Matematica, applicazioni, modelli. Ricordando Giorgio Israel di Aldo Brigaglia Chi può dire che per conoscere i pensieri di un assassino un modello matematico del cervello possa essere più utile della lettura di Delitto e Castigo di Dostoevskij? Queste sono (più o meno, le ricordo a memoria, senza che appaiano nel testo scritto) le parole conclusive di un seminario (Modellistica matematica: panoramica generale) che Giorgio Israel ha tenuto a Palermo, presso l’Istituto Tecnico Majorana, nel maggio 2001. Ho conservato il testo inviato da Giorgio per la conferenza e penso che, proprio per il fatto di rivolgersi a studenti delle scuole superiori, possa con semplicità sintetizzare il suo pensiero che si è svolto con mirabile coerenza lungo tutto l’arco della sua attività di storico ed epistemologo della matematica. Al centro dell’attenzione dello studioso sta un problema di grande importanza: quello del riduzionismo e in particolare del rapporto tra la matematica e le altre scienze e della sua efficacia nelle scienze non fisiche, quali la biologia, l’economia, le scienze sociali in genere. Un problema questo che mi ha coinvolto profondamente e sul quale, pur non condividendolo in toto, sono stato molto influenzato dal punto di vista di Giorgio. Scrive John Von Neumann nel 1955 (citato in Israel, Millan Gasca, Il Mondo come gioco matematico): Le scienze non cercano di spiegare, a malapena tentano di interpretare, ma fanno soprattutto dei modelli. Per modello si intende un costrutto matematico che, con l'aggiunta di certe interpretazioni verbali, descrive dei fenomeni osservati. La giustificazione di un siffatto costrutto matematico è soltanto e precisamente che ci si aspetta che funzioni - cioè descriva i fenomeni in un'area ragionevolmente ampia. Inoltre, esso deve soddisfare certi criteri estetici - cioè, in relazione con la quantità di descrizione che fornisce, deve essere piuttosto semplice. Con questa bella descrizione il matematico ungherese sanciva la nascita di un nuovo paradigma nella concezione della matematica e dei suoi rapporti con la realtà esterna. Il termine “modello” è stato utilizzato più volte anche in tempi molto antichi: i più famosi sono stati i modelli del sistema solare, quello tolemaico e quello copernicano. La prefazione di Osiander al testo di Copernico è un esempio mirabile di questo modo di concepire i modelli. Scrive infatti il teologo: È compito dell'astronomo infatti comporre, mediante un'osservazione diligente ed abile, la storia dei movimenti celesti e quindi di cercarne le cause ovvero, poiché in nessun modo è possibile cogliere quelle vere, di immaginare ed inventare delle ipotesi qualsiasi sulla cui base questi movimenti, sia riguardo al futuro - sia al passato possano essere calcolati con esattezza conformemente ai principi della geometria. … Poiché infatti non è necessario che queste ipotesi siano vere e neppure verosimili, ma basta questo soltanto: che esse offrano dei calcoli conformi all'osservazione. A questo modo di interpretare il ruolo dell’ipotesi matematica nel suo rapporto con la realtà si contrappone naturalmente Galileo (“eppur di muove”) ma anche lo stesso Osiander il quale trasferisce alla rivelazione divina il compito di indicare la vera natura dei fenomeni. Un altro uso, precedente alla moderna accezione, del termine “modello” è quello (nato nella seconda metà del XIX secolo) relativo ai modelli delle geometrie iperboliche, il modello di Beltrami Klein e quello di Poincaré. Naturalmente qui siamo su di un terreno diverso, in quanto il modello diviene strumento non tanto di “descrizione dei fenomeni” quanto di “descrizione di universi possibili” diremmo oggi “virtuali”. Ma questo è un altro discorso su cui non intendo soffermarmi. L’approccio modellistico propriamente detto può farsi risalire all’inizio del secolo scorso e come rileva Israel nella citata conferenza: L'affermarsi dell'approccio modellistico ha