C - I PROBLEMI DELLA FILOSOFIA: LA CONCEZIONE DELLA REALTÀ 2
3 - Democrito e il materialismo antico
4- Socrate/Platone: “La struttura del dialogo e il concetto”
5 – P. Hadot: “La figura di Socrate”
4 - Platone e l’idealismo antico
6 – K. Popper – Il Mondo 3 e il mondo delle idee di Platone
5 - Aristotele e il razionalismo antico
6 - Gli stoici e il vitalismo antico
3 - DEMOCRITO E IL MATERIALISMO ANTICO
Materialismo, idealismo, razionalismo nella storia della filosofia
L’intreccio delle due tradizioni: le caratteristiche degli atomi
L’atomo come ipotesi razionale
La visione della realtà:
Il materialismo
Il meccanicismo
Il determinismo
Caso e necessità
Materialismo e inquietudini umane
MATERIALISMO, IDEALISMO, RAZIONALISMO
NELLA STORIA DELLA FILOSOFIA
Il materialismo è nella filosofia antica legata, come abbiamo detto, all’opera di
Democrito (sec. V a.C.), al quale, schematicamente, possiamo attribuire il merito
di aver formulato i concetti e le tesi fondamentali della visione materialista della
realtà, e di Epicuro (sec. III-IV a.C.), il cui merito essenziale è quello di aver
coerentemente sviluppato una visione materialista dell’uomo.
Democrito fu contemporaneo di Socrate, Platone e Aristotele giovane, cioè dei
filosofi dell’antichità che maggiormente hanno influito sullo sviluppo del pensiero
occidentale.
Socrate, Platone, Aristotele si ricollegano alla tradizione aristocratico-sacerdotale
e hanno elaborato le visioni idealista e razionalista, che incorporate
Tradizione _________________________________
Socrate - _______________
___________________
_________________
Filosofi ____________________________________
Democrito
razionalismo
___________________
_______________________
visione materialistica
visione materialistica
della _____________
__________________
______________________
I concetti della filosofia come frutto di: 1 - ____________________________________________________________________________
2 - ____________________________________________________________________________
79
nella filosofia cristiana domineranno incontrastate per molti secoli nel pensiero
filosofico e scientifico.
Democrito ed Epicuro, invece, si ricollegano ai filosofi della città e nella cultura
ellenistica il materialismo, nella versione epicurea, rivaleggiò sia con le religioni
tradizionali, per le quali rappresentava un fattore di profonda critica, sia con il
cristianesimo, di cui rappresentava un’alternativa razionalistica e terrena. La sua Il materialismo come critica a ___________
scomparsa dall’orizzonte culturale occidentale fu dovuta all’avvento del ____________________ e alternativa al
cristianesimo a religione di stato e alla conseguente cristianizzazione della cultura
e quindi del modo di vedere il mondo.
_________________________________
Le tesi materialiste sono riapparse nel dibattito filosofico solo in epoca moderna
(sec. XVI), quando con la rivoluzione scientifica si è affermata una visione della
natura che acquisiva le caratteristiche della visione della realtà elaborate da
Democrito.
L’INTRECCIO DELLE DUE TRADIZIONI: LE
CARATTERISTICHE DEGLI ATOMI
A Democrito dobbiamo la formulazione del concetto principale su cui ruota la
concezione materialista, ovvero del concetto di atomo, e delle sue tesi
fondamentali, ovvero il carattere originario della materia che precede ogni altro
essere e ne è causa e la struttura atomica della materia stessa, tesi che sono
compendiate nella sua affermazione “ I principi di tutte le cose sono gli atomi e il
vuoto”.
Il concetto di atomo rappresenta un ottimo esempio del frutto del dibattito
filosofico e, comunque, dell’incontro/scontro tra tradizioni e quindi modi di
vedere diversi, che ha il merito di diventare l’occasione per un approfondimento,
un raffinamento un superamento delle incongruenze, delle “ingenuità” contenute
nei rispettivi punti di vista.
Infatti, il concetto di atomo viene introdotto da Democrito per dare una risposta
alla domanda tipica dei filosofi della città, ovvero il principio costitutivo di tutte
le cose, ma acquisisce alcune delle caratteristiche che deve avere un oggetto per
essere razionale secondo i criteri stabiliti dai pensatori della tradizione
aristocratico-sacerdotale.
Infatti, gli atomi, che Democrito definisce come gli elementi indivisibili di materia
sono, come l’essere di Parmenide, privi di qualsiasi proprietà sensibile, e quindi
non visibili ai sensi ma solo alla ragione, eterni e immutabili.
A queste caratteristiche Democrito aggiunge le condizioni minime, necessarie e
sufficienti perché tale concetto potesse essere utilizzato, come volevano i filosofi
della città, per spiegare la realtà sensibile caratterizzata dal divenire delle cose con
la loro formazione, i mutamenti, la scomparsa delle cose. Tali caratteristiche
vengono individuate nel fatto che gli atomo sono infiniti, di natura materiale con
un’estensione minima e impercettibile, dotati di movimento.
Accanto agli atomi, che sono pensati come entità fisiche costituite da materia
Un concetto: _______________________
due tesi:
1 - ________________________________
___________________________________
2 - ________________________________
___________________________________
L’atomo e il ______________________
_________________________________
Atomo = ___________________________
___________________________________
L’ATOMO E IL __________________________________________
Atomo come _______________________________________________________________
_______________________________
Caratteristiche atomo: 1 ________________________________
4 __________________________________________
2 ________________________________
5 __________________________________________
3 ________________________________
6 __________________________________________
come _________________________________
spiegare ________________________________
come i filosofi _________________________
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omogenea dotati di movimento, Democrito deve ammettere l’esistenza del vuoto
Il _______________________ e il
perché essi possano muoversi.
Tutte le cose, dalla formazione dell’universo alla formazione dell’immagine di un ____________________ degli atomi
oggetto nella nostra mente, sono il frutto dell’aggregazione di atomi che si
verificano a causa degli urti che avvengono tra gli atomi nel loro movimento che, cose = __________________________ /
allo stesso modo, sono causa della disaggregazione delle cose.
___________________________ di atomi
La concezione atomistica è, secondo quanto afferma Epicuro, coerente con ciò che
ci attesta l’esperienza, ovvero, innanzitutto, il fatto che nulla può nascere dal nulla
e nulla può finire nel nulla altrimenti il tutto si sarebbe esaurito col tempo, e che
la realtà è fatta di corpi e che questi corpi sono dotati di movimento. Constatazioni
che giustificano la tesi sul carattere originario della materia. Inoltre, l’esperienza
ci attesta il divenire delle cose (nascere, trasformarsi e perire) constatazione che a
sua volta giustifica la teoria dell’aggregazione e disaggregazione degli atomi.
L’ATOMO COME IPOTESI RAZIONALE
MATERIALISMO E __________________________________
Epicuro
il materialismo è __________________________________________________________________ in quanto:
tesi 1: ____________________________________________________________________________________________________
dimostrato da: 1 _________________________________________________________________________________________
2 _________________________________________________________________________________________
tesi 2: _________________________________________________________________________________________________________
dimostrata da: ___________________________________________________________________________________________________
L’atomo costituisce, dunque, un’ipotesi della ragione nel suo tentativo di rendere
l’esperienza comprensibile, la sua esistenza non è il frutto di un’esperienza
sensoriale in quanto gli oggetti che noi percepiamo non sono singoli atomi, bensì
aggregazioni di atomi.
Questo atteggiamento esclusivamente razionalista dà la misura, nonostante le
notevoli somiglianze, della diversità tra la teoria atomistica di Democrito e la
teoria atomistica della fisica moderna. Infatti, il modello atomistico della fisica
moderna, pur rimanendo un modello teorico, quindi frutto di un ipotesi razionale,
è basato su dati sperimentali. In sostanza, mentre per gli antichi era sufficiente che
una teoria si accordasse con la realtà così come la sperimentiamo tutti i giorni, per
la scienza moderna essa deve consentire di prevedere determinati comportamenti
in determinate situazioni.
Se le caratteristiche che Democrito attribuisce all’atomo sono un buon esempio
del frutto del dibattito tra modi di vedere diversi, la loro descrizione e quella delle
modalità di aggregazione costituiscono un altrettanto buon esempio di come esse
siano legate al contesto storico-sociale in cui avviene la loro elaborazione.
Infatti, per esemplificare le proprietà degli atomi e il loro comportamento
Democrito ricorre, come riporta Aristotele, alle lettere e alla formazione delle
parole. Tale ricorso avveniva nel momento in cui (V sec. a.C.) la scrittura
alfabetica si stava diffondendo in tutti gli aspetti della vita sociale.
Gli atomi sono, per Democrito, privi di qualità sensibili quali il colore, l’odore in
quanto sono impercettibili. Le uniche caratteristiche che possiamo attribuire ad
essi sono quelle necessarie per poter pensare ciascun atomo come distinto dagli
altri. Si tratta di qualità di ordine geometrico e quantitativo: la forma, la grandezza,
la posizione nello spazio. Democrito esemplifica tali qualità ricorrendo
all’analogia con le lettere. Infatti, gli atomi, come le lettere, differiscono tra loro
oltre che per grandezza, per forma, come A differisce da B, o per la posizione
nello spazio, come N differisce da Z.
L’atomo come _______________________
per spiegare ________________________
l’atomo di Democrito e _______________
__________________________________
Atomo di Democrito
accordo con
________________________________
Atomo fisica moderna
accordo con
________________________________
Atomi e ___________________________
La diffusione _______________________
_________________________________
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Allo stesso modo la formazione dei composti, delle diverse entità fisiche, è
concepita in analogia con la formazione delle parole a partire dalle lettere. Due
aggregati di atomo possono, come le parole, differire per grandezza e forma degli
atomi che lo compongono, per il numero di atomi o per la posizione dei singoli
atomi nell’aggregato (per le parole possiamo, ad esempio, pensare ai vocaboli
Roma/Mora).
ATOMI E ___________________________
1 - _______________________degli atomi
non qualità _______________________ ma qualità __________________________
gli atomi come le lettere differiscono per: 1 __________________________ come _________________
2 __________________________ come _________________
3 __________________________ come _________________
2 - _______________________ degli atomi
due ______________________ di atomi differiscono, come le _________________ per:
1 ___________________________________________________________________________________________
2 ___________________________________________________________________________________________
3 ___________________________________________________________________________________________
LA VISIONE DELLA REALTÀ:
Utilizzando il concetto di atomo Democrito elabora una concezione della realtà
che si caratterizza come materialista, meccanicista e determinista.
Materialista perché ritiene che tutto ciò che esiste sia costituito da atomi di materia
e quindi nella spiegazione delle cose occorra fa intervenire esclusivamente entità
e forze fisiche, naturali, senza far ricorso ad alcunché di non riducibile ad esse.
A questo proposito è significativo il rifiuto di Democrito di trovare una
spiegazione al moto degli atomi ricorrendo a forze di carattere psicologico, come
aveva fatto, ad esempio, Empedocle (V sec. a.C.) ipotizzando l’azione di due forze
contrastanti Amore e Odio, o a una intelligenza superiore, come aveva fatto
Anassagora (V sec a.C.).
Democrito preferisce concepire il movimento come uno status naturale degli
atomi, status che non necessita di altra causa, di spiegazione ma serve, invece, a
spiegare la formazione degli aggregati di atomi, cioè dei corpi e delle loro
proprietà.
La visione della realtà di Democrito risulta inoltre meccanicista, in quanto
identifica le leggi naturali nelle leggi meccaniche del moto.
Gli atomi si muovono nel vuoto in ogni direzione, di un movimento che è
originario, eterno, non ha principio o destinazione, non ha una ragione o uno
scopo. In questo modo il loro moto può essere variato ma non distrutto, tendendosi
a conservare indefinitamente, inoltre, non ha una finalità, non è diretto a costruire
il cosmo, ma è fine a sé stesso. Le leggi regolanti il moto, e quindi la formazione
dei mondi e delle cose, sono esclusivamente di carattere meccanico, dipendono
dalla traiettoria, dalla velocità e dal punto d’incontro durante l’urto tra particelle
elementari.
1 - IL
MATERIALISMO
perché _____________________________
___________________________________
(atomi + ____________________________
__________________________)
La spiegazione del _________ degli atomi:
il rifiuto di __________________________
e di _____________________________
il moto come ________________________
2 - IL
MECCANICISMO
perché _____________________________
___________________________________
Le caratteristiche del moto degli atomi
82
LE CARATTERISTICHE DEL MOTO DEGLI ATOMI:
1- è _________________________________
2 – è ____________________________
per cui: 3 – non _________________________________________________________________
4 – è _____________________________
per cui: 5 - non ____________________________________________________________
6 - _______________________________________________________________________
Moto regolato da leggi _________________________ per cui dipende da:
1 __________________________________________ 2 _____________________________________________
3 ___________________________________________
Tale visione si oppone alle concezioni finaliste, tipiche dell’idealismo, che
consistono nello spiegare la realtà mediante i concetti di fine, scopo poiché
suppongono l’esistenza di un piano, di un progetto a cui obbedisce il
comportamento delle cose.
Ricercare una spiegazione finalista comporta chiedersi “a quale scopo, finalità, in
vista di quale piano una certa cosa esiste o funziona in un certo modo?”.
Ricercare una spiegazione meccanicista comporta, invece, la domanda “Quale
causa o legge naturale comporta la formazione di una certa cosa o il suo
funzionamento?”. Prospettiva questa, la seconda, che rappresenta sostanzialmente
quella assunta dalla scienza moderna.
Da ultimo, la visione della realtà di Democrito può essere caratterizzata come
determinista. Infatti, dato un determinato stato del mondo, con una certa
configurazione degli atomi, in base alle leggi che regolano il moto, a esso non può
che seguirne un altro ben determinato stato casualmente collegato al primo. In
questo modo tutti gli eventi sono interconnessi , non vi è alcun posto per
accadimenti casuali, non determinati, liberi.
Pur sottolineando il legame causale, l’interconnessione tra i fenomeni naturali,
poiché non ritiene che il mondo sia stato prodotto obbedendo a un piano
prestabilito, Democrito può affermare che: “Tutto ciò che esiste è il frutto del caso
e della necessità”. In questo modo egli intende dire che nel mondo pur operando
delle leggi naturali, che sono la causa di tutto ciò che succede, non esiste un piano,
un progetto, una causa finale che imponga un ordine al divenire. Da questo punto
di vista il risultato finale dell’aggregazione degli atomi, appare casuale, legato al
caso.
Possiamo sottolineare come anche questa prospettiva, sia pure evidentemente
fondata su un sapere del tutto diverso, sia stata ripresa da una parte almeno della
scienza moderna. Così, ad esempio, J. Monod, un biologo francese, premio Nobel,
ha nel 1970 pubblicato un testo intitolato, significativamente, “Il caso e la
necessità” in cui scrive che “… una volta inscritto nella struttura del DNA,
l’avvenimento singolare (la mutazione genetica) e in quanto tale essenzialmente
imprevedibile, verrà automaticamente e fedelmente replicato e tradotto, cioè
contemporaneamente moltiplicato e trasportato in milioni o miliardi di esemplari.
Uscito dall’ambito del puro caso, esso entra in quello della necessità, delle più
inesorabili determinazioni. … In effetti, la selezione agisce sui prodotti del caso e
non può alimentarsi altrimenti; essa opera però in un campo di necessità rigorose
da cui il caso è bandito.” La prima di queste necessità è costituita dal fatto che
“ogni novità sotto forma di alterazione di una struttura proteica, verrà innanzitutto
saggiata riguardo la sua compatibilità con l’insieme di un sistema già assoggettato
a innumerevoli vincoli che controllano l’esecuzione del progetto dell’organismo.
Finalismo = esiste ____________________
________________________________
per cui spiegare = ____________________
___________________________________
Meccanicismo = no __________________
___________________________________
per cui spiegare = ____________________
___________________________________
3 - IL DETERMINISMO
perché:_____________________________
___________________________________
Interconnessioni (legami ______________)
e mancanza di _______________________
(_____________________________)
CASO E NECESSITÀ
In Democrito:
caso = no ___________________________
necessità = _________________________
In Monod:
caso = _____________________________
__________________________________
necessità = _________________________
___________________________________
83
Le sole mutazioni accettabili sono dunque quelle che perlomeno non riducono la
coerenza dell’apparato teleonomico ( la teleonomia costituisce, per Monod, una
delle caratteristiche essenziali degli esseri viventi in quanto “oggetti dotati di un
progetto”) ma piuttosto lo rafforzano ulteriormente nell’orientamento già adottato
oppure, certo molto più raramente, lo arricchiscono di nuove possibilità.”. Ed è
proprio il fatto che la selezione operi necessariamente all’interno del progetto
dell’individuo che fa si che “l’evoluzione stessa sembri realizzare un progetto”.
MATERIALISMO E INQUIETUDINI
Per attenuare il determinismo democriteo e introdurre all’interno della stessa
teoria atomistica il concetto di casualità Epicuro promosse una modifica della
teoria relativa al moto degli atomi.
Secondo Epicuro occorre attribuire agli atomi, oltre alla caratteristiche che già gli
aveva attribuito Democrito, anche un’altra qualità: il peso. Tale caratteristica
deriva dalla tesi di origine aristotelica per cui un corpo privo di peso non è in grado
di muoversi, essendo il movimento sempre provocato da una forza.
L’attribuzione della qualità del peso agli atomi ha una ragione interna al pensiero
epicureo; egli può, infatti, sostenere che il moto degli atomi è di tipo rettilineo e
uniforme ed è determinato dal loro peso. Stando così le cose, per spiegare gli urti
tra atomi che danno origine alle cose, Epicuro può introdurre nel movimento degli
atomi la possibilità di una deviazione casuale dal moto rettilineo uniforme che
provoca lo scontro e quindi l’aggregazione degli atomi. La deviazione casuale è
l’unico evento naturale non sottoposto a necessità, non determinato a essere da
qualcosa d’altro.
Epicuro cerca in questo modo di attenuare il determinismo democriteo poiché
vuole giustificare il comportamento umano come libero, non determinato anche
se in realtà non è agevole conciliare la libertà con la casualità.
Bisogna d’altronde sottolineare che Epicuro, come d’altra parte tutta la filosofia
antica, quando discute fenomeni naturali non è mai interessato a una loro
definitiva e precisa spiegazione, in quanto si limita a indicare possibili spiegazioni
che risultino consone con la propria visione della realtà, in questo caso materialista
e meccanicista. A Epicuro interessa solo dimostrare che di tutti i fenomeni naturali
sono possibili spiegazioni meccaniche che risultano accettabili perchè non in
contrasto con i fenomeni e non smentibili da altri fenomeni.
Infatti, se è possibile una spiegazione materialista e meccanicista della natura
allora diventa inutile sia supporre che le cose avvengano in vista di un fine
prestabilito a cui il mondo e gli uomini devono assoggettarsi, alla maniera di
Platone e Aristotele, sia supporre l’intervento di una divinità e di un piano
provvidenziale che governa il mondo e gli uomini, come volevano le religioni
tradizionali e gli stoici. Da questo punto di vista ad Epicureo il materialismo
appare come la concezione in grado di inquietare meno gli uomini che non
appaiono sottomessi a divinità, fini supremi o piani indipendenti dalla loro
volontà.
UMANE
Epicuro e l’attenuazione del ___________
______________________________:
1 le ________________ degli atomo:
____________________
2 – ____________ __________________
il moto ___________________________
le _______________________________
e la _________________dell’___________
MATERIALISMO E INQUIETUDINI UMANE
Se la visione materialista ______________________________________________________________ allora:
no ___________________________ (_________________ e ____________________) no ______________________ ( ____________)
no ____________________ (________________)
__________________________________ =
= no sottomissione ________________________________________
no __________________________
84
4 - PLATONE / SOCRATE – LA STRUTTURA DEL DIALOGO E IL
CONCETTO
Il brano che segue, tratto dal dialogo Eutifrone, contiene un esempio del
procedimento attraverso cui Socrate pone il problema di una definizione
universale delle virtù. Interlocutore di Socrate è l'indovino Eutifrone.
Socrate si sta recando in tribunale. Anche Eutifrone è coinvolto in un processo:
egli ha, infatti, accusato il proprio padre, colpevole a suo parere, dell'omicidio di
un contadino alle sue dipendenze che aveva lasciato morire di fame e di freddo
incatenato in una fossa. Quest'ultimo aveva, infatti, ucciso un servo ed era stato
messo in catene dal padre di Eutifrone, in attesa che un messo si recasse ad Atene
per interrogare le autorità su come risolvere la questione. Prima del ritorno del
messo tuttavia il contadino, dimenticato dal padre nella fossa, era morto. Eutifrone
non ha dubbi che il padre sia colpevole e a tutti coloro che lo rimproverano di aver
commesso un'azione empia, accusando il genitore, risponde che l'uccisore va
incriminato. I suoi critici, afferma l'indovino, "non distinguono affatto che cosa è
santo e che cosa è non santo". Egli invece ne ha chiara coscienza; proprio per
questo può distinguersi dal volgo e non temere di commettere alcuna azione empia.
Di fronte alla ostentata sicurezza di Eutifrone, Socrate, secondo la sua tipica
modalità ironica, si offre di diventare suo scolaro: in tal modo, imparerà anch'egli
che cosa è santo e potrà facilmente difendersi dall'accusa di empietà che Meleto
gli ha rivolto. Ecco dunque il problema su cui viene a incentrarsi il dialogo: che
cosa è il santo e che cosa è il suo contrario, il non santo, l'empio. Il brano si apre a
questo punto del dialogo. Eutifrone fornisce una prima risposta al quesito: il santo
consiste nel condannare chi ha commesso un'ingiustizia. Socrate non è tuttavia
soddisfatto della risposta di Eutifrone che ha citato un singolo esempio di azione
santa; il filosofo invece chiedeva qual è quella idea del santo per cui alcune azioni
possono dirsi sante e altre no. La risposta di Eutifrone non può quindi essere
considerata una definizione. A Socrate interessa quale sia l'essenza, l'idea, la forma
del santo a cui tutti possono riferirsi come modello. Eutifrone fornisce allora una
seconda risposta: "santo è ciò che è caro agli dei". Ma Socrate non è convinto
neanche di questo secondo tentativo di definizione. Infatti, gli dei sono spesso tra
loro in disaccordo proprio su quelle stesse cose su cui anche gli uomini litigano fra
di loro. Le medesime cose sembreranno dunque ad alcuni dei giuste e ad altri
ingiuste. Esse risulteranno così, stando alla definizione di Eutifrone, sante e non
sante al contempo, il brano si ferma qui; nel prosieguo, Eutifrone tenterà una terza
e poi una quarta definizione, ma inutilmente, alla fine, sconfitto, l'indovino
abbandonerà la discussione.
SOCRATE. O meraviglioso Eutifrone! Dunque per me il partito migliore è
diventare tuo scolaro; e, prima che si discuta la causa che ho con Meleto, fare a
costui appunto questa proposta, e dirgli così: che io come, già nel passato, feci
sempre gran conto di conoscere le cose divine, cosi ora, poiché egli sostiene che
in queste cose divine mi sono reso colpevole di introdurre con tanta leggerezza
delle novità, ecco che ho voluto essere tuo scolaro; e gli direi: «Se tu, o Meleto,
sei d'accordo con me che Eutifrone in questa materia è uomo sapiente, ebbene,
devi giudicare che anch'io penso rettamente e non mi devi far causa; se invece non
è così, allora, prima che a me, il processo lo devi fare a lui che è mio maestro,
come a quello che corrompe non i giovani, ma i vecchi, me e il padre suo; me, in
quanto m'istruisce, suo padre, in quanto pretende correggerlo e vuole che sia
punito»; e se mi darà retta e desisterà dall'accusa, o non quereli te invece di me,
allora questa stessa proposta che gli avevo fatto prima gliela ripeterò in tribunale.
5
10
85
EUTIFRONE. Davvero, o Socrate, che se venisse voglia a colui di sostenere una
lite contro di me, saprei ben io, credo, trovare il suo punto debole, e tra noi due il
conto da saldare in tribunale ricadrebbe molto prima sopra di lui che sopra di me.
SOCR. Anch'io lo credo, caro amico; e appunto per questo ho gran desiderio di
diventare tuo scolaro. Ora dunque dimmi che cos'è quello che or ora affermavi di
conoscere così sicuramente: che cosa è che chiami il pio e che cosa l'empio, sia
riguardo all'omicidio sia riguardo ad altre azioni. Non è il santo, come tale,
identico sempre a se stesso in tutte le azioni? e non è a sua volta il non santo il
contrario di tutto ciò che è santo, ma identico sempre anche questo, come tale, a
se stesso; cosicché viene ad avere - tutto ciò, dico, che è per essere non santo - una
sua forma unica relativamente alla sua non santità?
