Sclerosi
Tuberosa
a cura di
Martino Ruggieri & Nicola Migone
a cura di:
Martino Ruggieri (Consiglio Nazionale delle Ricerche, Catania)
[email protected]
Nicola Migone (Università di Torino)
[email protected]
In collaborazione con gli altri membri del COMITATO SCIENTIFICO
nazionale dell'Associazione Sclerosi Tuberosa:
Alessandra Baldelli (Comitato per l'Educazione Terapeutica Onlus, Roma)
[email protected]
Gabriella Bartalini (Università di Siena)
[email protected]
Salvatore Buono (AO Santobono-Pausilipon, Napoli)
[email protected]
Paolo Curatolo (Università Tor Vergata, Roma)
[email protected]
Roberto Gaggero (Istituto G. Gaslini, Genova)
[email protected]
Giuseppe Gobbi (Ospedale Maggiore C.A. Pizzardi, Bologna)
[email protected]
Lorenzo Genitori (Ospedale Pediatrico Meyer, Firenze)
[email protected]
Sergio Harari (Ospedale San Giuseppe Fatebenefratelli, Milano)
[email protected]
Massimo Laurenza (Istituto Dermatologico dell'Immacolata, Roma)
[email protected]
Anna Maria Laverda (Università di Padova)
[email protected]
Piergiorgio Miottello (ASULSS 3 - Ospedale Nuovo, Bassano del Grappa)
[email protected]
Eugenio Raimondo (Società Italiana di Odontostomatologia
per Handicappati SIOH, Roma)
[email protected]
Pierangelo Veggiotti (Università di Pavia)
[email protected]
Hanno inoltre collaborato alla presente edizione:
Roberto Rozza (Ospedale S. Paolo, Milano)
[email protected]
Carmelo Schepis (IRCCS Oasi M. Santissima, Troina)
[email protected]
Giuseppe Segoloni (Università di Torino)
[email protected]
prefazione
Questa seconda edizione dell'unica pubblicazione in lingua
italiana sulla Sclerosi Tuberosa (ST) è stata fortemente voluta da
tutti i membri, soci e medici, dell'Associazione per rispondere all'
esigenza di fornire informazioni mediche aggiornate e condivise
che aiutino nella diagnosi di questa malattia genetica rara, nella
gestione clinica della persona affetta da ST attraverso le linee
guida ma anche nella comprensione della patologia da parte di
chi ne è affetto e di chi lo circonda.
Perché possa essere una guida agile ma anche sufficientemente esplicativa, al suo interno (pagg. 7-8) troverete uno
schema per una veloce individuazione delle sue manifestazioni e
dei protocolli diagnostici ed assistenziali oggi consigliati per poi
proseguire nel testo con la descrizione dettagliata di ogni sua
manifestazione clinica.
Vogliamo ringraziare Nicola Migone e Martino Ruggieri,
autori del testo, tutti gli altri specialisti e i membri del Comitato
Scientifico dell'Associazione Sclerosi Tuberosa, la cui collaborazione è stata preziosa per ottenere una pubblicazione completa
e precisa in ogni suo capitolo.
Un ringraziamento infine va a Magda Verdecchia (Roma),
curatrice, assieme a Nicola Migone, della precedente edizione di
questa pubblicazione.
L’Associazione Sclerosi Tuberosa
Storia e obiettivi
L'Associazione Sclerosi Tuberosa onlus è un'Associazione senza
fini di lucro nata a Roma nel Maggio 1997 su iniziativa di alcune
famiglie con bambini affetti da ST e di alcuni medici con lo scopo
di unire le forze per supportare la ricerca scientifica e diffondere
la conoscenza della malattia.
Negli anni, grazie alla volontà e al lavoro degli associati, l'AST
è cresciuta notevolmente: sono numerose oggi le persone a vario
titolo impegnate nell'Associazione in quasi tutte le regioni italiane; anche tra gli operatori, gli insegnanti, i medici si è diffusa la
maggiore conoscenza della patologia e sono sempre più i centri
medici nelle regioni italiane che si possono oggi considerare
"esperti" e conoscitori di questa malattia.
Negli anni gli obiettivi statutari dell'AST si sono ampliati e sempre più strutturati e ad oggi si possono riassumere in:
-supporto alle persone con ST, ai familiari, ai medici e agli operatori che a vario titolo sono impegnati nella cura delle persone
affette dalla patologia
- sostegno alla ricerca scientifica per approfondire le cause
della ST e ricercarne le terapie più efficaci
- promozione della conoscenza della ST, formazione e scambio delle informazioni relative
- la promozione dei diritti, le pari opportunità e l'integrazione
delle persone con disabilità nella società.
Iniziative di raccolta fondi
L'Associazione vive delle quote associative (30 ¤ annui), donazioni, dei proventi di iniziative di raccolta fondi organizzate in
tutte le regioni italiane, di contributi su singoli Progetti e soprattutto del volontariato di soci e sostenitori che dedicano il proprio
tempo per la conduzione delle diverse attività. Dal 2006 è inoltre
possibile contribuire alla vita associativa devolvendo il 5 per mille
dell'importo comunque versato per le proprie tasse all'AST, indicando il numero di codice fiscale 96340170586 nella dichiarazione dei redditi nel riquadro riservato alle onlus.
Sedi, Delegati e Centri Medici regionali
L'Associazione è oggi presente in quasi tutte le regioni italiane
con delegati regionali e centri medici di riferimento per la ST, vedi
www.sclerosituberosa.org
Attività AST
Le attività associative si sono diversificate e strutturate nel
tempo.
Il supporto alla ricerca scientifica è uno degli obiettivi primari dell'Associazione che si esplica attraverso il finanziamento
annuale di progetti di ricerca e borse di studio.
Ai telefoni AST sono sempre reperibili persone esperte in
grado di fornire consulenza e supporto in prima persona o di
indirizzare verso specialisti anche per quesiti di tipo medico e/o
legale.
L'AST è costantemente impegnata nel progetto "Conoscere la
ST" ovvero nella campagna di sensibilizzazione e informazione
rivolta a medici e cittadini allo scopo di diffondere la conoscenza della patologia, dei suoi sintomi e delle cure, anche attraverso l'organizzazione annuale della Festa Nazionale della ST
durante il mese di Maggio.
Le informazioni scritte circolano all’interno e al di fuori
dell'AST, oltre che attraverso il sito web, attraverso la rivista trimestrale Aessetì News, inviata ai soci e ai sostenitori e diffusa
anche nell'ambiente medico. L'Associazione pubblica inoltre
libri, CD, filmati sulla ST e su esperienze ad essa collegate.
La formazione continua è un'altra delle attività associative
fondamentali e si esplica attraverso Corsi di aggiornamento
sugli aspetti clinici della ST in diverse regioni italiane con tavole rotonde tra medici, persone affette e familiari; Seminari di
formazione e di supporto su tematiche connesse ai temi della
disabilità (inerente la ST e non solo), del mutuo-aiuto, rivolti ad
operatori, persone affette, familiari, cittadini.
L'AST organizza annualmente una vacanza associativa residenziale per permettere lo scambio e la creazione di legami
solidali tra quanti affrontano tutti i giorni i problemi legati alla
disabilità e per sperimentare percorsi di autonomia.
indice
criteri per la diagnosi di sclerosi tuberosa ...................
protocolli diagnostici ed assistenziali ..........................
aspetti clinici
introduzione ..........................................................................
cenni storici ...........................................................................
incidenza e prevalenza ..........................................................
segni clinici ............................................................................
cute ...................................................................................
lesioni orali .........................................................................
cuore .................................................................................
sistema vascolare ...............................................................
rene ...................................................................................
sistema nervoso centrale ....................................................
occhio ................................................................................
apparato respiratorio .........................................................
altri organi ed apparati .......................................................
7
8
00
9
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43
48
genetica
ca
geni responsabili e proteine ................................................... 51
come si trasmette la sclerosi tuberosa .................................... 55
consulenza genetica e test genetici ......................................... 561
diagnosi, follow-up e terapia
00
diagnosi ..................................................................................
fallow up ................................................................................
terapia ....................................................................................
65
69
73
per approfondire ......................................................................
77
7
8
aspetti
clinici
introduzione
La sclerosi tuberosa (ST) è una condizione genetica a trasmissione autosomica dominante che interessa svariati tessuti
ed organi. Il vecchio termine di malattia di Bourneville, ormai
abbandonato, rendeva il merito della prima descrizione completa di quest'affezione (avvenuta nel 1880) al medico francese Dèsirè Magloire Bourneville (vedi cenni storici). Oggi si preferisce usare il termine "complesso sclerosi tuberosa" (dall'inglese Tuberous Sclerosis Complex, TSC), coniato per la prima volta
dal patologo Molten nel 1942, che pone l'accento sul coinvolgimento multisistemico e sull'estrema variabilità delle manifestazioni cliniche. Per semplicità, in questo testo sarà usato il termine sclerosi tuberosa per indicare clinicamente l'affezione,
mentre per i geni responsabili sarà mantenuta la nomeclatura
inglese a tre lettere (TSC). In questi ultimi anni, i progressi clinici e genetici, di biochimica e neurobiologia hanno iniziato a
far luce su questioni centrali per la diagnosi, prevenzione e cura
della ST, prima fra tutte sul perché della sorprendente variabilità del quadro clinico. Dopo la scoperta dei due geni responsabili, TSC1 e TSC2, localizzati rispettivamente nel cromosoma 9
e 16, e delle funzioni principali delle proteine codificate da questi geni, amartina (gene TSC1) e tuberina (gene TSC2), sono
stati introdotti nuovi criteri diagnostici ed è mutata profondamente la conoscenza della storia naturale e della biologia di
quest'affezione.
I segni clinici principali nella ST sono a carico della cute e di
alcuni annessi cutanei (unghie e denti), del sistema nervoso
centrale, cuore, reni, occhio, fegato e polmone, ma si possono
avere manifestazioni della malattia in quasi tutti gli organi ed
apparati (ad eccezione, sino ad oggi, del tessuto muscolare
scheletrico e del sistema nervoso periferico).
La ST è ancora oggi considerata da molti una condizione rara
e quasi invariabilmente associata a gravi complicanze neurolo-
9
giche (principalmente epilessia), cognitive (ritardo mentale) ed
a disturbi del comportamento oltre alle tipiche manifestazioni
cutanee. In realtà le conoscenze più recenti sull'epidemiologia e
la storia naturale della ST ci hanno permesso di comprendere
come questa affezione sia molto più frequente di quanto rilevato sino ad oggi e che solo una parte (meno della metà) delle
persone affette presenti grave coinvolgimento neurologico.
cenni storici
Fig. 1
10
Sebbene il nome “sclerosi tuberosa” sia
legato, come prima accennato, al medico
francese Bourneville, una delle prime descrizioni di una persona affetta da questa affezione nella letteratura medica fu fatta dal
patologo tedesco, Friedrich Daniel von
Recklinghausen. Questo patologo assieme
al suo maestro, il grande patologo tedesco
Virchow, ha legato il suo nome ad un'altra
condizione genetica simile per alcuni versi
Volto di un giovane uomo ricoalla ST, e cioè la neurofibromatosi tipo 1
perto di piccole papule eritematose con aspetto e distribu(NF1). Von Recklinghausen, nel 1862,
zione simili a quelle dell'angiofidescrisse alla Società Ostetrica di Berlino un
broma facciale" della sclerosi
neonato che presentava numerosi "tumori
tuberosa" [tratto dal disegno
originale dell'Atlante di Malattie
cardiaci ("myomata") protrudenti… nel
Dermatologiche di Pierre
muscolo cardiaco… all'interno delle camere
Francois Rayer (1835)].
cardiache… ed incapsulati all'interno della
struttura muscolare del cuore" ed un gran numero di "aree sclerotiche…..all'interno del cervello". Questa prima descrizione
comprende già le principali caratteristiche della ST.
Un altro (possibile) caso di ST fu riportato in precedenza dal
dermatologo francese Pierre Francois Rayer che nel 1835 raffigurò, nel suo atlante di malattie dermatologiche (Fig. 1), il volto
di un giovane uomo… "ricoperto di piccole papule eritematose
con un aspetto e distribuzione simili a quelle dell'angiofibroma
facciale "...”della sclerosi tuberosa”.
Il nome della ST è legato però, come
già accennato, a quello di DesiréMagloire Bourneville (1840-1909) (Fig. 2)
che nel 1880 fornì la prima descrizione
clinica dettagliata delle tipiche anomalie
cutanee e neurologiche della ST con il
corrispettivo quadro anatomopatologico
cerebrale e renale, in una bambina di 15
anni d'età affetta da epilessia e ritardo
dello sviluppo psicomotorio. Questa piccola paziente, al tempo dell'osservazione
Desiré-Magloire Bourneville
di Bourneville era internata all'ospedale La
in un ritratto a matita della fine
dell'800
Pitié Salpêtrière di Parigi e clinicamente
presentava piccole lesioni rilevate cutanee
"pendule" (simili a quelle del "mollusco contagioso") al collo;
un'eruzione vescicolosa papulare confluente al naso, alle guance ed alla fronte ed era affetta da epilessia (con convulsioni di
tipo parziale e generalizzato) sin dall'infanzia, associata a frequenti episodi di
stato di male epilettico con emiplegia
spastica destra. Il quadro anatomopatologico cerebrale aveva evidenziato (Fig.
3) "molteplici aree rilevate di consistenza
dura, aspetto biancheggiante (opalescente), e con aumentata densità (similsclerotiche) rispetto alla corteccia cerebrale circostante all'interno delle circonvoluzioni cerebrali" assieme a "piccoli
tumori nodulari incapsulati all'interno
delle pareti del corpo striato ed aggettanti all'interno delle pareti ventricolari".
Proprio a causa di quest'aspetto anato- (A-B) le tipiche lesioni cerebrali della
tuberosa nel disegno origimopatologico Bourneville coniò il termi- sclerosi
nale tratto dal lavoro pubblicato da
ne "sclerosi tuberosa (per l'aspetto e la Bourneville alla fine dell'800
1880): si possono
consistenza sclerotica "simile a quella (Bourneville
notare (A) i noduli subependimali
delle patate" - i tuberi appunto) delle cir- all'interno delle cavità ventricolari
convoluzioni cerebrali". Bourneville assieme ad alcuni tuberi cerebrali
(questi ultimi indicati dalle linee coldescrisse anche delle "piccole lesioni di legate alle lettere) (A-B).
Fig. 2
Fig. 3
a
b
11
colore bianco-giallognolo" all'interno dei reni di questa bambina (angiomiolipomi renali) che non seppe però a quel tempo
collegare con le lesioni cerebrali e più in generale con quelle
della malattia.
Un anno dopo quella prima osservazione, nel 1881, lo stesso Bourneville, assieme al suo collega Brissaud, descrisse il caso
di una bambina internata all'ospedale La Bicêtre di Parigi affetta da stato di male epilettico che presentava lesioni cerebrali (e
renali) simili a quella descritte in precedenza da Bourneville.
Negli anni 1880-1890 questi stessi autori descrissero un totale
di 10 persone con caratteristiche simili a quelle delle due bambine e questa volta posero l'accento sull'associazione tra patologia cerebrale e renale. Nello stesso periodo (1881) il dottor
Hartdegen descrisse i reperti anatomopatologici di un bambino
di 2 anni d'età con stato di male epilettico che presentava "aree
di sclerosi attraverso la corteccia cerebrale" e "piccoli tumori
protrudenti all'interno delle cavità ventricolari" contenenti "cellule neuronali giganti" che lo stesso Hartdegen diagnosticò
come "glioma ganglio cellulare gigante" prospettando una tesi
tumorale per la patogenesi della ST ripresa agli inizi del '900 da
Vogt a Bielschkowski.
Una notazione storica di rilievo, è che Desiré-Magloire
Bourneville fu un personaggio molto importante non solo per le
sue qualità mediche (e per la scoperta legata alla sclerosi tuberosa) ma anche per le enormi qualità umane e per l'attiva partecipazione alla vita sociale della sua nazione in quell'epoca partecipazione che gli permise di contribuire alla creazione di
centri dedicati proprio all'assistenza di bambini con handicap in
tutta la Francia.
Da giovane studente di medicina Bourneville frequentò gli
ospedali parigini di La Bicêtre, La Pitié Salpêtrière ed il St. Louis.
Fu chirurgo durante la guerra Franco-Prussiana e poi assistente
medico all'ospedale di campo Jardin des Plantes. Infine, malgrado fosse già divenuto un affermato medico fece ritorno a La
Pitié. Nel 1870 ricevette il dottorato in medicina a Parigi e qui,
durante la Comune di Parigi del 1871, iniziò la parte "umana e
sociale" della sua carriera: egli, infatti intervenne personalmente per salvare molti dei suoi pazienti feriti durante i moti rivolu-
12
zionari dagli stessi rivoluzionari che desideravano ucciderli per
motivi politici.
