Sclerosi Tuberosa a cura di Martino Ruggieri & Nicola Migone a cura di: Martino Ruggieri (Consiglio Nazionale delle Ricerche, Catania) [email protected] Nicola Migone (Università di Torino) [email protected] In collaborazione con gli altri membri del COMITATO SCIENTIFICO nazionale dell'Associazione Sclerosi Tuberosa: Alessandra Baldelli (Comitato per l'Educazione Terapeutica Onlus, Roma) [email protected] Gabriella Bartalini (Università di Siena) [email protected] Salvatore Buono (AO Santobono-Pausilipon, Napoli) [email protected] Paolo Curatolo (Università Tor Vergata, Roma) [email protected] Roberto Gaggero (Istituto G. Gaslini, Genova) [email protected] Giuseppe Gobbi (Ospedale Maggiore C.A. Pizzardi, Bologna) [email protected] Lorenzo Genitori (Ospedale Pediatrico Meyer, Firenze) [email protected] Sergio Harari (Ospedale San Giuseppe Fatebenefratelli, Milano) [email protected] Massimo Laurenza (Istituto Dermatologico dell'Immacolata, Roma) [email protected] Anna Maria Laverda (Università di Padova) [email protected] Piergiorgio Miottello (ASULSS 3 - Ospedale Nuovo, Bassano del Grappa) [email protected] Eugenio Raimondo (Società Italiana di Odontostomatologia per Handicappati SIOH, Roma) [email protected] Pierangelo Veggiotti (Università di Pavia) [email protected] Hanno inoltre collaborato alla presente edizione: Roberto Rozza (Ospedale S. Paolo, Milano) [email protected] Carmelo Schepis (IRCCS Oasi M. Santissima, Troina) [email protected] Giuseppe Segoloni (Università di Torino) [email protected] prefazione Questa seconda edizione dell'unica pubblicazione in lingua italiana sulla Sclerosi Tuberosa (ST) è stata fortemente voluta da tutti i membri, soci e medici, dell'Associazione per rispondere all' esigenza di fornire informazioni mediche aggiornate e condivise che aiutino nella diagnosi di questa malattia genetica rara, nella gestione clinica della persona affetta da ST attraverso le linee guida ma anche nella comprensione della patologia da parte di chi ne è affetto e di chi lo circonda. Perché possa essere una guida agile ma anche sufficientemente esplicativa, al suo interno (pagg. 7-8) troverete uno schema per una veloce individuazione delle sue manifestazioni e dei protocolli diagnostici ed assistenziali oggi consigliati per poi proseguire nel testo con la descrizione dettagliata di ogni sua manifestazione clinica. Vogliamo ringraziare Nicola Migone e Martino Ruggieri, autori del testo, tutti gli altri specialisti e i membri del Comitato Scientifico dell'Associazione Sclerosi Tuberosa, la cui collaborazione è stata preziosa per ottenere una pubblicazione completa e precisa in ogni suo capitolo. Un ringraziamento infine va a Magda Verdecchia (Roma), curatrice, assieme a Nicola Migone, della precedente edizione di questa pubblicazione. L’Associazione Sclerosi Tuberosa Storia e obiettivi L'Associazione Sclerosi Tuberosa onlus è un'Associazione senza fini di lucro nata a Roma nel Maggio 1997 su iniziativa di alcune famiglie con bambini affetti da ST e di alcuni medici con lo scopo di unire le forze per supportare la ricerca scientifica e diffondere la conoscenza della malattia. Negli anni, grazie alla volontà e al lavoro degli associati, l'AST è cresciuta notevolmente: sono numerose oggi le persone a vario titolo impegnate nell'Associazione in quasi tutte le regioni italiane; anche tra gli operatori, gli insegnanti, i medici si è diffusa la maggiore conoscenza della patologia e sono sempre più i centri medici nelle regioni italiane che si possono oggi considerare "esperti" e conoscitori di questa malattia. Negli anni gli obiettivi statutari dell'AST si sono ampliati e sempre più strutturati e ad oggi si possono riassumere in: -supporto alle persone con ST, ai familiari, ai medici e agli operatori che a vario titolo sono impegnati nella cura delle persone affette dalla patologia - sostegno alla ricerca scientifica per approfondire le cause della ST e ricercarne le terapie più efficaci - promozione della conoscenza della ST, formazione e scambio delle informazioni relative - la promozione dei diritti, le pari opportunità e l'integrazione delle persone con disabilità nella società. Iniziative di raccolta fondi L'Associazione vive delle quote associative (30 ¤ annui), donazioni, dei proventi di iniziative di raccolta fondi organizzate in tutte le regioni italiane, di contributi su singoli Progetti e soprattutto del volontariato di soci e sostenitori che dedicano il proprio tempo per la conduzione delle diverse attività. Dal 2006 è inoltre possibile contribuire alla vita associativa devolvendo il 5 per mille dell'importo comunque versato per le proprie tasse all'AST, indicando il numero di codice fiscale 96340170586 nella dichiarazione dei redditi nel riquadro riservato alle onlus. Sedi, Delegati e Centri Medici regionali L'Associazione è oggi presente in quasi tutte le regioni italiane con delegati regionali e centri medici di riferimento per la ST, vedi www.sclerosituberosa.org Attività AST Le attività associative si sono diversificate e strutturate nel tempo. Il supporto alla ricerca scientifica è uno degli obiettivi primari dell'Associazione che si esplica attraverso il finanziamento annuale di progetti di ricerca e borse di studio. Ai telefoni AST sono sempre reperibili persone esperte in grado di fornire consulenza e supporto in prima persona o di indirizzare verso specialisti anche per quesiti di tipo medico e/o legale. L'AST è costantemente impegnata nel progetto "Conoscere la ST" ovvero nella campagna di sensibilizzazione e informazione rivolta a medici e cittadini allo scopo di diffondere la conoscenza della patologia, dei suoi sintomi e delle cure, anche attraverso l'organizzazione annuale della Festa Nazionale della ST durante il mese di Maggio. Le informazioni scritte circolano all’interno e al di fuori dell'AST, oltre che attraverso il sito web, attraverso la rivista trimestrale Aessetì News, inviata ai soci e ai sostenitori e diffusa anche nell'ambiente medico. L'Associazione pubblica inoltre libri, CD, filmati sulla ST e su esperienze ad essa collegate. La formazione continua è un'altra delle attività associative fondamentali e si esplica attraverso Corsi di aggiornamento sugli aspetti clinici della ST in diverse regioni italiane con tavole rotonde tra medici, persone affette e familiari; Seminari di formazione e di supporto su tematiche connesse ai temi della disabilità (inerente la ST e non solo), del mutuo-aiuto, rivolti ad operatori, persone affette, familiari, cittadini. L'AST organizza annualmente una vacanza associativa residenziale per permettere lo scambio e la creazione di legami solidali tra quanti affrontano tutti i giorni i problemi legati alla disabilità e per sperimentare percorsi di autonomia. indice criteri per la diagnosi di sclerosi tuberosa ................... protocolli diagnostici ed assistenziali .......................... aspetti clinici introduzione .......................................................................... cenni storici ........................................................................... incidenza e prevalenza .......................................................... segni clinici ............................................................................ cute ................................................................................... lesioni orali ......................................................................... cuore ................................................................................. sistema vascolare ............................................................... rene ................................................................................... sistema nervoso centrale .................................................... occhio ................................................................................ apparato respiratorio ......................................................... altri organi ed apparati ....................................................... 7 8 00 9 10 15 15 16 22 24 26 27 30 41 43 48 genetica ca geni responsabili e proteine ................................................... 51 come si trasmette la sclerosi tuberosa .................................... 55 consulenza genetica e test genetici ......................................... 561 diagnosi, follow-up e terapia 00 diagnosi .................................................................................. fallow up ................................................................................ terapia .................................................................................... 65 69 73 per approfondire ...................................................................... 77 7 8 aspetti clinici introduzione La sclerosi tuberosa (ST) è una condizione genetica a trasmissione autosomica dominante che interessa svariati tessuti ed organi. Il vecchio termine di malattia di Bourneville, ormai abbandonato, rendeva il merito della prima descrizione completa di quest'affezione (avvenuta nel 1880) al medico francese Dèsirè Magloire Bourneville (vedi cenni storici). Oggi si preferisce usare il termine "complesso sclerosi tuberosa" (dall'inglese Tuberous Sclerosis Complex, TSC), coniato per la prima volta dal patologo Molten nel 1942, che pone l'accento sul coinvolgimento multisistemico e sull'estrema variabilità delle manifestazioni cliniche. Per semplicità, in questo testo sarà usato il termine sclerosi tuberosa per indicare clinicamente l'affezione, mentre per i geni responsabili sarà mantenuta la nomeclatura inglese a tre lettere (TSC). In questi ultimi anni, i progressi clinici e genetici, di biochimica e neurobiologia hanno iniziato a far luce su questioni centrali per la diagnosi, prevenzione e cura della ST, prima fra tutte sul perché della sorprendente variabilità del quadro clinico. Dopo la scoperta dei due geni responsabili, TSC1 e TSC2, localizzati rispettivamente nel cromosoma 9 e 16, e delle funzioni principali delle proteine codificate da questi geni, amartina (gene TSC1) e tuberina (gene TSC2), sono stati introdotti nuovi criteri diagnostici ed è mutata profondamente la conoscenza della storia naturale e della biologia di quest'affezione. I segni clinici principali nella ST sono a carico della cute e di alcuni annessi cutanei (unghie e denti), del sistema nervoso centrale, cuore, reni, occhio, fegato e polmone, ma si possono avere manifestazioni della malattia in quasi tutti gli organi ed apparati (ad eccezione, sino ad oggi, del tessuto muscolare scheletrico e del sistema nervoso periferico). La ST è ancora oggi considerata da molti una condizione rara e quasi invariabilmente associata a gravi complicanze neurolo- 9 giche (principalmente epilessia), cognitive (ritardo mentale) ed a disturbi del comportamento oltre alle tipiche manifestazioni cutanee. In realtà le conoscenze più recenti sull'epidemiologia e la storia naturale della ST ci hanno permesso di comprendere come questa affezione sia molto più frequente di quanto rilevato sino ad oggi e che solo una parte (meno della metà) delle persone affette presenti grave coinvolgimento neurologico. cenni storici Fig. 1 10 Sebbene il nome “sclerosi tuberosa” sia legato, come prima accennato, al medico francese Bourneville, una delle prime descrizioni di una persona affetta da questa affezione nella letteratura medica fu fatta dal patologo tedesco, Friedrich Daniel von Recklinghausen. Questo patologo assieme al suo maestro, il grande patologo tedesco Virchow, ha legato il suo nome ad un'altra condizione genetica simile per alcuni versi Volto di un giovane uomo ricoalla ST, e cioè la neurofibromatosi tipo 1 perto di piccole papule eritematose con aspetto e distribu(NF1). Von Recklinghausen, nel 1862, zione simili a quelle dell'angiofidescrisse alla Società Ostetrica di Berlino un broma facciale" della sclerosi neonato che presentava numerosi "tumori tuberosa" [tratto dal disegno originale dell'Atlante di Malattie cardiaci ("myomata") protrudenti… nel Dermatologiche di Pierre muscolo cardiaco… all'interno delle camere Francois Rayer (1835)]. cardiache… ed incapsulati all'interno della struttura muscolare del cuore" ed un gran numero di "aree sclerotiche…..all'interno del cervello". Questa prima descrizione comprende già le principali caratteristiche della ST. Un altro (possibile) caso di ST fu riportato in precedenza dal dermatologo francese Pierre Francois Rayer che nel 1835 raffigurò, nel suo atlante di malattie dermatologiche (Fig. 1), il volto di un giovane uomo… "ricoperto di piccole papule eritematose con un aspetto e distribuzione simili a quelle dell'angiofibroma facciale "...”della sclerosi tuberosa”. Il nome della ST è legato però, come già accennato, a quello di DesiréMagloire Bourneville (1840-1909) (Fig. 2) che nel 1880 fornì la prima descrizione clinica dettagliata delle tipiche anomalie cutanee e neurologiche della ST con il corrispettivo quadro anatomopatologico cerebrale e renale, in una bambina di 15 anni d'età affetta da epilessia e ritardo dello sviluppo psicomotorio. Questa piccola paziente, al tempo dell'osservazione Desiré-Magloire Bourneville di Bourneville era internata all'ospedale La in un ritratto a matita della fine dell'800 Pitié Salpêtrière di Parigi e clinicamente presentava piccole lesioni rilevate cutanee "pendule" (simili a quelle del "mollusco contagioso") al collo; un'eruzione vescicolosa papulare confluente al naso, alle guance ed alla fronte ed era affetta da epilessia (con convulsioni di tipo parziale e generalizzato) sin dall'infanzia, associata a frequenti episodi di stato di male epilettico con emiplegia spastica destra. Il quadro anatomopatologico cerebrale aveva evidenziato (Fig. 3) "molteplici aree rilevate di consistenza dura, aspetto biancheggiante (opalescente), e con aumentata densità (similsclerotiche) rispetto alla corteccia cerebrale circostante all'interno delle circonvoluzioni cerebrali" assieme a "piccoli tumori nodulari incapsulati all'interno delle pareti del corpo striato ed aggettanti all'interno delle pareti ventricolari". Proprio a causa di quest'aspetto anato- (A-B) le tipiche lesioni cerebrali della tuberosa nel disegno origimopatologico Bourneville coniò il termi- sclerosi nale tratto dal lavoro pubblicato da ne "sclerosi tuberosa (per l'aspetto e la Bourneville alla fine dell'800 1880): si possono consistenza sclerotica "simile a quella (Bourneville notare (A) i noduli subependimali delle patate" - i tuberi appunto) delle cir- all'interno delle cavità ventricolari convoluzioni cerebrali". Bourneville assieme ad alcuni tuberi cerebrali (questi ultimi indicati dalle linee coldescrisse anche delle "piccole lesioni di legate alle lettere) (A-B). Fig. 2 Fig. 3 a b 11 colore bianco-giallognolo" all'interno dei reni di questa bambina (angiomiolipomi renali) che non seppe però a quel tempo collegare con le lesioni cerebrali e più in generale con quelle della malattia. Un anno dopo quella prima osservazione, nel 1881, lo stesso Bourneville, assieme al suo collega Brissaud, descrisse il caso di una bambina internata all'ospedale La Bicêtre di Parigi affetta da stato di male epilettico che presentava lesioni cerebrali (e renali) simili a quella descritte in precedenza da Bourneville. Negli anni 1880-1890 questi stessi autori descrissero un totale di 10 persone con caratteristiche simili a quelle delle due bambine e questa volta posero l'accento sull'associazione tra patologia cerebrale e renale. Nello stesso periodo (1881) il dottor Hartdegen descrisse i reperti anatomopatologici di un bambino di 2 anni d'età con stato di male epilettico che presentava "aree di sclerosi attraverso la corteccia cerebrale" e "piccoli tumori protrudenti all'interno delle cavità ventricolari" contenenti "cellule neuronali giganti" che lo stesso Hartdegen diagnosticò come "glioma ganglio cellulare gigante" prospettando una tesi tumorale per la patogenesi della ST ripresa agli inizi del '900 da Vogt a Bielschkowski. Una notazione storica di rilievo, è che Desiré-Magloire Bourneville fu un personaggio molto importante non solo per le sue qualità mediche (e per la scoperta legata alla sclerosi tuberosa) ma anche per le enormi qualità umane e per l'attiva partecipazione alla vita sociale della sua nazione in quell'epoca partecipazione che gli permise di contribuire alla creazione di centri dedicati proprio all'assistenza di bambini con handicap in tutta la Francia. Da giovane studente di medicina Bourneville frequentò gli ospedali parigini di La Bicêtre, La Pitié Salpêtrière ed il St. Louis. Fu chirurgo durante la guerra Franco-Prussiana e poi assistente medico all'ospedale di campo Jardin des Plantes. Infine, malgrado fosse già divenuto un affermato medico fece ritorno a La Pitié. Nel 1870 ricevette il dottorato in medicina a Parigi e qui, durante la Comune di Parigi del 