EUTIFRONE Senza dubbio, o Socrate.
SOCRATE Via dunque, che cosa dici che sono il santo e il non santo?
EUTIFRONE Dico che il santo è quello che faccio ora io; se uno commette
ingiustizia rendendosi colpevole o di omicidio o di sacrilegio o di altro reato
simile, trascinarlo in giudizio, sia pure costui tuo padre o tua madre o chiunque
altro; non trascinarlo in giudizio non è santo. E bada, Socrate, che io ho una grande
riprova che la legge è così, che cioè non si deve concedere remissione alcuna a chi
commette empietà, chiunque esso sia; come già ebbi a dire anche ad altri per
provare appunto che solo operando in questo modo si opera rettamente.
SOCRATE Ora vedi di dirmi più chiaro quello che ti domandai poco fa; perché
con quella tua prima risposta, amico mio, non mi hai istruito abbastanza. Io ti
domandavo che cosa è il santo, e tu mi hai detto solamente che è santo ciò che stai
facendo tu ora accusando d'omicidio tuo padre.
EUTIFRONE E dicevo la verità, o Socrate.
SOCRATE Può darsi: ma certo, o Eutifrone, molte altre azioni ancora tu dici che
sono sante.
EUTIFRONE Molte altre, senza dubbio.
SOCRATE Ebbene, tu ricordi che non di questo io ti pregavo, di indicarmi una o
due delle molte azioni che diciamo sante; bensì di farmi capire che cosa è in se
stessa quella tale idea del santo per cui tutte le azioni sante sono sante. Dicevi, mi
pare, che per un'idea unica le azioni non sante non sono sante, e le sante sono sante;
o non ti ricordi?
EUTIFRONE Sì, mi ricordo.
SOCRATE E allora insegnami bene questa idea in sé quale è; affinché io, avendola
sempre davanti agli occhi e servendomene come di modello, quell'azione che le
assomigli, di quante o tu o altri possiate compiere, questa io dica che è santa; quella
che non le assomigli, dica che non è.
EUTIFRONE Se vuoi così, o Socrate, sta bene. Ti risponderò così.
SOCRATE Bravo, proprio così voglio.
EUTIFRONE Ecco qua dunque: ciò che è caro agli dei è santo, ciò che non è caro
non è santo.
SOCRATE Benissimo, o Eutifrone; proprio così io volevo tu mi rispondessi, così
ora mi hai risposto. Se poi con verità, questo non so ancora; ma certissimamente
saprai bene dimostrarmi tu che è vero quello che dici.
EUTIFRONE Senza dubbio.
SOCRATE O via, esaminiamo quello che stiamo dicendo. La cosa cara agli dei è
santa, l'uomo caro agli dei è santo; la cosa in odio agli dei non è santa, l'uomo in
odio agli dei non è santo. Non sono la stessa cosa il santo e il non santo, ma anzi,
tutto l'opposto l'uno dell'altro: non è così?
EUTIFRONE Proprio così.
SOCRATE Ed è stato detto bene. Ti pare?
EUTIFRONE Mi pare, o Socrate.
SOCRATE E che gli dei sono in lite fra loro, e che ci sono tra loro dissensi e
inimicizie degli uni contro gli altri, non è stato detto anche questo, o Eutifrone?
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EUTIFRONE Sì, è stato detto.
SOCRATE E dimmi, brav'uomo, su quali cose può essere il dissenso quando
produce inimicizia e collere? Vediamo bene questo punto. Se ci fosse dissenso fra
me e te intorno a un numero, per esempio, quale di due serie di oggetti è più
numerosa, che forse questo dissenso ci farebbe nemici e irosi l'uno contro l'altro,
oppure, fatto il conto, almeno su questa questione, ci troveremo subito d'accordo?
EUTIFRONE Certamente.
SOCRATE E se il dissenso fosse quale di due oggetti è più grande e quale più
piccolo, non cadrebbe subito anche questo dissenso, appena prese le misure?
EUTIFRONE È così.
SOCRATE E allora, quali sono i punti e quali i giudizi per cui, essendoci dissenso
fra noi e non potendo giungere a un accordo, diventeremmo irosi e nemici gli uni
contro gli altri? Forse non ti vengono a mente ora, ma te li dirò io: considera se
non siano il giusto e l'ingiusto, il bello e il brutto, il buono e il cattivo. Non sono
questi i punti per i quali, quando ci sia dissenso e non si possa venire a un giudizio
soddisfacente, accade talora che diventiamo nemici gli uni degli altri, e io e tu e
tutti gli uomini in generale?
EUTIFRONE Sì, o Socrate, questo è il dissenso, e su questi punti.
SOCRATE Orbene, Eutifrone, gli dei, se è vero che hanno tra loro qualche
dissenso, non l'avranno appunto su questioni di questo genere?
EUTIFRONE Necessariamente.
SOCRATE E dunque, mio bravo Eutifrone, secondo il tuo ragionamento, chi degli
dei giudica giusta una cosa e chi un'altra, e chi bella e chi brutta, e chi buona e chi
cattiva: che di certo non avrebbero liti fra loro se non dissentissero su questi
giudizi. Non è così?
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Socrate ritratto da Raffaello nella Scuola di
Atene. Socrate è ritratto nella tipica posa dell’
“enumerare”, caratteristica dei filosofi
EUTIFRONE Dici bene.
SOCRATE Dimmi ora, quelle
azioni che ognuno degli dei reputi
belle e buone e giuste, codeste
azioni non le amano essi anche, e le
contrarie le odiano?
EUTIFRONE Precisamente.
SOCRATE Ma le medesime cose,
lo dici tu, alcuni reputano giuste,
altri ingiuste; e appunto perché
disputano intorno a queste, sono in
lite e in guerra fra loro. Non è così?
EUTIPRONE Sì.
SOCRATE E dunque, è evidente,
le stesse cose gli dei odiano e
amano; che è quanto dire odiose
agli dei e care agli dei saranno le
stesse cose.
EUTIFRONE È chiaro.
SOCRATE E cioè le stesse cose
saranno sante e non sante, o
Eutifrone,
secondo
il
tuo
ragionamento.
EUTIFRONE Pare.
100
105
da Platone, Eutifrone, in Platone, Opere complete, Laterza, 1977
87
1 – La strategia di Socrate
2 – Il ragionamento: _____________________________________________________
3 – La definizione socratica del concetto
88
5 - P. HADOT1 – LA FIGURA DI SOCRATE
0 – La figura mitica di Socrate
1 - Il non-sapere socratico e la critica del sapere sofistico.
0 – La figura mitica di Socrate
Mi soffermerò, non tanto sulla figura storica di Socrate, difficilmente conoscibile,
quanto piuttosto sulla figura mitica di Socrate come ci è stata presentata dalla
prima generazione dei suoi discepoli.
… Le scuole fondate dai «socratici» mostrano di essere le più diverse le une dalle
altre; questo evidenzia la complessità dell'atteggiamento socratico. Socrate è stato
allo stesso tempo ispiratore di Antistene2, fondatore della scuola dei cinici che
sosteneva la tensione e l'austerità e che avrebbe influenzato profondamente lo
stoicismo di Aristippo3, fondatore della scuola di Cirene, per il quale l'arte del
vivere consisteva nel trarre il maggiore vantaggio possibile dalle situazioni che si
presentavano concretamente, senza disdegnare la distensione e il piacere, il che
avrebbe influenzato in modo consistente l'epicureismo, e di Euclide4, fondatore
della scuola di Megara, celebre per la sua dialettica, nonché dell’idealismo di
Platone ... Ad ogni modo, un punto accomuna tutte le diverse scuole socratiche:
con esse fa la sua comparsa il concetto, l'idea della filosofia intesa come un certo
discorso legato a un modo di vivere, e come un modo di vivere legato a un certo
discorso. …
1 Il non-sapere socratico e la critica del sapere sofistico.
Nella sua Apologia di Socrate, Platone ricostruisce a modo suo il discorso
pronunciato da Socrate davanti ai giudici durante il processo che lo vide
condannato. Socrate narra di come uno dei suoi amici, Cherefone, avesse chiesto
all'oracolo di Delfi se esistesse un uomo più sapiente di Socrate e di come gli fosse
stato risposto che non esisteva. Socrate si interroga allora su cosa significhino le
parole dell'oracolo e, al fine di scoprire un uomo più sapiente di se stesso, inizia
una lunga ricerca interrogando persone che, secondo la tradizione greca,
1
Pierre Hadot (1922 –2010) filosofo francese. Il suo ambito di interesse è la filosofia antica e la patristica,
di cui è stato uno dei massimi specialisti contemporanei insieme a J. P. Vernant di cui era amico.
2
Antistene ( 450 a. C. – 360). Fu scolaro di Gorgia, di Ippia e di Prodico, e in seguito fu tra i più devoti
seguaci di Socrate. Sfiduciato dalla, dialettica, propone vie di convincimento extra-logiche, affettive: la
persuasione, l'esempio, solo mezzo per rendere l'uomo-schiavo, preda dei propri bisogni, uomo-libero privo
ogni bisogno.
3
Aristippo di Cirene (? - 355 a. C.) fu all'incirca coetaneo di Platone, ed uno degli scolari di Socrate. Scelse
di rimanere ovunque uno straniero, di non fissare alcun ambiente come il proprio, di conservare l’autonomia
come valore determinante.
Scrisse brevi opere, che intendevano mostrare la superiorità e la prontezza del saggio in situazioni difficili;
di esse non ci resta nessun frammento. Ad Aristippo fece capo la «scuola cirenaica» che però non ebbe il
carattere di istituzione organizzata (a differenza, per esempio, dell'Accademia), ma constava semplicemente
di tutti coloro che individualmente professavano dottrine affini a quelle di Aristippo.
4
Euclide di Megara (450 a. C. – 375 a. C.) nacque a Megara, ma si trasferì ad Atene dove divenne discepolo
di Socrate. Alla sua morte tornò a Megara, dove accolse altri discepoli socratici fondando la Scuola
megarica.
Nessuna sua opera è sopravvissuta, ma il suo pensiero è riflesso nelle dottrine della scuola da lui fondata
molto vicina alla filosofia socratica e che ripresero anche alcuni temi teorici di origine eleatica.
89
possiedono la sapienza, ovvero il saper fare: uomini di stato, poeti e artigiani5. Ne
risulta che tutti quegli uomini che credono di sapere tutto non sanno nulla. Socrate
trae quindi una conclusione: se egli viene considerato il più sapiente è perché, da
parte sua, non pensa di sapere ciò che non sa. L'oracolo ha dunque voluto dire che
il più sapiente degli umani è «colui che è cosciente di non valere nulla per quanto
riguarda il sapere»6. Sarà proprio questa la definizione platonica del filosofo nel
dialogo intitolato il Simposio: il filosofo non sa nulla, ma è cosciente del suo nonsapere.
Il compito di Socrate, quello che gli è stato affidato dall'oracolo di Delfi, ovvero
dal dio Apollo, dice l'Apologia, sarà dunque quello di rendere coscienti gli altri
uomini della loro non-sapienza. Per compiere una simile missione, Socrate farà
proprio l'atteggiamento di colui che non sa nulla, ossia l'atteggiamento dell'ingenuo. Ecco la ben nota ironia socratica: la finta ignoranza, l'aria candida con la
quale, ad esempio, il filosofo ha indagato per scoprire se esistesse un uomo piú
sapiente di lui. Come dice un personaggio della Repubblica: “Eccola qui la
famosa ironia di Socrate! Lo sapevo io, anzi lo dicevo prima al resto della
compagnia che tu non solo non avresti voluto rispondere, ma avresti anche finto
ignoranza e tentato ogni via piuttosto che rispondere alle domande che ti fossero
state rivolte.”7.
A destra: Il tempio di Apollo a
Delfi come si presenta oggi.
A
sinistra:
consultazione
dell’oracolo di Delfi.
Secondo la tradizione, fu la
sentenza della sacerdotessa pizia
che lo definiva come "il più
sapiente fra gli uomini' a spingere
Socrate ad interrogare coloro che
riteneva essere più saggi di lui.
Questo spiega perché, nelle discussioni, Socrate è sempre colui che interroga:
«egli ammette di non sapere nulla», nota Aristotele. « Socrate, disprezzando se
stesso, - ci dice Cicerone, - concedeva piú di quanto dovesse agli interlocutori ai
quali si trovava contrapposto: cosí, pensava una cosa e ne diceva un'altra e
provava gusto nell'usare abitualmente quel genere di dissimulazione che i Greci
chiamano ironia». In realtà, non si tratta di un atteggiamento artificiale, di un uso
ad oltranza della dissimulazione, ma piuttosto di una sorta di umorismo che rifiuta
di prendere completamente sul serio gli altri e se stessi, perché effettivamente,
tutto ciò che è umano, e per lo meno ciò che è filosofico, è cosa ben poco certa,
per la quale non ci si può insuperbire. La missione di Socrate consiste, dunque,
nel rendere coscienti gli uomini del loro non-sapere. Si tratta qui di una vera
rivoluzione per quanto riguarda il concetto del sapere. Senza dubbio Socrate può
rivolgersi, e lo fa volentieri, ai profani, che non possiedono che un sapere
convenzionale, che agiscono soltanto sotto la spinta di pregiudizi senza un
fondamento ragionato; egli intende dimostrare loro che il preteso sapere che
dicono di possedere si fonda sul nulla. Ma Socrate si rivolge soprattutto a coloro
che sono convinti, grazie alla loro cultura, di possedere «il» sapere. Fino a Socrate
erano esistiti due tipi di personaggi del genere: gli aristocratici del sapere, ossia i
5
Una delle tesi principali di Hadot è che la filosofia è nata, nell’antichità greca, come “stile di vita”,
saggezza intesa come “saper vivere”, in una unità di teoria e prassi tipica dell’epoca nella quale appunto
nasce.
6
Platone, Apologia, 20a-23b
7
Platone, Repubblica, II, 337a
90
maestri di saggezza o di verità come Parmenide, Empedocle8 o Eraclito, che
contrapponevano le loro teorie all'ignoranza della folla, e i democratici del sapere,
che pretendevano di poter vendere il sapere a tutti quanti ... avrete senz'altro
riconosciuto i sofisti. …
Quando Socrate pretende di non sapere che una cosa, ossia di non sapere nulla, è
perché rifiuta l'idea tradizionale del sapere. Il suo metodo filosofico non consisterà
nel trasmettere un sapere, il che equivarrebbe a rispondere alle domande dei
discepoli, ma al contrario nell'interrogare i discepoli, dato che lui stesso non ha
niente da dire, niente da insegnare riguardo al contenuto teorico del sapere.
L'ironia socratica consiste nel fingere di voler imparare qualcosa dal proprio
interlocutore, al fine di condurre quest'ultimo a scoprire di non sapere nulla
sull'argomento riguardo al quale pretende di essere sapiente.
Tuttavia, questa critica del sapere, apparentemente del tutto negativa, ha un
doppio significato. Da un lato presuppone che il sapere e la verità non possano
essere ricevuti già confezionati, ma debbano essere generati da ogni singolo
individuo. Ecco perché, nel Teeteto, Socrate afferma di accontentarsi, durante una
discussione con altri, di fare la parte della levatrice. Egli stesso non sa niente e
non insegna niente, ma si accontenta di porre domande; le domande stesse aiutano
i suoi interlocutori a generare la «loro» verità. Una simile immagine lascia
chiaramente capire che la conoscenza si trova nell'anima stessa, e che soltanto
l'individuo può scoprirla, non prima però di aver capito, grazie a Socrate, che il
proprio sapere era vuoto. Nell'ambito del proprio pensiero, Platone esprimerà
miticamente quest'idea dicendo che ogni conoscenza è reminiscenza di una
visione che l'anima ha avuto in un'esistenza anteriore. Bisogna dunque imparare
a ricordare di nuovo. In Socrate, però, la prospettiva è del tutto diversa. Le
domande di Socrate non conducono il suo interlocutore a sapere qualcosa e a
pervenire a delle conclusioni, che potrebbero essere espresse in forma di
proposizioni, riguardo a questo o quell'argomento. Il dialogo socratico porta
invece ad una aporia, all'impossibilità di concludere e di formulare un sapere. Oppure, ancora, l'interlocutore, dopo aver scoperto la vanità del proprio sapere,
scoprirà al tempo stesso la propria verità, ossia che passando dal sapere a se stesso
egli comincerà a mettere se stesso in discussione. Per dirlo in altre parole, nel
dialogo «socratico» la vera posta in gioco non è quello di cui si parla ma, come
dice Nicia, personaggio di Platone, colui che parla: “Non mi sembra che tu sappia
che chi si trovi a ragionare con Socrate, come capita, ed entri in conversazione
con lui, qualunque sia il soggetto in discussione è trascinato ed è forzato a
continuare finché non si trova a render conto di sé, del modo in cui ha trascorso
la sua vita; e una volta giunto a quel punto, Socrate non lo lascia piú andare via,
prima di averlo passato al vaglio ben bene e in ogni parte ... Perché mi fa piacere,
Lisimaco, stare con lui e non credo che sia affatto male che ci sia richiamato alla
mente che abbiamo vissuto e viviamo non bene, ch'anzi è forza maggiore che si
sia piú attenti per l'avvenire... “9.
Socrate conduce dunque i propri interlocutori ad esaminare e prendere coscienza
di se stessi. Come un «tafano» Socrate sprona i suoi interlocutori con domande
che li mettono in discussione, che li costringono a fermare l'attenzione su se stessi,
a curarsi di se stessi: “Oh tu che sei il migliore degli uomini, tu che sei ateniese,
cittadino della piú grande città e piú rinomata per sapienza e potenza, non ti
vergogni a darti pensiero delle ricchezze per ammassarne quante piú puoi, e della
8
Empedocle (490 a. C. - 350 a. C.) nacque ad Agrigento, da ricca famiglia di parte democratica. Fu
anch'egli uno dei principali esponenti della parte democratica; in una data non precisata gli fu offerto il
governo della città, ma lo rifiutò. Ebbe fama di grande oratore. Morì probabilmente in esilio.
Accanto ai tradizionali principi materiali (acqua, aria, terra, fuoco) ammise l’azione di due forze che li
muovono, Amore e Odio, che tendono rispettivamente a congiungere e a separare gli elementi originari.
9
Platone, Lachete,
91
fama e degli onori; e invece dell'intelligenza e della verità e della tua anima, che
si tratterebbe di rendere migliore, non ti dai affatto né pensiero né cura?”10
Non si tratta, dunque, soltanto di mettere in forse il sapere apparente che crediamo
di possedere, ma soprattutto di mettere in questione noi stessi e i valori che
reggono la nostra vita. Infatti, dopo aver dialogato con Socrate, il suo interlocutore
non sa più assolutamente per quale motivo agisca. Diventa cosciente delle
contraddizioni del suo discorso e delle proprie contraddizioni interiori. Dubita di
se stesso. Giunge, come Socrate, alla conclusione di non sapere nulla. Ma facendo
ciò, riesce a distaccarsi da se stesso, si sdoppia, una parte di sé si identifica ormai
con Socrate in quell'intesa reciproca che Socrate esige dal proprio interlocutore in
ogni tappa della discussione. In lui avviene, dunque, una presa di coscienza di se
stesso; mette ormai, da solo, se stesso in discussione. Il vero problema non è
dunque il sapere questa o quella cosa, ma l'essere in questo o quel modo: “Non
mi preoccupo affatto per le cose di cui si preoccupa la maggior parte della gente:
affari, denaro, amministrazione di beni, cariche di stratega, successi oratori in
pubblico, magistrature, coalizioni, fazioni politiche. Non ho intrapreso questa via
... ma quella grazie alla quale, a ciascuno di voi in particolare, potrò arrecare il
maggiore dei benefici tentando di persuaderlo a preoccuparsi meno per quello che
possiede che per quello che è lui stesso, al fine di diventare il più possibile
eccellente e ragionevole”11.
Questo appello a «essere», Socrate non lo esercita soltanto con le sue domande,
con la sua ironia, ma anche e soprattutto con il suo modo di essere, con il suo
modo di vivere, con il suo stesso essere.
P. Hadot, “Che cos’è la filosofia antica?”, Einaudi, 1998, (estratti pag. 25-31)
10
11
Apologia di Socrate, 29 d-e
Ibidem, 36c
92
4 - PLATONE E L’IDEALISMO ANTICO
1 L'interesse per la politica
2 Platone e la tradizione aristocratico-sacerdotale
3 La teoria delle idee
L'INTERESSE PER LA POLITICA
Platone nacque, nel 428/427, in una grande famiglia aristocratica che, per
splendore di tradizioni ed effettivo ruolo sociale, si collocava al centro della vita
politica e sociale di Atene. La famiglia del padre rivendicava la sua discendenza
da Codro, l'ultimo re di Atene; quella della madre, risaliva a un congiunto di
Solone. Un re e un saggio legislatore, dunque, nella lontana ascendenza di
Platone, quasi a segnarne la vocazione al potere, ma ad un potere accompagnato
dalla legge e dalla ragione. Ma altre, più vicine, parentele influiscono
direttamente sulla formazione del giovane Platone: fu decisivo il ruolo dello zio
materno, Crizia, «sofista» e futuro tiranno di Atene. Attraverso Crizia, il giovane
Platone venne senza dubbio in contatto con il gruppo di quegli estremisti
aristocratici, filospartani, che progettavano - e poi effettivamente realizzarono,
anche se per breve tempo - una restaurazione del potere oligarchico in Atene; un
potere, questo, accompagnato non dalla ragione ma dalla violenza, dal rifiuto
della legge e della mediazione politica. Nel circolo di Crizia Platone venne
anche in contatto con Socrate, che gli era legato; e l'insegnamento di Socrate, con
le sue ambiguità ma anche con la sua suggestione, con la mescolanza che gli era
propria di audacia innovativa e di richiamo alla tradizione soloniana, avrebbe
inciso durevolmente sul pensiero di Platone. La biografia di Platone fu
profondamente segnata da queste origini e da queste esperienze. La sua
collocazione sociale lo predestinava all'impegno politico e all'esercizio del
potere nella città; negli anni della giovinezza, egli guardò con simpatia al gruppo
di Crizia e aderì si può dire naturalmente al suo esperimento tirannico. Ma lo
scoppio di violenza cui questo esperimento diede luogo, il suo stesso tragico
fallimento, in cui Crizia perse la vita, convinsero Platone a un tempo
dell'ingiustizia e dell'impossibilità di un potere fondato solo sulla forza. L'eredità
di Solone e l'insegnamento di Socrate, del resto, stavano a indicare non solo la
via della necessaria mediazione politica, ma anche l'esigenza di accompagnare
al potere sapienza e saggezza.
D'altra parte la restaurata democrazia dell'inizio del IV secolo non sembrava in
grado di risolvere i problemi. Istintive ragioni sociali portavano del resto Platone
a diffidare di questo regime, in cui l'aristocrazia era sempre più premuta dai
ceti commerciali e dal proletariato urbano; il processo a Socrate (399)
confermò, agli occhi di Platone, la convinzione che il potere non può essere di
tutti in quanto non tutti raggiungono la necessaria sapienza e saggezza per
poterlo gestire con giustizia.
La condanna di Socrate segnò anche il definitivo distacco di Platone da ogni
fiducia di poter mutare dall'interno il quadro della città. Costante rimane però
la vocazione politica, l'intenzione di creare un potere che resti fondamentalmente
aristocratico nel suo assetto sociale ma che disponga di giustificazioni e di
capacità progettuali nuove, valide non per un ceto soltanto ma per l'intero corpo
politico della città. Per la realizzazione di questo progetto Platone pensò e
sperimentò vie diverse, dall’elaborazione teorica, volta a giustificare il proprio
progetto politico, all’azione educativa, indirizzata a dar vita a un ceto dirigente
in grado di attuare tale progetto fino alla pratica dell'alleanza con tiranni e
potenti, per ottenerne almeno l'iniziale e violento colpo di spugna sulla situazione
di fatto, da cui potesse muovere la ricostruzione della società; intorno a questo
L’origine __________________________
Gli avvenimenti ____________________
determinanti la _____________________
1 - ________________________________
___________________________________
2 - ________________________________
Il progetto __________________
93
progetto ruota comunque la successiva biografia di Platone. Platone affrontò i
primi due aspetti fondando in Atene, nel 387, l'Accademia (così detta dal ginnasio e dal giardino dedicati all'eroe Akademos, che Platone acquistò per la
scuola). L'Accademia era agli inizi, e restò durante tutta la vita di Platone,
un'istituzione complessa che non ha equivalenti nel mondo moderno. Dal punto
di vista giuridico, si trattava di un'associazione religiosa, dedicata al culto delle
Muse; in realtà, essa era al tempo stesso un'organizzazione politica, che
raccoglieva giovani aristocratici di Atene e dell'intero mondo greco, un centro
di ricerca scientifica, al quale facevano riferimento non solo filosofi ma
matematici, astronomi, scienziati, e un grande istituto di educazione superiore, il
primo del genere nella storia della Grecia. Il carattere qualificante
dell'Accademia era la vita in comune che vi conducevano maestri e discepoli,
l'accordo su un progetto di riforma etico-politica della società, e la convinzione
che questo progetto doveva essere basato sul sapere filosofico-scientifico. Dal
387 in poi, l'intera vita intellettuale di Platone si svolse all'interno
dell'Accademia; molte delle sue principali opere filosofiche (come la
Repubblica, il Parmenide, il Filebo, le Leggi) possono essere interpretate come
documenti programmatici o contributi ai dibattiti interni della scuola.