Nel 1873 fondò la rivista scientifica "Prògres Médical" e quindi "Archives de Neurologie" e la "Revue photographique des
hopitaux des Paris". Scrisse numerosi articoli scientifici e pubblicò un'edizione dei lavori del suo maestro Charcot. Infine, come
accennato prima, fondò la prima scuola per "bambini con ritardo mentale" e le prime "scuole d'istruzione speciale per bambini con handicap" a Parigi, un movimento che presto si diffuse a
tutto il territorio nazionale francese. Dedicò, ogni anno, tutti i
sabati di ogni settimana a tenere riunioni a La Bicêtre dove
bambini con handicap mentale, motorio e con varie forme d'epilessia si esibivano in danze e canti accompagnati da una
banda musicale composta da alcuni di essi.
Tra gli anni 1873 e 1876 divenne membro del consiglio
comunale della città di Parigi e poi del parlamento francese ed
in ambedue tali funzioni politiche esercitò tutta la sua influenza
ed applicò tutte le sue conoscenze per interessarsi proprio dei
bambini con handicap mentale. Fu il responsabile dell'espansione degli ospedali parigini e della creazione di scuole speciali per
l'istruzione del personale infermieristico e reparti d'isolamento
per bambini e per pazienti con malattie infettive.
Si spense il 29 Maggio del 1909 nella sua casa parigina al 14
di rue des Carmes.
Verso la fine del 1800 e gli inizi del 1900, un gruppo di dermatologi francesi (Ménétrier, Hallopeau e Leredde) ed inglesi
(Pringle) riconobbe per la prima volta (anche in diversi membri
all'interno di uno stesso nucleo familiare) ed associò alle convulsioni ed all'handicap mentale, le caratteristiche manifestazioni al volto della ST (angiofibromi facciali) che furono chiamate
(erroneamente) "adenoma sebaceo" (pensando ad un'origine
istologica dalle ghiandole sebacee). Tale termine (conosciuto
anche come adenoma di Pringle), purtroppo, si perpetuò sino al
XX secolo, ed ancora oggi talora viene impiegato nella descrizione delle manifestazioni cutanee della ST (vedi dopo, segni
clinici).
Le prime descrizioni dettagliate delle lesioni del sistema nervoso centrale nella ST furono merito di Pellizzi nel 1901 che, per
13
primo, comprese la natura "displastica" dei tuberi corticali, dei
noduli subependimali e delle alterazioni della sostanza bianca e
che, assieme a Perusini, alcuni anni più tardi (1905) associò le
lesioni cerebrali, renali e cardiache con l'angiofibroma facciale
(a quell'epoca conosciuto ancora come adenoma sebaceo).
Nel 1905 Campbell descrisse le anomalie oculari associate
alla sclerosi tuberosa e nel 1908 Heinrich Vogt diagnosticò per
la prima volta la malattia in una paziente con convulsioni, handicap mentale ed "adenoma sebaceo" (l'angiofibroma facciale) questa triade di manifestazioni prese poi il nome di "triade di
Vogt". Vogt riconobbe anche che le manifestazioni cardiache e
renali, in quello stesso soggetto facevano parte della stessa
affezione.
Schuster, nel 1914, portò all'attenzione degli studiosi per la
prima volta la possibilità dell'esistenza di manifestazioni isolate
della malattia descrivendo una persona che presentava solo una
delle tre manifestazioni della "triade di Vogt" (in particolare l'adenoma sebaceo cioè l'angiofibroma facciale), senza convulsioni né handicap mentale. Egli chiamò la malattia in quel caso
"forma frusta", ma noi oggi ben sappiamo che presentare solo
una o poche manifestazioni cliniche nella ST è un evento molto
comune.
Nieuwenhuise, alcuni anni prima (nel 1912) aveva già compreso come la ST permettesse una durata di vita normale. Nello
stesso periodo (1911) invece, il medico inglese Sherlock, introdusse nella letteratura scientifica lo "sfortunato" termine "epiloia" quale eponimo di ST: tale termine associava la componente epilettica (epilepsy) ed il deficit cognitivo (anoia, cioè disturbo o deficit mentale).
Infine, van der Hoewe nel 1920 notò le similitudini tra le
lesioni "amartomatose" della ST e quelle della neurofibromatosi, della malattia di von Hippel-lindau ed introdusse per primo il
termine di "facomi" per queste lesioni e di "facomatosi" (poi
conosciute anche come sindromi neurocutanee) per il gruppo di
affezioni che sia associava a tali lesioni.
Seguirono poi le descrizioni cliniche e radiologiche di tutte le
manifestazioni della ST che culminarono negli importanti lavori
di Lagos e dell'americano Manuel Rodriguez Gomez che, tra gli
14
anni '60 e '70, definirono in maniera completa il quadro clinico
della ST, gli aspetti radiologici ed istopatologici, la genetica e la
storia naturale dell'affezione.
La fondazione di consorzi internazionali formati da clinici e
genetisti ha infine permesso in questi ultimi vent'anni di giungere all'identificazione dei due geni responsabili della ST, delle
proteine da questi prodotte e di conoscere molto più a fondo la
patogenesi di quest'affezione.
incidenza e prevalenza
L'incidenza della ST è di 1 su circa 6.000 individui nella
popolazione generale; la reale incidenza però non è perfettamente conosciuta a causa dell'elevato numero di persone affette con segni clinici molto lievi o quasi del tutto asintomatiche
che, poiché non richiedono l'intervento del medico, sfuggono
facilmente alla diagnosi.
La prevalenza è di circa 1 su 13.000 - 30.000 individui nella
popolazione generale e di 1 su 6.800 nella popolazione di bambini d'età compresa tra 11 e 15 anni.
segni clinici
I segni clinici della ST, come già accennato, possono essere a
carico di molti organi ed apparati e possono manifestarsi durante vari periodi della vita.
Un dato ancor più importante è che non tutti i segni ed i sintomi della ST si manifestano in ogni persona affetta (e talora, in
alcuni individui, anche con i più moderni mezzi d'indagine può
essere difficile individuarne la presenza).
Vi possono essere persone con poche manifestazioni cliniche
che tuttavia sono portatori certi di mutazione in uno dei due
geni della ST e famiglie (con una stessa mutazione di uno dei
due geni TSC) all'interno delle quali l'espressione della malattia
15
è assai variabile. La principale ricaduta pratica di queste conoscenze è che il protocollo per la diagnosi e per l'assistenza varia
secondo l'età dell'individuo con sospetta ST o affetto da ST.
Cute
(in collaborazione con Carmelo Schepis)
Fig. 4
a
b
16
I segni cutanei della ST sono molteplici per numero, sede e
tipo di lesione.
Abitualmente, compaiono secondo un preciso ordine cronologico (vedi Tabella 1). Va ricordato, però, che talora può essere presente un solo tipo di lesione anche per tutto l'arco della
vita: anche in questi casi però quest'unica lesione compare
secondo un modello cronologico ben
preciso (Figg. 4-8). Seppure le manifestazioni cutanee nella ST siano tra i
segni più frequenti dopo la seconda
decade di vita (vale a dire tra quelli a
più alta penetranza), esistono rari
individui adulti portatori certi di
mutazione, in cui la cute ed i suoi
annessi non risultano coinvolti.
Secondo la nostra esperienza, l'esame
dermatologico resta in ogni caso lo
strumento più rapido, economico e di
maggior efficacia diagnostica, purché
condotto da persone esperte in quest'affezione.
Macchie ipomelanotiche. Sono i
segni cutanei più precoci. Sono presenti alla nascita solo nel 30% circa
dei casi, ma possono apparire o
aumentare di numero nell'infanzia o
Anomalie cutanee nella sclerosi tuberosa:
(A) macchie ipomelanotiche di forma lanin età puberale.
ceolata assieme ad una tipica macchia
Il numero di lesioni varia da > 2 a
zigrinata (frecce nere);
(B) macchie ipomelanotiche "a coriandodiverse decine o (più raramente) cenlo" (frecce nere) [ Figura 4 A, per gentile
tinaia, con forme e dimensioni variaconcessione del Dipartimento di
bili (Fig. 4):
Dermatologia, Università di Torino].
1) rotondeggianti (0.5-6
cm);
2) lanceolate (a forma di
foglia) (0,5-6 cm);
3) molto piccole e multiple (1-3 mm), simili a dei
coriandoli (non frequenti,
sono più tipiche dell'adolescente o dell'adulto con ST).
Le macchie ipomelanotiche
possono essere presenti
anche nel cuoio capelluto
sotto forma di aree (o ciuffi)
di capelli bianchi ("poliosi")
così come nelle ciglia e
sopracciglia.
E' importante ricordare
che circa il 5% degli individui sani, nella popolazione
generale, possono avere una
o due macchie ipomelanotiche; è quindi generalmente
il numero (> 3) che conferisce a questo segno una rilevanza diagnostica. Talvolta
una chiazza ipomelanotica
può scomparire nel corso
degli anni. Dal punto di vista
istologico nella ST vi è riduzione o pressoché totale Placca fibrosa frontale (A,B) ed al mento (C)
assenza di pigmento all'in- (frecce nere)
terno della macchia (riduzio- [Figura 5 B, per gentile concessione di Sergiusz
Jozwiack, Varsavia, Polonia].
ne del numero, diametro e
pigmentazione dei melanosomi all'interno dei melanociti).
Placca fibrosa. E' una lesione rilevata, di consistenza elastica e di colore un poco più scuro (marrone-rossastro o giallo)
rispetto alla cute circostante, localizzata generalmente nella
Fig. 5
a
b
c
17
Fig. 6
18
regione frontale o, a volte, sotto il cuoio capelluto (Fig. 5;
Tabella 1). Generalmente compare nella prima infanzia, può
aumentare di dimensione durante l'adolescenza, ma anche
regredire in età adulta. Una caratteristica importante è che all'esordio può essere confusa con una lesione di tipo "eczematoso"
e, come questa, andare incontro a varie fasi di "acutizzazione"
(con arrossamento) e scomparsa per poi acquisire le caratteristiche tipiche sopra descritte. Istologicamente presenta le stesse caratteristiche dell'angiofibroma facciale (vedi dopo).
Placca zigrinata. Con questo nome si definisce un'area più
o meno estesa di cute (da uno a diversi centimetri ) leggermente rilevata, d'aspetto rugoso (simile ad una "buccia d'arancia") e di colore rosa-giallastro, che compare abitualmente nella
tarda infanzia (raramente prima dei 2-3 anni d'età) (Fig. 4a e 6).
Inizialmente si manifesta
come un'insieme di piccole
papule (o anche una sola) leggermente rilevate, di aspetto
irregolare che successivamente confluiscono in un'area più
estesa con il tipico aspetto
"zigrinato", cioè ruvido al tatto
(shagreen patches). Sono abitualmente localizzate in sede
Tipica macchia zigrinata (frecce nere) al dorso
lombare da un solo lato, dove,
[per gentile concessione del Dipartimento di
Dermatologia, Università di Torino].
una volta raggiunta la confluenza, assumono una forma
allungata in senso trasversale (da 2-3 a 10-15 centimetri), più
raramente in sede toracica o cervicale superiore. Di rado possono essere riscontrate sul rachide o si estendono ai fianchi e alla
regione anteriore del tronco. La confluenza delle piccole aree si
raggiunge durante l'adolescenza. La chiazza zigrinata si osserva
in circa il 20% dei portatori di mutazione (Tabella 1) e di solito
è singola.
Angiofibroma facciale. Istologicamente queste lesioni sono
"amartomi" del tessuto connettivo e dei vasi del derma che si
manifestano clinicamente come piccole papule sessili tondeggianti, rossastre o rosa, distribuite simmetricamente alle guan-
ce, alle pieghe nasolabiali, al
mento o alla punta del naso
(Fig. 7). Inizialmente sono
molto piccole (<1 mm) e
poco numerose. Compaiono
dai 3-5 anni di età sino alla
pubertà, quando tendono ad
aumentare di numero e
dimensione. Se molto numerose, rilevate e scure di colore possono essere associate
ad un fenotipo neurocutaneo più grave.
Gli angiofibromi facciali
sono presenti nell'80-90%
degli adulti con ST.
Fibromi cutanei. In taluni individui si possono avere
piccoli fibromi penduli cutanei (molluscum fibrosum
pendulum) localizzati prevalentemente sul collo e sulle
spalle (Fig. 8). Possono essere presenti già alla pubertà,
ma più spesso si osservano
in età adulta. In alcuni casi
questi fibromi sono molto
numerosi estendendosi alla
metà superiore della schiena
e alle regioni ascellari.
Angiofibromi del solco nasogenieno (A),
del naso (B) e del volto (C);
aspetto istologico di una lesione (D)
che dimostra l'ispessimento dello strato epidermico
con aumento della parte fibrosa e vascolare nel tessuto
sottocutaneo accompagnato dall'ipertrofia
delle ghiandole sebacee
(da qui il nome - errato - di adenoma sebaceo
usato nel passato).
Fig. 7
a
b
c
d
19
b
Fibromi ungueali. Appaiono generalmente in età
adulta ma non in tutti i soggetti affetti da ST. Sono più
comuni nelle dita dei piedi che
in quelle delle manie. Sono di
due varietà (Fig. 9):
1) periungueali, cioè fibromi rotondi, ovali o piatti,
emergenti dai bordi superiori
del letto ungueale, del medesimo colore della pelle o arrossati, per sfregamento o ripetuti traumi (da contatto ad
esmpio con la scarpa); il
numero, la dimensione (1-4
mm) e la tendenza a crescere
varia da soggetto a soggetto;
possono deformare la lamina
ungueale con formazione di
una doccia Fig. 9a);
2) subungueali, il tipo più
comune si annida presso la
matrice dell'unghia ed essendo di dimensioni molto piccole non è visibile di per sé, ma
se ne apprezza il danno provocato sulla crescita dell'unghia: si notano solchi più o
c
Aspetto all'esordio (A),
e dopo lungo tempo nei soggetti
non trattati chirurgicamente (B,C)
dei fibromi ungueali delle dita delle mani (A,B)
e dei piedi (C).
Fig. 8
Fibromi penduli nella regione del collo
Fig. 9
a
20
Tab. 1
Segni
cutanei
e degli
annessi
cutanei
meno profondi, nella direzione di crescita dell'unghia (Fig 9a).
Questa varietà di fibromi occulti, a bassa tendenza espansiva,
va cercata con attenzione soprattutto nelle mani, mentre nei
piedi i fibromi periungueali sono facilmente riconoscibili.
Una forma meno comune di fibromi subungueali consiste
nella comparsa di noduli o "frange" verruciformi sotto il margine libero dell'unghia, la quale può così apparire "sollevata" dal
suo letto (vedi Fig. 9c)
I fibromi ungueali sono segni tipici di ST. Pertanto, qualora
non fossero limitati al 5° dito del piede dove i traumatismi sono
comuni, la loro presenza deve far sorgere un forte sospetto di
ST, tale da richiedere il completamento degli esami previsti dal
protocollo diagnostico.
Se traumi al 5° dito del piede hanno talvolta generato inutili allarmismi, va segnalato che certi fibromi sottoungueali scollanti l'unghia dal suo letto sono stati erroneamente interpretati
come infezioni micotiche.
Ciononostante va detto che in genere i fibromi ungueali veri
sono facilmente distinguibili da quelli falsi.
21
Fig. 10
Lesioni orali
(a cura di Eugenio Raimondo
e Roberto Rozza)
a
b
Lesioni dei denti. Si tratta
di ipoplasie focali dello smalto
dentale visibili sia in bambini
(dentatura decidua) che in
adulti con ST. Sono asintomatiche e non interferiscono con
le funzioni fisiologiche del
dente. Sono causate da uno
sviluppo anomalo delle cellule
di origine ectodermica durante il processo di amelogenesi.
Clinicamente possono presentarsi in forme e dimensioni
diverse (Fig. 10):
1) piccole tacche o fossette
rotonde, di solito non superiori ad 1 mm, entrambe ben
visibili occhio nudo;
2) lesioni microscopiche
(puntiformi; conosciute nella
letteratura inglese come "enamel pittings"), riconoscibili
all’esame odontostomatologi-
c
d
22
Tipiche lesioni ipoplasiche dello smalto dentario
(A-C) (freccia nera e puntini neri):
al microscopio elettronico (D) si nota una carie
(parte superiore sinistra della figura) in un soggetto
con lesioni ipoplasiche dello smalto dentario
(si noti l’accumulo di materiale organico calcificato
che ha un aspetto a strie nella parte destra della
figura).
[figura 10 A, per gentile concessione
di Rudolf Happle, Marburgo, Germania].
co con speciali spray dentali coloranti oppure al microscopio.
Clinicamente, le lesioni microscopiche dello smalto rappresentano un punto di minor resistenza sulla superficie dello smalto, esponendo così il dente ad una più facile insorgenza di lesioni cariose (Fig. 10d). Istologicamente si presentano come
microcavità dello smalto, attorniate da un'aumentata striatura
del Retius localizzata soprattutto a livello delle superfici vestibolari dei denti anteriori. L'analisi al microscopio elettronico
mostra che lo strato dentinale non viene mai intaccato dalla
lesione e che nelle microcavità sulla superficie dentale si accumula materiale organico calcificato (Fig. 10d); il diametro può variare da 4-100
mm e con una profondità
calcolata tra 1/3 a tutto lo
spessore
dello
smalto.
