei bambini suscitano in noi nuove riflessioni e mettono in crisi le nostre
credenze. L’insegnante non è il mero trasmettitore di conoscenze, anzi si pone allo stesso livello dei
suoi allievi in una comune ricerca: facilita il dialogo, lo stimola con nuove domande, non è direttivo
e non impone il proprio punto di vista. Sul piano didattico la pratica della discussione filosofica
diventa uno strumento per personalizzare l’educazione, perché pone al centro del processo di
formazione l’alunno e crea un clima di collaborazione e cooperazione.
Concordo con la seguente affermazione di Daniele Bruzzone: “non si tratta tanto di aiutare
l’interlocutore a generare una verità che in qualche modo già possiede implicitamente, bensì di un
generare insieme, in cui l’educatore si fa discente con l’educando in un processo di ricerca
comune, rispetto al quale egli non si segnala per la capacità di prevedere in anticipo i risultati (e
tanto meno per l’autorità di definire previamente i contenuti), ma per il solo vantaggio di
conoscere meglio la via attraverso la quale conseguirli”.1 Nelle attività scolastiche spesso si
discute insieme, ma generalmente l’insegnante sa in anticipo dove vuol condurre i propri allievi, per
1
D. Buzzone, Il dialogo, in L. Guasti, Apprendimento ed insegnamento, Milano 2002, pp. 247-248.
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esempio a scoprire una regola matematica o grammaticale o un principio fisico. Le domandestimolo poste dall’educatore presuppongono l’aver tracciato, in precedenza, un percorso, una guida
cui i bambini dovranno attenersi per impadronirsi di una certa conoscenza. Nel dialogo filosofico
educatore ed educandi sono allo stesso livello, in una ricerca comune, in quanto sono proprio i
secondi ad individuare i temi, i problemi da considerare insieme.
Nel nostro caso la filosofia con i bambini appare in una prima fase come mezzo per rafforzare le
relazioni di gruppo; in un secondo momento il dialogo diventa il fine dell’attività del gruppo stesso.
Il nostro progetto si è posto come obiettivi i seguenti:
• interiorizzare e rispettare le regole della comunicazione: saper ascoltare, aspettare il
turno di parola, esporre in modo chiaro il proprio punto di vista;
• rispettare il punto di vista degli altri, riconoscendo il valore di ciascuno;
• comprendere un testo;
• individuare problemi;
• esporre argomentazioni,
• condividere esperienze, riflettere su di esse per meglio comprendere la realtà;
• utilizzare il linguaggio grafico-pittorico;
• avvicinare alla lettura di opere d’arte;
• produrre un autoritratto.
L’idea guida sottostante i nostri incontri, servita come setaccio per filtrare l’esperienza dei
bambini, è stata la bellezza. Inoltre sono emersi altri temi di discussione: il rapporto genitori-figli,
l’interpretazione dei disegni altrui, sincerità e bugia, approvazione e disapprovazione,
l’immaginazione, il rapporto disegno-fruitore, la paura, il disgusto.
Il concetto di bello è stato analizzato, cercando di distinguere in primo luogo le cose belle che i
bambini hanno identificato con opere d’arte, aspetti del paesaggio, attività, dai criteri che
utilizziamo per esprimere il giudizio e valutare il bello: per esempio nel caso di un’opera, i colori, la
cura dei particolari, le emozioni suscitate, i soggetti scelti, la tecnica usata, il talento e l’impegno
dimostrato dal realizzatore. I bambini si sono soffermati soprattutto a considerare i giudizi verso i
loro lavori. Questi sono alcuni dei loro interventi:
L.: “Una cosa se la fai con tanto impegno può essere bellissima”.
A.: “Una cosa bella è qualcosa che almeno piaccia a te”.
G.: “Devi fare le cose soprattutto per te, perché a te danno soddisfazione, poi magari gli altri non
capiscono cosa hai disegnato e tu ci stai male”.
A.: “I disegni non devono essere belli per gli altri, basta che siano belli per te che ci hai messo tutta
la tua forza per farli”.
Ins.: “Cosa vuol dire “è bello”? Cosa è bello per voi?”
C.: “Qualcosa che ci piace”.
M.: “È fatto bene”.
A.: “Secondo me, quando disegni, i genitori dicono che è bello, perché hai dato il massimo che
potevi. Invece, se non è proprio venuto bene, non bisognerebbe dire che è brutto, ma: ‘è carino,
però cerca di migliorare’”.
La maggior parte di loro però concorda sul fatto che i giudizi vanno espressi in modo sincero, anche
se talvolta la verità può offendere e far male.