Per quanto riguarda il terzo aspetto (la ricerca dell’alleanza di un tiranno per
poter disporre del potere e avviare un progetto di ricostruzione della società),
Platone tentò con una serie di viaggi di influenzare i governi dei tiranni,
dapprima, di Taranto e, in seguito, di Siracusa, allora la maggiore città di tutto
il mondo greco dopo Atene. Al di là del fallimento di questi tentativi, dovuti
all’impossibilità di legare ai propri progetti la volontà di chi deteneva il potere,
Platone non si accorse che il modello di istituzioni politiche che egli ancora
privilegiava, la città-stato, andava ormai perdendo importanza di fronte al
nuovo modello delle grandi monarchia, come dimostrò il fatto che dopo solo
dieci anni dalla morte di Platone, avvenuta nel 347, Filippo di Macedonia
avrebbe definitivamente posto fine all’autonomia delle città greche,
inglobandole nel regno macedone.
IL PROGETTO ___________________________ DI PLATONE
1 ___________________________
1 - ________________________________________
_________________
2 ___________________________
2 - ________________________________________
3 ___________________________
3 - _____________________________________________
_____________________________________
PLATONE E LA TRADIZIONE
ARISTOCRATICO-SACERDOTALE
Platone è il padre dell'idealismo, di quella concezione filosofica che considera i
concetti (ad esempio, uomo, animale, ecc..) e i valori (verità, bellezza, bontà,
giustizia ecc.) come entità dotate di autonoma esistenza, rispetto alla realtà empirica
dei fatti (giudicata come inferiore, illusoria, apparente). In questa serie di opposizioni
(tra valori e fatti, idee e cose, realtà e apparenza) consiste il dualismo platonico, che
verrà in seguito rifiutato da Aristotele.
L’idealismo, in quanto visione della realtà, viene elaborato da Platone in vista dei
suoi interessi che, come abbiamo visto, sono essenzialmente politici e riprendendo
i temi e la prospettiva tipica della tradizione aristocratico-sacerdotale, di cui
l’idealismo platonico rappresenta, per molti versi, la maggiore elaborazione, come
la visione materialistica di Democrito per i filosofi della città.
Vediamo, inizialmente, come giunge Platone a porsi il problema della concezione
Idealismo = _________________ e valori
__________________________________
rispetto alla _______________________
__________________________________
Platone e la tradizione _________________
___________________________________
Dalla politica alla ____________________
___________________________________
94
della realtà partendo dai suoi interessi politici.
Sicuramente la riflessione platonica prende le mosse dal processo e dalla condanna
a morte di Socrate: la città ha votato per la morte di un uomo giusto, condannandolo
per le sue idee. Come è potuto accadere questo?
Nel libro I della Repubblica, scritto negli anni giovanili, trovano espressione
drammatica i dilemmi morali suscitati da quella condanna. L'impulso, da cui
prende avvio la filosofia platonica, è in questo scandalo della vita etica: perché
nella vita politica accade sovente che l'ingiusto trionfi e sia felice, mentre all'uomo
giusto tocca di soccombere, pagando di persona il vano tentativo di migliorare le
cose con la giustizia? Che cosa bisogna pensare della giustizia stessa, se
proprio la migliore costituzione, quella ateniese, condanna a morte un innocente
come Socrate? Hanno forse ragione quanti la riducono all'utile del più forte (del
tiranno), a una mera convenzione, negandole valore e realtà in sé? Oppure ha avuto
ragione Socrate, il quale ha preferito subire l'ingiusta condanna, comminata sulla
base di leggi in sé giuste, anziché coprirsi di vergogna e passare dalla parte del
torto, cercando di evitare la morte con la fuga? Solo dando valore e realtà in sé
all’idea di giustizia si poteva sottrarre la vita sociale al corrosivo relativismo
sofistico o allo scetticismo che colpirono probabilmente la stessa cerchia di Socrate,
dopo la sua morte.
Ma per risolvere il problema della giustizia, Platone doveva prima affrontate il più
generale problema della conoscenza stabilendo la possibilità di giungere a
conoscere con certezza la realtà dei valori. Lo stesso Socrate aveva rimandato
la soluzione del problema dell'agire a quella del problema del conoscere,
sostenendo che “nessuno fa il male sapendo che è male, ma per ignoranza”.
L’intento principale di Platone all'inizio della sua riflessione era, dunque, quello di
trovare un adeguato criterio di conoscenza: un criterio che fosse valido ed eticamente
fondato nella vita pratica, e che nel contempo potesse superare con successo lo
scetticismo conoscitivo propugnato dalla sofistica, e in parte confermato dallo stesso
Socrate. Era necessario cioè superare l'esperienza socratica del «sapere di non sapere» e
della «maieutica»12: era necessario trovare e indicare quelle cose che Socrate
continuamente cercava quando chiedeva «che cos'è il giusto» o «che cos'è il bello».
Per trovare questo adeguato criterio di conoscenza Platone si riallaccia alla
tradizione aristocratico-sacerdotale.
II problema della verità e della certezza della conoscenza può essere per Platone
risolto solo se esiste una precisa realtà alla quale questa conoscenza si riferisce. La
domanda «come è possibile una conoscenza indubitabile, certa e sicura?» risulta allora
subordinata a un quesito più radicale: «esiste una realtà altrettanto indubitabile,
certa e sicura?».
Protagora, secondo Platone, era approdato al suo relativismo e al suo scetticismo
conoscitivo in base a una ben precisa concezione della realtà: poiché tutto ciò che
esiste è in continuo movimento (come volevano gli eraclitei), la conoscenza non potrà
che essere momentanea e soggettiva, o al massimo dovrà limitarsi alla pura convenzione
linguistica. Se infatti le cose cambiano continuamente, e sempre diversi sono anche gli
individui che le percepiscono, agli uomini non resta che mettersi d'accordo per
esigenze pratiche sui nomi da dare agli oggetti: nomi che rimangono fissi solo per
convenzione e che non hanno nulla a che fare con la mutevole realtà delle cose. Negare
il principio parmenideo secondo cui esiste una realtà immobile e certa conduce a
negare che esista una conoscenza universale e sicura e, dunque, allo scetticismo.
Poiché invece Platone intende fondare la conoscenza in modo adeguato e persuasivo (in
vista degli obiettivi etici, politici ed educativi che conosciamo) è allora evidente che
occorre ritornare a Parmenide. Occorre, cioè, stabilire che esiste un essere provvisto
La morte di Socrate : __________________
un valore ________________________ o
_____________________________?
come stabilire ____________________
Socrate:____________________________
___________________________________
(vedi lettura: Socrate-Platone: La
struttura d el dialo go e il concetto)
Conoscenza ________________ e realtà
____________________________
Protagora: _________________________ e
realtà ____________________________
Parmenide: conoscenza certa e_________
___________________________
12
L’aspetto costruttivo del dialogo in cui Socrate attraverso una serie di domanda cerca di portare i suoi
interlocutori a definire con sempre maggior chiarezza i concetti, mirando a una definizione che sia valida
per tutti i casi particolari, a cui in genere invece si fermano i suoi interlocutori.
95
delle caratteristiche che questa scuola gli aveva attribuito: immobile, sempre identico a
sé, non soggetto né al cambiamento né alla generazione e corruzione.
D'altra parte Platone appare consapevole sia dei limiti dell'eleatismo, sia dei limiti di
quelle filosofie che si richiamavano ai filosofi della città. Parmenide aveva
contrapposto «essere vero» alla realtà sensibile, ma non aveva adeguatamente illustrato
che cosa realmente intendeva con questo «essere», né i suoi rapporti con il mondo
dell'esperienza. I filosofi della città, dal canto loro, avevano cercato di risolvere tale
problema riconducendo tutto alla natura, alla materia, cioè individuando nella natura
stessa gli aspetti della realtà rispondenti alle esigenze eleatiche (vedi atomo di
Democrito): ma Platone rigetta completamente questa linea speculativa. A suo avviso
la natura, con tutti i suoi prodotti e tutte le varie forme in cui può trasformarsi e
moltiplicarsi, è infatti il regno della mutevolezza e della diversità, perciò non può
esibire i tratti specifici di cui deve essere dotato l'essere di Parmenide. Se dunque esiste
veramente una realtà provvista delle caratteristiche che le avevano attribuito gli
eleatici, sarà possibile trovarla solo seguendo la direzione opposta a quella seguita dai
filosofi della città: non cercandola nella natura, ma muovendo al di là di essa, verso
dimensione ulteriore e diversa.
Platone è così il primo filosofo nella storia del pensiero occidentale che progetta di
costruire una «metafisica», cioè una dottrina che divide la realtà in due dimensioni
completamente diverse. La prima e più alta dimensione è al di là delle cose fisiche
(questo il significato di «metafisica», una parola peraltro coniata solo molto più
tardi), eterna e immodificabile (come volevano gli eleati), ma soprattutto immateriale e
non sensibile, e può essere colta solo l'intelletto. La seconda dimensione è continuamente
mutevole e sempre soggetta al divenire, ma soprattutto è materiale può essere colta
attraverso i sensi. Platone ha dato alla prima di queste d dimensioni il nome di «idea»
o di «mondo ideale».
Limite di _________________________:
non spiega i rapporti tra _______________
immutabile e la ______________________
_____________________________
Limite dei _________________________:
realtà = ________________________
ma ________________________________
Da ___________________________ al
mondo delle ____________________
Le dimensioni della realtà
1 – la realtà _____________: al di là __________________________ (mondo _____________)
- _________________________________________
- ____________________________________________
- _________________________________________
- ____________________________________________
- _________________________________________
2 – la realtà _______________________________ (mondo __________)
- _________________________________________
- ____________________________________________
- _________________________________________
Oltre a Parmenide, Platone si riallaccia alla tradizione aristocratico-sacerdotale
anche tramite Socrate, che aveva fatto dell’anima il soggetto principale del mondo
intelligibile (del mondo della ragione opposto al mondo dei sensi), la quale
utilizzava i concetti, che si costituiscono nel dialogo con gli altri, per giudicare il
mondo reale.
Socrate però, pur rifiutando l’idea dei sofisti che i diversi punti di vista espressi nel
dialogo fossero equivalenti o comunque tutti ugualmente giustificabili, aveva
ritenuto che non fosse possibile arrivare a definire in maniera esauriente i singoli
concetti e non aveva detto nulla sulla reale natura dei concetti. Platone vuole invece
riconoscere un’esistenza reale ai concetti, indipendente dal pensiero umano e dal
dialogo che li costruisce, per farli diventare qualcosa di oggettivo, di sottratto alla
soggettività di chi li esprime. I concetti diventeranno allora, nella visione della realtà
di Platone, i coabitatanti, insieme all’anima, del mondo intelligibile, diventeranno
Da ___________________________ al
mondo delle ____________________
__________________ e ______________
dal ___________________ socratico a
________________ del mondo _________
______________________________
Funzione __________: ________________
96
le idee che, in quanto appartengono al mondo intelligibile, sono eterne, immutabili
e quindi oggetto di una conoscenza certa e universale.
Anche l’anima assume nella riflessione platonica nuove caratteristiche che Platone
desume soprattutto dalla tradizione, anch’essa di origine aristocratico-sacerdotale,
orfico-pitagorica13. Tale movimento aveva cercato di delineare, sulla base di
determinate credenze filosofiche e religiose, i fondamenti della vita morale. In
particolare, i suoi esponenti avevano affrontato i problemi dell'educazione, della
virtù e della felicità, appoggiandosi in maniera decisiva alla dimensione
ultraterrena. Platone fa in larga misura proprio questo orientamento e più di una
volta introduce nelle sue opere miti significativi circa il destino dell'uomo dopo la
morte. Ad esempio, nel Gorgia viene elaborato un mito tipicamente orfico
riguardante il giudizio che le anime devono subire una volta staccate dal corpo allo
scopo di suffragare con una prova ulteriore il principio socratico secondo cui «chi
patisce ingiustizia è più felice di chi la commette». La frequenza con cui Platone
insiste sull'immortalità dell'anima e sul suo destino ultraterreno ci mostra
ch'egli attribuiva a questi temi un'importanza centrale: essi infatti eliminavano
quella venatura di incertezza che caratterizzava la morale di Socrate, il quale si
era avviato alla morte senza sapere con sicurezza assoluta (come Platone gli fa
testualmente dire nell'Apologia) se la sua fosse veramente la sorte migliore.
L’anima che per Socrate era essenzialmente il centro della personalità
dell’uomo diventa nella riflessione platonica un’entità immortale il cui destino
eterno si compie nel mondo delle idee.
Funzione __________: ________________
la tradizione ________________________
l’anima da _________________________
___________ (Socrate) a ______________
____________________________
LA TEORIA DELLE IDEE
LE CARATTERISTICHE DELLE IDEE
Con «idea» noi intendiamo in primo luogo il contenuto della mente, una specie di
rappresentazione interiore della realtà; oppure, in altri casi, intendiamo un'astratta
elaborazione del pensiero, che è reale in quanto è pensata. In altre parole noi
attribuiamo all'idea una consistenza soprattutto mentale, o, comunque, legata all’ambito
conoscitivo. Per Platone, invece, l'idea ha una sua esistenza indipendentemente dalla
nostra mente e proprio perché è qualcosa di veramente esistente essa può essere anche
pensata. L'idea non è insomma un puro contenuto mentale, ma è quell'«oggetto» cui la
mente si riferisce quando pensa qualcosa.
Aiutiamoci con un esempio. Davanti a me ho il mio cane; lo guardo, lo accarezzo, lo
ascolto quando abbaia. Questo cane è uno degli oggetti esterni a me con cui io entro
in relazione quando percepisco qualcosa. Se invece non percepisco attualmente il
cane, posso ugualmente cercare di rappresentarmelo con un'idea. Quest'idea, d'altra
parte, può sia riferirsi al mio cane, sia riferirsi ad un qualsiasi cane: cioè ad un
cane in generale, senza nessuna determinazione specifica che distingua un cane da
un altro. Questa è precisamente l'operazione che io compio quando formulo un
concetto del tipo «il cane è il migliore amico dell'uomo». In questo caso io ho
introdotto un soggetto (il cane) che intendo applicabile a tutti i tipi di cane
esistenti; cioè un soggetto, una realtà universale. Ecco, questa nozione
universale non è per Platone un semplice pensiero, ma è piuttosto un ente, una realtà
13
L’orfismo è una religione di origine orientale per la quale in ogni uomo vi è un demone o un'anima di natura
divina e immortale. Nel corpo l'anima si trova come in una tomba, il suo fine è liberarsene. La morte non rappresenta,
in questa prospettiva, qualcosa che debba essere temuto, ma un'occasione di liberazione. La liberazione può essere
conseguita, però, solo da chi durante la vita abbia raggiunto una completa purificazione. Gli uomini durante la vita si
mostrano per lo più schiavi del corpo e trascurano la loro parte più divina: per questo, dopo la morte, la loro anima è
destinata, invece che alla liberazione, alla reincarnazione in un altro corpo. La serie delle reincarnazioni dura
finché l'anima abbia compiuto il proprio percorso di purificazione. A questo fine è necessario mantenere una
condotta di vita ineccepibile. L'esercizio ininterrotto nel dominio del corpo e una lunga iniziazione sono necessari
a rendere chi vi si sottopone capace di estasi ( "star fuori"); cioè permettono di uscire dalla gabbia della corporeità e
di "vedere" una verità accessibile a pochi, dalla quale viene fatta discendere una speranza di salvezza personale
nell'oltretomba.
97
esistente a tutti gli effetti: non questo cane o quel cane, ma il cane in sé, l'idea del
cane. Da un lato abbiamo dunque i cani particolari, che esistono in numerosi e
differenti esemplari, appartengono alla realtà sensibile e di conseguenza si
offrono alla mia percezione. Dal lato opposto abbiamo invece l'idea universale del
cane, che esiste in un unico esemplare sempre identico a se stesso, appartiene
alla realtà intelligibile e di conseguenza può essere colta solo dal pensiero. Ci
sono così, come abbiamo anticipato sopra, due tipi ben distinti di realtà. Ciò
significa che l'«idea» di una cosa non è quella medesima cosa indebolita dal fatto di
essere solo pensata e di non esistere attualmente; al contrario, anch'essa è
pienamente reale, solo che la sua realtà appartiene ad un piano diverso: al piano
della realtà intelligibile e non a quello della realtà sensibile.
Ma Platone si spinge ben oltre. Non solo le idee non sono affatto delle copie sbiadite
delle cose sensibili: esse sono invece la vera realtà, mentre le cose sensibili
sono solo la loro copia imperfetta. Le idee sono, in altre parole, le forme o
i modelli che le cose imitano, sono cioè la realtà di ciascuna cosa vista nella
perfezione che può attribuirle solo il pensiero e privata delle caratteristiche
inessenziali che qualificano le realtà concrete. Torniamo, per chiarire meglio,
all'esempio del cane: questo cane ha le orecchie lunghe, quell'altro le ha invece
corte; questo cane ha il pelo lungo e liscio, mentre altri cani ce l'hanno corto e a
spazzola, altri ricciuto, e così via. Ora, nessuna di queste qualità appartiene all'idea
del cane e, d'altra parte, nessun cane concreto rappresenta in quanto tale l'idea del
cane alla perfezione. La vera realtà non è dunque quella che appare nel mondo
sensibile, dove esistono oggetti molteplici e diversi, ma è quella che si
manifesta nell'idea, dove la «forma» delle cose è unica, perfetta e sempre
identica a se stessa.
Il ragionamento che abbiamo condotto mediante il riferimento al cane può e deve
essere ampliato anche ad oggetti di più vasto respiro, a quelle realtà che noi
siamo abituati a definire astratte. Esistono molteplici azioni giuste, diversi e vari
casi di santità, di bellezza, di coraggio, ecc. E’ evidente che nessuno di questi casi
rappresenta la giustizia, la bellezza, il coraggio in se stessi. E, soprattutto, nessuno
di questi casi può essere utilizzato per giudicare degli altri casi. Ad esempio, se
io ho realizzato un «caso particolare» di azione giusta restituendo un debito,
questo non significa che «la giustizia in sé» consista nel «restituire i debiti».
Capita infatti l'evenienza in cui «restituire un debito» non sia giusto. Allora è
chiaro che tutti questi casi di giustizia sono tali perché partecipano di quella
realtà perfetta, sempre identica a se stessa, che è l'idea del giusto: solo l'idea
del giusto è veramente universale, perché solo per mezzo suo posso giudicare di
tutte le azioni giuste, nessuna esclusa.
Abbiamo visto che le idee sono in primo luogo dei modelli: cioè degli enti
universali che rappresentano in maniera perfetta ed unica quelle realtà che nel
mondo dell'esperienza appaiono in molteplici esemplari, tutti più o meno lontani
dal vero, e che, sul piano cognitivo, ci servono per giudicare delle singole cose e dei
diversi casi. Sembrerebbe dunque che la differenza stia solo nel fatto che si tratta di
due realtà diverse, coglibili dall'uomo con distinti procedimenti conoscitivi.
Invece per Platone i due mondi sono differenziabili anche (e soprattutto) dal
punto di vista del valore. Le stesse parole con cui vengono introdotte e definite
le idee sono di per sé indicative. Dire che le idee sono dei «modelli perfetti»
implica già una valutazione, una preferenza per il mondo delle idee nei confronti del
mondo sensibile. La superiorità delle idee risiede però , per Platone, soprattutto nel
loro essere le cause da cui ha origine la realtà, il mondo dell’esperienza e, forse, più
ancora nel loro configurasi come quella dimensione superiore a cui il mondo reale
tende come suo fine per poter realizzare la perfezione che il mondo delle idee
rappresenta.
98
LE CARATTERISTICHE DELLE IDEE
in quanto hanno una ____________________________________________:
1 - sono nozioni ______________________________________________________________________________________
2 - possono essere colte solo da ___________________________________________________________________________
In quanto rappresentano la ________________________________:
1 – sono modelli, forme delle ____________
2 – ___________________________________________________
3 - ___________ del mondo delle cose, dell'esperienza
4 - _______ a cui tende in mondo reale
Pur essendo molteplici le idee non formano affatto una pluralità disorganizzata. Esse
costituiscono piuttosto una "trama" di essenze aventi un ordine gerarchico-piramidale,
con le idee-valori in cima e l'idea del Bene al vertice. Difatti, se le cose partecipano delle
idee, le idee partecipano a loro volta del Bene, che è l'idea delle idee, il supremo valore
e la perfezione massima di cui le altre idee sono imitazione o riflesso. Allo stesso
modo anche l’uomo e l’intero universo nella misura in cui partecipano, seppure
imperfettamente alle idee, partecipano anche all’idea del Bene.
L'idea del Bene è stata talora assimilata a Dio. Questa lettura non trova un'esplicita verifica nei testi platonici, in cui risulta tra l'altro assente l'idea di un dio creatore.
Infatti, pur essendo «al di là dell'essere», cioè delle idee, e pur superandole tutte per
«valore e potenza», il Bene non crea le idee, che sono tutte eterne, ma si limita a
comunicare loro la perfezione. In linea generale, possiamo dire fin d'ora che
nell'universo metafisico di Platone, com'è stato unanimemente rilevato dalla critica
contemporanea, non esiste un Dio-persona, ma solamente “il divino”: Platone usa
infatti il termine impersonale (il divino ; appunto) per designare una molteplicità
di cose diverse: divine sono le idee, divina è l'idea del Bene, divina è l'anima, divine
sono le stelle e gli astri ecc.
Caratteri personali possiede invece il «demiurgo», introdotto dall’ultimo Platone quando
la visione della realtà che egli andava elaborando assunse esplicitamente connotati
mitico-religiosi. Figura mitica, il demiurgo viene presentato da Platone come terzo
termine mediatore tra le idee e le cose, come una sorta di divino artefice, dotato di
intelligenza e di volontà, che si trova in una posizione intermedia tra le idee e le cose.
All'inizio, il mondo era solo un caos informe, una materia spaziale priva di
vita che Platone chiama necessità. Il demiurgo, essendo buono e amante del bene,
ha voluto ordinare le cose del mondo a «immagine e somiglianza» delle idee,
comunicando loro una parte di perfezione dei modelli ideali (si noti che il demiurgo
non è il "creatore" della realtà dal nulla, ma il semplice "plasmatore" di una
materia preesistente, coeterna alle idee). In vista dei suoi «nobili scopi», il divino
artefice ha dunque fornito le cose di un'anima del mondo che vivifica e ordina la
materia, dando forma all'informe e trasformando l'universo in un immenso
organismo vivente in cui si riflette l'armonia delle idee a cui esso tende.
Il _____________ e l’organizzazione ____
___________ del mondo delle idee
Bene e ______________________
differenze:
1 - ________________________________
2 - ________________________________
Il ________________________:
il ________________________ del mondo
reale in conformità _________________
L’anima ________________________
IL RAPPORTO TRA IDEE E _______________
Riassumendo la problematica relativa al rapporto tra idee e cose possiamo sottolineare che
se da un lato Platone afferma la distinzione tra le idee e le cose, dall'altro lato egli ne 1 - ________________________ delle cose
sostiene lo stretto legame. Le idee sono infatti:
- criteri di giudizio delle cose, in quanto noi, per giudicare circa gli oggetti, non possiamo Le idee come la condizione di _________
fare a meno di riferirci a esse. Ad esempio, diciamo che due cose sono uguali sulla base
dell'idea di uguaglianza, oppure diciamo che due azioni sono giuste sulla base dell'idea di _____________________________
giustizia e così via. In questo senso, possiamo dire che le idee sono la condizione della
99
pensabilità degli oggetti;
- causa delle cose, poiché gli individui sono in quanto imitano o partecipano, sia pure
imperfettamente, delle idee che costituiscono i modelli primordiali delle cose. Ad
esempio, le realtà che diciamo belle sono tali in quanto imitano, o partecipano,
della Bellezza, che rappresenta dunque la causa per cui esse sono e vengono ritenute
belle. E così pure diciamo che due individui sono uomini sulla base dell'idea di umanità,
che è la causa che li rende tali. In questo senso, possiamo affermare che le idee sono la
condizione dell'esistenza degli oggetti, o la loro ragion d'essere.