L'incidenza varia dal 60 al
100% in soggetti con ST
rispetto al 7% riscontrato
nella popolazione generale.
Un dato controverso è la
presenza di inclusioni dentali o denti soprannumerari da
taluni riscontrati con mag- Piccolo fibroma mucoso (indicato dalla freccia)
giore frequenza nei soggetti della cavità orale
con ST.
Lesioni della mucosa
buccale. In più del 40% dei
soggetti con ST si hanno fibromi mucosi e/o gengivali (Fig. 11).
Gli pseudofibromi orali presenti in circa il 50% delle persone
con ST clinicamente hanno l'aspetto di noduli di dimensioni
variabili e di colore variabile dal rosso-giallastro al rosa, simile
alle mucose circostanti. Si osservano principalmente nella gengiva anteriore, labbra, guance e palato. In alcuni casi possono
presentarsi in forma papillomatosa.
Spesso è presente iperplasia gengivale, dovuta a scarsa igiene orale o secondaria a terapia con farmaci antiepilettici.
Macule labiali ipopigmentate (a forma di foglia), dovute ad
Fig. 11
23
Fig. 12
a
una diminuzione quantitativa
di melanociti, sono da considerare segni non pericolosi e da
non trattare.
Nell'11% circa dei soggetti
con ST è possibile rilevare all'esame radiografico del cranio
iperostosi (presente anche a
livello alveolare) e lesioni pseudocistiche mandibolari.
Cuore
b
c
d
24
Il 45-70% circa dei soggetti
con ST presenta, ecograficamente, rabdomiomi cardiaci
(Fig. 12). I rabdomiomi nella ST
sono multipli, localizzati all'interno delle cavità o nelle pareti
cardiache.
Istologicamente
sono costituiti da cellule plurinucleate, molto più grandi delle
fibrocellule muscolari cardiache
(raggiungono dimensioni >
80-200 m) e di colore giallastro
o bianco per l'abbondante
accumulo di glicogeno nel citoplasma. Sono circoscritte da
una capsula ed il loro diametro
massimo varia da pochi millimetri a svariati centimetri.
Ecografia cardiaca in neonati con sclerosi tuberosa
(A-D): si nota la presenza di un piccolo rabdomioma
accessorio che protrude dalla parete del muscolo
cardiaco (A) (area evidenziata con il cerchio bianco)
e di un voluminoso rabdomioma all'interno delle
cavità cardiache (B-D) (lesione rotondeggianteoblungata evidenziata con due cerchi bianchi e di
colore chiaro presente nelle tre immagini).
In realtà più che un tumore il rabdomioma cardiaco (della
ST) è un amartoma, cioè una proliferazione che non va incontro a trasformazione neoplastica. Anzi, già nei primi mesi di vita
i rabdomiomi regrediscono di numero e dimensione (caratteristica unica tra le varie lesioni della ST).
I rabdomiomi della ST sono abitualmente asintomatici e
quindi non richiedono un trattamento specifico. In una piccola
percentuale di casi (< 1.5%), a causa della grande dimensione
(Fig. 12B-D) o localizzazione in sedi critiche, generano problemi in epoca fetale, neonatale o eccezionalmente in età successive. Si tratta, in ordine di frequenza, di 1) disturbi del ritmo cardiaco (tra cui anche quello tipico della sindrome di WolffParkinson-White) per danneggiamento delle vie di conduzione
cardiache (per sostituzione, spostamento o compressione delle
medesime); 2) alterazioni del flusso cardiaco per interferenza
sulla cinesi valvolare o parziale/totale ostruzione delle cavità
così da condurre ad insufficienza cardiaca; 3) deterioramento
delle fibrocellule muscolari per parziale sostituzione con tessuto
patologico non contrattile e comparsa di segni/sintomi sovrapponibili a quelli di una miocardiopatia; 4) in epoca fetale, aritmia cardiaca con esito in idrope e morte fetale. Molto raramente (< 1%), se molto voluminosi, possono essere causa di
morte in età neonatale o nella prima infanzia da fenomeni di
tamponamento cardiaco.
Sono in genere meno aggressivi istologicamente dei più rari
rabdomiomi isolati e degli altri rari tumori cardiaci dell'infanzia
o dell'età adulta (ad esempio i mixomi) non associati ad ST.
Sono state osservate tuttavia rare famiglie con ST in cui la rabdomiomatosi si era manifestata in più individui della famiglia in
forma grave (per precocità d'insorgenza e spiccata tendenza
espansiva) o letale.
Dal punto di vista diagnostico i rabdomiomi rappresentano
una delle lesioni più importanti perché, se presenti, sono rilevabili già alla nascita e talvolta anche in epoca prenatale, a partire dalla (20a - 22a) settimana di gravidanza. Seppure sia stata
documentata nella ST l'occasionale persistenza di rabdomiomi
in età tardo-infantile, adolescenziale ed, eccezionalmente,
anche in età adulta, è bene ricordare che tali lesioni (già evi-
25
denti alla nascita) erano comunque regredite di numero e
dimensione e sempre asintomatiche.
Come è stato anticipato sopra, la regressione inizia molto
precocemente, nei primi mesi, se non settimane di vita e può
portare alla scomparsa ecografica delle masse entro alcuni anni:
l'evento più comune è però la loro scomparsa progressiva con
l'età (nella maggior parte dei casi si ha una rapida regressione
del volume tumorale a partire dai 4 anni d'età).
Tale regressione potrebbe essere ricondotta a fenomeni
endocrini (diminuzione del tasso di ormoni estrogeni/progestinici materni) e spiegare così la mancata regressione o l'occasionale picco d'aumento del volume tumorale descritto da alcuni
autori in individui di sesso femminile alla pubertà nella popolazione femminile.
Per quanto sopra esposto, il follow-up dei rabdomioni sia
asintomatici, sia con modeste alterazioni del flusso o del ritmo,
consiste nel monitoraggio ecocardiografico ed ECG, eventualmente associato a valutazione del flusso (vedi Tabella pagina 8).
Sistema vascolare
In alcuni soggetti con ST si possono avere anche aneurismi
arteriosi (più comuni nell'aorta discendente ed addominale).
Tali aneurismi sono spesso associati a displasia fibromuscolare dell'arteria renale.
Molto raramente si possono avere aneurismi intracranici
(arteria carotide, cerebrale anteriore, comunicanti medie e
posteriori). Istologicamente si ha ispessimento della tunica
media vasale, assenza di tessuto elastico con fenomeni di ialinizzazione e riduzione del lume vascolare.
Sembra che questo fenomeno sia causato da ampie delezioni che coinvolgono sia il gene TSC2 che il gene adiacente, PKD1
(tale tipo de delezione si osserva nel 2-4% dei soggetti con ST).
Sarebbe il difetto di questo secondo gene, notoriamente associato alla sindrome del rene policistico dell'adulto, all'origine di
alcuni segni e sintomi non tipici della ST, tra cui gli aneurismi
cerebrali, cisti epatiche multiple e rene policistico in infantile,
che complicano il quadro clinico di ST dei portatori del difetto
combinato dei geni TSC2 e PKD1.
26
Rene
Le lesioni renali caratteristiche
della ST sono gli angiomiolipomi
(AML) (Fig. 13), pressoché sempre
multipli e bilaterali. Spesso ma non
sempre, gli angiomilipomi si accompagnano ad alcune cisti. A differenza
delle cisti del rene policistico dell'adulto familiare, le cisti della ST non
sono specifiche della malattia. Il loro
numero, in assenza del difetto combinato del gene TSC2 e PKD1, è di gran
lunga inferiore a quello del rene policistico dell'adulto. Esse originano dal
sovvertimento meccanico della struttura del rene dovuto all'espansione
degli AML. Gli AML sono i veri
responsabili delle complicazioni acute
e croniche riguardanti la funzione
renale e la prima causa di gravi complicanze legate alla malattia nei soggetti adulti con ST. Altra lesione meno
frequente è la cisti renale linfangiomatosa (Fig. 13).
Angiomiolipomi renali. E' un
tumore benigno, non capsulato,
composto da tessuto adiposo, vasi
anomali e tessuto muscolare liscio in
proporzioni variabili (viene considera-
Fig. 13
a
b
c
(A) Ecografia renale in un bambino con sclerosi tuberosa che dimostra la presenza di alcuni angiomiolipomi
all'interno del parenchima renale (piccole lesioni rotondeggianti di colore chiaro) e di alcune piccole cisti renali; (B) Sezione assiale di TAC dell'addome di un soggetto con sclerosi tuberosa di 20 anni d'età che mostra a
destra una raccolta ematica di oltre 10 cm di diametro (asterisco bianco), scoperta in alla prima ecografia
senza alcun sintomo premonitore. Verosimilmente, si è formata lentamente per sanguinamento dell'adiacente
angiomiolipoma (con componente mista, solida e cistica), situato nel polo superiore del rene, il cui parenchima normale è parzialmente riconoscibile nella massa chiara di forma triangolare dislocata in senso anteromediale frecce nere). Il rene di sinistra (asterisco nero) presenta pochi e piccoli angiomiolipomi, scarsamente
visibili in questa sezione. (C) Immagine anatomica di rene policistico [nel riquadro, aspetto radiografico che
dimostra la dilatazione dei calici renali (strie bianche nella parte destra dell’immagine) da occlusione].
27
to un "tumore/malformazione" composto da "cellule epitelioidi
perivascolari" "piuttosto che un vero tumore ed a seconda del
tessuto prevalente viene anche chiamato miolipoma o angiomioma) e localizzato nella regione corticale del rene (talora possono però estendersi nel tessuto grasso o vascolare peri-renale). La frequenza nella popolazione generale (non affetta da ST)
è di circa 1-2% (ma è probabile che sia ancora più alta perché
raramente vengono individuati se asintomatici) mentre nei soggetti con ST possono essere presenti nel 50-90% dei casi.
L'incidenza aumenta con l'età: è di circa il 15% < 2 anni d'età,
40% tra i 2-5 anni, > 60% tra 5-14 anni, > 90% tra 14-18
anni d'età. Sono certamente più frequenti nei soggetti adulti
con ST. Anche le dimensioni aumentano con il crescere dell'età:
sono 4-8 mm di diametro nella maggior parte dei bambini ma
possono raggiungere grandi dimensioni nel giovane adulto o
nell'adulto. I sintomi compaiono generalmente dopo i 30 anni
d'età e sono caratterizzati da dolori addominali o ad un fianco,
nausea o vomito mentre i segni classici (non sempre presenti
però) sono ipertensione, ematuria, uremia, febbre e/o presenza di massa addominale palpabile.
Molto raramente (e più nel soggetto adulto) si giunge ad
insufficienza renale (da sostituzione totale del parenchima renale da parte del tessuto patologico).
Se si verifica emorragia all'interno di un angiomiolipoma o
rottura di vasi ematici da compressione da parte di grosse
masse si ha più spesso dolore acuto accompagnato da febbre
ed ematuria. Sono rilevabili all'esame ecografico come masse
iperecogene: in casi dubbi o per definire meglio le dimensioni
ed i rapporti con le strutture circostanti lo studio va approfondito con TAC (Fig. 13 B) e/o Risonanza magnetica.
Quando sono di dimensioni notevoli o sintomatici è consigliabile valutarli con arteriografia ed eventualmente embolizzarli (vedi dopo). Le lesioni che ad un monitoraggio seriale nel
tempo appaiono piccole continueranno (generalmente) a mantenere questo comportamento mentre le lesioni che sono cresciute > 4 cm necessitano valutazioni ecografiche più frequenti perché il potenziale d'accrescimento è maggiore e più rapido.
Il protocollo di follow-up (vedi dopo) prevede un monitoraggio
28
annuale o semestrale per i soggetti con masse già rilevate e permette di decidere chi debba andare incontro a micro-chirurgia
di rimozione delle masse (con salvataggio del tessuto renale) e
chi debba eseguire l'embolizzazione delle masse (secondo i criteri attuali tutti quei soggetti sintomatici e con lesioni > 4 cm).
Cisti renali. Questa è la seconda lesione renale per frequenza nella ST (incidenza del 20-40% circa). Le cisti sono abitualmente di due tipi (ciascuno con esordio, manifestazioni cliniche,
storia naturale e prognosi differente):
1) Cisti piccole (2 mm/1 cm in diametro) che si manifestano come cisti isolate o a piccoli gruppi (generalmente < 5 cisti).
Questa varietà è meno frequente nei soggetti con ST in età
infantile mentre diviene più comune con il progredire dell'età ed
abitualmente è associata agli angiomiolipomi (e probabilmente
è correlata alla formazione di questi ultimi).
2) Cisti grandi (1-5 cm in diametro), abitualmente numerose e bilaterali (simili al rene policistico). Questa varietà è meno
frequente nei soggetti con ST ed è tipica invece delle cisti che
compaiono in età infantile (talora possono precedere la comparsa degli altri segni di ST).
Istologicamente sono caratterizzate da iperplasia tubulare
epiteliale all'interno dei nefroni con formazione di cavità (cistiche) e cellule iperplastiche che protrudono all'interno del lume
cavitario. Sono abitualmente localizzate nella regione corticale
renale (superiore) e possono poi estendersi alla midollare. La
maggior parte delle cisti renali sono asintomatiche anche se i
soggetti con mutazioni del gene TSC2/PKD1 (sindrome da geni
contigui) possono presentare un numero assai elevato di cisti
sin dalla nascita associate a grave ipertensione ed iperazotemia.
I principali segni/sintomi di sofferenza renale sono legati alla
co-esistenza di angiomiolipomi renali che, come spiegato sopra,
possono sostituirsi progressivamente al parenchima renale causando disfunzione renale. L'effetto di (eventuale) compressione
da parte di grandi cisti viene oggi considerato un effetto (negativo) aggiuntivo. Solo le grosse cisti associate ad ipertensione
possono necessitare di decompressione chirurgica della cavità
cistica o talora (nel caso di rene policistico grave) di nefrectomia.
29
Cisti renale linfangiomatosa. Questa varietà di cisti è assai
rara (< 1%) nella ST. La caratteristica istologica distintiva è la
presenza di componente endoteliali e il contenuto solido (cellulare) della cavità cistica. Possono causare ipertensione e/o
insufficienza renale.
Neoplasie renali. L'associazione tra neoplasie renali e ST è
assai controversa. Sono state descritte (circa 30 casi in letteratura) diverse varietà di neoplasie del rene in soggetti con ST:
leiomiosarcoma, sarcoma fibroplastico, angiosarcoma, liposarcoma, angiofibroliposarcoma, sarcoma a cellule chiare, carcinoma a cellule chiare ed oncocitoma. Non esistono tuttavia dati
epidemiologici che dimostrino la reale associazione tra questi
tipi di tumore e la ST. E' stata quindi ipotizzata una possibile tendenza dei soggetti affetti da ST (maggiore che nella popolazione generale) a sviluppare neoplasie renali: anche questo dato
non è stato però dimostrato. Non è stata neanche dimostrata la
possibilità che un angiomiolipoma possa trasformarsi in neoplasia renale. Istologicamente tutte queste varietà sono indistinguibili dalle stesse varietà nella popolazione generale. La classica triade sintomatologica è caratterizzata da dolore costo-vertebrale, presenza di massa palpabile ed ematuria. Va ricordato
che la varietà di carcinoma a cellule renali può manifestarsi
come sindrome paraneoplastiche con policitemia, ipercalcemia,
ipertensione, sindrome di Cushing, amiloidosi e disfunzione
epatica.