1871, iniziò la parte "umana e sociale" della sua carriera: egli, infatti intervenne personalmente per salvare molti dei suoi pazienti feriti durante i moti rivolu- 12 zionari dagli stessi rivoluzionari che desideravano ucciderli per motivi politici. Nel 1873 fondò la rivista scientifica "Prògres Médical" e quindi "Archives de Neurologie" e la "Revue photographique des hopitaux des Paris". Scrisse numerosi articoli scientifici e pubblicò un'edizione dei lavori del suo maestro Charcot. Infine, come accennato prima, fondò la prima scuola per "bambini con ritardo mentale" e le prime "scuole d'istruzione speciale per bambini con handicap" a Parigi, un movimento che presto si diffuse a tutto il territorio nazionale francese. Dedicò, ogni anno, tutti i sabati di ogni settimana a tenere riunioni a La Bicêtre dove bambini con handicap mentale, motorio e con varie forme d'epilessia si esibivano in danze e canti accompagnati da una banda musicale composta da alcuni di essi. Tra gli anni 1873 e 1876 divenne membro del consiglio comunale della città di Parigi e poi del parlamento francese ed in ambedue tali funzioni politiche esercitò tutta la sua influenza ed applicò tutte le sue conoscenze per interessarsi proprio dei bambini con handicap mentale. Fu il responsabile dell'espansione degli ospedali parigini e della creazione di scuole speciali per l'istruzione del personale infermieristico e reparti d'isolamento per bambini e per pazienti con malattie infettive. Si spense il 29 Maggio del 1909 nella sua casa parigina al 14 di rue des Carmes. Verso la fine del 1800 e gli inizi del 1900, un gruppo di dermatologi francesi (Ménétrier, Hallopeau e Leredde) ed inglesi (Pringle) riconobbe per la prima volta (anche in diversi membri all'interno di uno stesso nucleo familiare) ed associò alle convulsioni ed all'handicap mentale, le caratteristiche manifestazioni al volto della ST (angiofibromi facciali) che furono chiamate (erroneamente) "adenoma sebaceo" (pensando ad un'origine istologica dalle ghiandole sebacee). Tale termine (conosciuto anche come adenoma di Pringle), purtroppo, si perpetuò sino al XX secolo, ed ancora oggi talora viene impiegato nella descrizione delle manifestazioni cutanee della ST (vedi dopo, segni clinici). Le prime descrizioni dettagliate delle lesioni del sistema nervoso centrale nella ST furono merito di Pellizzi nel 1901 che, per 13 primo, comprese la natura "displastica" dei tuberi corticali, dei noduli subependimali e delle alterazioni della sostanza bianca e che, assieme a Perusini, alcuni anni più tardi (1905) associò le lesioni cerebrali, renali e cardiache con l'angiofibroma facciale (a quell'epoca conosciuto ancora come adenoma sebaceo). Nel 1905 Campbell descrisse le anomalie oculari associate alla sclerosi tuberosa e nel 1908 Heinrich Vogt diagnosticò per la prima volta la malattia in una paziente con convulsioni, handicap mentale ed "adenoma sebaceo" (l'angiofibroma facciale) questa triade di manifestazioni prese poi il nome di "triade di Vogt". Vogt riconobbe anche che le manifestazioni cardiache e renali, in quello stesso soggetto facevano parte della stessa affezione. Schuster, nel 1914, portò all'attenzione degli studiosi per la prima volta la possibilità dell'esistenza di manifestazioni isolate della malattia descrivendo una persona che presentava solo una delle tre manifestazioni della "triade di Vogt" (in particolare l'adenoma sebaceo cioè l'angiofibroma facciale), senza convulsioni né handicap mentale. Egli chiamò la malattia in quel caso "forma frusta", ma noi oggi ben sappiamo che presentare solo una o poche manifestazioni cliniche nella ST è un evento molto comune. Nieuwenhuise, alcuni anni prima (nel 1912) aveva già compreso come la ST permettesse una durata di vita normale. Nello stesso periodo (1911) invece, il medico inglese Sherlock, introdusse nella letteratura scientifica lo "sfortunato" termine "epiloia" quale eponimo di ST: tale termine associava la componente epilettica (epilepsy) ed il deficit cognitivo (anoia, cioè disturbo o deficit mentale). Infine, van der Hoewe nel 1920 notò le similitudini tra le lesioni "amartomatose" della ST e quelle della neurofibromatosi, della malattia di von Hippel-lindau ed introdusse per primo il termine di "facomi" per queste lesioni e di "facomatosi" (poi conosciute anche come sindromi neurocutanee) per il gruppo di affezioni che sia associava a tali lesioni. Seguirono poi le descrizioni cliniche e radiologiche di tutte le manifestazioni della ST che culminarono negli importanti lavori di Lagos e dell'americano Manuel Rodriguez Gomez che, tra gli 14 anni '60 e '70, definirono in maniera completa il quadro clinico della ST, gli aspetti radiologici ed istopatologici, la genetica e la storia naturale dell'affezione. La fondazione di consorzi internazionali formati da clinici e genetisti ha infine permesso in questi ultimi vent'anni di giungere all'identificazione dei due geni responsabili della ST, delle proteine da questi prodotte e di conoscere molto più a fondo la patogenesi di quest'affezione. incidenza e prevalenza L'incidenza della ST è di 1 su circa 6.000 individui nella popolazione generale; la reale incidenza però non è perfettamente conosciuta a causa dell'elevato numero di persone affette con segni clinici molto lievi o quasi del tutto asintomatiche che, poiché non richiedono l'intervento del medico, sfuggono facilmente alla diagnosi. La prevalenza è di circa 1 su 13.000 - 30.000 individui nella popolazione generale e di 1 su 6.800 nella popolazione di bambini d'età compresa tra 11 e 15 anni. segni clinici I segni clinici della ST, come già accennato, possono essere a carico di molti organi ed apparati e possono manifestarsi durante vari periodi della vita. Un dato ancor più importante è che non tutti i segni ed i sintomi della ST si manifestano in ogni persona affetta (e talora, in alcuni individui, anche con i più moderni mezzi d'indagine può essere difficile individuarne la presenza). Vi possono essere persone con poche manifestazioni cliniche che tuttavia sono portatori certi di mutazione in uno dei due geni della ST e famiglie (con una stessa mutazione di uno dei due geni TSC) all'interno delle quali l'espressione della malattia 15 è assai variabile. La principale ricaduta pratica di queste conoscenze è che il protocollo per la diagnosi e per l'assistenza varia secondo l'età dell'individuo con sospetta ST o affetto da ST. Cute (in collaborazione con Carmelo Schepis) Fig. 4 a b 16 I segni cutanei della ST sono molteplici per numero, sede e tipo di lesione. Abitualmente, compaiono secondo un preciso ordine cronologico (vedi Tabella 1). Va ricordato, però, che talora può essere presente un solo tipo di lesione anche per tutto l'arco della vita: anche in questi casi però quest'unica lesione compare secondo un modello cronologico ben preciso (Figg. 4-8). Seppure le manifestazioni cutanee nella ST siano tra i segni più frequenti dopo la seconda decade di vita (vale a dire tra quelli a più alta penetranza), esistono rari individui adulti portatori certi di mutazione, in cui la cute ed i suoi annessi non risultano coinvolti. Secondo la nostra esperienza, l'esame dermatologico resta in ogni caso lo strumento più rapido, economico e di maggior efficacia diagnostica, purché condotto da persone esperte in quest'affezione. Macchie ipomelanotiche. Sono i segni cutanei più precoci. Sono presenti alla nascita solo nel 30% circa dei casi, ma possono apparire o aumentare di numero nell'infanzia o Anomalie cutanee nella sclerosi tuberosa: (A) macchie ipomelanotiche di forma lanin età puberale. ceolata assieme ad una tipica macchia Il numero di lesioni varia da > 2 a zigrinata (frecce nere); (B) macchie ipomelanotiche "a coriandodiverse decine o (più raramente) cenlo" (frecce nere) [ Figura 4 A, per gentile tinaia, con forme e dimensioni variaconcessione del Dipartimento di bili (Fig. 4): Dermatologia, Università di Torino]. 1) rotondeggianti (0.5-6 cm); 2) lanceolate (a forma di foglia) (0,5-6 cm); 3) molto piccole e multiple (1-3 mm), simili a dei coriandoli (non frequenti, sono più tipiche dell'adolescente o dell'adulto con ST). Le macchie ipomelanotiche possono essere presenti anche nel cuoio capelluto sotto forma di aree (o ciuffi) di capelli bianchi ("poliosi") così come nelle ciglia e sopracciglia. E' importante ricordare che circa il 5% degli individui sani, nella popolazione generale, possono avere una o due macchie ipomelanotiche; è quindi generalmente il numero (> 3) che conferisce a questo segno una rilevanza diagnostica. Talvolta una chiazza ipomelanotica può scomparire nel corso degli anni. Dal punto di vista istologico nella ST vi è riduzione o pressoché totale Placca fibrosa frontale (A,B) ed al mento (C) assenza di pigmento all'in- (frecce nere) terno della macchia (riduzio- [Figura 5 B, per gentile concessione di Sergiusz Jozwiack, Varsavia, Polonia]. ne del numero, diametro e pigmentazione dei melanosomi all'interno dei melanociti). Placca fibrosa. E' una lesione rilevata, di consistenza elastica e di colore un poco più scuro (marrone-rossastro o giallo) rispetto alla cute circostante, localizzata generalmente nella Fig. 5 a b c 17 Fig. 6 18 regione frontale o, a volte, sotto il cuoio capelluto (Fig. 5; Tabella 1). Generalmente compare nella prima infanzia, può aumentare di dimensione durante l'adolescenza, ma anche regredire in età adulta. Una caratteristica importante è che all'esordio può essere confusa con una lesione di tipo "eczematoso" e, come questa, andare incontro a varie fasi di "acutizzazione" (con arrossamento) e scomparsa per poi acquisire le caratteristiche tipiche sopra descritte. Istologicamente presenta le stesse caratteristiche dell'angiofibroma facciale (vedi dopo). Placca zigrinata. Con questo nome si definisce un'area più o meno estesa di cute (da uno a diversi centimetri ) leggermente rilevata, d'aspetto rugoso (simile ad una "buccia d'arancia") e di colore rosa-giallastro, che compare abitualmente nella tarda infanzia (raramente prima dei 2-3 anni d'età) (Fig. 4a e 6). Inizialmente si manifesta come un'insieme di piccole papule (o anche una sola) leggermente rilevate, di aspetto irregolare che successivamente confluiscono in un'area più estesa con il tipico aspetto "zigrinato", cioè ruvido al tatto (shagreen patches). Sono abitualmente localizzate in sede Tipica macchia zigrinata (frecce nere) al dorso lombare da un solo lato, dove, [per gentile concessione del Dipartimento di Dermatologia, Università di Torino]. una volta raggiunta la confluenza, assumono una forma allungata in senso trasversale (da 2-3 a 10-15 centimetri), più raramente in sede toracica o cervicale superiore. Di rado possono essere riscontrate sul rachide o si estendono ai fianchi e alla regione anteriore del tronco. La confluenza delle piccole aree si raggiunge durante l'adolescenza. La chiazza zigrinata si osserva in circa il 20% dei portatori di mutazione (Tabella 1) e di solito è singola. Angiofibroma facciale. Istologicamente queste lesioni sono "amartomi" del tessuto connettivo e dei vasi del derma che si manifestano clinicamente come piccole papule sessili tondeggianti, rossastre o rosa, distribuite simmetricamente alle guan- ce, alle pieghe nasolabiali, al mento o alla punta del naso (Fig. 7). Inizialmente sono molto piccole (<1 mm) e poco numerose. Compaiono dai 3-5 anni di età sino alla pubertà, quando tendono ad aumentare di numero e dimensione. Se molto numerose, rilevate e scure di colore possono essere associate ad un fenotipo neurocutaneo più grave. Gli angiofibromi facciali sono presenti nell'80-90% degli adulti con ST. Fibromi cutanei. In taluni individui si possono avere piccoli fibromi penduli cutanei (molluscum fibrosum pendulum) localizzati prevalentemente sul collo e sulle spalle (Fig. 8). Possono essere presenti già alla pubertà, ma più spesso si osservano in età adulta. In alcuni casi questi fibromi sono molto numerosi estendendosi alla metà superiore della schiena e alle regioni ascellari. Angiofibromi del solco nasogenieno (A), del naso (B) e del volto (C); aspetto istologico di una lesione (D) che dimostra l'ispessimento dello strato epidermico con aumento della parte fibrosa e vascolare nel tessuto sottocutaneo accompagnato dall'ipertrofia delle ghiandole sebacee (da qui il nome - errato - di adenoma sebaceo usato nel passato). Fig. 7 a b c d 19 b Fibromi ungueali. Appaiono generalmente in età adulta ma non in tutti i soggetti affetti da ST. Sono più comuni nelle dita dei piedi che in quelle delle manie. Sono di due varietà (Fig. 9): 1) periungueali, cioè fibromi rotondi, ovali o piatti, emergenti dai bordi superiori del letto ungueale, del medesimo colore della pelle o arrossati, per sfregamento o ripetuti traumi (da contatto ad esmpio con la scarpa); il numero, la dimensione (1-4 mm) e la tendenza a crescere varia da soggetto a soggetto; possono deformare la lamina ungueale con formazione di una doccia Fig. 9a); 2) subungueali, il tipo più comune si annida presso la matrice dell'unghia ed essendo di dimensioni molto piccole non è visibile di per sé, ma se ne apprezza il danno provocato sulla crescita dell'unghia: si notano solchi più o c Aspetto all'esordio (A), e dopo lungo tempo nei soggetti non trattati chirurgicamente (B,C) dei fibromi ungueali delle dita delle mani (A,B) e dei piedi (C). Fig. 8 Fibromi penduli nella regione del collo Fig. 9 a 20 Tab. 1 Segni cutanei e degli annessi cutanei meno profondi, nella direzione di crescita dell'unghia (Fig 9a). Questa varietà di fibromi occulti, a bassa tendenza espansiva, va cercata con attenzione soprattutto nelle mani, mentre nei piedi i fibromi periungueali sono facilmente riconoscibili. Una forma meno comune di fibromi subungueali consiste nella comparsa di noduli o "frange" verruciformi sotto il margine libero dell'unghia, la quale può così apparire "sollevata" dal suo letto (vedi Fig. 9c) I fibromi ungueali sono segni tipici di ST. Pertanto, qualora non fossero limitati al 5° dito del piede dove i traumatismi sono comuni, la loro presenza deve far sorgere un forte sospetto di ST, tale da richiedere il completamento degli esami previsti dal protocollo diagnostico. Se traumi al 5° dito del piede hanno talvolta generato inutili allarmismi, va segnalato che certi fibromi sottoungueali scollanti l'unghia dal suo letto sono stati erroneamente interpretati come infezioni micotiche. Ciononostante va detto che in genere i fibromi ungueali veri sono facilmente distinguibili da quelli falsi. 