- fine delle cose, poiché esse tendono come loro fine alla perfezione delle idee.
Tuttavia, il rapporto idee-cose non è stato ben definito dal Platone della
maturità, il quale, pur parlando di «imitazione» (per cui le cose imitano le idee),
di «partecipazione» (per cui le cose partecipano delle idee), di «presenza» (per cui
le idee sono presenti nelle cose) ecc., rimane sulla questione piuttosto incerto e
oscillante. Infatti, come abbiamo detto, nella sua vecchiaia il filosofo continuerà
a cimentarsi daccapo su tale problema, tentando di risolverlo in modo più
soddisfacente, pervenendo a un esito che come abbiamo visto fa ampio ricorso al mito
(vedi demiurgo).
Con la teoria delle idee Platone risolve anzitutto il problema della ricerca del
principio da cui hanno origine le cose che aveva caratterizzato tutta la riflessione
dei filosofi della città, ma anche il problema gnoseologico14 da cui la sua riflessione
aveva preso le mosse: la conoscenza è possibile perché esiste una realtà che può
essere colta dal pensiero, e perché tale realtà resta sempre identica a sé senza
dissolversi nel perenne divenire cui sono sottoposte tutte le cose sensibili (contro
il relativismo di Protagora).
Da quanto si è detto, emerge pure come la filosofia platonica, la quale si pone
alla confluenza di diverse tradizioni filosofiche, rappresenti una sorta di
integrazione sintetica tra l'eraclitismo e l'eleatismo. Da Eraclito Platone accetta la
teoria secondo cui il nostro mondo è il regno della mutevolezza, del divenire mentre
da Parmenide trae il concetto secondo cui l'essere autentico è immutabile. L'idea
platonica presenta infatti alcuni caratteri essenziali dell'essere parmenideo: nel
Fedro si dice ad esempio che essa è «semplice e imperitura»; nel Simposio che «mai
incomincia, né mai passa, né aumenta né diminuisce». In altre parole, analogamente
all'essere di Parmenide, l'idea di Platone è immutabile, eterna e perfetta, anche se,
diversamente da esso, l'essere platonico risulta multiplo, in quanto formato da una
pluralità di idee.
Dall'eleatismo Platone deriva anche il dualismo gnoseologico tra sensibilità e ragione e
il dualismo ontologico15 tra le cose e l'essere, la realtà vera. Tuttavia, mentre per
Parmenide il mondo sensibile non ha connessioni con quello pensato dalla ragione,
per Platone tra le due sfere di realtà esiste un indissolubile rapporto, la cui precisa
definizione costituisce uno dei problemi più impegnativi e tormentosi del platonismo.
Inoltre, mentre per l'eleatismo il nostro mondo è apparenza illusoria e irrazionale, per
Platone esso possiede una sua specifica, anche se imperfetta, realtà e conoscibilità.
Infine, giova ricordare che l'esigenza più forte che aveva condotto Platone a formulare
la teoria delle idee era un'esigenza politica: i «modelli ideali sempre identici a sé»
sono anzitutto quei valori morali (il giusto, il bello, il santo) che possono costituire
delle guide sicure per 1'attività etico-politica. Questi valori, se non vogliono
rimanere dei pii desideri, devono «esistere» e devono «essere conoscibili», come
appunto garantisce la teoria delle idee. In questo modo la teoria delle idee assume
un valore fondamentale anche dal punto di vista politico consentendo a Platone di
affermare, come vedremo, il diritto a governare per coloro che sono in grado di
2 - ___________ delle cose
Le idee come ______________________
_________________________
3 -_____________ delle cose
Le cose tendono _____________________
_______________
Il ricorso ___________________
LA CENTRALITÀ DELLA TEORIA DELLE IDEE
Da Eraclito:
la ________________________ delle cose
da _____________________: le idee sono:
- _______________________________
- _______________________________
- _________________________ ma
________________________
- _______________________:
1 - ________________/______________
2 - _______________/________________
ma con __________________________
14
Il termine gnoseologia equivale a “teoria (filosofica) della conoscenza”
Ontologia letteralmente significa “discorso che riguarda l’essere”, intendendo l’essere come la realtà tutta
intera nella sua caratteristica fondamentale che è data dal fatto di essere. L’ontologia comprende quindi le
teorie relative alla concezione della realtà.
15
100
conoscere il mondo delle idee.
Occorre aggiungere che l'esistenza della dimensione ideale permetteva a Platone
di conseguire anche uno scopo ulteriore, essenziale per la sua concezione dell'etica:
gli permetteva di garantire con argomenti filosofici (non solo con le rivelazioni
mitiche cui si affidavano gli orfici) l'esistenza di un altro «mondo», ultraterreno e
sovrasensibile, dove i premi e le pene vengono equamente distribuiti secondo i
meriti (come vedremo esaminando la concezione dell’uomo).
In questo modo l’esistenza reale delle idee viene posta a garanzia sia delle conoscenze Idee, ________________________ e
umane, garantite dalla capacità della ragione di cogliere il mondo intelligibile, sia
dell’agire dell’uomo, garantito dalla possibilità per l’esperienza umana, se guidata dalla _________________________________
ragione che vede il mondo ideale, di essere orientata verso la realizzazione di tale
perfezione.
LA CENTRALITÀ DELLA TEORIA DELLE IDEE
1 - _________________________________________________________________________________________________________
2 - _________________________________________________________________________________________________________
3 - _________________________________________________________________________________________________________
4 - _________________________________________________________________________________________________________
5 - _________________________________________________________________________________________________________
Per adesso abbiamo spiegato che cosa sono le idee. Ora dobbiamo vedere quali
sono e dove e come esistano. Nella fase della maturità del pensiero platonico
compaiono due tipi fondamentali di idee: le idee-valori, corrispondenti ai supremi
principi etici, estetici e politici. Tali sono, ad esempio, il Bene, la Bellezza, la Giustizia
ecc., che formano appunto ciò che denominiamo "ideali"; o "valori"; le idee
matematiche, corrispondenti alle entità dell'aritmetica e della geometria. Infatti,
secondo Platone, vi sono idee anche dei principi del pensiero matematico (ad esempio
l'uguaglianza, le classi dei numeri, il quadrato, il circolo ecc.), poiché nella realtà non
troviamo mai l'uguaglianza perfetta o il quadrato perfetto di cui parla il matematico,
ma solo copie approssimative e imperfette di essi.
Insieme a questi due tipi di idee, Platone parla talora di "idee di cose naturali" (ad esempio "l'umanità") e di "idee di cose artificiali" (ad esempio "il letto"). Solo negli ultimi
dialoghi tende a lasciar cadere la precedente nozione etico-matematica, in favore di una
nozione che fa corrispondere a ogni realtà la propria specifica “forma” o idea: In tal
modo, l'idea platonica finirà per configurarsi come la forma unica e perfetta di qualsiasi
gruppo, o classe, di cose che vengono designate con un medesimo nome e che possono
dunque essere fatte oggetto di scienza.
____________________ DELLE IDEE:
1 _______________________________
2 _________________________________
3 _________________________________
4 _________________________________
IL LUOGO DEL MONDO DELLE IDEE
Finora abbiamo detto che le idee esistono in modo "superiore" alle cose. Ma come esistono e dove esistono le idee? Esse, per usare un termine di origine latina, sono
senz'altro «trascendenti»16, in quanto esistono "oltre" la mente e "oltre" le cose. Esse A – nel mondo ___________________
vengono collocate in una sfera oltremondana, un vero e proprio mondo dell'aldilà,
che è stata identificata da Platone, ancora una volta ricollegandosi alla tradizione _________________________
orfico-pitagorica,
nell’«iperuranio» (letteralmente “luogo sopraceleste”) ove
risiedono, insieme alle idee, come vedremo, le anime quando non sono incarnate in un
corpo.
Alcuni studiosi hanno considerato e considerano questa interpretazione come troppo
16
Il termine trascendente indica qualcosa (un ente, ad esempio Dio, un principio) che sta oltre, al di là, al
di sopra. Un ente, un principio che è visto come determinante per ciò che sta al di quà, al di sotto (es. Dio
e mondo nella religione tradizionale). Il termine opposto è immanente che indica invece qualcosa che sta
dentro, che determina dal di dentro.
101
legata al mito, oppure come risultato di una sovrapposizione dell'idea cristiana dell'aldilà
al genuino pensiero platonico. Di conseguenza, essi affermano che il mondo B – come ___________________________
platonico delle idee, pur esistendo indipendentemente dalla nostra mente e pur ___________________________________
possedendo una realtà oggettiva a sé stante, non deve essere interpretato come un
universo di "super-cose" esistenti in qualche cielo metafisico, ma soltanto come un
ordine eterno di forme o valori ideali, che, come tali, non esistono in alcun luogo o
"empireo". Secondo questa interpretazione, un esempio di come esistano le idee ci è
offerto dagli enti matematici. Infatti, le idee di Triangolo, Uguaglianza, Numero ecc.,
pur esistendo di per sé al di fuori dello spazio e del tempo e indipendentemente
dagli intelletti umani, non per questo si trovano in un ipotetico mondo
dell'aldilà.
Quest’ultima interpretazione, che trova sicuramente degli appigli nei testi
platonici, non sembra però tener conto degli aspetti metafisico-religiosi del
platonismo, presentandosi, in fondo, come un affinamento moderno di Platone.
Resta comunque al di fuori di ogni discussione che per Platone le idee, comunque
intese, costituiscono, come abbiamo detto fin dall'inizio, una zona d'essere diversa dalle
cose.
LA ___________________ DELLE IDEE
Finora ci siamo soffermati sulle idee e sulle loro caratteristiche. Resta da
esaminare in qual modo l'uomo possa accedere ad esse.
Come si è già visto, secondo Platone, le idee non possono derivare dai sensi, poiché questi LA TEORIA / MITO DELLA ______
ci testimoniano solo un mondo di cose materiali e imperfette. Esse sono dunque l'oggetto
di una «visione intellettuale», ossia il risultato di uno «sguardo della mente». Ma da _______________________________
dove proviene questa visione intellettuale? Come si spiega che noi, pur vivendo
in un mondo caratterizzato dal divenire e dall'imperfezione, abbiamo la nozione delle
forme ideali? Per risolvere tale problema Platone ricorre alla dottrina/mito della
«reminiscenza» (cioè del ricordo): egli afferma infatti, sulla base della credenza orficopitagorica della metempsicosi o trasmigrazione delle anime, che l'anima, prima di
calarsi nel nostro corpo, è vissuta, disincarnata, nel mondo delle idee, dove, tra
una vita e l'altra, ha potuto contemplare gli esemplari perfetti delle cose. Una volta
discesa nel nostro mondo, l'anima conserva un ricordo sopito di ciò che ha veduto.
Grazie all'esperienza delle cose, che fungono da occasione, o pungolo,
Per Platone la conoscenza del significato della idea “cane” non deriva
dall'esperienza sensibile, ossia dall'aver visto un certo numero di cani (come
pensavano i filosofi della città), e neppure da un processo di selezione
intellettuale delle qualità tipiche di ogni singolo cane (idea che sarà poi
avanzata da Aristotele). Come illustra la vignetta il significato della parola
viene invece dal riemergere nella coscienza della nozione o idea eterna di
“caninità”, ossia dal ricordo del Cane Ideale, il prototipo, la madre concettuale
di tutti i cani concreti
per la memoria, essa ricorda ciò che ha visto nell'iperuranio. In questo senso, dice
Platone, «conoscere è ricordare», in quanto le idee, sia pur sfocate, le portiamo dentro di
noi e basta uno sforzo per tirarle fuori, tanto più che esse, come le cose, sono legate tra
loro da una sorta di parentela, per cui basta rammentarne una perché tutte le altre
tornino alla mente.
Lateoria della conoscenza di Platone rappresenta dunque una forma di innatismo, L’______________________________
in quanto ritiene che la conoscenza non derivi dall'esperienza sensibile (che funge
soltanto da meccanismo sollecitatore del ricordo), bensì da metri di giudizio
102
preesistenti e connaturati con il nostro intelletto17.
Vediamo da ultimo come Platone procede a dimostrare l’esistenza delle idee.
Nel Fedone la dimostrazione della loro esistenza prende le mosse da un’esperienza
mentale: noi siamo in grado di paragonare fra di loro due oggetti, oppure anche due
grandezze, e possiamo dire se si tratta di cose «uguali» o di cose «diverse». Per far
questo dobbiamo avere però l'«idea» dell'«uguale». Allo stesso modo la nostra
affermazione «questo animale è un cane» implica necessariamente che noi possediamo
già l'idea del cane; solo in tal caso, infatti, si giustifica il fatto che noi possiamo dire se
questo particolare oggetto è o non è un cane. In altre parole la preesistenza dell'idea
è il necessario presupposto di qualsiasi ragionamento, di qualsiasi definizione; ed
è anche implicita, in senso più generale, nel concetto stesso di dialogo, di «confronto» fra
opinioni. Il semplice fatto che io possa discutere con un amico su «che cos'è la giustizia»
significa per Platone che l'oggetto di cui si parla esiste, anche se al momento non
ne possiedo una conoscenza adeguata. Se infatti esso non esistesse non potrei mai
iniziare la discussione, perché non potrebbe neppure venirmi in mente l'argomento.
Ecco perché la conoscenza non può essere altro che riportare alla luce e svelare una realtà,
una verità che temporaneamente si trova nascosta.
Nel Menone, per dimostrare l’esistenza delle idee e che le nostre conoscenze sono
innate Platone racconta di uno schiavo che, per quanto totalmente privo di
competenza e di studi, riesce a trovare una verità matematica (il teorema di Pitagora)
dietro lo stimolo di domande opportune da parte di Socrate. Secondo Platone se lo
schiavo riesce praticamente da solo a prendere coscienza di principi della
matematica mai studiati, ciò dimostra che essi sono presenti nella sua anima che deve
averli acquisiti prima della nascita. In secondo luogo dimostra che esistono delle
nozioni uguali e comuni per tutti gli uomini, e indipendenti dall'uomo stesso, cui
chiunque può pervenire se adeguatamente guidato.
Sta di fatto però, aggiunge Platone, che queste idee, necessariamente presupposte dalle
più comuni esperienze, nella realtà sensibile non esistono. Qualcuno ha mai visto due
cose perfettamente uguali, oppure un cane interamente rispondente all'idea generale
che ne abbiamo? La risposta è evidentemente negativa. Non resta altra
conclusione che le idee preesistono in un'altra dimensione, che l'uomo (o meglio
la sua anima) le ha apprese prima di nascere, e che se le è poi dimenticate al momento
stesso di venire al mondo. L'esperienza sensibile, dal canto suo, ha il compito di
stimolare il «ricordo» (e cioè la conoscenza): vedendo molte cose «uguali», molti
«cani», molte azioni «giuste», l’uomo a poco a poco recupera (ricorda) quelle
conoscenze delle idee che possiede solo come ricordo sbiadito.
LE ___________________ DELL’ESISTENZA
DELLE IDEE
1 _________________________________
__________________________________
L’esempio dello ____________________
2 ________________________________
La non _____________________________
___________________________________
Come abbiamo già osservato le idee, come le cose, sono legate tra loro da una sorta di
I RAPPORTI TRA LE IDEE
parentela, per cui basta rammentarne una perché tutte le altre tornino alla mente. Se
il mondo delle idee si costituisce come un insieme di possibili rapporti tra idee, la
suprema scienza delle idee, che Platone chiama «dialettica», consisterà nello
stabilire la mappa di queste relazioni, cioè nel determinare quali idee si connettono e La _______________________
quali no, precisando i vari modi che possono unire un'idea a un'altra.
L'arte dialettica parte dal presupposto della possibile comunicazione tra le idee.
Ora, se tutte le idee comunicassero tra loro ogni discorso sarebbe vero e non avrebbe
più senso la fatica della dialettica, volta a fissare quali idee comunichino e quali no e
quindi quali discorsi siano veri e quali falsi. Analogamente, se nessuna idea
comunicasse con le altre non sarebbe possibile alcun discorso se non quello
tautologico, del tipo "l'uomo è uomo". Scartate dunque le tesi universali per cui "tutte
le idee sono combinabili con tutte le idee" e "nessuna idea è combinabile altre idee",
a Platone resta soltanto la tesi intermedia particolare: "alcune idee sono
combinabili tra loro e altre non lo sono": su quest'ultima tesi si radica la dialettica.
17
Le teorie della conoscenza che invece ritengono che ad originare le nostre conoscenze sia l’esperienza
sono indicate con il termine empirismo.
103
I RAPPORTI TRA LE IDEE
A – se __________________________________________________________________________________________________
allora _________________________________________________________________________________
B – se __________________________________________________________________________________________________
allora _________________________________________________________________________________
C – se __________________________________________________________________________________________________
allora _________________________________________________________________________________
Infatti, la tecnica dialettica consisterà nel definire un'idea mediante successive
identificazioni e diversificazioni (con e da altre idee), attraverso un processo di tipo
"dicotomico", che avanza dividendo per due un'idea, fino a giungere a un'idea La ____________________ come tecnica
indivisibile.
Si parte quindi da un’idea generale che include quella che vogliamo definire; per ________________________________
quindi si divide il campo definito dall’idea generale in due in base a una differenza
specifica; occorrerà fermarsi quando non è più possibile individuare un’ulteriore
diversificazione; la definizione dell’idea sarà ricavata leggendo dall’alto al basso
l’albero dicotomico ottenuto.
Un esempio servirà a chiarire meglio il procedimento. Supponiamo di voler
definire l’idea “uomo”. Prima mossa: verrà scelta un'idea generale in cui quella
di «uomo» sia inclusa, per esempio l'idea di animale (I livello di identità). Seconda
mossa: il campo definito da questa idea verrà allora diviso in due mediante una
differenza specifica, per esempio il possesso o meno di arti inferiori. Da una parte
saranno lasciati tutti gli animali privi di piedi (I livello di differenza), dall'altra
avremo l'idea di «animali con piedi», in cui è incluso l'uomo (II livello di identità).
Fra questi, si dividerà ancora fra quadrupedi e bipedi; poi fra bipedi privi di parola e
bipedi dotati di parola. L'uomo verrà finalmente definito come animale
dotato di due piedi e di parola. Questa idea è un terminale; essa non risulta
ulteriormente divisibile, né presenta altre relazioni di identità o differenza.
le mappe __________________________
Ovviamente la definizione proposta non è l'unica possibile, perché scegliendo
altre identificazioni iniziali potremmo costruire altre mappe dicotomiche. È quindi
sommando le varie definizioni ottenute che si raggiungerà una miglior
comprensione dell'idea studiata.
__________________________
__________________________
__________________________
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8 – K. POPPER18 – IL MONDO 3 E IL MONDO DELLE IDEE DI PLATONE
Mondo 1 e Mondo 2
La realtà del Mondo 3
Il Mondo 3 e il mondo delle idee di Platone
Mondo 1 e Mondo 2
Noi accettiamo come «reali» quelle cose che possono esercitare un'azione causale su
cose materiali reali e ordinarie o interagire con esse.
Bisogna riconoscere però che le entità reali possono essere concrete o astratte in
diversa misura. In fisica accettiamo come reali le forze e i campi di forza perché
agiscono su cose materiali. Ma queste entità sono più astratte, e forse anche più
congetturali o ipotetiche, delle cose materiali ordinarie.
… Penso che i problemi con cui ci stiamo. cimentando si possono chiarire
notevolmente qualora introduciamo una suddivisione tripartita. Anzitutto c'è il
mondo fisico, l'universo delle entità fisiche; lo chiamerò «Mondo 1». In secondo
luogo, c'è il mondo degli stati mentali, comprendente gli stati di coscienza, le
disposizioni psicologiche e gli stati inconsci; lo chiamerò «Mondo 2». …
Le entità del mondo fisico - processi, forze, campi di forze interagiscono fra loro e
quindi con i corpi materiali, per cui congetturiamo che esse siano reali, anche se la
loro realtà resta appunto congetturale.
Accanto agli oggetti e agli stati fisici ipotizzo che vi siano degli stati mentali e che
questi stati siano reali, perché interagiscono con i nostri corpi.
Un mal di denti è un esempio valido di uno stato che è al tempo stesso mentale e
fisico. Se avete un brutto mal di denti, diverrete fortemente motivati a recarvi dal
dentista; il che comporta un certo numero di azioni e di movimenti fisici del vostro
corpo. La carie del dente - un processo fisico-chimico, materiale - produrrà sì degli
effetti fisici, ma tutto ciò avverrà tramite le vostre sensazioni dolorose e la vostra
conoscenza che esistono delle istituzioni quali la professione del dentista.
C'è infatti anche un terzo mondo, il mondo dei contenuti di pensiero, o per meglio
dire, dei prodotti della mente umana; lo chiamerò «Mondo 3».
La realtà del Mondo 3
Per Mondo 3 intendo il mondo dei prodotti della mente umana, come i racconti, i
miti esplicativi, gli strumenti, le teorie scientifiche (sia vere che false), i problemi
scientifici, le istituzioni sociali e le opere d'arte. Gli oggetti del Mondo 3 sono nostre
costruzioni, benché non sempre siano il risultato di una produzione progettata da
singoli individui.
Molti oggetti del Mondo 3 esistono sotto forma di corpi materiali ed appartengono,
in un certo senso, sia al Mondo 1 che al Mondo 3. Ne sono esempi le sculture, i
18
Karl Raimund Popper (1902 - 1994), - Filosofo della scienza. Tra i maggiori filosofi della scienza del
sec. 20º, ha esercitato grande influenza per la sua concezione fallibilistica della conoscenza e del metodo
scientifico. Sul piano della filosofia politica, la concezione fallibilistica della conoscenza ha condotto P. a
una critica del totalitarismo (che avrebbe le sue radici in Platone, Hegel e Marx) a difesa di una «società
aperta» dove ogni soluzione politica sia sottoposta al vaglio della critica e dove sia possibile sperimentare,
mediante sistemi democratici, nuove soluzioni in grado di correggere gli errori delle precedenti.
105
dipinti e i libri, di argomento sia scientifico che letterario. Un libro è un oggetto fisico
e appartiene dunque al Mondo 1; ma ciò che lo rende una produzione significativa
della mente umana è il suo contenuto: quel che rimane costante nelle varie copie e
nelle successive edizioni. Ora questo contenuto appartiene al Mondo 3….
Naturalmente tutti sono d'accordo nel ritenere che le teorie sono i prodotti del
pensiero umano (o, se preferite, del comportamento umano — non starò a disputare
sulle parole). Ciò nondimeno, esse hanno un certo grado di autonomia: può darsi che
abbiano, oggettivamente, conseguenze che nessuno fino ad allora aveva pensato e
che possono essere scoperte; scoperte nello stesso senso in cui è possibile scoprire
una pianta o un animale esistenti, ma finora sconosciuti. Possiamo dire che il Mondo
3 è fatto dall'uomo solo alla sua origine e che, dal momento della loro comparsa, le
teorie, cominciano ad avere una vita loro propria: esse producono conseguenze
precedentemente non manifeste e problemi nuovi.
Il mio esempio standard è preso dall'aritmetica. Possiamo dire che un sistema
numerico sia la costruzione o l'invenzione degli uomini piuttosto che una loro
scoperta. Ma la differenza tra numeri pari e dispari, tra numeri primi e numeri
divisibili è una scoperta: una volta che il sistema numerico esiste queste
caratteristiche serie di numeri sono là, oggettivamente, quali conseguenze (non
prestabilite) della costruzione del sistema e le loro proprietà possono essere scoperte.
…
La situazione è simile relativamente a ogni teoria scientifica. Ognuna ha,
oggettivamente, una serie immensa di conseguenze importanti, siano esse già state
scoperte o meno. Il compito oggettivo dello scienziato — un compito oggettivo del
Mondo 3 che regola il suo « comportamento verbale » in quanto « scienziato » — è
quello di scoprire, le conseguenze logiche relative alla nuova teoria e di discuterle
alla luce delle teorie esistenti.