Sistema nervoso centrale
(in collaborazione con Giuseppe Gobbi)
Le lesioni del sistema nervoso centrale (SNC) nella ST sono
principalmente delle malformazioni dello sviluppo corticale:
precisamente, sono dei disturbi della migrazione, proliferazione
e differenziazione cellulare. Nei soggetti con ST si formano due
popolazioni di neuroblasti (cioè di cellule precursori delle future cellune del SNC): una migra normalmente raggiungendo le
giuste sedi corticali e formando tessuto corticale normale; l'altra
è formata da una popolazione anomala di "neuroastrociti" e
forma cellule neuronali e cellule gliali (queste ultime sono cellule con funzioni di supporto e nutrimento per le cellule neuro-
30
Fig. 14
Ipotesi sull'origine delle displasie corticali, delle cellule giganti e dei difetti di migrazione presenti nelle lesioni
cortico-sottocorticali della sclerosi tuberosa. (A) Meccanismo plausibile di formazione dei neuroni giganti a
partire dai progenitori neurali, in individui eterozogoti per una mutazione in un allele del gene TSC1 o TSC2
(cellule ovali grigie, TSC + / -). Il difetto di un allele TSC non impedisce a queste cellule progenitrici di migrare dallo strato periventricolare (dal quale originano) verso la (futura) corteccia cerebrale e formare così i vari
strati di cellule neuronali corticali, guidate dall'impalcatura creta dalle cellule gliali radiali (fibre radiali; disposte
verticalmente nella figura e con nucleo giallo). Se però occasionalmente una seconda mutazione inattiva
anche il secondo allele, la funzione dell'amartina o tuberina verrebbe a mancare e le cellule così colpite assumerebbero aspetti displastici (cellule rotondeggianti con citoplasma verde chiaro nella figura), fino a diventare giganti per un aumento considerevole del volume del corpo cellulare (cellule con citoplasma verde scuro);
(B) Possibili cause delle anomalie della migrazione neuronale (che daranno origine, tra le altre cose, alle strie
radiali della sostanza bianca). Si ipotizza che anche cellule gliali o neuronali non displastiche, eterozigoti per
una mutazione in un allele del gene TSC1 o TSC2 (TSC+/-), e quindi senza perdita completa di funzione di
amartina o tuberina, possano migrare in modo aberrante o essere indotte a farlo dalle cellule neuronali giganti incontrate lungo il tragitto (C). Quest'ultima ipotesi è illustrata nella parte centrale della figura, in alto dove
i segnali inibitori o confondenti provenienti dalle celle giganti sono indicati con frecce tratteggiate (C).
nali) corticali anormali (tuberi corticali) (vedi Fig. 14). Alcuni di
questi neuroastrociti non migrano normalmente dallo strato
germinale (strato dal quale originano) ma permangono in questo formando i noduli subependimali ed eventualmernte evolvendo in astrocitomi a cellule giganti. Altri neuroastrociti, infine, migrano solo parzialmente (o interferiscono con la migra-
31
Fig. 15
32
zione dei neuroblasti normali) formando aree di eterotopia nella
sostanza bianca sottocorticale (strie
radiali della sostanza bianca) (Fig.
14). Alcune di queste lesioni hanno
inoltre la tendenza a formare cavità
cistiche di significato ancora non
chiarito. Tutti questi neuroastrocitinella ST hanno una caratteristica
Sezione coronale di immagini pesate in
comune che è quella di non mostrare
T2 di risonanza magnetica cerebrale
nella sclerosi tuberosa che evidenzia la
chiara differenziazione neuronale e/o
presenza di tuberi corticali (lesioni biangliale. Le lesioni del SNC nella ST,
che nella parte sinistra dell'encefalo).
quindi, sono secondarie a difetti di
migrazione (noduli subependimali), ad interruzione della migrazione (lesioni radiali della sostanza bianca) e/o ad un completamento anormale del processo di migrazione con alterazioni dell'architettonica corticale (tuberi corticali).
Le tipiche lesioni del SNC sono quindi (tabella 2) (Fig. 15):
1) tuberi corticali (Fig. 15-18);
2) noduli subependimali (Fig. 16 A-B)
astrocitoma subependimale a cellule giganti (Fig. 16 C-F);
3) lesioni radiali della sostanza bianca( Fig. 17);
4) cisti cerebrali (Fig. 18).
I tuberi corticali appaiono come lesioni rotondeggianti o di
forma ovale, che alterano la forma (aumentandone il volume)
delle circonvoluzioni cerebrali nelle sedi colpite e l'intensità del
segnale alla RM (aumento di segnale nelle immagini pesate in
T2 e diminuzione del segnale in quelle in T1) (Fig. 15) o alla
tomografia computerizzata (TAC) (vi è ipointensità di segnale o
presenza di calcificazioni). La localizzazione è quindi tipicamente nella sostanza grigia corticale o sottocorticale ed istologicamente vi è sovvertimento della normale citoarchitettonica cerebrale con presenza di neuroni e cellule gliali atipiche giganti. Il
numero è variabile e non è abitualmente correlato alla gravità
del quadro clinico neurologico, mentre è importante la sede sia
dal punto di vista epilettogeno che comportamentale: i tuberi
corticali a sede nel lobo temporale sono più spesso associati a
problemi neurologici gravi, quali ritardo mentale e/o autismo;
quelli a sede frontale ad epilessia farmacoresistente e gravi disturbi di tipo comportamentale; quelli a sede occipitale a forme di
epilessia farmaco-resistente e disturbi visivi.
E' importante ricordare che la RM nei primi
mesi di vita (< 3 mesi/1 anno d'età) può non
essere capace di rilevare queste lesioni perché
la sostanza bianca non ha ancora completato
il processo di mielinizzazione e quindi le alterazioni di segnale non sono presenti o sono
diversi dall'aspetto descritto sopra: in particolare a quest'età sia i tuberi che i noduli subependimali (vedi dopo) appaiono come lesioni iperintense in T1 ed ipointense in T2.
I noduli subependimali sono piccoli
noduli rilevati presenti nelle pareti dei ventricoli cerebrali, di aspetto più compatto dei
tuberi corticali. Alcuni di (o anche tutti) questi
noduli possono protrudere all'interno delle
cavità ventricolari (Fig. 16 A-B).
Istologicamente sono costituiti da tipiche
cellule giganti, irregolari, sono abitualmente
multipli e di dimensioni variabili da 2 a 10 mm
e sono parzialmente o totalmente calcificati.
Si sviluppano tipicamente durante la vita fetale e sono asintomatici. Sono ben visualizzabili
con la RM (va ricordato che non captano il
mezzo di contrasto contrariamente agli astrocitomi subependimali a cellule giganti) o con
la TAC (con quest'ultimo mezzo di indagine
appaiono come lesioni calcificate).
Quando uno o più di questi noduli subependimali hanno dimensioni più grandi (>1
cm) (e sono localizzati tipicamente in prossiSezioni coronali (A,C,D), assiali (B,E) e sagittali (F) di immagini di risonanza
magnetica dell'encefalo in soggetti con sclerosi tuberosa che evidenziano:
(A-H) la crescita progressiva di due noduli subependimali in prossimità dei
forami di Monro che formano un astrocitoma subependimale a cellule giganti
all'interno delle cavità ventricolari.
Fig. 16
a
b
c
d
e
f
33
Fig. 17
34
mità dei forami di Monro nel terzo
ventricolo) (Fig. 16 C-F) sono conosciuti come astrocitomi subependimali
a cellule giganti (ASCG), ed hanno,
diversamente dai tipici noduli subependimali, un potenziale di crescita
maggiore, comportandosi come dei
tipici tumori cerebrali benigni potendo
ostruire la normale circolazione liquorale (vedi sotto).
L'astrocitoma subependimale a
Sezione coronale di un'immagine
cellule
giganti (ASCG) istologicamendi risonanza magnetica dell'encefalo
te
presenta
le stesse caratteristiche dei
in un soggetto con sclerosi tuberosa
che mostra le tipiche lesioni striate
noduli subependimali (Fig. 16 C-F) ed
della sostanza bianca
è localizzato, come detto prima, in cor(strie bianche diffuse nell'encefalo)
associate a tuberi corticali
rispondenza dei forami di Monro. Per
(lesioni bianche più grandi).
definizione l’ASCG è un nodulo subependimale più grande di 1 cm che
all'imaging capta il mezzo di contrasto. E' importante conoscere che in molti individui affetti da ST vi possono essere noduli
subependimali > 1cm e/o captanti il mezzo di contrasto ma
non tutti questi noduli si comportano da ASCG clinicamente
significativi (sintomatici). Gli ASCG sintomatici (o comunque
quelli di grandi dimensioni) possono comparire nel 5-7% circa
dei soggetti con ST generalmente intorno all'età infantile sino
alla pubertà (il periodo di maggiore rischio è compresa tra i 4 ed
i 10 anni d'età). Più raramente si possono avere ASCG congeniti che si manifestano in epoca neonatale.
I sintomi sono comunemente causati dall'ostruzione alla circolazione del liquor cerebrale (quindi il tipico corteo sintomatologico dell'ipertensione endocranica) e poiché la crescita
dell’ASCG è estremamente lenta questo tipo di lesione può passare inosservata anche per anni. La comparsa dei sintomi può
avvenire in una fase precoce di crescita del tumore oppure in
una fase tardiva quando il tumore cresce producendo cisti all'interno o intorno alla massa tumorale. Non è consigliabile eseguire RM seriali nel tempo per ricercare la comparsa di tali lesioni in quanto la crescita di un nodulo subependimale con tra-
Tab. 2
Lesioni
del sistema
nervoso
centrale
sformazione in ASCG può verificarsi anche dopo pochi mesi da
un esame neuroradiologico normale. E' però utile monitorare
tutte le lesioni subependimali che captano gadolinio, che siano
di dimensioni > 1 cm e che siano in prossimità dei forami di
Monro in quanto il trattamento chirurgico (vedi dopo) è più
efficace se eseguito prima della comparsa di segni/sintomi da
compressione o non appena essi compaiano. Segni precoci,
sono cefalea di grado anche lieve o intermittente, deficit del
campo visivo con alterazioni minime del fondo oculare (ad
esempio, tortuosità dei vasi retinici) sino alla papilla da stasi,
vomito, cambiamenti improvvisi o progressivi dello stato d'umore, o occasionalmente aumento della frequenza delle convulsioni o deterioramento evidente delle stesse nel tempo. I criteri consigliati per l'approccio chirurgico degli ASCG sono l'aumento progressivo delle dimensioni tumorali, la presenza di
idrocefalo e/o di segni/sintomi indicativi di aumento della pressione intracranica e la comparsa eventuale di nuovi segni/deficit neurologici. In realtà la valutazione pre-chirurgica di un
ASCG è complessa e viene decisa in base a numerosi parametri
clinici (inclusa l'età del soggetto) e strumentali in collaborazio-
35
Fig. 18
Sezione assiale di immagine di
risonanza magnetica dell'encefalo
in un soggetto con sclerosi tuberosa
che mostra la presenza di
cisti cerebrali all'interno
di un nodulo subependimale
(lesione nera all'interno
della lesione bianca più grande).
ne con il medico specialista che ha in
carico il soggetto con ST, il radiologo e
soprattutto il neurochirurgo decidendo
di volta in volta quale lesione sia più
opportuno trattare. Nella nostra esperienza (ed in quella anche di altri autori) gli ASCG non sono mai comparsi
e/o non hanno abitualmente subito
incrementi significativi di volume dopo
il periodo puberale/adolescenziale. Il
nostro protocollo di follow-up (vedi
dopo) in caso di presenza di ASCG nell'infanzia è stato di monitoraggio RM
della lesione sino a questa fascia d'età:
dopo quest'età qualsiasi nodulo subependimale > 1cm o captante il gadolinio è stato seguito clinicamente
del fondo oculare) rimanendo stabile nel
(esame neurologico e
tempo.
Le alterazioni della sostanza bianca sono caratterizzate da
lesioni a forma di bande (rette oppure curvilinee) in sede sottocorticale a decorso radiale generalmente dirette dalla corteccia
cerebrale verso le pareti dei ventricoli laterali o dalla corteccia
cerebellare verso i peduncoli cerebrali (correlate per lo più ai
tuberi corticali in queste sedi) (Fig. 17). Rappresentano lesioni
eterotopiche da alterata istogenesi e/o da difetti di migrazione
neuronale (interruzione della migrazione).
Le cisti cerebrali sono rare e principalmente sono di due
varietà: a) parenchimali, cioè cisti isolate presenti nella corteccia cerebrale; b) amartomatose, cioè cisti presenti all'interno di
un tubero corticale o di un nodulo subependimale (Fig. 18) o,
più spesso, di un astrocitoma a cellule giganti (Fig. 16 F).
Manifestazioni neurologiche e psichiatriche
(vedi tabella 3)
L'epilessia è la manifestazione neurologica più frequente
nella ST. Circa l'80% dei soggetti affetti presenta crisi epilettiche
che possono manifestarsi entro i primi anni di vita (75%) (molto
36
spesso entro i primi mesi di vita) o in età adulta (25%).
L'epilessia nella ST ha le caratteristiche dell'epilessia di tipo parziale, con convulsioni parziali seguite da cluster di spasmi o da
sincronia bilaterale secondaria. Il focolaio epilettogeno è rappresentato dal tubero corticale (o da altre aree di displasia corticale anche all'interno delle lesioni della sostanza bianca) con
una correlazione ben dimostrata tra tuberi corticali di grandi
dimensioni e foci epilettogeni, tra tuberi occipitali rispetto a
quelli in altre sedi (specie in sede frontale) e focolaio epilettogeno. L'epilettogenicità dei tuberi corticali è ben spiegata dalle
alterazioni istologiche (neuroni e cellule gliali ectopiche e dismorfiche, neuroni e cellule gliali giganti, disorganizzazione della
laminazione corticale e connessioni anomale tra neuroni e tra
neuroni e altre cellule) e neurochimiche (diminuzione dell'attività sinaptica GABAergica, diminuzione del numero di recettori
GABA-A, con rilascio di enzimi che a loro volta rilasciano neurotrasmettitori epilettogeni, alterazioni dei recettori dei neurotrasmettitori e del rilascio di neuromodulatori nel tessuto cerebrale adiacente il tubero corticale). Un tubero epilettogeno può
provocare vari tipi di crisi a differenti età. L'età di comparsa dell'epilessia, inoltre, è legata alle fasi di maturazione funzionale
della corteccia cerebrale (inizialmente >> in sede temporooccipitale e << in sede frontale).
Le manifestazioni critiche sono principalmente costituite da
crisi parziali e spasmi infantili nel primo anno di vita, da crisi
parziali e, più raramente, da crisi toniche, miocloniche, ed atoniche successivamente. Abitualmente, nel corso dei primi mesi
di vita compaiono crisi parziali non sempre facilmente riconoscibili perché spesso lievi o poco apparenti (fenomeni tonicoclonici unilaterali localizzati al volto o agli arti, con deviazione
tonica degli occhi, torsione del capo, contrazioni dei muscoli
facciali unilaterali, ecc.) che vengono sottovalutate dai genitori
sino al 3°-4° mese d'età quando compaiono gli spasmi epilettici
infantili che dal punto di vista semiologico sono molto più evidenti. E' importante ricordare come il 50% dei bambini che presentano spasmi infantili nella popolazione generale sia affetto
da ST. Come in tutte le forme di epilessia del primo anno di vita
associate a spasmi epilettici, anche gli spasmi epilettici nella ST
37
tendono a raccogliesi in grappoli, che possono essere di lunga
durata. Nella ST in particolare gli spasmi epilettici sono molto
peculiari, in quanto il grappolo è "introdotto" (preceduto) da
una crisi parziale, di solito molto simile o identica alle crisi parziali comparse nei mesi precedenti. I bambini con ST che presentano spasmi epilettici negli anni successivi vanno più frequentemente incontro a forme di epilessia grave (farmaco-resistente). Queste possono essere costituite da epilessie parziali
multifocali, che possono associarsi anche a sincronia bilaterale
con evoluzione dell'epilessia verso un quadro elettroencefalografico e clinico di encefalopatia epilettica per molti aspetti
simile alla sindrome di Lennox-Gastaut.
La storia naturale dell'epilessia nella ST è alquanto complessa. Spesso l'evoluzione è verso una spontanea remissione delle
crisi avvicinandosi ed entrando nell'età adolescenziale. Una
parte dei bambini, però, andrà incontro ad un aumento di frequenza e di gravità delle crisi, a farmaco-resistenza, con evidente scadimento della qualità della vita.
Tra i fattori prognostici negativi per l'epilessia nella ST vi sono
l'esordio molto precoce delle crisi, la comparsa di più tipi di crisi
durante l'evoluzione (spasmi infantili, epilessia parziale motoria
o complessa, crisi di caduta, crisi miocloniche ed assenze atipiche), la presenza di anomalie epilettiformi multifocali all'EEG ed
alla comparsa successiva di complessi punte-onde lente o di
nuovi focolai epilettogeni.
In generale gli spasmi infantili transitori e l'epilessia parziale
ad esordio tardivo sono legati ad una prognosi migliore. Altri
fattori indicativi di una prognosi migliore sono la presenza di
pochi (e piccoli) tuberi corticali in sede parietale e rolandica e la
presenza di pochi tuberi in sede frontale. La comparsa e/o la
presenza di epilessia nei primi mesi/anni di vita (< 2 anni d'età)
è invece molto importante per la prognosi a lungo termine in
quanto è durante questo periodo che si manifestano e si stabilizzano i problemi più importanti legati al successivo sviluppo
motorio e cognitivo: se durante questo periodo lo sviluppo psicomotorio è normale (prima della comparsa o malgrado la presenza di epilessia), la prognosi sarà certamente più favorevole
(sia dal punto di vista cognitivo che comportamentale).
38
Tab. 3
Segni
neurologici
nella ST
Più raramente può accadere che un soggetto epilettico con
ST che abbia allo stesso tempo uno sviluppo psicomotorio normale, possa poi (durante l'età scolare ad esempio) andare
incontro a peggioramento dell'epilessia ed eventualmente a
fenomeni di regressione cognitiva.
