TATIANA ARRIGONI* INSIEMI E INSIEMI INFINITI: SPUNTI DALLE SCIENZE DELLA COGNIZIONE 1. Posizione dello status quaestionis. La teoria degli insiemi contemporanea si configura come una disciplina matematica altamente specializzata, giunta ad un grado assai avanzato di sviluppo formale. Nata con i risultati ottenuti da Georg Cantor nell’ultimo quarto dell’Ottocento, successivamente assiomatizzata, essa si presenta oggi come una teoria formale in cui ad un corpus di assiomi consolidati, il sistema ZFC, si affiancano nuove e talora disparate proposte assiomatiche.1 Inoltre sviluppi che hanno condotto ad esiti matematici ritenuti definitivi si accompagnano attualmente a risultati di indipendenza attestanti che proprietà di insiemi fondamentali continuano ad eludere le nostre capacità deduttive.2 Sviluppatasi come disciplina matematica, la teoria degli insiemi si intese al suo nascere – e continua talora ad intendersi – come tale da sottoporre a trattazione rigorosa, mettendola ad un tempo al servizio dell’esplorazione dell’infinito matematico, una nozione, quella di insieme, di carattere generale.3 Questo fu ed è sostenuto argomentando che ad insiemi (finiti) ci si appella esplicitamente e naturalmente nella formulazione di pensieri e discorsi di carattere non matematico, riferendosi, ad esempio, a molteplicità di individui spazio-temporali intendendoli e descrivendoli come totalità * Tatiana Arrigoni, Fondazione Bruno Kessler, Trento, [email protected]. Nei termini di ZFC si intendono gli assiomi di Zermelo Fraenkel congiuntamente all’assioma di scelta. Per un presentazione di ZFC, delle sue estensioni assiomatiche e dei risultati di indipendenza si considerino Jech (2002) e Kanamori (2003). 2 Spesso ritenuta definitiva è, ad esempio, la teoria della struttura <H(ω1) , ∈> implicata dai large cardinal axioms – si consideri, ad esempio, Woodin (2001). Per un’introduzione ai principali risultati di indipendenza si veda, invece, Jech (2002). 3 Si consideri l’osservazione di Cantor che il termine Mannigfaltigkeitslehre esprime la nozione di una teoria assai comprensiva, da lui per il momento elaborata solo nella forma speciale di una teoria degli insiemi aritmetica o geometrica. Si veda Cantor (1883), in Zermelo (1932, nota 1, p. 204). 1 Paradigmi, Rivista di Critica Filosofica, n. Tatiana Arrigoni unitarie.4 Parlando di generalità della nozione di insieme nel seguito del presente contributo si intenderà appunto il fatto che ci riferiamo ad istanze non-matematiche di insiemi.5 Quanto alla nozione di insieme infinito, Cantor, introducendola, la ritenne, per cosi dire, inevitabile. Essa sarebbe infatti implicita nella concezione stessa dell’indefinita estendibilità di una molteplicità finita quando si ritenga che tale estendibilità faccia della molteplicità in questione una realizzazione parziale di una molteplicità infinita e la renda, in certo senso, infinita a sua volta (esattamente potenzialmente infinita). Infatti, solo a patto che la totalità delle variazioni determinate a cui una molteplicità finita può andare incontro sia concepita come infinita, l’estendibilità indefinita di quest’ultima può essere compresa e descritta come estendibilità all’infinito, e il “finito mutevole” con cui si tratta può essere inteso e detto potenzialmente infinito.6 Se dal punto di vista matematico l’intelligibilità della teoria degli insiemi, e la conseguente legittimità della stessa quale impresa intellettuale, furono in genere presto riconosciute (e continuano a rimanerlo), la generalità della nozione di insieme, e il fatto di dover caratterizzare molteplicità che si dicono (potenzialmente) infinite come tali da rinviare a totalità di infiniti elementi (ovvero a insiemi infiniti), sono stati più e più a lungo contestati. Che una molteplicità di infiniti elementi si possa concepire come una totalità (e viceversa) senza incorrere in contraddizioni è stato negato nella storia della filosofia occidentale, dai tempi di Aristotele. Che ad insiemi finiti ci si appelli naturalmente sia nel contesto del discorso matematico che al di fuori di esso, è stato invece negato da esponenti dell’ontologia contemporanea, intesa come analisi descrittiva volta a decifrare le categorie dell’essere quali emergono dal linguaggio. Il presente contributo intende pronunciarsi sulla questione della 4 Si considerino, ad esempio, le istanze di insieme forniti da Hausdorff (1937, tra gli altri, l’insieme degli atomi di idrogeno nel sole) o, in tempi più recenti, da Potter (2004, p. 21 sgg.). 5 Parlando di istanze non matematiche non si potrà obiettare (come in Bealer, 1981) che esse siano inadeguate perché, ad esempio, i loro membri potrebbero avere volume, massa, iniziare ad esistere e cessare di esistere mentre gli insiemi di cui si tratta in matematica sono “non fisici ed eterni”. La questione qui è se oggetti non-matematici (e, quindi, non necessariamente “non-fisici ed eterni”) esibiscano caratteri che qualificano gli insiemi non come enti matematici ma tra gli enti matematici. 