Bersaglio su Molly Bloom - Teatro Comunale di Casalmaggiore

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PROSA
Venerdì 24 gennaio 2003 – ore 21
MARCIDO MARCIDORJS E FAMOSA MIMOSA
Bersaglio su Molly Bloom
GDOO·XOWLPRFDSLWRORGHOO·Ulisse GL James Joyce
VFHQHHFRVWXPL Daniela Dal Cin UHJLD Marco Isidori
LQWHUSUHWL Maria Luisa Abate, Grazia di Giorgio, Alessandro Curti, Roberta Cavallo, Elena Serra, Davide
Barbato, Paolo Oricco, Isadora Pei, Veronica Galis, Michele di Rocco, Marco Isidori
UHVSRQVDELOHWHFQLFR Sabina Abate
Regione Lombardia – Progetto “Altri Percorsi”
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Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa s’incontrerà, o meglio secondo il suo costume, si scontrerà, con
James Joyce; la lingua del quale metamorfizzeremo fino a far brillare l’ultimo capitolo di uno dei
romanzi chiave del Novecento letterario (il monologo di Molly Bloom, parte conclusiva appunto
dell’Ulisse), in una dimensione teatrale del tutto inedita e assolutamente marcidoriana (ricordo che il
capitolo in questione ha goduto in passato di altre illustri messe in scena).
Ci piacerebbe che, al pari del testo verbale, questa luce auspicata, sapesse impregnarsi dei più svariati
umori, sapesse tener conto delle più riposte dinamiche psicologiche dispiegate dall’autore nel corso
della narrazione, vorremmo, in definitiva, rendere teatralmente fausto un approccio “barbaro” alle
difficoltà di un esperimento spettacolare che si dovrà misurare con i funambolismi della trama
poetico/ linguistica espressa da Joyce, con l’ambizione naturale di tenerle degnamente testa (Testo!).
Come di consueto, il segreto interpretativo dell’operazione sta nel titolo. I titoli per noi Marcido,
rappresentano sempre un indicatore sensibilissimo della direzione drammaturgica che intendiamo
imporre all’atto scenico; e stavolta la parola “bersaglio” rivela in maniera scoperta la linea profonda,
oserei dire strutturale, della nostra versione/ traduzione drammatica, in un processo di affondamento
nel magma joyciano al termine del quale la vittoria del Teatro si espliciti con una limpidezza
supplementare del testo riportato.
I bersagli esistono per essere colpiti; i bersagli esistono affinché la freccia abbia scritta una via sola di
percorrimento per colpirne il cuore, e il dardo, in questo nostro caso, è la volontà artistica d’incidere
con il calore performantico della viva scena, ogni piega del tessuto poetico, fino alla realtà indiscutibile
di un’adesione perfetta (il termine esatto è erotica) tra Teatro e Scrittura. Naturalmente il titolo dello
spettacolo non è soltanto un richiamo a motivi di ordine drammaturgico, ma ci vuole anche parlare
della materialità scenografica con cui la pièce sarà montata; un settore dove, è noto, i Marcido sono
conosciuti per non lasciare niente d’intentato sulla strada di quella “maraviglia” visionaria, nella quale
essi già tante energie hanno investito, confortati dalla convinzione che sia il concreto dispositivo
scenografico, ovvero, per la loro sensibilità, il “Mondo Architettato”, la base ineliminabile, il requisito
addirittura fondante per sigillare qualunque forte progetto di Teatro Moderno.
Marco Isidori
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Non è nostra che la scoperta che l’ultimo capitolo dell’Ulisse, lo sconfinato monologo di Molly Bloom,
in altro modo non dev’essere pensato, e di conseguenza trattato, come una voluttuosa partitura per la
voce (recitante o già “cantante”?).
Nostra invece sarà la responsabilità scenca di rivoltarne il consueto canone psicologizzante, finora
prassi regolare delle interpretazioni di questo testo, per arrivare ad un sensazionaleconcerto prismatico
(dodici saranno le voci “ recitanti” , dirette letteralmente dal regista, in scena appunto nelle vesti di
direttore!) dove le indicazioni e le superimplicazioni semantiche e propriamente musicali della lingua
joycuana siano portate a lievitare fino ad un diabolico (si rammenta con Genet, che “ l’esercizio teatrale
è diabolico” ) parossismo fonico, eguagliatore in potenza evocativa di quella scrittura poetica (chiarisco
che per Marcido il “ parossismo fonico strutturato” è la sede ottimale della drammaticità).
L’interprete principale (il “ capo” , il “ capitano” delle Molly, colei che terrà le fila della poliedricità
narrante della nostra eroina) è Maria Luisa Abate, l’unica attrice italiana, a nostro parere, “ disposta” a
subire gli strappi tecnici e meno tecnici d’una tale inizativa scenica.