Il Mondo 3 e il mondo delle idee di Platone
Pur corrispondendo in qualche modo al nostro Mondo 3, il mondo platonico degli
oggetti intellegibili differisce da esso per molteplici aspetti. Esso consiste di quelle
che Platone chiamava forme o idee o essenze - gli oggetti ai quali si riferiscono i
concetti o le nozioni generali. Nel suo mondo delle forme intellegibili o idee le
essenze più importanti sono il Bene, il Bello e il Giusto. Queste idee sono concepite
come immutabili, atemporali o eterne e di origine divina. Quanto alla sua origine, il
nostro Mondo 3 invece è fatto dall'uomo (e lo è nonostante la sua parziale autonomia)
una proposta questa che avrebbe gravemente sconvolto Platone. D'altro canto,
mentre sottolineo l'esistenza degli oggetti del Mondo 3, non penso che esistano le
essenze; cioè non attribuisco nessuno status agli oggetti o referenti dei nostri concetti
o nozioni. Secondo me, le speculazioni sulla vera natura o la vera definizione del
bene o della giustizia conducono a giochi di parole, per cui vanno evitate. Vale a dire
che il Mondo 3 di Platone, pur essendo chiaramente l'anticipazione, in un certo senso,
del mio Mondo 3, mi sembra una costruzione erronea. D'altra parte, Platone non
avrebbe mai ammesso nel suo mondo degli oggetti intellegibili certe entità come i
problemi o le congetture - specialmente le congetture false …
K. R. Popper – J. C. Eccles “L’io e il suo cervello”, Armando Editire, Vol. I. estratti pag. 21,
54-61
106
5 - ARISTOTELE E IL RAZIONALISMO ANTICO
1. L'interesse per la natura e le scienze
1.1 Dalla corte alla scuola
1.2 La nuova figura del filosofo: lo scienziato-ricercatore
L'INTERESSE PER LA NATURA E LE
Con Aristotele entra sulla scena del pensiero filosofico greco un personaggio
nuovo, destinato a modificare profondamente e durevolmente il profilo intellettuale,
la collocazione sociale, lo stile di lavoro del filosofo. Egli non è identificabile con
nessuno dei due tipi di pensatori che ci sono noti: né con il grande aristocratico,
destinato al possesso del sapere e alla gestione del potere (alla maniera di Parmenide e
di Platone), né con i sapienti legati alle tecniche e alle classi urbane (alla maniera
dei filosofi della città).
La radicale diversità di Aristotele risulta già dal suo ambiente di provenienza.
Nato nel 384 a Stagira, una piccola città della Calcidica sita all'estrema periferia del
mondo greco, Aristotele risulta fin dal principio legato alle vicende del regno di
Macedonia, alla cui influenza la sua città era sottoposta. Il padre era infatti medico
di corte del nonno di Alessandro Magno, il costruttore di quello che sarà il primo
impero dell’età ellenistica. Dalla professione del padre, il giovane Aristotele
ricevette forse un incentivo verso quell'interesse per le scienze della natura che
rimase costante in tutta là sua attività di ricerca; ma certamente più importante fu
l'eredità implicita nella collocazione sociale del cortigiano. Per Aristotele, al
contrario che per Platone, il rapporto con la politica poté fin dal principio
essere soltanto indiretto, visto che dalla contesa per il potere egli era
doppiamente escluso: in patria, giacché il potere vi era detenuto dalla monarchia
macedone; all'estero, soprattutto in Atene, perché come straniero egli non
poteva prender parte direttamente alla vita politica.
Dal punto di vista dell'esclusione sociale dalla politica, Aristotele prefigura
dunque l'intellettuale ellenistico, che, a partire dal III secolo, avrebbe vissuto
in un mondo dominato dalle monarchie assolute.
A diciassette anni Aristotele, andato ad Atene, divenne membro dell'Accademia
platonica. L'ingresso del giovane provinciale nella grande istituzione ateniese
fu probabilmente reso possibile da una presentazione della corte macedone,
dalla quale egli proveniva. Fin dal principio non fu l'attività politica
dell'Accademia ad attirare l'interesse di Aristotele, bensì le ricerche logiche e
scientifiche che vi si conducevano.
Aristotele restò nell'Accademia per vent'anni, fino alla morte di Platone. Nel
secondo decennio della sua permanenza all'Accademia Aristotele scrisse, oltre a un
certo numero di dialoghi di ispirazione platonica, anche alcune delle sue opere più
importanti, soprattutto in materia di logica, di teoria del linguaggio e di retorica: a
questo periodo appartengono anche probabilmente le sue prime opere scientifiche,
fra cui la Fisica.
Alla morte di Platone, nel 347, il trentasettenne Aristotele ha comunque ormai
definito i fondamenti logici del suo pensiero. In quello stesso anno, egli abbandona
Atene e l'Accademia, e si reca a Asso in Asia Minore. L'abbandono di Atene si deve
probabilmente sia al disappunto per l'elezione del nipote di Platone alla direzione
dell’Accademia platonica che alla reazione ateniese contro la politica espansionistica
di Filippo, il padre di Alessandro Magno, alla cui corte Aristotele era notoriamente
legato. Ad Asso Aristotele conobbe il giovane naturalista Teofrasto e i due studiosi
attesero soprattutto a ricerche di carattere biologico.
Nel 342 Aristotele venne invitato da Filippo ad assumere l'incarico di precettore del
giovane erede al trono, Alessandro, presso la corte macedone. Più che la sua fama di
SCIENZE
DALLA CORTE ALLA SCUOLA
Aristotele né ________________________
né _________________________________
L’ambiente di provenienza:
___________________________________
L’esclusione dalla ____________________
in patria:____________________________
ad Atene:___________________________
La frequentazione dell’________________
di _________________________
gli interessi ________________________ e
___________________________________
L’abbandono di ______________________
Gli studi ___________________________
107
studioso, furono probabilmente i suoi legami famigliari a procurargli questo invito.
In Macedonia Aristotele si trattenne per diversi anni; il suo compito presso
Alessandro non andò comunque mai oltre quello di un normale insegnante di
letteratura e di retorica, ed è certamente leggendaria la tradizione antica e medievale
di un profondo influsso politico del filosofo sul giovane re, di cui il primo
probabilmente non capiva e non condivideva le ambizioni imperiali.
Nel 338 Filippo impose definitivamente la supremazia macedone sull'intera Grecia,
ponendo fine all’esperienza delle città-stato; due anni dopo Alessandro succedette
al padre sul trono di Macedonia. Aristotele era così libero di tornare ad Atene in
tutta sicurezza, grazie alla potente protezione del suo regale discepolo. Rotti ormai
i rapporti con l'Accademia, Aristotele aprì al Liceo, un ginnasio pubblico aperto
all'insegnamento dei filosofi, una sua scuola con corsi regolari.
Con l'insegnamento, cui d'ora in poi egli si dedicherà interamente, si definisce il
secondo polo fondamentale dell'esperienza di Aristotele: partito dalla corte, egli
approda alla scuola. Escluso dal potere, straniero in Atene, privo di una vera patria,
il filosofo, che nella reggia è subalterno e di cui la piazza diffida perchè straniero, trova
finalmente nella scuola una casa sicura in cui esser padrone; trova nella pratica dello
studio e dell'insegnamento quell'appagamento, quel senso di autonomia e di
compiutezza che la città gli nega nella mutata situazione sociale.
Il Liceo aristotelico era naturalmente assai diverso dall'Accademia platonica. Fra i
condiscepoli non esisteva alcun legame religioso, alcuna regola comune di vita, alcun
progetto politico cui operare insieme. Meno aperto alla libera discussione dialettica
di quanto lo fosse l'Accademia (giacché la dottrina e l'insegnamento di Aristotele
erano in certo modo "ufficiali" e non questionabili), all’interno del Liceo venivano
condotte tutta una serie di ricerche settoriali, dalla fisica, alla biologia, alla zoologia
all’interno del quadro teorico delineato dalle teorie di Aristotele.
Durante il periodo dell'insegnamento nel Liceo Aristotele compose le sue maggiori
opere filosofiche, etiche, biologiche e psicologiche. Questo periodo di riflessione e di
organizzazione della ricerca venne interrotto bruscamente da un grave
sommovimento politico. Nel 323 morì Alessandro Magno, e ad Atene riprese vigore,
anche se per un breve periodo, il partito antimacedone; per Aristotele, malvisto a
causa dei suoi notissimi legami con i Macedoni, non c'era più posto nella città.
Egli si rifugiò quindi nella casa della madre, a Calcide in Eubea, dove trascorse in
solitudine gli ultimi mesi della sua vita.
Le opere che Aristotele ci ha lasciato - un'imponente serie di scritti che coprono
quasi tutti i campi del sapere - sono anch'esse legate, come tanta parte della sua
vita, alla scuola e all'insegnamento. Aristotele scrisse, è vero, anche dialoghi di tipo
platonico destinati alla pubblicazione, che si sono perduti, ma essi rappresentarono
comunque una parte secondaria della sua produzione. Il suo pensiero potente, il
suo sterminato sapere sono invece esposti nei trattati scientifici, costituiti dalla
trascrizione dei corsi tenuti nei lunghi anni di insegnamento prima all'Accademia e
poi al Liceo.
Aristotele sostenne, nella sua Etica, che la vita contemplativa, dedicata solo al
sapere teorico, allo studio, alla conoscenza, è la forma più alta di esistenza, la
sola che avvicina l'uomo alla condizione divina: e il suo dio, in effetti come
vedremo, non è che pensiero e conoscenza. In questo modo Aristotele
descriveva la nuova figura del filosofo che egli stesso aveva impersonato e
condotto a perfezione: non più il legislatore, il profeta, come voleva la
tradizione aristocratico-sacerdotale, né l'ingegnoso inventore di tecniche, come
per i filosofi della città, ma il caposcuola, l’insegnante o il grande intellettuale,
ricercatore e scienziato, dedito a una conoscenza che Aristotele definisce del tutto
disinteressata e perciò inutile dal punto di vista di ogni possibile fine pratico: fine de
la conoscenza non è altro che la conoscenza stessa. Dalla società, dalla politica - cioè,
L’istruzione di _______________________
Il ritorno a __________________________
La fondazione del ____________________
Dalla ___________________________ alla
__________________________________
Liceo e ____________________________
La fuga da Atene e la _________________
Opere di Aristotele
testi di
_________________________________
LA NUOVA FIGURA DEL FILOSOFO: LO
SCIENZIATO-RICERCATORE
L’esaltazione della vita ________________
___________________________________
La nuova figura di ___________________:
lo _________________________________
dedito a un sapere ____________________
108
ormai, dal potere regio - il filosofo si attende solo quella benevola protezione
che gli consenta di attendere serenamente ai suoi studi nel tranquillo recinto
della scuola. A sua volta, egli offre alla società un sapere privo di qualsiasi
applicazione, che va perseguito solo perché il desiderio di sapere è coessenziale
all'uomo. Certo, come vedremo, questo sapere contiene anche una giustificazione
globale del sistema del mondo e della società, che fornisce un'indiretta ma
solida base ideologica al potere del re e alla conservazione delle differenze di ceto.
2. Aristotele, Platone e la storia della filosofia
2.1 I compiti e l’oggetto della filosofia
2.2 Due concezioni della realtà
2.3 Platonismo e aristotelismo nella storia della filosofia
ARISTOTELE, PLATONE E LA
STORIA
DELLA FILOSOFIA
ARISTOTELE E PLATONE A CONFRONTO:
Nella storia della filosofia europea, platonismo e aristotelismo sono rimasti, fino
ai nostri giorni, come due modelli alternativi, due modi contrapposti di pensare la
filosofia, i suoi fini, i suoi oggetti e conseguente come due modi alternativi di concepire
la realtà.
Una delle ragioni fondamentali di questa contrapposizione è individuabile nella
trasformazione oggettiva intervenuta nel ruolo sociale del filosofo e dunque nella
destinazione stessa del suo lavoro. Il fine della filosofia e del sapere per l'aristocratico
Platone, discendente da re e legislatori, sta nel rinnovamento etico-politico della
società; per Aristotele, l'una e l’altro sono fine a sé stessi, dunque socialmente
inutili, se non per appagare quel bisogno di conoscenza pura che è insito nell'essenza
dell'uomo. Ma questa diversa concezione dei fini della filosofia, che è
oggettivamente pilotata dalla struttura sociale, incide poi a sua volta sul modo di
pensare gli oggetti stessi della filosofia. Per il platonismo, la filosofia doveva
occuparsi non degli oggetti del sapere empirico, volgare, per rivolgersi agli oggetti
suoi propri - le idee - diversi da quelli su cui verteva l ‘esperienza comune. Il
platonismo introduce dunque una scissione del mondo che è strettamente funzionale
ai compiti che esso assegna alla filosofia: rendere certa la vita morale (garantita
dall'esistenza di un altro «mondo», ultraterreno e sovrasensibile, dove i premi e le
pene vengono equamente distribuiti secondo i meriti) e la guida politica della città
destinata ai filosofi i soli in grado di conoscere la realtà ideale.
Per Aristotele, al contrario, il compito della filosofia non sta né nell'immaginare né
nel costruire un mondo nuovo e ideale; postulare una scissione del mondo fra il
livello empirico e quello della «vera» realtà è per Aristotele in linea di principio un
abuso dell'immaginazione filosofica, e ne riflette un eccesso del desiderio eticopolitico. Le idee di Platone sono inutili doppioni delle cose e, per di più, siamo
costretti a pensarle in numero superiore rispetto alle cose stesse (ci deve essere
l'idea dell'oggetto X e, insieme, le idee di tutte le sue qualità e i suoi modi di
essere). Non c'è, per lui, che un solo mondo, ed è quello della nostra esperienza
quotidian a , pur con tutta la sua complessità e le sue articolazioni che spetta al sapere
di comprendere e descrivere. Non c'è che una sola realtà, ed è quella delle sostanze
individuali - gli uomini, gli animali, le piante, gli astri, la divinità - che popolano il
nostro mondo e che noi percepiamo con i sensi, o di cui ci parla il nostro linguaggio.
Descrivere le qualità, l'essenza specifica, l'ordine che definiscono queste sostanze;
comprendere le ragioni della loro esistenza, della loro struttura; giustificare razionalmente il grande piano del mondo e della natura:, questo diventa, per
l’aristotelismo, il compito della filosofia e del sapere in generale.
Queste diversità di compiti che i due filosofi affidano alla filosofia (per Platone
rendere sicura la vita morale e l’azione politica, per Aristotele spiegare razionalmente
109
il mondo della natura) conduce all’elaborazione di due concezioni del reale diverse
e opposte. Se Platone concepisce la vera realtà, oggetto del vero conoscere, come
trascendente il mondo dell'esperienza, Aristotele al contrario assume l'esistenza e la
conoscibilità degli enti sensibili e del mondo empirico come il proprio
fondamentale punto d'avvio. Alla formazione di questo convincimento concorse
verosimilmente l'orientamento naturalistico del padre, medico presso la corte
macedone, lo studio della tradizione filosofica e scientifica ionica, oltre alle
condizioni storico-politiche di cui abbiamo detto.
Nel loro insieme, le principali dottrine di Aristotele configurano una concezione
della realtà e del sapere autonoma e alternativa a quella di Platone. I caratteri
originali della filosofia aristotelica si mostrano con evidenza nel confronto tra
alcune dottrine aristoteliche e le corrispondenti platoniche. Per Aristotele tutte le
singole cose che ci circondano (gli animali, le piante, ma anche gli oggetti prodotti
dall'uomo) esistono effettivamente, sono cioè sostanze nel senso più proprio e non
"immagini" imperfette dell'idea, che invece per Platone è la vera realtà. Gli individui
(questo cane, questo albero, questo tavolo) sono concepiti come composti di materia e
di forma: alla costituzione del tavolo concorre il legno di cui esso è fatto e la forma
che l'artigiano conferisce al materiale legnoso. La forma è dunque pensata
ARISTOTELE E PLATONE A CONFRONTO:
A – I________________DELLA FILOSOFIA
Platone = guida ______________________ della società
Aristotele =
_____________________________________________________________________________________________________
B - GLI __________________ DELLA FILOSOFIA
Platone = il mondo delle _____________________________
Aristotele = esperienza _______ _________________________
L’inutilità del mondo delle idee: le idee come _______________ ________________________
C - CONCEZIONI DELLA REALTÀ
Platone
realtà vera = mondo che _______________________________________
da cui:
Aristotele
realtà vera = mondo ________________________________________
1 - gli oggetti reali
per Platone = immagini ______ _________________________
per Aristotele = composti da: ______________ ______________ + _______________________________________
Forma nelle ____________________
Idea _______________________________________
2 studio della ______________
Platone:_______________
Aristotele: ______________
ricerca delle_______________ e dei _______________ delle _______
come una componente strutturale delle cose, a differenza dell'idea platonica, che
esiste "oltre" le cose (sui concetti aristotelici di forma e materia ci soffermeremo
più avanti).
Se gli enti individuali, dei quali i sensi ci rendono testimonianza, sono realtà
a tutti gli effetti, ne consegue per Aristotele che essi possono divenire oggetto
di vera conoscenza. In particolare, l a p os s i bi l i t à di uno studio scientifico
della natura, negata da Platone, rappresenta uno dei capisaldi del pensiero
110
aristotelico. La constatazione che gli enti naturali nascono, si corrompono,
mutano e si muovono non si traduce in Aristotele, come invece in Platone, nella
rinuncia a conoscerli con verità, ma dà luogo alla ricerca di cause e principi capaci
di rendere intelligibili gli incessanti processi di trasformazione che si verificano
intorno a noi.
PLATONISMO E ARISTOTELISMO NELLA
STORIA DELLA FILOSOFIA
Il nuovo atteggiamento di Aristotele nei confronti della filosofia, dei suoi compiti,
dei suoi oggetti, e la stessa nuova concezione della realtà se sul piano storicoculturale appaiono strettamente connessi alle nuove condizioni socio-politiche, sul
piano teorico, per molti versi, sono ancora una volta il frutto del dibattito filosofico,
e comunque dell’incontro/scontro tra tradizioni e quindi modi di vedere diversi,
che ha il merito di diventare l’occasione per un approfondimento, un raffinamento,
un superamento delle incongruenze, delle “ingenuità” contenute nei rispettivi
punti di vista.
Infatti, come voleva la tradizione aristocratico-sacerdotale il vero sapere coincide
con un sapere che, come abbiamo detto, avvicina l’uomo alla condizione divina e
che comunque si identica con un sapere disinteressato, non pratico ma fine a se
stesso; la conoscenza ha però per oggetto, come voleva la tradizione dei filosofi
della città, il mondo reale, il mondo dell’esperienza quotidiana.
Da questo punto di vista non appare forse inutile sottolineare come la filosofia
aristotelica si presenti come una riflessione su quella che è la nostra esperienza
ordinaria e comune, per cui molte delle teorie aristoteliche appaiono confermate
dal nostro comune modo di affrontare la vita quotidiana, coincidendo con il senso
comune. L’esempio forse più noto di questa coincidenza è dato dalle teorie
geocentriche, fatte proprie da Aristotele, che appunto coincidono con quello che
appare nella vita di tutti i giorni, con il nostro senso comune.
Un altro legame con la nostra esperienza ordinaria è dovuto inoltre al fatto che ,
come vedremo, uno degli oggetti principali delle indagini aristoteliche è costituito
dal linguaggio di cui ci serviamo per parlare del mondo e che esprime quello che
è il nostro abituale, quotidiano, rapporto con il modo stesso.
Platonismo e aristotelismo, abbiamo detto all’inizio del paragrafo sono rimasti, fino ai
nostri giorni, come due modelli alternativi, due modi contrapposti di concepire la
filosofia e la realtà. In effetti essi rappresentano il prototipo di due atteggiamenti che
sono rimasti costanti nella storia della cultura occidentale, quello idealistico-religioso e
quello razionalistico. Nel suo tendere a giudicare il mondo reale in base al mondo ideale
Platone è, infatti, sicuramente il padre del primo atteggiamento, mentre nel suo voler
conoscere il mondo reale descrivendolo, classificandolo, spiegandone la cause
Aristotele appare il padre di un atteggiamento razionalistico.
I due filosofi hanno svolto una influenza diretta nella storia della filosofia almeno sino
alla filosofia moderna, dal momento che tutta la filosofia cristiana si è svolta all’interno
dei quadri concettuali fissati dall’uno o dall’altro. Infatti, Agostino d’Ippona, il primo
dei filosofi cristiani, riprenderà l’atteggiamento radicalmente antimaterialista di Platone
che dominerà, attraverso la sua mediazione, sino al XIII secolo quando la cultura
europea riscoprirà, attraverso la mediazione della cultura araba, l’aristotelismo che
finirà, con l’opera di Tommaso d’Aquino, per ispirare quella che è ancora oggi la visione
teologica ufficiale della Chiesa cattolica.
__________________________
Il pensiero di Aristotele come tentativo di
fusione _____________________________
___________________________________
Conoscenza ______________________
(tradiz. __________________________)+
________________________ (filosofi della
____________)
Il pensiero di Aristotele e il __________
_______________________
- teorie _________________
- l’analisi del ______________________
_________________________________
Platonismo e aristotelismo: prototipi
dell’_________________________ e del
_________________________________
Platonismo, aristotelismo e ___________
_____________:
Platone
________________________
______________________
d’Aquino
111
Tommaso
3. La Metafisica
3.1 I livelli della conoscenza: dalla conoscenza sensibile alla conoscenza
per la conoscenza
3.2 La filosofia prima o metafisica
3.3 I principi per comprendere razionalmente la realtà
3.4 L'essere in quanto tale
3.5 La sostanza sovrasensibile
LA METAFISICA
I LIVELLI DELLA CONOSCENZA: DALLA
CONOSCENZA SENSIBILE ALLA
CONOSCENZA
PER LA CONOSCENZA
La Metafisica di Aristotele si apre con la celebre affermazione: «Tutti gli uomini
aspirano per natura alla conoscenza». Ma i livelli della conoscenza sono molti e
non tutti gli uomini pervengono a quella che, secondo Aristotele, è la forma della
suprema conoscenza.
L'uomo condivide con gli animali la possibilità di avere sensazioni. Prerogativa
delle sensazioni in generale è di riguardare sempre un oggetto o un evento definito
nello spazio e nel tempo. Ciò che si percepisce con i sensi, infatti, è sempre un
oggetto qui e ora (questo libro che è qui e ora davanti a me). Aristotele esprime
questa idea dicendo che la sensazione concerne il che delle cosa, non ancora il loro
perché.
Tra le sensazioni, Aristotele attribuisce una posizione di primato all'udito e alla vista.
Attraverso l'udito, infatti, riceviamo insegnamenti e, quindi, apprendiamo. Questa
caratterizzazione aristotelica della funzione dell'udito suggerisce che la via
fondamentale per la trasmissione del sapere è ancora ravvisata nell'oralità, non
nella scrittura. Tra i vari sensi, tuttavia, quello dotato di maggiori poteri conoscitivi
è, per Aristotele, la vista. Questa, infatti, consente di cogliere - con una nettezza
impossibile per gli altri sensi - le differenze tra gli oggetti. La superiorità della vista,
inoltre, è dovuta al fatto che essa può essere utilizzata anche indipendentemente
dall'azione e servire soltanto allo scopo disinteressato di contemplare le cose.
La memoria - di cui sono dotate anche alcune specie animali oltre all'uomo - consente
di conservare l'informazione ottenuta mediante la percezione, anche quando
è assente l'oggetto che l'ha prodotta. Per esempio si sa che il fuoco brucia anche
quando non lo si percepisce.
Ciò che, per Aristotele, differenzia nettamente l'uomo dagli animali è l'esperienza, intesa come un insieme di molti ricordi della medesima cosa. Ad esempio, il ricordo che un
determinato fuoco - percepito una volta - ha prodotto una sensazione di bruciore non
è ancora un'esperienza. Sì ha un'esperienza solo quando un avvenimento – verificatosi
più volte - è registrato nella memoria, in modo da permettere una conoscenza di tipo
generale (ad esempio, il fuoco per lo più brucia).
Dall'esperienza, secondo Aristotele, si genera la tecnica. La tecnica, infatti, è
caratterizzata dal fatto di avere l'universale come oggetto della propria conoscenza.
La medicina, per esempio, raggiunge il livello di tecnica - e non di semplice esperienza
- quando è in grado di stabilire che un determinato rimedio guarisce non soltanto
Socrate o Platone e così via, bensì ogni persona affetta da una certa malattia. Ciò
significa che quel rimedio si rivela efficace nella totalità dei casi in cui è presente tale
malattia.