6 Vedi Cantor, (1883) e, in particolare, Cantor (1886), in Zermelo (1932, p. 404): «In verità l’infinito potenziale ha soltanto una realtà mutuata, dal momento che esso rinvia continuamente all’infinito attuale, grazie al quale soltanto diviene possibile». 2 Insiemi e insiemi infiniti: spunti dalle scienze della cognizione generalità della nozione di insieme e dell’inevitabilità della nozione di insieme infinito. Argomenti verranno sviluppati a sostegno di entrambe, elaborando spunti suggeriti dagli esiti delle contemporanee scienze della cognizione. Qualcuno potrebbe forse giudicare l’obiettivo che qui ci si propone come tale che il perseguirlo prolunghi indebitamente la storia di un errore, la responsabilità del quale cadrebbe sullo stesso Cantor. Questi, infatti, anziché introdurre le nozioni di insieme e insieme infinito «pro mentis fictionibus [...] ad calculum aptis, quales etiam sunt radices imaginariae in algebra» (cfr. Cantor, 1883, in: Zermelo, 1932, p. 180),7 pretese di asserirne e analizzarne la generalità e l’inevitabilità, convinto con ciò di contribuire alla chiarificazione del contenuto delle nozioni della teoria da lui fondata. Il fraintendimento qui – un fraintendimento che riguarderebbe ogni nozione matematica e non la nozione di insieme specificamente – consisterebbe nel ritenere di poter descrivere contenuti matematici facendo appello a qualcosa di diverso dalla matematica stessa, ovvero a qualcosa di diverso, ad esempio, da definizioni teoriche esplicite. Con ciò si finirebbe con l’ignorare il carattere proprio delle nozioni che si vogliono analizzare, consistente nel loro essere, quali nozioni matematiche, un prodotto della libertà della matematica di prendere le mosse da nozioni alle quali basta di essere «tra loro coerenti e di trovarsi in relazioni definite, precisate da definizioni, con nozioni matematiche già esistenti e consolidate» (Cantor 1883, in: Zermelo 1932, p. 182), nozioni che acquisiscono contenuti specifici nel corso dello sviluppo delle teorie in cui occorrono e che in nessun caso possono essere dette generali o inevitabili (se non rispetto al perseguimento di fini specificamente matematici). In realtà tale osservazione non pare poter essere riferita alla lettera alla teoria degli insiemi. Come agli inizi della sua storia, infatti, anche oggi il riferimento a contenuti extra-matematici integra normalmente il lavoro insiemistico matematico-formale. Ciò accade con l’intento di fornire un’autentica chiarificazione contenutistica di ciò che si investiga. Il risultato è che alcune nozioni insiemistiche si trovano ipso facto a possedere, oltre ad un significato propriamente matematico-formale, anche un significato “inteso”, ritenuto altresì nelle condizioni di potere/dovere influenzare gli sviluppi matematico-formali della disciplina e capace di 7 È Cantor stesso, pur con intenti differenti da quelli con cui viene citato qui, a riportare il passaggio della lettera di Leibniz a De Bosses dell’11 Marzo 1706. 3 Tatiana Arrigoni determinare i caratteri epistemici degli stessi.8 Si noti che riconoscerne l’esistenza, è altro dall’attribuire a tali significati “intesi” un ruolo geneticamente primario rispetto alle nozioni propriamente matematicoformali della teoria degli insiemi, intendendo queste ultime come “derivate” dai primi attraverso processi di elaborazione da precisare di volta in volta. Significati “intesi” potrebbero invece essere attribuiti a contenuti insiemistici già intesi da un punto di vista matematico-formale per via di rielaborazione metaforica degli stessi, con l’intento di rafforzarne lo statuto epistemico, o con funzione euristica e motivazionale.9 Il fatto è, in ogni caso, che tali significati esistono e costituiscono un corpus di contenuti non meno insiemistici che quelli occorrenti negli sviluppi matematico-formali della teoria. Questo emerge, tra l’altro, nei termini della contrapposizione tra necessità intrinseca ed evidenza estrinseca, con la quale si indica, in letteratura, il differente statuto epistemico di assiomi implicati dalla nozione iterativa “intesa” di insieme e di assiomi accettati in forza del loro successo matematico, o della più recente distinzione, a cui ci si appellerà nel seguito del presente contributo, tra un aspetto strettamente matematico e un aspetto concettuale della teoria.10 Quest’ultimo consisterebbe nel muovere da idee più o meno precise riguardo a che cosa siano gli insiemi, idee radicate in attività del contare, collezionare, iterare, selezionare e così via, occorrenti tanto in contesti quotidiani che in contesti matematici, con l’obiettivo di descrivere i contenuti di sviluppi strettamente matematici. Interrogarsi sulla generalità della nozione di insieme e l’inevitabilità della nozione di insieme infinito significa quindi confrontarsi criticamente con ciò che vien detto degli insiemi e degli insiemi infiniti su un piano concettuale, valutarne la plausibilità. Nel fare ciò, si noti, si finisce col riconoscere appieno il carattere proprio delle nozioni matematiche indagate piuttosto che ignorarlo, ché, nel caso in questione, esso non risulta 8 È significativo come Steel si pronunci sul problema (tuttora irrisolto) del continuo, invocando un contributo concettuale (o filosofico, usando i termini di Steel): «Nondimeno, una soluzione del problema del continuo potrebbe necessitare l’accompagnamento di un’analisi rispetto a ciò che dovrebbe essere una soluzione del problema del continuo, e in questo modo la filosofia potrebbe avere un ruolo più attivo rispetto ai fondamenti della matematica» (Steel, 2000, p. 433) 9 La tesi è sostenuta, in merito alla nozione iterativa (massimale) di insieme in Jané (2005), e Arrigoni (2007). 