21 Fig. 10 Lesioni orali (a cura di Eugenio Raimondo e Roberto Rozza) a b Lesioni dei denti. Si tratta di ipoplasie focali dello smalto dentale visibili sia in bambini (dentatura decidua) che in adulti con ST. Sono asintomatiche e non interferiscono con le funzioni fisiologiche del dente. Sono causate da uno sviluppo anomalo delle cellule di origine ectodermica durante il processo di amelogenesi. Clinicamente possono presentarsi in forme e dimensioni diverse (Fig. 10): 1) piccole tacche o fossette rotonde, di solito non superiori ad 1 mm, entrambe ben visibili occhio nudo; 2) lesioni microscopiche (puntiformi; conosciute nella letteratura inglese come "enamel pittings"), riconoscibili all’esame odontostomatologi- c d 22 Tipiche lesioni ipoplasiche dello smalto dentario (A-C) (freccia nera e puntini neri): al microscopio elettronico (D) si nota una carie (parte superiore sinistra della figura) in un soggetto con lesioni ipoplasiche dello smalto dentario (si noti l’accumulo di materiale organico calcificato che ha un aspetto a strie nella parte destra della figura). [figura 10 A, per gentile concessione di Rudolf Happle, Marburgo, Germania]. co con speciali spray dentali coloranti oppure al microscopio. Clinicamente, le lesioni microscopiche dello smalto rappresentano un punto di minor resistenza sulla superficie dello smalto, esponendo così il dente ad una più facile insorgenza di lesioni cariose (Fig. 10d). Istologicamente si presentano come microcavità dello smalto, attorniate da un'aumentata striatura del Retius localizzata soprattutto a livello delle superfici vestibolari dei denti anteriori. L'analisi al microscopio elettronico mostra che lo strato dentinale non viene mai intaccato dalla lesione e che nelle microcavità sulla superficie dentale si accumula materiale organico calcificato (Fig. 10d); il diametro può variare da 4-100 mm e con una profondità calcolata tra 1/3 a tutto lo spessore dello smalto. L'incidenza varia dal 60 al 100% in soggetti con ST rispetto al 7% riscontrato nella popolazione generale. Un dato controverso è la presenza di inclusioni dentali o denti soprannumerari da taluni riscontrati con mag- Piccolo fibroma mucoso (indicato dalla freccia) giore frequenza nei soggetti della cavità orale con ST. Lesioni della mucosa buccale. In più del 40% dei soggetti con ST si hanno fibromi mucosi e/o gengivali (Fig. 11). Gli pseudofibromi orali presenti in circa il 50% delle persone con ST clinicamente hanno l'aspetto di noduli di dimensioni variabili e di colore variabile dal rosso-giallastro al rosa, simile alle mucose circostanti. Si osservano principalmente nella gengiva anteriore, labbra, guance e palato. In alcuni casi possono presentarsi in forma papillomatosa. Spesso è presente iperplasia gengivale, dovuta a scarsa igiene orale o secondaria a terapia con farmaci antiepilettici. Macule labiali ipopigmentate (a forma di foglia), dovute ad Fig. 11 23 Fig. 12 a una diminuzione quantitativa di melanociti, sono da considerare segni non pericolosi e da non trattare. Nell'11% circa dei soggetti con ST è possibile rilevare all'esame radiografico del cranio iperostosi (presente anche a livello alveolare) e lesioni pseudocistiche mandibolari. Cuore b c d 24 Il 45-70% circa dei soggetti con ST presenta, ecograficamente, rabdomiomi cardiaci (Fig. 12). I rabdomiomi nella ST sono multipli, localizzati all'interno delle cavità o nelle pareti cardiache. Istologicamente sono costituiti da cellule plurinucleate, molto più grandi delle fibrocellule muscolari cardiache (raggiungono dimensioni > 80-200 m) e di colore giallastro o bianco per l'abbondante accumulo di glicogeno nel citoplasma. Sono circoscritte da una capsula ed il loro diametro massimo varia da pochi millimetri a svariati centimetri. Ecografia cardiaca in neonati con sclerosi tuberosa (A-D): si nota la presenza di un piccolo rabdomioma accessorio che protrude dalla parete del muscolo cardiaco (A) (area evidenziata con il cerchio bianco) e di un voluminoso rabdomioma all'interno delle cavità cardiache (B-D) (lesione rotondeggianteoblungata evidenziata con due cerchi bianchi e di colore chiaro presente nelle tre immagini). In realtà più che un tumore il rabdomioma cardiaco (della ST) è un amartoma, cioè una proliferazione che non va incontro a trasformazione neoplastica. Anzi, già nei primi mesi di vita i rabdomiomi regrediscono di numero e dimensione (caratteristica unica tra le varie lesioni della ST). I rabdomiomi della ST sono abitualmente asintomatici e quindi non richiedono un trattamento specifico. In una piccola percentuale di casi (< 1.5%), a causa della grande dimensione (Fig. 12B-D) o localizzazione in sedi critiche, generano problemi in epoca fetale, neonatale o eccezionalmente in età successive. Si tratta, in ordine di frequenza, di 1) disturbi del ritmo cardiaco (tra cui anche quello tipico della sindrome di WolffParkinson-White) per danneggiamento delle vie di conduzione cardiache (per sostituzione, spostamento o compressione delle medesime); 2) alterazioni del flusso cardiaco per interferenza sulla cinesi valvolare o parziale/totale ostruzione delle cavità così da condurre ad insufficienza cardiaca; 3) deterioramento delle fibrocellule muscolari per parziale sostituzione con tessuto patologico non contrattile e comparsa di segni/sintomi sovrapponibili a quelli di una miocardiopatia; 4) in epoca fetale, aritmia cardiaca con esito in idrope e morte fetale. Molto raramente (< 1%), se molto voluminosi, possono essere causa di morte in età neonatale o nella prima infanzia da fenomeni di tamponamento cardiaco. Sono in genere meno aggressivi istologicamente dei più rari rabdomiomi isolati e degli altri rari tumori cardiaci dell'infanzia o dell'età adulta (ad esempio i mixomi) non associati ad ST. Sono state osservate tuttavia rare famiglie con ST in cui la rabdomiomatosi si era manifestata in più individui della famiglia in forma grave (per precocità d'insorgenza e spiccata tendenza espansiva) o letale. Dal punto di vista diagnostico i rabdomiomi rappresentano una delle lesioni più importanti perché, se presenti, sono rilevabili già alla nascita e talvolta anche in epoca prenatale, a partire dalla (20a - 22a) settimana di gravidanza. Seppure sia stata documentata nella ST l'occasionale persistenza di rabdomiomi in età tardo-infantile, adolescenziale ed, eccezionalmente, anche in età adulta, è bene ricordare che tali lesioni (già evi- 25 denti alla nascita) erano comunque regredite di numero e dimensione e sempre asintomatiche. Come è stato anticipato sopra, la regressione inizia molto precocemente, nei primi mesi, se non settimane di vita e può portare alla scomparsa ecografica delle masse entro alcuni anni: l'evento più comune è però la loro scomparsa progressiva con l'età (nella maggior parte dei casi si ha una rapida regressione del volume tumorale a partire dai 4 anni d'età). Tale regressione potrebbe essere ricondotta a fenomeni endocrini (diminuzione del tasso di ormoni estrogeni/progestinici materni) e spiegare così la mancata regressione o l'occasionale picco d'aumento del volume tumorale descritto da alcuni autori in individui di sesso femminile alla pubertà nella popolazione femminile. Per quanto sopra esposto, il follow-up dei rabdomioni sia asintomatici, sia con modeste alterazioni del flusso o del ritmo, consiste nel monitoraggio ecocardiografico ed ECG, eventualmente associato a valutazione del flusso (vedi Tabella pagina 8). Sistema vascolare In alcuni soggetti con ST si possono avere anche aneurismi arteriosi (più comuni nell'aorta discendente ed addominale). Tali aneurismi sono spesso associati a displasia fibromuscolare dell'arteria renale. Molto raramente si possono avere aneurismi intracranici (arteria carotide, cerebrale anteriore, comunicanti medie e posteriori). Istologicamente si ha ispessimento della tunica media vasale, assenza di tessuto elastico con fenomeni di ialinizzazione e riduzione del lume vascolare. Sembra che questo fenomeno sia causato da ampie delezioni che coinvolgono sia il gene TSC2 che il gene adiacente, PKD1 (tale tipo de delezione si osserva nel 2-4% dei soggetti con ST). Sarebbe il difetto di questo secondo gene, notoriamente associato alla sindrome del rene policistico dell'adulto, all'origine di alcuni segni e sintomi non tipici della ST, tra cui gli aneurismi cerebrali, cisti epatiche multiple e rene policistico in infantile, che complicano il quadro clinico di ST dei portatori del difetto combinato dei geni TSC2 e PKD1. 26 Rene Le lesioni renali caratteristiche della ST sono gli angiomiolipomi (AML) (Fig. 13), pressoché sempre multipli e bilaterali. Spesso ma non sempre, gli angiomilipomi si accompagnano ad alcune cisti. A differenza delle cisti del rene policistico dell'adulto familiare, le cisti della ST non sono specifiche della malattia. Il loro numero, in assenza del difetto combinato del gene TSC2 e PKD1, è di gran lunga inferiore a quello del rene policistico dell'adulto. Esse originano dal sovvertimento meccanico della struttura del rene dovuto all'espansione degli AML. Gli AML sono i veri responsabili delle complicazioni acute e croniche riguardanti la funzione renale e la prima causa di gravi complicanze legate alla malattia nei soggetti adulti con ST. Altra lesione meno frequente è la cisti renale linfangiomatosa (Fig. 13). Angiomiolipomi renali. E' un tumore benigno, non capsulato, composto da tessuto adiposo, vasi anomali e tessuto muscolare liscio in proporzioni variabili (viene considera- Fig. 13 a b c (A) Ecografia renale in un bambino con sclerosi tuberosa che dimostra la presenza di alcuni angiomiolipomi all'interno del parenchima renale (piccole lesioni rotondeggianti di colore chiaro) e di alcune piccole cisti renali; (B) Sezione assiale di TAC dell'addome di un soggetto con sclerosi tuberosa di 20 anni d'età che mostra a destra una raccolta ematica di oltre 10 cm di diametro (asterisco bianco), scoperta in alla prima ecografia senza alcun sintomo premonitore. Verosimilmente, si è formata lentamente per sanguinamento dell'adiacente angiomiolipoma (con componente mista, solida e cistica), situato nel polo superiore del rene, il cui parenchima normale è parzialmente riconoscibile nella massa chiara di forma triangolare dislocata in senso anteromediale frecce nere). Il rene di sinistra (asterisco nero) presenta pochi e piccoli angiomiolipomi, scarsamente visibili in questa sezione. (C) Immagine anatomica di rene policistico [nel riquadro, aspetto radiografico che dimostra la dilatazione dei calici renali (strie bianche nella parte destra dell’immagine) da occlusione]. 27 to un "tumore/malformazione" composto da "cellule epitelioidi perivascolari" "piuttosto che un vero tumore ed a seconda del tessuto prevalente viene anche chiamato miolipoma o angiomioma) e localizzato nella regione corticale del rene (talora possono però estendersi nel tessuto grasso o vascolare peri-renale). La frequenza nella popolazione generale (non affetta da ST) è di circa 1-2% (ma è probabile che sia ancora più alta perché raramente vengono individuati se asintomatici) mentre nei soggetti con ST possono essere presenti nel 50-90% dei casi. L'incidenza aumenta con l'età: è di circa il 15% < 2 anni d'età, 40% tra i 2-5 anni, > 60% tra 5-14 anni, > 90% tra 14-18 anni d'età. Sono certamente più frequenti nei soggetti adulti con ST. Anche le dimensioni aumentano con il crescere dell'età: sono 4-8 mm di diametro nella maggior parte dei bambini ma possono raggiungere grandi dimensioni nel giovane adulto o nell'adulto. I sintomi compaiono generalmente dopo i 30 anni d'età e sono caratterizzati da dolori addominali o ad un fianco, nausea o vomito mentre i segni classici (non sempre presenti però) sono ipertensione, ematuria, uremia, febbre e/o presenza di massa addominale palpabile. Molto raramente (e più nel soggetto adulto) si giunge ad insufficienza renale (da sostituzione totale del parenchima renale da parte del tessuto patologico). Se si verifica emorragia all'interno di un angiomiolipoma o rottura di vasi ematici da compressione da parte di grosse masse si ha più spesso dolore acuto accompagnato da febbre ed ematuria. Sono rilevabili all'esame ecografico come masse iperecogene: in casi dubbi o per definire meglio le dimensioni ed i rapporti con le strutture circostanti lo studio va approfondito con TAC (Fig. 13 B) e/o Risonanza magnetica. Quando sono di dimensioni notevoli o sintomatici è consigliabile valutarli con arteriografia ed eventualmente embolizzarli (vedi dopo). Le lesioni che ad un monitoraggio seriale nel tempo appaiono piccole continueranno (generalmente) a mantenere questo comportamento mentre le lesioni che sono cresciute > 4 cm necessitano valutazioni ecografiche più frequenti perché il potenziale d'accrescimento è maggiore e più rapido. Il protocollo di follow-up (vedi dopo) prevede un monitoraggio 28 annuale o semestrale per i soggetti con masse già rilevate e permette di decidere chi debba andare incontro a micro-chirurgia di rimozione delle masse (con salvataggio del tessuto renale) e chi debba eseguire l'embolizzazione delle masse (secondo i criteri attuali tutti quei soggetti sintomatici e con lesioni > 4 cm). Cisti renali. Questa è la seconda lesione renale per frequenza nella ST (incidenza del 20-40% circa). Le cisti sono abitualmente di due tipi (ciascuno con esordio, manifestazioni cliniche, storia naturale e prognosi differente): 1) Cisti piccole (2 mm/1 cm in diametro) che si manifestano come cisti isolate o a piccoli gruppi (generalmente < 5 cisti). Questa varietà è meno frequente nei soggetti con ST in età infantile mentre diviene più comune con il progredire dell'età ed abitualmente è associata agli angiomiolipomi (e probabilmente è correlata alla formazione di questi ultimi). 2) Cisti grandi (1-5 cm in diametro), abitualmente numerose e bilaterali (simili al rene policistico). Questa varietà è meno frequente nei soggetti con ST ed è tipica invece delle cisti che compaiono in età infantile (talora possono precedere la comparsa degli altri segni di ST). Istologicamente sono caratterizzate da iperplasia tubulare epiteliale all'interno dei nefroni con formazione di cavità (cistiche) e cellule iperplastiche che protrudono all'interno del lume cavitario. Sono abitualmente localizzate nella regione corticale renale (superiore) e possono poi estendersi alla midollare. La maggior parte delle cisti renali sono asintomatiche anche se i soggetti con mutazioni del gene TSC2/PKD1 (sindrome da geni contigui) possono presentare un numero assai elevato di cisti sin dalla nascita associate a grave ipertensione ed iperazotemia. I principali segni/sintomi di sofferenza renale sono legati alla co-esistenza di angiomiolipomi renali che, come spiegato sopra, possono sostituirsi progressivamente al parenchima renale causando disfunzione renale. L'effetto di (eventuale) compressione da parte di grandi cisti viene oggi considerato un effetto (negativo) aggiuntivo. Solo le grosse cisti associate ad ipertensione possono necessitare di decompressione chirurgica della cavità cistica o talora (nel caso di rene policistico grave) di nefrectomia. 29 Cisti renale linfangiomatosa. Questa varietà di cisti è assai rara (< 1%) nella ST. La caratteristica istologica distintiva è la presenza di componente endoteliali e il contenuto solido (cellulare) della cavità cistica. Possono causare ipertensione e/o insufficienza renale. Neoplasie renali. L'associazione tra neoplasie renali e ST è assai controversa. Sono state descritte (circa 30 casi in letteratura) diverse varietà di neoplasie del rene in soggetti con ST: leiomiosarcoma, sarcoma fibroplastico, angiosarcoma, liposarcoma, angiofibroliposarcoma, sarcoma a cellule chiare, carcinoma a cellule chiare ed oncocitoma. Non esistono tuttavia dati epidemiologici che dimostrino la reale associazione tra questi tipi di tumore e la ST. E' stata quindi ipotizzata una possibile tendenza dei soggetti affetti da ST (maggiore che nella popolazione generale) a sviluppare neoplasie renali: anche questo dato non è stato però dimostrato. Non è stata neanche dimostrata la possibilità che un angiomiolipoma possa trasformarsi in neoplasia renale. Istologicamente tutte queste varietà sono indistinguibili dalle stesse varietà nella popolazione generale. La classica triade sintomatologica è caratterizzata da dolore costo-vertebrale, presenza di massa palpabile ed ematuria. Va ricordato che la varietà di carcinoma a cellule renali può manifestarsi come sindrome paraneoplastiche con policitemia, ipercalcemia, ipertensione, sindrome di Cushing, amiloidosi e disfunzione epatica. Sistema nervoso centrale (in collaborazione con Giuseppe Gobbi) Le lesioni del sistema nervoso centrale (SNC) nella ST sono principalmente delle malformazioni dello sviluppo corticale: precisamente, sono dei disturbi della migrazione, proliferazione e differenziazione cellulare. Nei soggetti con ST si formano due popolazioni di neuroblasti (cioè di cellule precursori delle future cellune del SNC): una migra normalmente raggiungendo le giuste sedi corticali e formando tessuto corticale normale; l'altra è formata da una popolazione anomala di "neuroastrociti" e forma cellule neuronali e cellule gliali (queste ultime sono cellule con funzioni di supporto e nutrimento per le cellule neuro- 30 Fig. 14 Ipotesi sull'origine delle displasie corticali, delle cellule giganti e dei difetti di migrazione presenti nelle lesioni cortico-sottocorticali della sclerosi tuberosa. (A) Meccanismo plausibile di formazione dei neuroni giganti a partire dai progenitori neurali, in individui eterozogoti per una mutazione in un allele del gene TSC1 o TSC2 (cellule ovali grigie, TSC + / -). Il difetto di un allele TSC non impedisce a queste cellule progenitrici di migrare dallo strato periventricolare (dal quale originano) verso la (futura) corteccia cerebrale e formare così i vari strati di cellule neuronali corticali, guidate dall'impalcatura creta dalle cellule gliali radiali (fibre radiali; disposte verticalmente nella figura e con nucleo giallo). Se però occasionalmente una seconda mutazione inattiva anche il secondo allele, la funzione dell'amartina o tuberina verrebbe a mancare e le cellule così colpite assumerebbero aspetti displastici (cellule rotondeggianti con citoplasma verde chiaro nella figura), fino a diventare giganti per un aumento considerevole del volume del corpo cellulare (cellule con citoplasma verde scuro); (B) Possibili cause delle anomalie della migrazione neuronale (che daranno origine, tra le altre cose, alle strie radiali della sostanza bianca). Si ipotizza che anche cellule gliali o neuronali non displastiche, eterozigoti per una mutazione in un allele del gene TSC1 o TSC2 (TSC+/-), e quindi senza perdita completa di funzione di amartina o tuberina, possano migrare in modo aberrante o essere indotte a farlo dalle cellule neuronali giganti incontrate lungo il tragitto (C). Quest'ultima ipotesi è illustrata nella parte centrale della figura, in alto dove i segnali inibitori o confondenti provenienti dalle celle giganti sono indicati con frecce tratteggiate (C). nali) corticali anormali (tuberi corticali) (vedi Fig. 14). Alcuni di questi neuroastrociti