Come già accennato nel paragrafo precedente, importanti e
frequenti nella ST sono i disturbi cognitivi. Nella ST lo sviluppo cognitivo può essere del tutto normale oppure si possono
avere deficit cognitivi di frequenza e grado variabile (dal 30%
all'80% dei soggetti con ST, a secondo degli studi, possono
avere deficit cognitivi da lievi a gravi) associati o meno a disturbi d'apprendimento e del comportamento (tra questi l'87%
circa richiede supervisione durante le comuni attività giornaliere, il 65% ha disturbi del linguaggio ed il 63% non è autosufficiente). E' ampiamente dimostrato che tutti i pazienti con handicap mentale hanno presentato o presentano epilessia, mentre
il 30% circa di quelli con epilessia ha intelligenza normale.
E' importante pertanto, ai fini prognostici, ottenere un controllo delle crisi; infatti la prognosi appare peggiore nei casi con
39
esordio precoce di convulsioni ed è direttamente correlata al
tipo di epilessia ed al grado di farmaco-resistenza. Va notato
anche però che le forme più gravi di epilessia (ed in particolare gli spasmi infantili e le forme di epilessia farmaco resistente)
ed il ritardo mentale sono talora più frequenti nei soggetti con
mutazioni del gene TSC2 rispetto a quelli con mutazioni del
gene TSC1. Quindi la storia naturale dell'epilessia e la presenza
e/o il grado di deficit cognitivo potrebbero essere anche legate
oltre che al numero, sede, forma e dimensioni dei tuberi corticali ad un difetto più globale dello sviluppo corticale geneticamente predeterminato (che a sua volta determina il numero, la
sede, la forma e le dimensioni delle malformazioni dello sviluppo corticale) e quindi potrebbero essere allo stato attuale in
misura minore influenzate dalla terapia o da altre variabili.
I disturbi comportamentali sono presenti in grado variabile in molti pazienti. Sono molto comuni i deficit dell'attenzione
con iperattività, comportamenti di tipo aggressivo con fenomeni di automutilazione o disturbi del sonno (vedi dopo). Talora i
disturbi del comportamento possono essere anche correlati ad
un sovradosaggio o all'associazione di più farmaci antiepilettici.
I disturbi del comportamento rappresentano le manifestazioni patologiche che, assieme all'epilessia (sono quasi sempre
associata a quest'ultima) più di tutte nella ST, interferiscono con
la "gestione familiare" quotidiana o "scolastica" del bambino
affetto, ma anche del paziente più adulto con ST.
Un cenno a parte merita l'associazione tra ST e autismo, e
più in generale disturbi pervasivi dello sviluppo, che è oggi
molto dibattuta per quanto riguarda le stime di frequenza, tipo
e gravità. Secondo i molteplici studi epidemiologici condotti
sinora la frequenza dell'autismo e/o dei disordini dello spettro
autistico nella ST sarebbe elevata (con stime variabili dal 15 al
70%) e correlata alla localizzazione, tipo, forma e dimensioni
dei tuberi corticali: va ricordato però che la maggior parte di
questi studi sono stati eseguiti su popolazioni di soggetti affetti da ST e/o autismo afferenti a centri specialistici terziari e
quindi potrebbero essere falsati proprio da questa metodica di
raccolta dei dati. I pochi studi su popolazione hanno infatti rilevato un'incidenza di disordini di tipo autistico e/o di autismo
40
compresa tra il 3% ed il 5%. Questo dato è importante perché
permette di distinguere la presenza di deficit cognitivi e/o comportamentali in generale nella ST (certamente più elevata) dall'incidenza di autismo che è più alta della popolazione generale
ma non così alta in assoluto come spesso riportato. Inoltre sembra che l'autismo (che in questo caso va inquadrato in un fenotipo neurocutaneo più generale) possa essere legato a difetti
del gene TSC2 e quindi faccia parte di un disturbo generalizzato dello sviluppo molto più complesso.
I disturbi del sonno sono abbastanza frequenti specie nei
soggetti con epilessia e/ disturbi cognitivi e sono caratterizzati
da frequenti risvegli durante il sonno, risvegli precoci, disturbi
del sonno correlati alla presenza, frequenza e tipo di epilessia,
eccesso di sonnolenza diurna, sonnambulismo, riduzione del
tempo totale di sonno e problemi di addormentamento).
Occhio
Le lesioni oculari nella ST raramente sono sintomatiche e
non sono progressive.
Lesioni retiniche. Nel 60% circa dei pazienti affetti possono essere presenti amartomi retinici che sono di tre varietà
(Fig. 19):
1) piatti e lisci (non-calcificati), di forma rotonda o ovale e di
colore rosa salmone. Sono la varietà più frequente (> 60%) ed
appaiono come lesioni piatte a superficie liscia, traslucide e spesso poco circoscritte o lievemente rilevate. La migliore metodica
per rilevarle è cercarle lungo i vasi retinici procedendo dalla
papilla ottica verso la periferia. Sono abitualmente localizzati nel
polo posteriore e possono essere isolati o multipli;
2) elevati, multinodulari (simili alle "more") e calcifici. Sono
meno frequenti (20%) e sono composti da cluster di noduli
opachi, cistici o calcificati. Sono localizzati nella parte marginale della papilla ottica o al centro della retina;
3) più raramente del tipo detto di transizione o misto, con
caratteristiche intermedie tra le due varietà precedenti.
Nel 13% dei pazienti si possono anche rilevare lesioni pigmentarie (generalmente depigmentate ma anche iperpigmen-
41
Fig. 19
a
b
c
d
42
tate) (Fig. 20).
Istologicamente gli amartomi sono
caratterizzati da proliferazione astrocitaria che nelle piccole lesioni è confinata agli strati superficiali della retina
mentre in quelle più grandi può estendersi a tutto spessore agli strati retinici (ed essere associato a necrosi e ialinizzazione).
Occasionalmente alcuni vasi retinici possono essere inglobati all'interno della lesione oppure l'amartoma
può essere localizzato nello strato retinico esterno.
L'origine degli amartomi retinici è
la stessa delle lesioni del SNC: sono
"glioneurociti" che sono andati incontro a difetti del processo di migrazione (in questo caso retinico).
Le lesioni retiniche sono più frequentemente rilevabili con l'aumentare dell'età durante l'infanzia ma possono essere riscontrate a qualsiasi età
anche nel neonato. Nella maggior
parte dei casi non aumentano di
dimensioni rimanendo stabili per
parecchie decadi. La progressione
(specie verso danni funzionali retinici)
è rara. Quando vi è progressione questa avviene secondo fasi successive:
1) lesioni pigmentarie;
2) amartomi retinici semitrasparenti;
3) tumori di transizione (misti) parzial-
(A) esame del fondo oculare: si notano i tipici amartomi retinici
di aspetto giallastro rilevati all'ecografia (B)
ed alla risonanza magnetica dell'occhio (C-D) (freccia bianca).
mente calcificati;
4) amartomi a forma di mora calcificati.
Il passaggio da uno stadio all'altro può durare anni o decadi e non
è ancora chiaro perché possono
essere rilevate lesioni di stadio 4
anche in neonati o bambini.
Clinicamente solo le lesioni grandi o quelle localizzate in aree retiniche importanti per la visione (fovea,
aree perimaculari, ecc.) possono
causare deficit dell'acuità visiva.
Solo le lesioni più grandi vanno
trattate con fotocoagulazione per
evitare danni di tipo essudativo o
danni da eccessiva estensione all'interno della retina.
Fig. 20
Esame del fondo oculare: si nota una
lesione iperpigmentata peripapillare
(macchia scura al centro della figura).
Apparato respiratorio
(a cura di Sergio Harari)
Il coinvolgimento polmonare nella ST è molto raro (1-2%) e
da cinque a dieci volte più frequente (> 20%) nelle donne ed
è rappresentato dalla classica lesione conosciuta come linfangioleiomiomatosi (LAM) polmonare (Fig. 21).
Vi è poi un tipo di lesione polmonare rarissimo conosciuto
come "Iperplasia Pneumocitaria Multifocale", che può essere
associato alla ST (Fig. 21 C).
Solitamente, quest'ultimo tipo di affezione polmonare è di
riscontro occasionale e non crea significativi problemi clinici ma
è molto importante distinguerla dalla LAM.
La LAM, nella popolazione generale, è una malattia rara, e
ancora in gran parte sconosciuta, che colpisce quasi esclusivamente il sesso femminile ed è caratterizzata dalla presenza di
lesioni cistiche al polmone, alterazioni dei vasi linfatici associati
ad angiomiolipomi renali.
La caratteristica principale della malattia è la proliferazione
anomala delle cellule muscolari lisce (cellule LAM), che porta
43
Fig. 21
a
b
c
44
alla formazione delle cisti a parete sottile all'interno dei polmoni e lungo le strutture linfatiche (linfangioleiomiomi). Esistono
due forme principali di LAM:
La forma "isolata" (cioè non associata a ST o ad altra affezione): si
manifesta per ragioni sconosciute in
donne di solito in età fertile e l'età più
colpita è quella compresa tra i venti e
i quaranta anni ma sono stati segnalati casi anche in donne di 70-80 anni
(in realtà anche in queste persone
andrebbero ricercati con molta attenzione i segni o le manifestazioni della
ST per essere certi che si possa trattare di una forma davvero isolata);
La forma "associata alla ST":
un’elevata percentuale delle donne
con ST può sviluppare un quadro polmonare di LAM.
Un concetto importante, che è
bene sottolineare, è che gli angiomiolipomi renali (che, ricordiamo sono
tumori benigni formati da cellule LAM
e adipociti e da strutture vascolari non
(A) Esame radiografico
(proiezione anteroposteriore) del torace di
un'adolescente con
sclerosi tuberosa
che dimostra le tipiche
lesioni della
linfangioleiomiomatosi;
le lesioni appaiono meglio
definite nelle sezioni assiali
di un esame TC
del torace (B)
nello stesso soggetto
(si noti la presenza di
pneumotorace);
(C) quadro di
iperplasia pneumocitaria
multifocale.
ben definite) sono presenti in circa l'80% delle pazienti con
LAM associata a ST. L'associazione tra angiomiolipomi renali e
LAM è stata segnalata anche nel 40% delle pazienti con LAM
isolata (anche in questi casi sarebbe però opportuno cercare
con molta attenzione eventuali altre manifestazioni di ST).
Prevalenza. La prevalenza della LAM, non associata a ST
(forma sporadica), negli Stati Uniti, è di circa 2.6 casi per milione di donne. La LAM si presenta in circa un terzo delle donne
affette da ST. Si calcola che negli Stati Uniti vi siano 10.000
donne con ST delle quali circa 3000 dovrebbero essere portatrici anche di LAM, sebbene nel registro americano siano stati
segnalati 675 casi in totale ( LAM sporadica e LAM associata a
ST) . Molti casi di LAM sono asintomatici. In Italia nel registro
promosso dalle Società di Pneumologia, sono stati segnalati
oltre 100 casi di LAM.
Clinica. La LAM può esordire con semplice dispnea (mancanza di fiato), senza alcuna evidenza di alterazioni all'esame
obiettivo (alla visita) e/o alla radiografia del torace. Alcuni casi
possono invece manifestarsi con la presenza di pneumotorace
(aria nella pleura), versamento pleurico o anche emorragia
intra-addominale (provenienti dagli angiomiolipomi).
I sintomi più comuni sono la dispnea associata o meno alla
tosse e all'emottisi (che è il segno più comune di esordio di
malattia, presente in circa il 70% delle pazienti). Spesso la LAM
è sottovalutata trovandosi una giustificazione ai sintomi nella
mancanza di esercizio fisico o nell'eccesso di peso oppure erroneamente vengono poste diagnosi di asma o bronchite cronica
(anche l'esame spirometrico può trarre in inganno). Raramente
possono manifestarsi espettorazione di liquido lattescente
(chilo) o di sangue. Anche i versamenti, sia pleurici sia ascitici
(cioè in addome), possono essere chilosi e si può avere presenza di liquido lattescente nell'aspirato. In alcune pazienti con
angiomiolipomi renali e/o linfangioleiomiomi di grosse dimensioni, l'esame obiettivo addominale, può mettere in evidenza la
presenza di masse addominali.
Diagnosi. Il tempo medio che abitualmente intercorre tra la
comparsa della sintomatologia e la diagnosi di LAM varia all'incirca dai cinque ai sei anni. Oltre il 50% delle pazienti hanno
45
una storia di pneumotorace e spesso il pneumotorace è bilaterale. Spesso è solo il verificarsi di questa condizione che porta
alla formulazione della diagnosi. In questi casi, infatti, il riscontro di cisti polmonari o di versamento pleurico o chilotorace alla
TC del torace e/o il riscontro di masse intra-addominali, permette di porre poi la diagnosi definitiva. Talora invece il riscontro radiologico è casuale e lo sviluppo di una sintomatologia
respiratoria conclamata può avvenire anche dopo molti anni.
Aspetti radiografici. Alla radiografia del torace si può evidenziare la presenza di un quadro interstiziale (Fig. 21 A), ma
negli stadi iniziali di malattia questa indagine può apparire nella
norma. L'esame diagnostico è pero la TAC del torace (meglio se
ad alta risoluzione e senza contrasto). Tale indagine evidenzia la
presenza (Fig. 21 B), a livello polmonare, di cisti multiple di
forma rotondeggiante o ovalare a parete sottile. Le dimensioni
variano da pochi millimetri a molti centimetri e sono distribuite
lungo tutti i polmoni. Talora possono essere anche presenti
pneumotoraci (Fig. 21 B), versamenti pleurici o ingrandimenti
linfonodali. Nelle pazienti con LAM sporadica o associata a ST
va sempre valutato anche l'addome per escludere o confermare la presenza di angiomiolipomi renali o di lesioni a carico di
altri organi (es. fegato).
Funzionalità polmonare. La più comune alterazione funzionale polmonare nella LAM è la presenza di un'ostruzione bronchiale (come nei casi di asma o bronchite cronica o enfisema)
causata dalla compressione dell'albero bronchiale da parte delle
cellule muscolari lisce che proliferano in modo anomalo.
Si riscontra inoltre una riduzione della DLCO (diffusione
alveolo-capillare) dovuta a perdita di elasticità da parte del polmone. Talvolta le prove spirometriche possono esser ingannevoli e di difficile interpretazione a un lettore inesperto nella
malattia.
Osteoporosi. I valori di densitometria ossea, nelle pazienti
con LAM, sono più bassi rispetto alla popolazione normale.
Meno di un terzo delle pazienti con LAM ha valori normali di
densitometria ossea. Tali valori non sono in correlazione né alla
vita sedentaria, né a bassi valori dell'indice di massa corporea
("body mass index"), né al fumo di sigaretta, né a deficit di vita-
46
mina D. La maggior frequenza di osteoporosi sembra legata sia
a deficit di estrogeni che ad alterazioni polmonari che limitano
l'attività fisica (es., dispnea). Nelle pazienti con LAM, vi è una
diretta correlazione tra danno funzionale polmonare e gravità
dell'osteoporosi.
Domande frequenti nelle persone con LAM
Il viaggio in aereo può essere a rischio per la possibilità che
si manifesti un episodio di pneumotorace in aerei con difetti di
pressurizzazione. Non vi è una controindicazione assoluta ai
viaggi aerei ma ogni paziente deve discutere il suo caso, prima
di intraprendere voli aerei, con il proprio pneumologo;
Le donne affette da ST dovrebbero, almeno una volta nella
vita (dopo i diciotto anni) ed anche in assenza di sintomi specifici, effettuare una TAC del torace (ad alta definizione senza
contrasto) per escludere di essere portatrici di LAM polmonare
e, se possibile, delle prove di funzionalità respiratoria complete
(inclusa diffusione alveolo-capillare) con frequenza annuale;
L'uso dei contraccettivi orali è sconsigliato da gran parte
degli specialisti nelle persone con LAM. Le pillole anticontraccettive a base di progestinici (senza estrogeni) possono rappresentare in questo caso una scelta alternativa anche se se ogni
caso va valutato singolarmente;
Non esiste una controindicazione assoluta alla gravidanza
sebbene siano stati segnalati casi di peggioramento della malattia durante la gravidanza. Ogni singolo caso deve esser approfondito con il proprio specialista pneumologo, valutando accuratamente i possibili rischi;
Gli unici farmaci che sono sconsigliati oggi nelle pazienti
con LAM sono quelli contenenti estrogeni (vedi dopo, terapia);
Il fumo è assolutamente da evitare in quanto aggrava i
danni della LAM.
Storia naturale. Attualmente non esistono farmaci che rallentino o arrestino la LAM (vedi dopo, terapia), ma ogni singolo caso ha una sua particolare lenta o veloce evoluzione. Alcune
pazienti soffrono di malattia stabile da oltre quindici anni e conducono una vita assolutamente normale. Anche se molti aspetti di questa malattia sono ancora sconosciuti negli ultimi 5-10
47
anni, sono stati fatti enormi progressi e la speranza di una cura
efficace a breve è realistica e concreta.