quindi le sue radici nella crisi dell'approccio realista ed oggettivista nella fisica classica, prende forma fin dagli inizi del secolo e, in modo netto, a partire dagli anni venti. D'altra parte, un siffatto approccio in termini di storia delle idee, a ben vedere, non confligge con quella che privilegia i fattori applicativi e tecnologici. Difatti, la natura stessa dell'approccio modellistico contiene le premesse per un uso più ampio e non restrittivo dello strumento matematico in ogni settore in cui esso possa rivelarsi utile ed efficace. … è innegabile che l'affermarsi dell'approccio modellistico si accompagna al costituirsi di un rapporto sempre più stretto della matematica con le applicazioni, e quindi alla diffusione crescente della tecnologia (ovvero della tecnica fondata sulla scienza). Appare chiaro che, se l'esplosione di una tecnologia basata sistematicamente sull'approccio matematico si situa negli anni quaranta e cinquanta, le sue premesse sono facilmente rintracciabili nei primi decenni del secolo: pertanto, lo sviluppo concettuale e metodico e la svolta sul piano tecnologico sono collegati da un filo coerente. A ciò va aggiunto un altro aspetto, coerente con le caratteristiche dell'approccio modellistico e con il menzionato svincolamento della matematica dal rapporto esclusivo con la fisica: si tratta dell'applicazione sempre più diffusa della matematica a tematiche di carattere non fisico, in particolare nel campo della biologia e delle scienze sociali ed economiche. Questa lunga citazione mi permette di sottolineare alcuni aspetti particolarmente significativi nell’approccio di Giorgio alla modellistica del Novecento e tutti tesi a rivedere in modo coerente processi che si intersecano in modo tale da apparire talvolta contraddittori. Il primo aspetto riguarda il legame tra la natura delle trasformazioni avvenute nei primi anni del secolo nei fondamenti della fisica e l’emergere della modellistica. Nel corso della rivoluzione scientifica e in particolare dopo lo sviluppo del calcolo infinitesimale si era sviluppato un contatto direi simbiotico tra matematica e fisica (in particolare la meccanica e le sue applicazioni quali l’astronomia). Era diffusa l’idea che la matematica rappresentasse effettivamente il reale svolgimento dei fenomeni fisici. “La matematica difende dall’inganno dei sensi”: è una delle affermazioni di Eulero che certifica questa simbiosi. Il meccanicismo, cioè la tendenza a interpretare e spiegare per via meccanica ogni forma di conoscenza scientifica, diviene un paradigma fondamentale del rapporto tra matematica e fisica nella prima parte del XIX secolo. Alla fine del secolo invece nella matematica si affermavano con sempre maggiore forza tendenze volte all’affermazione della sua autonomia rispetto alla fisica. Il posto sempre maggiore occupato all’interno della matematica dalla teoria dei numeri (con il ruolo via via crescente giocato da un problema “inutile” come la congettura di Fermat), l’emergere dell’algebra astratta, lo sviluppo delle geometrie non euclidee tendevano infatti a delineare una visione della matematica ben diversa da quella prevalente nel XVIII secolo. D’altra parte la “nuova” fisica relativista e quantistica dell’inizio del XX secolo, pur richiedendo sempre maggiori apporti dalla matematica, andava via via liberandosi dal modello meccanicista. È da queste due spinte che nasce un nuovo modo di vedere la natura dei rapporti tra matematica e mondo esterno, quello, appunto, detto modellistico e di cui si è parlato prima. Occorre qui, a mio avviso, fare qualche precisazione. Talvolta la situazione della matematica a cavallo tra i due secoli viene vista come a un bivio. Da un lato l’approccio assiomatico di Hilbert, che determina un crescente distacco tra matematica e realtà esterna. Freudenthal commenterà le parole con cui Hilbert inizia i Grundlagen scrivendo: con ciò il cordone tra realtà e geometria è