non migrano normalmente dallo strato germinale (strato dal quale originano) ma permangono in questo formando i noduli subependimali ed eventualmernte evolvendo in astrocitomi a cellule giganti. Altri neuroastrociti, infine, migrano solo parzialmente (o interferiscono con la migra- 31 Fig. 15 32 zione dei neuroblasti normali) formando aree di eterotopia nella sostanza bianca sottocorticale (strie radiali della sostanza bianca) (Fig. 14). Alcune di queste lesioni hanno inoltre la tendenza a formare cavità cistiche di significato ancora non chiarito. Tutti questi neuroastrocitinella ST hanno una caratteristica Sezione coronale di immagini pesate in comune che è quella di non mostrare T2 di risonanza magnetica cerebrale nella sclerosi tuberosa che evidenzia la chiara differenziazione neuronale e/o presenza di tuberi corticali (lesioni biangliale. Le lesioni del SNC nella ST, che nella parte sinistra dell'encefalo). quindi, sono secondarie a difetti di migrazione (noduli subependimali), ad interruzione della migrazione (lesioni radiali della sostanza bianca) e/o ad un completamento anormale del processo di migrazione con alterazioni dell'architettonica corticale (tuberi corticali). Le tipiche lesioni del SNC sono quindi (tabella 2) (Fig. 15): 1) tuberi corticali (Fig. 15-18); 2) noduli subependimali (Fig. 16 A-B) astrocitoma subependimale a cellule giganti (Fig. 16 C-F); 3) lesioni radiali della sostanza bianca( Fig. 17); 4) cisti cerebrali (Fig. 18). I tuberi corticali appaiono come lesioni rotondeggianti o di forma ovale, che alterano la forma (aumentandone il volume) delle circonvoluzioni cerebrali nelle sedi colpite e l'intensità del segnale alla RM (aumento di segnale nelle immagini pesate in T2 e diminuzione del segnale in quelle in T1) (Fig. 15) o alla tomografia computerizzata (TAC) (vi è ipointensità di segnale o presenza di calcificazioni). La localizzazione è quindi tipicamente nella sostanza grigia corticale o sottocorticale ed istologicamente vi è sovvertimento della normale citoarchitettonica cerebrale con presenza di neuroni e cellule gliali atipiche giganti. Il numero è variabile e non è abitualmente correlato alla gravità del quadro clinico neurologico, mentre è importante la sede sia dal punto di vista epilettogeno che comportamentale: i tuberi corticali a sede nel lobo temporale sono più spesso associati a problemi neurologici gravi, quali ritardo mentale e/o autismo; quelli a sede frontale ad epilessia farmacoresistente e gravi disturbi di tipo comportamentale; quelli a sede occipitale a forme di epilessia farmaco-resistente e disturbi visivi. E' importante ricordare che la RM nei primi mesi di vita (< 3 mesi/1 anno d'età) può non essere capace di rilevare queste lesioni perché la sostanza bianca non ha ancora completato il processo di mielinizzazione e quindi le alterazioni di segnale non sono presenti o sono diversi dall'aspetto descritto sopra: in particolare a quest'età sia i tuberi che i noduli subependimali (vedi dopo) appaiono come lesioni iperintense in T1 ed ipointense in T2. I noduli subependimali sono piccoli noduli rilevati presenti nelle pareti dei ventricoli cerebrali, di aspetto più compatto dei tuberi corticali. Alcuni di (o anche tutti) questi noduli possono protrudere all'interno delle cavità ventricolari (Fig. 16 A-B). Istologicamente sono costituiti da tipiche cellule giganti, irregolari, sono abitualmente multipli e di dimensioni variabili da 2 a 10 mm e sono parzialmente o totalmente calcificati. Si sviluppano tipicamente durante la vita fetale e sono asintomatici. Sono ben visualizzabili con la RM (va ricordato che non captano il mezzo di contrasto contrariamente agli astrocitomi subependimali a cellule giganti) o con la TAC (con quest'ultimo mezzo di indagine appaiono come lesioni calcificate). Quando uno o più di questi noduli subependimali hanno dimensioni più grandi (>1 cm) (e sono localizzati tipicamente in prossiSezioni coronali (A,C,D), assiali (B,E) e sagittali (F) di immagini di risonanza magnetica dell'encefalo in soggetti con sclerosi tuberosa che evidenziano: (A-H) la crescita progressiva di due noduli subependimali in prossimità dei forami di Monro che formano un astrocitoma subependimale a cellule giganti all'interno delle cavità ventricolari. Fig. 16 a b c d e f 33 Fig. 17 34 mità dei forami di Monro nel terzo ventricolo) (Fig. 16 C-F) sono conosciuti come astrocitomi subependimali a cellule giganti (ASCG), ed hanno, diversamente dai tipici noduli subependimali, un potenziale di crescita maggiore, comportandosi come dei tipici tumori cerebrali benigni potendo ostruire la normale circolazione liquorale (vedi sotto). L'astrocitoma subependimale a Sezione coronale di un'immagine cellule giganti (ASCG) istologicamendi risonanza magnetica dell'encefalo te presenta le stesse caratteristiche dei in un soggetto con sclerosi tuberosa che mostra le tipiche lesioni striate noduli subependimali (Fig. 16 C-F) ed della sostanza bianca è localizzato, come detto prima, in cor(strie bianche diffuse nell'encefalo) associate a tuberi corticali rispondenza dei forami di Monro. Per (lesioni bianche più grandi). definizione l’ASCG è un nodulo subependimale più grande di 1 cm che all'imaging capta il mezzo di contrasto. E' importante conoscere che in molti individui affetti da ST vi possono essere noduli subependimali > 1cm e/o captanti il mezzo di contrasto ma non tutti questi noduli si comportano da ASCG clinicamente significativi (sintomatici). Gli ASCG sintomatici (o comunque quelli di grandi dimensioni) possono comparire nel 5-7% circa dei soggetti con ST generalmente intorno all'età infantile sino alla pubertà (il periodo di maggiore rischio è compresa tra i 4 ed i 10 anni d'età). Più raramente si possono avere ASCG congeniti che si manifestano in epoca neonatale. I sintomi sono comunemente causati dall'ostruzione alla circolazione del liquor cerebrale (quindi il tipico corteo sintomatologico dell'ipertensione endocranica) e poiché la crescita dell’ASCG è estremamente lenta questo tipo di lesione può passare inosservata anche per anni. La comparsa dei sintomi può avvenire in una fase precoce di crescita del tumore oppure in una fase tardiva quando il tumore cresce producendo cisti all'interno o intorno alla massa tumorale. Non è consigliabile eseguire RM seriali nel tempo per ricercare la comparsa di tali lesioni in quanto la crescita di un nodulo subependimale con tra- Tab. 2 Lesioni del sistema nervoso centrale sformazione in ASCG può verificarsi anche dopo pochi mesi da un esame neuroradiologico normale. E' però utile monitorare tutte le lesioni subependimali che captano gadolinio, che siano di dimensioni > 1 cm e che siano in prossimità dei forami di Monro in quanto il trattamento chirurgico (vedi dopo) è più efficace se eseguito prima della comparsa di segni/sintomi da compressione o non appena essi compaiano. Segni precoci, sono cefalea di grado anche lieve o intermittente, deficit del campo visivo con alterazioni minime del fondo oculare (ad esempio, tortuosità dei vasi retinici) sino alla papilla da stasi, vomito, cambiamenti improvvisi o progressivi dello stato d'umore, o occasionalmente aumento della frequenza delle convulsioni o deterioramento evidente delle stesse nel tempo. I criteri consigliati per l'approccio chirurgico degli ASCG sono l'aumento progressivo delle dimensioni tumorali, la presenza di idrocefalo e/o di segni/sintomi indicativi di aumento della pressione intracranica e la comparsa eventuale di nuovi segni/deficit neurologici. In realtà la valutazione pre-chirurgica di un ASCG è complessa e viene decisa in base a numerosi parametri clinici (inclusa l'età del soggetto) e strumentali in collaborazio- 35 Fig. 18 Sezione assiale di immagine di risonanza magnetica dell'encefalo in un soggetto con sclerosi tuberosa che mostra la presenza di cisti cerebrali all'interno di un nodulo subependimale (lesione nera all'interno della lesione bianca più grande). ne con il medico specialista che ha in carico il soggetto con ST, il radiologo e soprattutto il neurochirurgo decidendo di volta in volta quale lesione sia più opportuno trattare. Nella nostra esperienza (ed in quella anche di altri autori) gli ASCG non sono mai comparsi e/o non hanno abitualmente subito incrementi significativi di volume dopo il periodo puberale/adolescenziale. Il nostro protocollo di follow-up (vedi dopo) in caso di presenza di ASCG nell'infanzia è stato di monitoraggio RM della lesione sino a questa fascia d'età: dopo quest'età qualsiasi nodulo subependimale > 1cm o captante il gadolinio è stato seguito clinicamente del fondo oculare) rimanendo stabile nel (esame neurologico e tempo. Le alterazioni della sostanza bianca sono caratterizzate da lesioni a forma di bande (rette oppure curvilinee) in sede sottocorticale a decorso radiale generalmente dirette dalla corteccia cerebrale verso le pareti dei ventricoli laterali o dalla corteccia cerebellare verso i peduncoli cerebrali (correlate per lo più ai tuberi corticali in queste sedi) (Fig. 17). Rappresentano lesioni eterotopiche da alterata istogenesi e/o da difetti di migrazione neuronale (interruzione della migrazione). Le cisti cerebrali sono rare e principalmente sono di due varietà: a) parenchimali, cioè cisti isolate presenti nella corteccia cerebrale; b) amartomatose, cioè cisti presenti all'interno di un tubero corticale o di un nodulo subependimale (Fig. 18) o, più spesso, di un astrocitoma a cellule giganti (Fig. 16 F). Manifestazioni neurologiche e psichiatriche (vedi tabella 3) L'epilessia è la manifestazione neurologica più frequente nella ST. Circa l'80% dei soggetti affetti presenta crisi epilettiche che possono manifestarsi entro i primi anni di vita (75%) (molto 36 spesso entro i primi mesi di vita) o in età adulta (25%). L'epilessia nella ST ha le caratteristiche dell'epilessia di tipo parziale, con convulsioni parziali seguite da cluster di spasmi o da sincronia bilaterale secondaria. Il focolaio epilettogeno è rappresentato dal tubero corticale (o da altre aree di displasia corticale anche all'interno delle lesioni della sostanza bianca) con una correlazione ben dimostrata tra tuberi corticali di grandi dimensioni e foci epilettogeni, tra tuberi occipitali rispetto a quelli in altre sedi (specie in sede frontale) e focolaio epilettogeno. L'epilettogenicità dei tuberi corticali è ben spiegata dalle alterazioni istologiche (neuroni e cellule gliali ectopiche e dismorfiche, neuroni e cellule gliali giganti, disorganizzazione della laminazione corticale e connessioni anomale tra neuroni e tra neuroni e altre cellule) e neurochimiche (diminuzione dell'attività sinaptica GABAergica, diminuzione del numero di recettori GABA-A, con rilascio di enzimi che a loro volta rilasciano neurotrasmettitori epilettogeni, alterazioni dei recettori dei neurotrasmettitori e del rilascio di neuromodulatori nel tessuto cerebrale adiacente il tubero corticale). Un tubero epilettogeno può provocare vari tipi di crisi a differenti età. L'età di comparsa dell'epilessia, inoltre, è legata alle fasi di maturazione funzionale della corteccia cerebrale (inizialmente >> in sede temporooccipitale e << in sede frontale). Le manifestazioni critiche sono principalmente costituite da crisi parziali e spasmi infantili nel primo anno di vita, da crisi parziali e, più raramente, da crisi toniche, miocloniche, ed atoniche successivamente. Abitualmente, nel corso dei primi mesi di vita compaiono crisi parziali non sempre facilmente riconoscibili perché spesso lievi o poco apparenti (fenomeni tonicoclonici unilaterali localizzati al volto o agli arti, con deviazione tonica degli occhi, torsione del capo, contrazioni dei muscoli facciali unilaterali, ecc.) che vengono sottovalutate dai genitori sino al 3°-4° mese d'età quando compaiono gli spasmi epilettici infantili che dal punto di vista semiologico sono molto più evidenti. E' importante ricordare come il 50% dei bambini che presentano spasmi infantili nella popolazione generale sia affetto da ST. Come in tutte le forme di epilessia del primo anno di vita associate a spasmi epilettici, anche gli spasmi epilettici nella ST 37 tendono a raccogliesi in grappoli, che possono essere di lunga durata. Nella ST in particolare gli spasmi epilettici sono molto peculiari, in quanto il grappolo è "introdotto" (preceduto) da una crisi parziale, di solito molto simile o identica alle crisi parziali comparse nei mesi precedenti. I bambini con ST che presentano spasmi epilettici negli anni successivi vanno più frequentemente incontro a forme di epilessia grave (farmaco-resistente). Queste possono essere costituite da epilessie parziali multifocali, che possono associarsi anche a sincronia bilaterale con evoluzione dell'epilessia verso un quadro elettroencefalografico e clinico di encefalopatia epilettica per molti aspetti simile alla sindrome di Lennox-Gastaut. La storia naturale dell'epilessia nella ST è alquanto complessa. Spesso l'evoluzione è verso una spontanea remissione delle crisi avvicinandosi ed entrando nell'età adolescenziale. Una parte dei bambini, però, andrà incontro ad un aumento di frequenza e di gravità delle crisi, a farmaco-resistenza, con evidente scadimento della qualità della vita. Tra i fattori prognostici negativi per l'epilessia nella ST vi sono l'esordio molto precoce delle crisi, la comparsa di più tipi di crisi durante l'evoluzione (spasmi infantili, epilessia parziale motoria o complessa, crisi di caduta, crisi miocloniche ed assenze atipiche), la presenza di anomalie epilettiformi multifocali all'EEG ed alla comparsa successiva di complessi punte-onde lente o di nuovi focolai epilettogeni. In generale gli spasmi infantili transitori e l'epilessia parziale ad esordio tardivo sono legati ad una prognosi migliore. Altri fattori indicativi di una prognosi migliore sono la presenza di pochi (e piccoli) tuberi corticali in sede parietale e rolandica e la presenza di pochi tuberi in sede frontale. La comparsa e/o la presenza di epilessia nei primi mesi/anni di vita (< 2 anni d'età) è invece molto importante per la prognosi a lungo termine in quanto è durante questo periodo che si manifestano e si stabilizzano i problemi più importanti legati al successivo sviluppo motorio e cognitivo: se durante questo periodo lo sviluppo psicomotorio è normale (prima della comparsa o malgrado la presenza di epilessia), la prognosi sarà certamente più favorevole (sia dal punto di vista cognitivo che comportamentale). 