Qual è, allora, la differenza tra colui che ha semplicemente fatto esperienza della capacità di guarigione di un farmaco e colui che possiede la tecnica medica? La risposta è
che - sebbene entrambi abbiano verificato l'efficacia di quel rimedio in una pluralità
di casi - il primo non sa il perché. Chi, invece, possiede la tecnica gli è superiore, perché
conosce la causa per cui tale rimedio è efficace in relazione a una data malattia e,
quindi, necessariamente per tutti coloro che ne sono o ne saranno affetti.
Anche la tecnica, tuttavia, non rappresenta per Aristotele il livello più alto
del sapere. La ragione è che la tecnica, in tutte le sue manifestazioni, è
subordinata a fini diversi dalla conoscenza. Le prime tecniche inventate dagli
uomini sono quelle destinate a soddisfare i bisogni primari e a garantire la
1- le ___________________________
Le cose qui e _____________ ma non il
__________________________________
Udito
___________________________
_____________
+ poteri conoscitivi
+ ____________ e indipendente ________
________________ (contemplazione)
2 - la ____________________ conserva
________________ anche in assenza
dell’_________________________
3 - l’____________________________
memoria che consente _________________
___________________________________
4 - la tecnica
La generalizzazione dell’ ______________
il _____________ delle cose
la ____________________ a fini diversa
dalla ____________________________
112
sopravvivenza. Il loro scopo è, dunque, l'utilità. Ma anche arti inventate
successivamente (per esempio, la musica), pur non avendo come fine
l'utilità, hanno un fine diverso dalla conoscenza. Esse mirano, infatti, a pro5 – il sapere per il ____________________
durre piacere o diletto.
Al di sopra delle tecniche si colloca, dunque, il conoscere per il conoscere: una
forma di conoscenza che ha di mira soltanto se stessa, ossia la conoscenza
veramente libera, non subordinata a fini esterni a essa. Questa è la sapienza, il
sapere più alto che ha per oggetto le cause prime di tutte le cose. A questo sapere
mira la filosofia.
In tal modo, Aristotele ha elaborato una nozione di sapere ormai lontana dal
significato arcaico di sapere come saper fare, cioè di un sapere legato all'agire e al
produrre. Lontana da quel sapere che i primi filosofi di Mileto avevano legato
proprio al mondo delle tecniche che Aristotele vuole superare; lontano anche dal
sapere platonico volto a dirigere l’azione politica.
Per poter ricercare questo sapere disinteressato occorre quella che in greco era
detta scholè, ossia il «tempo libero» da ogni attività lavorativa o pubblica. Un tal
modo di intendere la conoscenza era legato alla struttura produttiva e sociale del
mondo greco. Nella società greca, come in tutte le società occidentali sino al XVIIXVIII secolo) la classe dominante, tale perchè controllava ciò che le altre classi
producevano, hanno visto nelle attività produttive soltanto un mezzo per potersi l’ideale di Aristotele: _________________
dedicare ad attività “superiori”, tali perchè del tutto estranee alla produzione. Solo
con l’avvento della società capitalista, la nuova classe dominante, la borghesia, _________________________
porrà l’attività economica e produttiva al centro dei suoi interessi richiedendo alla
scienza di essere un’attività utile, volta ad incrementare il dominio dell’uomo sulla
natura.
Nella prospettiva di Aristotele, il luogo autentico in cui questo sapere può essere
perseguito è la scuola dei filosofi. Tutti gli uomini aspirano a conoscere, ma
soltanto i filosofi realizzano in senso pieno questo fine iscritto nella natura
dell'uomo.
Il sapere per il ____________________e struttura _________________ e __________________ del mondo antico
classe dominante : - controlla ciò _______________________________________________________________
- si dedica alle attività ______________________ perché non _______________________________
Società capitalista:
la scienza deve essere ________________
classe dominante si dedica alle __________________________________________________
LA FILOSOFIA PRIMA O
METAFISICA
Se il compito delle scienze e quello di farci conoscere i diversi aspetti della realtà,
il compito della filosofia è quello di delineare il quadro generale che rende
possibile tale conoscenza, di definire con la massima precisione concettuale le
coordinate generali valide per ogni aspetto della realtà: i principi primi, cioè, che
sorreggono tutta l'impalcatura della realtà. Per Aristotele si tratta di spiegare
l'essenza di ciascun ente individuale: non di comprendere l'universale lasciando cadere gli elementi individuali, ma di elaborare concetti universali che siano
di aiuto alla comprensione dei particolari, perché solo le cose particolari esistono
e gli enti universali - come le idee platoniche - sono solo astrazioni mentali.
Aristotele chiama filosofia prima questo tipo di indagine, ma nella tradizione
filosofica successiva è prevalso l'uso del termine metafisica, attribuito nel I sec.
a.C. da Andronico di Rodi al complesso dei libri aristotelici che trattano delle
cause ultime. Si tratta, del resto, di andare davvero oltre la fisica (metà = "oltre",
Compiti:
delle scienze = ______________________
__________________________________
della filosofia = i principi _____________
_________________________________:
a) validi per ________________________
b) concetti ________________ in grado di
_________ _________________________
113
"dopo"), perché non si tratta di parlare di una qualche singola cosa fisica,
compito di una qualche scienza particolare ma dell’essere delle cose in generale. Filosofia prima o __________________
Per determinare tali principi Aristotele parte dall’analisi di ciò che compiamo
quando cerchiamo di comprendere la realtà. Nel comprendere la realtà noi ci
LE OPERAZIONI PER COMPRENDERE LA
REALTÀ:
serviamo di quattro diverse operazioni: determiniamo con rigore concettuale la
precisa identità di ogni cosa, rispondendo cioè alla domanda: "che cosa è
...?"; inoltre, poiché ogni cosa è soggetta a mutamento, si tratta di
comprendere come sia possibile che il suo essere si trasformi, devono
essere comprese le cause del divenire; in terzo luogo classifichiamo l’oggetto
in relazione a tutti gli altri e, infine, ricerchiamo le cause delle trasformazioni
che le cose subiscono.
LE OPERAZIONI PER COMPRENDERE LA REALTÀ:
I PRINCIPI PER COMPRENDERE RAZIONALMENTE LA REALTÀ
1 definire ___________________________________ di ogni
cosa
_______________________ e _______________________
2 – comprendere le __________ __________________delle
cose
_______________________ e _______________________
3 - _________________________ in relazione
________________
_______________________ e _______________________
4 – individuare le _______________ delle
___________________
__________________:
__________________________________
1 - I PRINCIPI PER COMPRENDERE
Si tratta quindi di enunciare in primo luogo i principi che permettono di definire l'identità di una cosa.
Aristotele rifiuta la separazione ontologica radicale tra materia e pensiero, e quindi
esclude che il pensiero sia un carattere costitutivo della mente del tutto separato dal
corpo e che la conoscenza sia reminiscenza. Ciò che pensiamo è invece
inteso come prodotto dell'attività della mente che in se stessa non ha particolari
contenuti e trae le proprie informazioni dal mondo esterno lasciandosi plasmare da
esse. Aristotele deve quindi poter mostrare come il pensiero astratto possa nascere
nella mente dell'uomo mediante l'esperienza, cioè mediante il rapporto sensibile
con le cose. Che cosa accade quando mediante la vista osserviamo un oggetto? Ne
formiamo una rappresentazione interiore, che diviene parte della nostra
coscienza. L'oggetto materiale è ancora davanti a noi nella sua pienezza e
nessun frammento della materia di cui è composto è entrato a far parte della nostra
mente. Che cos'è dunque una rappresentazione soggettiva di una cosa?
Che cosa è stato rappresentato dell'oggetto? La sua materia? Piuttosto è stato
rappresentato un insieme di caratteristiche della materia di cui è composto: la
sua disposizione nello spazio che gli conferisce una figura particolare; il suo colore;
la qualità della luce che lo colpisce; il disegno delle parti che lo compongono; la struttura interna delle sue parti; e così via. Se la materia di cui sono
composte le cose non avesse queste caratteristiche, potremmo rappresentarla
sensibilmente?
Ma non esiste alcuna cosa materiale la cui materia non abbia questo tipo di
caratteristiche. E tuttavia esse non costituiscono affatto un carattere proprio della
materia in quanto tale. Si prenda un foglio di carta e lo si strappi in diverse parti.
Nulla nella materia è cambiato: essa è la stessa di prima, ma il foglio di carta non
RAZIONALMENTE LA REALTÀ
A – L’IDENTITÀ DELLE COSE
Il rifiuto della separazione tra ___________
___________________________________
Pensare = esperienza (rapporto __________
___ con le cose) + attività della _________
la rappresentazione _______________delle
cose:
dalla cosa ______________ alla _________
________________________________
Gli oggetti =
MATERIA = __________________________
___________________________________
+
FORMA = ___________________________
_________________________________
Un esempio: ________________________
114
è più un foglio di carta. È diventato un insieme di pezzetti strappati. La materia
c'è ancora, il foglio di carta non più, e al suo posto c'è qualcos'altro. Ne possiamo
trarre la conclusione che il foglio di carta era tutto nella particolare disposizione
della materia che abbiamo distrutto? Ma non ci sarebbe alcun foglio di
carta senza la materia che lo compone. Dobbiamo concluderne che la cosa - il
foglio di carta in questo esempio, ma il principio vale per ogni cosa - non è
esclusivamente composto dalla materia, ma anche dalla organizzazione unitaria
di questa materia: in una parola da una forma. Essa è l'essenza della cosa,
perché solo in questa forma quella determinata materia è divenuta l'oggetto reale che
stiamo studiando; se cambiasse la sua forma, cambierebbe la sua identità, la
sua essenza: sarebbe un'altra cosa. Tuttavia né la forma né la materia da sole
costituiscono la cosa (come può esistere la forma di un foglio di carta senza nulla
di materiale? Come può esistere una materia che non abbia alcuna forma?). La
cosa è l'unità (con parola greca: il "sinolo") di materia e forma. Quando il soggetto
conosce, sensibilmente un oggetto esterno materiale, nella mente nasce una
rappresentazione della sua forma, non della materia di cui è composto. (La
materia non è pensabile in quanto tale, ma solo in quanto ha assunto una forma.
Per rendersene conto, si provi a formare la rappresentazione mentale di un
corpo che non abbia alcuna forma: per quanto sforzi facciamo, daremo sempre a
quella materia una forma, per quanto caotica essa sia).
Questa concezione delle cose come unità di materia e forma si presenta così come
una sintesi del pensiero precedente: i filosofi della città avevano identificato la
realtà con gli elementi materiali, Platone con le idee; la verità è data, per Aristotele,
dalla combinazione di queste due soluzioni (che sono in se stesse errate in quanto
unilaterali). D’altra parte non bisogna però dimenticare che la forma mantiene un
primato, una priorità. Il principio che determina la materia è la forma: il vetro,
il legno, il corpo vivente devono ricevere una certa determinazione, una certa
forma, per diventare, rispettivamente, bicchiere, albero e uomo. Ogni cosa
diventa precisamente ciò che è grazie alla forma, che ne costituisce quindi
l'essenza. La forma non deve essere intesa però platonicamente come separata,
trascendente, rispetto alla materia, bensì intrinseca alla materia, in essa
immanente. Platone ha saputo individuare il principio della forma, ma
l’ha posto come separato, trascendente rispetto alle cose, per cui non è stato
in grado di spiegare in che modo le idee possano effettivamente essere cause delle
cose. Ciò può avvenire solo se il principio della forma viene concepito come
immanente nelle cose stesse, negli individui.
Materia e forma sono distinte solo col pensiero, nella realtà sensibile esse
sono sempre indissolubilmente unite. L'ente concreto (questo bicchiere, questo
albero, questo uomo) è infatti un composto di materia e forma, un sinolo, un
intero, un individuo che ha una sussistenza autonoma.
Stabilita la priorità della forma, d’altronde, Aristotele potrà introdurre, come
vedremo, l’esistenza di entità sovrasensibili, che non appartengono quindi alla
realtà sensibile, riproponendo in questo modo una visione, tipica della tradizione
aristocratico-sacerdotale, per cui la realtà non si esaurisce in ciò che ci rivelano i
sensi.
La priorità della ______________________
a) cambiando la _______________ cambia
_______________________________
oggetto = unità di ____________________
____________________
b) ciò che viene rappresentato è _________
_______________ dell’oggetto
La sintesi aristotelica:
forma
materia
_______________
Platone
__________________________
vedi a
la forma come _____________ (dentro le
cose) e non ________ _________________
(________ dalle cose)
Dalla forma alla _____________________
_________________________
B–
IL DIVENIRE DELLE COSE
Per la comprensione della realtà nei suoi principi costitutivi non possiamo fermarci
al rapporto tra materia e forma, perché le cose non sono realtà immutabili, ma sono
continuamente soggette a mutamento. Dobbiamo quindi definire i principi che ci
permettano di comprendere razionalmente qual è la natura del movimento e di Un esempio: _______________
capire che cos'è un evento, che cos'è qualcosa che accade.
Che cosa accade quando il seme, caduto da un albero, germoglia dando origine a una
nuova pianta? Quel seme poteva essere distrutto, poteva divenire cibo per
uomini e animali. Non è accaduto, per un concorso di circostanze, ma poteva
115
accadere. Non potevano invece accadere altre cose: ad esempio, non poteva
accadere che quel seme germogliasse dando origine a una pianta diversa da quella
da cui proviene, che da un seme di un pesco nascesse un ciliegio. Alcune
possibilità erano reali, altre no, e di quelle reali una sola si è realizzata.
Aristotele interpreta il movimento della natura servendosi dei concetti di
potenza e di atto. Considerata in ciascun istante del tempo, ogni cosa è ciò che è,
ma nel fluire del tempo diverrà qualche cosa di diverso: il seme è divenuto una
nuova pianta. Dunque nel presente ogni cosa è in atto ciò che è, ma nello stesso
tempo è in potenza tutto ciò che potrà essere domani. L'atto e la potenza, si osservi,
riguardano entrambi il presente. Infatti nel movimento del tempo - quando il seme
diverrà una nuova pianta e non cibo per l'uomo - le potenzialità che erano
possibili svaniranno: una diverrà reale, le altre non si realizzeranno. Dopo un certo
tempo, ogni cosa sarà in atto qualche cosa di diverso da prima, e manterrà solo le
potenzialità compatibili con il suo nuovo stato.
L'essere di ogni cosa non è quindi, per ciascun momento del tempo, interamente
in atto, ma è intriso di potenzialità. Poiché ogni cosa è composta da materia e da
forma, nell'unità del sinolo, l'atto e le potenzialità presenti in ciascun istante sono
determinati dal particolare rapporto tra quella determinata materia e quella
determinata forma. La materia in se stessa non ha alcuna forma, ma potenzialmente
può assumerle tutte. Dunque il modo migliore di definire la materia è
chiamarla pura potenzialità. Il suo attualizzarsi sino a formare il mondo delle cose così
come lo osserviamo nella natura è determinato dall'assunzione di forme determinate.
L'universo è quindi concepito da Aristotele come una macchina (dotata di
intelligenza, come vedremo) in movimento incessante, dominata dal processo di
attualizzazione delle potenzialità. Non c'è bisogno di ricorrere a realtà trascendenti
- come ritiene Platone - per spiegare il mondo: esso ha le sue leggi in se stesso. Tuttavia,
la natura è qualche cosa di assai più complesso di quanto ritenesse Platone, che non
aveva dedicato sufficiente studio alla ricerca sperimentale. Le potenzialità che la
materia possiede sono enormi, e lo studio della fisica è tutto dedicato a comprendere nel dettaglio il movimento delle trasformazioni reali. C'è un rapporto preciso
tra i concetti di materia e di forma e quelli di atto e di potenza. La materia è concepita
da Aristotele come potenzialità, cioè come capacità di essere plasmata da una
forma: tutto ciò che la materia è in atto - questo o quell'ente individuale della
realtà - deriva dalla assunzione di una forma.
La forma è concepita come l'atto della materia, cioè come l'essenza reale che permette
alla cosa di essere ciò che è, attraverso la strutturazione della materia in una
determinata configurazione. Nell'universo quindi c'è un movimento comune a
tutti gli enti reali: tutta la materia tende ad attualizzarsi, ad acquisire una forma
realizzando fin dove le è possibile la pienezza delle sue potenzialità.
Tuttavia Aristotele non concepisce la realtà in modo simile al mito dell'età
arcaica, che fa iniziare il movimento della generazione di ogni cosa da un elemento
primordiale informe, come il Caos di Esiodo. Alle origini le cose non possono
essere andate così. Anzi, per Aristotele non si può nemmeno parlare di origine. Infatti
non si può concepire la materia senza una forma, la potenza senza l'atto:
perché si abbia passaggio dalla potenza all'atto, l'ente che così si trasforma deve
essere già qualche cosa in atto. Il principio della priorità dell'atto è di fondamentale
importanza nella concezione della realtà per Aristotele, perché implica che
l'universo e il tempo non abbiano avuto origine, ma vivano da sempre all'interno
di un processo eterno di trasformazioni.
ATTO = _____________________________
POTENZA = __________________________
La materia non ha _________________ma
potenzialmente ______________________
materia = pura ____________________
Atto
la materia assume una __________
_________________________
Universo = _________________________
_________________________
L’_________________________ delle cose
La priorità dell’_____________
Per passare dalla _________________
all’___________ vi deve essere già
_______________________
per cui:
universo non ha ____________
Oltre alle coppie forma e materia, potenza e atto, Aristotele ha elaborato un'ultima C - LA CLASSIFICAZIONE DELLE COSE
coppia di concetti per definire i principi che definiscono l'essere delle cose che hanno
la loro origine nell’operazione, atto tipico della nostra conoscenza, della
classificazione degli oggetti
116
Ciascuna cosa è composta da diversi elementi organicamente fusi insieme: si
pensi al corpo umano e alla molteplicità dei suoi organi e delle sue funzioni. Il rapporto tra materia e forma determina ciò che l'uomo è in atto in ogni istante e che
cosa potrà diventare sviluppando le sue potenzialità, e l'uomo è l'unità di una
grande varietà di elementi organici. La sua forma dà unità a membra e funzioni
diverse. Sono tutte egualmente essenziali per definire ciò che l'uomo è? Non
nello stesso modo. Perché l'uomo sia uomo non fa differenza quali siano il colore
della sua pelle o dei suoi capelli, la sua età, il suo sesso, e così via. Altri elementi
sono indispensabili: precise differenze sostanziali distinguono l'uomo
dall'animale, il vivo dal morto, e così via. Dobbiamo dunque distinguere ciò che
appartiene alla sostanza dell'uomo da ciò che è semplicemente un elemento
accessorio, accidentale. Appartiene alla sostanza dell'uomo ciò che, se non ci
fosse, renderebbe l'uomo, qualche cosa di diverso dall'uomo (ad esempio, la vita,
il pensiero, il linguaggio e così via); appartiene al campo dell'accidentale ciò che,
pur mancando o variando - come il colore dei capelli o l'età - non modifica
affatto il suo essere uomo.
Così è per ogni cosa. Lo studioso della natura deve tendere a classificare ciascun
ente della natura in rapporto alla sua sostanza, in modo da poterlo identificare
rispetto agli altri. In questo modo la scienza della natura potrà procedere
metodicamente attraverso osservazioni ordinate e non casuali, che permettano di
avere un quadro chiaro degli elementi che compongono la natura e delle loro
possibili trasformazioni.
Oltre a definire gli oggetti, descrivere i loro mutamenti e a classificare gli oggetti, nel
conoscerli noi ricerchiamo le cause delle trasformazioni che le cose subiscono.
Definire che cos’è ciascuna delle componenti della realtà significa, infatti, descrivere
gli oggetti e le loro trasformazioni ma anche definire dettagliatamente le cause che la
determinano ad essere così com'è e la sottopongono al divenire, trasformandola nel
tempo. Le cause che agiscono in natura sono diverse ed è necessario elencarle per
individuare tutte le r agioni per cui ogni cosa è come è. Con il termine causa
Aristotele intende un concetto piuttosto ampio, più ampio del significato che
questa parola ha per noi. Per cause si devono intendere le condizioni che è
necessario ammettere per spiegare le cose e le loro trasformazioni. Distinguiamo
dunque con Aristotele quattro cause. Solo il loro complesso potrà rendere chiaro
l'essere della realtà, tuttavia per Aristotele la quarta è quella decisiva. Vediamole una
per una.
1) Causa materiale. Ciascuna cosa è composta da una determinata materia: per
comprendere che cosa sia un ente della realtà è condizione indispensabile
comprendere di quale materia esso è composto e, più in generale, comprendere
che cosa sia la materia.
2) Causa formale. La stessa materia può dare luogo a cose diverse, assumendo
forme diverse: si pensi, ad esempio, all'acqua, al ghiaccio e al vapore acqueo.
Si tratta di comprendere quale sia per ciascuna cosa lo specifico rapporto tra la
materia e la forma che essa assume
3) Causa efficiente. È ciò che corrisponde al concetto moderno di causa: per
comprendere tanto una cosa quanto un evento è necessario risalire indietro
nel tempo e comprendere quali altre cose e quali altri eventi hanno determinato
ciò che studiamo a essere, significa scoprire il perché, il motivo per cui ciò che
adesso è presente deriva da ciò che è stato prima.
4) Causa finale. Aristotele attribuisce un'importanza fondamentale a questa causa.
Egli è convinto che per comprendere la realtà si debba anzitutto esaminare quale
è lo scopo, il fine, a cui tutte le cose e gli eventi sono rivolti.
SOSTANZA = ________________________
_________________________
ACCIDENTE = _______________________
____________________________
La priorità della ____________
D – LE CAUSE DELLE TRASFORMAZIONI
DELLE COSE
Causa = ____________________________
___________________________________
Le 4 cause:
A – LA CAUSA
________________________
la materia di cui è ____________________
B – LA CAUSA
_______________________
_________________________ che assume
C – LA CAUSA
________________________
ciò che ha __________________________
_______________________________
D – LA CAUSA
______________________
il ____________ a cui tendono le cose
La priorità della causa _________________
117
Ogni essere possiede quattro tipi di cause: materiale (la materia
di cui è formato), efficiente (la causa che l’ha prodotto), formale (la
forma che rende quella materia una certa cosa e non un’altra) e
finale (lo scopo). Solo le ultime due hanno, per Aristotele, una
rilevanza sostanziale: un tempio è tale quando è stato
progettato per questo scopo o quando assolve in ogni modo la
funzione religiosa, indipendentemente da chi l'ha costruito (causa
efficiente) e dal materiale di costruzione.
Vediamo meglio quest'ultimo punto. Aristotele non accetta il dualismo radicale
tra pensiero e materia proposto da Platone come schema di interpretazione
della realtà. Rifiuta quindi su un punto essenziale la teoria delle idee. La ragione
intima della realtà deve essere cercata nella realtà stessa, nel mondo delle
cose. E in esse Aristotele scopre i l finalismo.
Comprendere il perché delle cose significa comprendere la loro destinazione,
il termine verso il quale tutto si muove. È infatti evidente che l'incessante divenire
di ogni cosa, sottolineato dai filosofi del periodo arcaico, non può essere
semplicemente d e s c r i t t o , ma deve essere efficacemente spiegato. Perché la
realtà è tutta in movimento? Verso dove si dirige? L'analogia con il
comportamento umano può illustrare la situazione, ma non può costituire una
spiegazione efficace. Perché l'uomo agisce? Per raggiungere uno scopo che si
è prefissato. C'è un obiettivo, posto prima dell'azione dalla sua mente, al quale
seguono diverse scelte che gli permetteranno di realizzarlo. Comprendere il perché
dell'azione dell'uomo significa comprendere qual è il suo obiettivo, il suo
scopo. La natura, a sua volta, sembra agire nello stesso modo: Aristotele,
ricercatore attento nel campo della biologia, osserva che ogni organo è preposto a
uno scopo, ogni funzione dell'organismo non è mai casuale, ma è finalizzata a
soddisfare determinate esigenze dell'organismo vivente. E così tutto in natura
sembra finalizzato a qualcosa: non c'è cosa o animale o pianta che non assolva
a una funzione necessaria al buon coordinamento del tutto. Tuttavia
l'analogia tra il comportamento dell'uomo e quello della natura non può essere
spinta troppo oltre. Possiamo infatti ammettere che la natura decida quale obiettivo
raggiungere e agisca di conseguenza? Dovremmo ammettere un'intelligenza
cosciente posta dietro la materia e interpretare la natura come se fosse dominata
da una mente dal carattere cosmico. Dovremmo immaginare una divinità
simile all'uomo e alle sue capacità. Ma non abbiamo prove di questo e
rischiamo di cadere in un ingenuo antropomorfismo. Per Aristotele il problema è
quello di determinare le condizioni in cui opera il finalismo della natura rimanendo
strettamente arcorati ai dati dell'esperienza.