tagliato. Dall’altro lato viene visto Poincaré, sempre attento alle applicazioni, il fondatore di un nuovo modo qualitativo di trattare le equazioni differenziali, i cosiddetti sistemi dinamici. Questo modo di vedere tende quasi a identificare la modellistica matematica, appunto, con i sistemi dinamici e la forma attualmente assunta dalla fisica matematica. È proprio su questo terreno che il pensiero di Giorgio mi è apparso particolarmente originale e mi ha certamente influenzato. Nella sua visione storica, l’introduzione dell’assiomatica e di una matematica sempre più astratta, lungi dal contrapporsi all’esplosione della matematica applicata alla tecnologia attraverso un uso sempre più diffuso della modellistica matematica, ne è stata la necessaria controparte “interna”. Scrive Israel nel suo volume sul bourbakismo: È un paradosso del tutto apparente (dovuto al peso di una tradizione culturale) che un personaggio così lontano da qualsiasi preoccupazione pratica come Cantor abbia espresso per primo la visione della matematica più confacente alle nuove necessità dello sviluppo tecnologico produttivo: difatti, l’esigenza che emerge è proprio quella di una matematica che sia pura forma e duttile strumento e che rinunci definitivamente al rapporto privilegiato con la fisica. Così la matematica astratta e genericamente definibile come assiomatica risulta lo strumento non solo e non tanto tecnico, ma direi concettuale ed epistemologico entro cui emerge la concezione modellistica della matematica. E una precisa immagine di questo processo è realizzata nella mirabile biografia di von Neumann citata prima; perché nel grande matematico ungherese si fondono i due punti di vista apparentemente opposti: von Neumann è uno dei maggiori matematici “puri” della prima metà del secolo scorso, un seguace dell’indirizzo assiomatico hilbertiano, ma nello stesso tempo egli è anche forse il più importante matematico applicato della sua epoca, colui che ha dato il via alla teoria dei giochi ed alle sue applicazioni all’economia, nonché a vari aspetti della modellistica contemporanea. La biografia scientifica del grande matematico viene quindi vista non come legata a fasi contrapposte, ma all’interno di uno sviluppo coerente che è quello della matematica moderna e delle sue straordinarie applicazioni. Una matematica “libera” dalle applicazioni, una matematica che non lavora sulla base di precise richieste da parte delle altre scienze e della tecnologia, che non pensa all’utilità ma, per dirla con Jacobi, “all’onore dello spirito umano”, si è rivelata lo strumento più efficace proprio al fine delle applicazioni pratiche! Mi sembra questo il “paradosso apparente” di cui parlava Israel e forse in questo consiste l’”irragionevole efficacia della matematica” brillantemente esposta da Eugene Wigner. Forse a questo proposito vale la pena citare una frase di un “tecnocrate” di alto livello, che ben conosceva von Neumann, Vannever Bush. La frase è tratta dal suo libro, recentemente tradotto in italiano per Boringhieri, Manifesto per la rinascita di una nazione: Il progresso della scienza nasce, in gran parte, da un libero gioco di liberi intelletti che scelgono di esplorare l’ignoto scegliendo l’unico dettame della propria curiosità. La libertà d’indagine, qualunque sia il piano governativo di sostegno alla scienza, andrebbe tutelata. Questa frase assume un rilievo particolare, non tanto in sé, quanto per il contesto in cui è stata scritta. Bush fu infatti il principale consigliere presidenziale, durante e dopo la guerra, riguardo agli utilizzi della ricerca scientifica ai fini dello sforzo bellico. Un ruolo altamente applicativo quindi, per il quale indica come risposta il rafforzamento della ricerca pura. Una concezione che va perfettamente d’accordo con la visione della modellistica presentata da Israel. Se quindi l’apparente divorzio tra matematica e realtà non ostacola, ma anzi esalta