38 Tab. 3 Segni neurologici nella ST Più raramente può accadere che un soggetto epilettico con ST che abbia allo stesso tempo uno sviluppo psicomotorio normale, possa poi (durante l'età scolare ad esempio) andare incontro a peggioramento dell'epilessia ed eventualmente a fenomeni di regressione cognitiva. Come già accennato nel paragrafo precedente, importanti e frequenti nella ST sono i disturbi cognitivi. Nella ST lo sviluppo cognitivo può essere del tutto normale oppure si possono avere deficit cognitivi di frequenza e grado variabile (dal 30% all'80% dei soggetti con ST, a secondo degli studi, possono avere deficit cognitivi da lievi a gravi) associati o meno a disturbi d'apprendimento e del comportamento (tra questi l'87% circa richiede supervisione durante le comuni attività giornaliere, il 65% ha disturbi del linguaggio ed il 63% non è autosufficiente). E' ampiamente dimostrato che tutti i pazienti con handicap mentale hanno presentato o presentano epilessia, mentre il 30% circa di quelli con epilessia ha intelligenza normale. E' importante pertanto, ai fini prognostici, ottenere un controllo delle crisi; infatti la prognosi appare peggiore nei casi con 39 esordio precoce di convulsioni ed è direttamente correlata al tipo di epilessia ed al grado di farmaco-resistenza. Va notato anche però che le forme più gravi di epilessia (ed in particolare gli spasmi infantili e le forme di epilessia farmaco resistente) ed il ritardo mentale sono talora più frequenti nei soggetti con mutazioni del gene TSC2 rispetto a quelli con mutazioni del gene TSC1. Quindi la storia naturale dell'epilessia e la presenza e/o il grado di deficit cognitivo potrebbero essere anche legate oltre che al numero, sede, forma e dimensioni dei tuberi corticali ad un difetto più globale dello sviluppo corticale geneticamente predeterminato (che a sua volta determina il numero, la sede, la forma e le dimensioni delle malformazioni dello sviluppo corticale) e quindi potrebbero essere allo stato attuale in misura minore influenzate dalla terapia o da altre variabili. I disturbi comportamentali sono presenti in grado variabile in molti pazienti. Sono molto comuni i deficit dell'attenzione con iperattività, comportamenti di tipo aggressivo con fenomeni di automutilazione o disturbi del sonno (vedi dopo). Talora i disturbi del comportamento possono essere anche correlati ad un sovradosaggio o all'associazione di più farmaci antiepilettici. I disturbi del comportamento rappresentano le manifestazioni patologiche che, assieme all'epilessia (sono quasi sempre associata a quest'ultima) più di tutte nella ST, interferiscono con la "gestione familiare" quotidiana o "scolastica" del bambino affetto, ma anche del paziente più adulto con ST. Un cenno a parte merita l'associazione tra ST e autismo, e più in generale disturbi pervasivi dello sviluppo, che è oggi molto dibattuta per quanto riguarda le stime di frequenza, tipo e gravità. Secondo i molteplici studi epidemiologici condotti sinora la frequenza dell'autismo e/o dei disordini dello spettro autistico nella ST sarebbe elevata (con stime variabili dal 15 al 70%) e correlata alla localizzazione, tipo, forma e dimensioni dei tuberi corticali: va ricordato però che la maggior parte di questi studi sono stati eseguiti su popolazioni di soggetti affetti da ST e/o autismo afferenti a centri specialistici terziari e quindi potrebbero essere falsati proprio da questa metodica di raccolta dei dati. I pochi studi su popolazione hanno infatti rilevato un'incidenza di disordini di tipo autistico e/o di autismo 40 compresa tra il 3% ed il 5%. Questo dato è importante perché permette di distinguere la presenza di deficit cognitivi e/o comportamentali in generale nella ST (certamente più elevata) dall'incidenza di autismo che è più alta della popolazione generale ma non così alta in assoluto come spesso riportato. Inoltre sembra che l'autismo (che in questo caso va inquadrato in un fenotipo neurocutaneo più generale) possa essere legato a difetti del gene TSC2 e quindi faccia parte di un disturbo generalizzato dello sviluppo molto più complesso. I disturbi del sonno sono abbastanza frequenti specie nei soggetti con epilessia e/ disturbi cognitivi e sono caratterizzati da frequenti risvegli durante il sonno, risvegli precoci, disturbi del sonno correlati alla presenza, frequenza e tipo di epilessia, eccesso di sonnolenza diurna, sonnambulismo, riduzione del tempo totale di sonno e problemi di addormentamento). Occhio Le lesioni oculari nella ST raramente sono sintomatiche e non sono progressive. Lesioni retiniche. Nel 60% circa dei pazienti affetti possono essere presenti amartomi retinici che sono di tre varietà (Fig. 19): 1) piatti e lisci (non-calcificati), di forma rotonda o ovale e di colore rosa salmone. Sono la varietà più frequente (> 60%) ed appaiono come lesioni piatte a superficie liscia, traslucide e spesso poco circoscritte o lievemente rilevate. La migliore metodica per rilevarle è cercarle lungo i vasi retinici procedendo dalla papilla ottica verso la periferia. Sono abitualmente localizzati nel polo posteriore e possono essere isolati o multipli; 2) elevati, multinodulari (simili alle "more") e calcifici. Sono meno frequenti (20%) e sono composti da cluster di noduli opachi, cistici o calcificati. Sono localizzati nella parte marginale della papilla ottica o al centro della retina; 3) più raramente del tipo detto di transizione o misto, con caratteristiche intermedie tra le due varietà precedenti. Nel 13% dei pazienti si possono anche rilevare lesioni pigmentarie (generalmente depigmentate ma anche iperpigmen- 41 Fig. 19 a b c d 42 tate) (Fig. 20). Istologicamente gli amartomi sono caratterizzati da proliferazione astrocitaria che nelle piccole lesioni è confinata agli strati superficiali della retina mentre in quelle più grandi può estendersi a tutto spessore agli strati retinici (ed essere associato a necrosi e ialinizzazione). Occasionalmente alcuni vasi retinici possono essere inglobati all'interno della lesione oppure l'amartoma può essere localizzato nello strato retinico esterno. L'origine degli amartomi retinici è la stessa delle lesioni del SNC: sono "glioneurociti" che sono andati incontro a difetti del processo di migrazione (in questo caso retinico). Le lesioni retiniche sono più frequentemente rilevabili con l'aumentare dell'età durante l'infanzia ma possono essere riscontrate a qualsiasi età anche nel neonato. Nella maggior parte dei casi non aumentano di dimensioni rimanendo stabili per parecchie decadi. La progressione (specie verso danni funzionali retinici) è rara. Quando vi è progressione questa avviene secondo fasi successive: 1) lesioni pigmentarie; 2) amartomi retinici semitrasparenti; 3) tumori di transizione (misti) parzial- (A) esame del fondo oculare: si notano i tipici amartomi retinici di aspetto giallastro rilevati all'ecografia (B) ed alla risonanza magnetica dell'occhio (C-D) (freccia bianca). mente calcificati; 4) amartomi a forma di mora calcificati. Il passaggio da uno stadio all'altro può durare anni o decadi e non è ancora chiaro perché possono essere rilevate lesioni di stadio 4 anche in neonati o bambini. Clinicamente solo le lesioni grandi o quelle localizzate in aree retiniche importanti per la visione (fovea, aree perimaculari, ecc.) possono causare deficit dell'acuità visiva. Solo le lesioni più grandi vanno trattate con fotocoagulazione per evitare danni di tipo essudativo o danni da eccessiva estensione all'interno della retina. Fig. 20 Esame del fondo oculare: si nota una lesione iperpigmentata peripapillare (macchia scura al centro della figura). Apparato respiratorio (a cura di Sergio Harari) Il coinvolgimento polmonare nella ST è molto raro (1-2%) e da cinque a dieci volte più frequente (> 20%) nelle donne ed è rappresentato dalla classica lesione conosciuta come linfangioleiomiomatosi (LAM) polmonare (Fig. 21). Vi è poi un tipo di lesione polmonare rarissimo conosciuto come "Iperplasia Pneumocitaria Multifocale", che può essere associato alla ST (Fig. 21 C). Solitamente, quest'ultimo tipo di affezione polmonare è di riscontro occasionale e non crea significativi problemi clinici ma è molto importante distinguerla dalla LAM. La LAM, nella popolazione generale, è una malattia rara, e ancora in gran parte sconosciuta, che colpisce quasi esclusivamente il sesso femminile ed è caratterizzata dalla presenza di lesioni cistiche al polmone, alterazioni dei vasi linfatici associati ad angiomiolipomi renali. La caratteristica principale della malattia è la proliferazione anomala delle cellule muscolari lisce (cellule LAM), che porta 43 Fig. 21 a b c 44 alla formazione delle cisti a parete sottile all'interno dei polmoni e lungo le strutture linfatiche (linfangioleiomiomi). Esistono due forme principali di LAM: La forma "isolata" (cioè non associata a ST o ad altra affezione): si manifesta per ragioni sconosciute in donne di solito in età fertile e l'età più colpita è quella compresa tra i venti e i quaranta anni ma sono stati segnalati casi anche in donne di 70-80 anni (in realtà anche in queste persone andrebbero ricercati con molta attenzione i segni o le manifestazioni della ST per essere certi che si possa trattare di una forma davvero isolata); La forma "associata alla ST": un’elevata percentuale delle donne con ST può sviluppare un quadro polmonare di LAM. Un concetto importante, che è bene sottolineare, è che gli angiomiolipomi renali (che, ricordiamo sono tumori benigni formati da cellule LAM e adipociti e da strutture vascolari non (A) Esame radiografico (proiezione anteroposteriore) del torace di un'adolescente con sclerosi tuberosa che dimostra le tipiche lesioni della linfangioleiomiomatosi; le lesioni appaiono meglio definite nelle sezioni assiali di un esame TC del torace (B) nello stesso soggetto (si noti la presenza di pneumotorace); (C) quadro di iperplasia pneumocitaria multifocale. ben definite) sono presenti in circa l'80% delle pazienti con LAM associata a ST. L'associazione tra angiomiolipomi renali e LAM è stata segnalata anche nel 40% delle pazienti con LAM isolata (anche in questi casi sarebbe però opportuno cercare con molta attenzione eventuali altre manifestazioni di ST). Prevalenza. La prevalenza della LAM, non associata a ST (forma sporadica), negli Stati Uniti, è di circa 2.6 casi per milione di donne. La LAM si presenta in circa un terzo delle donne affette da ST. Si calcola che negli Stati Uniti vi siano 10.000 donne con ST delle quali circa 3000 dovrebbero essere portatrici anche di LAM, sebbene nel registro americano siano stati segnalati 675 casi in totale ( LAM sporadica e LAM associata a ST) . Molti casi di LAM sono asintomatici. In Italia nel registro promosso dalle Società di Pneumologia, sono stati segnalati oltre 100 casi di LAM. Clinica. La LAM può esordire con semplice dispnea (mancanza di fiato), senza alcuna evidenza di alterazioni all'esame obiettivo (alla visita) e/o alla radiografia del torace. Alcuni casi possono invece manifestarsi con la presenza di pneumotorace (aria nella pleura), versamento pleurico o anche emorragia intra-addominale (provenienti dagli angiomiolipomi). I sintomi più comuni sono la dispnea associata o meno alla tosse e all'emottisi (che è il segno più comune di esordio di malattia, presente in circa il 70% delle pazienti). Spesso la LAM è sottovalutata trovandosi una giustificazione ai sintomi nella mancanza di esercizio fisico o nell'eccesso di peso oppure erroneamente vengono poste diagnosi di asma o bronchite cronica (anche l'esame spirometrico può trarre in inganno). Raramente possono manifestarsi espettorazione di liquido lattescente (chilo) o di sangue. Anche i versamenti, sia pleurici sia ascitici (cioè in addome), possono essere chilosi e si può avere presenza di liquido lattescente nell'aspirato. In alcune pazienti con angiomiolipomi renali e/o linfangioleiomiomi di grosse dimensioni, l'esame obiettivo addominale, può mettere in evidenza la presenza di masse addominali. Diagnosi. Il tempo medio che abitualmente intercorre tra la comparsa della sintomatologia e la diagnosi di LAM varia all'incirca dai cinque ai sei anni. Oltre il 50% delle pazienti hanno 45 una storia di pneumotorace e spesso il pneumotorace è bilaterale. Spesso è solo il verificarsi di questa condizione che porta alla formulazione della diagnosi. In questi casi, infatti, il riscontro di cisti polmonari o di versamento pleurico o chilotorace alla TC del torace e/o il riscontro di masse intra-addominali, permette di porre poi la diagnosi definitiva. Talora invece il riscontro radiologico è casuale e lo sviluppo di una sintomatologia respiratoria conclamata può avvenire anche dopo molti anni. Aspetti radiografici. Alla radiografia del torace si può evidenziare la presenza di un quadro interstiziale (Fig. 21 A), ma negli stadi iniziali di malattia questa indagine può apparire nella norma. L'esame diagnostico è pero la TAC del torace (meglio se ad alta risoluzione e senza contrasto). Tale indagine evidenzia la presenza (Fig. 21 B), a livello polmonare, di cisti multiple di forma rotondeggiante o ovalare a parete sottile. Le dimensioni variano da pochi millimetri a molti centimetri e sono distribuite lungo tutti i polmoni. Talora possono essere anche presenti pneumotoraci (Fig. 21 B), versamenti pleurici o ingrandimenti linfonodali. Nelle pazienti con LAM sporadica o associata a ST va sempre valutato anche l'addome per escludere o confermare la presenza di angiomiolipomi renali o di lesioni a carico di altri organi (es. fegato). Funzionalità polmonare. La più comune alterazione funzionale polmonare nella LAM è la presenza di un'ostruzione bronchiale (come nei casi di asma o bronchite cronica o enfisema) causata dalla compressione dell'albero bronchiale da parte delle cellule muscolari lisce che proliferano in modo anomalo. Si riscontra inoltre una riduzione della DLCO (diffusione alveolo-capillare) dovuta a perdita di elasticità da parte del polmone. Talvolta le prove spirometriche possono esser ingannevoli e di difficile interpretazione a un lettore inesperto nella malattia. Osteoporosi. I valori di densitometria ossea, nelle pazienti con LAM, sono più bassi rispetto alla popolazione normale. Meno di un terzo delle pazienti con LAM ha valori normali di densitometria ossea. Tali valori non sono in correlazione né alla vita sedentaria, né a bassi valori dell'indice di massa corporea ("body mass index"), né al fumo di sigaretta, né a deficit di vita- 46 mina D. La maggior frequenza di osteoporosi sembra legata sia a deficit di estrogeni che ad alterazioni polmonari che limitano l'attività fisica (es., dispnea). Nelle pazienti con LAM, vi è una diretta correlazione tra danno funzionale polmonare e gravità dell'osteoporosi. Domande frequenti nelle persone con LAM Il viaggio in aereo può essere a rischio per la possibilità che si manifesti un episodio di pneumotorace in aerei con difetti di pressurizzazione. Non vi è una controindicazione assoluta ai viaggi aerei ma ogni paziente deve discutere il suo caso, prima di intraprendere voli aerei, con il proprio pneumologo; Le donne affette da ST dovrebbero, almeno una volta nella vita (dopo i diciotto anni) ed anche in assenza di sintomi specifici, effettuare una TAC del torace (ad alta definizione senza contrasto) per escludere di essere portatrici di LAM polmonare e, se possibile, delle prove di funzionalità respiratoria complete (inclusa diffusione alveolo-capillare) con frequenza annuale; L'uso dei contraccettivi orali è sconsigliato da gran parte degli specialisti nelle persone con LAM. Le pillole anticontraccettive a base di progestinici (senza estrogeni) possono rappresentare in questo caso una scelta alternativa anche se se ogni caso va valutato singolarmente; Non esiste una controindicazione assoluta alla gravidanza sebbene siano stati segnalati casi di peggioramento della malattia durante la gravidanza. Ogni singolo caso deve esser approfondito con il proprio specialista pneumologo, valutando accuratamente i possibili rischi; Gli unici farmaci che sono sconsigliati oggi nelle pazienti con LAM sono quelli contenenti estrogeni (vedi dopo, terapia); Il fumo è assolutamente da evitare in quanto aggrava i danni della LAM. Storia naturale. Attualmente non esistono farmaci che rallentino o arrestino la LAM (vedi dopo, terapia), ma ogni singolo caso ha una sua particolare lenta o veloce evoluzione. Alcune pazienti soffrono di malattia stabile da oltre quindici anni e conducono una vita assolutamente normale. Anche se molti aspetti di questa malattia sono ancora sconosciuti negli ultimi 5-10 47 anni, sono stati fatti enormi progressi e la speranza di una cura efficace a breve è realistica e concreta. La LAM sporadica o associata a ST è una malattia rara che necessita di esperienza specifica: è quindi utile che le pazienti siano seguite in centri pneumologici con consolidata esperienza nella malattia. Ulteriori informazioni sono reperibili sul sito www.ilpolmone.it Altri organi ed apparati Apparato gastrointestinale In circa > 25% dei bambini affetti sono presenti, all'esame ecografico addominale, amartomi epatici asintomatici, e in una percentuale minore anche amartomi splenici (Fig. 22). Queste lesioni solo (assai) raramente possono essere sintomatiche causando emorragie o crescita rapida con effetto di compressione all'interno dell'organo colpito (in tutti i casi sinora dimostrati le lesioni erano angiomiolipomi). Possono essere presenti anche polipi rettali microamartomatosi generalmente asintomatici o fibromi o papillomi gengivali o del cavo orale più in generale. Fig. 22 48 Esame TAC dell'addome in un soggetto con sclerosi tuberosa che mostra la presenza di angiomiolipomi all'interno del rene, fegato e milza. Apparato linfoghiandolare Fig. 23 Talora può essere riscontrato aumento di volume con proliferazione delle cellule vascolari e muscolari a carico dei linfonodi periferici (con caratteristiche simili a quelle delle lesioni polmonari alle quali tali manifestazioni sono spesso associate) Apparato endocrino Si possono riscontrare lesioni del sistema endocrino, quali angiomiolipomi o adenomi surrenali, tiroidei, pancreatici, o anche disfunzioni ipotalamiche, paratiroidee o gonadiche. Apparato scheletrico Le lesioni dell'apparato scheletrico sono simil-sclerotiche (iperostosi) e localizzate principalmente alle ossa della volta cranica o del cranio (vedi sopra lesioni buccali) o della colonna vertebrale o pelviche oppure alle ossa lunghe (FIG. 23 A), oppure cavitarie simil-cistiche in genere localizzate alle ossa lunghe (FIG. 23 B) o alla mandibola. a Tumori e sclerosi tuberosa Come accennato prima (vedi sopra, rene) la reale incidenza, ed il significato di associazioni tra tumori di qualsiasi organo ed ST, a parte l’ASCG, è incerto. La maggiore incidenza di carcinomi renali così come di quelli epatici o di altri tratti dell'apparato gastrointestinale rilevata nel passato nella ST, non è stata successivamente confermata in alcuno studio scientifico. b Esame radiografico degli arti in un adulto con sclerosi tuberosa che evidenzia iperostosi delle ossa lunghe (A); esame radiografico del piede in un ragazzo con sclerosi tuberosa che dimostra le lesioni cistiche a carico delle falangi (B). 