In questo modo Aristotele si allontana dal finalismo platonico che comunque pone il
fine delle cose in qualcosa di esterno alle cose stesse, dal momento che ciò a cui mirano
le cose per Platone è rappresentato dalla perfezione del mondo delle idee, fine che è
imposto alle cose da un agente esterno quale il Demiurgo. Nella visione di Aristotele,
invece, il fine è posto all’interno delle cose stesse dal momento che esso consiste
nell’esplicitare al meglio le potenzialità che ciascuna cosa possiede ( così, ad esempio,
il fine dell’uomo consiste nel realizzare tutte le potenzialità della persona) .
La visione finalista verrà ampiamente ripresa dal cristianesimo che si rifarà più al
platonismo che non all’aristotelismo, infatti nella visione cristiana tutte le cose tendono
a realizzare un piano divino che pone il fine all’esterno delle cose stesse (così, ad
esempio, il fine del mondo è servire l’uomo e il fine dell’uomo servire Dio). Ancora
IL FINALISMO
L’analogia con ______________________
Agire umano = raggiungere ____________
Azione della natura = _________________
____________________________
Esiste un’ _________________ divina che
decide?
_______ perché:
- non abbiamo _______________________
- soluzione __________________________
Fine delle cose non esterno (Platone) ma
______________
Fine delle cose = _____________________
___________________________________
Il finalismo _________________
___________________________________
La dignità __________________________
118
una volta la visione di Aristotele appare dunque dominata dalla volontà di restituire
piena dignità alle singole cose che contengono in se stesse il proprio fine.
2 - L'ESSERE IN QUANTO TALE
Oltre ad enunciare i principi primi che ci consentono di comprendere
razionalmente la realtà la metafisica, o filosofia prima, ha un ulteriore compito.
Dice Aristotele: «C'è una scienza che considera l'essere in quanto essere e le
proprietà che gli competono in quanto tale. Essa non si identifica con nessuna
delle scienze particolari: infatti nessuna delle altre scienze considera l'essere in
quanto essere universale, ma, dopo aver delimitato una parte di esso, ciascuna
studia le caratteristiche di questa parte».
Le scienze particolari spiegano particolari regioni o aspetti della realtà: la fisica,
ad esempio, indaga l'essere in quanto essere in movimento, la biologia l'essere in
quanto essere vivente, la matematica l'essere in quanto numero, ecc. Ma è chiaro
che interrogarsi sull'essere in quanto movimento o in quanto vivente presuppone
che si sappia che cosa è l'essere in generale, l'essere, in quanto tale senza
alcuna determinazione particolare (così come chiedere che cosa sia il moto
uniforme o il moto accelerato presuppone che si sappia che cosa è il moto in
generale). Ora, la scienza che studia l'essere in quanto essere è la metafisica. E
poiché l'essere in quanto essere è l'oggetto comune a tutte le scienze particolari,
tutte le scienze particolari presuppongono la metafisica che, proprio in questo
senso, è la "filosofia prima".
Ma com’è possibile parlare dell’essere in quanto essere? Come individuare questo
oggetto, che è comune alle cose particolari, di cui si occupano le singole scienze, ma
non coincide con esse? La risposta di Aristotele è, al tempo stesso, semplice ed
estremamente complessa: l'ambito comune, non solo ad ogni scienza, ma anche ad
ogni forma di sapere e di comunicazione umana, è formato dal linguaggio, i modi,
le strutture, i significati del linguaggio organizzano qualsiasi nostra espressione, il
nostro modo di parlare del mondo, di pensarlo, di interpretarlo.
Poiché dunque la realtà viene esaurientemente espressa dal sapere umano, e questo
si esprime a sua volta in un linguaggio - cioè con le parole, la grammatica, la sintassi, i
significati della lingua -, la lingua si configura per Aristotele come lo strumento
unitario per la comprensione del mondo: la struttura del linguaggio e la struttura della
realtà gli appaiono omogenee e sovrapponibili, giacché in ultima analisi la prima rinvia
sempre alla seconda.
Tale identificazione tra strutture del linguaggio, che ci consente di descrivere il
mondo, e le strutture della realtà, il mondo stesso, fonda la giustificazione della
convinzione che il nostro pensiero, che utilizza il linguaggio, sia in grado di conoscere
perfettamente la realtà. Questa convinzione costituisce sicuramente uno dei legami tra
Aristotele e la tradizione aristocratico-sacerdotale che su tale identità aveva costruito
tutta la sua riflessione a partire da Parmenide.
Lo studio dell’essere, attraverso l’analisi delle strutture del linguaggio, porta Aristotele
a individuare le diverse forme che esso può assumere che costituiscono le strutture
fondamentali della realtà e, contemporaneamente, le strutture concettuali che ci
consentono di comprenderla.
I nostri discorsi possono riferirsi ad un qualsiasi oggetto in molti modi
raggruppabili in dieci classi, ovvero categorie. Infatti, di una qualsiasi cosa noi
possiamo parlare sotto i seguenti aspetti: 1- dire di che cosa si tratta, definendo le
sue qualità sostanziali (categoria che Aristotele chiama Sostanza) 2 - dire quali
qualità possiede (Qualità) 3 - descriverla quantitativamente (Quantità) 4 - metterla
in relazione con le altre cose (Relazione) 5- parlare delle azioni che compie
(Agire) 6- o degli effetti che subisce (Subire) 7 – indicare il luogo dove si trova
(Dove) 8 - collocarla nel tempo (Quando) 9 - descrivere ciò che gli appartiene
(Avere) o, infine, 10 - il suo essere in una determinata posizione (Giacere).
Le scienze particolari studiano __________
___________________________________
La metafisica studia __________________
___________________________________
Il __________________________ come
strumento di ______________ dell'______
___________________________________
a) - Il linguaggio come ________________
______________ di ogni forma di sapere
b) - il sapere conosce esaurientemente
___________________________________
c) - struttura della ________________ e del
____________________ sono __________
_________________________
Pensiero = _______________ =
realtà come voleva la _________________
_________________________
LE
10 CATEGORIE
119
Nella seguente proposizione, ad esempio, vengono usate tutte e dieci le categorie, Un esempio
ovvero tutte le modalità che ci consentono di parlare di una cosa,: Tizio è un uomo
(sostanza) di bell'aspetto (qualità) alto un metro e ottanta (quantità) che sta
scrivendo (agire) e sta prendendo il sole (subire) vicino a Caio (relazione) sulla
spiaggia (dove) oggi (quando) e porta gli occhiali da sole (avere) e sta seduto
(giacere).
LE
10 CATEGORIE :
i modi con cui possiamo ___________________________ di una cosa:
- __________________________________________________
-_____________________________________________
- __________________________________________________
- ____________________________________________
- __________________________________________________
- ____________________________________________
- __________________________________________________
- ____________________________________________
- __________________________________________________
- ____________________________________________
Se riflettiamo sull'esempio addotto, ci rendiamo conto facilmente che la
categoria più importante è la sostanza. Perché si possa parlare di una cosa in
termini, ad esempio, di dove e di quando, è condizione fondamentale che questa
cosa ci sia e sia identificabile. Essa è l'unica ad avere una sussistenza autonoma,
mentre tutte le altre si riferiscono ad essa e la presuppongono: la qualità, la
quantità, l'azione ecc. sono sempre qualità, quantità, azione di qualcosa, di una
sostanza. La cosa si può esprimere anche così: i predicati inclusi nella categoria
sostanza «si dicono di un soggetto e non sono in un soggetto, dicono cioè che
cosa è quel soggetto, ne definiscono l'essenza (alla domanda «che cosa è
Tizio? si risponderà «Tizio è un uomo» e non certo «Tizio è bello o alto, ecc.);
invece i predicati inclusi nelle altre categorie "sono in un soggetto" ossia ne
esprimono questa o quella caratteristica (Tizio è bello, alto, ecc.).
Il significato del termine essere quindi, pur non essendo univoco, non è
nemmeno equivoco, ossia essere non è un termine usato per indicare, cose del tutto
diverse (come, ad esempio, il termine scorpione usato per indicare l'animale o la
costellazione celeste): i suoi diversi significati hanno un comune denominatore che
è il seguente, l'essere o è sostanza o si riferisce alla sostanza. Per questo motivo lo
studio dell'essere per Aristotele è essenzialmente lo studio delle sostanze reali,
esistenti come individui nella realtà.
Sulla doppia natura delle categorie che sono contemporaneamente, da un punto di
vista logico, gli strumenti concettuali con i quali comprendiamo la realtà, e, da
un punto di vista ontologico, i generalissimi modi di essere della realtà si fonda
la nostra possibilità di conoscere con certezza il mondo reale. Infatti in questo
modo le categorie sono modi di organizzare il nostro pensiero, attraverso il
linguaggio, fondate su specifiche caratteristiche strutturali della realtà e che quindi
ci consentono di rappresentarci la realtà esattamente come essa è. Le categorie
essendo forme dell’essere, della realtà, e del pensiero valgono come leggi della
realtà (valore ontologico) e del pensiero (valore gnoseologico).
La priorità della ______________________
a) sussistenza _____________________
b) _________________________________
___________________________________
Essere = _________________
LA DOPPIA NATURA DELLE CATEGORIE
LA DOPPIA NATURA DELLE CATEGORIE
Le categorie sono contemporaneamente:
- modi di essere della ________________
Conoscenza _____________
- strumenti __________________________ che organizzano il nostro ___________
120
Dobbiamo ora affrontare il terzo ed ultimo oggetto di studio della metafisica, 3-LA SOSTANZA SOVRASENSIBILE
insieme ai principi primi che ci consentono di conoscere la realtà e all’essere in
generale.
Aristotele ritiene, dunque, contro Platone, che non esista una realtà soprasensibile
(mondo delle idee) separata dalla realtà naturale, più vera della realtà sensibile, in
quanto pensa che la struttura razionale (forma per le singole cose, categorie per
l’essere) sia una parte, non separata dalle singole cose, ma costituente le singole
cose e l’universo in generale. Non ritiene, però, - in questo concorde con la
tradizione aristocratico-sacerdotale e con Platone – che la realtà si esaurisca in ciò
che ci rivelano i sensi. Infatti, se occorre che la ragione elabori i principi razionali
per comprendere la realtà, occorre anche che la stessa ammetta le conclusioni
logicamente derivabili da questi principi, anche se ad essi non corrisponde alcuna
esperienza.
Ma qual’è il ragionamento che ci costringe ad ammettere una realtà
sovrasensibile?
I concetti di potenza/atto, così come quelli corrispondenti di materia/forma, sono
relativi: ciò che è punto di arrivo, e quindi atto e forma, di un processo
diventa punto di partenza, e quindi potenza e materia, di un altro processo. Che
una cosa sia materia o forma, potenza o atto dipende dal punto di
osservazione: il bambino è potenza rispetto all'uomo adulto, ma è atto rispetto
al feto.
Questa catena di potenza/atto (materia/forma) non può tuttavia essere pensata
come infinità. All'estremo inferiore dobbiamo porre una potenza pura o materia
prima del tutto priva di determinazioni. Si tratta di un concetto logicamente
necessario a cui non può corrispondere nessuna esperienza. Tutto ciò che è
osservabile, infatti, è sempre materia in qualche modo formata, potenzialità in qualche modo attuata.
All'estremo superiore della catena degli esseri dobbiamo poi ammettere una forma
pura o un atto puro. Possiamo a questo punto affrontare il quarto e ultimo
significato di metafisica come indagine su Dio e la sostanza soprasensibile.
La necessità di pensare un atto puro all'estremo superiore della catena degli esseri
consegue dal principio fondamentale dell'anteriorità dell'atto sulla potenza. Se infatti
la potenza presuppone l'atto, è evidente che, per evitare l'assurdo di un regresso
infinito, dobbiamo porre al termine superiore della catena potenza-atto-potenza,
ecc. un atto senza potenza, ossia un Atto puro. Data la corrispondenza tra atto e forma,
3-LA SOSTANZA SOVRASENSIBILE
contro _________________: la struttura razionale delle cose non è ________________ dalle ________ ma è un
________________________
con ______________ e la tradizione ________________: la realtà non si esaurisce _________________________________________
perché
occorre accettare le conclusione _________________________ derivabili dai ______________ _________________________
Le catena potenza / __________ e _____________ / __________ per non essere pensate come _______________ necessitano:
all’inizio
________________ +
___________
atto puro
+
______________________________
_______________________________
Atto puro + _____________________ = sostanza _________________ = ________________
l'Atto puro è nel contempo pura Forma senza materia ed è pertanto una sostanza
incorporea, sovrasensibile. Ontologicamente esso è il Principio supremo, il
fondamento da cui dipende tutta la catena degli esseri, ciò che gli uomini chiamano
121
Dio.
Dio e le sostanze sovrasensibili sono dunque il terzo oggetto di studio della
metafisica.
L'esigenza di evitare il regresso infinito è alla base di tutte le dimostrazioni
aristoteliche dell'esistenza di Dio. Il medesimo ragionamento che ci costringe a
porre Dio come Atto puro e Forma pura può essere applicato al movimento:
ogni cosa mossa presuppone qualcosa che la metta in moto ossia un motore, ma
anche quest'ultimo, in quanto è a sua volta mosso, presuppone un motore,
ecc., per cui, per non incorrere nel regresso infinito, dobbiamo porre al
termine della catena un motore che non sia a sua volta mosso, ovvero un
Motore immobile. Analogamente stanno le cose, se riflettiamo sulla catena
delle cause: ogni effetto presuppone una causa, che è a sua volta effetto di
un'altra causa e così via; dovrà quindi esserci una Causa prima non causata.
Dio è quindi Atto puro e Forma pura, Motore immobile, Causa prima; in quanto
sostanza sovrasensibile non ha né grandezza né parti, è eterno, separato,
ingenerabile incorruttibile. A questa sostanza sovrasensibile, in quanto
perfezione massima, appartiene il modo di vivere più perfetto, «quel modo di
vivere che a noi [uomini] è concesso solo per breve tempo» e di cui essa invece
gode in eterno: la vita dell'intelligenza. Dio è quindi pensiero ed è pensiero
«che ha come oggetto ciò che è eccellente in massimo grado» ossia se
stesso: egli è Pensiero che pensa se stesso.
Dio è il supremo motore non in quanto causa efficiente, ma in quanto causa
finale: egli muove, senza a sua volta essere mosso, "come l'oggetto d'amore attrae
l'amante", ossia in quanto Fine ultimo a cui tendono tutti gli esseri. Dio non ha
volontà, perché il volere e il desiderio presuppongono la mancanza di ciò che
si vuole e si desidera, ed egli non manca di nulla; perciò il rapporto di Dio col
mondo è unidirezionale: tutte le cose tendono a Dio, ma Dio non tende a
nulla ed è impassibile.
Il mondo non ha avuto un inizio nel tempo e nemmeno si è sviluppato dal
caos all'ordine: esso è eterno, sempre identico a se stesso e unico. Tempo e
movimento sono coeterni al mondo.
Le dimostrazione ____________________
fondate sull’esigenza di evitare _________
___________________________________
esempi:
- atto/potenza e materia/ _____________
- _________________________________
- __________________________________
DIO
DIO
- Atto _____________ +
- Motore ____________
_____________ pura
_____________ prima
- Sostanza _________________________________
(eterno, ingenerabile, incorruttibile)
- Pensiero che _______________________________________
- Fine ______________ le cose tendono _______
ma Dio non _____________________ (rapporto Dio-mondo: ________________)
- La coeternità di ______________________________________________
Poiché da Dio come Motore immobile dipende il movimento fisico di tutti i
Il legame tra metafisica e ______________:
cieli, tra metafisica e fisica (o filosofia naturale) sussiste, nella visione
aristotelica, una connessione essenziale: non è possibile trattare i problemi Dio, Motore __________________ mette in
fondamentali del mondo fisico, delle sostanze sensibili, senza fare riferimento
alla sostanza sovrasensibile, anzi alle sostanze sovrasensibili. Secondo moto ______________________________
Aristotele, infatti, Dio è la suprema, ma non l'unica sostanza sovrasensibile: le
sfere celesti sono mosse da Intelligenze simili a Dio, anche se a lui
inferiori. Aristotele non è quindi monoteista; come tutti i filosofi greci, egli ritiene
che il divino sia costituito da molte realtà eterne e incorruttibili, anche se
122
pensa queste realtà disposte in un ordine gerarchico che ha alla sommità il
supremo Motore immobile.
Aristotele elabora dunque anche una concezione teologica che risulta alquanto
diversa dalla tradizione ebraico-cristiana. Infatti, mentre nella concezione cristiana
Dio si presenta come una persona dotata di una propria volontà e che, pur
trascendendo le cose essendo posto al di là delle cose, interviene attivamente e
direttamente nella storia del mondo e delle cose, per Aristotele Dio un ente dettato
da una necessità logica del ragionamento, che non ci costringe però ad attribuirgli
alcuna caratteristica antropomorfica, e tende ad occupare un posto, all’inizio o alla
fine, nella catena degli eventi e degli esseri ma senza intervenire direttamente.
Dio, per Aristotele non può essere una persona in quanto, come abbiamo visto, non
possiamo attribuirgli una volontà perchè il volere presuppone la mancanza di ciò
che si vuole, ed egli non manca di nulla. Inoltre benché amato dagli altri esseri,
che sono attratti da lui come il fine ultimo, egli non ama gli altri esseri. Questa
mancanza di correlatività nel rapporto uomo-Dio, è stato osservato, comporta la
mancanza del senso del peccato, tipica del cristianesimo. Il senso del peccato
deriva infatti nell’uomo cristiano dall’avvertire il senso di colpa per non aver
corrisposto all’amore paterno di Dio.
Inoltre Dio non trascende né interviene nell’universo, infatti, pur essendo una
sostanza sovrasensibile non è pensato come separato dall’universo. Infatti egli,
come abbiamo osservato, trova posto nella catena degli eventi come Causa
prima, Fine ultimo o come Motore immobile, ma la sua azione si limita a
trasmettere il moto alle altre intelligenze celesti senza ulteriori interventi nella
catena stessa.
Il dio cristiano:
Il dio di Aristotele:
a - ___________________ dotata di __________________
a - necessità _______________ non persona perché:
- non ha _________________ (non gli _______________________)
- è __________________ dagli altri esseri ma non __________
(uomo non ________________)
b - trascende il mondo
b – non è _______________________ dall’universo (trova posta
all’__ ___________ e alla ___________ della catena degli eventi
c - __________________________________________________
c – la sua azione ____________ ____________________________
GLI OGGETTI DI STUDIO DELLA METAFISICA
1- ________________________________________________________________________________________________________
2 - ________________________________________________________________________________________________________
3 - ________________________________________________________________________________________________________
123
6 - LO STOICISMO E IL VITALISMO ANTICO
0. Lo stoicismo
1. La concezione della realtà
Materia e pensiero
Il monismo
L’immanentismo
La provvidenza divina
L’ottimismo metafisico
Il finalismo della natura
La fisica
Lo stoicismo
La quarta ed ultima visione della realtà, il vitalismo, altrimenti detta
animismo, monismo organicismo, è stata elaborata dagli stoici, la più
importante scuola filosofica, insieme all’epicureismo, dell’epoca ellenistica.
Lo stoicismo è stato particolarmente attivo nell'età tardo-ellenistica e in seno alla
cultura romana. Le ragioni di ciò non sono oscure: lo stoicismo era pervaso da una
profonda ispirazione morale e religiosa, che rispondeva bene alle nuove
esigenze spirituali che si diffusero a partire dal I secolo a.C.
Data la grande longevità del movimento stoico gli studiosi sono soliti distinguerlo
in tre parti: una «Stoa antica», che occupa grosso modo il III secolo a.C., dominata
dalle grandi figure di Zenone, Cleante e Crisippo; una «Stoa di mezzo», che
giunge fino al I secolo a.C.; una «Stoa nuova» (o «Stoa romana»), che restò assai
viva fino al II secolo d.C. (ricordiamo i nomi di Seneca, Epitteto e Marco Aurelio).
In questo capitolo ci occuperemo solo della Stoa antica.
Fondatore della scuola fu Zenone di Cizio (nell'isola di Cipro), un uomo di probabile
origine fenicia. Egli giunse ad Atene all'età di ventidue anni, e compì il suo
apprendistato intellettuale alla scuola platonica. Intorno al 300 a.C. Zenone fondò ad
Atene la sua scuola, che fu detta «stoica» dal nome del luogo dove si insediò ( e cioè
il «portico dipinto»: per questo motivo gli stoici saranno poi detti i «filosofi del
Portico»). La scelta di un portico come luogo di insegnamento non è casuale.
Zenone, in quanto straniero, non poteva possedere beni immobili in Atene, e ciò
contribuì in qualche modo a determinare le caratteristiche esterne del sodalizio
stoico: non un istituto organizzato e riconosciuto come l'Accademia platonica o il
Giardino di Epicuro, ma piuttosto un gruppo di filosofi e di amici che si riunivano
liberamente «sotto il portico» per discutere di filosofia.
Anche le opere degli stoici antichi sono in gran parte perdute. Ciò tuttavia non ci
impedisce di avere una conoscenza abbastanza organica del loro pensiero.
Infatti la tradizione ci ha conservato un patrimonio di frammenti e di
testimonianze assai ricco, e questo proprio a causa delle simpatie che le dottrine
del Portico raccolsero negli ambienti più disparati. Risulta invece difficile
individuare i singoli contributi dei maestri stoici, sia perché molti testimoni si
riferiscono genericamente alla Stoa, sia perché la sistemazione proposta da
Crisippo (il quale spesso altera sensibilmente il pensiero di Zenone, pur protestando
la sua fedeltà al fondatore) finisce per essere attribuita a tutta la scuola. Per
questo motivo esporremo le dottrine stoiche in modo sostanzialmente unitario.
Ellenismo, _____________________ e
religiosità
Zenone di Cizio
La scuola stoica
124
La concezione della realtà
Materia e pensiero
LA CONCEZIONE DELLA REALTÀ
A
L'asse portante dell'interpretazione stoica della realtà è il concetto di logos,
introdotto nella tradizione filosofica greca da Eraclito, e interpretato in modo
originale, fino a farne la chiave per la spiegazione di ogni aspetto della realtà.
Platone aveva sostenuto l'ipotesi dualista (differenza reale tra l'universo fisico spaziotemporale e l'universo dello spirito), lo stoicismo invece sostiene l'ipotesi monista
(da monos, uno: materia e spirito sono due forme della stessa realtà).
Il problema da cui muove la filosofia antica è la scoperta, che risale al pensiero di
Eraclito e di Parmenide, di due sfere della realtà: la materia e il pensiero. Nell'uomo
il filosofo osserva l'interazione tra la forza del corpo e la forza della mente: materia
e pensiero si mostrano nella loro connessione. Il pensiero astratto, il logos, concepisce
in sé gli elementi sensibili della materia; la sua forza penetra negli aspetti nascosti
delle cose; la decisione presa all'interno dello spirito si prolunga in azioni del corpo
e la mente governa tutto il comportamento della persona, sia fisico che spirituale.
Tuttavia, la relazione tra le due sfere è oscura. È questo il problema: fare luce
razionale su questa oscurità. Rifiutando la visione platonica, lo stoicismo concepisce
l'universo come un cosmo unitario. Nel Tutto - entità fisica e allo stesso tempo
spirituale - il logos è forza, energia vivificatrice, che plasma l'inerte e passiva
materia dandole una forma e uno scopo. Nulla è stabile e fermo nella natura secondo l'intuizione, ancora oscura, di Eraclito -, ma ogni cosa è presa dal
vortice del movimento. Quale forza lo genera? Che cosa si esprime nell'incessante moto degli astri, nel gioco delle maree, nella mutevole vita degli
esseri che popolano la Terra? Una sola forza pervade ogni aspetto del Tutto:
l'energia del logos che guida il mondo verso la propria destinazione e
conferisce il significato razionale ad ogni evento.