La LAM sporadica o associata a ST è una malattia rara che
necessita di esperienza specifica: è quindi utile che le pazienti
siano seguite in centri pneumologici con consolidata esperienza
nella malattia. Ulteriori informazioni sono reperibili sul sito
www.ilpolmone.it
Altri organi ed apparati
Apparato gastrointestinale
In circa > 25% dei bambini affetti sono presenti, all'esame
ecografico addominale, amartomi epatici asintomatici, e in una
percentuale minore anche amartomi splenici (Fig. 22). Queste
lesioni solo (assai) raramente possono essere sintomatiche causando emorragie o crescita rapida con effetto di compressione
all'interno dell'organo colpito (in tutti i casi sinora dimostrati le
lesioni erano angiomiolipomi). Possono essere presenti anche
polipi rettali microamartomatosi generalmente asintomatici o
fibromi o papillomi gengivali o del cavo orale più in generale.
Fig. 22
48
Esame TAC dell'addome
in un soggetto con
sclerosi tuberosa che mostra
la presenza di angiomiolipomi
all'interno del rene, fegato e milza.
Apparato linfoghiandolare
Fig. 23
Talora può essere riscontrato aumento di volume con proliferazione delle
cellule vascolari e muscolari a carico dei
linfonodi periferici (con caratteristiche
simili a quelle delle lesioni polmonari
alle quali tali manifestazioni sono spesso
associate)
Apparato endocrino
Si possono riscontrare lesioni del
sistema endocrino, quali angiomiolipomi o adenomi surrenali, tiroidei, pancreatici, o anche disfunzioni ipotalamiche, paratiroidee o gonadiche.
Apparato scheletrico
Le lesioni dell'apparato scheletrico
sono simil-sclerotiche (iperostosi) e
localizzate principalmente alle ossa della
volta cranica o del cranio (vedi sopra
lesioni buccali) o della colonna vertebrale o pelviche oppure alle ossa lunghe
(FIG. 23 A), oppure cavitarie simil-cistiche in genere localizzate alle ossa lunghe (FIG. 23 B) o alla mandibola.
a
Tumori e sclerosi tuberosa
Come accennato prima (vedi sopra,
rene) la reale incidenza, ed il significato
di associazioni tra tumori di qualsiasi
organo ed ST, a parte l’ASCG, è incerto.
La maggiore incidenza di carcinomi
renali così come di quelli epatici o di altri
tratti dell'apparato gastrointestinale rilevata nel passato nella ST, non è stata
successivamente confermata in alcuno
studio scientifico.
b
Esame radiografico degli arti in
un adulto con sclerosi tuberosa
che evidenzia iperostosi delle
ossa lunghe (A); esame radiografico del piede in un ragazzo con
sclerosi tuberosa che dimostra le
lesioni cistiche a carico delle
falangi (B).
49
Tab. 4
Lesioni a
carico di
altri organi
ed apparati
PKD1 = associata a delezione del gene PKD1 (vedi testo);
* = possono essere notate dalla prima infanzia all'adolescenza sino all'età adulta (vedi testo).
50
genetica
geni responsabili e proteine
Due sono i geni responsabili della sclerosi tuberosa:
TSC1 e TSC2
Gene TSC1 (Tuberous Sclerosis Complex gene 1): è localizzato sul cromosoma 9 (regione q34) ed è composto di 23 esoni
distribuiti su 55 kb di DNA. I primi due esoni non sono codificanti; la regione codificante, cioè contenente l'informazione per
la traduzione dell'amartina, inizia a metà del 3° esone. L'RNA
messaggero (circa 8600 nucleotidi, nt) ha una lunga coda non
codificante (circa 5000 nt) con 3 siti alternativi d'aggancio per
la coda poly-A. Quindi, più della metà dell'RNA messaggero
maturo di TSC1 è costituita da sequenze non codificanti, in
testa e in coda al gene. Le regioni trascritte e non tradotte sono
spesso implicate nella regolazione dell'espressione genica; al
momento non è ancora chiaro per i geni TSC quali siano le
sequenze all'interno delle regioni trascritte e non tradotte coinvolte in questa regolazione.
Gene TSC2 (Tuberous Sclerosis Complex gene 2): è localizzato sul cromosoma 16 (regione p13.3), è composto di 41 esoni
codificanti ed uno non codificante, ma trascritto, posto davanti al 1° esone. La scoperta di questo esone è recente, per cui
non è stata ancora modificata la numerazione degli altri esoni
(provvisoriamente, potremmo chiamarlo esone 1a).
Nell'insieme, i 42 esoni abbracciano circa 40 kb di DNA. L'RNA
messaggero è lungo circa 5600 nt. La coda di TSC2 tocca quasi
la coda di un altro gene, PKD1 (Polycystic Kidney Disease type
1, codificato dall'altra emielica del DNA e quindi orientato in
senso opposto), il cui difetto causa la varietà più comune di
rene policistico dell'adulto a trasmissione autosomica dominante, malattia caratterizzata dallo sviluppo lento ma progressivo di
numerosissime cisti nei reni, ed in parte anche nel fegato. Come
51
è stato descritto sopra, un'unica mutazione - per esempio una
delezione che comprenda le code dei due geni - può anticipare
l'età d'insorgenza delle cisti e la riduzione della funzione renale
(vedi sindrome da delezione dei geni contigui TSC2 e PDK1),
rispetto ai soggetti con una mutazione solo di PKD1 o solo di
TSC2.
Fino ad ora, nessun individuo con ST è risultato portatore di
una mutazione sia del gene TSC1 che del gene TSC2; ciò indica che il difetto del solo TSC1 o del solo TSC2 è sufficiente a
causare la ST. Inoltre non esistono prove a favore dell'esistenza
di altri geni TSC, nel senso che non sono state osservate a tutt'oggi famiglie in cui la malattia non segregasse né con TSC1 né
con TSC2. In una rara famiglia in cui la malattia non sembrava
segregare né con TSC1 né con TSC2 si è poi scoperto che coesistevano malati con mutazione in TSC1 e malati con mutazione
in TSC2.
Principali funzioni delle proteine dei geni
TSC1 (amartina) e TSC2 (tuberina)
La proteina prodotta dal gene TSC1 (amartina) è costituita
da 1164 aminoacidi e non ha alcuna omologia con la proteina
prodotta dal gene TSC2.
La proteina prodotta dal gene TSC2 (tuberina) è costituita da
1807 aminoacidi. Presso la sua estremità carbossi-terminale ha
un dominio GAP (GTPase Activating Protein), grazie al quale
accelera il rilascio spontaneo di GTP da parte di RHEB (Ras
Homologue Enriched in Brain, una piccola G-binding protein
della famiglia Ras, espressa ad alti livelli nel cervello), facilitando così la sua transizione allo stato inattivo, legata al GDP.
Poiché RHEB legata al GTP è un attivatore di mTOR (mammalian Target of Rapamycin) del complesso TORC1 (TOR Complex
1), la tuberina assume un ruolo importante in quanto regolatore della trasmissione di svariati segnali mediati da TORC1 e correlati alla crescita cellulare, come la sintesi proteica, la risposta
all'ipossia e la rilevazione dei bassi livelli d'energia (ATP) e della
disponibilità di aminoacidi (Fig. 24).
Le due proteine, tuberina ed amartina, sono presenti nelle
52
Fig. 24
Schema delle principali interazioni tra alcune delle proteine (tra le quali RHEB ed AMPK) o gruppi di proteine (tra i quali il complesso amartina/tuberina, il TORC1 ed il TORC2) coinvolte nella patogenesi della
sclerosi tuberosa. Va notato come questi tipi d'interazione/vie di segnalazione, sono ancora oggi oggetto di
discussione, e che per ciascun tipo d'interazione e/o via di segnalazione sono state formulate diverse ipotesi di funzionamento [nella figura, per semplicità, sono rappresentate (ed in maniera schematica) solo le
principali interazioni e/o le principali vie di segnalazione].
In linea generale, l'eterodimero amartina/tuberina (agendo anche su altre proteine) esercita funzioni di
modulazione del complesso TORC1 e di un complesso sistema a cascata di segnali che hanno come effetto finale un'azione regolatrice sulla sintesi proteica e sull'autofagia. Altre proteine (ad es. RHEB, AMPK),
coinvolte in differenti vie di segnalazione (ancora poco conosciute), interagiscono con il complesso TORC2
regolando la crescita cellulare e le funzioni del citoscheletro. Queste proteine/complessi proteici (complesso amartina/tuberina, RHEB, AMPK, TORC1, TORC2, ecc.) esercitano quindi (attraverso le rispettive
interazioni e le interazioni con altre proteine e vie fosforilative) un ruolo di sensori ed integratori (coordinatori) di "cascate di segnali" agendo principalmente sui meccanismi di regolazione della crescita cellulare.
Tutti questi meccanismi, a loro volta, possono essere regolati o influenzati da meccanismi esterni (ipossia,
aminoacidi, bassi livelli energetici) o interni (stress meccanici od osmolari) all'ambiente cellulare.
Le sigle delle principali proteine sono elencate qui di seguito (in ordine alfabetico) nella lingua originale:
AMPK = AMP-activated protein kinase; FRAP = FKBP12-rapamycin associated protein; GFR = growth
factor receptor; IRS = insulin receptor substrate; LKB1 = serin-threonin protein kinase; mTOR = mammalian target of rapamycin; TORC1 = mammalian target of rapamycin complex 1; TORC2 = mammalian target of rapamycin complex 2; p70S6K = p70 ribosomal S6 subunit-kinase; PI3-kinase = phosphoinositide 3-kinase; PIP2 = phosphatidytl-inositol (4,5) biphosphate; PIP3 = phosphatidyl-inositol (3,4,5) triphosphate; PP2A = protein phosphatase 2 A, alpha isoform; PTEN = phosphatase and tensin homolog;
PDK1 = phosphoinositide-dependent kinase 1; PDK2 = phosphoinosititde-dependent kinase 2; PKB/AKT
= protein kinase B/Akt; RHEB = RAS homolog enriched in brain; TSC1 = tuberous sclerosis complex 1;
TSC2 = tuberous sclerosis complex 2; 4E-BP1 = eukaryotic initiation factor 4E binding protein
53
cellule di tutti i tessuti ed interagiscono tra loro con un'elevata
affinità formando eterodimeri (il legame dell'amartina con la
tuberina stabilizza quest'ultima, impedendone la degradazione).
Ciò spiega perché soggetti con mutazioni in TSC1 o mutazioni
in TSC2 presentino manifestazioni cliniche simili. Non si può
tuttavia escludere che una delle due proteine, o entrambe, svolgano anche attività autonome. Tra i ruoli aggiuntivi dell'amartina vi sono la capacità di legare proteine regolatrici del citoscheletro e di influire sul ciclo cellulare in quanto fosforilata da
kinasi ciclina-dipendenti.
Per ciò che si conosce oggi, l'eterodimero amartina/tuberina
(tra le sue tante funzioni) interviene nella regolazione intracellulare di alcune vie di segnali (FIG. 24): (1) crescita cellulare e
sintesi proteica (cosiddetta via di PI3K / AKT / mTOR); (2) adesione / migrazione / trasporto e traffico proteico cellulare
(cosiddetta via della Glicogeno Sintasi Kinasi 3 [GSK3] / b-catenina / chinasi dell'adesione focale [FAK] / Ras omologo [Rho]);
(3) crescita e proliferazione cellulare (cosiddetta via della proteina chinasi mitogeno attivata [AMPK].
Non è chiaro quale sia il contributo specifico del difetto di
ciascuna delle vie di segnalazione sopra citate nella manifestazione di tutti i segni e sintomi clinici della ST. Ciononostante, il
ruolo del complesso amartina/tuberina nella regolazione della
crescita e della proliferazione cellulare ben si correla con la principale manifestazione della malattia, cioè la formazione di
amartomi.
54
come si trasmette la sclerosi tuberosa
Le persone con ST in genere presentano in tutte le loro cellule un difetto di un allele (paterno o materno) in uno dei due
geni TSC, e quindi potranno trasmettere alla prole o l'allele
difettoso o l'allele normale, con la probabilità del 50%. Poiché
né TSC1 né TSC2 sono localizzati sui cromosomi sessuali, la
malattia si trasmette con ugual probabilità sia ai maschi che alle
femmine. Questo tipo di trasmissione viene detta autosomica
dominante: autosomica, perché non è dovuta ad un gene sul
cromosoma X o Y (detti eterocromosomi); dominante, perché è
sufficiente avere un solo allele difettoso, perché la malattia
prima o poi si manifesti. Si è infatti visto che soggetti eterozigoti, che hanno ereditato un allele difettoso da un genitore, ed
un allele sano dall'altro genitore, hanno una probabilità vicina al
100% di manifestare nell'arco della loro vita un qualche segno
della malattia.
Questo concetto viene anche espresso col termine di penetranza quasi completa. In queste condizioni, la visita clinica e
gli esami strumentali (TAC e RM cerebrale, ecografia renale e
cardiaca, ed eventualmente TAC polmonare e RM addominale),
hanno grande importanza. Nel senso che questi esami e queste
visite, se eseguite da medici che conoscono la ST (e quindi
sanno cercare quali segni, in quali organi, in considerazione dell'età del soggetto), hanno un'alta sensibilità diagnostica. In ogni
caso sono in grado di porre il sospetto di ST e quindi se è necessario ricorrere o meno al test genetico (vedi anche più sotto, le
indicazioni del test genetico).
Va ricordato che sebbene i portatori di mutazione abbiano
un'altissima probabilità di manifestare qualche segno di ST, questi segni possono variare di molto, causando forme molto lievi
o forme molto gravi di malattia, a seconda del numero di lesioni e varietà di organi coinvolti. Quindi nella ST, l'alta penetranza si associa ad una grande variabilità di espressione clinica.
Questa variabilità d'espressione si verifica sia tra famiglie diverse, sia all'interno della stessa famiglia. Le possibili cause di questo fenomeno verranno discusse sotto.
55
Fig. 25
a
b
56
La prima mutazione può avere un'origine germinale o somatica.
(A) È trasmessa da un genitore.
La prima mutazione può essere trasmessa da uno spermatozoo paterno o dall'uovo materno, per cui è
detta germinale. Il genitore che ha trasmesso il gene mutato può mostrare segni della malattia se la mutazione non è confinata alle gonadi (nella ST più spesso capita che i genitori siano sani ed in loro non si trovi
la mutazione identificata nel figlio, poiché questa si è originata de novo solo nello spermatozoo o nell'uovo
da cui quel figlio ha preso origine). Dal momento che tutte le cellule di quell'embrione originato da una
mutazione germinale hanno un solo allele TSC1 o TSC2 funzionante, è relativamente facile che mutazioni
somatiche insorte durante la rapida proliferazione cellulare della vita embrionale (o eventualmente postembrionaria, cioè post-natale) spengano l'allele residuo in più cellule generando amartomi multipli.
(B) È insorta durante lo sviluppo embrionale.
I geni TSC materni e paterni trasmessi alla prima cellula dell'embrione (zigote) sono normali. Tuttavia una
cellula durante lo sviluppo embrionale può essere colpita dalla prima mutazione (somatica) che spegne un
gene TSC. La cellula eterozigote per la mutazione non cessa di proliferare e le sue cellule figlie contribuiscono alla formazione di vari organi e tessuti, mescolandosi alle cellule non mutate (mosaicismo somatico
della prima mutazione). A questo punto, seconde mutazioni somatiche possono inattivare l'allele TSC residuo in alcune cellule eterozigoti creando così amartomi multipli, analogamente a quanto avviene nei portatori di una prima mutazione germinale.
La maggioranza dei soggetti affetti da sclerosi
tuberosa è frutto di una nuova mutazione
Solo un terzo delle coppie con un figlio ST presenta segni
della malattia in uno dei genitori. Nella maggioranza dei casi
infatti si tratta della prima diagnosi di ST nella famiglia, ed i
genitori risultano sani anche dopo avere eseguito tutti gli accertamenti clinici e strumentali consigliati (vedi più avanti le raccomandazioni per la diagnosi ed il follow-up). Questa situazione,
ben conosciuta in genetica, ha due possibili spiegazioni: (1) il
nuovo caso di ST è dovuto ad una mutazione - detta germinale - insorta nella gonade di uno dei due genitori (sani) durante
la formazione dei gameti; (2) il nuovo caso di ST è dovuto ad
una mutazione - detta somatica - insorta nell'embrione durante le fasi più precoci di sviluppo (FIG. 25). In quest'ultimo caso,
la persona affetta dovrebbe possedere anche una quota di cellule normali, cioè prive della mutazione, essendo essa insorta
dopo le prime divisioni cellulari dello zigote.
Quando una persona con ST possiede due diverse popolazioni cellulari, una con la mutazione ed una senza mutazione,
viene definita un mosaico.
Quante siano in realtà le persone con ST sporadica, dovuta
57
a mutazione germinale o a mosaicismo è una questione ancora
irrisolta, anche se pare che le prime siano più numerose delle
seconde. Quest'incertezza dipende da almeno tre ordini di fattori: (a) la mutazione viene ricercata di solito in un unico tessuto, e cioè nei globuli bianchi presenti nel sangue; (b) il rapporto tra cellule normali e cellule con la mutazione può variare
significativamente da un organo all'altro; (c) può esservi un
basso livello di mosaicismo, cioè con una percentuale di cellule
con la mutazione inferiore al 5%, che può quindi sfuggire
anche alle tecniche di analisi più sofisticate oggi disponibili.
