16 marzo 2011
65° della Casa della Cultura
Un’inchiesta tra intellettuali milanesi e italiani sulla crisi del rapporto tra cultura e politica
LE RISPOSTE DI GIUSEPPE CACCIATORE E ANDREA DI MIELE
1. In questi ultimi due decenni formazioni e movimenti populisti hanno occupato la scena pubblica
italiana e vi hanno impresso il loro segno. Berlusconismo e Lega hanno scandito l’agenda della vita
politica, esercitando di fatto anche un’egemonia culturale che traspare dal linguaggio e dalle pratiche
prevalenti nella vita pubblica. La sinistra italiana ha evidenziato serie difficoltà, politiche e culturali, nel
proporre e nel difendere un suo punto di vista. Da dove ha tratto origine questo profondo, radicale
rimescolamento del clima politico e culturale? E per quale motivo le linee di resistenza hanno rivelato
tale fragilità?
Naturalmente è impossibile qui una ricostruzione storico-politico-economica degli eventi che hanno
caratterizzato questi ultimi decenni della politica italiana. La politica non è certo una derivazione
deterministica dei rapporti economici: esprime semplicemente delle tendenze di sviluppo passibili,
come ogni intento umano, d’errori ed esposte anche all’insuccesso. Ma se tale rapporto è mediato,
indiretto e tendenziale ciò rafforza e non sminuisce la necessità d’uno studio e d’una comprensione
delle radici che costituiscono tale relazione. Il populismo, per parafrasare Gramsci nella sua analisi del
cesarismo, è una formula polemico-ideologiche, uno schema sociologico e non un canone
d’interpretazione storica. Il berlusconismo e il leghismo, in misure diverse, sono invece storicamente
situati e non sono paragonabili né agli slittamenti populistici dei sistemi liberaldemocratici italiani
dell’epoca giolittiana né ai richiami populistici del Ventennio. Il mutamento delle pratiche etiche che essi
impongono, quando, a titolo d’esempio, incentivano la mutazione del cittadino in fruitore di consumi e di
servizi, deve essere rapportato ai nodi critici dell’economia contemporanea. Considerare il mercato del
lavoro come inesauribile fonte dell’accrescimento d’efficienza economica significa ostacolare più o
meno consapevolmente il compito d’integrazione sociale del lavoro. La legge Bossi-Fini, a tal riguardo,
rappresenta una valida esemplificazione di questo processo. Le norme morali vengono così
progressivamente allontanante dalla sfera economico-produttiva e non riescono ad innescare quei
meccanismi virtuosi simili a quelli che nel mondo vitale sociale, svolgono le norme dell’agire.
Allo stesso tempo le socialdemocrazie, pur forti degli indubbi progressi attuati dalla seconda metà degli
anni Sessanta, scontano oggi la mancata tematizzazione di un nodo critico della contemporaneità:
l’appiattimento delle istituzioni sociali sulle strutture economiche. Emblematica a tal riguardo la Terza
Via inaugurata da Blair alla fine degli anni Novanta. Una discussione quasi dimenticata, alla quale
presero parte anche i progressisti italiani, e che ben restituisce il senso di una crisi diffusa di
elaborazione politica delle sinistre europee, le quali, non erano chiamate a proteggere «linee di
resistenza», come forse implicitamente suggeriva la domanda, ma al ben più arduo compito di
progettazione di categorie condivise e di un nuovo modello di sviluppo.
2. Cultura e politica: una relazione oggi lacerata. Per quanto sta avvenendo nel sistema politico
(populismi, crisi dei partiti, personalizzazione della politica) ma anche per i processi culturali in corso
(mediatizzazione, spettacolarizzazione, ecc). E’ possibile oggi ripensare e ricostruire una relazione fra
elaborazione culturale e teorica e vita politica? Come, dove e attraverso quali strumenti?
La cultura filosofica italiana ha un radicamento cardine nella filosofia civile. Troviamo che questo dato
sia spesso trascurato. Gli strumenti che propongo di utilizzare sono a nostro avviso già presenti nella
nostra tradizione nazionale. In una congiuntura filosofica, ideologica e culturale, come quella attuale,
nella quale il dibattito internazionale si è concentrato sulla discussione dei principi e delle forme
applicate dell’etica, sulla filosofia pubblica, sui problemi del relativismo culturale e del pluralismo, sulla
ricerca del bene individuale e dei suoi nessi con le sfere della giustizia, è forse necessario riformulare
(in termini non solo storiografici ma concettuali) uno dei tratti caratterizzanti della tradizione filosofica
italiana. Ci riferiamo alla presenza, in alcuni momenti esemplari della filosofia italiana tra Settecento e
Ottocento, di elaborazioni ermeneutiche, teorizzazioni sistematiche e fenomenologie testuali,
riconducibili alla genesi, agli sviluppi e alle trasformazioni della filosofia pratica contemporanea. Quella
che è stata definita la “vocazione civile della filosofia italiana” – una volta depurata, anche alla luce di
un obiettivo e critico riesame storiografico, dalle sue amplificazioni retoriche e dalle sue utilizzazioni
ideologiche – può offrire una serie di elementi non secondari alle modalità con cui va oggi articolandosi
la discussione filosofica, culturale e politica contemporanea.
3 – Il tessuto tradizionale di mediazione tra cultura e politica (quotidiani, riviste, case editrici, centri di
ricerca, ecc.) si è trasformato profondamente. Sono declinate le strutture legate direttamente ai partiti
cui sono subentrate nuove realtà come le Fondazioni vicine a singole personalità politiche. La Casa
della Cultura ha scelto in questi anni di andare controcorrente: restare un centro aperto a tutte le anime
della sinistra e alimentare una riflessione sul medio e lungo periodo. Il tutto in evidente continuità con la
propria storia. Siamo riusciti a rendere efficace questo percorso? Si può continuare su questa strada?
Urgono correzioni? Nuove idee? Nuovi progetti?
E’ inutile, in questa sede, dilungarsi sui meriti indiscutibili della straordinaria azione politico-culturale
svolta della Casa della Cultura in questi decenni. Se dovessimo auspicare una direzione verso la quale
indirizzare il cammino dei prossimi anni è quella dell’internazionalizzazione. Le nuove tecnologie
consentono la creazione di nuove reti di connessione dei saperi, attraverso modalità enormemente
semplificate rispetto al passato. La Casa della Cultura, per la sua storia e la capacità elaborare nuove
prospettive deve aspirare ad essere un polo europeo di interazione e di sviluppo dei saperi. Si oppone
spesso, a queste considerazioni, l’assenza di effettive risorse ed effettivamente è noto il disinteresse
dei governi italiani a tal riguardo. Suggeriamo però una strada poco battuta dalle istituzioni culturali
italiane: i fondi europei per la cultura, spesso preda, in assenza di attori motivati, di fondazioni poco
trasparenti.
Giuseppe Cacciatore
Andrea Di Miele