10 La distinzione tra evidenza estrinseca e necessità intrinseca è introdotta in Gödel (1947), quella tra aspetto strettamente matematico e aspetto concettuale in Jané (2005). 4 Insiemi e insiemi infiniti: spunti dalle scienze della cognizione unicamente da quel che vi è di strettamente matematico in esse. Le considerazioni concettuali sugli insiemi elaborate sia nell’asserire che nel negare la generalità e l’inevitabilità delle nozioni di insieme ed insieme infinito sono appunto l’oggetto di indagine del presente contributo. Nel seguito si passeranno prima in rassegna analisi volte ad escludere tanto l’inevitabilità che la generalità delle nozioni esaminate, onde riproporre in maniera rinnovata la questione – e suggerire una soluzione positiva alla stessa attingendo, come anticipato, ai risultati delle contemporanee scienze della cognizione. 2. Critiche Nel corso del presente paragrafo verranno presentati argomenti volti ad escludere che le nozioni di insieme ed insieme infinito siano, rispettivamente, una nozione generale ed una nozione inevitabile nel senso spiegato. Si consideri preliminarmente che quando ci si pronuncia sugli insiemi sia per asserire che per negare ciò, i termini “insieme” ed “insieme infinito” sono presi con il seguente significato. “Insieme” si dice una molteplicità di individui quale entità unitaria, ovvero quale totalità avente tali individui, ed essi soli, come costituenti (si noti che l’identità della totalità in questione, per come descritta, resta determinata da quella degli individui che la costituiscono – ovvero essa è estensionalmente determinata, ogni variazione dei costituenti produce la variazione del tutto da essi costituito). Analogamente “insieme infinito” si dice l’entità unitaria costituita dalla totalità di infiniti individui. Nel corso della storia del pensiero occidentale è stato escluso tanto che una molteplicità di infiniti individui possa essere intesa e descritta coerentemente come una totalità, quanto che una molteplicità, sia pur finita, di individui venga intesa e descritta, se non in un contesto strettamente matematico, come una, quale totalità di tutti e solo gli individui in questione. Ovvero si è negato che la nozione di insieme infinito possa dirsi inevitabile, ché la sua inevitabilità equivarrebbe a quella di un contenuto di pensiero contraddittorio. Quanto alla nozione di insieme finito, invece, si è sostenuto che essa non possegga di fatto la generalità che le viene abitualmente attribuita. Le seguenti affermazioni aristoteliche, a lungo riprese nel corso della storia della filosofia occidentale, costituiscono una lucida versione 5 Tatiana Arrigoni dell’argomento volto a mostrare la supposta contraddizione implicita nel parlare di insiemi infiniti.11 Aristotele, come è ovvio, non usa l’espressione “insieme infinito”. Egli si pronuncia tuttavia chiaramente sulle nozioni di “intero” o “totalità” e “grandezza infinita”. Si dice totalità ciò cui non manca nessuna delle parti delle quali si dice che per natura è costituita (Aristotele, 1974. p. 336). Ciò al di fuori del quale non vi è nulla, questo è ciò che è perfetto e intero, giacché in questo modo definiamo l’intero: ciò a cui nulla è assente [...] (Aristotele, 1999, p. 204). Per contro, […] non ciò al di fuori del quale non esiste nulla, ma ciò al di fuori del quale vi è sempre qualcosa, questo è infinito (ivi). È dunque infinito ciò al di fuori del quale è sempre possibile prendere qualcosa, se si prende secondo la quantità (ivi). Stando così le cose, nessuna molteplicità infinita di elementi esiste o può esistere come totalità (e viceversa) e, conseguentemente, nessuna molteplicità di elementi che si intenda e dica infinita può essere ad un tempo coerentemente intesa come esistente o possibile quale totalità e detta tale (e viceversa). Insiemi infiniti né esistono né possono esistere. Insiemi infiniti, pertanto, non possono essere coerentemente concepiti come esistenti o possibili. Il medesimo argomento si ritrova formulato, in termini differenti ma con esiti identici, da Kant. “Infinito” e “totalità” indicano, nelle citazioni a seguire, proprietà di enti che si intendono non tanto esistere o essere possibili quali molteplicità infinite e totalità ma come da noi conosciuti e conoscibili in quanto tali. Il contenuto di tali nozioni è così descritto da Kant. Il vero (trascendentale) concetto dell’infinità è che la sintesi successiva dell’unità nella misurazione d’un quantum non può essere mai compiuta (Kant, 1787; trad. it., p. 292). Il