Gli amartomi nella sclerosi tuberosa derivano
da una cellula colpita da una seconda mutazione
La conseguenza di qualsiasi tipo di mutazione in TSC1 e in
TSC2 è la perdita di funzione, parziale o totale del gene e quindi del loro prodotto, tuberina o amartina. Dal momento che le
persone con ST sono eterozigoti per la mutazione (cioè presentano la mutazione in una sola delle due copie di ciascun gene),
la quantità di amartina o di tuberina normale presente nelle cellule di questi individui è ridotta, essendo prodotta dall'unico
allele funzionante. Questa riduzione non sembra tuttavia interferire con il normale sviluppo embrionale e postnatale. Lo stato
di eterozigosi per la mutazione non genera di per sé la malattia. E' bene ricordare che le lesioni amartomatose, le displasie
cellulari e i difetti di migrazione cellulare nella ST, anche se multipli, non interessano tutte le cellule di un organo. Come si è
detto, l'amartoma origina da una singola cellula che forma foci
microscopici, all'inizio ben circoscritti rispetto al tessuto normale circostante e che, con l'aumentare delle dimensioni, generano noduli o masse macroscopicamente evidenti. Se si sottopongono all'analisi dei geni TSC gli angiomiolipomi renali, i rabdomiomi cardiaci o gli astrocitomi cerebrali a cellule giganti si
osserva che nelle cellule di questi tessuti entrambi gli alleli (cioè
il gene paterno e materno) di TSC1 o TSC2 sono inattivati. Ciò
è dovuto ad una nuova mutazione che ha colpito l'unica copia
del gene ancora funzionante. Perché si sviluppino gli amartomi
occorre quindi che una cellula con la prima mutazione sia col-
58
pita da un'altra (seconda) mutazione sull'allele residuo, così da
abolire o ridurre drasticamente la produzione di amartina o
tuberina normale (Fig. 25).
E' stato dimostrato che amartomi diversi di una stessa persona con ST presentano seconde mutazioni diverse tra loro. Ciò
ha permesso di concludere che la seconda mutazione non è un
evento unico, ma può colpire svariate cellule in modo indipendente (origine multifocale degli amartomi).
Come è stato accennato nei paragrafi precedenti, le mutazioni TSC hanno una penetranza quasi completa: in altre parole, un individuo eterozigote per una mutazione germinale di
uno dei geni TSC ha una probabilità quasi del 100% di manifestare prima o poi qualche segno della malattia. Sembrerebbe
quindi garantito che un soggetto, eterozigote per la prima
mutazione, vada incontro ad una seconda mutazione somatica
nel secondo allele (cioè nella seconda copia del gene TSC) in più
di una cellula del suo organismo. E' molto probabile che tutti
noi, e non solo coloro che già hanno una prima mutazione germinale, portiamo nel nostro organismo qualche cellula con un
allele TSC inattivato per mutazione somatica. Il motivo per cui
non ci ammaliamo tutti di ST è che difficilmente capita che
quella stessa cellula sia colpita da una successiva mutazione che
spenga anche l'altro allele TSC. Occasionalmente, tuttavia, questi eventi accadono e si ritiene che siano responsabili della comparsa di lesioni isolate, identiche in tutto e per tutto a quelle
della ST, ma non trasmissibili ereditariamente. L'angiomiolipoma
renale isolato osservabile non di rado nell'anziano ne è un
esempio; in questa lesione è stata confermata la presenza di
mutazioni somatiche del gene TSC2. Se si esaminassero molti
più campioni di questo tipo, probabilmente si troverebbero
anche casi con mutazione somatica di TSC1.
In presenza di una mutazione germinale in tutte le cellule, è
ragionevole prevedere che quanto più numerose saranno le cellule colpite dalla seconda mutazione somatica, tanto più numerosi saranno gli amartomi che da esse derivano. Questo meccanismo somatico è probabilmente alla base della grande variabilità clinica della ST (vedi sopra), non solo tra famiglie diverse ma
anche all'interno della stessa famiglia, dove i membri affetti
59
condividono la stessa mutazione germinale. E' verosimile immaginare che differenze genetiche intra-familiari nella capacità di
correggere gli errori di replicazione del DNA potrebbero alleviare o peggiorare il quadro clinico.
Relazione tra difetto genico (di TSC1 o TSC2),
tipo di mutazione e quadro clinico
L'analisi delle mutazioni identificate nei soggetti con ST sia in
Europa che negli Stati Uniti concordano nel segnalare una maggiore frequenza di mutazioni TSC2 (80%) rispetto a TSC1
(20%). Inoltre, i difetti di TSC2 sono significativamente più rappresentati tra i casi sporadici, mentre i difetti di TSC1 si trovano più spesso in famiglie con più parenti affetti. Ciò fa supporre che le mutazioni TSC2 siano associate ad un quadro clinico
più grave rispetto alle TSC1 e che quindi le persone con ST che
hanno un difetto del gene TSC1 possano più frequentemente
sfuggire alla diagnosi così da spiegare almeno in parte la loro
apparente rarità. Questa spiegazione è avvalorata da una maggiore frequenza di spasmi infantili, ritardo di sviluppo psicomotorio e difficoltà di apprendimento tra i soggetti sporadici con
una mutazione del gene TSC2 rispetto a soggetti sporadici con
un difetto del gene TSC1.
Il motivo di queste differenze tra TSC1 e TSC2 non è ancora noto e quanto sopra affermato va inteso come una tendenza di una maggiore o minore probabilità, seppure statisticamente significativa. Va ricordato che esistono eccezioni, nel
senso che mutazioni TSC1 occasionalmente sono state osservate in soggetti con forme gravi di ST, e così mutazioni TSC2 sono
state documentate in alcune famiglie con più generazioni di
portatori che manifestavano segni e sintomi lievi. In talune di
queste famiglie TSC2 si è dimostrato che la mutazione riduceva
di poco la funzione del gene e ciò poteva spiegare i segni
modesti di malattia nella maggior parte dei portatori di quella
mutazione, anche appartenenti a famiglie diverse.
Il riscontro di reni policistici mostra invece una netta correlazione non solo con il tipo di gene (TSC2) ma anche con una ben
60
precisa alterazione del DNA. Quando le cisti sono così numerose da far pensare al rene policistico dell'adulto, ma sono state
riscontrate nella prima o seconda decade di vita, specie se in
presenza di una ridotta funzione renale, o viste nei primi mesi
di vita o alla nascita, è assai probabile che una stessa delezione
abbia coinvolto in modo parziale o totale i geni TSC2 e PKD1
(vedi sindrome da delezione dei geni contigui TSC2 e PKD1 già
citata). Il difetto congiunto dei due geni riguarda comunque
solo una minoranza dei soggetti con ST (non più del 5%).
Un ultimo commento riguarda i soggetti con mosaicismo
somatico discussi sopra. In teoria, poiché una parte delle loro
cellule non ha alcun difetto dei geni TSC, ci si attenderebbe che
mediamente manifestino segni clinici più lievi. Il fatto che il
mosaico si trovi più frequentemente in un genitore piuttosto
che nel probando sembra avvalorare l'ipotesi di cui sopra.
Tuttavia, tra la categoria dei probandi, diversi casi a mosaico
mostrano un fenotipo indistinguibile da quello dei non mosaici.
Pertanto è bene non fornire valutazioni prognostiche in singoli
casi. Infatti, come è stato detto precedentemente, la percentuale delle cellule omozigoti normali ed eterozigoti per la mutazione varia da tessuto a tessuto e non può essere facilmente
misurata, specie negli organi più rilevanti clinicamente, come il
sistema nervoso centrale.
consulenza genetica e test genetici
Se un genitore ha segni certi della malattia, il rischio che
possa trasmettere la malattia ad un figlio è del 50%. Se una
coppia di genitori con un figlio affetto da ST non mostra nessun segno di ST a tutti gli esami clinici e strumentali previsti dal
protocollo diagnostico dell'ST, il rischio che la malattia compaia
di nuovo in un successivo figlio è molto basso. Tuttavia, sono
noti rari casi di genitori sani che hanno avuto due figli malati,
portatori della stessa mutazione (1-2% delle famiglie ST).
La spiegazione è che quella mutazione era presente solo
all'interno delle gonadi di un genitore (mosaicismo gonadico), o
anche in altri organi ma in una percetuale così bassa di cellule
61
da non produrre segni riconoscibili di malattia.
Grazie alla scoperta dei geni TSC1 e TSC2 è oggi possibile
eseguire test genetici per cercare la mutazione negli individui
affetti. A tutt'oggi sono state identificate mutazioni di TSC1 o
TSC2 in oltre 2000 famiglie: si tratta di mutazioni molto spesso
diverse che si distribuiscono lungo tutta la lunghezza dei geni
TSC. In altri termini, non esistono regioni preferenzialmente
colpite, per cui l'intera sequenza dei due geni - oltre 9.000
nucleotidi in totale - deve sempre essere presa in esame.
Sono stati sperimentati diversi tipi di test per la ricerca delle
mutazioni; la strategia raccomandata è quella di impiegare test
capaci di identificare sia delezioni / duplicazioni di tratti genici
più o meno grandi, sia mutazioni puntiformi. In genere si esegue prima un test capace di evidenziare grandi delezioni o
duplicazioni nei due geni TSC (ad esempio l'MLPA - Multiple
Ligation Dependent Probe Amplification), per poi passare all'analisi dettagliata, esone per esone, d'entrambi i geni TSC (ad
esempio mediante DHPLC - Denaturing High Performance
Liquid Chromatography - o Sequenziamento). È bene tenere
presente che sono necessari diversi mesi (da 3 a 6 mesi) per
completare l'esame sui due geni TSC. Una volta trovata la
mutazione, la ricerca di quel difetto nei parenti si conclude invece nell'arco di pochi giorni.
Qualora si cerchi per la prima volta la mutazione in una
famiglia, il test va eseguito sull'affetto e non su un parente
sano, anche se costui sostenesse di essere l'unico interessato al
test. Infatti, nel caso in cui il test su di lui risultasse normale, non
sapremmo risolvere il dubbio se ciò significa la reale assenza di
mutazione, o se è invece un falso negativo: mutazione presente, ma sfuggita al test (vedi sotto).
Nel caso esistano più malati in famiglia, è buona norma non
scegliere il malato della prima generazione, con genitori senza
segni di ST. Esiste infatti una probabilità non insignificante che
in quel malato la prima mutazione non sia stata trasmessa da un
genitore, ma sia insorta in lui durante lo sviluppo embrionale. In
questo caso, ci troveremmo di fronte ad un mosaicismo cellulare. La mutazione potrebbe sfuggire al test se la percentuale
delle cellule mutate nel sangue fosse al di sotto della soglia di
62
sensibilità del test (mosaicismo di basso livello).
Lo scopo del test è anzitutto di confermare la diagnosi clinica, e quindi di verificare se la mutazione trovata nella persona
affetta è presente anche in altri parenti con segni anche lievi di
ST. Nelle famiglie con un solo affetto, in cui si è confermato che
i genitori non sono portatori della mutazione trovata nel figlio,
non c'è motivo di estendere agli ascendenti o collaterali dei
genitori (nonni, zii, cugini del malato) la ricerca di quella mutazione insorta de novo. Le mutazioni de novo sono eventi rari;
se anche si verificassero due volte nella stessa famiglia, evento
estremamente raro, è assai improbabile che venga riprodotto
esattamente lo stesso difetto, nello stesso gene. Per quanto
riguarda i fratelli /sorelle del malato con mutazione de novo,
l'opportunità del test è invece presa in considerazione per escludere l'1% circa di rischio di ricorrenza della malattia per mosaicismo somatico in un genitore, evitando così di sottoporre ai
figli, specie se in giovane età, l'intero protocollo diagnostico
dell'ST ed in particolare la risonanza magnetica cerebrale.
Infine, ai genitori sani con un figlio malato e alle coppie con
un partner affetto, se desiderano avere un altro figlio, viene
offerta la possibilità di eseguire un test prenatale su DNA estratto da villi coriali prelevati alla 10a-11a settimana di gravidanza.
Il test prenatale è eseguibile solo nel caso in cui si sappia già
quale mutazione cercare, essendo già stata identificata in un
figlio o in un genitore. Infatti, come si è detto sopra, l'analisi
completa di entrambi i geni TSC assai raramente si conclude
entro un mese.
Al momento attuale, anche adottando i test più sofisticati, il
10-15% circa delle persone con ST non rivela mutazioni né in
TSC1 né in TSC2. Bassi livelli di mosaicismo potrebbero spiegare almeno in parte la negatività del test. In presenza di test
negativo sul sangue, si può tentare di identificare la mutazione
germinale nel DNA estratto da un campione di tessuto amartomatoso eventualmente disponibile (angiomiolipoma renale,
astrocitoma cerebrale a cellule giganti, o altre lesioni).
Quest'ultima procedura può richiedere tessuto fresco da mettere in coltura per selezionare le cellule verosimilmente portatrici
della mutazione sulle quali eseguire il test genetico. Nelle fami-
63
glie mutazione-negative con più individui malati - evento raro,
dal momento che i malati mutazione-negativi per lo più non
hanno parenti affetti - si può ricorrere al test di linkage, per il
quale occorre un prelievo di sangue non solo degli affetti ma
anche dei sani della famiglia. Tutti costoro, prima del prelievo,
devono comunque eseguire gli esami diagnostici della ST
secondo il protocollo (vedi sotto). Il risultato dell'analisi di linkage può, in determinate condizioni, essere applicato per individuare in modo indiretto i portatori di mutazione anche in
ambito prenatale.
In mancanza di un test genetico prenatale, si può ricorrere
ad esami strumentali da eseguire durante la gravidanza: ecocardiografia ed ecografia fetale o risonanza magnetica fetale
dopo la 16a-18a settimana di gravidanza. In alcuni casi queste
indagini possono segnalare la presenza di rabdomiomi cardiaci
e/o lesioni cerebrali nel feto; tuttavia l'assenza di questi segni
non esclude la presenza di ST.
64
diagnosi
follow-up / terapia
diagnosi
(a cura del Comitato Scientifico dell'AST)
Si può porre diagnosi di ST in base ad un'attenta anamnesi
(che includa la storia familiare) e ad un accurato esame clinico
che includa anche l'osservazione del fondo oculare e, ove possibile, un controllo odontoiatrico.
Per giungere ad una diagnosi certa però è spesso indispensabile eseguire (in qualsiasi fascia d'età) anche alcuni esami
strumentali quali la RM (o la TAC) dell'encefalo, e l'ecografia del
cuore e dei reni (vedi Tabelle 5-8). L'impiego della lampada a
raggi ultravioletti (UV) di Wood può essere utile a dirimere
dubbi diagnostici per la presenza, o meno, di macchie ipomelanotiche, specie in soggetti con cute molto chiara.
I criteri diagnostici sono stati modificati e semplificati rispetto al passato (vedi Tabelle 5-7). Sembra oggi chiaro, infatti, che
nessuna singola manifestazione della ST sia presente in tutti i
pazienti affetti, con forse l'unica eccezione dei tuberi corticali, e
non è altresì dimostrato che alcun segno clinico o radiologico
sia del tutto specifico per la ST. Proprio per queste considerazioni, le manifestazioni cliniche e radiologiche della ST non vengono più divise in primarie, secondarie e terziarie come nel passato, ma sono distinte in maggiori e minori, secondo gradi di
specificità per la malattia (Tabella 5) oppure in segni che permettono una diagnosi definitiva o probabile (Tabella 6) o segni
maggiori ed in altri che richiedono ulteriori approfondimenti clinici e/o strumentali (Tabella 7).
65
Tab. 5
Diagnosi definitiva:
Diagnosi probabile:
Diagnosi possibile:
2 segni maggiori o 1 segno maggiore + 2 segni minori
1 segno maggiore + 1 segno minore
1 segno maggiore o 2 o più segni minori
È bene rilevare che esistono oggi diversi gruppi di criteri diagnostici (Tabelle 5-7) le cui differenze principali (talora davvero
minime se non sovrapponibili) stanno nelle caratteristiche cliniche dei singoli segni e/o nel numero di lesioni ritenute necessarie per potere giungere ad una diagnosi. I nuovi criteri, rispetto
al passato hanno un'applicazione più pratica permettendo di
giungere più rapidamente ad una diagnosi certa di ST, poiché
tendono a stressare l'importanza della numerosità delle singole
lesioni (vedi soprattutto Tabella 6) piuttosto che l'incerta definizione di "multiple", oppure di "più lesioni" e perchè usufruiscono largamente dell'ausilio dei moderni mezzi di indagine radiologica (Tabella 8).
66
Tab. 6
E' sufficiente per la diagnosi la presenza di un solo criterio con le specifiche caratteristiche esposte.