le sue possibilità applicative, l’esplosione della modellistica ha determinato una crisi concettuale del riduzionismo meccanicista. Scrive Israel (nella citata conferenza): l'insufficienza del riduzionismo meccanicistico si manifesta a un livello molto più profondo e vasto. La tecnologia moderna pone problemi molto più complessi della descrizione di un dispositivo isolato o di una macchina individuale: ci si trova sempre più di fronte a sistemi, in cui intervengono livelli assai diversi fra loro e che spesso non sono neppure riducibili a fattori puramente fisici. Non si tratta soltanto dei problemi posti da tecnologie come quella aereospaziale, in cui intervengono problematiche meccaniche, elettroniche, chimiche e persino biologiche. Si tratta di problemi come quelli della regolazione del traffico o dei problemi delle file d'attesa, per non parlare della trattazione scientifica dei problemi economici, produttivi, finanziari, sociali. … Il vasto dominio dei modelli di controllo rappresenta un campo in cui la descrizione scientifico-matematica è chiamata a un ruolo sconosciuto nel passato. In questo quadro la dimensione scientifica tende a occupare tutti gli spazi in una forma di riduzionismo non più puramente meccanicistico, ma direi “modellistico”. Ciascuna disciplina tende a fregiarsi del nome di “scienza”. Scienze economiche, scienze sociali, scienze umane, … Senza questa parola ogni forma conoscitiva appare di second’ordine. E ciò malgrado i molteplici fallimenti per esempio delle capacità predittive delle “scienze” economiche. La tendenza a condensare in algoritmi più o meno matematici ogni forma di conoscenza è assolutamente pervasiva. Scrive a tale proposito (sul Corriere della Sera) il direttore dell’Istituto Italiano di Tecnologia, Roberto Cingolani: L’algoritmo non ha responsabilità. È solo un’espressione matematica basata su parametri che nascono dalla misurazione oppure, quando è predittivo, da ipotesi. Se chi l’ha strutturato ci azzecca, la formula è corretta. Altrimenti siamo di fronte a un errore, ma non per questo bisogna scandalizzarsi. Vuol dire che si dovrà studiare e lavorare ancora per migliorare il modello. Ma è proprio l’”irresponsabilità” dell’algoritmo a doverci mettere in guardia. La matematica assiomatica che gestisce gli algoritmi è ipotetico-deduttiva, cioè ci assicura che la verità di alcune ipotesi garantisce la verità di alcune conseguenze; ma è estremamente riduttivo pensare che a loro volta le ipotesi possano essere guidate da algoritmi. Esistono una serie di scelte che riposano su elementi e valori non riducibili a forme predeterminate. Inoltre, una volta avviato un sistema di scelte basate su modelli determinati, questi modelli non si limiteranno a “prevedere” gli avvenimenti, ma tenderanno a determinarli. Se, ad esempio, una previsione del tempo non influenzerà l’andamento climatico, una modello di mercato su cui agiscono le banche condiziona e determina il comportamento dei risparmiatori, così come un algoritmo di valutazione, lungi dall’essere uno strumento neutro e obiettivo tende a condizionare pesantemente i comportamenti di coloro che attraverso tale algoritmo debbono essere valutati. Altre forme di conoscenza possono e debbono affiancarsi a quella scientifico/modellistica. Vorrei concludere con l’ultimo paragrafo dell’ultimo lavoro di Giorgio (Meccanicismo, ed. Zanichelli), che tra l’altro potrebbe saldarsi in modo omogeneo alla sua visione della didattica sulla quale non ho potuto soffermarmi: V’è chi parla di forza invincibile della tecnoscienza – sia per elevare ad essa un peana che per condannarla in un eccesso luddista. L’umanesimo è certamente in crisi, ma la sua intrinseca debolezza contiene elementi insopprimibili che possono farsi largo proprio mentre ci si vanta di averli ridotti ed assorbiti in un meccanicismo i cui trionfi non riescono a nascondere la crisi e l’assenza di risposte autenticamente umane.