concetto [...] della totalità stessa [...] è la rappresentazione di una sintesi completa 11 Si veda Zellini (1980), per una ricostruzione storica della riflessione filosoficomatematica intorno all’infinito, dai tempi antichi ad oggi. 6 Insiemi e insiemi infiniti: spunti dalle scienze della cognizione delle parti (ivi, p. 294). Ovvero non si può conoscere anche come infinito un quantum conosciuto come totalità, una sintesi completa delle parti essendo stata effettuata o intesa come possibile (e viceversa). Pertanto né conosciamo né possiamo conoscere alcunché che si configuri come un insieme infinito.12 Non potendo essere da noi intesa senza contraddizione come tale da riferirsi a qualcosa di esistente o possibile, di conosciuto da noi o a noi conoscibile, la nozione di infinita totalità o insieme infinito venne a lungo bandita dall’ambito del coerentemente pensabile nella storia della filosofia occidentale. La nozione di insieme finito, invece, è stata sottoposta a critica solo in tempi recenti, muovendo non tanto da teorie in merito a quali oggetti esistano o possano essere da noi conosciuti (per argomentare, poi, che gli insiemi né possono esistere né possono essere conosciuti), ma da analisi del linguaggio corrente volte a mostrare che gli insiemi non si configurano di fatto come oggetti “linguistici” e quindi non ha senso parlare di insiemi che non siano oggetti matematici. Più esattamente si mostra che il linguaggio da noi abitualmente usato per esprimerci e comunicare non include termini che si riferiscano a molteplicità di individui quali totalità unitarie estensionalmente determinate. Il dibattito contemporaneo intorno alla questione se gli insiemi possano essere considerati oggetti “linguistici” nel senso indicato, fu inaugurato dalla proposta di M. Black di ritenere gli insiemi “uno schema verbale proiettato sull’universo” in forza dell’uso, normale da parte nostra, di espressioni linguistiche che consentono di riferirsi simultaneamente a molteplicità di individui: liste, “descrizioni plurali”, termini collettivi “ostensivamente singolari” (come “Quartetto ungherese”, “Gabinetto”).13 Il modo più ovvio per riferirci ad una cosa singola è di usare un nome o una descrizione definita: ‘Aristotele’ o ‘il presidente degli Stati Uniti’. Altrettanto familiari […] sono espedienti per riferirsi a più cose assieme: ‘Berkeley e Hume’ o 12 Si noti che da posizioni come quelle kantiane, congiuntamente all’assunto che le nozioni della matematica esprimano processi (di costruzione) effettivamente possibili alla mente umana o possibili ad una mente simile all’umana ma non sottoposta a certi limiti (di tempo, concentrazione e così via) che vincolano quest’ultima, deriva la negazione della legittimità matematica della nozione di insieme infinito, espressa dall’intuizionismo matematico. Si veda, ad esempio, Dummett (2001). 13 Ovvero termini che significano pluralità ma sono sintatticamente singolari. 7 Tatiana Arrigoni ‘i fratelli di Napoleone’. Qui liste di nomi (abitualmente ma non necessariamente congiunti da occorrenze di ‘e’) e quelle che potrebbero essere chiamate ‘descrizioni plurali’ (frasi della forma i ‘così-e-così’ in certi usi) giocano il medesimo ruolo che i nomi e le descrizioni singolari. Così come ‘Nixon’ identifica un uomo per la nostra attenzione nel contesto di qualche enunciato, la lista ‘Johnson e Nixon’ ne identifica due in una volta sola […] (Black, 1971, pp. 628-29) La proposta di Black ha suscitato reazioni volte ad escludere che i referenti di liste, “descrizioni plurali”, termini collettivi “ostensivamente singolari” possano essere descritti come istanze non matematiche di insiemi. A tal proposito si è anzitutto rilevata la diversità tra il riferimento di liste, da una parte, e “descrizioni plurali”/termini collettivi “ostensivamente singolari”, dall’altra. Mentre tra gli individui di pluralità a cui ci si riferisce per mezzo di una lista di nomi non sussiste necessariamente altra relazione che quella puramente estrinseca di essere designati da un medesimo termine, gli individui di pluralità a cui ci si riferisce per mezzo di una descrizione plurale o un termine “ostensivamente singolare” sono intrinsecamente «collegati, uniti, connessi o associati in qualche maniera» (Simons, 1982, p. 209),14 una differenza che può essere esplicitata nei termini della contrapposizione pluralità vs. gruppi. Si noti che le pluralità, quali riferimento di liste, si configurano come molteplicità estensionalmente determinate. Tuttavia non esibiscono alcun carattere unitario, come rivelato dal fatto che, a differenza delle omonime relazioni per insiemi, le relazioni di appartenenza a e inclusione in una pluralità non sono distinte (ovvero la relazione di appartenenza a una pluralità pare sempre transitiva). «Se la tazza singola ed il piattino singolo di un set tazza più piattino appartengono ad un servizio di stoviglie, allora anche il set tazza più piattino apparterrà a tale servizio. Considerato come insieme, un servizio di stoviglie contiene solo stoviglie singole e nessun set tazza più piattino» (Bealer, 