Come sopra accennato, nel sospetto di ST, l'esame RM dell'encefalo è uno tra gli elementi più importanti per dirimere il
dubbio diagnostico (assieme all'esecuzione dei test genetici:
vedi sopra): in questi casi tale esame va quindi richiesto ed eseguito al più presto.
Un cenno a parte merita l'argomento dell'esecuzione della
RM dell'encefalo alla nascita o nei primi mesi di vita (sino al
primo anno d'età) nel caso di diagnosi già certa in base ad altri
criteri clinici e/o strumentali.
In questi casi, [ad esempio diagnosi già raggiunta attraverso
i test genetici ( vedi sopra) o attraverso l'esecuzione di RM fetale; oppure presenza di macchie ipomelanotiche associate a rabdomiomi cardiaci multipli e/o lesioni renali, oculari o in altri
organi] se vi è assenza di ritardo dello sviluppo psicomotorio o
di segni neurologici focali o di convulsioni, la RM dell'encefalo
potrebbe (previa discussione con i genitori ed informazione
67
Tab. 7
La diagnosi di certezza richiede la presenza di due segni maggiori. Spesso per giungere a tale diagnosi è necessario ricorrere alla RM (o alla TAC cerebrale senza mezzo di contrasto) oppure alla ecografia renale o cardiaca.
Nei casi dubbi (ad esempio, presenza di un segno maggiore più uno o più elementi che richiedono ulteriori
approfondimenti clinici e/o strumentali) o nei casi sospetti (presenza di soli segni che richiedono ulteriori approfondimenti clinici e/o strumentali) è consigliabile chiedere un secondo parere ad un centro di riferimento.
68
completa sulla malattia) anche essere rimandata per breve
tempo sostituendola con una ecografia cerebrale seriale nel
tempo sino alla chiusura delle fontanelle. Ciò perché, quando la
diagnosi è certa l’unico dato clinico e strumentale importante
da ottenere è l'eventuale presenza e/o monitoraggio delle lesioni con potenziale d'accrescimento (gli ASCG).
Per tali lesioni va ricercata l'eventuale presenza di ostruzione
al deflusso del liquor nelle cavità ventricolari che un monitoraggio seriale con ecografie cerebrali permetterebbe di ottenere.
Per tutte le considerazioni sopra esposte è certamente
importante eseguire l'esame clinico e gli esami strumentali summenzionati anche nei familiari del paziente affetto o con
sospetto di ST. Tutti gli esami clinici e strumentali possono essere confortati dall'analisi dei due geni della ST con le limitazioni
che questa ancor oggi comporta (vedi sopra).
follow-up
(a cura del Comitato Scientifico dell'AST)
Per il follow-up si raccomanda, in assenza di specifici problemi, un esame clinico con frequenza annuale (o con tempi più
stretti secondo l'indicazione clinica e/o strumentale). Il controllo annuale deve sempre includere l'esame del fondo oculare, al
fine di escludere i segni indiretti e precoci (es. edema della
papilla) di ipertensione endocranica, da riferirsi in prima istanza
ad ASCG. Gli altri esami strumentali (ECG, EEG ed ecografie
cardiache o addominali) dovrebbero essere eseguiti negli intervalli di età consigliati e con periodicità dettata dalla presenza o
meno di lesioni e dalle caratteristiche specifiche di queste ultime (Tabella 9): in assenza di segni e sintomi, sono consigliabili
i parametri indicati nella tabella 9.
La RM dell'encefalo [che è sempre da preferire alla TAC dell'encefalo, tranne che vi sia il dubbio diagnostico differenziale di
altra forma di displasia corticale (non associata a ST) o di una
malformazione vascolare (capillare, venosa o arteriosa) cerebrale oppure quando si desidera chiarire meglio la natura di un
69
nodulo in sede subependimale] va eseguita sempre al momento della diagnosi o per completare l'iter diagnostico (vedi sopra:
diagnosi), ma è anche consigliabile ripeterla sino all'adolescenza con una frequenza annuale o biennale, a seconda delle indicazioni cliniche e/o dell'esito dei precedenti esami strumentali,
per monitorare la comparsa e/o l'evoluzione di lesioni con
dimostrato potenziale di crescita, come l'ASCG.
La possibilità che un nodulo subependimale si accresca è
legata al suo potenziale di trasformazione in ASCG, cioè in un
tumore di forma rotondeggiante di 1-2 cm di diametro, localizzato quasi sempre nei pressi dei forami del Monro. È bene ricordare che la distinzione tra nodulo subependimale e ASCG si
basa essenzialmente sulle dimensioni della lesione vista all'imaging cerebrale (< 0.5 cm il nodulo; > 1-2 cm l'ASCG). La diagnosi di ASCG non è quindi istologica e non implica necessariamente una tendenza espansiva, anche in presenza di captazione del mezzo di contrasto (gadolinio nella RM o mezzo di contrasto iodato nella TAC). Alcuni neuroradiologi definiscono
come probabili ASCG anche i noduli < 1cm, ma in rapida
espansione. In conclusione, non esistono criteri univoci per la
definizione di ASCG nella pratica clinica e strumentale e ciò non
aiuta l'applicazione e la valutazione dell'efficacia di linee guida
per la sorveglianza di queste lesioni. Un'ulteriore difficoltà sta
nel fatto che la cinetica di crescita di un nodulo subependimale
che si trasformi in ASCG, o di un ASCG di 1 cm, è variabile: può
essere rapida, lenta, costante, a balzi intervallati da pause, arrestarsi al di sotto dei 2 cm o, piu raramente, raggiungere grandi
dimensioni trovando spazio entro un ventricolo senza ostruire i
forami del Monro e senza alterare la dinamica di circolazione
del liquor. La tendenza espansiva sintomatica, desunta da casistiche di ASCG responsabili di ipertensione endocranica, parte
dal 2° anno di vita e si arresta attorno al 22-24° anno di età
(non sono stati riportati episodi acuti di ipertensione endocranica da ASCG oltre i 24 anni ). La maggior parte degli ASCG si
osserva tra i 5-15 anni. Il rischio di ASCG varia quindi con l'eta:
sale fino ai 7-10 anni e poi diminuisce. La pubertà (oggi considerato un periodo variabile tra gli 8 ed i 12 anni d'età) è un
momento critico: ecco perché si consiglia, anche in presenza di
70
Tab. 8
piccolissimi noduli (2-3 mm) presso il forame del Monro, apparentemente stabili (e quindi non solo in presenza di noduli subependimali in quella posizione che abbiano dimostrato tendenza espansiva) di ripetere i controlli RM prima ed intorno a quest'età. Dopo la pubertà è difficile a tutt'oggi stabilire la frequenza dei controlli RM dell'encefalo e non esiste un accordo internazionale su un possibile protocollo.
Non è utile eseguire la RM dell'encefalo per il monitoraggio
dei tuberi corticali o delle lesioni della sostanza bianca, in quanto sono anomalie già presenti alla nascita che non tendono a
variare nel tempo [i possibili e probabilmente frequenti fenomeni di apoptosi (cioè di fisiologica morte cellulare neuronale)
all'interno di queste lesioni (dei quali si ignora la rilevanza clinica e/o prognostica) non comportano la necessità di monitoraggio strumentale; inoltre tali fenomeni non sono facilmente rilevabile alla RM].
Il monitoraggio RM va eseguito anche nei soggetti operati
per ASCG, perché sono state segnalate crescite tardive o ricrescite (in genere dovute a residui del tumore operato) asintomatiche anche dopo i 20 o i 30 anni d'età. La periodicità della RM
cerebrale in questi casi viene dettata in ogni singolo centro a
seconda dell'esperienza clinica e chirurgica. Più difficile è stabi-
71
Tab. 9
72
lire se e quando ripetere la RM dell'encefalo nel caso di un
bambino in età post-puberale, di un adolescente o anche di un
adulto senza noduli di 1-2 cm (tipo ASCG). In questi casi,
quando cioè una o più RM dell'encefalo eseguite in età pre- e
post-puberale siano certamente negative per la presenza di
ASCG, è consigliabile monitorare clinicamente il soggetto
(includendo l'esame del fondo oculare) e valutare in base ai
parametri clinici (ed oftalmologici) l'eventuale ripetizione della
RM dell'encefalo in età successive.
Nei primi mesi dopo la diagnosi è importante un colloquio
con la famiglia o con il paziente (da ripetere più volte se necessario), a distanza di due o tre mesi, per discutere ed approfondire dubbi o paure. Il monitoraggio di eventuali complicanze a
carico di qualsiasi apparato orienterà, naturalmente, il tipo di
esami ed i tempi di attuazione. E' quindi consigliabile che la persona con ST sia riferita, almeno inizialmente, presso un Centro
specializzato per la ST
terapia
(terapia nefrologica a cura di Giuseppe Segoloni)
Non esiste a tutt'oggi una terapia medica per la ST. Si cerca
quindi di trattare alcune manifestazioni cliniche e di prevenire le
complicanze.
Gli angiofibromi facciali possono essere causa di notevoli
problemi estetici oggi notevolmente ridotti dall'impiego della
laser terapia o di tecniche di abrasione cutanea. Le altre lesioni
cutanee non causano generalmente problemi estetici, ma si può
comunque intervenire chirurgicamente sulla placca fibrosa
frontale o sulla macchia zigrinata. E' invece più difficile, seppur
possibile, trattare chirurgicamente i fibromi ungueali: una della
caratteristica di queste lesioni è infatti l'origine anatomica dalla
radice ungueale per cui se non si elimina del tutto l'unghia (sino
alla radice appunto) la lesione tende a recidivare.
Per quanto riguarda la terapia dell'epilessia, è noto che gli
spasmi infantili rispondono bene al trattamento con ACTH o
73
con vigabatrim: sembra non dimostrata però la superiorità del
vigabatrim rispetto all'ACTH nella ST. Nelle forme di spasmi
infantili sensibili al farmaco la risposta è pressoché immediata
(entro le prime 24-48 ore dall'inizio della terapia). In caso di
buona risposta al vigabatrim e di un eventuale protrarsi del trattamento con questo farmaco oltre i sei mesi, è consigliabile
però un controllo periodico oculare con elettroretinogramma,
sino a che il bambino non sarà in grado di eseguire in maniera
attendibile uno studio del campo visivo (non prima dei 6-8 anni
d'età, se lo sviluppo cognitivo è nella norma). Anche l'acido valproico o il nitrazepam, comunque si sono dimostrati efficaci per
il trattamento degli spasmi infantili ed ogni singolo caso va
quindi valutato assieme allo specialista. Le altre forme di epilessia, sia nell'infanzia come in età adulta, vanno trattate con i farmaci antiepilettici comunemente usati a seconda del tipo di epilessia. La scelta del farmaco antiepilettico è complessa e va rigorosamente effettuata in stretta collaborazione con neurologi
infantili e dell'adulto esperti di epilessia. La metodologia dell'approccio farmacologico deve consentire da un lato la ricerca di
una possibile farmacoresponsività a fronte del minor numero
possibile di effetti collaterali, ma allo stesso tempo deve aiutare
il medico ad accertare il più precocemente possibile la farmacoresistenza, per la quale oggi sono possibili diverse risoluzioni di
tipo chirurgico. Nel 25% dei casi, infatti, l'epilessia è scarsamente controllata dalla terapia, anche impiegando associazioni
di più farmaci.
Il trattamento chirurgico dell’epilessia prevede diverse
possibilità, quali l'eliminazione stereotassica radiochirurgica
selettiva del/dei tuberi corticali responsabili delle crisi, transezione multipla subpiale o stimolazione del nervo vagale, e nei
casi di farmacoresistenza ha recentemente portato a risultati
soddisfacenti con eliminazione o riduzione quasi totale delle
crisi in circa l'80% dei casi e notevole riduzione dell'epilessia nel
rimanente 20% dei pazienti operati. Le principali indicazioni
chirurgiche specifiche per l'ST sono: (a) soggetti con un solo
tipo di convulsioni o con un singolo tubero; (b) soggetti con
tuberi multipli ed un grande tubero corticale calcificato ed evidenza EEG di punte focali che corrispondano anatomicamente
74
alla lesione; (c) soggetti con dati clinici (semiologia delle crisi),
neurofisiologici (EEG ictale) e radiologici (RM, PET, SPECT, ecc.)
convergenti. Allo stesso tempo non sembra che la presenza
(alla RM) di focolai multipli potenzialmente epilettogeni associati a molteplici tipi di crisi e/o ad anomalie multifocali o generalizzate all'EEG siano associate ad una cattiva prognosi chirurgica. Tecniche di avanguardia come la video-elettroencefalografia o la magnetoelettroencefalografia, integrate a speciali
tecniche di RM o alla tomografia ad emissione di positroni
(PECT o SPECT), utile per studiare l'eventuale deficit metabolico di base nella specifica area epilettogena, permettono infatti
di individuare il/i focolaio/i da cui originano le crisi e di intervenire quindi chirurgicamente.
L'astrocitoma subependimale a cellule giganti è una lesione trattabile chirurgicamente, anche se di dimensioni elevate
con complicanze post-operatorie minime e bassa percentuale di
recidive. I criteri per la rimozione chirurgica dell’ASCG sono: 1)
presenza di idrocefalo; 2) aumento di dimensioni ad esami
radiologici (RM o TAC) seriali nel tempo; 3) nuovi segni neurologici focali direttamente attribuibili al tumore; 4) segni di
aumento di pressione endocranica.
Il trattamento chirurgico degli angiomiolipomi è possibile e
consigliabile tramite resezione parziale della lesione con conservazione del parenchima renale.
Da un punto di vista generale deve essere sempre privilegiato un atteggiamento conservativo per quanto concerne la
nefrectomia. Tuttavia, quando si configurano situazioni di
rischio emorragico incontrollabile, o le dimensioni dell'angiomiolipoma rendono pressoché nulla la probabilità di un ripristino funzionale del parenchima residuo dopo parziale nefrectomia, non bisogna esitare ad un approccio radicale.
La prevalenza dell'insufficienza renale cronica terminale in
corso di ST è valutata intorno all'1%. Fino agli anni '80 del secolo scorso, l'insufficienza renale terminale è stata la principale
causa di gravi complicanze dei soggetti adulti con ST (fino al
22%). Di recente, la diffusione della dialisi, l'incremento dell'aspettativa di vita post-trapianto, e soprattutto l'adozione di
strategie chirurgiche più conservative, lasciano presagire una
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significativa riduzione di gravi complicanze per insufficienza
renale. Quando necessario, il paziente può essere avviato con
ottimi risultati alla dialisi oppure al trapianto renale. Per prevenire il rischio di emorragia intra o retro-peritoneale da rottura di
un agiomiolipoma di un rene nativo, si consiglia di rimuovere
entrambi i reni nativi dei pazienti ST al momento del trapianto
renale. Nei rari individui ST che non fossero stati binefrectomizzati in corso di trapianto renale, si raccomanda una scrupolosa
monitorizzazione delle dimensioni degli angiomiolipomi e delle
eventuali cisti.
Questa sorveglianza potrebbe essere utile anche per ridurre
il rischio, seppure assai modesto, di trasformazione neoplastica
di un amartoma renale.
Un'alternativa alla strategia chirurgica conservativa è l'embolizzazione dei vasi afferenti alla lesione. Tale procedura, seppure non sia esente da complicazioni, viene da taluni considerata
di prima scelta negli interventi di emergenza.
Solo in casi di estrema gravità e sintomatologia progressiva
è invece da valutare l'intervento di exeresi dei rabdomiomi cardiaci.
Al momento non vi sono terapie efficaci per combattere la
linfangioleiomiomatosi polmonare e la sua evoluzione. Nel
corso degli anni è stata data molta importanza alla terapia
ormonale intesa come castrazione chirurgica e ormonale ma la
loro efficacia non sempre si è dimostrata. Attualmente sono in
corso diversi studi clinici sull'utilizzo della rapamicina e di suoi
derivati e i risultati iniziali sembrano incoraggianti. E' in corso di
valutazione anche l'utilizzo di un vecchio farmaco antibiotico la
doxiciclina, con meccanismi d'azione che non hanno a che
vedere con le sue proprietà antimicrobiche. Nei casi più gravi
possono trovare indicazione l'ossigenoterapia e il trapianto polmonare. In casi selezionati gli angiomiolipomi renali devono
essere rimossi chirurgicamente o embolizzati con metodiche
attraverso metodiche radiologiche scarsamente invasive. Al
momento l'unica raccomandazione terapeutica è quella di utilizzare broncodilatatori se vi è ostruzione bronchiale alle prove
di funzionalità polmonare e di utilizzare terapia con difosfonati
in caso di osteoporosi.
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79
Supplemento al trimestrale AESSETI’ NEWS
Anno VIII - numero 2/2009
Registrato Presso il Trbunale di Roma
n° 279/02 del 07/06/2002
Direttore responsabile:
Marco Michelli
Stampa:
Grafiche Cola di Lecco
Grafica ed impaginazione:
Marco De Angelis - www.artsline.it
finito di stampare nel mese di aprile 2009