49 Tab. 4 Lesioni a carico di altri organi ed apparati PKD1 = associata a delezione del gene PKD1 (vedi testo); * = possono essere notate dalla prima infanzia all'adolescenza sino all'età adulta (vedi testo). 50 genetica geni responsabili e proteine Due sono i geni responsabili della sclerosi tuberosa: TSC1 e TSC2 Gene TSC1 (Tuberous Sclerosis Complex gene 1): è localizzato sul cromosoma 9 (regione q34) ed è composto di 23 esoni distribuiti su 55 kb di DNA. I primi due esoni non sono codificanti; la regione codificante, cioè contenente l'informazione per la traduzione dell'amartina, inizia a metà del 3° esone. L'RNA messaggero (circa 8600 nucleotidi, nt) ha una lunga coda non codificante (circa 5000 nt) con 3 siti alternativi d'aggancio per la coda poly-A. Quindi, più della metà dell'RNA messaggero maturo di TSC1 è costituita da sequenze non codificanti, in testa e in coda al gene. Le regioni trascritte e non tradotte sono spesso implicate nella regolazione dell'espressione genica; al momento non è ancora chiaro per i geni TSC quali siano le sequenze all'interno delle regioni trascritte e non tradotte coinvolte in questa regolazione. Gene TSC2 (Tuberous Sclerosis Complex gene 2): è localizzato sul cromosoma 16 (regione p13.3), è composto di 41 esoni codificanti ed uno non codificante, ma trascritto, posto davanti al 1° esone. La scoperta di questo esone è recente, per cui non è stata ancora modificata la numerazione degli altri esoni (provvisoriamente, potremmo chiamarlo esone 1a). Nell'insieme, i 42 esoni abbracciano circa 40 kb di DNA. L'RNA messaggero è lungo circa 5600 nt. La coda di TSC2 tocca quasi la coda di un altro gene, PKD1 (Polycystic Kidney Disease type 1, codificato dall'altra emielica del DNA e quindi orientato in senso opposto), il cui difetto causa la varietà più comune di rene policistico dell'adulto a trasmissione autosomica dominante, malattia caratterizzata dallo sviluppo lento ma progressivo di numerosissime cisti nei reni, ed in parte anche nel fegato. Come 51 è stato descritto sopra, un'unica mutazione - per esempio una delezione che comprenda le code dei due geni - può anticipare l'età d'insorgenza delle cisti e la riduzione della funzione renale (vedi sindrome da delezione dei geni contigui TSC2 e PDK1), rispetto ai soggetti con una mutazione solo di PKD1 o solo di TSC2. Fino ad ora, nessun individuo con ST è risultato portatore di una mutazione sia del gene TSC1 che del gene TSC2; ciò indica che il difetto del solo TSC1 o del solo TSC2 è sufficiente a causare la ST. Inoltre non esistono prove a favore dell'esistenza di altri geni TSC, nel senso che non sono state osservate a tutt'oggi famiglie in cui la malattia non segregasse né con TSC1 né con TSC2. In una rara famiglia in cui la malattia non sembrava segregare né con TSC1 né con TSC2 si è poi scoperto che coesistevano malati con mutazione in TSC1 e malati con mutazione in TSC2. Principali funzioni delle proteine dei geni TSC1 (amartina) e TSC2 (tuberina) La proteina prodotta dal gene TSC1 (amartina) è costituita da 1164 aminoacidi e non ha alcuna omologia con la proteina prodotta dal gene TSC2. La proteina prodotta dal gene TSC2 (tuberina) è costituita da 1807 aminoacidi. Presso la sua estremità carbossi-terminale ha un dominio GAP (GTPase Activating Protein), grazie al quale accelera il rilascio spontaneo di GTP da parte di RHEB (Ras Homologue Enriched in Brain, una piccola G-binding protein della famiglia Ras, espressa ad alti livelli nel cervello), facilitando così la sua transizione allo stato inattivo, legata al GDP. Poiché RHEB legata al GTP è un attivatore di mTOR (mammalian Target of Rapamycin) del complesso TORC1 (TOR Complex 1), la tuberina assume un ruolo importante in quanto regolatore della trasmissione di svariati segnali mediati da TORC1 e correlati alla crescita cellulare, come la sintesi proteica, la risposta all'ipossia e la rilevazione dei bassi livelli d'energia (ATP) e della disponibilità di aminoacidi (Fig. 24). Le due proteine, tuberina ed amartina, sono presenti nelle 52 Fig. 24 Schema delle principali interazioni tra alcune delle proteine (tra le quali RHEB ed AMPK) o gruppi di proteine (tra i quali il complesso amartina/tuberina, il TORC1 ed il TORC2) coinvolte nella patogenesi della sclerosi tuberosa. Va notato come questi tipi d'interazione/vie di segnalazione, sono ancora oggi oggetto di discussione, e che per ciascun tipo d'interazione e/o via di segnalazione sono state formulate diverse ipotesi di funzionamento [nella figura, per semplicità, sono rappresentate (ed in maniera schematica) solo le principali interazioni e/o le principali vie di segnalazione]. In linea generale, l'eterodimero amartina/tuberina (agendo anche su altre proteine) esercita funzioni di modulazione del complesso TORC1 e di un complesso sistema a cascata di segnali che hanno come effetto finale un'azione regolatrice sulla sintesi proteica e sull'autofagia. Altre proteine (ad es. RHEB, AMPK), coinvolte in differenti vie di segnalazione (ancora poco conosciute), interagiscono con il complesso TORC2 regolando la crescita cellulare e le funzioni del citoscheletro. Queste proteine/complessi proteici (complesso amartina/tuberina, RHEB, AMPK, TORC1, TORC2, ecc.) esercitano quindi (attraverso le rispettive interazioni e le interazioni con altre proteine e vie fosforilative) un ruolo di sensori ed integratori (coordinatori) di "cascate di segnali" agendo principalmente sui meccanismi di regolazione della crescita cellulare. Tutti questi meccanismi, a loro volta, possono essere regolati o influenzati da meccanismi esterni (ipossia, aminoacidi, bassi livelli energetici) o interni (stress meccanici od osmolari) all'ambiente cellulare. Le sigle delle principali proteine sono elencate qui di seguito (in ordine alfabetico) nella lingua originale: AMPK = AMP-activated protein kinase; FRAP = FKBP12-rapamycin associated protein; GFR = growth factor receptor; IRS = insulin receptor substrate; LKB1 = serin-threonin protein kinase; mTOR = mammalian target of rapamycin; TORC1 = mammalian target of rapamycin complex 1; TORC2 = mammalian target of rapamycin complex 2; p70S6K = p70 ribosomal S6 subunit-kinase; PI3-kinase = phosphoinositide 3-kinase; PIP2 = phosphatidytl-inositol (4,5) biphosphate; PIP3 = phosphatidyl-inositol (3,4,5) triphosphate; PP2A = protein phosphatase 2 A, alpha isoform; PTEN = phosphatase and tensin homolog; PDK1 = phosphoinositide-dependent kinase 1; PDK2 = phosphoinosititde-dependent kinase 2; PKB/AKT = protein kinase B/Akt; RHEB = RAS homolog enriched in brain; TSC1 = tuberous sclerosis complex 1; TSC2 = tuberous sclerosis complex 2; 4E-BP1 = eukaryotic initiation factor 4E binding protein 53 cellule di tutti i tessuti ed interagiscono tra loro con un'elevata affinità formando eterodimeri (il legame dell'amartina con la tuberina stabilizza quest'ultima, impedendone la degradazione). Ciò spiega perché soggetti con mutazioni in TSC1 o mutazioni in TSC2 presentino manifestazioni cliniche simili. Non si può tuttavia escludere che una delle due proteine, o entrambe, svolgano anche attività autonome. Tra i ruoli aggiuntivi dell'amartina vi sono la capacità di legare proteine regolatrici del citoscheletro e di influire sul ciclo cellulare in quanto fosforilata da kinasi ciclina-dipendenti. Per ciò che si conosce oggi, l'eterodimero amartina/tuberina (tra le sue tante funzioni) interviene nella regolazione intracellulare di alcune vie di segnali (FIG. 24): (1) crescita cellulare e sintesi proteica (cosiddetta via di PI3K / AKT / mTOR); (2) adesione / migrazione / trasporto e traffico proteico cellulare (cosiddetta via della Glicogeno Sintasi Kinasi 3 [GSK3] / b-catenina / chinasi dell'adesione focale [FAK] / Ras omologo [Rho]); (3) crescita e proliferazione cellulare (cosiddetta via della proteina chinasi mitogeno attivata [AMPK]. Non è chiaro quale sia il contributo specifico del difetto di ciascuna delle vie di segnalazione sopra citate nella manifestazione di tutti i segni e sintomi clinici della ST. Ciononostante, il ruolo del complesso amartina/tuberina nella regolazione della crescita e della proliferazione cellulare ben si correla con la principale manifestazione della malattia, cioè la formazione di amartomi. 54 come si trasmette la sclerosi tuberosa Le persone con ST in genere presentano in tutte le loro cellule un difetto di un allele (paterno o materno) in uno dei due geni TSC, e quindi potranno trasmettere alla prole o l'allele difettoso o l'allele normale, con la probabilità del 50%. Poiché né TSC1 né TSC2 sono localizzati sui cromosomi sessuali, la malattia si trasmette con ugual probabilità sia ai maschi che alle femmine. Questo tipo di trasmissione viene detta autosomica dominante: autosomica, perché non è dovuta ad un gene sul cromosoma X o Y (detti eterocromosomi); dominante, perché è sufficiente avere un solo allele difettoso, perché la malattia prima o poi si manifesti. Si è infatti visto che soggetti eterozigoti, che hanno ereditato un allele difettoso da un genitore, ed un allele sano dall'altro genitore, hanno una probabilità vicina al 100% di manifestare nell'arco della loro vita un qualche segno della malattia. Questo concetto viene anche espresso col termine di penetranza quasi completa. In queste condizioni, la visita clinica e gli esami strumentali (TAC e RM cerebrale, ecografia renale e cardiaca, ed eventualmente TAC polmonare e RM addominale), hanno grande importanza. Nel senso che questi esami e queste visite, se eseguite da medici che conoscono la ST (e quindi sanno cercare quali segni, in quali organi, in considerazione dell'età del soggetto), hanno un'alta sensibilità diagnostica. In ogni caso sono in grado di porre il sospetto di ST e quindi se è necessario ricorrere o meno al test genetico (vedi anche più sotto, le indicazioni del test genetico). Va ricordato che sebbene i portatori di mutazione abbiano un'altissima probabilità di manifestare qualche segno di ST, questi segni possono variare di molto, causando forme molto lievi o forme molto gravi di malattia, a seconda del numero di lesioni e varietà di organi coinvolti. Quindi nella ST, l'alta penetranza si associa ad una grande variabilità di espressione clinica. Questa variabilità d'espressione si verifica sia tra famiglie diverse, sia all'interno della stessa famiglia. Le possibili cause di questo fenomeno verranno discusse sotto. 55 Fig. 25 a b 56 La prima mutazione può avere un'origine germinale o somatica. (A) È trasmessa da un genitore. La prima mutazione può essere trasmessa da uno spermatozoo paterno o dall'uovo materno, per cui è detta germinale. Il genitore che ha trasmesso il gene mutato può mostrare segni della malattia se la mutazione non è confinata alle gonadi (nella ST più spesso capita che i genitori siano sani ed in loro non si trovi la mutazione identificata nel figlio, poiché questa si è originata de novo solo nello spermatozoo o nell'uovo da cui quel figlio ha preso origine). Dal momento che tutte le cellule di quell'embrione originato da una mutazione germinale hanno un solo allele TSC1 o TSC2 funzionante, è relativamente facile che mutazioni somatiche insorte durante la rapida proliferazione cellulare della vita embrionale (o eventualmente postembrionaria, cioè post-natale) spengano l'allele residuo in più cellule generando amartomi multipli. (B) È insorta durante lo sviluppo embrionale. I geni TSC materni e paterni trasmessi alla prima cellula dell'embrione (zigote) sono normali. Tuttavia una cellula durante lo sviluppo embrionale può essere colpita dalla prima mutazione (somatica) che spegne un gene TSC. La cellula eterozigote per la mutazione non cessa di proliferare e le sue cellule figlie contribuiscono alla formazione di vari organi e tessuti, mescolandosi alle cellule non mutate (mosaicismo somatico della prima mutazione). A questo punto, seconde mutazioni somatiche possono inattivare l'allele TSC residuo in alcune cellule eterozigoti creando così amartomi multipli, analogamente a quanto avviene nei portatori di una prima mutazione germinale. La maggioranza dei soggetti affetti da sclerosi tuberosa è frutto di una nuova mutazione Solo un terzo delle coppie con un figlio ST presenta segni della malattia in uno dei genitori. Nella maggioranza dei casi infatti si tratta della prima diagnosi di ST nella famiglia, ed i genitori risultano sani anche dopo avere eseguito tutti gli accertamenti clinici e strumentali consigliati (vedi più avanti le raccomandazioni per la diagnosi ed il follow-up). Questa situazione, ben conosciuta in genetica, ha due possibili spiegazioni: (1) il nuovo caso di ST è dovuto ad una mutazione - detta germinale - insorta nella gonade di uno dei due genitori (sani) durante la formazione dei gameti; (2) il nuovo caso di ST è dovuto ad una mutazione - detta somatica - insorta nell'embrione durante le fasi più precoci di sviluppo (FIG. 25). In quest'ultimo caso, la persona affetta dovrebbe possedere anche una quota di cellule normali, cioè prive della mutazione, essendo essa insorta dopo le prime divisioni cellulari dello zigote. Quando una persona con ST possiede due diverse popolazioni cellulari, una con la mutazione ed una senza mutazione, viene definita un mosaico. Quante siano in realtà le persone con ST sporadica, dovuta 57 a mutazione germinale o a mosaicismo è una questione ancora irrisolta, anche se pare che le prime siano più numerose delle seconde. Quest'incertezza dipende da almeno tre ordini di fattori: (a) la mutazione viene ricercata di solito in un unico tessuto, e cioè nei globuli bianchi presenti nel sangue; (b) il rapporto tra cellule normali e cellule con la mutazione può variare significativamente da un organo all'altro; (c) può esservi un basso livello di mosaicismo, cioè con una percentuale di cellule con la mutazione inferiore al 5%, che può quindi sfuggire anche alle tecniche di analisi più sofisticate oggi disponibili. Gli amartomi nella sclerosi tuberosa derivano da una cellula colpita da una seconda mutazione La conseguenza di qualsiasi tipo di mutazione in TSC1 e in TSC2 è la perdita di funzione, parziale o totale del gene e quindi del loro prodotto, tuberina o amartina. Dal momento che le persone con ST sono eterozigoti per la mutazione (cioè presentano la mutazione in una sola delle due copie di ciascun gene), la quantità di amartina o di tuberina normale presente nelle cellule di questi individui è ridotta, essendo prodotta dall'unico allele funzionante. Questa riduzione non sembra tuttavia interferire con il normale sviluppo embrionale e postnatale. Lo stato di eterozigosi per la mutazione non genera di per sé la malattia. E' bene ricordare che le lesioni amartomatose, le displasie cellulari e i difetti di migrazione cellulare nella ST, anche se multipli, non interessano tutte le cellule di un organo. Come si è detto, l'amartoma origina da una singola cellula che forma foci microscopici, all'inizio ben circoscritti rispetto al tessuto normale circostante e che, con l'aumentare delle dimensioni, generano noduli o masse macroscopicamente evidenti. Se si sottopongono all'analisi dei geni TSC gli angiomiolipomi renali, i rabdomiomi cardiaci o gli astrocitomi cerebrali a cellule giganti si osserva che nelle cellule di questi tessuti entrambi gli alleli (cioè il gene paterno e materno) di TSC1 o TSC2 sono inattivati. Ciò è dovuto ad una nuova mutazione che ha colpito l'unica copia del gene ancora funzionante. Perché si sviluppino gli amartomi occorre quindi che una cellula con la prima mutazione sia col- 58 pita da un'altra (seconda) mutazione sull'allele residuo, così da abolire o ridurre drasticamente la produzione di amartina o tuberina normale (Fig. 25). E' stato dimostrato che amartomi diversi di una stessa persona con ST presentano seconde mutazioni diverse tra loro. Ciò ha permesso di concludere che la seconda mutazione non è un evento unico, ma può colpire svariate cellule in modo indipendente (origine multifocale degli amartomi). Come è stato accennato nei paragrafi precedenti, le mutazioni TSC hanno una penetranza quasi completa: in altre parole, un individuo eterozigote per una mutazione germinale di uno dei geni TSC ha una probabilità quasi del 100% di manifestare prima o poi qualche segno della malattia. Sembrerebbe quindi garantito che un soggetto, eterozigote per la prima mutazione, vada incontro ad una seconda mutazione somatica nel secondo allele (cioè nella seconda copia del gene TSC) in più di una cellula del suo organismo. E' molto probabile che tutti noi, e non solo coloro che già hanno una prima mutazione germinale, portiamo nel nostro organismo qualche cellula con un allele TSC inattivato per mutazione somatica. Il motivo per cui non ci ammaliamo tutti di ST è che difficilmente capita che quella stessa cellula sia colpita da una successiva