1981, p. 348). Dall’altra parte i gruppi, quali referenti di descrizioni plurali o termini 14 Simons così continua: «Tali relazioni possono assumere molte forme. Può essere che tutti gli individui di un gruppo abbiano una comune relazione ad una cosa, come ad esempio quando tutti gli acini di un grappolo sono connessi, direttamente o indirettamente, ad un graspo (...)». (Simons, 1982, p. 209) 8 Insiemi e insiemi infiniti: spunti dalle scienze della cognizione collettivi “ostensivamente” singolari, presentano un carattere unitario, che pare rendere distinte le relazioni appartenenza a e inclusione in un gruppo. I gruppi, tuttavia, non paiono configurarsi come molteplicità estensionalmente determinate. Un gruppo può avere i medesimi membri in tempi diversi e tuttavia rimanere lo stesso gruppo. Se un albero singolo di un bosco viene a cadere il bosco si riduce ma non viene distrutto. Analogamente se cresce un nuovo albero nel bosco, quest’ultimo è sempre il medesimo bosco, ma cresciuto. […] Dato che un gruppo non è costituito unicamente dai suoi individui ma si trova ad essere il gruppo che è in forza delle relazioni sussistenti tra gli stessi, l’una e medesima pluralità può costituire, o successivamente o simultaneamente, più gruppi […] (Simons, 1982, p. 210). La conclusione che si deriva da tali considerazioni è in genere duplice. Da un lato l’esclusione degli insiemi dal novero degli oggetti “linguistici” comporta la negazione della generalità della nozione di insieme. Dall’altro essa suggerisce che gli insiemi siano da ritenere individui assegnati arbitrariamente a pluralità quali rappresentanti delle stesse. Le modalità secondo le quali un individuo (un insieme) può rappresentare una pluralità, a loro volta, non sarebbero vincolate da alcuna considerazione di ordine ontologico e/o epistemologico, configurandosi piuttosto come mere stipulazioni, convenzioni pragmaticamente motivate da contingenze legate agli sviluppi della matematica e sottoposte al solo vincolo della noncontraddizione formale.15 In breve, lungi dal potersi ritenere generale, la nozione di insieme è piuttosto da vedere come un mero artificio tecnico, una nozione introdotta ad hoc in risposta a specifiche esigenze disciplinari e del tutto priva di controparti non-matematiche. Ché tra gli oggetti “linguistici” nulla pare trovarsi che si configuri come referente del significato della nozione di insieme finito. Ovvero essa non possiede altro significato che quello che le deriva dal ruolo giocato dagli insiemi quali enti matematici. È questa una conclusione da ritenersi ultimativa? Decretano le analisi qui riferite la non-intelligibilità delle considerazioni concettuali volte a mostrare la generalità della nozione di insieme finito? E quale la sorte dell’asserzione dell’inevitabilità della nozione di insieme infinito? Quella 15 Tale conclusione è tratta da Stenius (1974), Simons (1982), e Pollard (1990). Bealer (1982), ritiene invece gli insiemi non indispensabili anche dal punto di vista matematico. 9 Tatiana Arrigoni di asserire l’inevitabilità della contraddizione? Nel paragrafo seguente si suggeriranno risposte a queste domande. 3. Insiemi e cognizione Che gli argomenti a sostegno dell’inevitabilità della nozione di insieme infinito e della generalità della nozione di insieme siano ultimamente implausibili sembra conseguire dalle considerazioni sopra riportate. Di tali argomenti – così si potrebbe argomentare – i primi vorrebbero darci ad intendere che nozioni contraddittorie si trovino incluse nei nostri contenuti di pensiero, gli altri che il linguaggio naturale consenta il riferimento ad enti ai quali in realtà non ci riferiamo affatto. Nel corso del presente paragrafo si avanzeranno ulteriori argomenti volti a mostrare tanto che ci riferiamo ad istanze non matematiche di insiemi (tuttavia non attraverso “liste”, “descrizioni plurali”, termini collettivi “ostensivamente singolari”) quanto che ci sia inevitabile riferirci a totalità che risultano constare di infiniti individui. Nel fare ciò non si chiameranno in causa in prima istanza né oggetti “linguistici” né oggetti esistenti/possibili, conosciuti/conoscibili. Piuttosto si suggerirà di esaminare quelle che nelle contemporanee scienze della cognizione vengono chiamate rappresentazioni mentali e i loro referenti. Più esattamente si vorranno rinvenire tra questi ultimi istanze di insiemi (finiti) non-matematici mentre si proporrà di leggere l’inevitabilità del riferimento a totalità infinite come derivata da quella di un meccanismo rappresentazionale che, se produce tale riferimento, esclude ad un tempo che esso si realizzi come il rinvio ad un contenuto contraddittorio. Se le analisi svolte potranno ritenersi anche solo approssimativamente corrette, una certa plausibilità deriverà alle considerazioni concettuali relative agli insiemi e agli insiemi infiniti volte a sostenere, rispettivamente, la generalità e l’inevitabilità degli stessi. Si chiarisca tuttavia anzitutto che cosa si intende nei termini di rappresentazione mentale nel contesto delle contemporanee