Dobbiamo concepire questa forza come materiale o spirituale? La domanda
è mal posta, perché presuppone - platonicamente, secondo una concezione ignota
ai presocratici - che materia e spirito possano esistere l'uno indipendentemente
dall'altro: da un lato la materia senza vita, dall'altro lo spirito creatore, indipendenti,
concepiti ciascuno nella propria sfera. L'esperienza non ci dice questo, ma è in
accordo con l'antica visione eraclitea della natura (physis): la materia non è
affatto senza vita, ma è vivente; lo spirito non è affatto separato dalla materia, ma
è la forza vitale interna ad essa. Dovremmo concepire viventi le piante e gli animali,
e non la Terra che li nutre? Dovremmo concepire vivente l'essere che respira, e
non l'aria che permette la vita? Certo, non si deve concepire il cosmo sull'analogia
dell'uomo e dell'animale. Queste ultime sono forme individuali dell'essere,
dotate di coscienza personale e nulla ci dice che il pianeta Terra abbia forme
simili di coscienza. Ma dire che la Terra, il Sole e gli astri sono viventi non
significa affatto che essi pensano come l'uomo o hanno coscienza nella sua stessa
maniera. Abbiamo esperienza di molteplici forme di coscienza in natura: la pianta
orienta le foglie nella direzione della luce, e sa quindi quale sia la posizione del
Sole. Ma non possiamo dire che questa forma di sapere sia analoga a quella
dell'uomo. Pensare che nell'universo vi sia una ragione profonda sottesa ad ogni
essere, che tutto plasma e muove verso uno scopo determinato - e, come
vedremo, buono - non significa immaginare una coscienza sul modello umano
dilatata fino a coincidere con il cosmo. "Dal cosmo deve trarre origine tutto ciò
che le sue parti hanno in sé: non solo il sostrato corporeo, ma anche il movimento,
l'anima, la ragione, la perfezione morale. Noi dobbiamo quindi attribuire tutto ciò
anche al cosmo stesso. In primo luogo la vita. ...Questo fu per la Stoa un principio
indiscusso: solo la ristrettezza di una prospettiva antropomorfica può negare che il
mondo, preso come un tutto, sia un essere animato dotato di ragione e perfetto"
(M. Pohlenz).
– IL MONISMO
Il __________________________
L’ _______________________________
MATERIA E PENSIERO
_________________ e _______________:
la loro __________________________
L’energia __________________________
del Tutto: il _____________________
Materia e __________________ NON sono
___________________________________
la materia è _____________________
lo spirito è _________________________
interna alla ______________________
il vitalismo
Forme di _______________________ in
natura
l’origine di __________________ dal Tutto
cosmico
l’animismo
125
Il logos dell'uomo è la forza del pensiero che gli permette di plasmare le cose fino
a creare con la cultura e la civiltà quasi una "seconda natura" - nella città ben costruita,
nei campi coltivati, nello spazio segnato da strade e ordinato dalla legge come territorio dello Stato. Che nell'universo vi sia una ragione profonda significa
concepire questo logos dell'uomo come il prolungamento in una persona, dai tratti
individuali, di una forza razionale cosmica - la stessa forza che si esprime
nell'inconscio movimento della materia. Si osservi il processo della generazione di una pianta. La natura segue delle fasi estremamente precise,
facendo sì che il seme abbia nel tempo una lunga serie ordinata di
trasformazioni, fino a diventare albero. Tutto accade come se il seme fosse
"programmato" (la parola, ovviamente, è moderna) per divenire albero, se
nella sua struttura vi fosse già inscritto il fine. Una mente ha operato questo?
Non dobbiamo immaginare la mente che guida l'universo sul modello
della mente umana. L'uomo procede per tentativi ed errori, torna sui suoi
passi, riprende la ricerca, è condizionato da mille fattori esteriori e psicologici.
Il cosmo non procede affatto così: la via delle cose è segnata con assoluta
perfezione, il seme diventa albero in un ciclo ininterrotto di nascita e di morte che
dura da molto tempo, gli astri compiono un movimento incessante, senza nessuna
delle incertezze umane.
Dai tempi più antichi gli uomini hanno concepito come Dio una simile forza che
gli stoici concepiscono come logos. Ed anche fra gli stoici alcuni spiriti sono
profondamente attratti da una interpretazione in chiave religiosa dell'universo.
Cleante, l'allievo di Zenone che, alla sua morte, diviene scolarca è dominato da
un profondo sentimento religioso, e lucidamente esprime la sua fede in un Dio
(la sua è una visione pienamente monoteista) come principio vivificatore
del cosmo in un inno che ci è stato tramandato.
Nel concepire questa divinità, non si pensi al messaggio cristiano, lontano
ancora di secoli. Il Dio di Cleante e degli stoici non è altra cosa
dall'universo. È l'intima forza che pervade tutto il cosmo, lo guida e gli
conferisce senso. Non è puro spirito contrapposto alla materia, ma
l'elemento vivificante della materia, concepito come fuoco, materia vivente,
pura energia. Dio è immanente.
Gli stoici sono i primi filosofi a concepire in piena consapevolezza l'ipotesi
dell'immanenza. Il termine deriva dal verbo latino immanere (restar dentro) e si
contrappone al termine trascendenza, con il quale indichiamo la tesi platonica
che il mondo dello spirito trascende da la natura e sia eterno (cioè sia per natura
ontologicamente separato e indipendente dalla materia e dal tempo). La tesi stoica
sul cosmo è che Dio, cioè la forza dello spirito, sia dentro la natura - che il logos
sia il suo elemento vivificante - e non possa concepirsi alcuna realtà eterna e
immobile, alcuna idea fuori dal tempo. Il Tutto è scandito dal movimento e
guidato secondo ragione verso il bene dalla propria intima costituzione divina
(concezione finalistica dell'universo). In questo senso l'uomo - l'essere della
natura in cui il logos divino si prolunga nella pienezza della sua cosciente
razionalità è affine alla natura di Dio e Cleante può concludere la sua preghiera
con queste parole: "Nessun ufficio più alto fu dato agli dei e agli uomini
/ che celebrare la legge che gli uni e gli altri nel giusto unisce".
Si trattava, come si vede, di una concezione della divinità profondamente diversa
da quella che sarà fatta propria dal Cristianesimo. Infatti la concezione stoica
vedeva la divinità come qualcosa di immanente, ovvero come qualcosa di
coincidente, insito nell’universo, mentre nella visione del cristianesimo Dio
apparirà come un principio trascendente, ovvero superiore, non riconducibile e
comunque esterno all’universo (di derivazione quindi platonica).
IL LOGOS
Nell’uomo: _____________________
nell’universo: _______________________
___________________________________
La differenza
non ___________________________
ma ____________________________
L’interpretazione ___________________:
il logos è __________________________
B
– L’IMMANENTISMO
Dio come _________________________
___________________________________
Immanenza e ________________________
Logos ____________
uomo simile a
____________________
IL DIO DEGLI STOICI E IL DIO CRISTIANO
(vedi schema al fondo)
126
Un’ulteriore differenza tra la concezione stoica della divinità e quella cristiana è
rintracciabile nel fatto che la divinità stoica non coincide con quella del Dio
persona cristiano in quanto esso rappresenta piuttosto la legge che governa
l’universo. Dio come persona e come principio immanente sono tipici della
tradizione ebraica e da essa sono pervenuti al cristianesimo.
LA PROVVIDENZA DIVINA
La concezione della realtà
La provvidenza divina
Il logos come _____________ del Tutto
Strettamente connessa con questa concezione è la dottrina stoica della provvidenza
divina. Il logos, infatti, governa il mondo secondo necessità (la stessa necessità
che osserviamo nelle inesorabili leggi di natura, al cui potere non c'è nulla che
sfugga). Esso, concepito come divinità, guida tutta la natura verso il bene, fine
ultimo d'ogni movimento dell'essere. Il bene non è concepito alla maniera platonica
come un'istanza superiore ed eterna, immutabile, ma è applicato al mutevole
mondo dell'esperienza. Bene non è quindi tanto la destinazione finale,
quanto l'orientamento attuale dell'essere delle cose che sistematicamente e
necessariamente si evolve, perché tutto è soggetto al movimento del tempo. E questo
stesso movimento ad essere buono, perché pone ordine a tutto l'essere in ogni
sua fase. Il bene è immanente nel mondo, anche se al nostro debole occhio il
male può apparire vincente. Ciò dipende dal fatto che non cogliamo il
significato vero delle cose e degli eventi: li osserviamo da un'angolazione ristretta,
da un'ottica particolare, e non capiamo perché sono necessari al fine della
perfezione del Tutto. Niente accade per caso, tutto accade secondo necessità,
perché l'universo abbia ordine e misura.
Non c'è movimento nella natura - la caduta delle foglie in autunno, il ciclo della
vita e della morte, il costante ruotare dei cieli, e così fino al più piccolo
evento che, per la nostra ignoranza, ci appare frutto del caso - che non abbia un senso
nell'ordine del tutto.
La provvidenza non è l'intervento della divinità che dall'esterno agisce sul mondo
per guidarne il corso verso il bene. E la stessa ragione intima delle cose, è il senso
oggettivo dell'evoluzione cosmica. L'uomo deve affidarsi a questo cammino
dalle tappe già segnate, abbandonarsi con fiducia alla perfezione divina anche
quando essa non appaia in tutta chiarezza e il male sembri prendere il sopravvento.
Ma ciò che è male dalla visuale dell'individuo (ad esempio la morte per la preda) è
bene nell'ordine dei tutto (il rapporto tra preda e predatore garantisce la vita nel ciclo
cosmico del divenire). Naturalmente è vana la pretesa di comprendere sempre le
ragioni della divinità, forma immanente che regge il mondo. Rimane il mistero
nelle cose, negli eventi, nel destino individuale. Ma la ragione ci spinge ad avere
fiducia nella bontà del Tutto.
Il saggio si affida alla provvidenza appunto perché ha fiducia nella bontà della
provvidenza.
Se ripercorre col pensiero il corso della propria vita, l'uomo ha l'impressione
che essa sia governata dalla Tyche, l'antica dea greca del caso, il cieco destino
privo di senso che rende irrazionale ogni progetto troppo preciso a lunga scadenza:
la vita soggiace infatti ai colpi della "fortuna", nel senso latino del termine.
Per gli stoici questa maniera di pensare è frutto della nostra ignoranza del futuro,
della mancanza del saldo possesso razionale della rete di cause che determinano un
evento e, soprattutto, delle conseguenze che ne deriveranno. Il saggio però non si
lascia ingannare dai limiti delle informazioni in suo possesso. Attraverso la ragione,
egli sa che non c'è il caso nella natura, ma rigoroso ordine. Tutto è regolato dalla
ragione che governa il cosmo secondo il bene.
verso il ______________________
Bene NON _________________________
Bene come _________________________
_____________________________
Il male ha un senso ___________________
__________________________________
ma vana è la pretesa dell’uomo _________
_________________________________
L’inesistenza _______________________
Tutto è _____________________________
all’interno del piano provvidenziale
127
C - L’ OTTIMISMO METAFISICO
L'essere stesso è bene, è divino. Il male è solo un momento del ciclo del bene,
oppure è il frutto dell'ignoranza (un errore di prospettiva, nato dall'ottica sfocata che
ci concede la nostra natura), oppure è il momentaneo prevalere dell'irrazionalità, cui La bontà ________________________ e
il logos saprà dare un senso positivo, volgendo gli eventi verso il bene all’interno
del piano provvidenziale. Gli stoici, dunque, hanno espresso la massima fiducia nella _______________________________
positività dell'essere. Il loro è un profondo ottimismo metafisico: la vita,
l'essere in quanto essere, è bene.
Non si tratta di chiudere gli occhi di fronte al male del mondo, di non voler vedere
l'irrazionalità della vita e la profondità del dolore che opprime il vivente (ogni
essere vivente, non solo l'uomo). Al contrario, la realtà va guardata con lucidità,
oggettività: come la scienza ha cercato di fare in ogni tempo e come i Greci
Ottimismo e ______________________
avevano imparato fin dai tempi delle prime osservazioni naturalistiche. Il male,
tuttavia va compreso nell'ottica del bene. In questo ottimismo radicale – che
ritroveremo nel pensiero medievale cristiano - va certamente vista una forma
nuova di religiosità.
D
Questa fede nasce dalla interpretazione finalistica della natura (che, quindi, richiama Aristotele). Gli stoici sono profondamente colpiti dall'ordine dell'universo e
dal fatto che tanto gli organismi viventi quanto il cosmo nel suo complesso
appaiono orientati verso uno scopo. Si prenda il caso dell’uomo. Ogni suo
organo sembra "programmato" per la buona efficienza dell'organismo; ogni
momento del suo sviluppo (dal concepimento alla nascita alla crescita) appare
finalizzato al perseguimento della migliore condizione dell'adulto; il suo
corpo ha caratteristiche che lo predispongono alla parola e alla comunicazione
spirituale con i suoi simili. Tutto accade come se un'intelligenza avesse "pensato"
lo sviluppo dell'uomo secondo un preciso fine, la pienezza del suo essere. È
come se vi fosse un progetto. Troppo bella la natura, per non pensarlo, troppo pieni e
perfetti i suoi colori le sue forme, il fascino degli elementi, il paesaggio di tutti i giorni
sulle terre dei Greci: il mare, il sole, l'aria, il profilo delle isole e dei monti. Lo
stesso accade per ogni piano e per ogni animale. Se si pensa al ciclo delle stagioni,
all'alternarsi del caldo e del freddo, del. l'umido e del secco, e così via la natura
sembra costituire una macchina meravigliosa finalizzata al bene. La bellezza stessa
della natura sembra proclamare la perfezione del divino che è in lei. Gli stoici
descrivono ammirati tutto questo, e ai loro occhi il finalismo della natura appare come
la migliore e la più razionale prova dell'esistenza di Dio come supremo reggitore
dell'universo. Forse non comprendiamo tutte le vie del mondo, qualcuna è dolorosa
- forse troppo dolorosa - per noi. Ma l'uomo saggio si affida all'ordine divino,
quell'ordine che compare con tanto splendore nella bellezza del mare e della
luce, nel ciclo vitale, finalizzato al bene, degli organismi. E tra questi - in un mondo
che non ha voluto, ma che contempla con occhi stupiti e che comprende con la
sua ragione - è ciascuno di noi. La ragione accomuna il nostro l o go s al logos
divino che è in ogni cosa. L'uomo è affine a Dio. Ma come può fuggire dall'infelice condizione in cui si trova, oppresso dal dolore e schiavo delle
passioni, per giungere alle serene regioni della vita divina, guidata dalla ragione?
L'uomo può accostarsi a Dio?
Si rifletta sulla posizione dell'uomo nel cosmo. Mentre gli epicurei concepiscono
l'uomo come uno dei tanti casuali prodotti del movimento degli atomi, il pensiero
stoico è dominato dall'antropocentrismo: l'uomo ha il primo posto nella scala
degli esseri e la sua anima è affine a Dio. A questo punto però si presentava agli stoici
un problema: qual è lo scopo ultimo che la natura persegue nel suo creare? Se noi
vediamo una casa ben arredata, non ci domandiamo soltanto chi l'ha costruita
ma anche per chi è stata costruita. La risposta per loro non è dubbia: tutte le forme di
vita inferiori esistono in funzione di quelle superiori. La terra nutre le piante, queste
nutrono gli animali, e gli animali servono all'uomo come strumento e come
- IL FINALISMO DELLA NATURA
L’_____________________ dell’universo:
a – la ______________________________
b – la ____________________________
c - la ______________________________
a+b+c
dimostrano ______________
_______________
La centralità ___________________
nell’___________________________
a - la comunanza tra __________________
b – l’universo al ____________________
______________________
128
cibo.
Infatti, sebbene fisicamente l'uomo sia inferiore per molti aspetti agli animali, col suo
logos egli si rende padrone di loro e di tutto il mondo. Egli è usufruttuario di tutte le
cose ed è pure il solo essere atto e chiamato ad apprezzare la grandezza e la
bellezza del mondo e a trarne motivo d'edificazione. Grazie al l o gos egli è Dio e uomo = _______________________
imparentato con la divinità. Dio e uomo sono gli esseri razionali, la più alta
la maggior ______________________
forma dell'essere, la quale svela lo scopo e il senso del mondo. Il cosmo secondo
Crisippo è «un sistema costituito dagli dèi, dagli uomini e dalle cose create per ______________________________
loro»" (M. Pohlenz).
Con questo antropocentrismo gli stoici introducono un elemento nuovo nella cultura
greca: esso è infatti assente non solo presso i filosofi, ma anche presso i poeti dell'età
arcaica e classica.
Anche questo antropocentrismo, insieme con l’ottimismo, verranno riprese dal
cristianesimo fin dall’opera di Paolo di Tarso che nella sua interpretazione della
figura di Gesù si servì ampiamente dei concetti elaborati dagli stoici. Tra questi vi è Stoicismo e Cristianesimo
anche il concetto di provvidenza che è strettamente legato alla divinità per cui
anch’essa viene, a causa della diversa concezione della divinità, concepita
diversamente. La provvidenza costituisce un piano impersonale in quanto
determinato da una legge, mentre per i cristiani sarà il frutto di una precisa
volontà, quella divina. Inoltre, per gli stoici essa è, come la divinità, un principio
immanente all’universo, mentre per i cristiani essa, come la divinità di cui
rappresenta la volontà, e trascendente rispetto al mondo.
Alla visione del mondo elaborata dagli stoici è strettamente connesso, come
vedremo, la concezione, anch’essa destinata a essere ripresa dal cristianesimo,
dalla morale come dovere.
IL DIO DEGLI STOICI E IL DIO CRISTIANO
1 _____________________________________________ CTR ___________________________________________
2 _____________________________________________ CTR ___________________________________________
Concetti ____________________
__________________________________
A Provvidenza ma (vedi divinità)
1 _____________________________________________ CTR ___________________________________________
2 _____________________________________________ CTR ___________________________________________
B _____________________________________________________________
C _____________________________________________________________
D _____________________________________________________________
La fisica
LA FISICA
La fisica stoica è dichiaratamente materialistica. Per sostenere tale orientamento i 1 - Il _____________________________
maestri del Portico potevano giovarsi di un argomento di Platone. Nel Sofista
questi aveva affermato che veramente reale è solo ciò che ha il potere di agire
e di patire. Ma, osservano gli stoici, solo ciò che è materiale può godere di
queste caratteristiche: dunque tutto ciò che agisce e patisce è corporeo. Si tratta
129
di una concezione gravida di conseguenze: vediamone subito due. In primo luogo
definire la materia come «quella cosa che è in grado di agire e di patire» conferisce Differenze con _________________:
al materialismo stoico un aspetto dinamico che lo differenzia nettamente dal
materialismo epicureo. Per Epicuro, infatti, la materia è soprattutto la sostanza
della realtà: è ciò che occupa uno spazio, che si può toccare e vedere e che si muove
in modo geometrico, sospinto da una cieca forza meccanica. Per gli stoici, al
contrario, la materia è qualcosa che (usando un'espressione aristotelica) è sempre
in potenza, in quanto possiede la capacità intrinseca di divenire. Da qui deriva
anche la seconda conseguenza che volevamo mettere in luce. Spesso lo stoicismo La materialità dei ____________________
insisterà nel considerare materiale tutta la realtà senza alcuna eccezione,
comprese le entità astratte come la virtù, la giustizia, ecc. Orbene, questa tesi
diviene comprensibile solo tenendo presente la concezione della materia illustrata
sopra: la giustizia, ad esempio, è per gli stoici non già una realtà immateriale,
ma l'insieme delle forme che la «materia» assume nelle persone, nei fatti e nelle
cose «giuste».
Alla luce di quanto si è detto, si capisce anche perché il carattere distintivo della 2 - Il _______________________________
fisica stoica risulti essere, più che il materialismo, il monismo. Platone aveva
separato dualisticamente la forma (le idee) dalla materia (il mondo sensibile) e
Aristotele aveva mantenuto, sia pure in forma indebolita, questa distinzione. Gli
stoici, dal canto loro, non negano l'esistenza di un principio attivo e di uno passivo,
di una realtà in certo modo «formale» e di una realtà «materiale». Negano, invece,
che tale dualismo sia originario. Per loro esiste infatti una sola «materia»
primigenia che riempie di sé tutto l'universo, e che di volta in volta può
specificarsi in differenti ruoli e funzioni. Da qui deriva concezione stoica
secondo cui esistono sia la materia che la forma, ma la forma stessa è qualcosa
di materiale. In sostanza essi ritengono sia possibile, in via teorica, individuare un
principio attivo e uno passivo, purchè si tenga presente non solo che tali principi
sono realtà inseparabili (e fin qui saremmo ancora vicini alle critiche che
Aristotele rivolgeva a Platone), ma che sono la stessa e unica cosa. A ben guardare
il materialismo serve agli stoici soprattutto per confutare il dualismo metafisico
di Platone. Dopodichè chiamare l'unica realtà esistente con la parola materia o
con qualche altro termine non ha più molta importanza: la «materia» degli stoici è
materia che è anche forma e spirito.
Le caratteristiche della fisica degli stoici emergono bene attraverso un paragone
con la fisica degli epicurei. Epicuro, come abbiamo visto, aveva una concezione
«meccanica» della materia, credeva che fosse composta di atomi indivisibili
inframmezzati dal vuoto, e asseriva l'impenetrabilità dei corpi; riteneva inoltre
che i mondi fossero infiniti e nessuna necessità o provvidenza ne guidasse gli
sviluppi, che gli dei vivessero fuori dal mondo e non si occupassero dei destini
dell'umanità, e di conseguenza sosteneva l'esistenza del libero arbitrio. È facile
dimostrare che su tutti questi punti gli stoici espressero tesi diametralmente
opposte. La materia, in primo luogo, è per loro viva ed attiva, interamente
compatta e divisibile all'infinito: un principio che poteva essere sostenuto solo
ammettendo la penetrabilità dei corpi. In secondo luogo per gli stoici esiste un
unico mondo guidato da una provvidenza divina calata nella realtà mondana, una
provvidenza la quale guida le sorti di tale mondo secondo un destino che l'uomo
è incapace di modificare nella sostanza.
Queste differenze non sono casuali. Esse esprimono due maniere di interpretare la
realtà naturale, la cui radicale opposizione fu lucidamente colta non solo dagli
antichi ma anche in epoca posteriore (ad esempio nel rinascimento). L'universo
epicureo assomiglia a un gioco di costruzioni fatto di elementi mobili, che si
aggregano e si disgregano in infinite combinazioni senza ordine e senza legge:
ogni oggetto è una temporanea unione di «mattoni» che presto o tardi si
separeranno per comporne altri, e così via. L'universo stoico, al contrario, è simile
ad un unico blocco di materia compatta e malleabile la quale, guidata da una legge
130
intrinseca, assume le forme più varie attraverso una trasformazione continua senza
nette divisioni o salti interni. Ancora, mentre gli epicurei ritengono necessario,
per spiegare la realtà mondana, un pluralismo spinto fino alle estreme
conseguenze (l'infinità degli atomi), gli stoici ritengono che tale spiegazione sia
possibile ammettendo una natura unica in grado di assumere configurazioni
diverse.
Differenze con _________________:
A -____________________: materia come ________________________________
Stoici: materia come _______________________________________________
B - ______________________: _________________________________________________________________________________
Stoici: ______________________________________________________________________________________________________
C - ______________________: _________________________________________________________________________________
Stoici: ______________________________________________________________________________________________________
Un'altra significativa dottrina fisica della Stoa è il principio della cosiddetta
«mescolanza di tutte le cose», e della loro interazione universale. Il principio di
causalità universale sostiene che tutto ciò che accade nell’universo ha una causa
che è a sua volta causa di qualcos’altro. L’universo è dunque retto da un’unica
catena causale per cui un evento privo di causa è impensabile, in quanto ci sarebbe
qualcosa di non determinato dalla natura e dalla ragione divina insita in essa. La
provvidenza costituisce, per gli stoici, il piano razionale che, tramite la causalità
universale, regge e governa il mondo realizzando un mondo perfetto perché
ordinato e armonico in cui il male stesso appare giustificato nell’economia del
tutto.
Orbene, per i filosofi del Portico ciò implica che in natura tutto ha effetto su tutto:
per esempio, anche una sola goccia di vino che cade in mare non è un accadimento
irrilevante ma ha il potere di modificare, sia pure in misura infinitesima, le
caratteristiche qualitative dell'insieme Da qui deriva anche un'ulteriore,
fondamentale concezione, quella della cosiddetta «simpatia universale»: tutte le
parti dell'universo, anche le più remo hanno organici rapporti di azione
reciproca. Tale concezione ha, tra le altre cose, un importante significato
religioso. È infatti grazie ad essa che gli stoici sostennero la fondatezza
dell’astrologia, e più in generale furono portati a vedere in tutti i fenomeni della
natura le molteplici manifestazioni
3 - Il principio _____________________
e piano ___________________________
La ______________________________
e _________________________
LA CONCEZIONE DELLA REALTÀ
Monismo: ______________________________________________________
Materia e pensiero sono
____________________________:
IL LOGOS
come _________________
Immanentismo: __________________________________________________
______________________________
LA
____________________________
Ottimismo metafisico: _____________________________________________
come __________________________
Finalismo della natura:_____________________________________________
________________________
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