La scenografa, come di consueto, è Daniela Dal Cin, la quale ha inventato per questa messinscena,
un’architettura sbalorditiva per fantasia e funzionalità teatrale che ci è piaciuto chiamare “ Grande
Conchiglia” , ovvero una fitta serie di teche metalliche costruite per “ contenere” (in tutti i sensi,
specialmente nel significato di “ bloccare” ) ciascun attore proprio come se si trattasse d’un Santo
inserito nella sua nicchia votiva.
Ancora una volta ci confronteremo con un caposaldo della letteratura europea; ancora una volta
tenteremo di restituirne appieno la polisemicità sconfinata coi mezzi d’un TEATRO che abbiamo
imparato ad affilare e a far nostro complice, nel tempo, perché a questo scopo potesse ben servire Lui
(TEATRO), obbedendo ad una legge di circolarità estetica che supponiamo scenicamente essere di
grande fertilità.
Marco Isidori
MARCIDO MARCIDORJS E FAMOSA MIMOSA compagnia fondata nel 1986 da Marco Isidori (regista
drammatico) e Daniela Dal Cin (scenografa e costumista) con Maria Luisa Abate (attrice), la Compagnia
Marcido è tra le più interessanti nel panorama del teatro di ricerca italiano degli ultimi anni.
Debutta nello stesso anno al Festival Premio Narni Opere Prima, con uno studio su /HV%RQQHV di Jean
Genet che si evolverà successivamente nello spettacolo /HVHUYH , imponendosi subito all'
attenzione della
critica e vincendo il premio Giovin Italia. La compagnia si dedica poi a un lavoro sul classicismo e sulla
tragedia attica che porta a una serie di elaborazioni e riscritture dei testi classici: ,Q XQD JLRVWUD
O
$JDPHQQRQH da Eschilo che ottiene il premio Opera d'
attore nell'
88; 0XVLFDSHUXQD)HGUDPRGHUQD (1982)
e 6SHWWDFROR (1993), parti di un unico progetto che chiude l'
esperienza sulla tragedia classica. Con
3DOFRVFHQLFR e ,QQLR nel 1991 la Marcido vince il premio Speciale Ubu. Con ,OFLHORLQXQDVWDQ]D (1994) si
apre una fase decisiva per lo sviluppo della potenzialità drammaturgica della compagnia che la vedrà
impegnata con una scrittura testuale autarchica nella messa in scena di Gengis Khan poema drammatico
di Marco Isidori. Produzioni successive sono state /
,VLID3LQRFFKLRPDVIDUORPRQGRGHVLHUHEEHLQYHU (1996)
e il particolarissimo esperimento realizzato con gli allievi del suo laboratorio +DSS\ 'D\V LQ 0DUFLGR
V
)LHOG (1997). Vissuti a lungo isolati in una comunità artistica e familiare i Marcido, ritenuti da alcuni
quasi un gruppo settario, hanno come nucleo essenziale del loro lavoro l'
eliminazione dello spazio tra
pubblico e attori, tra platea e palcoscenico, tra scena e costumi. Per il loro $JDPHQQRQH avevano costruito
una giostra rutilante di ferro e legno che conteneva Atridi e spettatori, mentre il costume per la )HGUD di
Seneca era invece una diabolica macchina scenica che costringeva l'
attore in posture sadomaso tra
mostruosità e magia, orrore e caricatura. I cardini della loro ricerca sono sempre stati la Parola, il
Significato, la Significazione. Prendendo spunto dalla via favolistica, ridotta esclusivamente a schema
esteriore, assume importanza fondamentale il suono della parola stessa e la figura dell'
attore passa in
secondo piano, segnando così la distruzione di un teatro tradizionale. Elaborati come partiture musicali,
tutti gli spettacoli della Marcido ricercano dunque la teatralità insita nella parola stessa e attraverso la sua
sonorità si scopre l'
intento del loro autore. Nella loro ultima produzione, +DSS\'D\VLQ0DUFLGR
V)LHOG ,
spettacolo fortemente rituale, si assiste a una riformulazione del teatro moderno. I corpi nudi degli
attori, appesi come carne di fronte al pubblico a fare da sipario, simulacri solo di se stessi, raccontano il
mondo quale noi lo vediamo, come noi lo subiamo. Un lavoro assolutamente sui generis quello di
questa compagnia, impegnata a contrastare l'
omologazione e a rifiutare ogni subordinazione culturale,
nel negare e insieme fare teatro, fuori dal `semplice teatro'
. La loro ultima produzione, 8QD FDQ]RQH
G
DPRUH (1998), presentata in anteprima nazionale al festival di Santarcangelo, si ispira al mito di
Prometeo. Incatenato in una sfera-gabbia d'
acciaio, Marco Isidori mette in scena la tragedia dell'
eroe
come `necessità del teatro'
, un'
ossessione costituita dal bisogno estremo di trovare musicalità all'
interno
della struttura semantica della parola. Uno spettacolo di forte impatto visivo e sonoro, come del resto
tutti i lavori della compagnia. (Dizionario dello Spettacolo del ‘900, Baldini & Castoldi, p.r.)