scienze della cognizione. All’usuale caratterizzazione che vuole le rappresentazioni mentali «stati del sistema nervoso che hanno contenuto, che si riferiscono a enti concreti o astratti (o persino fittizi), proprietà, eventi» (Carey, 2009, p. 10 Insiemi e insiemi infiniti: spunti dalle scienze della cognizione 5),16 si aggiunga che affinché una rappresentazione mentale sia ascritta ad un soggetto non occorre che questi sia esplicitamente cosciente di stare rappresentando un contenuto, né che disponga delle abilità linguistiche necessarie a descriverlo verbalmente. Nelle contemporanee scienze della cognizione rappresentazioni mentali vengono di fatto ascritte ad infanti e animali non umani (sulla scorta di evidenze di tipo comportamentale). Inoltre si sostiene l’esistenza di una classe di rappresentazioni mentali risultanti da processi di elaborazione di informazioni aventi la medesima struttura in infanti, adulti e animali.17 Tali processi sono chiamati sistemi di core-cognition e i loro prodotti core-representations. Si noti che i sistemi di core-cognition, descritti come tali da reagire solo ad informazioni specifiche, quando si attivano lo fanno automaticamente, in maniera involontaria (i processi in questione sono in tal senso inevitabili), e non necessariamente coscientemente. Dal canto loro, presentati esplicitamente, i contenuti delle core-representations ci risultano ovvi e familiari.18 Tra i sistemi di core-cognition identificati nelle contemporanee scienze della cognizione compaiono processi di elaborazione di informazioni attivati da stimoli che, rappresentati conformemente ai processi in questione e descritti nei termini del linguaggio corrente, sono da caratterizzarsi come aventi contenuto numerico.19 Tra di essi compare il cosiddetto subitizing, ovvero la capacità di identificare esattamente in modo immediato, vale a dire senza contarne i membri o stimarne approssimativamente la cardinalità, molteplicità di uno/due/tre/quattro individui (uno/due/tre individui negli infanti). Evidenze empiriche suggeriscono che il contenuto delle rappresentazioni esito di processi di subitizing si configura come tale da fare di esse rappresentazioni di entità unitarie, l’identità delle quali è determinata esclusivamente dai loro costituenti, ovvero dall’identità specifica di ciascuno di essi e dalla loro 16 Non diversamente dall’autrice non si nasconde qui che tale definizione presenta oscurità, ché uno deve spiegare, ad esempio, che cosa significhi che alcuni stati del sistema nervoso abbiano un contenuto. La questione esula tuttavia dall’oggetto delle nostre indagini. 17 La presenza di tali rappresentazioni negli umani è di conseguenza da considerarsi parte dell’eredità evolutiva degli stessi piuttosto che esito di sviluppi culturali (nella specie) e di processi di apprendimento (nell’individuo). 18 Si considerino Carey (2009), Spelke e Kinzler (2007), sui sistemi di core-cognition. 19 Una descrizione sintetica ma completa dei sistemi di core-cognition attivati da stimoli numerici, e, in particolare, del subitizing, si trova in Feigenson, et al. (2004) e in Carey (2009). 11 Tatiana Arrigoni totalità (dal loro numero) colta subitus.20 In altri termini se una delle matite della coppia di matite di colore nero posate sul tavolo di chi sta scrivendo – e che chi sta scrivendo percepisce rappresentandosela come una coppia di due matite di colore nero – viene sostituita con una matita di colore rosso, questa non è più percepita come la medesima coppia di due matite percepita prima della sostituzione. Se poi una matita, ad esse identica, è aggiunta alle due nere già posate sul tavolo, quel che chi scrive percepisce viene rappresentato e descritto come una triade di matite, diversa dalla coppia originaria per il fatto che il tutto percepito dei suoi elementi è altro dal tutto di elementi già percepito. Si noti che, così descritte, le rappresentazioni esito di processi di subitizing si caratterizzano come rappresentazioni di totalità che sono molteplicità estensionalmente determinate ed enti tra loro distinguibili come lo sono gli enti numericamente “uni”. Ovvero tali rappresentazioni si configurano come rappresentazioni di istanze di insiemi di oggetti spaziotemporali (di cardinalità specifiche), vale a dire come rappresentazioni di istanze non-matematiche di insiemi.21 Ciò basta a rendere la nozione di insieme qualcosa di più di un mero artifizio tecnico rilevante solo in matematica, a conferirle generalità nel senso sopra indicato.22 Ai sistemi di core-cognition identificati nelle contemporanee scienze 20 Specifiche situazioni sperimentali hanno mostrato che il carattere unitario delle rappresentazioni esito di processi di subitizing può divenire a tal punto saliente da consentire agli infanti di superare il limite di tre oggetti a cui di solito il subitizing è in essi vincolato, consentendo loro di rappresentare quattro oggetti come due coppie e ad operare con essi come due (coppie). Si considerino gli esperimenti descritti in Feigenson & Halberda (2004) e Carey (2009). 