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F.: “Io vorrei che mi dicessero sempre la verità, così migliorerei…”
S.: “Voglio che mi dicano cose sincere, perché almeno io posso migliorare quel disegno”.
Grazie a questo progetto i bambini hanno scoperto non tanto la bellezza esteriore, quanto quella
interiore, bellezza che diventa bontà: in particolar modo i sentimenti positivi di amicizia, affetto che
provano verso le persone che li circondano, il valore del creare gruppo e del condividere con i
compagni i pensieri, certi che essi li rispetteranno.
È stato importante esternare anche la dimensione opposta al bello, nel nostro caso riconosciuta in
tutte quelle sensazioni che nessuno vorrebbe provare mai: la paura, la tristezza, il disgusto. I
bambini hanno messo in evidenza che anche loro hanno dei problemi, riflettono sugli aspetti più
tristi della vita come la sofferenza, la morte; provano disagio, invidia, gelosia. Di seguito riporto
parte di una discussione sulla paura.
Ins.: “Che cos’è la paura?”
N.: “È un sentimento che ti fa venire i brividi”.
G.: “È quando uno minaccia un altro”.
L.: “Per me la paura è un brutto ricordo successo in un luogo. Quando ritorni in quel luogo, quel
ricordo ti viene in mente e ti incute terrore”.
D.: “È quando qualcuno ti spaventa”.
G.: “È qualcosa che non riesci ad affrontare, come il buio…non riesci proprio a confrontarti con il
buio”.
P.: “La paura è un sentimento che solo i più grandi hanno. I più piccoli non hanno mai paura”.
G.: “Per sconfiggere la paura chiudo gli occhi e non ci penso più”.
Purtroppo, essendo un’esperienza nuova sia per i bambini, sia per la sottoscritta, i temi non sono
stati trattati con la profondità necessaria per dare ai nostri dialoghi un’impronta davvero filosofica. I
bambini hanno dimostrato da subito la voglia e la necessità di esprimersi, aspetto sicuramente
positivo da un lato, ma che ha creato qualche difficoltà nel mantenere l’attenzione su un unico tema
di discussione e nel cercare insieme delle risposte, tenendo conto degli interventi di tutti. In alcune
occasioni i bambini continuavano a seguire il filo dei loro pensieri, quasi come se non avessero
ascoltato a fondo i compagni.
In conclusione l’esperienza è stata sicuramente positiva e lo dimostrano i commenti degli stessi
bambini, nelle risposte ad un questionario al termine del percorso, per esempio:
A.: “Ho imparato a rispettare i turni, a non essere aggressiva e a non prendere sempre io la
parola”.
D.: “Mi hanno aiutato a tirare fuori le emozioni”.
P.: “Mi è piaciuto, perché mi sono confrontato”.
M.: “Mi sono sentito ascoltato”.
G.: “Ci siamo conosciuti meglio”.
C.: “Ho imparato a parlare davanti a tutti i miei compagni”.
A.: “Ho trovato che noi ci siamo espressi con dei sentimenti che non volevamo dire, invece li
abbiamo potuti rivelare a tutti”.
P.: “Abbiamo imparato ad ascoltare e a formulare domande”.
S.: “Mi sono sentita ascoltata, mi sono espressa in modo chiaro, mi sono sentita bene perché a
casa mia non parlo mai così”.
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F.: “Gli incontri di discussione mi facevano riflettere su cose che non avevo mai pensato”.
L.: “Mi ha aiutato a conoscermi di più”.
R.: “Sono riuscita a dire cose che non avevo mai detto a nessuno”.
M.: “Sono riuscito a far uscire molte cose che tenevo solo per me”.
S.: “Ho imparato a non essere timida”.
B.: “Ho tirato fuori quello che magari volevo dire, ma non osavo”.
M.: “Ho provato felicità e divertimento perché ho potuto esprimere i miei sentimenti e le mie
emozioni…tutti mi hanno ascoltata e io ho ascoltato loro”.
G.: “Ho imparato a parlare con gli altri e a ascoltare i sentimenti degli altri senza paura”.
La pratica della discussione filosofica diventa un metodo educativo che da una parte consolida le
relazioni e dall’altra permette di riflettere sul significato dell’esistenza e delle esperienze di ognuno.
Come afferma Marina Santi “la filosofia non cambia nulla nel mondo, ma sicuramente può
cambiare del tutto il nostro modo di vedere il mondo e di agire in esso”.2
2
M. Santi, Ragionare con il discorso, Napoli 2006, p. VII.