mutazione che spenga anche l'altro allele TSC. Occasionalmente, tuttavia, questi eventi accadono e si ritiene che siano responsabili della comparsa di lesioni isolate, identiche in tutto e per tutto a quelle della ST, ma non trasmissibili ereditariamente. L'angiomiolipoma renale isolato osservabile non di rado nell'anziano ne è un esempio; in questa lesione è stata confermata la presenza di mutazioni somatiche del gene TSC2. Se si esaminassero molti più campioni di questo tipo, probabilmente si troverebbero anche casi con mutazione somatica di TSC1. In presenza di una mutazione germinale in tutte le cellule, è ragionevole prevedere che quanto più numerose saranno le cellule colpite dalla seconda mutazione somatica, tanto più numerosi saranno gli amartomi che da esse derivano. Questo meccanismo somatico è probabilmente alla base della grande variabilità clinica della ST (vedi sopra), non solo tra famiglie diverse ma anche all'interno della stessa famiglia, dove i membri affetti 59 condividono la stessa mutazione germinale. E' verosimile immaginare che differenze genetiche intra-familiari nella capacità di correggere gli errori di replicazione del DNA potrebbero alleviare o peggiorare il quadro clinico. Relazione tra difetto genico (di TSC1 o TSC2), tipo di mutazione e quadro clinico L'analisi delle mutazioni identificate nei soggetti con ST sia in Europa che negli Stati Uniti concordano nel segnalare una maggiore frequenza di mutazioni TSC2 (80%) rispetto a TSC1 (20%). Inoltre, i difetti di TSC2 sono significativamente più rappresentati tra i casi sporadici, mentre i difetti di TSC1 si trovano più spesso in famiglie con più parenti affetti. Ciò fa supporre che le mutazioni TSC2 siano associate ad un quadro clinico più grave rispetto alle TSC1 e che quindi le persone con ST che hanno un difetto del gene TSC1 possano più frequentemente sfuggire alla diagnosi così da spiegare almeno in parte la loro apparente rarità. Questa spiegazione è avvalorata da una maggiore frequenza di spasmi infantili, ritardo di sviluppo psicomotorio e difficoltà di apprendimento tra i soggetti sporadici con una mutazione del gene TSC2 rispetto a soggetti sporadici con un difetto del gene TSC1. Il motivo di queste differenze tra TSC1 e TSC2 non è ancora noto e quanto sopra affermato va inteso come una tendenza di una maggiore o minore probabilità, seppure statisticamente significativa. Va ricordato che esistono eccezioni, nel senso che mutazioni TSC1 occasionalmente sono state osservate in soggetti con forme gravi di ST, e così mutazioni TSC2 sono state documentate in alcune famiglie con più generazioni di portatori che manifestavano segni e sintomi lievi. In talune di queste famiglie TSC2 si è dimostrato che la mutazione riduceva di poco la funzione del gene e ciò poteva spiegare i segni modesti di malattia nella maggior parte dei portatori di quella mutazione, anche appartenenti a famiglie diverse. Il riscontro di reni policistici mostra invece una netta correlazione non solo con il tipo di gene (TSC2) ma anche con una ben 60 precisa alterazione del DNA. Quando le cisti sono così numerose da far pensare al rene policistico dell'adulto, ma sono state riscontrate nella prima o seconda decade di vita, specie se in presenza di una ridotta funzione renale, o viste nei primi mesi di vita o alla nascita, è assai probabile che una stessa delezione abbia coinvolto in modo parziale o totale i geni TSC2 e PKD1 (vedi sindrome da delezione dei geni contigui TSC2 e PKD1 già citata). Il difetto congiunto dei due geni riguarda comunque solo una minoranza dei soggetti con ST (non più del 5%). Un ultimo commento riguarda i soggetti con mosaicismo somatico discussi sopra. In teoria, poiché una parte delle loro cellule non ha alcun difetto dei geni TSC, ci si attenderebbe che mediamente manifestino segni clinici più lievi. Il fatto che il mosaico si trovi più frequentemente in un genitore piuttosto che nel probando sembra avvalorare l'ipotesi di cui sopra. Tuttavia, tra la categoria dei probandi, diversi casi a mosaico mostrano un fenotipo indistinguibile da quello dei non mosaici. Pertanto è bene non fornire valutazioni prognostiche in singoli casi. Infatti, come è stato detto precedentemente, la percentuale delle cellule omozigoti normali ed eterozigoti per la mutazione varia da tessuto a tessuto e non può essere facilmente misurata, specie negli organi più rilevanti clinicamente, come il sistema nervoso centrale. consulenza genetica e test genetici Se un genitore ha segni certi della malattia, il rischio che possa trasmettere la malattia ad un figlio è del 50%. Se una coppia di genitori con un figlio affetto da ST non mostra nessun segno di ST a tutti gli esami clinici e strumentali previsti dal protocollo diagnostico dell'ST, il rischio che la malattia compaia di nuovo in un successivo figlio è molto basso. Tuttavia, sono noti rari casi di genitori sani che hanno avuto due figli malati, portatori della stessa mutazione (1-2% delle famiglie ST). La spiegazione è che quella mutazione era presente solo all'interno delle gonadi di un genitore (mosaicismo gonadico), o anche in altri organi ma in una percetuale così bassa di cellule 61 da non produrre segni riconoscibili di malattia. Grazie alla scoperta dei geni TSC1 e TSC2 è oggi possibile eseguire test genetici per cercare la mutazione negli individui affetti. A tutt'oggi sono state identificate mutazioni di TSC1 o TSC2 in oltre 2000 famiglie: si tratta di mutazioni molto spesso diverse che si distribuiscono lungo tutta la lunghezza dei geni TSC. In altri termini, non esistono regioni preferenzialmente colpite, per cui l'intera sequenza dei due geni - oltre 9.000 nucleotidi in totale - deve sempre essere presa in esame. Sono stati sperimentati diversi tipi di test per la ricerca delle mutazioni; la strategia raccomandata è quella di impiegare test capaci di identificare sia delezioni / duplicazioni di tratti genici più o meno grandi, sia mutazioni puntiformi. In genere si esegue prima un test capace di evidenziare grandi delezioni o duplicazioni nei due geni TSC (ad esempio l'MLPA - Multiple Ligation Dependent Probe Amplification), per poi passare all'analisi dettagliata, esone per esone, d'entrambi i geni TSC (ad esempio mediante DHPLC - Denaturing High Performance Liquid Chromatography - o Sequenziamento). È bene tenere presente che sono necessari diversi mesi (da 3 a 6 mesi) per completare l'esame sui due geni TSC. Una volta trovata la mutazione, la ricerca di quel difetto nei parenti si conclude invece nell'arco di pochi giorni. Qualora si cerchi per la prima volta la mutazione in una famiglia, il test va eseguito sull'affetto e non su un parente sano, anche se costui sostenesse di essere l'unico interessato al test. Infatti, nel caso in cui il test su di lui risultasse normale, non sapremmo risolvere il dubbio se ciò significa la reale assenza di mutazione, o se è invece un falso negativo: mutazione presente, ma sfuggita al test (vedi sotto). Nel caso esistano più malati in famiglia, è buona norma non scegliere il malato della prima generazione, con genitori senza segni di ST. Esiste infatti una probabilità non insignificante che in quel malato la prima mutazione non sia stata trasmessa da un genitore, ma sia insorta in lui durante lo sviluppo embrionale. In questo caso, ci troveremmo di fronte ad un mosaicismo cellulare. La mutazione potrebbe sfuggire al test se la percentuale delle cellule mutate nel sangue fosse al di sotto della soglia di 62 sensibilità del test (mosaicismo di basso livello). Lo scopo del test è anzitutto di confermare la diagnosi clinica, e quindi di verificare se la mutazione trovata nella persona affetta è presente anche in altri parenti con segni anche lievi di ST. Nelle famiglie con un solo affetto, in cui si è confermato che i genitori non sono portatori della mutazione trovata nel figlio, non c'è motivo di estendere agli ascendenti o collaterali dei genitori (nonni, zii, cugini del malato) la ricerca di quella mutazione insorta de novo. Le mutazioni de novo sono eventi rari; se anche si verificassero due volte nella stessa famiglia, evento estremamente raro, è assai improbabile che venga riprodotto esattamente lo stesso difetto, nello stesso gene. Per quanto riguarda i fratelli /sorelle del malato con mutazione de novo, l'opportunità del test è invece presa in considerazione per escludere l'1% circa di rischio di ricorrenza della malattia per mosaicismo somatico in un genitore, evitando così di sottoporre ai figli, specie se in giovane età, l'intero protocollo diagnostico dell'ST ed in particolare la risonanza magnetica cerebrale. Infine, ai genitori sani con un figlio malato e alle coppie con un partner affetto, se desiderano avere un altro figlio, viene offerta la possibilità di eseguire un test prenatale su DNA estratto da villi coriali prelevati alla 10a-11a settimana di gravidanza. Il test prenatale è eseguibile solo nel caso in cui si sappia già quale mutazione cercare, essendo già stata identificata in un figlio o in un genitore. Infatti, come si è detto sopra, l'analisi completa di entrambi i geni TSC assai raramente si conclude entro un mese. Al momento attuale, anche adottando i test più sofisticati, il 10-15% circa delle persone con ST non rivela mutazioni né in TSC1 né in TSC2. Bassi livelli di mosaicismo potrebbero spiegare almeno in parte la negatività del test. In presenza di test negativo sul sangue, si può tentare di identificare la mutazione germinale nel DNA estratto da un campione di tessuto amartomatoso eventualmente disponibile (angiomiolipoma renale, astrocitoma cerebrale a cellule giganti, o altre lesioni). Quest'ultima procedura può richiedere tessuto fresco da mettere in coltura per selezionare le cellule verosimilmente portatrici della mutazione sulle quali eseguire il test genetico. Nelle fami- 63 glie mutazione-negative con più individui malati - evento raro, dal momento che i malati mutazione-negativi per lo più non hanno parenti affetti - si può ricorrere al test di linkage, per il quale occorre un prelievo di sangue non solo degli affetti ma anche dei sani della famiglia. Tutti costoro, prima del prelievo, devono comunque eseguire gli esami diagnostici della ST secondo il protocollo (vedi sotto). Il risultato dell'analisi di linkage può, in determinate condizioni, essere applicato per individuare in modo indiretto i portatori di mutazione anche in ambito prenatale. In mancanza di un test genetico prenatale, si può ricorrere ad esami strumentali da eseguire durante la gravidanza: ecocardiografia ed ecografia fetale o risonanza magnetica fetale dopo la 16a-18a settimana di gravidanza. In alcuni casi queste indagini possono segnalare la presenza di rabdomiomi cardiaci e/o lesioni cerebrali nel feto; tuttavia l'assenza di questi segni non esclude la presenza di ST. 64 diagnosi follow-up / terapia diagnosi (a cura del Comitato Scientifico dell'AST) Si può porre diagnosi di ST in base ad un'attenta anamnesi (che includa la storia familiare) e ad un accurato esame clinico che includa anche l'osservazione del fondo oculare e, ove possibile, un controllo odontoiatrico. Per giungere ad una diagnosi certa però è spesso indispensabile eseguire (in qualsiasi fascia d'età) anche alcuni esami strumentali quali la RM (o la TAC) dell'encefalo, e l'ecografia del cuore e dei reni (vedi Tabelle 5-8). L'impiego della lampada a raggi ultravioletti (UV) di Wood può essere utile a dirimere dubbi diagnostici per la presenza, o meno, di macchie ipomelanotiche, specie in soggetti con cute molto chiara. I criteri diagnostici sono stati modificati e semplificati rispetto al passato (vedi Tabelle 5-7). Sembra oggi chiaro, infatti, che nessuna singola manifestazione della ST sia presente in tutti i pazienti affetti, con forse l'unica eccezione dei tuberi corticali, e non è altresì dimostrato che alcun segno clinico o radiologico sia del tutto specifico per la ST. Proprio per queste considerazioni, le manifestazioni cliniche e radiologiche della ST non vengono più divise in primarie, secondarie e terziarie come nel passato, ma sono distinte in maggiori e minori, secondo gradi di specificità per la malattia (Tabella 5) oppure in segni che permettono una diagnosi definitiva o probabile (Tabella 6) o segni maggiori ed in altri che richiedono ulteriori approfondimenti clinici e/o strumentali (Tabella 7). 65 Tab. 5 Diagnosi definitiva: Diagnosi probabile: Diagnosi possibile: 2 segni maggiori o 1 segno maggiore + 2 segni minori 1 segno maggiore + 1 segno minore 1 segno maggiore o 2 o più segni minori È bene rilevare che esistono oggi diversi gruppi di criteri diagnostici (Tabelle 5-7) le cui differenze principali (talora davvero minime se non sovrapponibili) stanno nelle caratteristiche cliniche dei singoli segni e/o nel numero di lesioni ritenute necessarie per potere giungere ad una diagnosi. I nuovi criteri, rispetto al passato hanno un'applicazione più pratica permettendo di giungere più rapidamente ad una diagnosi certa di ST, poiché tendono a stressare l'importanza della numerosità delle singole lesioni (vedi soprattutto Tabella 6) piuttosto che l'incerta definizione di "multiple", oppure di "più lesioni" e perchè usufruiscono largamente dell'ausilio dei moderni mezzi di indagine radiologica (Tabella 8). 66 Tab. 6 E' sufficiente per la diagnosi la presenza di un solo criterio con le specifiche caratteristiche esposte. Come sopra accennato, nel sospetto di ST, l'esame RM dell'encefalo è uno tra gli elementi più importanti per dirimere il dubbio diagnostico (assieme all'esecuzione dei test genetici: vedi sopra): in questi casi tale esame va quindi richiesto ed eseguito al più presto. Un cenno a parte merita l'argomento dell'esecuzione della RM dell'encefalo alla nascita o nei primi mesi di vita (sino al primo anno d'età) nel caso di diagnosi già certa in base ad altri criteri clinici e/o strumentali. In questi casi, [ad esempio diagnosi già raggiunta attraverso i test genetici ( vedi sopra) o attraverso l'esecuzione di RM fetale; oppure presenza di macchie ipomelanotiche associate a rabdomiomi cardiaci multipli e/o lesioni renali, oculari o in altri organi] se vi è assenza di ritardo dello sviluppo psicomotorio o di segni neurologici focali o di convulsioni, la RM dell'encefalo potrebbe (previa discussione con i genitori ed informazione 67 Tab. 7 La diagnosi di certezza richiede la presenza di due segni maggiori. Spesso per giungere a tale diagnosi è necessario ricorrere alla RM (o alla TAC cerebrale senza mezzo di contrasto) oppure alla ecografia renale o cardiaca. Nei casi dubbi (ad esempio, presenza di un segno maggiore più uno o più elementi che richiedono ulteriori approfondimenti clinici e/o strumentali) o nei casi sospetti (presenza di soli segni che richiedono ulteriori approfondimenti clinici e/o strumentali) è consigliabile chiedere un secondo parere ad un centro di riferimento. 