21 Tra l’altro si potrebbe mostrare che queste istanze non sono solo oggetti, per così dire, “cognitivi”, referenti di rappresentazioni mentali, ma anche oggetti “linguistici”, referenti di termini del linguaggio corrente quali “coppia”, “triade” o, nelle lingue che prevedono suffissi per il duale o il triale, di termini duali/triali. 22 Qualcuno potrebbe obiettare che le rappresentazioni esito di subitizing si riferiscono a insiemi di cardinalità specifiche (in genere fino a quattro elementi negli adulti), laddove la nozione di insieme (finito) non prescrive restrizioni alla cardinalità degli insiemi. Ciò non toglie che i referenti di tali rappresentazioni si configurino come istanze non-matematiche di insiemi. Un problema sorgerebbe se si attribuisse una priorità genetica alle rappresentazioni esito di subitizing rispetto alla nozione di insieme (finito), ché allora bisognerebbe spiegare come tale limitazione di cardinalità venga superata. Qui, tuttavia, non ci si pronuncia sulle relazioni genetiche tra i due significati. Si muove piuttosto dall’esistenza di un significato di “insieme” per mostrare che i referenti delle rappresentazioni esito di subitizing sono incluse tra i referenti del primo. 12 Insiemi e insiemi infiniti: spunti dalle scienze della cognizione della cognizione appartiene anche la categorizzazione conformemente al genere (kind-categorization), ovvero l’accomunare individui numericamente distinti sulla base della condivisione d’una medesima natura. Quest’ultima, non rappresentata né implicitamente né esplicitamente codificandola nei termini di una lista di proprietà, è di solito denominata essenza in letteratura, a sottolinearne il carattere elusivo.23 Ciò che rende la categorizzazione di genere rilevante rispetto alle indagini che qui si conducono è il ruolo che si è ipotizzato essa giochi rispetto all’apprendimento della distinzione linguistica tra plurale e singolare. Attiva negli umani a partire dai sette-nove mesi,24 la categorizzazione di genere si suppone reclutata, a partire approssimativamente dai ventidueventiquattro mesi, nel comprendere la differenza tra espressioni linguistiche che significano molte/una entità. In particolare si è suggerito che tale differenza sia originariamente rappresentata nei termini della differenza tra espressioni che significano la totalità degli individui di un medesimo genere, quale molteplicità o pluralità (o insieme come si trova in letteratura), e espressioni che significano un individuo singolo del genere, quale elemento della molteplicità o pluralità (o insieme) in questione.25 Si noti che la rappresentazione del genere (kind) appare non includere informazioni relative alla cardinalità esatta o stimata della molteplicità che il genere è e/o alla decidibilità dell’appartenenza al genere di un qualsiasi individuo. Il genere pare cioè rappresentato postulandolo come una molteplicità data e non intendendolo come una collezione da costruire sulla base di informazioni e istruzioni esplicite. Stando così le cose, se si suppone che nella cognizione umana la categorizzazione di genere si estenda anche ad enti matematici, una chiave di lettura dell’inevitabilità del riferimento a totalità infinite (relativa ai numeri interi ma generalizzabile) sembra rendersi disponibile a livello ontogenetico. Prima di illustrare gli argomenti a sostegno di questa affermazione, è opportuno premettere alcune considerazioni. Si formulerà qui una proposta su come il riferimento alla totalità degli interi si realizzi in forza di processi rappresentazionali che hanno luogo nel corso dello sviluppo attraverso il quale l’individuo, bambino, diviene originariamente 23 Si veda Gelman (2003). Inizialmente essa opera in riferimento a generi di ampia estensione, come mostrato da Mandler (2004). 25 Tale suggerimento è contenuto in Carey (2009). 24 13 Tatiana Arrigoni familiare con i numeri interi. Tali processi, includendo meccanismi di corecognition, continuano a darsi anche una volta che tale familiarità sia stata acquisita e ciò accade inevitabilmente. Quel che qui si dirà, pertanto, non vale meno per gli adulti che per i bambini. Inoltre, come anticipato, si parlerà della totalità degli interi come rappresentazione alla quale concorrono sistemi di core-cognition. Con ciò non si darà ad un tempo ad intendere che questa risulti unicamente da tali sistemi. Non pare infatti possibile intendere gli interi, quali enti matematici, come corerepresentations.26 Si consideri infine che quel che qui si suggerisce è una proposta teoretica. D’altra parte, per quanto la cognizione numerica e, più in generale, matematica, sia stata intensivamente investigata negli ultimi trent’anni, scarsa attenzione è stata riservata alla cognizione dell’infinito numerico, e di altre forme di infinito matematico. Le evidenze empiriche esistenti sono sparute e le ipotesi formulate mancano di solide conferme sperimentali. Il quadro qui suggerito pare tuttavia compatibile con le evidenze disponibili.27 Si ritorni agli interi e alla precedente affermazione che pare esistere una lettura ontogenetica dell’inevitabilità del riferimento alla totalità di essi. Essa si configura come segue. Allorché alcuni di essi siano divenuti a noi familiari come oggetti matematici (approssimativamente a partire dai sei anni), gli interi verrebbero da noi automaticamente rappresentati come genere e, in quanto tali, ci sarebbero ipso facto, ancorché implicitamente, noti come una totalità, la totalità di tutti e soli gli individui che condividono l’essenza numero intero. Tale totalità, esplorata aritmeticamente, finisce (al più presto a partire dai sei-sette anni) col rivelarsi una molteplicità inesauribile rispetto a processi che volessero identificarne in maniera ordinata uno dopo l’altro i membri (ad esempio continuando a sommare un’unità a partire dal numero “più piccolo”). È in tal maniera che essa viene da noi originariamente percepita come una molteplicità di infiniti elementi. Si noti che le evidenze sperimentali suggeriscono che, così colta, l’infinità degli interi, non porta di fatto alla cancellazione o alla rettifica 26 Tale posizione si trova chiaramente sostenuta da Carey (2009). Ciò in realtà potrebbe dirsi già dei numeri interi in quanto espressioni di cardinalità di molteplicità di oggetti spazio-temporalmente determinati che, d’altra parte, né sarebbero rappresentati come enti matematici né come necessariamente infiniti. Si veda, sulla questione. Rips et al. (2008). 27 Evidenze desunte principalmente dal lavoro di R. Falk sulla cognizione dell’infinito numerico (Falk, 2010). 14 Insiemi e insiemi infiniti: spunti dalle scienze della cognizione della rappresentazione degli interi come totalità, pur potendo entrare in conflitto con essa.28 Né si vede perché lo dovrebbe. Tale rappresentazione infatti, secondo la lettura qui proposta, poggia non tanto su quella della possibilità di identificare fino ad esaurimento i membri di una molteplicità, ma sulla “postulazione” di un genere, quello di tutti e soli gli individui che condividono un’essenza. L’infinità degli interi, dal canto suo, viene rappresentata, nel suo essere originariamente percepita, come un’inesauribilità quoad nos e non come un’inesauribilità rispetto alla cosa stessa. Esattamente essa resta rappresentata come possibilità da parte nostra di andare sempre avanti a contare senza con ciò esaurire tutti i numeri del genere da noi postulato, numeri che, con il nostro contare, identifichiamo l’uno dopo l’altro. Stando così le cose, nulla è rappresentato come tale da esistere ed essere conosciuto ad un tempo in quanto totalità e in quanto moltitudine infinita. Piuttosto qualcosa è rappresentato come esistente quale totalità e come da noi conosciuto quale infinito. In altri termini il processo qui descritto non produce alcuna rappresentazione che includa le contraddizioni (secondo le analisi sopra riportate) “esistente come totalità e come infinito”, “conosciuto come totalità e come infinito”. Chi scrive, dal canto suo, non nega che un significato non contraddittorio possa essere attribuito ad espressioni come, ad esempio, “esistente in quanto totalità e infinito”. Ritiene tuttavia che ciò sia possibile – e sia stato di fatto realizzato – su un piano strettamente matematico, con l’elaborazione di una caratterizzazione dell’infinità di una totalità di individui priva di riferimenti (concettuali) a processi conoscitivi umani, definendo, ad esempio, la stessa quale proprietà di un ente dichiarato esistente e tale che esso ed un suo sottoinsieme proprio stiano in una relazione di corrispondenza biunivoca.29 Questo pare anche un caso in cui lo strettamente matematico non si lascia facilmente tradurre nel concettuale. La questione, per quanto interessante, esula tuttavia dall’oggetto del presente contributo. Riferimenti bibliografici Aristotele (1974). Metafisica, a cura di C.A. Viano. Torino: UTET. 28 Falk (2010), p. 36, riporta interessanti osservazioni di bambini in merito. Tale considerazione è stata sviluppata a seguito di un’osservazione di I. Jané (comunicazione personale). 29 15 Tatiana Arrigoni Aristotele (1999). Fisica, a cura di M. Zanatta. Torino: UTET. Arrigoni T. (2007). What is meant by V? Reflections on the Universe of all Sets. Padeborn: Mentis Verlag. Bealer G. (1981). Foundation without Sets. American Philosophical Quarterly, 18: 347-53. Bealer G. (1982). Quality and Concepts. New York: Oxford University Press. Black M. (1971). The Elusiveness of Sets. Review of Metaphysics 24: 214-36. Cantor G. (1883). Über unendliche, lineare, Punktmannigfaltigkeiten 5. Mathematische Annalen, 21: 545-86. In: Zermelo (1932): 165-209. Cantor G. (1886). Mitteilung zum Lehre vom Transfiniten. In: Zermel, 1932: 400-07. Carey S. (2009). The Origin of Concepts. New York: Oxford University Press. Dummett M. (2001). Elements of Intuitionism. Second Edition. New York: Oxford University Press. Falk R. (2010). The Infinite Challenge: Levels of Conceiving the Endlessness of Numbers. Cognition and Instruction, 28, 1: 1-38. Feigenson L., Dehaene S. & Spelke E.S. (2004). Core Systems of Number. Trends in Cognitive Sciences, 8, 10: 307-314. 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