68 completa sulla malattia) anche essere rimandata per breve tempo sostituendola con una ecografia cerebrale seriale nel tempo sino alla chiusura delle fontanelle. Ciò perché, quando la diagnosi è certa l’unico dato clinico e strumentale importante da ottenere è l'eventuale presenza e/o monitoraggio delle lesioni con potenziale d'accrescimento (gli ASCG). Per tali lesioni va ricercata l'eventuale presenza di ostruzione al deflusso del liquor nelle cavità ventricolari che un monitoraggio seriale con ecografie cerebrali permetterebbe di ottenere. Per tutte le considerazioni sopra esposte è certamente importante eseguire l'esame clinico e gli esami strumentali summenzionati anche nei familiari del paziente affetto o con sospetto di ST. Tutti gli esami clinici e strumentali possono essere confortati dall'analisi dei due geni della ST con le limitazioni che questa ancor oggi comporta (vedi sopra). follow-up (a cura del Comitato Scientifico dell'AST) Per il follow-up si raccomanda, in assenza di specifici problemi, un esame clinico con frequenza annuale (o con tempi più stretti secondo l'indicazione clinica e/o strumentale). Il controllo annuale deve sempre includere l'esame del fondo oculare, al fine di escludere i segni indiretti e precoci (es. edema della papilla) di ipertensione endocranica, da riferirsi in prima istanza ad ASCG. Gli altri esami strumentali (ECG, EEG ed ecografie cardiache o addominali) dovrebbero essere eseguiti negli intervalli di età consigliati e con periodicità dettata dalla presenza o meno di lesioni e dalle caratteristiche specifiche di queste ultime (Tabella 9): in assenza di segni e sintomi, sono consigliabili i parametri indicati nella tabella 9. La RM dell'encefalo [che è sempre da preferire alla TAC dell'encefalo, tranne che vi sia il dubbio diagnostico differenziale di altra forma di displasia corticale (non associata a ST) o di una malformazione vascolare (capillare, venosa o arteriosa) cerebrale oppure quando si desidera chiarire meglio la natura di un 69 nodulo in sede subependimale] va eseguita sempre al momento della diagnosi o per completare l'iter diagnostico (vedi sopra: diagnosi), ma è anche consigliabile ripeterla sino all'adolescenza con una frequenza annuale o biennale, a seconda delle indicazioni cliniche e/o dell'esito dei precedenti esami strumentali, per monitorare la comparsa e/o l'evoluzione di lesioni con dimostrato potenziale di crescita, come l'ASCG. La possibilità che un nodulo subependimale si accresca è legata al suo potenziale di trasformazione in ASCG, cioè in un tumore di forma rotondeggiante di 1-2 cm di diametro, localizzato quasi sempre nei pressi dei forami del Monro. È bene ricordare che la distinzione tra nodulo subependimale e ASCG si basa essenzialmente sulle dimensioni della lesione vista all'imaging cerebrale (< 0.5 cm il nodulo; > 1-2 cm l'ASCG). La diagnosi di ASCG non è quindi istologica e non implica necessariamente una tendenza espansiva, anche in presenza di captazione del mezzo di contrasto (gadolinio nella RM o mezzo di contrasto iodato nella TAC). Alcuni neuroradiologi definiscono come probabili ASCG anche i noduli < 1cm, ma in rapida espansione. In conclusione, non esistono criteri univoci per la definizione di ASCG nella pratica clinica e strumentale e ciò non aiuta l'applicazione e la valutazione dell'efficacia di linee guida per la sorveglianza di queste lesioni. Un'ulteriore difficoltà sta nel fatto che la cinetica di crescita di un nodulo subependimale che si trasformi in ASCG, o di un ASCG di 1 cm, è variabile: può essere rapida, lenta, costante, a balzi intervallati da pause, arrestarsi al di sotto dei 2 cm o, piu raramente, raggiungere grandi dimensioni trovando spazio entro un ventricolo senza ostruire i forami del Monro e senza alterare la dinamica di circolazione del liquor. La tendenza espansiva sintomatica, desunta da casistiche di ASCG responsabili di ipertensione endocranica, parte dal 2° anno di vita e si arresta attorno al 22-24° anno di età (non sono stati riportati episodi acuti di ipertensione endocranica da ASCG oltre i 24 anni ). La maggior parte degli ASCG si osserva tra i 5-15 anni. Il rischio di ASCG varia quindi con l'eta: sale fino ai 7-10 anni e poi diminuisce. La pubertà (oggi considerato un periodo variabile tra gli 8 ed i 12 anni d'età) è un momento critico: ecco perché si consiglia, anche in presenza di 70 Tab. 8 piccolissimi noduli (2-3 mm) presso il forame del Monro, apparentemente stabili (e quindi non solo in presenza di noduli subependimali in quella posizione che abbiano dimostrato tendenza espansiva) di ripetere i controlli RM prima ed intorno a quest'età. Dopo la pubertà è difficile a tutt'oggi stabilire la frequenza dei controlli RM dell'encefalo e non esiste un accordo internazionale su un possibile protocollo. Non è utile eseguire la RM dell'encefalo per il monitoraggio dei tuberi corticali o delle lesioni della sostanza bianca, in quanto sono anomalie già presenti alla nascita che non tendono a variare nel tempo [i possibili e probabilmente frequenti fenomeni di apoptosi (cioè di fisiologica morte cellulare neuronale) all'interno di queste lesioni (dei quali si ignora la rilevanza clinica e/o prognostica) non comportano la necessità di monitoraggio strumentale; inoltre tali fenomeni non sono facilmente rilevabile alla RM]. Il monitoraggio RM va eseguito anche nei soggetti operati per ASCG, perché sono state segnalate crescite tardive o ricrescite (in genere dovute a residui del tumore operato) asintomatiche anche dopo i 20 o i 30 anni d'età. La periodicità della RM cerebrale in questi casi viene dettata in ogni singolo centro a seconda dell'esperienza clinica e chirurgica. Più difficile è stabi- 71 Tab. 9 72 lire se e quando ripetere la RM dell'encefalo nel caso di un bambino in età post-puberale, di un adolescente o anche di un adulto senza noduli di 1-2 cm (tipo ASCG). In questi casi, quando cioè una o più RM dell'encefalo eseguite in età pre- e post-puberale siano certamente negative per la presenza di ASCG, è consigliabile monitorare clinicamente il soggetto (includendo l'esame del fondo oculare) e valutare in base ai parametri clinici (ed oftalmologici) l'eventuale ripetizione della RM dell'encefalo in età successive. Nei primi mesi dopo la diagnosi è importante un colloquio con la famiglia o con il paziente (da ripetere più volte se necessario), a distanza di due o tre mesi, per discutere ed approfondire dubbi o paure. Il monitoraggio di eventuali complicanze a carico di qualsiasi apparato orienterà, naturalmente, il tipo di esami ed i tempi di attuazione. E' quindi consigliabile che la persona con ST sia riferita, almeno inizialmente, presso un Centro specializzato per la ST terapia (terapia nefrologica a cura di Giuseppe Segoloni) Non esiste a tutt'oggi una terapia medica per la ST. Si cerca quindi di trattare alcune manifestazioni cliniche e di prevenire le complicanze. Gli angiofibromi facciali possono essere causa di notevoli problemi estetici oggi notevolmente ridotti dall'impiego della laser terapia o di tecniche di abrasione cutanea. Le altre lesioni cutanee non causano generalmente problemi estetici, ma si può comunque intervenire chirurgicamente sulla placca fibrosa frontale o sulla macchia zigrinata. E' invece più difficile, seppur possibile, trattare chirurgicamente i fibromi ungueali: una della caratteristica di queste lesioni è infatti l'origine anatomica dalla radice ungueale per cui se non si elimina del tutto l'unghia (sino alla radice appunto) la lesione tende a recidivare. Per quanto riguarda la terapia dell'epilessia, è noto che gli spasmi infantili rispondono bene al trattamento con ACTH o 73 con vigabatrim: sembra non dimostrata però la superiorità del vigabatrim rispetto all'ACTH nella ST. Nelle forme di spasmi infantili sensibili al farmaco la risposta è pressoché immediata (entro le prime 24-48 ore dall'inizio della terapia). In caso di buona risposta al vigabatrim e di un eventuale protrarsi del trattamento con questo farmaco oltre i sei mesi, è consigliabile però un controllo periodico oculare con elettroretinogramma, sino a che il bambino non sarà in grado di eseguire in maniera attendibile uno studio del campo visivo (non prima dei 6-8 anni d'età, se lo sviluppo cognitivo è nella norma). Anche l'acido valproico o il nitrazepam, comunque si sono dimostrati efficaci per il trattamento degli spasmi infantili ed ogni singolo caso va quindi valutato assieme allo specialista. Le altre forme di epilessia, sia nell'infanzia come in età adulta, vanno trattate con i farmaci antiepilettici comunemente usati a seconda del tipo di epilessia. La scelta del farmaco antiepilettico è complessa e va rigorosamente effettuata in stretta collaborazione con neurologi infantili e dell'adulto esperti di epilessia. La metodologia dell'approccio farmacologico deve consentire da un lato la ricerca di una possibile farmacoresponsività a fronte del minor numero possibile di effetti collaterali, ma allo stesso tempo deve aiutare il medico ad accertare il più precocemente possibile la farmacoresistenza, per la quale oggi sono possibili diverse risoluzioni di tipo chirurgico. Nel 25% dei casi, infatti, l'epilessia è scarsamente controllata dalla terapia, anche impiegando associazioni di più farmaci. Il trattamento chirurgico dell’epilessia prevede diverse possibilità, quali l'eliminazione stereotassica radiochirurgica selettiva del/dei tuberi corticali responsabili delle crisi, transezione multipla subpiale o stimolazione del nervo vagale, e nei casi di farmacoresistenza ha recentemente portato a risultati soddisfacenti con eliminazione o riduzione quasi totale delle crisi in circa l'80% dei casi e notevole riduzione dell'epilessia nel rimanente 20% dei pazienti operati. Le principali indicazioni chirurgiche specifiche per l'ST sono: (a) soggetti con un solo tipo di convulsioni o con un singolo tubero; (b) soggetti con tuberi multipli ed un grande tubero corticale calcificato ed evidenza EEG di punte focali che corrispondano anatomicamente 74 alla lesione; (c) soggetti con dati clinici (semiologia delle crisi), neurofisiologici (EEG ictale) e radiologici (RM, PET, SPECT, ecc.) convergenti. Allo stesso tempo non sembra che la presenza (alla RM) di focolai multipli potenzialmente epilettogeni associati a molteplici tipi di crisi e/o ad anomalie multifocali o generalizzate all'EEG siano associate ad una cattiva prognosi chirurgica. Tecniche di avanguardia come la video-elettroencefalografia o la magnetoelettroencefalografia, integrate a speciali tecniche di RM o alla tomografia ad emissione di positroni (PECT o SPECT), utile per studiare l'eventuale deficit metabolico di base nella specifica area epilettogena, permettono infatti di individuare il/i focolaio/i da cui originano le crisi e di intervenire quindi chirurgicamente. L'astrocitoma subependimale a cellule giganti è una lesione trattabile chirurgicamente, anche se di dimensioni elevate con complicanze post-operatorie minime e bassa percentuale di recidive. I criteri per la rimozione chirurgica dell’ASCG sono: 1) presenza di idrocefalo; 2) aumento di dimensioni ad esami radiologici (RM o TAC) seriali nel tempo; 3) nuovi segni neurologici focali direttamente attribuibili al tumore; 4) segni di aumento di pressione endocranica. Il trattamento chirurgico degli angiomiolipomi è possibile e consigliabile tramite resezione parziale della lesione con conservazione del parenchima renale. Da un punto di vista generale deve essere sempre privilegiato un atteggiamento conservativo per quanto concerne la nefrectomia. Tuttavia, quando si configurano situazioni di rischio emorragico incontrollabile, o le dimensioni dell'angiomiolipoma rendono pressoché nulla la probabilità di un ripristino funzionale del parenchima residuo dopo parziale nefrectomia, non bisogna esitare ad un approccio radicale. La prevalenza dell'insufficienza renale cronica terminale in corso di ST è valutata intorno all'1%. Fino agli anni '80 del secolo scorso, l'insufficienza renale terminale è stata la principale causa di gravi complicanze dei soggetti adulti con ST (fino al 22%). Di recente, la diffusione della dialisi, l'incremento dell'aspettativa di vita post-trapianto, e soprattutto l'adozione di strategie chirurgiche più conservative, lasciano presagire una 75 significativa riduzione di gravi complicanze per insufficienza renale. Quando necessario, il paziente può essere avviato con ottimi risultati alla dialisi oppure al trapianto renale. Per prevenire il rischio di emorragia intra o retro-peritoneale da rottura di un agiomiolipoma di un rene nativo, si consiglia di rimuovere entrambi i reni nativi dei pazienti ST al momento del trapianto renale. Nei rari individui ST che non fossero stati binefrectomizzati in corso di trapianto renale, si raccomanda una scrupolosa monitorizzazione delle dimensioni degli angiomiolipomi e delle eventuali cisti. Questa sorveglianza potrebbe essere utile anche per ridurre il rischio, seppure assai modesto, di trasformazione neoplastica di un amartoma renale. Un'alternativa alla strategia chirurgica conservativa è l'embolizzazione dei vasi afferenti alla lesione. Tale procedura, seppure non sia esente da complicazioni, viene da taluni considerata di prima scelta negli interventi di emergenza. Solo in casi di estrema gravità e sintomatologia progressiva è invece da valutare l'intervento di exeresi dei rabdomiomi cardiaci. Al momento non vi sono terapie efficaci per combattere la linfangioleiomiomatosi polmonare e la sua evoluzione. Nel corso degli anni è stata data molta importanza alla terapia ormonale intesa come castrazione chirurgica e ormonale ma la loro efficacia non sempre si è dimostrata. Attualmente sono in corso diversi studi clinici sull'utilizzo della rapamicina e di suoi derivati e i risultati iniziali sembrano incoraggianti. E' in corso di valutazione anche l'utilizzo di un vecchio farmaco antibiotico la doxiciclina, con meccanismi d'azione che non hanno a che vedere con le sue proprietà antimicrobiche. Nei casi più gravi possono trovare indicazione l'ossigenoterapia e il trapianto polmonare. In casi selezionati gli angiomiolipomi renali devono essere rimossi chirurgicamente o embolizzati con metodiche attraverso metodiche radiologiche scarsamente invasive. Al momento l'unica raccomandazione terapeutica è quella di utilizzare broncodilatatori se vi è ostruzione bronchiale alle prove di funzionalità polmonare e di utilizzare terapia con difosfonati in caso di osteoporosi. 76 bibliografia per approfondire Bissler JJ, McCormack FX, Young LR, et al. Sirolimus for angiomyolipoma in tuberous sclerosis complex or lymphangioleiomyomatosis. N Engl J Med 2008;358:140-5 Bourneville DM. Sclérose tubéreuse des circonvolutions cérebrales: Idiotie et épilepsie hémiplegique Arch Neurol (Paris) 1880;1:81-91 Crino PB, Nathanson KL, Henske EP. The tuberous sclerosis complex N Engl J Med 2006;355:1345-56. Curatolo P (ed.) Tuberous sclerosis complex: from basic science to clinical phenotypes London: Mac Keith Press, 2003. Curatolo P, Bombardieri R, Cerminara C. Current management for epilepsy in tuberous sclerosis complex Curr Opin Neurol 2006;19:119-123. Curatolo P, Bombardieri R, Jozwiak S. Tuberous sclerosis Lancet 2008 ;372:657-68 Davies DM, Johnson SR, Tattersfield AE, et al. Sirolimus therapy in tuberous sclerosis or sporadic lymphangioleiomyomatosis. N Engl J Med 2008;358:200-3 Gomez MR. History of the tuberous sclerosis complex Brain Dev 1995;17 (Suppl):55-7 77 Gomez MR, Sampson JR, Whittemore VH (eds.) Tuberous Sclerosis Complex 3rd ed. New York: Oxford University Press, 1999 Harari S, Cassandro R, Chiodini J, Taveira-DaSilva AM, Moss J. Effect of a gonadotrophin-releasing hormone an alogue on lung function in lymphangioleiomyomatosis Chest 2008;133:448-54 Holmes GL, Stafstrom CE; Tuberous Sclerosis Study Group. Tuberous sclerosis complex and epilepsy: recent developments and future challenges. Epilepsia 2007;48:617-30 Jansen FE, van Huffelen AC, Algra A, van Nieuwenhuizen O. Epilepsy surgery in tuberous sclerosis: a systematic review Epilepsia 2007;48:1477-84 Jozwiak S, Kotulska K, Kasprzyk-Obara J, et al. Clinical and genotype studies of cardiac tumors in 154 patients with tuberous sclerosis complex Pediatrics 2006;118:e1146-51 Jozwiak J, Jozwiak S, Wlodarski P. Possible mechanisms of disease development in tuberous sclerosis. Lancet Oncol 2008;9:73-9 Kalantari BN, Salamon N. Neuroimaging of tuberous sclerosis: spectrum of pathologic findings and frontiers in imaging AJR Am J Roentgenol 2008;190:W304-9. Luat AF, Makki M, Chugani HT. Neuroimaging in tuberous sclerosis complex Curr Opin Neurol 2007;20:142-50 McCormack FX. Lymphangioleiomyomatosis: a clinical update Chest 2008;133:507-16 Muzykewicz DA, Costello DJ, Halpern EF, Thiele EA. Infantile spasms in tuberous sclerosis complex: Prognostic utility of EEG Epilepsia. 2008 Sep 17. [Epub ahead of print] Nabbout R, Santos M, Rolland Y, Delalande O, Dulac O, Chiron C. Early diagnosis of subependymal giant cell astrocytoma in children with tuberous sclerosis J Neurol Neurosurg Psychiatry 1999;66:370-5 78 Northrup H, Au KS. Tuberous sclerosis complex. Genetic Reviews, 2008 http://www.genetests.org Paul E, Thiele E. Efficacy of sirolimus in treating tuberous sclerosis and lymphangioleiomyomatosis N Engl J Med 2008;358:190-2 Pavone L, Ruggieri M. Neurologia Pediatrica 2° ed. Milano: Elsevier/Masson, 2006 Roach ES, DiMario FJ, Kandt RS, Northrup H. Tuberous Sclerosis Consensus Conference: recommendations for diagnostic evaluation J Child Neurol 1999;14:401-407. Roach ES, Gomez MR, Northrup H. Tuberous sclerosis complex consensus conference: revised clinical diagnostic criteria J Child Neurol 1998;13:624-8. Rozza R, Matti M, Raimondo E, Gorio A, Abati S. Oral manifestations in a cohort of Tuberous Sclerosis patients International Research Symposium on Tuberous Sclerosis Complex. Rome, May 2007 Ruggieri M, Pascual-Castroviejo I, Di Rocco C (eds.) Neurocutaneous disorders. Phakomatoses and hamartoneoplastic syndromes Wien/New York: Springer Verlag, 2008 Schepis C. Argomenti in Tema di Sclerosi Tuberosa Edizioni Associazione Oasi S. Maria SS. Troina, 2004 Stafstrom CE, Holmes GL. Can preventative antiepileptic therapy alter outcome in infants with tuberous sclerosis complex? Epilepsia 2007;48:1632-4 Torres OA, Roach ES, Delgado MR, et al. Early diagnosis of subependymal giant cell astrocytoma in patients with tuberous sclerosis J Child Neurol 1998;13:173-7. 79 Supplemento al trimestrale AESSETI’ NEWS Anno VIII - numero 2/2009 Registrato Presso il Trbunale di Roma n° 279/02 del 07/06/2002 Direttore responsabile: Marco Michelli Stampa: Grafiche Cola di Lecco Grafica ed impaginazione: Marco De Angelis - www.artsline.it finito di stampare nel mese di aprile 2009